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PROTOCOLLI E PROCEDURE NELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA COSA SONO, COME SI ELABORANO, COME E DOVE APPLICARLI. COLIZZI GRAZIELLA Dipartimento di Salute Mentale ASL RM H 1

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PROTOCOLLI E PROCEDURE NELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA

COSA SONO, COME SI ELABORANO, COME E DOVE APPLICARLI. 

COLIZZI GRAZIELLA

Dipartimento di Salute MentaleASL RM H

1

Premessa

Dopo gli aggiornamenti tenuti negli anni scorsi sul tema del governo clinico, è forse il caso di approfondire ed ampliare il tema dei Protocolli e le Procedure soprattutto per verificarne l’applicabilità in ambito psichiatrico. L’argomento è piuttosto nuovo per gli infermieri della psichiatria perché storicamente veniva usato nei reparti dove si sperimentavano farmaci e terapie di tipo universitario (vedi protocolli per farmaci etc.) e successivamente esteso ad altri ambiti medico-chirurgici e da quello che si riesce a reperire ,ancora molto poco per la psichiatria.

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PERCHE’ USARE TALI STRUMENTI

Norme legislative in merito alla responsabilitàinfermieristica:Legge n°42 del 26/2/99 abolizione della locuzione “ausiliario”delle professioni sanitarie e abrogazione del mansionario; Legge n°251 del 10/8/2000 che cita :”gli operatori delle professioni dell’area delle scienze infermieristiche … svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva … utilizzando metodologiedi pianificazione dell’assistenza

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Il decreto legislativo 229/99 (riforma Bindi)

Stabilisce che vengano utilizzate le linee guida e i percorsi diagnostico/terapeutici.

“allo scopo di favorire, all’interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalitàsistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza”LEA.

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Piano Sanitario Regionale 2010-2012

3.a Strumenti di governo.

• Gli indirizzi per il governo clinico, le modalitàd’uso delle linee guida, la valutazione di processo e di esito come strumento per le decisioni.

• Lo sviluppo della ricerca all’interno del Servizio Sanitario. La ricerca è fondamentale per fornireautorevolezza alle strutture sanitarie locali, per contestualizzare l’applicazione di scoperte scientifiche, per consentire l’adozione di percorsi assistenziali efficaci ed efficienti.

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Parole chiave

Appropriatezza: condizione adatta, adeguata, che abbia carattere di efficacia ed efficienzaEfficacia: ottenere un risultatoEfficienza: ottenere un risultato tenendo conto dei costi e dei tempi associatiIndicatore di processo, di esito etc. che ha come caratteristica fondamentale la misurabilità di un fenomeno. (slide 38)Standard valore assunto o auspicato da un indicatore su una scala di riferimento

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Parole chiave

Razionalizzazione: criterio metodologico, ragionevole, ordinato,facile, funzionale, sistematico

Standardizzazione.Processo finalizzato a uniformare attività e prodotti sulla base di norme, tipi o modelli di riferimento appropriati. Migliorare l’appropriatezza della gestione delle situazioni cliniche diminuendo la variabilità di comportamentotroppo spesso fonte di errori

Sistemi di controllo della qualitàLa qualità dei servizi sanitari è la capacità di soddisfare, in uno specifico contesto, i bisogni di salute di una popolazione, secondo le evidenze scientifiche e le risorse disponibili.

Governo clinico (allegato 1)

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La pianificazione dell’assistenza e gli strumenti della standardizzazione

Con il termine ‘ standardizzazione’ si intende, nella sua più comune accezione positiva, il processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti sulla base di norme, tipi o modelli di riferimento.

Nella pratica infermieristica, tale processo può applicarsi - secondo la logica propria dei sistemi di qualità - ad un consistente numero di situazioni: infatti,costruire ed adottare standard, nel momento della pianificazione e dell’organizzazione degli interventi da realizzare in risposta ai bisogni della persona assistita significa riferirsi ad un complesso di elementi che rappresentano le caratteristiche appropriate ed ottimali di una determinata prestazione o di un determinato processo.

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L’attività deve fondare la valutazione, la decisione e l’azione clinica sulle conoscenze prodotte dalla ricerca e su adeguati indicatori e standard.

Mediante l’opportuno ricorso a strumenti quali linee-guida, raccomandazioni, percorsi clinico-assistenziali, protocolli e procedure.

In base a questa tendenza, è ragionevole prevedere che il cosiddetto governo clinico’, cioè la razionalizzazione e la standardizzazione delle attività sulla base delle prove di effic-acia assumerà in futuro una rilevanza crescente, in modo che la prassi assistenziale possa essere sempre più ancorata alla ormai vasta ed autorevole produzione scientifica in campo infermieristico.

