angelo tasca, il manoscritto perduto

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Angelo Tasca INTERVISTE SUL FASCISMO Fondazione Giangiacomo Feltrinelli IL TESTO RITROVATO Manoscritto inedito 1934-1936

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Angelo TascaINTERVISTE SUL FASCISMO

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

IL TESTO RITROVATO

Manoscritto inedito1934-1936

Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

IL TESTO RITROVATO

Angelo TascaINTERVISTE SUL FASCISMO

© Fondazione Giangiacomo Feltrinelliin copertina: Manifesto per le elezioni del 1934

Manoscritto inedito1934-1936

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Tèmoignages

Sono qui trascritte le conversazioni che durantela preparazione del mio libro io ho avuto con varielementi dell’emigrazione politica italiana.

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I. La rivolta della borghesia

[Cianca] La questione dei profitti di guerra eramolto sentita da alcuni industriali particolar-mente minacciati. Tra questi erano i fratelli Per-rone, a cui apparteneva il Messaggero, che Cian-ca dirigeva. Sul Messaggero i Perrone non osaro-no fare la campagna contro la Commissioned’inchiesta che svolsero invece apertamentesull’Idea nazionale, che pure loro apparteneva, eche dirigevano Alfredo Rocco, Federzoni, ForgesDavanzati.1

Quando venne al potere Giolitti, detestato daifratelli Perrone, egli cercò di esercitare su di essiuna certa pressione, per averli alleati. S’incaricòdell’operazione Luigi Ambrosini, allora capodell’Ufficio Stampa di Giolitti, attraverso i depu-tati Porzio e Corradini.

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1 La Banca Commerciale aveva a sua disposizione la Tribuna,diretta da Olindo Malagodi.

[Nitti] L’inchiesta sulle spese di guerra fu volutadalla Banca Commerciale d’accordo con Giolitti;nella Commissione c’erano tutti gli uomini fedelialla Banca. Carnazza, suo fiduciario segreto, il de-putato socialista Albertelli. Gran maneggione perconto della Commerciale era, fuori della commis-sione, il socialista on. Donati. Non fu danneggiatonessuno degli amici della Commerciale.

Fra i grandi profittatori della guerra vi furonoMax Bondi <94>e Arturo Luzzatto, che fecero laloro fortuna coll’Ilva (ferro), il gruppo Odero deicantieri navali e i fratelli Perrone dell’Ansaldo.Bondi e Luzzatto non erano asserviti né allaCommerciale, né alla Sconto: essi avevano fortu-ne personali ingentissime, che permettevano lorodi manovrare tra i due gruppi.2

Origine della Commerciale: Dopo il fallimentodel Credito Mobiliare e della Banca Generale l’or-ganismo del credito era molto scosso in Italia.Crispi aveva pensato nel 1888 ad utilizzare le ca-pacità e gli uomini della Deutsche Bank. VonWinder, il direttore di quella Banca, mise a suadisposizione due ebrei di una grande intelligen-za: Weill e Joel. Lo D. B., con non molti capitalima con una grande organizzazione prese in ma-no l’apparato bancario italiano, traendone grandivantaggi e rendendo nello stesso tempo grandi

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2 [Il testo della nota manca nel manoscritto].

servigi. Questo gruppo era però diventato troppopotente e tendeva al monopolio.

Durante la guerra c’era l’ossessione contro le“spie tedesche”. Toeplitz e la stessa Commercialediventarono sospetti. L’amante di Toeplitz fumandata in relegazione a Perugia.

In questa situazione Pio e Mario Perrone, dueuomini di grandi qualità e di grande energia, con-cepirono l’idea di approfittare del<95>l’occasioneper prendere la Banca Commerciale sotto il lorocontrollo. I Perrone durante la guerra avevano giàpreso il Banco di Roma, s’erano infiltrati nel Cre-dito Italiano e avevano poi costituito la Banca Na-zionale di Sconto. L’idea centrale dei Perrone erache l’industria pesante stava alla base di tutta l’in-dustria, che attraverso ad essa si doveva giungerea metter la mano sulla Banca principale, e a con-trollare attraverso a questa tutto il sistema banca-rio e tutta l’economia del paese.

La B.N.S., sorta alla fine del 1915, ha conosciu-to sotto la direzione di Pogliani, uomo molto in-traprendente, un enorme successo, perché avevaraccolto intorno a sé tutte le forze industriali ne-miche della Commerciale e favorevoli alla guerra.

La lotta tra B.C. e B.N.S. s’invelenì. Ministrodel Tesoro all’indomani di Caporetto, Nitti sitrovò davanti a una lotta accanitissima. La B.C.tentava di difendersi; la B.N.S. (e specie i Perro-ne) era diventata aggressiva. Di qui il primo ten-

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tativo di conquista della commerciale. Nitti tele-grafò [nel 1918] al Prefetto di Genova l’ordine disequestrare i titoli e fece poi valere il diritto disconto. I Perrone erano stati da lui e gli avevanoofferto i titoli: “Noi disponiamo di tutta l’Italia”,gli avevano detto. Ma Nitti non voleva il dominioné degli uni, né degli altri, e poiché la BancaCommerciale era disposta a riacquistare i titoli,egli decise i Perrone a restituirli.

<[96]>Nitti aveva organizzato nel 1918 il car-tello delle Banche, che, rispettato per i primi me-si, non funzionava più, perché i Perrone eranopassati all’offensiva.

Senatore Borletti e Aldo Borletti hanno guada-gnato delle somme immense durante la guerra(partiti da una fabbrica di orologi, ebbero poiquasi il monopolio della produzione di spolette).S. Borletti aveva poi un gran commercio di linonel Belgio; prima della dichiarazione di guerrada parte dell’Italia potè recarsi nel Belgio già oc-cupato e fare i suoi affari: la merce veniva poispedita in Germania. Nitti possiede una lettera diRennel Rodd, ambasciatore d’Inghilterra, il qualerivelava i procedimenti di S.B. e chiedeva a Nitti(allora Ministro del Tesoro e membro del Comi-tato di Guerra) di farlo arrestare.

[Modigliani] Il fascismo fu essenzialmente unmovimento di origine agraria. Esso si sviluppò

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infatti a Bologna, Rovigo, Ferrara, Modena e poiin Toscana, eminentemente agricole. Esso fu trail novembre 1920 e il gennaio 1921 un movimen-to di nazionalisti agrari [?]: non si chiamavanoneppure fascisti. Le squadre d’azione in Toscanaerano tutte di contadini; ciascuna fattoria si quo-tava non tanto in danari, quanto in uomini.

Mussolini non prende la testa che nei primimesi del 1921. E gli industriali quando videro cheil metodo ren<96[ma 97]>deva, a poco a poco civennero anch’essi. L’attacco alle grandi città siprodusse più tardi.

[Buozzi] Fino alla marcia su Roma e anche piùin là gli industriali furono quasi tutti contrari alfascismo. Qualche singolo ha qua e là finanziatoil fascismo, il grosso, no. La stessa Confederazio-ne dell’Industria fino al 1924 ha guardato al fa-scismo con una certa diffidenza. Solo a partiredal 1924 essa ha fornito un aiuto diretto, cercan-do del resto di disciplinare il suo aiuto mediantel’imposizione di una percentuale ai suoi aderenti.Ancora nel 1925 la Fiat si rifiutava di trattare coni sindacati fascisti. Vi fu allora da parte dei fasci-sti una vera spedizione punitiva, la distruzionedei locali della direzione della Sezione MaterialeMobile della Fiat alla Crocetta (Torino).

Ad ogni modo gli industriali adoperavano il fa-scismo nella speranza che potesse diminuire la

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forza delle organizzazioni operaie; ma non pen-savano che un giorno esso sarebbe diventato ilpadrone d’Italia. Essi aiutarono in un primo tem-po i fascisti come “spezzatori di sciopero”.

Invece maggiori aiuti vennero dagli agrari. Uncaso tipico: un industriale, certo Barberi, di Ca-stelmaggiore presso Bologna era nello stessotempo proprietario di terre. Egli era sindaco <97[ma 98]> del paese, consigliere provinciale, presi-dente della Congregazione di Carità, possedevamezzo il paese. Era tutto. Nel dopoguerra di-ventò niente. All’interno dello stabilimento dove-va fare i conti colla Commissione Interna; incampagna colla Federazione della Terra. Un ope-raio del suo stabilimento lo sostituì alla testa delComune; un altro operaio al Consiglio comunale;fu eliminato dalla Congregazione di Carità. Diqui il suo rancore contro i rossi.

Gli industriali delle città avevano da farecoll’organizzazione operaia all’interno dei lorostabilimenti, ma in genere non prendevano partediretta alla vita pubblica. Nelle campagne inveceil grande proprietario di terre aveva tutte le cari-che delle amministrazioni locali, quindi l’urto erapiù diretto, più personale.

D’altro lato il movimento operaio in Italia eragiovane: aveva ottenuto nel corso di una sola ge-nerazione quello che in Inghilterra quello che ilmovimento operaio aveva messo quattro genera-

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zioni ad ottenere. L’adattamento era riuscitoquindi meno facile. Nel dopoguerra industriali especie agrari ebbero l’impressione che il sociali-smo, la rivoluzione fossero in Italia questione digiorni e si sono buttati in braccio al fascismo.

Altro fattore. A Reggio Emilia, per esempio, leorganizzazioni operaie, la Camera del Lavorocontrollava tutta la vita della provincia. Essa ave-va organizzato i piccoli coltivatori, decideva deiprezzi delle derra <98 [ma 99]>te, e teneva granparte del commercio in sua mano attraverso allecooperative. Tutti dovevano passare di lì. I vecchicontadini, educati dalla propaganda di Prampoli-ni, accettavano questo stato di cose; ma i loro fi-gli, tornati dalla guerra, desiderosi di far vita bor-ghese, si rivoltarono, vollero essere “padroni incasa loro”, e divennero fascisti.

[Buozzi] L’inchiesta sulle spese di guerra spa-ventò parecchi industriali, specie gli industrialiimprovvisati, come Borletti. Il generale Dall’Olio,che era alla testa della mobilitazione industriale,aveva questo criterio: “Io ho bisogno di proiettilie mi occupo di raggiungere la più grande produ-zione senza badare alla spesa. Penserà poi il miosuccessore ministro del Tesoro a portar via il malguadagnato”. Degli industriali scontavano perciògià nei prezzi questa prospettiva. Si trattava so-prattutto degli industriali pei quali l’industria

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non era che un’occasione, una base di specula-zione come un’altra. Per Bondi e Luzzatto, peresempio, gli stabilimenti dell’Ilva non erano crea-ti tanto per guadagnare sul ferro che produceva-no, quanto per guadagnare attraverso le specula-zioni borsistiche.

[Buozzi] La situazione nelle campagne era tale,che anche elementi reazionari come il marcheseTanari di Bologna si era ormai rassegnato a la-sciare le terre ai contadini, non già in mezzadriao in affitto, accontentandosi di esigere da loro unbassis<99 [ma 100]>simo interesse. Il marcheseTanari scrisse anche uno o due articoli nella Nuo-va Antologia in sostegno della sua tesi. Questa ap-pariva come la sola via d’uscita tra l’irromperedelle folle da un lato e l’insufficiente sostegno daparte dello Stato. Ma quando il fascismo venne, ilTanari vide che esso poteva offrire un’altra viad’uscita e far riprendere alla proprietà tutti i suoidiritti. Il marchese Tanari sarà uno dei primi fa-scisti al Senato.

[Rosselli] Treves, che faceva parte della Com-missione d’inchiesta per le spese di guerra, hadetto a Rosselli che si erano votati dei recuperiper oltre un miliardo di lire.3

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3 [Il resto della pagina è lasciato in bianco].

<100 [ma 101]>Conversazione con Nullo Baldini

Non ero favorevole all’andata al potere, che con-sideravo come un errore, data l’impreparazionedelle masse, ipnotizzate dall’esempio della Rus-sia. Sarebbe stato come mettere un cieco, che ab-bia improvvisamente riacquistato la vista, bru-scamente davanti alla luce del sole.

Lo sviluppo del fascismo nell’Emilia fu la con-seguenza della lotta di classe tra agrari ed orga-nizzazione operaia, tra Associazione agraria eFederazione della Terra, tra le quali si eranocombattute in passato epiche lotte. La prima lot-ta memorabile fu quella per lo scambio delle ope-re, attorno al 1909-10. I mezzadri durante i gran-di lavori agricoli mancavano di mano d’operasufficiente. Una famiglia di contadini poteva cosìricevere l’aiuto di altre famiglie, ciò era fatto mu-tualmente e non dava luogo a pagamenti. Ma ciòtoglieva ai lavoratori agricoli che non avevanoterra delle possibilità d’impiego, già per essi cosìridotto, perché una inchiesta del Ministerodell’agricoltura che risale al 1904 aveva constata-to che un salariato agricolo della valle Padananon lavorava più di 120-130 giorni all’anno, tenu-to conto della disoccupazione, delle intemperie,delle feste ecc.

Nel ravennate (ove c’era allora una sola Came-

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ra del <101 [ma 102]>lavoro, l’Agraria si oppone-va all’abolizione dello scambio d’opera perché ilproprietario avrebbe dovuto pagare metà dellespese del bracciante. La lotta fu vinta appuntoperché mezzadri (in prevalenza repubblicani) ebraccianti (in prevalenza socialisti) stavano nellastessa Camera del Lavoro.

Dopo la questione dello scambio d’opera sorsequella delle macchine. La trebbiatura era esegui-ta con macchine che appartenevano per lo più adelle officine meccaniche. L’aumento della pro-duzione fu tale che esigeva una rapida esecuzio-ne dei lavori di trebbiatura, a cui le vecchie mac-chine diventavano insufficienti. Colle tariffe otte-nute dalla Camera del Lavoro, i proprietari nonavevano più interesse a servirsi di quelle macchi-ne. Bisognava introdurre macchine di più grandepotenzialità. Si fabbricavano allora in Germaniamacchine che potevano trebbiare 250 e più quin-tali al giorno. Nello stesso tempo si era da noi svi-luppata la cooperazione, che pensò di acquistaree infatti acquistò le nuove macchine.

Era sorto il problema per conto di chi dovesseeseguire il lavoro di trebbiatura. I contadini esi-gevano di eseguire essi la trebbiatura, perché lemacchine servivano a trebbiare il loro prodotto; ilavoratori rispondevano che le macchine eranoazionate da loro: macchinisti, <102 [ma103]>imboccatori, la squadra addetta alla paglia

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era formata dalle loro squadre. Se vi lasciamo lemacchine, dicevano i salariati, voi mezzadri di-venterete i nostri padroni, mentre siamo insiemenella stessa Camera del Lavoro. Il conflitto tramezzadri e lavoratori era inasprito da ragioni po-litiche, gli uni essendo in prevalenza repubblica-ni, gli altri socialisti.

