apprendimento motivato e autoregolazione: verso un approccio multidisciplinare?

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APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO E MOTIVAZIONE: VERSO UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE? MICHELE POLETTI PSICOLOGO UOC NEUROLOGIA, OSPEDALE VERSILIA, USL 12 TOSCANA, LIDO DI CAMAIORE (LU) ANSVI, ACCADEMIA DI NEUROPSICOLOGIA DELLO SVILUPPO, PARMA. PER CORRISPONDENZA: MICHELE POLETTI UOC NEUROLOGIA, OSPEDALE VERSILIA,. VIA AURELIA 335, LIDO DI CAMAIORE (LU) [email protected] 05846059880

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APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO E MOTIVAZIONE:

VERSO UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE?

MICHELE POLETTI

PSICOLOGO

UOC NEUROLOGIA, OSPEDALE VERSILIA, USL 12 TOSCANA, LIDO DI CAMAIORE (LU)

ANSVI, ACCADEMIA DI NEUROPSICOLOGIA DELLO SVILUPPO, PARMA.

PER CORRISPONDENZA:

MICHELE POLETTI

UOC NEUROLOGIA, OSPEDALE VERSILIA,.

VIA AURELIA 335, LIDO DI CAMAIORE (LU)

[email protected]

05846059880

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APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO E MOTIVAZIONE:

VERSO UN APPROCCIO MULTIDICIPLINARE?

Abstract:

Questa rassegna presenta un approccio multidisciplinare allo studio dell’apprendimento

autoregolato. Prendendo in esame alcuni modelli teorici su questo complesso fenomeno, basato

sull’interazione di processi cognitivi e motivazionali, si sostiene che un passo in avanti nella sua

comprensione potrebbe giungere da un approccio multidisciplinare, che raccolga ed integri evidenze

sperimentali e modalità di valutazione proprie di altri campi della psicologia e delle neuroscienze.

Sulla scia di quanto emerge da un fervida discussione sul contributo diretto che queste discipline

possano offrire nel campo dell’educazione (Goswami, 2006), un approccio che valuti direttamente i

processi cognitivi ed affettivi dei singoli studenti, potrebbe superare le difficoltà metodologiche

connesse ad una misura soggettiva dell’apprendimento autoregolato quale i self report. Le

potenzialità di questo approccio sono discusse fornendo indicazioni per studi futuri.

This paper presents a multisciplinary approach to the study of self-regulated learning. Examining

some theoretical models based on the interaction of cognitive and motivational processes, is

proposed that a step forward in the comprehension of this complex phenomenon could come from a

multidisciplinary approach that takes in account experimental findings and assessment

methodologies of other fields of psychology and neuroscience. Following what resulted from a

recent debate about what these fields may offer to educational psychology (Goswami, 2006), an

approach that directly assesses cognitive and affective processes of students could overcome

methodological difficulties linked to a subjective measure of self-regulated learning like, self

reports. Potentiality of a similar approach is discussed giving providing clues for future studies.

Parole chiave:

Autoregolazione, Motivazione, Apprendimento.

Keywords:

Self Regulation, Motivation, Learning.

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Introduzione

Il comportamento di ogni individuo è orientato al raggiungimento di un certo numero di scopi e alla

soddisfazione di determinati bisogni, mediante l’attivazione di specifici comportamenti finalizzati.

All’interno della ricerca empirica sulla motivazione, una particolare importanza riveste l’ambito

della motivazione all’apprendimento, per i suoi importanti risvolti applicativi nei contesti educativi.