La pianificazione dell’assistenza e gli strumenti della standardizzazione9

Modelli applicativi

• Linee Guida Linee guida per la gestione e trattamento delle schizofrenie (Nazionale, Regionale, Aziendale)

• Protocolli (o percorsi clinico-assistenziali)Protocollo per il trattamento delle crisi di agitazione psicomotoria in paziente sottoposto a TSO (Unitàoperativa)

Procedure Procedura: utilizzo sistemi di contenzione fisica(Infermieri UO)

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Linee guida, procedure e protocolli condividono l’obiettivo: ridurre la variabilità di comportamento

ingiustificata tra gli operatori11

Procedure e protocolli

Sono considerati strumenti fondamentali per la pratica clinica basati sull’evidenza (EBN)

sia per la loro incidenza sul miglioramento delle prestazioni erogate e sulla valutazione delle stesse in base a standard e indicatori di qualità;

sia in quanto elementi portanti dell’attuazione di misure di politica sanitaria (vedi efficacia efficienza etc)

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I protocolli(o percorsi clinico-assistenziali)

Definizione:Schema ottimale della sequenza di comportamenti

da adottare in relazione ad un determinato iter diagnostico, terapeutico, assistenziale da attivare nei confronti di una situazione clinica tipica

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Protocolli (caratteristiche necessarie)

Percorso metodologico:

1. Definizione caratteristiche cliniche del paziente;

2. Specificazione azioni diagnostiche, terapeutiche, assistenziali e loro sequenza;

3. Definizione risultati attesi;

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I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway) o protocolli

Tali schemi, da considerarsi comunque flessibili e non statici, presuppongono, la possibilità di essere impiegati nella maggior parte dei casi in cui si presenta una determinata situazione o patologia.Essi prevedono la costruzione di un percorso metodologico incentrato sui seguenti aspetti principali:

1. la definizione delle caratteristiche cliniche (o patologiche) del paziente per cui il protocollo deve essere attivato;

2.il problema di competenza infermieristica che il protocollo si propone di affrontare, i risultati che si vogliono raggiungere;

3 la specificazione delle azioni diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali e la loro sequenza;

4. la definizione degli esiti di salute, in termini di indicatori e gli standard di riferimento.

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I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway) o protocolli

I clinical pathway in ambito infermieristico possono essere costruiti in relazione (punto 3):- ad un particolare processo diagnostico (ad esempio, la valutazione dei bisogni di assistenza infermieristica della donna portatrice di tumore alla mammella);-ad un particolare insieme di trattamenti (ad esempio,i l recupero dell’autonomia nel soddisfacimento del bisogno di eliminazione dopo un intervento chirurgico di gastrectomia);

- ad un iter diagnostico o terapeutico da condurre in collaborazione con altre figure sanitarie. (èquipe psichiatrica)

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I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway) o protocolli

- Occorre individuare correttamente le circostanze in presenza delle quali èpossibile definire un profilo di assistenza infermieristica standardizzato persituazioni cliniche prevedibili le sole che possono essere oggetto della costruzione di protocolli (punto 1).

-la possibilità di esplicitare uno o più esiti finali;

- la possibilità di scegliere ed indicare atti da eseguire e specifiche procedureda rispettare, specificando modalità, tempi, repertorio di risorse, ecc.;

-la possibilità di definire criteri (indicatori e standard- per valutare l’efficacia dell’intervento professionale);

- la possibilità di personalizzare il protocollo, cioè di realizzare la flessibilità, modificando alcune sue parti, affinché si adatti meglio alle particolari esigenzemanifestate dalla persona assistita.

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Protocollischema di costruzione:

Fase elaborativa1. Identificazione della situazione2. Analisi della situazione3. Identificazione della popolazione interessata4. Stabilire obiettivi assistenziali5. Definire le fasi operative

Fase operativa6. Titolo ed obiettivo7. Risorse umane e materiali8. Procedure e tempi9. Verifica dell’efficacia/efficienza10. Valutazione11. Eventuale rielaborazione

CHI ELABORA IL PROTOCOLLO?

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Esempio pratico di Protocollo Fase elaborativa

1. Identificazione della situazione assistenzialeGestione linea venosa centrale:- prevenzione contaminazione della superficie esterna del C.V.C.- prevenzione contaminazione del lume interno

2. Analisi della situazione (ricerca dati)- Analisi del comportamento degli Operatori all’interno della

propria U.O. circa la gestione del C.V.C.- Inchieste varie metodologie di comportamento nelle altre U.O.- Ricerca bibliografica basata su EBM : Linee guida Ministero della Salute, Giornale Italiano delle Infezioni Ospedaliere.