Intervenne allora (1910) la Federazione dellaTerra, che in un Congresso di Bologna prese ladecisione che le macchine non potevano essereesercite da una unica categoria, si trattasse dimezzadri o di braccianti. Baldini, Mazzoni e Al-tobelli furono d’accordo nel sostenere che lemacchine dovessero essere condotte dalla collet-tività, rappresentata dal Consorzio delle Coope-rative, che univa tutte le cooperative agricole.Proprietari e contadini erano invece favorevolialla costituzione di cooperative miste di mezza-dri e di lavoratori. Approfittando allora delle divi-sioni nel campo dei lavoratori, l’Agraria interven-ne allora opponendosi a tutte le tesi precedenti(né gestione del mezzadro, né del lavoratore, némista, né consortile); rivendicando il diritto diavere essa le macchine in base a un articolo delCodice civile che affida ai proprietari la scelta de-gli strumenti del lavoro. Una proposta Luzzatti digestione mista (2/3 braccianti; 1/3 proprie<103[ma 104]>tari) fu respinta dalla Federterra. Que-sta ricorse in Cassazione e la causa, che costò alla

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Fed. più di un milione, fu perduta. In questasconfitta il ruolo della divisione politica fu moltoimportante. C’era nei repubblicani una sorta diintolleranza, d’invidia, per i progressi crescentidel movimento socialista, sicché a Ravenna ilcandidato ostile ai socialisti, fosse pure un agra-rio, veniva sempre eletto in ballotaggio ai voti re-pubblicani.

La lotta delle macchine consacrò a Ravenna ladivisione della Camera del Lavoro, i repubblicaniavendo creato la loro. La divisione non risparmiòil campo cooperativo, ma qui i socialisti avevanoraggiunto uno sviluppo formidabile, specie nelcampo della cooperazione di lavoro agricolo. LaFederazione di Ravenna attraverso 92 cooperati-ve era diventata una forza straordinaria, possede-va 6.000 ha di terreno di sua proprietà, e altret-tanto in affitto. Questa era la cosa che dava piùfastidio agli agrari, perché in tal modo noi aveva-mo istituito il controllo operaio. Infatti, quandosi andava a trattare cogli agrari pei dati di lavoro,essi non potevano ingannarci, perché noi presen-tavamo loro i nostri conti colturali, che dimostra-vano la possibilità di pagare tariffe elevate, qualierano appunto quelle del ravennate.

<104 [ma 105]>Dopo l’affare delle macchinenon ci furono più attriti per le tariffe, perché gliagrari discutevano con una forza pari alla loro eche aveva potuto assumere col Consorzio inter-

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provinciale Ravenna – Ferrara – Bologna l’esecu-zione dei lavoro della Bonifica Renana per l’im-porto di 50 milioni.

I repubblicani – favorevoli alla guerra – eranoal potere e se ne servivano per ottenere il mono-polio della distruzione delle derrate alimentari.Essi avevano cercato di imitarci in tutto, ma nonavevano contadini né società a sviluppare lacoop. di lavoro assumendo la bonifica di terre in-colte. Lo spirito della cooperazione s’era profon-damente radicato tra i lavoratori, dapprima osti-li, perché pensavano che servisse a “fare dei si-gnori”. Durante la guerra, sotto il regime dei con-tingentamenti, noi creammo anche delle coope-rative di consumo, che prima avevamo trascura-to, e ciò indispose contro di noi non solo i repub-blicani, ma anche gli esercenti.

Dopo la guerra il nostro movimento conobbeun nuovo impulso. Il proprietario dell’albergoByron avendo abbandonato lo storico palazzodov’era installato potei comprarlo per 110.000 li-re con tutto quello che c’era dentro per farne lasede del Consorzio delle <105 [ma 106]>Coope-rative. Pochi giorni dopo elementi dell’Agrariache avevano avuto sentore dell’avvenuta opera-zione offrirono un prezzo quattro volte superio-re ma l’assemblea dei cooperatori respinse que-sta proposta e il palazzo divenne la sede del Con-sorzio.

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Quando nacque il fascismo, vi si buttarono spe-cialmente degli ufficiali che non avevano trovatoa collocarsi, che si erano avvezzi a una vita piùcomoda. Le campagne dell’Avanti! li avevano in-disposti, noi abbiamo avuto il torto di attaccarlitroppo. “Per le strade siamo insultati da mascal-zoni”, mi diceva lagnandosene il figlio di un ami-co, di provata onestà, che frequentava la scuolad’ingegnere vestito da ufficiale. Ma questa non ful’origine del fascismo. Questo movimento fu pro-mosso e assorbito dall’Agraria e dagli esercenti,colpiti nei loro interessi, spaventati dalle elezioni“rosse” del 1919.

La nostra potenza era diventata inquietante.Noi avevamo assunto delle bonifiche in Calabria,dei lavori di ricostruzione a Messina, e saremmoandati in Sardegna, se il vescovo di Gallura nonsi fosse opposto per timore che le fedeli popola-zioni non fossero contaminate. Avevamo un mo-vimento di 100 milioni all’anno. Durante le ele-zioni del 1919 un mio amico si era trovato apranzo con un ricco ravennate, <106 [ma 107]>ilquale gli aveva detto: “vede, non è mica che nonabbiamo paura di Bombacci, abbiamo paura diBaldini della Federazione delle Cooperative, per-ché vediamo che ci sostituisce, che invade tutto”.Così nel Ravennate la lotta più che il partito poli-tico ebbe per obbiettivo era la Federazione delleCooperative.

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Nel dopoguerra un conflitto grave coll’Agrariasi disegnò nel 1922 (l’ultimo raccolto prima dellaMarcia su Roma). Ma prima di parlare di Raven-na, chiedo a Baldini qualche informazione sulconflitto nel Bolognese. Gli leggo i seguenti pas-saggi di Missiroli in Il fascismo e la crisi italiananella serie di studi pubblicata dal Mondolfo:

“La lotta agraria del 1920 fu condotta dai socia-listi di Bologna con una disciplina inaudita eduna violenza senza precedenti all’unico scopo dievitare che si spezzasse in due l’esercito sociali-sta: che i contadini andassero per proprio conto,isolando il resto delle masse...Non è un misteroper nessuno che uomini della competenza delMazzoni, del valore di Nullo Baldini, dell’autoritàdi Turati, non esitarono a deplorare sistemi irra-gionevoli, intransigenze senza senso. Perché nonvoler trattare <107 [ma 108]>coll’Agraria? Per-ché voler imporre, senza discussione, un pattocolonico? Perché non accettare il lodo della Com-missione dei cinque di cui facevano parte due so-cialisti e di cui Nullo Baldini era l’eminenza gri-gia”. [p. 30-31]

Baldini dichiara che non è vero che non si vo-lesse trattare con l’Agraria. Egli seguì questa ver-tenza perché faceva parte del consiglio direttivodella Federazione della Terra. Il suo disaccordocon Massarenti era un altro: Massarenti, che erail vero condottiero di questa lotta, non voleva che

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si facessero i raccolti della parte padronale, men-tre Baldini prevedeva che ciò si sarebbe risolto inun danno per i lavoratori, anche perché egli hasempre fatto calcolo sulla pubblica opinione. Lalotta durò tra il maggio 1920 e l’ottobre diquell’anno e non si concluse: il “patto rosso” nonfu accettato dai padroni e il patto fu poi conclusodall’Agraria coi fascisti. La lotta finì male perchéi contadini cominciarono a tentennare; essi furo-no minacciati di sfratto, avevano davanti a loroun avvenire incerto, mentre sono attaccati allaterra. La disgregazione determinò la sconfitta.

Massarenti era un apostolo e un visionario; siesaltava facilmente ed era un temperamento au-toritario: nel Bolognese nessuno osava mettersicontro di lui. Egli aveva realizzato nella sua Moli-nella <108 [ma 109]>una grande unità. Discipli-na e concordia, ciò che permise il “miracolo” del-la resistenza di questo centro, non scalfito dalladivisione operaia. Ma nella lotta nel Bologneseegli compì certo degli errori gravi.

Riprendiamo ora le vicende ravennati del 1922.A Ravenna si doveva fare il patto di lavoro. Si eragiurato all’accordo su tutto, meno che su un pun-to. I prodotti agricoli erano trasportati in cittàcon mezzi di cui disponeva il fondo (buoi e carri).Nel frattempo si era formata una categoria di bi-rocciai, assai importante prima che venissero i

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camions, che trasportavano la ghiaia, le derratealimentari. Questi trasporti non erano stati ogget-to di tariffa. Ma l’Agraria aveva riunito un grup-petto di una 20 di barocciai, non organzzati, tur-bolenti, indisciplinati, che divennero fascisti. Siebbe l’impressione che essa favorisse pei trasportispecialmente questo gruppo di barocciai fascisti.La Camera del Lavoro pubblicò allora un manife-sto vivace di protesta. Allora l’Agraria decise dinon dare più lavoro di trasporto alla Camera delLavoro. Baldini era allora a Roma. I barocciai de-cisero di fare una dimostrazione; vengono in cittàcoi carri e cercano di ostruire il tran-<109 [ma110]>sito. I fascisti vanno nei sobborghi e spalleg-giati dai carabinieri cominciano a fare prepoten-ze. Ne avvengono dei conflitti; la forza pubblicainterviene e i barocciai hanno la peggio.

In questo frattempo era sorta l’Alleanza del La-voro, che delibera di fare uno sciopero generaledi protesta per tutta la provincia. Un telegrammaavendomene avvisato a Roma, rientro subito aRavenna. Avevo la sensazione precisa che sarem-mo stati battuti, non dalle forze fasciste locali,ma perché i fascisti avrebbero seguito la loro tat-tica ormai classica, concentrando a Ravenna ele-menti di tutte le regioni: Bologna, Firenze, Man-tova, Ferrara, ecc. Fu poi quello che avvenne.

Mi recai dal prefetto, Siragusa. Dichiarai chepensavo si dovesse evitare il conflitto, lo invitai a

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convocare i rappresentanti dell’Agraria, perchévolevo discutere con loro. La riunione avvennepresenti anche i repubblicani. La discussione fulunghissima. Io volevo che l’Agraria revocasse ladecisione di non dare più lavoro ai barocciai or-ganizzati alla Camera del Lavoro e l’ottenni. In-viai subito Giovannetti all’Alleanza del Lavoroche era radunata alla Camera del Lavoro, coll’in-vito di disdire la manifestazione, ormai diventatainutile. Ero molto stanco e mi recai a letto. All’in-domani mattina uscen-<110 [ma 111]>do alle 8vidi la città in subbuglio. La gente si era postatanei sobborghi; alle porte c’era la forza pubblica.Appresi che l’Alleanza del Lavoro aveva respintola mia proposta e aveva deciso di trasferirsi aForlì per dirigere il movimento. Specialmentedue suoi membri furono particolarmente violen-ti: Viscardo Montanari diventato poi fascista, eun certo Moriggi, l’uno e l’altro socialisti. Fui di-chiarato traditore e fu proclamato lo sciopero ge-nerale, col proposito di fare un colpo di mano edistruggere la sede del Fascio. Telefono al Prefet-to: “Almeno impediti che i fascisti vadano neisubbugli. Andrò io a parlare alla massa”. M’in-cammino per andare e vedo avanzare i camionfascisti, con mitragliatrici, ecc. La forza pubblicaaveva occupato le porte della città, ma i fascisticonoscevano un passaggio segreto nelle mura es’introdussero per quello nella città. Avvennero

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scaramuccie durante le quali un certo Balestroni,disertore di guerra divenuto poi fascista, fu ucci-so. I conflitti si moltiplicarono. I carabinieri in-tervennero solo contro i socialisti, che ebbero 12morti. La colonna fascista comprendeva 5 o 6 mi-la fascisti venuti da Ferrara, da Bologna, dalleMarche, da Firenze. Dumini, ch’era ai bagni diBellaria, era pure presente.

<111 [ma 112]> Io sapevo che in Comune c’erauna riunione coi repubblicani, che avevano l’Am-ministrazione. Io feci sapere che rimanevo in ca-sa e che ero disposto, se chiamato, a venire a di-scutere. Attesi inutilmente, vidi che i giornaliuscirono dando notizia della pacificazione. Com-presi che i repubblicani avevano fatto l’accordocoi fascisti alle nostre spalle e sentii da quel mo-mento che la sede della Federazione sarebbe sta-ta distrutta. Recatomi alla sede, vidi che il palaz-zo Byron, che era prima occupato da una compa-gnia di fanteria, fu per ordine del prefetto presi-diato dalle guardie regie, le quali erano d’accordocoi fascisti. Fu infatti il loro sergente che con unpretesto aprì la porta ai fascisti. Io rimasi nel pa-lazzo per dare l’esempio che si può resistere collaforza morale [sic], col solo segretario Gino Galet-ti. Costui era oggetto di un odio speciale perchéaveva lottato attivamente per evitare gli interme-diari; gli ingiunsero perciò di uscire da una portaspeciale ed attendere gli eventi.

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Non ho nessun dubbio sui mezzi finanziari delfascismo, forniti dagli agrari e dagli esercenti.Capo degli agrari era un certo Ugo Errani, con-servatore, ma galantuomo, che i fascisti obbliga-rono poi a dimettersi dalla presidenza della Cas-sa di Risparmio di Ravenna.

<112 [ma 113]>Che il governo abbia fornito delle armi ai fasci-

sti è indubbio. Il generale Sani, comandante delcorpo d’armata di Bologna, si distinse in questosenso: i camion delle colonne fasciste che venne-ro a Ravenna furono forniti dalle autorità milita-ri e gli uomini furono equipaggiati con elmetti earmi dell’esercito.

Pochi giorni prima dell’assunzione al potereGiolitti fece dire a Baldini che desiderava parlar-gli. “Il vecchio, disse il messo, un tale Ciccillo Pa-nella, è stato chiamato a corte per fare un mini-stero. Desidera parlare con Turati, con te, conMerloni ecc. È disposto a fare anche la repubbli-ca”. La riunione ebbe luogo in casa di Chiaravi-glia. Giolitti disse: “Io devo fare il governo. Hodelle grandi cose da fare, dovendo agire contro iprofittatori di guerra. Vorrei che i socialisti ven-gano con me. Sono disposto a dare loro dei mini-steri tecnici”. Si discute e si risponde: Ci pensere-mo e ci rivedremo. L’indomani ci si rivide ancora.Turati disse: “Noi non siamo della gente che ab-

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bia l’ambizione di andare al governo. Dovremmoaccettare personalmente. I nostri non ci segui-rebbero”. E declinò con belle maniere l’offerta.Giolitti disse: “Io ho il convincimento di essereutile in que-<113 [ma 114]>sto momento al miopaese e quindi voglio fare un governo. Prenderòla maggioranza dove la trovo.4

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4 Qui è incollato il seguente ritaglio:Paga PantaloneChe le grandi intraprese industriali e commerciali avessero al

loro servizio i giornali ed i giornalisti benpesanti era cosa risa-puta da tutti; benché gli sparafucili della penna cercassero di faril possibile per farsi credere indipendenti. Ora poi in documentiscoperti nelle casseforti delle fabbriche occupate sono venute inluce le prove inconfutabili del collegamento fra giornalismo epescicanismo.