La motivazione all'apprendimento non può essere considerata un processo unitario, quanto piuttosto

un insieme di esperienze soggettive che precedono e accompagnano il percorso di studio di ciascun

studente. Caratteristica fondamentale di una moderna visione cognitiva della motivazione,

caratteristica forse ancora più fondamentale nell’ambito della motivazione all’apprendimento, è la

presenza di obiettivi, o scopi, che guidano il comportamento. Le motivazioni possono essere, infatti,

definite come sistemi gerarchici di scopi e come sistemi di monitoraggio e di controllo sul

raggiungimento degli scopi medesimi (Castelfranchi e Parisi, 1980). Questa concezione della

motivazione chiama in causa l’importanza dei processi cognitivi sottostanti all’individuazione degli

obiettivi, alla valutazione dei propri mezzi e delle proprie risorse disponibili, alla traduzione delle

intenzioni in azioni, ed infine al cambiamento in corsa degli obiettivi e delle strategie per

raggiungerli in funzione del variare delle condizioni del contesto. Risulta evidente, quindi, che più

l’obiettivo è complesso ed ambizioso, tanto maggiore sarà la variabilità delle situazioni e dei

parametri da gestire; questo si verifica con l’avanzamento della carriera scolastica ed eventualmente

di quella universitaria: ci si aspetta quindi i processi di apprendimento e la connessa motivazione si

modifichino nel corso del tempo, maturando di pari passo con la crescita dell’individuo. Pur

muovendosi all’interno della stessa matrice teorica, l’attuale ricerca sulla motivazione propone

costrutti teorici differenti per contenuti e relative metodologie di misura: attualmente si osserva una

suddivisione progressiva del costrutto “motivazione”, che essendo così ampio rischia di apparire

eccessivamente generico (Passolunghi e De Beni 2001). Infatti da una meta-analisi delle ricerche

che hanno indagato la relazione tra apprendimento e motivazione emerge chiaramente la difficoltà

di formulare una definizione unitaria del termine motivazione all'apprendimento: esistono, infatti,

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almeno venti differenti termini motivazionali, distinti fra quelli relativi alle motivazioni estrinseche

ed intrinseche, all’interesse, allo schema di sé e agli obiettivi di apprendimento (Murphy e

Alexander, 2000). Sulla base di ciò il termine “motivazione” viene sempre più spesso sostituito con

quello di “orientamento motivazionale”, nell’ottica di un approccio più cognitivo alla motivazione,

considerata non più semplice conseguenza di un bisogno, ma prodotto di fattori cognitivi e affettivi

che attivano e influenzano il comportamento di un individuo rivolto a un obiettivo (De Beni e Moè,

2000).

Si è detto che la motivazione si configura come un complesso processo psicologico che porta ogni

individuo a darsi degli obiettivi e ad attivarsi per raggiungerli (Castelfranchi e Parisi, 1980). Per

lungo tempo i relativi filoni di ricerca sulla motivazione ad apprendere si sono sviluppati in modo

indipendente: chi si occupava degli aspetti strategici e chi degli aspetti motivazionali

dell’apprendimento. Se questa mancanza di convergenze da un lato ha permesso di approfondire le

conoscenze all’interno dei singoli modelli, dall’altro ha impedito di evidenziarne le possibili

reciproche influenze. Solo negli ultimi venti anni si è cominciato a pensare alle relazioni tra i vari

processi coinvolti nell’apprendimento, sviluppando modelli in cui interagiscono fattori strategici,

motivazionali, metacognitivi ed emotivi. Questi modelli, proprio in virtù della loro complessità,

possono essere considerati validi nel descrivere un processo articolato come quello di

apprendimento. Tra questi modelli complessi (per una rassegna vedi Poletti e Moderato, 2005) si

segnalano, per esempio, il modello del buon utilizzatore di strategie (Borkowsky e Mutrukishna,

1994), il modello dell’apprendimento autoregolato (Schunk e Zimmerman, 1994), nei suoi vari

sviluppi successivi (Boekaerts 1996, 1999; Pintrich, 2000; Zimmerman, 2002) ed il modello

Aspettative - Valori (Wigfield e Eccles, 2000). Lo scopo di questo articolo consiste nel presentare

uno di questi modelli complessi, l’apprendimento autoregolato, e discuterne in modo critico i punti

di forza e i punti di debolezza, alla luce di evidenze sperimentali provenienti anche da altri campi

disciplinari. Un recente dibattito suggerisce, infatti, che un avanzamento nella comprensione e nella

valutazione dei processi di apprendimento e dei fattori ad essi connessi possa giungere da altri

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campi rispetto alla psicologia dell’educazione, quali le neuroscienze. Viene quindi proposto un

possibile parallelo tra apprendimento autoregolato, nelle sue componenti cognitive e motivazionali,

e sviluppo delle funzioni cognitive ed affettive connesse alla corteccia prefrontale nel periodo tra

adolescenza e giovane età adulta. Infine si considerano le possibili implicazioni pratiche di un

simile approccio.

