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Diritto Civile Contemporaneo Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537 www.dirittocivilecontemporaneo.com Anno I, numero III, ottobre/dicembre 2014 La soggettività del condominio negli edifici, i ripensamenti del legislatore e le esigenze della prassi (a proposito della legittimazione a richiedere l'equa riparazione per la irragionevole durata del processo in cui è stato parte esclusivamente l'amministratore condominiale) Roberto Amagliani

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Diritto Civile Contemporaneo

Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537

www.dirittocivilecontemporaneo.com

Anno I, numero III, ottobre/dicembre 2014

 

La soggettività del condominio negli edifici, i ripensamenti del legislatore e le esigenze della prassi (a proposito della legittimazione a richiedere l'equa riparazione per la irragionevole durata del processo in cui è stato parte esclusivamente l'amministratore condominiale)

Roberto Amagliani  

 

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La soggettività del condominio negli edifici, i ripensamenti del legislatore e

le esigenze della prassi (a proposito della legittimazione a richiedere l'equa

riparazione per la irragionevole durata del processo in cui è stato parte

esclusivamente l'amministratore condominiale)

di Roberto Amagliani

Le Sezioni Unite, al fine di dirimere il contrasto manifestatosi nelle Sezioni

semplici, hanno affrontato, con decisione n. 19663 del 18.9.2014, la questione

della legittimazione a richiedere l'equa riparazione per la irragionevole durata del

processo in cui è stato parte esclusivamente l'amministratore condominiale; e, con

motivazione condivisibile, in relazione al caso de quo hanno affermato in capo

all'amministratore condominiale la titolarità esclusiva del diritto di richiedere il

ristoro previsto dalla L. 89 del 2001, negandola, nel contempo, al condomino uti

singulus.

Si tratta di pronuncia diffusamente argomentata che, se per alcuni aspetti richiama

orientamenti consolidati, presenta invece caratteri di indubbia novità ove viene

affrontato il problema della qualificazione giuridica del condominio negli edifici. A

ben vedere, anzi, la soluzione di tale questione rappresenta la chiave di volta per

attingere l'esito appena sopra enunciato.

Ripercorrendo la via seguita dalla S.C. si può intanto segnalare l'affermazione

perentoria, tratta dalla giurisprudenza della Corte Edu, ma ripetuta in numerose

decisioni della nostra Corte di legittimità (v. tra le altre Cass. 30.12.2009 n. 27719),

secondo cui "anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti

collettivi) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è, non

diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza

normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione della ragionevole

durata del processo" .

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Un siffatto principio, che costituisce acquisizione di un nutrito dibattito circa la

titolarità in capo agli enti delle situazioni esistenziali ( su questo tema v. Zoppini, I

diritti della personalità delle persone giuridiche e dei gruppi organizzati, in Riv. dir. civ., 2002

I, 851 ss. e Fusaro, Nome e identità personale degli enti collettivi. Dal <<diritto>>

all’identità uti singuli al diritto all’<<identità>> uti universi, in Nuova giur. civ. comm.,

2002, II, 51 ss) è accompagnato dalla rilevazione di un ulteriore orientamento

volto ad evidenziare che il beneficio di cui alla L. 89 del 2001 può essere richiesto

solo dal soggetto che sia stato effettivamente partecipe del giudizio. Così accade

nel caso dell'erede che non si è costituito nel giudizio instaurato dal suo dante

causa (Cass. 23.6.2011 n. 13803), dell'offeso dal reato in relazione alla costituzione

di parte civile non contestuale all'instaurazione del giudizio penale (Cass. 3.4.2012

n. 5294) e del minorenne rimasto assente nel processo che lo riguardi pur dopo il

raggiungimento della maggiore età (Cass. 23.5.2011 n. 11338).

In tutte queste ipotesi il diritto al risarcimento del danno ex L. 89/2001 sorgerà se

e da quando il soggetto sarà processualmente presente nel giudizio della cui durata

(eventualmente non ragionevole) si discute.

La ulteriore premessa della soluzione adotta dalle S.U. risiede nella constatazione

che, in seno alle controversie che possono riguardare la realtà condominiale, vi è

luogo a distinguere tra quelle in cui il condomino deve essere considerato parte

della controversia anche se rappresentato dall'amministratore (Cass. 21.9.2011 n.