A Torino gli operai hanno trovato le prove delle oneste intese fraindustriali contro gli operai ed anche un grande Stok di opuscoliantibolscevichi da essi fatti stampare per illuminare i proletari.

Quanta bontà pelosa neh!Alla Fiat S. Giorgio di Spezia, il consiglio dei Soviet, per vede-

re se nelle casseforti vi era denaro per pagare gli operai, le feceaprire. Il denaro mancava ma in compenso vi si trovarono i do-cumenti riservatissimi riguardanti i rapporti fra i fratelli Perro-ne col Cantiere Ansaldo S. Giorgio e di questo col giornale loca-le “Il Tirreno”.

I documenti esaminati e fotografati ammontano ad una cin-quantina e la “Libera Parola” ne ha incominciato la pubblicazione.

Dai primi documenti risulta che “Il Tirreno” è stato fondatocon l’autorizzazione dei grossi pesicane Perrone.

L’impianto si fece rapidamente perché il giornale potesse farela campagna elettorale che portò in Parlamento l’ industriale

<114 [ma 115]>Ibis. Le masse popolari

[Lettera di Lussu] Lussu annovera fra le causedel fascismo: “a) Il fermento operaio e contadinodel dopo guerra che, scomposto e senza direzio-ne, anziché indebolire la borghesia, la ha irritata,spaventata e obbligata alla reazione. Questo fer-mento è stato tutto popolare e generale, causatodalla guerra, e non già prodotto dalle organizza-zioni socialiste. Nel Mezzogiorno e nelle Isole, in-fatti, dove non esistevano socialisti, si ebbero le

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Cerpelli. Nella società per la pubblicazione del detto giornale, iPerrone mettevano 300000 lire, altre 100000 le metteva ilComm. Giachino e L. 100000 altre persone di fiducia.

Un mezzo milionciono per la fondazione. I fratelli Perrones’impegnavano a pagare L. 100.000 di sovvenzione annua algiornale controllandone l’indirizzo, da pagarsi in rate trimestra-li per tre anni.

E tutto questo sciupio di denaro per un giornale che nessunoperaio legge! Si noti che il detto foglio viene a costare L. 2,10 lacopia come risulta dai detti documenti.

Bene spesi davvero!Noi non ci meravigliamo di queste scoperte. I capitalisti ado-

prano tutte le armi per mantenere i loro privilegi e questa dellastampa è delle più formidabili. Ci meraviglia il fatto che moltiproletari ancora non abbiano capito il gioco dei loro sfruttatorie continuino a pagare essi stessi gli strumenti di schiavitù e dimistificazione a loro danno.

[Ritaglio di giornale anarchico del 1920, dopo l’occupazionedelle fabbriche. (Libertario, della Spezia) Nota di Angelo Tasca].

stesse agitazioni, prevalentemente con violenteinvasioni di terre”.

[Buozzi] La mania dello sciopero per lo sciope-ro era veramente diventata un flagello. Comescoppiò lo “sciopero delle lancette” alla Fiatdell’aprile 1920? La direzione dello stabilimentoaveva messo l’orologio all’ora legale. Un membrodella Commissione interna lo rimette sull’oravecchia. La Direzione lo fa rimettere ancorasull’ora legale. La C. I. ripete la sua operazione.La Direzione la fa chiamare e dice: “Entratequando volete. Se volete entrare all’ora vecchia,entrerete alle 8 dell’ora nuova invece che alle 7dell’ora vecchia, e tutto marcerà come prima. Mavoi non potete esigere che l’orologio dello stabili-mento segni un’ora diversa da quella degli orolo-gi di tutta la città”. Non ci fu verso di persuaderlie si andò <115 [ma 116]>allo sciopero generale.

Un’altra volta c’era da fare un lavoro in un cor-tile. Pioveva. Gli operai erano una ventina e la Di-rezione non disponeva che di 15 impermeabili.Essa propone che lavorino soltanto 15 operai, inattesa degli impermeabili che sono stati ordinatie mostra loro le lettere d’ordinazione. Niente dafare: la squadra risponde: o tutti, o nessuno e sidi rifiuta di lavorare.5

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5 [Il resto della pagina è lasciato in bianco].

<116 [ma 117]>

II. Mussolini

[Nitti] Nel 1919 Mussolini era a corto di denaro;uno dei suoi agenti mi venne a dire ch’egli nonera alieno dal cambiare il suo atteggiamento.Mussolini fece un articolo in favore dell’amnistia;in quel momento esitava perché aveva bisogno didanaro.

[Nitti] Mussolini nel 1911 dopo il disastro diSciara-Sciat mandò un telegramma di congratu-lazione al Sultano. Finocchiaro venne al Consi-glio dei ministri col testo del telegramma e fuNitti che si oppose alla denunzia al procuratoredel re, per non fare di Mussolini un martire.... eun deputato.

[Nitti] Il denaro pel Popolo d’Italia fu portato aMussolini da Charles Dumas, segretario partico-lare di Jules Guesde, allora ministro. Briand disseuna volta alla Camera: Nous avons toujours eu des

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relations amicales avec le fascisme, et même desrapports très agréables pour M. Mussolini. Questeparole furono poi tolte dal resoconto della sedutadella Camera in cui B. le aveva pronunciate.

[Tasca] A proposito di un accenno di Alceste deAmbris a un incidente che avrebbe messo Musso-lini in conflitto colla fa-<117 [ma 118]>migliaSerrati ad Oneglia (nel suo opuscolo: Mussolini.La leggenda – L’uomo). Io non so nulla di quest’in-cidente. So che Mussolini visse ad Oneglia qualeripetitore in un collegio locale, dov’era malissimopagato e non riusciva a sfamarsi. Giovanni Piana,che fu segretario della Camera del Lavoro diOneglia, mi raccontò, quando Mussolini era an-cora nel partito socialista, che lui stesso ed altricompagni locali lo avevano spesso accolto in casaloro invitandolo a pranzo e che M. in quel perio-do era molto scoraggiato.

[Campolonghi] Scoppiata la guerra L. Campo-longhi era nel Belgio, passa a Bruxelles già occu-pata dai tedeschi e di lì torna in Italia (7 ottobre1914), dove pubblica nel Secolo tre articoli di im-pressioni e di interviste con deputati socialistifrancesi e belgi. A Milano trovò Corridoni, cheusciva dal carcere, De Ambris, Michele Bianchi,Maria Ruggier, Cesare Rossi, Ugo Clerici, i qualigli manifestarono dei dubbi sul neutralismo di

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Mussolini e gli chiesero di andarlo a vederlo.Campolonghi esitava, ma infine cedette spec. alleinsistenze di Corridoni e si recò da Mussoliniall’Avanti. Egli lo ricevette subito e gli disse: “Hovisto i tuoi articoli sul Secolo, molto buoni”. Aven-dogli io fatto presente lo stato d’animo dei sociali-sti francesi e belgi, M. mi disse: “Oh, il socialismoitaliano è ferocemente <118 [ma 119]>neutrali-sta” e si mise a ridere. Poi si alzò (era venutonell’anticamera) e disse: “Scusami se ti ho ricevu-to qui, ma ho l’ufficio invaso da una delegazionedi socialisti austriaci”. Nuova risata. Io rimasiperplesso e mi sono chiesto allora, senza potervirispondere, se già nell’animo di M. erano penetra-ti elementi di dubbio. In ogni caso Mussolini nelcorso della conversazione non si sbottonò, non la-sciò trapelare il suo vero pensiero.

Dopo ci fu la spedizione garibaldina, preparatatra l’agosto e novembre 1914 (i legionari andaro-no al fronte in dicembre). Io vi ero rimasto piut-tosto estraneo, perché le mie impressioni sui fra-telli Garibaldi erano poco favorevoli. Li vidi tut-tavia e Peppino Garibaldi mi disse che bisognavaagire in Italia e cominciare ad ottenere a questoscopo lo scioglimento della Legione per inviare isuperstiti in Italia a fare la propaganda per l’in-tervento. Io mi incaricai delle pratiche relative eottenni infatti lo scioglimento dal Viviani. Nello

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stesso tempo Peppino Garibaldi pensava ad unaspecie di sbarco, in quel di Genova, prima, poinell’Adriatico, in modo da creare il “fattaccio” at-to a commuovere l’opinione pubblica. Un giornoPeppino Graibaldi mi disse: “Lei ha ottenuto loscioglimento; io ho pensato al resto, ai danari perquesta spedizione. Ho ottenuto uno chèque di300.000 franchi da Clementel (presidente dellaCommissione delle finanze della Camera); neprendo 150.000 per la spedizione e vi dò gli altri<119 [ma 120]> 150.000 per lavorare la stampain Italia”. Io risposi vivacemente a Peppino checonsideravo quell’offerta come ingiuriosa per mecome Italiano e come professionista e da quelmomento ruppi ogni rapporto con lui, dopo aver-lo piantato in asso a Place de l’Opera.

Scrissi allora (fine febbraio 1915) a Mussolini acui faceva capo il movimento interventista dipiazza raccontandogli il fatto: “Te ne avverto, glidicevo, perché non ci debbono essere infiltrazio-ni di denaro estero nel nostro movimento, e quin-di bisogna che tu venga immediatamente a Parigiper sventare questo colpo”. M. mi rispose con untelegramma: “Domani arriveranno a Parigi DeAmbris e Dino Roberto”. Infatti arrivarono; io liinformai dell’accaduto e esposo loro il mio puntodi vista, ch’essi approvarono e si concluse deci-dendo di portare al Ministro degli Affari Esteri

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una dichiarazione scritta per affermare che la de-mocrazia italiana interventista intendeva prose-guire la battaglia servendosi di mezzi esclusiva-mente proprii. Ci recammo da Guesde, e gli con-segnammo la dichiarazione. Io presentai De Am-bris e Roberto come inviati di Mussolini. Guesdeparlò di diverse cose e poi chiese ai due: “Voi ve-drete Mussolini a Milano? Allora aspettate”. Inquel momento entra Viple. “C’è Dumas? egli chie-de. Ditegli di portarmi il solito mensile per Mus-solini”. E conegnò infatti ai due uno chèque di10.000 franchi, spiegando: “Si tratta di un grup-po di compagni francesi”.

<120 [ma 121]> A Ginevra ebbi occasione divedere Viple, a cui feci narrare e confermare inpresenza di Facchinetti l’accaduto. Viple fece ilnome di Cachin come di quello che aveva portatoin Italia del danaro a Mussolini per conto del go-verno francese.

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IV. Popolari e Vaticano

[Rosselli] Una delle svolte del’orientamento ita-liano verso il fascismo si è prodotta in seguito alrisultato delle elezioni del 1921, in cui si vide chei socialisti e i popolari non potevano essere battu-ti per via elettorale. Questi due partiti di massanon potevano essere eliminati che con altro me-todo.

[Rosselli] I popolari fecero una politica di ricat-to contro tutti.

– il lodo Bianchi a Cremoma fu ispirato da Arri-go Serpieri. Vedi a questo riguardo i sei articoli diGirolamo Lazzeri sul Secolo [1921?] – In Toscanai proprietari preferirono rompere le trattativecolle organizzzazioni bianche e concludere il pat-to di mezzadria coi socialisti, perché i bianchierano più intransigenti, specialmente sulla clau-sola preferenziale pel mezzadro in caso di vendi-ta della terra.

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[Rosselli] Nell’avversione di Don Sturzo controGiolitti entrava un elemento personale. Sturz oaveva contro Giolitti la stessa avversione di Sal-vemi- <121 [ma 122]>ni; sinceramente attaccatoalle autonomie comunali, convinto della neces-sità del loro sviluppo, egli era ostile alla politicacorruttrice e accentratrice del burocratico Giolit-ti. Giolitti era il vecchio liberale piemontese, pelquale il prete deve occuparsi di religione e che lovedeva malvolentieri intromettersi nella politica.Don Sturzo voleva guidare il P.P.I. un po’ alla ma-niera inglese e soprattutto tedesca, e cioè parteci-pare sì alle coalizioni, ma solo dietro precise ga-ranzie, impegni circostanziati, specie nella que-stione della scuola (vedi la tattica del Centro te-desco)

[Cianca] L’errore di Don Sturzo fu quello fuquello di voler far governare lo Stato dal partito.Sturzo vedeva il pericolo fascista, senza tuttaviacredere al suo trionfo pratico. Ma in lui domina-va il rancore contro Giolitti, pel quale avevaun’antipatia cerebrale insuperabile (come Salve-mini). Una delle ragioni dell’ostilità a Giolitti erala questione della nominalità dei titoli, a cui i po-polari erano ostilissimi. Essi riflettevano qui gliinteressi della loro organizzazione bancaria edella Chiesa.

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[Lettera di Lussu] “h) I popolari non c’entranonelle responsabilità politiche. Essi erano preva-lentemente una forza parlamentare, con grandeinfluenza solo in alcune regioni. Il famoso veto diDon Sturzo contro Giolitti sarebbe stato insigni-ficante, se i socialisti avessero avuto direttivechiare e se Giolitti e Nitti non fossero stati in per-manente stato di guerra”.

<122 [ma 123]> [Nitti] I popolari non furonomai prefascisti. Essi avevano fatto molta dema-gogia nella campagna elettorale, il che aveva loroassicurato un grande successo (106 popolari nel1919, che torneranno 111 nel 1921); e questa de-magogia ostacolava la loro collaborazione mini-steriale, perché avevano promesso troppo. Duepopolari entrarono nell’ultimo ministero Nitti(Micheli, Rodinò), mentre i socialisti non volleroentrarvi. I popolari entrarono poi anche nel mini-stero Giolitti, il quale fece poi le elezioni contro ipopolari e contro i socialisti. Ciò indispose con-tro di lui i popolari, che considerarono la suacondotta come un tradimento.

[Nitti] Quando si dice Vaticano, s’impiega untermine generico, come “Francia”. Il Vaticano so-no tre persone: il Papa, il Segretario di Stato e ilSegretario della Concistoriale. Il Segretario diStato – che era Gasparri – si occupa degli Esteri e

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delle Finanze. Il Segretario della Concistoriale èuna specie di Ministro degli Interni, il quale hasotto la sua direzione gli arcivescovi e i vescovi.Questo posto era tenuto dal cardinale di Lai, av-verso al partito popolare.

È falso che Benedetto XV fosse avverso all’Ita-lia; egli era anzi profondamente patriota. I rap-porti dei legati Pacelli (Germania) e Valfé di Bon-zo (Austria) contenevano dati utili sulla situazio-ne del paese e sulle operazioni militari, speciequelli di Valfré di Bonzo, nobile piemontese e giàcolonnello. Nitti potè avere conoscenza di queirapporti, alcuni dei quali annotati di mano stessadi Benedetto XV. Egli potè così essere preavvisa-to in tempo utile dell’offensiva che si preparavadall’Austra pel giugno [?] 1918.