L’APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO

La scuola è uno dei contesti di vita fondamentali in cui il bambino prima, l’adolescente e il ragazzo

poi, sviluppano e mettono alla prova le proprie motivazioni. Al termine del processo di educazione

gli studenti dovrebbero avere maturato la capacità di autoregolarsi, divenuti consapevoli del ruolo

strategico da essa giocato nel guidare l’apprendimento, ed il comportamento più in generale. La

scuola e l’università dovrebbero essere così il terreno d’allenamento in cui sviluppare quelle

capacità di autoregolazione da applicare poi in tutti i contesti lavorativi, sportivi, sociali, ecc., nei

quali gli individui agiscono. Per questo motivo negli ultimi anni è cresciuto in modo esponenziale il

numero di ricerche sull’autoregolazione degli studenti, in quanto i contesti educativi sono tra quelli

che più stimolano lo sviluppo di tale capacità, fondamentale poi per raggiungere gli obiettivi

prefissati. L’esperienza dovrebbe così condurre verso forme autoregolate di azione.

Cosa si intende per autoregolazione? Due approcci vengono qui presentati: quello sociocognitivo

(Zimmermann, 2002) e quello proposto da Boekaerts (1996, 1999) e poi successivamente

aggiornato (Boekaerts e Corno, 2005). Nell'ambito della teoria sociocognitiva l’autoregolazione

viene definita in termini di pensieri, sentimenti e azioni che permettono all'individuo di perseguire i

propri obiettivi; questi processi sono considerati ciclici, in quanto i feedback che si ricavano nelle

fasi iniziali di ricorso a queste procedure, vengono utilizzati per realizzare degli specifici

adattamenti delle strategie utilizzate (Bandura 1986). Per esplicitare il costrutto

dell’autoregolazione in un modello teorico, si può fare, per esempio, riferimento a quello di

Zimmermann (2002), nel quale i processi di apprendimento e le credenze motivazionali si basano su

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tre fasi autoregolatorie cicliche: la fase di prefigurazione, la fase di prestazione e la fase di

autoriflessione (vedi figura 1).

Figura 1 circa qui

Il processo di prefigurazione coinvolge l'analisi del compito e le credenze relative alla propria

motivazione. Un elemento caratterizzante l'analisi del compito è l’individuazione di sotto-obiettivi.

La teoria sociocognitiva sostiene che l'insieme degli obiettivi degli studenti con elevati livelli di

autoregolazione è organizzato gerarchicamente, e che in questa struttura i sotto-obiettivi aiutano a

perseguire mete più impegnative e più lontane nel tempo (Bandura, 1977). All'opposto, studenti con

scarsi livelli di autoregolazione hanno obiettivi a medio/lungo termine più vaghi ed imprecisi.

Durante la prestazione sono attive le strategie cognitive necessarie per svolgere il compito ed i

processi di auto-osservazione. Chi agisce in modo autoregolato dovrebbe mettere in gioco processi

strategici, quali il ricorso ad auto-istruzioni, a processi immaginativi ed ad una strutturazione

dell’ambiente favorevole all’apprendimento. I processi di auto-osservazione consistono nel

monitorare aspetti specifici della prestazione, quali le condizioni in cui avviene ed i suoi risultati.

La fase di riflessione su di sé richiede capacità di autovalutazione e di auto-reazione.