10223) ed altre che hanno ad oggetto "non diritti su un servizio comune, ma la sua

gestione" o "sono intese a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità

condominiale" (Cass. 4.7.2001 n. 9033). Si specifica sul punto che in tali ultime

controversie "non vi è correlazione immediata con l'interesse esclusivo di uno o

più partecipanti, bensì con un interesse direttamente collettivo e solo

mediatamente individuale".

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E' questo il passaggio di maggiore rilievo della decisione in rassegna: la

individuazione di un interesse proprio del condominio, che tende ad oggettivarsi e

quindi a diventare punto di riferimento della disciplina dettata nella materia,

costituisce il presupposto per l'ulteriore e determinante affermazione della

soggettività del condominio, sia pure non accompagnata dalla piena personalità

giuridica.

Una sorta di entificazione del condominio, per vero, si rinviene già nel diritto

vivente laddove lo si è definito “mero ente di gestione” (in questo senso, da

ultimo, Cass. 24.7.2012 n. 12911), secondo una nota formula, forse la più

indovinata ma alla quale si deve riconoscere il chiaro carattere di soluzione di

comodo (M. Costantino, Contributo alla teoria della proprietà, Napoli, 1967, 271), che,

a differenza della tesi adottata dalla decisione in commento, considera però il

condominio quale realtà giuridica indistinguibile dai singoli partecipanti.

Il profilo in esame ha costituito oggetto di specifica riflessione anche nella

dottrina e, da ultimo, ha destato pure l'attenzione del legislatore della riforma che,

tuttavia, non ha ritenuto di darvi rilevanza, almeno espressa, nella formulazione

finale della L. 220 del 2012.

Sotto il primo profilo, le Sezioni Unite danno espressamente conto di un

orientamento che configura il condominio "come una struttura organizzativa che

riproduce, seppure in embrione, il modello tipico delle associazioni" (per l'esame

delle tesi che sono state proposte per ricostruire la natura giuridica del

condominio sia permesso rinviare ad Amagliani, L'amministratore e la rappresentanza

degli interessi condominiali, Milano, 1992, 4 ss).

A questo rilievo ne va ovviamente aggiunto uno di carattere più generale: è

tendenza ormai consolidata quella volta a distinguere e dissociare le nozioni di

personalità e soggettività (giuridica) che, invece, secondo l'opinione tradizionale e

risalente costituivano i termini di una implicazione necessaria [in quest’ultimo

senso, A. Falzea, Capacità (teoria gen.), in Enc. dir., vol. VI, Milano, 1960, 15].

In virtù di tale prospettazione è parso legittimo "ammettere la coesistenza,

nell'ambito dei gruppi organizzati, di soggetti di diritto che non sono persone

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giuridiche e di soggetti che sono persone giuridiche" (questa la nota tesi di

Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario al codice civile a

cura di Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1976, 123), equiparati, i primi ed i

secondi, dal minimo comune denominatore costituito dall'attitudine all'autonoma

titolarità di rapporti giuridici.

La L. 220 del 2012, come si diceva, dopo che - nel testo provvisorio - era stata

positivamente considerata l'attribuzione della personalità giuridica al condominio,

non contiene invece più una espressa previsione sul punto. Le ragioni di una tale

scelta sono state individuate "nella permanenza di una soluzione (certamente

sottesa all’originario impianto del codice civile) volta ad escludere ogni

autonomizzazione del condominio rispetto al complesso dei singoli condomini

che lo costituisce” (Di Rosa, Profili ricostruttivi della nuova disciplina del condominio negli

edifici, in Riv. dir. civ., 2013, I, 794). Insomma dovrebbe ritenersi che il

condominio rimane pur sempre di “una specie di comunione, certo organizzata

ma non al punto di spersonalizzare l’insieme, la sua opera o le sue risorse per dar

vita ad una nuova figura soggettiva” [Basile, Le modifiche al regime condominiale

(legge 220/2012), in Riv. dir. civ., 2013, I, 618].

E purtuttavia gli indici formali che appaiono indirizzare l'interprete verso una

configurazione unitaria del condominio certo non mancano.