3. Identificazione popolazione interessataTutti gli Operatori Sanitari:

- Infermieri e Medici in diretto contatto con i pazienti

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Esempio pratico di Protocollo

Fase elaborativa

4. Stabilire gli obiettivi assistenziali- Ridurre, prevenire e controllare le infezioni ospedaliere associate

ai dispositivi intravascolari.

5. Definire le fasi operative (riunioni, suddivisione dei compiti,durata applicazione protocollo)Riunioni di reparto con rappresentanti degli operatori coinvolti

nell’esecuzione delle procedure per definire i compiti di ognuno l’approccio pratico e la durata di applicazione del protocollo .Esempio:

4 Infermieri (analisi comportamentale, ricerca dati, stesura protocollo)4 Medici (analisi comportamentale, ricerca dati, stesura protocollo)

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Esempio pratico di Protocollo Fase operativa

6. Titolo ed obiettivo- Gestione dei C.V.C. Strategie fondamentali per la prevenzione, la riduzione ed il controllo delle infezioni ospedaliere associate ai dispositivi intravascolari.

7. Risorse umane e materialiIdentificare gli Operatori che adotteranno il protocollo- Identificare il gruppo di controllo - Materiale occorrente:

guanti steriligarze sterili disinfettante ( Neoxidina al 2% o Iodopovidone)medicazione (di garza o trasparente).

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Esempio pratico di Protocollo

Fase operativa8. Procedura e tempi

nelle prime ore successive all’introduzione del C.V.C.:- disinfettare il sito d’inserzione con Neoxidina al 2% o Iodopovidone ed - applicare medicazione di garza (migliore assorbenza)- controllare frequentemente che il sito d’inserzione sia pulito ed asciutto

successivamente:- disinfettare il sito d’inserzione con Neoxidina al 2% o Iodopovidone - applicare medicazione trasparente (stabile adesione anche a contatto con l’acqua, immediata ispezione del sito d’inserzione, risparmio di tempo per il personale). Tale procedura deve essere ripetuta ogni 72 ore salvo complicazioni

- controllare frequentemente che il sito d’inserzione sia pulito ed asciutto

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Esempio pratico di Protocollo

Fase operativa

9. Verifica dell’efficacia/efficienza L’applicazione del protocollo nel gruppo campione ha ridotto del 20% ca. le infezioni associate a dispositivi intravascolari.

10. ValutazioneIn sede di riunione, visti i risultati prodotti dal protocollo si decide, in accordo con tutti gli Operatori, di adottarlo.

11.Eventuale rielaborazione

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Poiché spesso non è possibile separare nettamente la competenza medica da quella infermieristica, un efficace  strategia  per  la  costruzione  dei  clinical pathway  è rappresentata  dall’approccio interdisciplinare.  Tali  strumenti  assumono  spesso una  forte  connotazione  locale,  in  ragione  delle specifiche  condizioni  strutturali    in  cui  si  realizza l’assistenza medica ed  infermieristica nelle diverse realtà sanitarie,  (in  psichiatria  è fondamentale  la condivisione degli obiettivi e delle strategie). 

Considerazioni sui protocolli

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PROCEDURA

Si intende la “formalizzazione di una sequenza di comportamenti, anche piccoli, allo scopo di standardizzare un’attività infermieristica”.

Ossia la descrizione di un processo/attivitOssia la descrizione di un processo/attivitààche riguarda singole azioni infermieristiche che riguarda singole azioni infermieristiche

che si traducono nella pratica clinica che si traducono nella pratica clinica attraverso una tecnica.attraverso una tecnica.

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DEFINIZIONE

In sintesi, la procedura è solo quella parte del protocollo, che – come si è detto – serve a dettagliare le modalità con cui si realizza una determinata azione infermieristica. Il protocollo, invece, non si limita a questo, ma considera formalmente ‘problemi’ e ‘soluzioni’(perché lo si applica, per quali risultati).

PROCEDURA26

La  procedura  infermieristica  è considerata  la  forma  di standardizzazione più elementare. 

Essa formalizza una tecnica infermieristica semplice(ad esempio:  l’iniezione  intramuscolare,  il drenaggio posturale, il  rilievo  della  temperatura  corporea,  ecc.)  o  complessa (ad esempio:  il monitoraggio dei parametri clinici nel periodo post‐operatorio,  il  controllo  delle  infezioni  urinarie  nelle  persone portatrici  di  catetere  vescicale,  la  valutazione  dello  stato  di nutrizione‐idratazione, ecc.). Rappresenta,  pertanto,  uno  strumento  finalizzato prevalentemente  al  controllo  della  qualità tecnica  di  una sequenza  lineare di  comportamenti, anche  indipendentemente dalla sua appropriatezza.