L’autovalutazione individua i fattori che hanno contribuito a perseguire determinati risultati

(attribuzioni causali), confrontando i risultati conseguiti con gli standard prefissati; l’attribuzione

individua le cause dei successi o dei fallimenti. Da un lato, gli studenti con maggiori capacità di

autoregolazione tendono ad autovalutare le proprie prestazioni più frequentemente di quelli con

scarsa capacità; inoltre i primi tendono ad attribuire i loro errori a variabili controllabili, quali il

mancato utilizzo di strategie efficaci, mentre i secondi tendono ad attribuire i loro errori a variabili

non controllabili quali il possedere scarse abilità, scarsamente modificabili. Le attribuzioni a

variabili controllabili dall’individuo portano ad ulteriori sforzi nel processo di apprendimento,

mentre le attribuzioni a variabili poco modificabili e scarsamente controllabili dall’individuo

scoraggiano l'avvio di ulteriori sforzi di apprendimento (Zimmerman e Kitsantas 1997). I fallimenti

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nel gestire adeguatamente la fase della prefigurazione, nell'individuare e organizzare

gerarchicamente gli obiettivi e nello scegliere una strategia determinano il ricorso a forme reattive

di prestazione e auto-riflessione, caratterizzate da attribuzioni a cause incontrollabili e solitamente

insoddisfazione (Zimmermann 2002). Questo modello cerca, quindi, di spiegare la persistenza e il

senso di riuscita personale degli studenti con competenze di autoregolazione così come l’evitamento

del compito e le incertezze degli studenti con scarse capacità di autoregolazione.

Altri autori individuano nell’interazione tra fattori cognitivi e fattori motivazionali il cuore

dell'apprendimento autoregolato, ritenendoli aspetti tra loro inscindibili. Per esempio

autoregolazione cognitiva ed autoregolazione motivazionale sono le due cornici teoriche entro cui

collocare le sei componenti del modello di Apprendimento Autoregolato (Boekaerts 1996; 1999;

vedi figura 2).

Figura 2 circa qui

I sostenitori di tale modello ritengono che descrivere l’autoregolazione dell’apprendimento solo in

termini di strategie cognitive e metacognitive offra un quadro riduttivo del processo: gli studenti

infatti devono anche autoregolare la loro motivazione ed i loro sforzi (Pintrich, 2000). Per esempio

occorre assegnare un valore a quanto va appreso, quale sforzo dedicare a tale obiettivo e sostenere

lo sforzo fino a che lo scopo non è stato raggiunto. Accanto a strategie cognitive e metacognitive

occorre quindi anche considerare strategie motivazionali (Ryan e Deci, 2000). Questo concetto è

ben visualizzato nel modello di Boekaerts (1996), successivamente rivisto (Boekaerts e Niemvirta,

2000; Boekaerts e Corno, 2005), in cui gli aspetti cognitivi e gli aspetti motivazionali possono

essere autoregolati dal soggetto a livello di obiettivi, strategie e conoscenze dominio-specifiche.

Alcuni risultati sperimentali confermano che anche la motivazione viene regolata dagli studenti in

risposta ai differenti compiti di apprendimento. Tali studi hanno indagato questo fenomeno nei

contesti universitari, in cui si suppone che gli studenti abbiano raggiunto il loro più alto livello

possibile di autoregolazione, ed in cui l’autoconsapevolezza dei processi cognitivi e motivazionali

attivati durante l’apprendimento sia massima. I primi risultati sperimentali sembrano indicare che

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la motivazione non è semplicemente un fattore causale dell’apprendimento autoregolato ma essa

stessa viene autoregolata dagli studenti in risposta a diversi compiti e diverse difficoltà (Wolters,

1998; Hadwin, Winne, Stockley et al., 2001). Questo è stato confermato anche nel contesto

universitario italiano (Poletti e Moderato, 2006): le strategie motivazionali individuate rientrano tra

quelle già emerse in altri studi (Pintrich 2000; per una revisione Wolters, 2003) e possono essere

ricondotte a quattro tipologie di orientamenti motivazionali: volizione (Corno, 1994; Husman,

McCann e Crowson, 2000), controllo cognitivo del compito, regolazione intrinseca e regolazione

estrinseca (Lin, McKeachie e Kim, 2003). Tali orientamenti motivazionali vengono adottati con

differenze statisticamente significative di fronte a diversi problemi motivazionali. Per esempio il

controllo cognitivo del compito è più frequentemente attivato di fronte a compiti/materie ritenuti

particolarmente complessi e difficili; la regolazione intrinseca è più frequentemente attivata di

fronte a compiti/materie ritenuti noiosi, che non suscitano l’interesse dello studente (Poletti e