Così, da una parte della dottrina vengono valorizzati alcuni riferimenti letterali

operati dalla riforma al “condominio” tout court .

Si segnala, al proposito, l’art. 1129, al comma 7° della novellata formulazione, ove

si discorre di “conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio”, il

comma 11° dello stesso articolo che considera grave irregolarità dell’agire

dell’amministratore “la gestione secondo modalità che possono generare

possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio

personale dell’amministratore o di altri condomini”; ma si invoca anche il nuovo

art. 71 ter disp. att. c. c. che impone all’amministratore di “attivare un sito internet

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del condominio”. (Ruscello, La riforma del condominio tra novità e problemi irrisolti, in

Vita not., 2013, 384)

Argomento di non minore rilievo è poi quello, ricordato anche nella decisione in

rassegna, che si individua nella modifica apportata all’art. 2659 c. c., primo

comma, n. 1, a mente del quale è possibile la trascrizione di un atto tra vivi a

nome del condominio purchè ne siano indicati “l’eventuale denominazione,

l’ubicazione e il codice fiscale” (l'argomento è considerato criticamente da Baralis,

Pubblicità immobiliare e condominio dopo la legge di riforma, in Giur. it., 2013, 1957 ss;

tuttavia non può farsi a meno di ricordare che la modifica dell’art. 2659 cit.

operata, nei medesimi termini, dalla L. n. 52 del 1985 a proposito degli acquisiti

compiuti dalle associazioni non riconosciute ha avuto peso determinante per

l'attribuzione a queste ultime della soggettività giuridica: su questo punto cfr.

Carota, Gli acquisiti immobiliari delle associazioni non riconosciute e della società di persone,

in Contr. impr., 1985, 840 ss.).

Appare tuttavia abbastanza singolare che, dopo avere esattamente ricondotto la

soluzione della questione al rilievo oggettivo dell'interesse condominiale, la S.C.

non abbia fatto riferimento ad alcune norme della riforma della disciplina

condominiale dove tale elemento ha modo di emergere con tutta evidenza.

Deve essere a questo fine intanto adeguatamente sottolineata la nuova

formulazione dell’art. 1117 c.c. ove, al fine di individuare non solo talune tre le

parti comuni, ma pure un’intera categoria di esse, si fa oggi esplicito riferimento

alla destinazione dei beni all'uso comune.

Segnatamente si allude, nel primo comma al n. 2, alle “aree destinate a

parcheggio”, ai “sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali,

all’uso comune”, e più in generale, nel medesimo comma al n. 3, si menzionano

“le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso

comune”.

Ma rileva indubbiamente nella medesima direzione l’art. 1117 ter c.c., disposizione

nuova, rubricata “modificazioni delle destinazioni d’uso” secondo la quale “per

soddisfare esigenze di interesse condominiale, l’assemblea, con un numero di voti

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che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti

del valore dell’edifico, può modificare la destinazione d’uso delle parti comuni”.

Seguono al primo comma così formulato una serie di norme che evidenziano il

particolare rigore con il quale il legislatore della novella disciplina l’adozione della

delibera (con prescrizioni dettate addirittura a pena di nullità della delibera

medesima) e l’articolo si chiude con il divieto di “modificazioni delle destinazioni

d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o

che ne alterano il decoro architettonico”.

La disciplina in questione poi deve essere letta ed interpretata in modo coordinato

con quella contenuta nel successivo art. 1117 quater c.c., anche questa di nuovo

conio, che tutela proprio “le destinazioni d’uso” e, “nel caso di attività che

incidano negativamente ed in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti

comuni” ammette iniziative dell’amministratore o dei condomini, anche

singolarmente, volte “a far cessare la violazione”.

E tuttavia non può farsi a meno di ricordare, nella dimensione segnalata, l’art.

1118 3° co c. c., nella formulazione nuova, a mente del quale “il condomino non

può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti

comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità

immobiliare” e l’art. 1122 c.c. che, dopo la novella, discute di “parti normalmente

destinate all’uso comune, che siano attribuite in proprietà esclusiva o destinate

all’uso individuale”.