<123 [ma 124]> Nitti aveva trattato con Ga-sparri nel 1919 per la soluzione della questioneromana sulle seguenti basi: nessun territorio;nessuna intromissione nello Stato laico (scuole,ecc.) e poi “tutto quello che volete”; indennità di400 milioni. Dalle Memorie di Erzberger (pubbli-cate da Payot) l’antico ministro tedesco narra co-me nel 1914, a guerra già scoppiata, nella certez-za della vittoria tedesca egli avesse chiesto a Ga-sparri d’indicargli quali rivendicazioni dellaChiesa si sarebbero dovute includere, per soddi-sfarla, in un trattato di pace. Queste condizionifurono: 400 milioni d’indennità (Mussolini ne

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diede 750), un territorio molto più ristretto diquello concesso da Mussolini e nessuna pretesad’intromissione nello Stato laico italiano.

[In una conferenza fatta, credo, nel 1930 o 1931ho sostenuto che l’iniziativa delle trattative pelConcordato doveva essere partita dal Vaticano, ilquale sentendo che Mussolini aveva bisogno di lui,capì ch’era giunto il momento di ottenere il massi-mo e che non bisognava lasciarlo sfuggire. Hochiesto a Nitti se ciò era esatto, ed egli mi ha con-fermato che infatti l’iniziativa era partita dal Vati-cano].

Fino alla Marcia su Roma il Vaticano non haappoggiato il fascismo. I Gesuiti, sempre à l’affûtdelle novità possibili, ebbero pel fascismo unacerta benevolenza. In particolare il padre Tacchi-Venturi, che fu poi la chiave per l’accordo traMussolini e il Vaticano. I Gesuiti hanno una gran-de potenza finanziaria, il loro ordine è ricchissi-mo, esso possiede dei grandi beni nel Canadà, inAustralia, nell’Argentina, nel Paraguay, in Irlanda,<124 [ma 125]> per molti miliardi. Ma non pos-sono possedere personalmente e in ciò sta la lorogrande forza. Devono rinunciare anche alla car-riera ecclesiastica. L’unico cardinale gesuita, ilBilliot, ha finito col dare le dimissioni.

[Modigliani] I popolari non hanno mai volutol’unione coi socialisti. Nel 1921 una delegazione

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socialista, in cui c’era D’Aragona, presso DonSturzo ha avuto esito negativo, come l’aveva avu-to un passo precedente di Modigliani [?]

[Buozzi] I popolari erano divisi in due correnti.L’una, una piccola minoranza, reazionaria, di cuiuno degli esponenti era Mattei Gentili. L’altra,democratica, divisa pure in due correnti: l’una ilcui esponente era De Gasperi, deciso alla collabo-razione coi socialisti; l’altra, influenzata da DonSturzo, che fu sempre in fondo ostile a una com-binazione popolare – socialista. Egli sarebbegiunto fino a tollerare dei socialisti in un ministe-ro, ma dominato dai popolari, non una vera al-leanza popolare – socialista. In parecchie occa-sioni Giolitti tentò di mettere insieme popolari esocialisti in un ministero, ma don Sturzo fecesempre rispondere che non ne vedeva la neces-sità. Del resto Giolitti non poteva tollerare di di-scutere con un prete; non ha mai voluto riceverepersonalmente don Sturzo.

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<125 [ma 126]>

V. I combattenti

[Rosselli] In un primo periodo il movimento deicombattenti fu influenzato da Nitti; il suo primocongresso ebbe manifestazioni di democraziaavanzatissima; esso era diretto allora dall’avv. Za-vattao, massone, che vi pronunciò un discorsopoi raccolto in opuscolo. In un secondo periodovi fu un tentativo di marca socialista e anti-nittia-na: per un anno il Prof. Parri rimase a Roma perlavorare alla sua conquista – In un terzo periodoil movimento cadde sotto l’influenza dei naziona-listi (on. Giunta – congresso del Campidoglio) –Sarebbe interessante fissare le posizioni delgruppo dei combattenti del “Rinnovamento”, dicui facevano parte democratici, nazionalisti epersino clericali (Salvemini, Siciliani, ecc.). Essoaveva presentato dei candidati alle elezioni del1919: Sem Benelli, per esempio, aveva figurato aFirenze sulla loro lista.

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[Lussu] I combattenti, nella stragrande mag-gioranza, erano per un rinnovamento totale dellavita politica, per l’abolizione del Senato, la rifor-ma della Camera, per l’abolizione della grandeproprietà terriera, per il controllo statale dellagrande industria, per una politica socialista de-mocratica e antimonopolista. I combattenti nonhanno mai avuto simpatia per D’Annunzio e perl’arditismo. D’A. era beffeggiato <126 [ma127]>da tutti i combattenti. Da notare che, inguerra, i volontari erano molto malvisti come deiprofessionisti della guerra: e questo anche nei re-parti più noti per disciplina e coraggio. Essi era-no, presso che tutti, contro D’Annunzio e soprat-tutto contro Mussolini. Al loro primo congressonazionale [fine 1918?] Mussolini che s’era pre-sentato con grandi speranza di conquista nonpotè neppure parlare. Gli fu impedito di parlare.Era considerato moralmente equivoco e vendutoalla reazione. E sì che il suo giornale si chiamavaanche: organo dei combattenti. Il programma Za-vattaro era un minestrone radicale, ma moltospregiudicato. La monarchia vi era ignorata. Es-so sembrava fatto espressamente per consentireuna collaborazione stretta con il partito sociali-sta. I combattenti erano, in sostanza, dei sociali-sti in formazione; filo-socialisti non già per la co-noscenza dei classici del socialismo, ma per unprofondo senso di internazionalismo attinto alla

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realtà della guerra e per l’aspirazione alla terradella massima parte dei combattenti, che eranocontadini. Ma il partito socialista commise tuttigli errori per estraniarsi i combattenti. Il grido di:abbasso la guerra, in pratica, significava da pertutto: abbasso i combattenti. Il processo controla guerra, erano i combattenti che volevano farlo.Nessuno era più odiato, fra i combattenti, di Sa-landra, che alla sua fisionomia di reazionario ag-giungeva quella o-<127 [ma 128]>diosa di averimboscato il figlio. I combattenti non volevanosentir parlare né di Giolitti, né di Nitti. Non giàperché avessero responsabilità personali precise,ma perché essi erano i rappresentanti di quellademocrazia politica che tutti volevano, a tutti icosti, seppellire. Politicamente i combattenti ave-van posto tra i socialisti e i repubblicani, moltopiù spinti, socialmente, che non i repubblicani.Insomma i combattenti significavano: piccoli bor-ghesi dei ceti più umili e contadini piccoli proprie-tari e salariati e, in piccola parte, operai. Il PartitoSocialista commise un grosso errore creandol’Associazione dei combattenti socialisti [Legaproletaria]: essi avrebbero svolto più grande pro-paganda e anche ottenuto ben più grandi risultatise fossero stati a contatto diretto con tutti gli altricombattenti nella stessa associazione. I combat-tenti volevano conservarsi indipendenti. E quan-do per un gioco di camorra interna al congresso

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di Napoli (settembre 1920) dell’A.N.C. altri diri-genti s’impadronirono dell’Associazione per as-servirla in seguito a Nitti, fu tutta una rivolta chefinì col trionfo dell’opposizione e con lo sposta-mento dei capi. Questo è il fatto di cui tu fai cen-no e che tocca a Parri ed altri [cfr. note Rosselli, p.125; nota di Tasca]. Parri, i combattenti sardi,quelli di Brescia condussero una lotta senzaquartiere che finì col loro trionfo al congresso diRoma (1921) all’Augusteo. L’ordine del giorno diquel <128 [ma 129]>congresso auspica che icombattenti si ispirino alle direttive e all’operadei combattenti sardi, i quali, è noto, erano socia-listi repubblicani e si erano fatti iniziatori di unpartito politico (autonomista) a tinte repubblica-ne e socialiste. Ma la disgregazione era già in at-to. I combattenti non erano più, alla fine del1921, quella forza politica che essi costituivanodal 1919 al 1920. Quasi dappertutto essi si sban-darono e finirono con il farsi assorbire dagli altripartiti. I combattenti, come movimento politico,fallirono, ma i resti di quelli che erano i combat-tenti nel ‘19 finirono onoratamente. Essi, ad Assi-si (anno 1924?) votarono quasi tutti contro il fa-scismo e Mussolini dovette per avere con sé unarappresentanza di combattenti, sciogliere con de-creto il Comitato Centrale e nominare commissa-ri fascisti.

Il movimento dei combattenti si affermò solo

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in Sardegna. Ma esso rinunziò subito a parlare dicombattentismo, e creò un movimento politico(che fu poi il Partito Sardo d’Azione) che svi-luppò una lotta di classe e creazione di una vastaorganizzazione cooperativistica: essa finì col do-minare nettamente in Sardegna, ove aveva con-quistato la maggioranza dei comuni e una delleamministrazioni provinciali. Ma esso aveva ca-rattere spiccatamente politico e per esso votava-no, nelle elezioni, i repubblicani e i socialisti disinistra. Fallì anch’esso nel tentativo di un vastomovimento federalistico nazionale.

<129 [ma 130]> [Nitti] Fu Nitti a fondarel’Opera Nazionale Combattenti con 300 milionidi capitale, “il capolavoro dell’espropriazionesenza indennità”. Egli fece dare 230 di questi mi-lioni dall’Istituto Nazionale della Assicurazioni,da lui fondato nel 1911, quand’era ministro delCommercio nel gabinetto Giolitti. Gli altri 70 mi-lioni li aveva avuti con obbligazioni volontarie diindustriali arricchiti di guerra. I combattenti era-no tutti contadini [vedi Statuto dell’Ente]. Avevamesso alla testa dell’O.N.C. Antonio Sansoni esulla polizza dei combattenti, da lui creata, avevaautorizzato lo sconto e quindi un anticipo. C’erala possibilità di creare qualche milione di piccoliproprietari. Il movimento dei combattenti caddesotto l’influenza dei nazionalisti e dei fascisti sol-

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tanto quando il fascismo ebbe il marchio delloStato. Il dinamismo dell’O,N.C. era, secondo Nit-ti, sufficiente ad appagare la “fame di terra” deicontadini italiani. Non solo essa aveva un capita-le base, capitale liquido di 300 milioni, ma essaaveva il diritto di emettere delle obbligazioni, cheavrebbe scontato l’Istituto Nazionale delle Assi-curazioni. Essa sanciva il diritto di espropriare laterra senza tener conto del bonifico sperato.

[Nitti] (Il caso Grandi) Dopo le elezioni del1921 Missiroli disse a Nitti che Grandi voleva fa-re la sua conoscenza, voleva essergli presentato.Grandi vide Nitti più volte e gli spiegò il suo statod’animo: <130 [ma 131]>“Io non sono fascista. Iosono un uomo offeso. Ero un piccolo avvocato ecominciavo la mia carriera ad Imola quando laguerra mi sorprese. In guerra ho fatto il mio do-vere. Quando son tornato ad Imola in divisa econ tutte le medaglie, alla stazione mi hanno fi-schiato. Fui il bersaglio dell’odio generale. Mihanno fatto sapere che se non smettevo la divisaavrei avuto una lezione. Prima l’ho fatto perchénon avevo altro vestito, poi l’ho fatto per rabbia.Mi tirarono di sera dei colpi di rivoltella e la per-sona che ha tirato è scappata. Fui preso dallo spi-rito di guerra, dalla persuasione che non c’eraniente da fare con quella genete, che bisognavaschiacciarla. Ho saputo che l’Associazione Agra-

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ria di Bologna organizzava un movimento fasci-sta, ci sono andato. Se l’ambiente di Imola fossestato diverso, mi sarei iscritto al partito socialista– Conosciuto Nitti, ne concepì grande stima escrisse lettere elogiative a suo riguardo a un ami-co suo; questi, candidato come alle elezioni del1921 (lista Giolitti) per avere le preferenze sortìle lettere scrittegli da Grandi. Ci fu una seduta tu-multuosa del Fascio dove Grandi schiaffeggiò ilsuo ex-amico, in seguito a che ebbe uno o piùduelli. Grandi fu eletto [Controllare la contraddi-zione della data].6

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6 [Annotazione di Angelo Tasca].

<131 [ma 132]>

VI. D’Annunzio e Fiume

[Rosselli] L’idea della marcia su Roma è di D’An-nunzio; è lui che sta al primo piano nel 1919-20 –D’A. a Fiume era furibondo per l’utilizzazione fat-ta da Mussolini dei fondi per la sottoscrizione perFiume. Mario Carli, credo, servì da intermediariotra i due, che vennero ad un compromesso.

[Cianca] Il governo non sapeva niente dell’im-presa di Fiume (il che prova in che stato erano isuoi servizi) e Nitti apprese il fatto da un tele-gramma che gli giunse mentre stava parlando al-la Camera – La Massoneria di Palazzo Giustinia-ni era favorevole a Fiume, per spirito patriotticoe quarantottesco: Torrigiani fu l’intermediariotra D’Annunzio e Nitti per l’approvigionamentodi Fiume – Mario Carli, che fu poi direttoredell’Impero – doveva portare a D’Annunzio i fondiraccolti dal Popolo d’Italia, ma fece una combina-zione con Mussolini circa l’impegno dei fondi e

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D’A. fu posto davanti al fatto compiuto. Primadella marcia su Roma c’erano state delle trattati-ve con D’Annunzio da parte di alcuni elementicombattenti che avevano visto il pericolo dellamarcia fascista e volevano evitarlo con una mar-cia preventiva: Amendola era fra quelli. Fiumeera stata la vacca grassa per molta gente. Nitti fuaccusato di legami con banche internazionali chevolevano Fiume come capolinea di linee inglesi eamericane. <132 [ma 133]> Mussolini spingevaD’A. alla marcia su Roma, Avutone notizia, Nittichiamò il generale Caviglia, lo designò come co-mandante in capo dei corpi d’armata della forzaadriatica in caso di sbarco da Fiume, con ordinimolto severi.

[Tasca] La sera dell’ultima riunione del Consi-glio Nazionale Confederale del Settembre 1920,che aveva deciso la liquidazione del movimentodelle fabbriche, uscii con Giulietti per recarmiall’Avanti, e mi ricordo che lungo il Naviglio ilGiulietti mi parlò del progetto di marcia su Romaconcordato tra D’Annunzio e Malatesta: l’azioneavrebbe avuto come punto di partenza Ancona,dove gli anarchici erano molto forti, e D’A. avreb-be fornito da Fiume parecchie decine di migliaiadi fucili. Giulietti si rammaricava che i socialisti“non avessero voluto saperne”.