Moderato, 2006; Wolters, 1998). Differenze statisticamente significative nell’adozione di

orientamenti motivazionali si hanno anche tra studenti universitari del primo anno e studenti del

quinto anno, in particolare nell’uso di strategie di regolazione intrinseca di fronte a compiti ritenuti

difficili (Poletti e Moderato, 2006). In questa situazione gli studenti del quinto anno adottano

obiettivi di padronanza (Dweck e Leggert, 1988; Dweck, 1999) e strategie di autoefficacia

(Bandura, 1977) con frequenza molto maggiore agli studenti del primo anno, suggerendo che la

risposta motivazionale degli studenti tenda a modificarsi nel corso dell’esperienza universitaria.

Tale ricerca integra e chiarifica quanto emerso da un precedente studio, cioè un calo della

motivazione negli studenti universitari nel corso della loro carriera universitaria, decremento tale

per cui le matricole avrebbero una motivazione più alta degli studenti degli anni successivi

(Albanese e Fiorilli, 2001). La motivazione non sembra quindi calare nel corso degli anni

universitari, ma semplicemente si modifica.

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Verso nuovi approcci allo studio dell’apprendimento autoregolato?

I modelli dell'apprendimento autoregolato presentati nel precedente paragrafo sono esemplificativi

del raffinato livello di descrizione ed analisi di questo complesso fenomeno raggiunto oggi dalla

psicologia dell'educazione (Pintrich, 2003). Dall'analisi dell'attuale dibattito all'interno di questa

disciplina si evincono però soprattutto due specifiche esigenze. La prima esigenza è di utilizzare

maggiormente le conoscenze teoriche nella pratica quotidiana dei soggetti che agiscono nei contesti

educativi, in particolare gli insegnanti: come possono questi interagire con gli studenti per stimolare

l’utilizzo di strategie di autoregolazione (Boekaerts e Cascallar, 2006)? La seconda esigenza è

quella di un salto di qualità nella valutazione dei processi di autoregolazione dell’apprendimento

(Cascallar, Boekaerts e Costigan, 2006). Lo strumento più usato per raccogliere dati su obiettivi di

apprendimento, orientamenti motivazionali ed altri costrutti connessi a questi processi è il

questionario self-report. Tale protocollo di ricerca è fondamentale per lo sviluppo del modello

dell’apprendimento autoregolato, in quanto il contenuto dei pensieri che gli studenti riportano in

questi questionari è ciò che loro percepiscono e ricordano delle situazioni di apprendimento.

Purtroppo i questionari self-report sono necessari ma non sufficienti quando i ricercatori indagano

le relazioni tra obiettivi, motivazioni, e credenze da una parte e strategie di apprendimento dall’altra

(Winne, 2004). Gli studenti non sono, infatti, osservatori così affidabili delle modalità con cui

affrontano gli eventi. Le loro descrizioni delle strategie cognitive applicate durante le situazioni di

apprendimento sono spesso scarsamente fedeli a quanto messo realmente in atto (Hadwin, Winne,

Stockley et al., 2001; Winne e Jamison-Noel, 2002). Questo scarto non deve sorprendere più di

tanto, poiché la memoria umana è selettiva, fallace e basata su euristiche. Anche dopo un breve

lasso temporale la memoria di eventi passati può essere incompleta e distorta, per cui occorre

cautela nell’interpretazione dei questionari self-report, che riportano ciò che gli studenti pensano e

ricordano ma non necessariamente i pensieri avuti e le azioni concretamente messe in atto (Winne,

2004). Ciò non significa proporre un abbandono del questionario self-report come strumento

elettivo per l’indagine sperimentale delle motivazioni, delle strategie e degli obiettivi degli studenti,

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quanto piuttosto suggerire una cautela nell’interpretazione dei risultati e fornire un incentivo per

l’individuazione di ulteriori strumenti di rilevazione.