Si tratta di disposizioni, quelle citate, dalle quali si evince inequivocabilmente il

rilievo sub specie iuris dell'interesse condominiale. E tuttavia si evidenzia

ulteriormente che quest'ultimo è, in qualche occasione, in grado di condizionare le

stesse modalità di utilizzazione delle cose di proprietà individuale, talora si

contrappone alle situazioni di interesse che a queste ultime si riferiscono, ma in

altre ipotesi è l'interesse individuale che si sovrappone a quello riferibile al gruppo

dei condomini.

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La dialettica tra interesse condominiale ed interesse del singolo condomino si può

porre dunque in termini, di reciproco contemperamento, ovvero di vicendevole

contrapposizione e pure di prevalenza dell'uno sull'altro.

Integrato nel modo che precede l'approccio con il profilo assiologico, la

statuizione in ordine alla riferibilità esclusiva al condominio, rappresentato

dall'amministratore, del risarcimento del danno per irragionevole durata del

processo trova ulteriore fondamento, ma nasce pure l'esigenza di una

precisazione.

Appare infatti corretta l'osservazione della S.C. secondo cui all' autonomia del

condominio "come centro di imputazione di interessi, diritti e doveri ...

corrisponde una piena capacità processuale" (a questo proposito le S.U.

rammentano tuttavia che, per instaurare il giudizio ex L. 89 del 2001, è necessaria

una espressa deliberazione autorizzativa dell'assemblea dei condomini); ed è

conseguente la constatazione che, sulla base di questa premessa, entri in crisi

l'impostazione "che considera il condomino sempre parte nella controversia tra il

condominio e gli altri soggetti".

Tuttavia, va considerato che, come ammette il S. C., "il singolo condomino può

essere considerato <<parte>> in quel processo … se vi intervenga". Si evidenzia

quindi la possibilità di quest'ultimo di beneficiare del ristoro ex L. 89/2001,

unitamente al condominio in persona dell'amministratore. Sicchè deve

attentamente valutarsi il problema della duplicazione del risarcimento nel quale si

incorrerebbe ove si ipotizzasse - una pur sempre possibile strumentale -

partecipazione al giudizio anche del singolo condomino.

Il profilo non è stato ignorato dalle S.U. ed è stato allora osservato - per ovviare

alla non desiderabile conseguenza sopra segnalata che potrebbe facilmente

condurre ad una utilizzazione abusiva del processo - essere necessaria, per ritenere

ammissibile la partecipazione ad un giudizio civile di un soggetto che non è parte

ab origine, la sussistenza in capo a quest'ultimo di un interesse giuridico e non di

mero fatto.

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Si dispiegano da questa riflessione una serie di ipotesi che possono, per esigenze di

sintesi, così individuarsi: a) controversie in cui l'interesse condominiale ha

carattere esclusivo e rispetto alle quali il singolo condomino non vanta un

interesse processualmente rilevante; b) controversie in cui all'interesse

condominiale si accompagna – sempre sul piano del giudizio - l'interesse del

condominio uti singulus.

In questa prospettiva, però, il riconoscimento della soggettività del condominio

(che è acquisizione certamente notevole della sentenza in commento) non

soccorre adeguatamente l'interprete.

Invero, mentre il detto riconoscimento si fonda proprio sull'accertata rilevanza ed

autonomia dell'interesse condominiale, la indiscutibile soggettività del singolo

condomino nulla dice della natura dell'interesse a questo riconducibile che, come

si è visto sopra, può collocarsi in una relazione articolata ed eterogenea rispetto

all'interesse riferibile al gruppo dei condomini.

Questa scontata notazione ripropone, in conclusione, il carattere (forse

inevitabilmente) ibrido della realtà condominiale in relazione alla quale, come si è

autorevolmente osservato, si ripresenta “la disputa antica circa la natura della

comunione, e più specificamente del condominio, situati al confine tra il regime

delle cose, dove il nostro legislatore li ha collocati, e il regime dei soggetti”, di tal

chè “deve ribadirsi anche alla luce dell’ultimo intervento normativo che nel

sistema si conserva traccia delle diverse (e non in tutto coerenti) visioni”

(Rescigno, Al confine tra i regimi dei beni e dei soggetti, in Giur. it., 2013, 1618).