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[Nitti] Nitti fu accusato (fra gli altri da France-sco Ciccotti) di favorire nella questione di Fiumegli interessi di società estere di navigazione. spe-cie della Cunard Line, la quale voleva il porto diFiume per avere tutta l’emigrazione e cil com-mercio dell’Europa Centrale.

[Nitti] Fra i militari che più si agitarono nel1919 ci fu l’ammiraglio Millo, un avventuriero lacui gloria fu fatta coll’“impresa dei Dardanelli”inventata di sana pianta e cantata da D’Annun-zio. <133 [ma 134]>Un tedesco doveva pilotare letorpediniere attraverso il Bosforo, ma la prima diesse finì su una secca; per disincagliarsi i motoridovettero fare molto rumore, l’allarme fu dato,furono sparati dai forti turchi alcuni colpi di can-none e le tre torpediniere se ne tornarono in tuttafretta. Fu inventata la storia del cavo metallicoche sarebbe stato teso tra le due rive e che avreb-be impedito il passaggio delle navi. Dopo la guer-ra – dove non aveva fatto buona prova (era un ta-betico) – fu nominato governatore della Dalma-zia. Ciò gli dette alla testa e d’accordo col genera-le medico Patelli e con elementi dell’entourage delDuca d’Aosta cominciò a intrigare e a lavorarecontro il governo, per una spedizione in Italia.

Nitti confermando che la notizia dello sbarco aFiume (settembre 1919) lo sorprese completa-mente: il telegramma gli arrivò quando egli stava

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parlando alla Camera. Egli spiega la ragione diciò col fatto che i militari, che avrebbero dovutoinformare il governo, erano complici. Nitti nonintervenne brutalmente a por fine all’impresaperché 1°) con ciò avrebbe dimostrato che l’Italianon teneva a Fiume; 2°) avrebbe provocato unacampagna furiosa che l’avrebbe reso impopola-rissimo e compromesso tutta la sua situazione;3°) avrebbe così perduto ogni materia di scambiocogli alleati nelle trattative in corso.

Nitti ha mandato viveri ai fiumani per mezzodella Croce Rossa (On. Ciraolo) e i viveri eranoforniti dal governo.

<134 [ma 135]> Ad aggravare la situazione cifu l’azione di Giuseppe Giulietti (uomo da galera,violatore di minorenni che pagava coi danari del-la Federazione marinara per far tacere i parenti),il quale cominciò a deviar delle navi, tra cui il pi-roscafo Cogne, carico di merci per molti milioni,che venivano poi vendute all’incanto. D’Annun-zio, inorgoglito dell’appoggio del duca d’Aosta,dal fatto che Millo trattava con lui, pensò a unaspedizione in Italia. Fu allora che Nitti chiamò ilgenerale Caviglia coll’incarico di far uso delle ar-mi in caso di sbarco.

La situazione era immutata la momento dellesue dimissioni (giugno 1920). Giolitti mandò aMilano il prefetto Lusignoli, gran corruttore, cheriuscì a placar Mussolini. Fu concluso il trattato

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di Rapallo (Sforza), dopo di che Giolitti fece sa-pere a D’A. che doveva andarsene da Fiume, dacui D’A, fu sloggiato dopo due colpi di cannone.

Il duca d’Aosta, comandante della IIIa Armata,andava ad ogni momento nella zona non ancoracompletamente demilitarizzata con un pretesto ocoll’altro, e ciò manteneva vivo lo spirito di resi-stenza dei “Fiumani”. Quando vi fu un ardito uc-ciso, la duchessa d’Aosta improvvisamente sirecò a Fiume e siccome D’A. era malato lo andò atrovare a casa portandogli dei fiori. Partecipò poiai funerali dell’ardito facendo una scena di lacri-me davanti alla <135 [ma 136]> bara. Nell’eserci-to non si capiva più nulla. Nitti scrisse allora unalettera al Duca d’Aosta in cui invitava lui a nonrecarsi più nella zona “neutra” e la duchessa anon recarsi più a Fiume.

[Nitti] D’Annunzio era stato umiliato da Giolit-ti, amareggiato per la fine dell’impresa fiumana ecercò parecchie volte di entrare in contatto conNitti, quando questi non era più ala testa del go-verno.

[Modigliani] D’A. ricevette molti danari dallaFederazione Marinara di Giulietti. Quando furo-no perquisiti i locali della Federazione si trovaro-no nelle cantine degli stock delle opere di D’An-nunzio che Giulietti aveva fatto comperare.

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[Campolonghi] Nella prima metà del 1922D’Annunzio aveva avuto qualche gesto di simpa-tia per la classe operaia. Dopo lo sciopero genera-le legalitario dell’agosto 1922 un gruppo di ex-combattenti, ex-fiumani, ecc. decise di recarsipresso D’A. per chiedergli spiegazione delle sueintenzioni, specie dopo il suo discorso a PalazzoMarino, che sembrava in contrasto cogli atteg-giamenti precedenti. Ne facevano parte L. Cam-polonghi, Alceste de Ambris, Mecheri, un avvoca-to repubblicano di Pavia, uno dei dodici di Ron-chi (quello che aveva detto che voleva volare sullaCamera per lasciarvi cadere alcune pistole), ecc.Questa commissione si recò da D’A., che la rice-vette nell’Arengo (un sedile disposto nel giardinodella villa di Gardone). Alla <136 [ma 137]> do-manda rivoltagli su quel che pensava della situa-zione, rispose che aveva l’intenzione di convoca-re in ottobre un grande convegno di ex-combat-tenti di tutti i partiti, per ristabilire l’ordine, con-servando il regime parlamentare e rifacendoquindi le elezioni dopo un periodo di tre mesi didittatura. Taluno osservandogli che valeva me-glio il termine della dittatura romana, quello deisei mesi, D’A. rispose che tre mesi, o sei, ciò nonha nessuna importanza. Taluno gli accennò al di-lemma: repubblica – monarchia, e gli chiese se,qualora quest’ultima fosse conservata, se il re sa-rebbe stato sostituito dal duca d’Aosta. D’A. ri-

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spose che la monarchia era come una di quellefacciate rimaste in piedi nel terremoto di Messi-na e dietro le quali non ci sono più che rovine.D’A. lasciava insomma capire che non valeva lapena di proclamare la repubblica, né di sostituireal re il duca d’Aosta.

Campolonghi ricorda che D’A. appena li vide eche uno di essi accennò allo scopo della visita, siscagliò contro Michele Bianchi, “quel miserabilepacchiano di M. B.”, il quale aveva pubblicato suigiornali un telegramma di felicitazioni a D’A.dando al suo discorso di palazzo Marino il signi-ficato di un’adesione al partito fascista. Ricordapure che uno della Commissione avendo accen-nato alla contraddizione che gli pareva esisteretra quel discorso e gli atteggiamenti di D. A., que-sti montò su tutte le furie: “Come osate parla-<137 [ma 138]> re così al vostro Comandante” egli impose di uscire. D’A. esortò poi i presenti afar aderire in gran numero i combattenti all’adu-nata di ottobre, la quale doveva farsi sotto il mot-to: Sine strage vici, strepitu sine ullo. Il colloquioavvenne il 6 agosto 1922 e in quel momento D’A.non era certamente d’accordo con Mussolini. LaDomenica successiva, il 13 agosto, D’A. casca dal-la finestra, in seguito pare, a una scena di gelosiatra due delle sue amiche (la sorella della Baccarae la moglie di Vogliasondi): questa caduta e la

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consecutiva minorazione di D’A. interrompe tuttii preparativi.

La commissione aveva tuttavia cominciato afare i preparativi per l’adunata di ottobre. C’erastata una riunione a Milano, nella quale il colon-nello Amleto Pavone aveva aveva proposto di di-videre l’Italia in dieci zone e di spedire degliemissari in ciascuna di esse per vedere quelli cheerano disposti a marciare e a ricevere eventual-mente delle armi. Campolonghi aveva ricevutoun primo contributo di 50.000 lire dal senatoreLuigi Della Torre. Ma la carenza forzata di D’A.interruppe tutto e invece dell’adunata si ebbe lamarcia su Roma.

Il 28 ottobre mattina Campolonghi si trovava aMilano con De Ambris e incontra Coselschi, ilquale serviva da intermediario tra <138 [ma139]> D’A. e Mussolini. Coselschi fece loro vedereuna lettera di Mussolini a D’A. in cui quegli gliproponeva l’istituzione di una dittatura a tre:Mussolini, D’Annunzio e il duca d’Aosta. A questalettera D’Annunzio aveva risposto negativamen-te. Coselschi mostrò loro un’altra lettera di Mus-solini, in cui questi dichiarava di esser deciso adandare fino in fondo: D’Annunzio aveva rispostocon una lettera fumosa, e che fu pubblicata, pen-sa Campolonghi, che finiva col consiglio che

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d’Annunzio aveva dato alla Commissione del 6agosto: Sine strage vici, strepitu sine ullo.

VII. Giolitti e Nitti

[Rosselli] Giolitti e Nitti: urto di due camarille,urto un po’anche tra Nord e Sud. Attorno a Nittimilitavano, oltre a persone di grandissimo valorepersonale e morale, come Amendola, degli affari-sti e degli avventurieri come Beneduce.

[Cianca] Nel 1921 Giolitti annunciò lo sciogli-mento della Camera. Questo era stato concordatoda Corradini (d’Abruzzi) colla destra. Ciancascrisse allora sul Messaggero una nota per dire chequesto scioglimento equivaleva ad un piccolo col-po di Stato a vantaggio dell’elemento nazionalisti-co che aveva preso la direzione della lotta. In se-guito a questa nota l’amministratore delegato avv.Breschi manifestò a Cianca la sua inquietudine,fece presente la necessità di non mettersi troppoin opposizione col Governo e lo invitò a recarsi daluigi Ambrosini. Dopo due e tre giorni lo mandò achiamare Pio Perrone, il quale gli fece capire chebisognava evitare che l’attitudine del Messaggerocontro il Governo provocasse delle misure <139[ma 140]> contro di loro, i fratelli Perrone. Anchelui finì coll’invitarlo ad andare da Luigi Ambrosi-ni. Cianca si rifiutò. Dopo dieci o dodici giorni ve-

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de arrivare al Messaggero un foglio dattilografato,in cui si trovavano delle giustificazioni alla misu-ra preannunciata, pur senza sostenerla aperta-mente. Allora Cianca scrisse una lettera al Breschiannunciandogli che si rifiutava di pubblicare lanota e si poneva così il problema della sua uscitadal giornale. Altro colloquio col Perrone, quasidrammatico. Italo Carlo Fabbro, direttore piutto-sto nominale del giornale, si ebbe una fiera levatadi teste, perché i Perrone perché i Perrone teme-vano un’offensiva in pieno di Giolitti contro di lo-ro. Cianca si dimise. In quell’occasione egli pub-blicò sull’Epoca e sul Giornale d’Italia delle inter-viste per spiegare il suo dissenso, il suo caso fu ci-tato da Modigliani alla Camera. I Perrone ebberoda Giolitti tutto quello che chiedevano. Un altrodegli elementi che svolsero un ruolo d’intermedia-rio fu Virginio Gayda.

I Perrone fecero un grande tentativo di acca-parrare le azioni della Banca Commerciale. Inrealtà ad un certo momento essi erano giunti apossedere la maggioranza delle azioni, ma furo-no traditi dall’avv. Luigi Parodi (ligure), perchécostui, invece di far senz’altro l’interesse dei Per-rone, agì nel senso del compromesso. Inde irae. IPerrone imputarono a Nitti di non averli sostenu-ti abbastanza in questa lotta contro la BancaCommerciale e di essersi fatto an- <140 [ma141]> che lui giocare dal Parodi. Il ritorno di Gio-

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litti al potere aveva provocato una grande irrita-zione e nello stesso tempo una grande paura.

Ho chiesto a Cianca quali fossero a suo avviso leragioni dell’atteggiamento di Giolitti nel 1921.Cianca ne indica tre: 1°) l’atteggiamento dei socia-listi alla Camera; 2°) l’atteggiamento della demo-crazia nittiana, che era d’accordo coi socialisti;3°) l’influenza di coloro che gli erano vicini, spe-cialmente Corradini, il quale è il vero autore delcolpo di Stato del 1921. Egli era stato un avversa-rio di Giolitti. Prima della guerra, direttore gene-rale del Ministero della Pubblica Istruzione, si erapresentato all’elezioni di Popoli, quando Fusco di-venne senatore. Era candidato contro di lui Augu-sto Ferrero, redattore capo della Tribuna. L’elezio-ne di Corradini fu contestata per incompatibilità.La maggioranza della Commissione era contro laconvalida (relatore Calissano), la minoranza favo-revole (rel. Turati). Contrariamente al costumeGiolitti, presidente del Consiglio, prese la parolaper ricordare che l’art. 88 della legge elettorale,sanciva l’incompatibilità; la Camera votò alloracontro la convalida: da qui l’odio feroce di Corra-dini contro Giolitti. Dopo la guerra Corradinitornò alla Camera e divenne l’anima nera di Gio-litti. Fu Corradini che volle le elezioni del 1921,per le quali aveva stabilito degli accordi coi nazio-nalisti e coi fascisti: nella sua circoscrizione fecelista comune con Giolitti. (?)

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<141 [ma 142]> Del resto le elezioni del 1921corrispondevano a una spinta di filofascismo neivecchi quadri democratici e liberali. In Sicilia V.E. Orlando fece un discorso per il fascismo, cosìpure Pasqualino Vassallo; la campagna elettoraledell’Ora di Palermo fu impostata nello stesso sen-so. Sul continente Bonomi a Cremona fece listacomune con Farinacci; Salandra sostenne il co-siddetto “fronte nazionale”, ecc.

[Nitti] Nitti prese il potere nel giugno 1919 inseguito alle dimissioni di Orlando e trovò un ca-rico di spese mensili di 1.350 milioni. D’Annun-zio chiedeva (pel tramite di Dante Ferraris) tremilioni per il raid di Tokio, che Nitti rifiutò. Daqui cominciò la campagna contro Nitti “rinun-ciatario”. D’Annunzio si trasportò a Roma doveogni sera avevano luogo delle manifestazionicontro Nitti.

Nitti rifiutò pure del denaro contro Mussolini,che, nell’attesa, aveva scritto un articolo in lodedell’amnistia. Nitti aveva affidato l’incarico dipreparare il decreto d’amnistia a una commissio-ne formata dal generale Diaz, dal senatore Mor-tara, dal ministro della guerra generale Albricci eda Grassi, ministro della marina, coll’incarico diescluderne i disertori di fronte al nemico. Diaz ri-vide di suo pugno il decreto, che Nitti non ebbeneanche il tempo di leggere in precedenza.

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Le elezioni del novembre 1919 furono comple-tamente libere, perché così le volle Nitti, ordinan-do ai prefetti: “Non ve ne occupa <142 [ma 143]>te”. Egli intervenne a Firenze, assicurando in untelegramma a Salvemini che ordinava la repres-sione di qualsiasi abuso. Insuccesso di Mussolinia Milano. Dopo le elezioni egli fece perquisire lesedi di tutti i fasci e nel giugno 1920 prese il de-creto sulle in possesso dei privati. Quando Nittilasciò il potere i fasci erano in fallimento.