Il salto di qualità nello studio di questo processo può probabilmente venire da altri campi della

psicologia e dalle neuroscienze. L’interesse delle neuroscienze per le possibile ricadute applicative

delle proprie evidenze sperimentali nel campo dell’educazione è in costante aumento, testimoniato

dalla nascita di un giornale scientifico esclusivamente dedicato a questo ambito, quale Mind, Brain

and Education, o da un recente numero monografico dell’European Journal of Cognitive

Psychology (Son e Vandierendonck, 2007). Anche se molti autori ritengono che questo tentativo di

integrazione sia ancora prematuro, esiste un consenso generale sul fatto che le neuroscienze attuali

possono aiutare a sfatare alcuni miti sul funzionamento cerebrale che ancora aleggiano negli

insegnanti e dare alcune indicazioni sui processi alla base dell’apprendimento (Goswami, 2004;

2006). In effetti dalla neuropsicologia e dalle neuroscienze giungono sempre più informazioni che

possono aiutare gli psicologi dell’educazione a comprendere la natura dei fenomeni che stanno

studiando (Dehaene, 2007; Immordino-Yang e Damasio, 2007). È infatti utile ricordare che è

possibile descrivere un determinato comportamento a diversi livelli, partendo dal livello

fenomenico o dal livello neurale: 1) comportamento osservabile 2) sottostanti processi cognitivi

coinvolti 3) sottostanti circuiti neurali. Per la natura del loro campo di studio gli psicologi

dell’educazione si sono principalmente occupati di descrivere il livello comportamentale ed in parte

quello cognitivo. Le conoscenze oggi a disposizione permettono però di affrontare un complesso

fenomeno come l’apprendimento autoregolato su tutti e i tre livelli descrittivi, o se non altro

spingono per effettuare un tentativo in questa direzione (Mizuno, Tanaka, Ishii et al., 2008).

Apprendimento autoregolato: il contributo delle neuroscienze.

Come riportato in precedenza, l’autoregolazione dell’apprendimento viene particolarmente studiata

e riscontrata negli studenti delle scuole medie superiori e negli studenti universitari. Da un lato

l’avanzamento della carriera scolastica porta a contesti educativi in cui lo studente è sempre più

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libero di organizzare il proprio approccio allo studio, fenomeno che trova il suo apice durante

l’università. Di pari passo con la crescita dovrebbe aumentare inoltre negli studenti la

consapevolezza dei propri processi di apprendimento e di motivazione. Quindi è nella fascia di età

che va dalla adolescenza alla prima età adulta che si osserva una maturazione del processo di

autoregolazione dell’apprendimento, che per quanto riguarda la motivazione continua a modificarsi

anche durante gli anni di università (Poletti e Moderato, 2006). Non a caso, un recente filone di

studi longitudinali con neuroimmagini ha dimostrato che in questa fascia di età il cervello umano va

incontro ad un marcato sviluppo, dovuto ai processi di mielinizzazione (l’aumento della sostanza

bianca) e di pruning sinaptico (l’eliminazione delle sinapsi scarsamente utilizzate e connesse ad

altre sinapsi), che ridefiniscono i circuiti cerebrali, potenziando quelli più utilizzati ed aumentando

così notevolmente la capacità di comunicazione tra i neuroni e la velocità di elaborazione delle

informazioni (per una rassegna Giedd, 2008). Lo sviluppo cerebrale non si conclude comunque con

l'adolescenza ma continua in età adulta, anche se con modalità meno impetuose. La ridefinizione

dei circuiti, attraverso la perdita di materia grigia, continua, nel lobo prefrontale, anche nella terza

decade di vita (Sowell, Peterson, Thompson et al., 2003), tanto che la corteccia dorsolaterale è

l'ultima area corticale a raggiungere lo spessore definitivo (Lenroot e Giedd, 2006).