La Banca Commerciale, Peppino Garibaldi eFilippo Naldi combinarono il ministero Giolitti,per cui si adoperarono attivamente anche Barzi-lai e Bergamo. Contrariamente alla comune cre-denza, Giolitti era un impulsivo. La sua abitudi-ne era di scappare prima che un voto della Came-ra lo rovesciasse. Egli è stato un grande corrutto-re della vita politica italiana. Conoscitore perfet-to dell’amministrazione, nella quale aveva fattola più gran parte della sua carriera, e conoscitoredelle persone, di cui sapeva sfruttare, più che lequalità, i difetti. Nel 1919 Giolitti voleva tornarea tutti i costi al potere ed era disposto a coalizzar-si con tutti, pur di arrivarci. Giolittoi, succedutoa Nitti, si mise a fare il nazionalista e a protegge-re il fascismo, valendosi specialmente per una ta-le politica di Corradini, di Fera ministro dellaGiustizia, e di Bonomi, ministro della Guerra.

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[Lussu] d) non ultima delle ragioni che deter-minarono questa corruzione politica [parlamen-tare] fu il contrasto Giolitti – Nitti, i quali, in fon-do, sono stati, i soli uomini di Stato liberali e de-mo<143 [ma 144]>cratici seri d’Italia. I due gio-carono ad eliminarsi reciprocamente e si può di-re che dopo la caduta di Orlando (un disgraziatobuffone mezzo nazionalista e mezzo democrati-co che ricorda qualche radico-socialista france-se) la politica parlamentare è stata dominata daquesto conflitto.

Giolitti allevò il fascismo dal 1920 fino alle ele-zioni del 1921. Egli sbagliò i calcoli. Credeva dipotersene servire contro i socialisti e non so-spettò mai dove sarebbero andati a finire.

Giolitti diceva: mai con Nitti; Nitti diceva: maicon Giolitti; da qui i ministeri deboli che ne do-poguerra permisero il successo fascista.

[Buozzi] Secondo Buozzi Nitti esagera molto ilconflitto tra lui e Giolitti. Giolitti non era così afondo contro Nitti. Era lui che nel 1909 l’avevafatto per la prima volta ministro, sia pure – dice-vano i maligni – per sbarazzarsi di un oppositoreall’acido prussico.

L’odio tra Giolitti e Nitti assunse forma inaudi-te. Giolitti aveva provocato una petizione dell’avv.Turletti contro Nitti per la protezione che Nitti

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avrebbe accordato alla B.I.S. e ai fratelli Perrone;aveva fatto stampare degli opuscoli alla macchia,aveva messo in giro la voce che Nitti aveva gua-dagnato 100 milioni colle Banche; aveva fatto di-re che la Signora Nitti aveva contratto una poliz-za per 5 milioni ecc. Nitti dal canto suo aveva fat-to sorvegliare gli acquisti in Borsa <144 [ma145]> di Giolitti, le origini della sua fortuna dive-nuta notevole e non certo formata coi soli stipen-di burocratici.

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IX. Aiuti finanziari

[Rosselli] Nelle casseforti dell’Associazione Ban-caria Italiana nel giugno – luglio 1924 era custo-dita ancora la lista di una sottoscrizione di 20 mi-lioni per la marcia su Roma (confidenza fatta daFenoglio a Rosselli).

La Massoneria ha aiutato la Marcia su Romaversando parecchi milioni (così ha dichiaratoTorrigiani a Rosselli al confino). La Massoneriadi Palerini era tutta acquisita al fascismo, la Mas-soneria di Palazzo Giustiniani era divisa: eranospecialmente perl fascismo alcune grandi loggie,tra cui quella di Milano, dove capeggiava CesareGoldmann. Parecchi massoni erano filofascistiper odio al partito popolare e speravano di utiliz-zare il fascismo nel senso dell’anticlericalismo.

[Nitti] Tutti diedero danaro ai Fasci, la BancaCommerciale come i Perrone ed i Borletti. Il ge-nerale Asclepio Gandolfo si mise a fare il giro de-gli industriali e dei commercianti per raccogliere

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dei fondi. Fu Ettore Conti, magnate dell’industriaelettrica, e uomo di fiducia della Banca Commer-ciale che fece l’organizzazione finan<145[ma146] >ziaria dei Fasci. Pio e Mario Perrone aveva-no sposato le sorelle Parise, figlie di grandi intra-prenditori, e il cui fratello, il maggiore Parise de-gli Arditi, teneva il contatto con D’Annunzio e coiFasci.

– A mia domanda, se l’appoggio di Orlandoall’arditismo era stato anche finanziario, e se ciògli risultava in modo preciso: “Ne ho avuto tuttele prove, risponde, quando sono stato ministrodegli interni”. – Cfr. per Sinigaglia qui a pag. 156e per Ravenna cfr. le dichiarazioni di N. Baldiniqui a p. 111; per la Massoneria qui a p.

[Modigliani] Fra i primi sovvenzionatori del fa-scismo ci furono gli industriali delle impresetramviarie, che erano imprese di capitale belga,particolarmente colpite dai frequenti arresti dellacircolazione.

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X.-XI. Aiuti statali al fascismo e armamenti

[Rosselli] Esiste una circolare Bonomi sulla par-tecipazione degli ufficiali in congedo ai fasci dicombattimento. Nel periodo 1920-21 quegli uffi-ciali di complemento che non erano ancora statimobilitati vennero inviati dai comandi rispettivia prendere parte al movimento dei Fasci. Rosselliricorda che il suo capitano, un certo Tino Buratti,piemontese, fu distaccato dal suo comando perandare a fondare il fascio del suo paese.

<146 [ma 147]> [Cianca] Quando ci fu il con-gresso fascista all’Augusteo di Roma, il corteo deicongressisti passando davanti a Palazzo Chigi,dove c’era Bonomi, lo acclamò entusiasticamen-te, perché come ministro della guerra perché ave-va consentito che i magazzini militari servisseroall’armamento dei Fasci.

[Nitti] Con l’avvento di Giolitti al potere l’azio-

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ne statale favorì nazionalisti e fascisti. Giolittifece questa politica con tre uomini: Corradini,Fera e Bonomi. Fera, massone, diede ordine aiprocuratori generali di non agire, di “lasciar dor-mire”, quando nell’azione criminale (incendio,devastazione di case, uccisioni, ecc.) c’era il finepatriottico. Bonomi, ministro della guerra, saràcandidato nella circoscrizione di Cremona-Man-tova nel 1921 sulla stessa lista di Farinacci, concui farà campagna comune. I fascisti viaggiava-no con elmetto e moschetto militari su camionmilitari.

[Modigliani] Quando ebbero luogo le elezionidel 1924 e Bonomi prese posizione contro i fasci-sti, questi pubblicarono gli ordini che lui avevadato quand’era ministro. Bonomi scrisse alloraun opuscolo in propria difesa.

[Buozzi] Fatto oggetto all’accusa di aver aiuta-to i fascisti, Bonomi era venuto a scolparsi da Tu-rati e ci era riuscito. Egli diceva che era stato tra-dito dai gros bonnets del Ministero della <147[ma 148]> guerra. Buozzi ricorda che recatosi avisitare una sua zia a Pontelagoscuro, questa lacui casa era vicina alla caserma dei carabinieri,gli disse d’aver veduto i fascisti venire alla caser-ma a prendere delle armi e a caricarle su dei ca-mions.

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[Cianca] Tra quelli che si occuparono degli Ar-diti del Popolo ci fu il comm. Magno, segretario diNitti. Il movimento però fu affidato a persone po-co serie; basti dire che a Roma era diretto daMingrino.

[Nitti] Dopo le elezioni del novembre 1919 Nittifece perquisire tutti i fasci e nel giugno 1920emanò il decreto sul possesso di armi da parte deiprivati. Dichiara che non si è mai occupato degliArditi del Popolo, a cui non ha dato un soldo.

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XII. Le vicende del 1922

[Rosselli] Al momento della crisi di Giugno già erapressoché formato il nuovo cabinetto Bonomi, chelavorava in stretto accordo con Giolitti, e colla par-tecipazione socialista, come ministro nettamenteantifascista [?]. – Ricordare la campagna del set-tembre 1922 del Corriere della Sera contro il secon-do ministero Facta, di cui il senatore Albertini vole-va la caduta, per sostituirlo con un ministero dicollaborazione socialista, popolare, liberale. – Con-fidenze del re d’Italia al re del Belgio sul ministerogià costituito. – I fascisti hanno <148 [ma 149]>precipitato la loro azione nell’ottobre 1922 perchésapevano che ormai il ministero era formato.

[Nitti] Nel luglio 1922, subito dopo la cadutadel primo ministero Facta, la situazione era in-garbugliatissima: Nitti non voleva Giolitti; Giolit-ti non voleva Nitti; i popolari non volevano Gio-litti; i socialisti non volevano niente.

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Il Generale Capello venne da Nitti per chieder-gli a nome di Mussolini se voleva ricevere dueemissari che gli volevano parlare della costituzio-ne di un grande ministero d’unione nazionale: sitrattava di due capi fascisti molto in vista.7 Que-sti due emissari gli dissero: Mussolini è convintoche l’Italia va alla perdizione; voi siete il solo uo-mo che può realizzare un grande ministero ab-bracciante popolari, fascisti, socialisti. Chiede unsolo posto di ministro: Mussolini, e due sotto-se-gretari, su cui Mussolini insiste per ragioni inter-ne di partito, per non dare l’impressione che hafatto un’operazione solo per sé. Nitti pose duecondizioni: 1°) niente ministeri politici e militari;2°) scioglimento dei Fasci. Mussolini rispose cheera perfettamente d’accordo: non voleva che unministero di lavoro, per dimostrare che è un uo-mo capace di organizzare; quanto alla secondacondizione, essa va da sé. <149 [ma 150]> Nittiallora alla Camera avvicinò i popolari: De Gaspe-ri, Rodinò, Mauri e altri e, senza parlar lorodell’ambasciata di Mussolini, espresse loro l’ideadi un grande ministero di conciliazione naziona-le comprendente anche i socialisti e i fascisti.Tutti si espressero in senso contrario. Nitti insi-sté: l’operazione era quella stessa di Waldeck-Rousseau, che prese nel suo ministero un sociali-

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7 Nitti non me li ha nominati [nota di Angelo Tasca].

sta e Gallifet. Poiché i popolari restavano ostili,egli telefonò a Don Sturzo,8 il quale gli rispose:“Avete ragione”. “Ma i vostri amici sono contra-ri”. “Sono dei perfetti cretini. Non vi curate di lo-ro. Ci penserò io. Anzi, ad altri chiederei tre postidi ministro, a voi ne chiederò solo due”.

Regolata così la cosa coi popolari, Nitti avvi-cinò i socialisti. Baldesi e D’Aragona eranbo mol-to propensi. Turati e Treves reagirono come dellebelve. Treves gli disse: “che impressione farebbese tu entrassi alla Camera seguito da Turati e daMussolini?” “Un’eccellente impressione”, rispon-de Nitti. Invano Nitti insiste. “Se tenterai il gran-de ministero, voteremo contro”, gli dicono. Nittidové comunicare a Mussolini che non c’era nien-te da fare. Si costituì così il secondo ministeroFacta, nel quale entrarono tre amici di Nitti: Pa-ratore, Amendola, Schanzer. Nitti, seccato, <150[ma 151]> si ritirò ad Agnano a fare una cura.

C’era ormai una certa rivalità tra D’Annubzio eMussolini. Un certo Montanarella, marito dellafiglia di D’Annunzio, venne a visitar Nitti. (D’An-nunzio continuava ad occhieggiare i socialisti,amico di Giulietti,ecc.) “D’Annunzio, gli dice ilsuo visitatore, è addolorato che esistano gli at-tuali rapporti. Bisogna realizzare la conciliazione

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8 Don Sturzo, arrivato in questo momento in casa Nitti, haconfermato pienamente il racconto[nota di Angelo Tasca].

dei combattenti. Nitti solo può farlo, perché haun piano dio sistemazione e gode la fiducia delmondo bancario ed industriale, Nitti rispose:“Ho per D’Annunzio una vecchia amicizia; ma seD’Annunzio vuole qualcosa, me lo scriva o vengada me. Io non posso andare a Gardone, perchémi ha insultato.” – “D’Annunzio non può umiliar-si sino a venire da voi.” – “Va bene, scegliamo unavilla in una località intermedia; però se si vuol fa-re la pacificazione, deve venire anche Mussolini.Farò allora un comunicato alla Stefani.” – Nittichiese delle garanzie di sicurezza personale: unsalvacondotto per le regioni dove imperavano lesquadre fasciste; due automobili invece di una;un capo fascista doveva accompagnarlo duranteil percorso, ecc. Dovevano infatti prender postonell’automobile Finzi, Schiff Giorgini e un certoBrambilla, intraprenditore nella cui villa di To-scana doveva aver luogo l’incontro. Tutto era pre-parato. D’A[nnunzio] aveva accettato, <151 [ma152]> Mussolini aveva aderito, quando una te-lefonata annuncia: D’A[nnunzio] è morente, è ca-duto dalla finestra.

L’accidente che ha colpito D’A[nnunzio] arrestatutto. Ma poco dopo Mussolini riprende lui letrattative. Verso la fine del settembre 1922 SchiffGiorgini viene ad Acquafredda e dice: “Io vengo anome di Mussolini. L’Italia vai in rovina. Facta èun imbecille. Mussolini ha delle proposte di Gio-

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litti, ha un’intesa con Salandra, ma è convintoche solo voi potete riuscire. Bisogna che facciateuna crisi extra-parlamentare. Bisogna che faccia-te un discorso, una dichiarazione che determiniuna situazione di crisi, che imponga la convoca-zione della Camera, le dimissioni di Facta, la for-mazione di un ministero di concentrazione”. Nit-ti rispose: “Io non posso trattare con te. Vogliodelle garanzie per non essere inutilmente com-promesso. Mussolini mi mandi un personaggio,un ambasciatore, ecc.”. Mussolini mi mandò al-lora ad Acquafredda l’ambasciatore RomanoAvezzana, il quale confermò la richiesta di Mus-solini, insistendo perché Nitti facesse presto unadichiarazione. Nitti pose alcune questioni preci-se: 1°) che cosa esige ora Mussolini?; 2°) Si con-tenterà di un ministro e di due sottosegretari?;3°) perché ha trattato con Giolitti e con Salan-dra?; 4°) Che cosa farà dei Fasci?; 5°) sarà decisoad abolirli, con misure di repressione adeguate,anche militari?

<152 [ma 153]> Mussolini risponde: 1°) non èpiù possibile contentarsi di un ministro e di duesottosegretari. I Fasci si sono sviluppati; hanno li-quidato lo sciopero in agosto. La situazione è mu-tata: vogliamo due ministri e tre sottosegretari,restando sempre inteso che non si tratterà di mi-nisteri politici o militari; 2°) mi stupisco che Nitticosì intelligente si formalizzi delle mie trattative.

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Ho trattato con Giolitti, perché il suo prefetto Lu-signoli mi lascia mano libera a Milano. Lo devotenere a bada. Quanto a Salandra, conta zero; 3°)I Fasci si scioglieranno immediatamente.

Romano Avezzana va ancora una volta a Mila-no e torna ad Acquafredda. Si stabilisce con lui laprocedura da seguire: 1°) Nitti farà un discorsoin cui dirà il suo pensiero sulla gravità della si-tuazione e affermerà che ritiene necessarie nuoveelezioni; 2°) il Popolo d’Italia riprodurrà il discor-so senza commenti; 3°) Io (Mussolini) andrò aNapoli e al congresso attaccherò tutti meno lei;4°) Io (M.) non ne voglio sapere della marcia suRoma; 5°) Viene la crisi e si forma un grande go-verno per salvare l’Italia.

Nitti fece il suo discorso di Laurìa verso il 15ottobre [in realtà, il 20 ottobre]. Mussolini a Na-poli attaccò tutti, meno Nitti. Il capitano Padova-ni durante il discorso gli avrebbe <153 [ma 154]>suggerito: “Non hai parlato di Nitti”. Mussoliniavrebbe risposto: “Imbecille, è l’unico uomo ditalento”.

Ma, afferma Nitti, Mussolini che fino allora“aveva mantenuto tutti gli impegni”, si lasciòprendere la mano dagli eventi. A Napoli si eracreata un’atmosfera infiammata. I quadrumvirierano riuniti all’Hotel Royal. I fascisti erano inor-gogliti del concorso dei fratelli Scarfoglio, chebattevano la gran cassa sul Mattino. Il duca d’Ao-

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sta stava a Foligno. Mussolini li piantò in asso e“fuggì a Milano”. I quadrumviri fecero la marciasu Roma contro di lui, contro la sua volontà [?!]

[Buozzi] Olivetti ebbe occasione di dire a Buoz-zi che Mussolini manovrò prima della marcia suRoma con un’abilità diabolica., Fino all’ultimotrattò con tutti e quando ebbe la certezza di esse-re ben piazzato in qualunque ministero diede ilvia o lasciò fare la marcia. Fino all’ultimo Salan-dra pensava di diventare capo di un governo conMussolini nel ministero.

Per gli eventi del 1922 cfr. anche qui p. 108-111;le dichiarazioni di Baldini sull’occupazione diRavenna; pp. ; quelle di Modigliani pp. ; quelledi Buozzi.

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<154 [ma 155]>

XIII. Marcia su Roma

[Rosselli] Nel corso della crisi del 26-27 ottobreSchiff Giorgini, presente a Milano al colloquioMussolini-Salandra, discuteva su cinque o seiministeri. Finzi strappando l’apparecchio gridò:“Né cinque, né sei ministeri; dev’essere un mini-stero Mussolini”. Così crollò la combinazione Sa-landra, caldeggiata dai monarchici e dai conser-vatori.

[Cianca] Cianca la mattina della domenica[29?]9 in cui i giornali uscirono con la notizia del-lo stato d’assedio vide Amendola che gli disse:“Siamo a Salandra”. Egli sapeva già che Factaera andato al Quirinale ed aveva la convinzioneche il re non avrebbe firmato il decreto (Proba-bilmente non lo seppe che verso mezzogiorno).

Ragioni del rifiuto regio:

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9 [Annotazione di Angelo Tasca].

a) o stesso Facta può aver dato quel consiglio,perché supponeva d’essere lui il capo di un nuovoministero con partecipazione fascista;

b) il re temette di restare scoperto perché nelproclama (affisso solo a Roma) il governo nellostesso tempo proclamava lo stato d’assedio e sidichiarava dimissionario;

c) quel mattino stesso si erano recati da Citta-dini, aiutante di campo del re, i nazionalisti (Fe-derzoni) ed alcuni fascisti di fede mo <155 [ma156]>narchica (de Vecchi) insistendo perché il renon firmasse il decreto di stato d’assedio, facen-do presente la gravità della situazione. Fu in quelcolloquio che i nazionalisti dichiararono che sa-rebbero scesi in piazza anche loro perché la si-tuazione sboccasse ai piedi del Quirinale; nel po-meriggio di quella domenica cominciarono adapparire le camicie azzurre mobilitate. Da princi-pio non si sapeva se fossero state mobilitate pro ocontro il fascismo: in realtà esse dovevano impe-dire che la marcia fascista degenerasse, dovevanocostituire un avvertimento pel fascismo. Ma tan-to Federzoni, quanto de Vecchi, facendo quelpasso, non credevano punto che si sboccasse allasituazione Mussolini, bensì a quella Salandra, so-luzione che d’altronte era patrocinata dal Giorna-le d’Italia. Bergamini aveva svolto sul Giornaled’Italia una terribile campagna a favore del fasci-smo; egli voleva servirsi del fascismo per elimina-

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re Facta e il pericolo di un ritorno di Giolitti, perarrivare poi a Salandra. La sera di quella dome-nica dal Giornale d’Italia De Vecchi e Ciano te-lefonano a Milano a Mussolini per ottenere da luiche accettasse appunto questa combinazione.Mussolini stava per rispondere accettando, quan-do Finzi prese in mano l’apparecchio telefonico edichiarò che ci voleva un ministero Mussolini.

[Modigliani] Mussolini sarebbe stato spinto al-la marcia su Roma “a calci in culo”. Ci sono degliarticoli di R. Forges Davanzati, scritti un annodopo, da cui questo risulta chiaramente.

<156 [ma 157]>[Nitti] Il duca d’Aosta faceva il doppio gioco.

Era personalmente un furfante, un vero ladro,come me lo provò la revisione dei conti della 3aArmata. Egli si era recato nell’Umbria, per tener-si pronto. Diaz stava a Firenze, e guardava consimpatia al movimento. Su di lui esercitò unagrande influenza un certo Senigaglia, amante disua moglie, che durante la guerra si era imbosca-to come suo chauffeur. Commerciante in ferro, inmetalli, aveva fatto durante la guerra una grossafortuna. Fu uno dei sovvenzionatori del fascismoe servì da legame tra i fascisti e generali, indu-striali ecc.

[Buozzi] Buozzi era a Roma il giorno della

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marcia. Nel mattino non si vedeva un fascista incircolazione. Quando si seppe che il re non avevafirmato il decreto di stato d’assedio, allora i fasci-sti di mostrarono nelle strade con aria da padro-ni. Alla sera Buozzi era sotto l’atrio di Montecito-rio in un gruppo di deputati che commentavanogli avvenimenti (Baldesi, Acerbo e un altro fasci-sta, Amendola, Cavazzoni, Gronchi, ecc.). Si di-scuteva su cosa sarebbe avvenuto. Si sapeva cheil re avrebbe chiamato Mussolini a formare il mi-nistero. Amendola disse: “Quello che è avvenutoera fatale. Voi socialisti non vi siete mai decisi adandare al potere. Noi siamo stati incapaci dicreare un governo. Ma non c’è da spaventarsi.Mussolini si costituzionalizzerà anche lui. Avremoun governo, <157 [ma 158]> magari reazionario,ma il paese riacquisterà la sua tranquillità”.Buozzi rispose: “No. Il bello comincia adesso. Fi-nora le abbiamo prese noi perché eravamo l’av-versario più forte e perché voi ci avete lasciatobastonare. Adesso comincerete a pigliarle voi.Voi non conoscete Mussolini. Mussolini è un uo-mo insofferente d’ogni critica e d’ogni opposizio-ne. È un temperamento di dittatore. Continueràa battere finché non vi avrà eliminati”. Tutti i pre-senti protestarono dicendo: “È il socialista cheparla, pieno di rancore per l’ex-compagno che liha traditi”. Amendola in Francia, prima di mori-re, ricordò questa conversazione ammettendo

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d’essersi ingannato. Amendola si astenne nel pri-mo voto alla Camera; Cavazzoni e di Cesarò ac-cettarono di partecipare al primo ministero Mus-solini.

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XIV. La crisi socialista

[Rosselli Vari] Treves in un articolo del 16 gen-naio 1920 aveva visto il problema: “Al potere”. –Secondo il racconto di Buozzi, il senatore Alber-tini aveva insistito nel 1921 [?] presso Turati per-ché i socialisti andassero al potere. Il Corriere del-la Sera nel settembre 1920 pubblica un articolo incui propugna la collasborazione al potere dellaConfederazione Generale del Lavoro. – I sociali-sti riformisti nel settembre 1920 al convegno diReggio Emilia furono paralizzati dalla preoccu-pazione dell’unità <158 [ma 159]> e dal terroredella responsabilità, per poi scindersi nel gen-naio 1921.

La crisi mondiale, nata in marzo 1920 in Ame-rica, cade in Italia verso la fine del 1920; gli indu-striali ne approfittano per licenziare gli operai;loro tattica disfattista. – Discesa della temperatu-ra rivoluzionaria in seguito al ritorno della dele-gazione italiana in Russia (dichiarazioni private

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di Serrati; Libro di Nofri – Pozzoni con prefazio-ne di Turati, ecc.).

[Nitti] “Ho puntato sui socialisti e mi sono sba-gliato”. Era indispensabile ridurr e l’onere delloStato pel prezzo del pane per evitare il fallimen-to. Nitti aveva preparato a questo proposito undecreto-legge, il quale avrebbe scaricato i sociali-sti della noia di doverlo approvare. I socialisti la-sceranno poi passare la misura a Giolitti, dopouna mascheratura d’ostruzionismo.

[Lussu] “f) La nullità (in generale) della consi-stenza dei quadri del partito socialista. Tienipresente che io ho una grande esperienza diguerra e sono convinto totalmente di questo as-sioma: la bontà di un reparto dipende dallabontà dei suoi ufficiali. Intendo dire che i quadrisocialisti non erano aggiornati alle esigenze cheimponeva la lotta politica del dopoguerra. E fradi loro regnava la più grande confusione. Unapiccola frazione la comunista aveva le idee chia-re: ma essa <159 [ma 160]> si formò, si può di-re, dopo il successo del fascismo. Non avevano,d’altronde, rispondenza nel paese. Per me que-sta insufficienza socialista è fondamentale e pre-cede, in ordine di responsabilità, tutte le altrecause. D’altronde è evidente che tra la formazio-ne psicologica e politica del partito socialista

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italiano e di quello tedesco corrono molte affi-nità”. [Lettera]

[Modigliani] Dopo Caporetto, che fu veramen-te, come disse Curzio Malaparte, la “rivolta deisanti maledetti”, ci fu nelle file socialiste una spe-cie di crisi di patriottismo. Turati e Treves scris-sero allora un articolo sotto forma di manifestonella Critica sociale. Essi furono convocati, insie-me con Modigliani, da Orlando, che stava ricosti-tuendo il gabinetto, e che descrisse loro piangen-do la terribile situazione in cui si trovava l’Italiaal fronte, e facendo appello al loro senso di re-sponsabilità appunto coll’informarli della gravitàdella situazione. Ciò aveva fatto sorgere nei de-putati del gruppo un senso di apprensione, cheinfluì nel loro atteggiamento.

Tuttavia alla Conferenza interalleata dei socia-listi a Londra, che ebbe luogo nel principio del1918, i delegati italiani (tra cui Modigliani,Schiavi) si opposero ad accettare come scopodella pace le proposte territoriali che erano poigli scopi della guerra. A questa conferenza furimproverato a Modigliani d’aver impiegato laformula: “une paix quelonque”. Modigliani nonricorda e non crede d’averla <160 [ma 161]> pro-nunciata; ad ogni modo egli aveva voluto far pre-sente lo stato d’animo del popolo italiano,profondamente desideroso che fossero eliminati

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gli ostacoli che si frapponevano alla conclusionedella pace. Canepa, il deputato di Genova, inter-venne vivacemente contro. In ogni caso ciò provache il gruppo parlamentare era già “rimontato”dal suo smarrimento del 1917.

In seguito al convegno di Londra il governoproibì il congresso socialista annuale che si dove-va tenere al principio del 1918. Nello stesso tem-po aggravò la censura. Ciò inasprì il partito. Ver-so la metà dell’anno i rappresentanti del gruppoparlamentare si recarono dal Governo, ammo-nendolo che colle sue misure esso otteneva un ri-sultato perfettamente contrario. Finalmente ilcongresso fu autorizzato a porte chiuse e si tennein settembre nella Casa del Popolo di Roma a ViaCapo d’Africa. Si era evitato così il referendumche la direzione del partito s’era a un dato mo-mento proposta d’indire sopra un o.d.g. di scon-fessione del gruppo parlamentare. C’erano stati idiscorsi di Turati (“La nostra Patria è sul Piave”),c’era l’opera di assistenza dei municipi socialisti,ecc. “Il Congresso ci avrebbe tranquillamente lin-ciati, Salvadori presentò un o.d.g. di riorganizza-zione del Gruppo. Modigliani riuscì con un di-scorso a non farlo accettare, affermando che nonsarebbero usciti dal partito, ma <161 [ma 162]>che in tali condizioni non sarebbero rimasti allaCamera. Fu votato tuttavia un o.d.g. di biasimoper il gruppo. “La partita era perduta.” Si assiste-

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va alla ridicolizzazione crescente del movimento.Modigliani stesso nell’agosto 1918 fece ad Alfon-sine un discorso sui Consigli dei contadini e deglioperai. Mentre il gruppo tentava di orientare lasua azione su un programma “audace e ragione-vole” (il programma del 1917, più la Repubblica),la mentalità del partito diventava quella del So-viet partout.

Nel maggio 1919 la Direzione del Partito deli-berava l’adesione alla terza Internazionale. Era iltempo in cui Bombacci annunciava la rivoluzio-ne pel 3 o per l’8 di settembre e prometteva si sui-cidarsi se essa non si fosse prodotta. Nel settem-bre [?] ebbe luogo invece il congresso di Bolognadove si assisté alla coalizione intorno al sociali-smo tradizionale di Lazzari e di Turati. Si ebberopoi le elezioni del novembre, per le quali furonochieste preventivamente ai candidati le dimissio-ni in bianco. Furono eletti 156 deputati con1.800.000 voti. Furono le sole elezioni libere.

Nel frattempo cominciarono ad arrivare dallaRussia i “bollettini dattilografati” in cui si dicevaun po’la verità ed erano tornati i “pellegrini” nonmolto entusiasti. Dopo le elezioni ci fu una riu-nione del gruppo parlamentare in cui questi pre-se una posizione politica. “Non si tratta di fare larivoluzione bolscevica. Però non si può non farniente. Bisogna dunque basarsi sul programmadel 1917, più la Re- <162 [ma 163]> pubblica”.