La corteccia prefrontale è quindi l’area corticale che va incontro al più significativo sviluppo

proprio in quella fascia di età in cui si assiste ad una sempre maggiore autoregolazione

dell’apprendimento. Possono questi due fenomeni essere indipendenti? Per rispondere a questa

domanda occorre brevemente analizzare le funzioni cognitive ed affettive connesse alla corteccia

prefrontale. La porzione dorsolaterale di tale area è alla base delle cosiddette funzioni esecutive, tra

cui si includono la memoria di lavoro, l’attenzione selettiva e sostenuta, lo shifting attentivo, la

pianificazione, il problem solving, la flessibilità cognitiva, la rilevazione di errori e l’inibizione

comportamentale (Miyake, Friedman, Emerson, et al., 2000; Alvarez e Emory, 2006). Questi

processi cognitivi sono necessari per mettere in atto comportamenti adattativi e orientati verso un

obiettivo (Stuss e Knight, 2002). La porzione ventromediale della corteccia prefrontale, in forte

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connessione con strutture del sistema limbico e con l’amigdala, è alla base della valutazione delle

ricompense/feedback (O’Doherty, 2004) e dei processi decisionali (Damasio, 1994; Wallis, 2007).

Numerosi studi neuropsicologici hanno dimostrato che queste funzioni cognitive ed affettive

maturano notevolmente durante l’adolescenza e fino alla giovane età adulta (per una rassegna in

italiano vedi Poletti, 2007; Poletti, in corso di stampa). Per quanto riguarda le funzioni esecutive, a

17 anni alcuni processi hanno già raggiunto la loro piena maturità funzionale, mentre altri vanno

incontro ad ulteriori modificazioni fino alla giovane età adulta. Il mantenimento del set e

l'inibizione comportamentale raggiungono un livello maturo intorno ai 14 anni La fluenza verbale e

la pianificazione invece continuano a migliorare gradualmente fino alla giovane età adulta, intorno

circa ai 22 anni di età (Romine e Reynolds, 2005).

Anche il processo di valutazione delle ricompense va incontro ad un periodo di maturazione durante

l’adolescenza. Lo sviluppo cerebrale ed il conseguente sviluppo cognitivo in questa fase di vita

consentono agli adolescenti di rappresentarsi ricompense più astratte e più complesse di quelle

esperite fino ad allora, per esempio nelle situazioni e nelle relazioni interpersonali, che acquistano

maggiore importanza e contribuiscono a definire il senso di sé degli individui (Davey, Yucel e

Allen, 2008); è infatti verso i 14/15 anni che l’influenza del gruppo dei pari è maggiore, per poi

declinare lentamente con la crescita (Gardner e Steinberg, 2005; Steinberg e Monahan, 2007).

Inoltre gli adolescenti cominciano a considerare ricompense non immediate ma ritardate nel tempo,

essendo più abili nel darsi una prospettiva temporale più dilatata. Questi cambiamenti a livello

neurale da un parte e a livello sociale dall’altra, producono quindi importanti processi di

maturazione a livello cognitivo e affettivo durante l’adolescenza e la giovane età adulta. Essi

aumentano sensibilmente la motivazione all’azione negli adolescenti, ma fallimenti nel raggiungere

questi nuovi e più complessi obiettivi possono generare frustrazione più che in precedenza, come

testimoniato dall’alta incidenza di disturbi depressivi in questa fascia di età (Davey et al., 2008).

Riassumendo, nel periodo di vita tra l’adolescenza e la giovane età adulta, gli individui diventano

molto più abili in tutti quei processi che sono necessari al raggiungimento di un obiettivo: lo

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sviluppo cognitivo e la maturazione della valutazione delle ricompense permettono di rappresentarsi

obiettivi più complessi, astratti e lontani nel tempo. Un esempio di questo cambiamento è

rappresentato dal fenomeno del ritardo della gratificazione accademica (academic delay of

gratification: Bembenutty, 2000), che consiste nel posporre, da parte degli studenti universitari, la

scelta di opportunità immediatamente disponibili in favore del raggiungimento di obiettivi e

ricompense accademiche temporalmente più lontane ma ritenute soggettivamente di maggior valore

(Bembenutty e Karabenick, 1998; 2004).

Facendo riferimento al modello di apprendimento autoregolato proposto da Boekaerts (1996; 1999),

si potrebbe allora ipotizzare che: 1) la motivazione e la sua maturazione siano più sostenute dallo

sviluppo delle funzioni affettive connesse alla corteccia prefrontale ventromediale; 2) la

maturazione del controllo cognitivo, della capacità di inibizione comportamentale e della gestione

dell’attenzione permetta di implementare più complesse strategie di regolazione della motivazione

per raggiungere gli obiettivi prefissati, cioè che lo sviluppo di strategie di autoregolazione della

motivazione sia più sostenuto dalla maturazione delle funzioni esecutive connesse alla corteccia

prefrontale dorsolaterale.

Altri costrutti motivazionali potrebbero essere inquadrati in questa prospettiva. Per esempio, alcuni

autori sostengono che la motivazione estrinseca possa gradualmente trasformarsi in intrinseca,

attraverso tappe intermedie (Ryan e Deci, 2000). Tale modello non è un modello di sviluppo, tanto

che anche gli adulti possono rimanere, in alcuni contesti, ancorati ad una motivazione estrinseca.

Non è forse possibile leggere questo processo come connesso alla progressiva maturazione, con

l’età, del substrato neurale necessario per auto-generare propri obiettivi, più complessi e più

temporalmente distanti? Questo processo va comunque accompagnato, fornendo agli studenti

processi ed ambienti educativi adeguati per stimolare forme di motivazione di tipo intrinseco.

Se è allora possibile interpretare il modello dell’apprendimento autoregolato sulla base di modelli

provenienti da altre branche della psicologia e delle neuroscienze, non sarebbe allora opportuno

sfruttare questo fatto per adottare parallele misure di valutazione di questo fenomeno, con

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l’obiettivo di superare l’empasse metodologico lamentato dagli psicologi dell’educazione (Winne,

2004)? Questo approccio risponderebbe pertanto all’esigenza di avere altre misure, oltre a quelle

self-report, per misurare i processi cognitivi e motivazionali sottostanti l’apprendimento

autoregolato. Oggi si dispone infatti di numerosi ed affidabili compiti sperimentali per valutare le

funzioni connesse alla corteccia prefrontale, sia nella sua porzione dorsolaterale sia nella sua

porzione ventromediale (per una rassegna vedi Chudasama e Robbins, 2006). Sarebbe allora

interessante sottoporre, contemporaneamente, a campioni abbastanza ampi di studenti delle scuole

superiori o dell’università, 1) delle scale o dei questionari di autovalutazione sulle modalità con cui

autoregolano il loro apprendimento, sia negli aspetti cognitivi sia negli aspetti motivazionali; 2)

delle batterie di test che valutino sia le funzioni esecutive sia le funzioni affettive connesse a

differenti porzioni della corteccia prefrontale. Se il campione fosse abbastanza ampio ci si

potrebbero aspettare alcune tendenze generali, quali una correlazione diretta tra motivazione e

funzioni affettive, specialmente la valutazione delle ricompense e l’abilità decisionale, ed una

correlazione diretta tra utilizzo di strategie di autoregolazione e funzionamento esecutivo.

Conclusioni.

Questo breve articolo sostiene che lo studio di un complesso fenomeno come l’apprendimento

autoregolato, nelle sue varie componenti cognitive e motivazionali, possa giovarsi di un approccio

multidisciplinare, che utilizzi per esempio conoscenze da altri campi del sapere. Le neuroscienze

potrebbero permettere di analizzare i processi cognitivi ed affettivi sottostanti l’apprendimento

autoregolato, ed in un ulteriore livello di analisi anche i molteplici circuiti neurali connessi a questo

fenomeno. Un approccio di questo tipo potrebbe potenzialmente avere numerosi vantaggi: per

esempio, sarebbe possibile ancorare alcune delle componenti proposte nei modelli

dell’apprendimento autoregolato a funzioni esecutive ed affettive la cui valutazione ha una più

robusta e lunga letteratura alle spalle; inoltre le differenze individuali nell’efficacia delle strategie

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individuali di autoregolazione potrebbero trovare riscontro in difficoltà a carico di specifiche

funzioni cognitive ed affettive dei singoli studenti.

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