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Turati, Treves e i destri erano contrari alla riven-dicazione repubblicana. 125 votarono in favoredella tesi sostenuta da Modigliani, 25 contro. Laprima applicazione di questa linea politica si eb-be nella seduta inaugurale della Camera, dove isocialisti intervennero col garofano rosso all’oc-chiello, gridarono: Evviva il socialismo! Evviva larepubblica! e poi lasciarono l’aula (primi di di-cembre 1919). Questa manifestazione fu regolar-mente decisa come applicazione della volontà re-pubblicana del Partito. Alla sera vi fu una dimo-strazione di ufficiali, che picchiarono Abbo, ilche provocò uno sciopero di protesta.

Ai primi del gennaio 1920 la Direzione del Par-tito sconfessò il deliberato del Gruppo e annullòla sua decisione. D’ora innanzi si doveva prende-re come base senz’altro la rivoluzione sovietica.Questo mutamento fu dovuto a un intervento diMosca, come risulta dalle Memorie di un “occhiodi Mosca” pubblicate in russo.

Nel maggio 1920 il Gruppo socialista fece op-posizione a Nitti. In realtà nel suo seno c’era unasimpatia tradizionale per Giolitti, col quale i so-cialisti furono molto più ragionevoli e a cui per-misero di varare il progetto sul prezzo del pane.

Insuccesso dello sciopero generale di Torinodell’aprile 1920.

Al Consiglio Nazionale del Partito tenutosi aMilano in quei giorni fu deciso di creare un So-

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viet a titolo di esperimento, <163 [ma 164]> la-sciando alla Direzione del Partito l’incarico discegliere la località.

Quando cadde Nitti e venne al potere Giolitti ilgruppo parlamentare ebbe la vaga sensazioned’aver sentito rumore, e allora fu presa la decisio-ne di seguire gli avvenimenti [? Modigliani nonconfonde qui col 1921?]. Un primo avvertimentoper chi l’aveva voluto sentire c’era stato coll’in-cendio dell’ Avanti nel 1919; poi colla dimostra-zione la sera del discorso della Corona; infine, so-prattutto, collo sciopero dei tramvieri romani, ilquale per la prima volta diede luogo a una reazio-ne degli studenti e dei figli di papà, che conduce-vano i tram e pestavano i tramvieri. Essi diederopoi l’assalto alla redazione romana dell’ Avanti eanche all’ Epoca che si era offerta di stampare ilnostro giornale.

Vennero le vacanze parlamentari, che il gover-no s’era più o meno forzato di raggiungere. Sia-mo all’occupazione delle fabbriche, che produssenella borghesia italiana un’impressione profon-da, un disperato affolement. Durante la riunionedella C.G.L. a Milano in settembre Toeplitz veni-va alla sera in automobile al cancello per saperecome andava la discussione.

In ottobre ebbe luogo (10-11-12) la riunione deiriformisti a Reggio E[milia]. Essi avevano avutola sensazione precisa che l’occupazione delle fab-

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briche era stata un tremendo colpo d’arresto eche “bisognava andare al potere ad ogni costo”.Per dare un’idea tuttavia della confusione <164[ma 165]> degli spiriti basterà osservare che aquesto stesso convegno fu votato all’unanimitàmeno sette voti un o.d.g. favorevole all’adesionealla terza Internazionale.

Intanto cominciava l’offensiva fascista in pie-no: Bologna, Ferrara, Rimini, ecc. I fatti di Bolo-gna ebbero delle conseguenze gravissime. Chi haucciso Giordani? Con tutta probabilità si tratta diun provocatore, un anarchico al servizio della po-lizia, entrato in Palazzo d’Accursio, uscitone do-po il fattaccio, arrestato ma rilasciato dopo dueore di detenzione. Questo anarchico fu poi arre-stato più tardi perché aveva fatto a pezzi la suaamante. Bentini che aveva seguito il processonon aveva alcun dubbio sulla vera identitàdell’assassino di Giordani. Pare anzi che alla vigi-lia dei fatti di Bologna Mussolini avesse imparti-to delle direttive. La vera provocazione però fuappunto quella determinata dalla “politica” deisocialisti locali. Da giorni i nazionalisti e gli agra-ri scrivevano e dicevano pubblicamente che l’in-sediamento dell’Amministrazione comunale aPalazzo d’Accursio non avrebbe avuto luogo. Isocialisti, dice Modigliani, invece di recarsi dalPrefetto e di chiedere delle misure pel rispetto diuna pubblica amministrazione, caddero nel tra-

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nello e vollero “difendersi da sé”. La provocazio-ne poté così dare in pieno i suoi risultati. A porta-re le bombe in Municipio era stato un certo Mar-telli, rifugiatosi poi a San Marino, <165 [ma166]> dove rimase indisturbato, e sparito poisenza che se ne abbia più avuto traccia. Un altroprovocatore fu certamente un tal Martini, impie-gato alla Camera del Lavoro, che, escluso in pas-sato per ragioni di moralità, era riuscito ad in-trufolarsi nel movimento al favore dei tempi nuo-vi, e che aderì poi in seguito al Fascio.

Questa situazione ridusse ancor più la combat-tività dei deputati socialisti, che lasciarono vota-re ai primi del 1921 la legge sul pane. L’anno1921, cominciato colla scissione socialista, indi-ca poi un’accentuata e rapida evoluzione versodestra di tutta la situazione.

Giolitti si era figurato dopo la liquidazionedell’occupazione delle fabbriche, l’approvazionedella legge sul pane, la conclusione del Trattatodi Rapallo, che poteva permettersi di dare una le-zione coi fiocchi ai socialisti. Egli sperava di farquasi tabula rasa degli eletti socialisti, di fare col-le elezioni “una piccola operazione di polizia”. Ioresto il padrone, egli pensa, e porto i socialisti alpotere.

Alle elezioni del 1921 Giolitti viene battuto.Giolitti approfitta, come sempre, della prima oc-casione, della discussione sul bilancio degli

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Esteri, e si dimette dopo aver fatto lo sgombro diVallona.

Gli succede Bonomi – che era l’uomo di DonSturzo – il quale prende il potere nel giugno1921. Il gruppo parlamentare che aveva sentito ilvento infido, decide di “seguire la crisi” [cfr. ib. p.163] e dà <166 [ma 167]> incarico in questo sen-so a Donati e a Musatti. Al ritorno dalle vacanzeparlamentari prevale nella Camera l’ idea di rove-sciare Bonomi, il quale anche lui vorrebbe dimet-tersi prima del voto, ma è costretto dal re a pre-sentarsi alla Camera e a farsi battere.

Lo sostituisce Facta. Con Facta è Giolitti che ri-vince. In giugno c’è una nuova crisi. Questa voltail Gruppo parlamentare decide di andare al go-verno. Tutrati va al Quirinale il 29 di luglio 1922.Tutto è preparato, quando il Sindacato Ferrovie-ri, che faceva parte dell’Alleanza del Lavoro, di-chiara lo sciopero generale (48 ore troppo pre-sto). Orlando, che il re aveva già incaricato di fa-re il gabinetto colla partecipazione dei socialisti,apprende che il re aveva ridato l’incarico a Facta.

I fascisti danno l’ordine che lo sciopero genera-le deve cessare a mezzanotte. Una delegazionedel Gruppo va da Facta, per tentare un compro-messo. Non si poteva cedere senz’altro all’inti-mazione fascista, ma bisognava liquidare lo scio-pero, di cui fu decisa la cessazione per l’indoma-ni. Modigliani ha un colloquio col Comitato “se-

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greto” che siedeva in Trastevere. Sbrana e Giuntisi offrono come capri espiatori. Facta dice te-stualmente: “A gran pena ho potuto ottenere chei fascisti non occupino Roma; ma non sono ingrado di impedire che occupino Genova, Livor-no, Milano”.

<167 ma [168]> Nel giugno[?] 1922 v’è a Romail convegno della F.S.I. È la prima volta che c’èun voto di solidarietà internazionale contro il fa-scismo.

Il re nel settembre era a Bruxelles per combina-re il matrimonio del figlio e vede Vandervelde, ilquale gli chiede notizie sul fascismo in Italia:“Oh, non è niente, risponde il re. Quando io tor-no in Italia, l’on. Giolitti verrà al potere, ci saran-no delle nuove elezioni, i socialisti avranno unagrande vittoria e parteciperanno al governo”.

Nel frattempo Mussolini trattava con Nitti econ Giolitti, che abboccarono all’amo. Nitti fa ilfamoso discorso di Laurìa; Giolitti manda avantile trattative. Il 28 ottobre, giorno della marcia suRoma, Corradini era tornato nella capitale sicurodi aver fatto il ministero Giolitti-Mussolini.

[Modigliani] Il discorso di Turati alla Camera:Rifare l’Italia fu un’iniziativa tutta sua personale,presa specie sotto l’influenza della Kuliscioff. Ildiscorso durò due ore e fu parlamentarmente undisastro. Turati aveva subìto anche le suggestio-

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ni dell’ ing. Omodeo, il più grande costruttore dilaghi artificiali, un genio degli impianti idro-elettrici.

[Nitti] Già nel 1908-10 Nitti si era trovato inconflitto coi socialisti e in particolare con Turati,che era diventato il tutore di tutte le organizza-zioni di funzionari. C’erano allora degli avanzi dibilancio, che Tura-<168 [ma 169]> ti volevasenz’altro distribuiti in aumenti di stipendio,mentre Nitti avrebbe voluto serbarli per un gran-de piano di rinnovamento industriale per la poli-tica “dell’acqua e dell’elettricità”.

[Buozzi]a) Crisi di classe dirigente. La ragione principale

della crisi del socialismo italiano è stata la man-canza di capi politici. Turati era un grande edu-catore, un grande maestro di morale. Treves ve-deva chiaro qualche volta, ma era troppo signore,e poi non si sarebbe mai messo contro Turati.Quando non era d’accordo, cercava di persuader-lo: se non ci riusciva, lasciava cadere tutto. Que-sta crisi di capi fu parte di una crisi della classedirigente italiana. I capi partito erano più profes-sori che politici: Salandra, Bonomi, Orlando, Nit-ti. Erano tutti pieni di scrupoli. Giolitti era il solouomo politico, ma era troppo vecchio per com-prende un fenomeno come quello fascista

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b) Il programma del 1917. Il programma del1917, che era stato concordato in comune traPartito e C.G.L., fu ripreso nel 1918 dalla Confe-derazione coll’aggiunta della Costituente. Il pun-to di vista dei dirigenti confederali e di Buozzi,era il seguente: non ci sono le basi in Italia per unesperimento bolscevico; mancano le materie pri-me, e più che le materie prime, gli uomini. In Ita-lia non c’è classe di- <169 [ma 170]> rigente;l’educazione politica del paese è scarsissima.Non c’è dunque altra via che un governo di coali-zione, sulla base di un programma vasto, che nonporti la marca comunista. Se no, l’ Italia va almacello. Questo programma del resto Mussolinilo riprese in parte per conto suo nel 1919. Non cisi salva se non si va al potere. Questa tesi si andòsempre più rafforzando sino al 1920, propriomentre invece il partito le diventava di più in piùcontrario e si ipnotizzava sui Soviet. Serrati in unprimo tempo aderì, ma poi seguì la corrente.

Noi dicevamo: siamo una forza enorme. 156deputati, 2800 comuni, 29 consigli provinciali incui abbiamo la maggioranza, 8000 cooperative,2 milioni di aderenti alla Confederazione. Biso-gna fare qualcosa con questa forza: si ha il dirit-to e il dovere di andare al potere, nel solo modopossibile.

c) L’occupazione delle fabbriche. I precedenti.Nel 1919 erano stati conclusi due concordati, il

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concordato nazionale per regolamenti di fabbri-ca e per le otto ore (in febbraio), concordato re-gionale pei minimi di salario: in Piemonte senzasciopero, nella Liguria, nell’Emilia e nel Venetodopo uno sciopero durato due mesi. Nel frattem-po c’è stato un notevole rincaro del costo della vi-ta. La Fiom allora si diresse nel marzo 1920 allaFederazione degli Industriali sostenendo la tesiseguente: “Il concordato nazionale deve rimane-re, <170 [ma 171]> ma ha bisogno di adattamen-ti in relazione alla situazione delle diverse regionie delle diverse industrie. Noi ci chiediamo dicompletare il concordato nazionale con concor-dati regionali o per industria”. Gli industriali ac-cettano in principio. Delle trattative locali si ini-ziano qua e là.

A un determinato momento un’assemblea na-zionale della Federazione dell’Industria mettemezzo in scacco i suoi dirigenti: Jarach, Benni;gli avventurieri dell’Ilva, capitanati dal Rotiglia-no impongono una deliberazione di intransigen-za. Se revisioni ci son da fare, van fatte per ridur-re e non per aumentare le paghe; per restringeree non per allargare le norme del concordato.

Benni e Jarach chiamarono Buozzi a Milano.Bisogna sospendere le trattative locali, essi dico-no. C’è una forte opposizione in seno alla nostraFederazione. Si potrà anche discutere partita-mente per regioni e per industrie, ma anche que-

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ste discussioni vanno fatte tutte centralmente,qui alla Federazione.

Buozzi ammonì: Badate a quello che fate; sevoi rompete nazionalmente, è lo sciopero per tut-ta l’ Italia.

[Il manoscritto si interrompe qui].

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Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli è uno deimaggiori centri di documentazione e di ricercaattivi in Europa nell’ambito della ricerca storico-sociale contemporanea.

Costituita da Giangiacomo Feltrinelli allo scopodi raccogliere documentazione sul movimentooperaio e socialista a livello internazionale, la bi-blioteca si è accresciuta con ingenti acquisti difondi archivistici e librari sul mercato antiquario.

Dotata di una ricca biblioteca di collezioni diperiodici e di monografie, di rarità antiquarie edi manoscritti, di fondi archivistici e manoscritti,la Fondazione Feltrinelli è un centro di primariaimportanza per le scienze sociali, le disciplinestoriche, economiche, politiche e sociali e per lostudio delle società moderne.

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Il testo ritrovato

Dal ricchissimo archivio della Fondazione, la ri-proposta di testi ed estratti da volumi, soprattuttoprime edizioni o edizioni rare, assolutamente in-trovabili sul mercato o impossibili da sfogliare per-ché troppo fragili, scaricabili in formato e-book.

Lista titoli

Babeuf, Le cri du peupleJulien Benda, Attualità del dizionario filosofico di

VoltaireD’Alembert, Essai sur la société de gens de lettres

et des grandsEdmondo De Amicis, Primo MaggioJean Jaurès, Patriottismo e internazionalismoCarlo Kautsky, La libertà nel socialismoRobespierre, Rapport sur les fêtes nationalesSaint Simon, Nouveau ChristianismeAngelo Tasca, Interviste sul fascismoFilippo Turati, Le problème du fascismeFilippo Turati, Rifare l’Italia!Giovanni Zibordi, Etica sociale