PROCEDURA

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Questi esempi ci permettono di classificare alcune tra le principali tipologie di procedure:

•1)procedure dirette alla standardizzazione della pratica infermieristica, sia rivolta ad un individuo o ad un gruppo (es.: igiene dell’enterostomia);

•2)procedure dirette alla standardizzazione dei metodi e degli strumenti per la pratica infermieristica (es.: passaggio delle informazioni al cambio del turno);

•3)procedure dirette alla standardizzazione dell’organizzazione delle attività infermieristiche e tecnico-alberghiere (es.: acquisizione e distribuzione dei pasti)

PROCEDURA

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Procedure

Non esiste un’unica modalità di stesura di una procedura.

E’ fondamentale che alla sua redazione concorrano coloro che svolgono una determinata funzione

clinica

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Procedure

Schema di costruzione:

1. Definizione titolo2. Glossario sigle e definizioni utilizzate3. Definizione responsabilità e competenze degli

operatori4. Sequenza, modalità, tempistica dell’impiego risorse e

materiali5. Segnalazioni possibili complicanze6. Eccezioni all’applicazione7. Bibliografia8. Autori9. Data

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esempi di ‘oggetti di procedura’in ambito psichiatrico:

il colloquio infermieristico al momento della presa in carico dell’assistito; la distribuzione dei pasti in SPDC;il posizionamento dei sistemi di contenzione fisica; l’igiene personale del paziente sottoposto a TSO;la documentazione scritta dell’assistenza infermieristica erogata da consegnare all’assistito alla dimissione.

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Su cosa basarsi per la costruzione delle procedure?

Questo è l’aspetto veramente delicato della questione. Una procedura non nasce dal nulla e soprattutto non la si inventa inreparto o con il solo buon senso, per quanto ogni realtà di reparto sia sui generis, cioè connotata da proprie caratteristiche specifiche.oggi si afferma sempre più l’ l’Evidence Based Nursing, l’assistenza infermieristica basata su evidenze scientifiche, cioèprovata nell’efficacia da studi epidemiologici e clinici e da ricerche controllate.L’assistenza infermieristica è una scienza, non una tabula rasa e l’attività professionale si fonda su un complesso di conoscenze e risultati già acquisiti e comprovati da colleghi.Per questa ragione, la competenza più raffinata (e piùimportante) nella costruzione di procedure è, attualmente, quella legata all’accesso alla conoscenza infermieristica che già c’è, tanto più che oggi non viaggia solo su carta…

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Le banche dati33

Le banche dati34

Naturalmente, non c’è un’unica modalità che deveessere adottata per costruire una procedura. Ad ognimodo, è indispensabile che alla sua redazione concorrano inprimo luogo i ‘clinici’ e che si evitino approcci top-down generati da coordinatori, dirigenti, docenti o altro …

Ugualmente, è necessaria una piena condivisione da parte di tutti gli utilizzatori: non serve formalizzare una procedura se poi èrispettata solo da alcuni; a questo proposito, la migliore garanzia della massima condivisione è data dal lavoro di gruppo. Infine, devono essere codificate e condivise non solo le modalità di applicazione (quando la si applica, in quali situazioni, per qualiassistiti, ecc.) ma anche le modalità di aggiornamento continuo e revisione: anche su questo aspetto non esistono regole fisse.

Considerazioni sulle procedure

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Considerazioni sulle procedure

Ad esempio, il cosiddetto “incidente critico”, che può verificarsi in qualsiasi ambito o specialità può essere lo spunto per individuare delle procedure: tutti gli operatori si impegnano a monitorare, per un certo periodo di tempo, l’attività di reparto allo scopo di registrare (meglio per scritto) eventuali errori, lamentele ecc. Insomma, si cerca di individuare il problema più grave o più frequente di una realtà. Questa tecnica è facilmente applicabile anche se ha dei limiti.Il problema individuato diviene il punto di partenza per la costruzione delle procedure: il passaggio successivo consiste nel cercare di standardizzare tutte le attività che, variamente, incidono sul manifestarsi di quel determinato problema.

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PROCESSO DI ASSISTENZA INFERMIERISTICA

PROTOCOLLO PROCEDURA

comprende il processo diagnostico e la pianificazione, riferiti alla totalità dei bisogni di assistenza infermieristica di una o più persone assistite.

descrive i risultati attesi e l’insieme di azioni e procedure da attivare per la risposta ad uno o piùbisogni di assistenza infermieristica relativi ad una situazione clinica preventivamente nota.

descrive la modalità per l’esecuzione di un’azione infermieristica.

è un metodo infermieristico. è uno strumento; può anche essere pluridisciplinare.

è uno strumentoinfermieristico.

consente di valutare l’efficacia dell’assistenza infermieristica nella sua globalità.

consente di valutare l’efficacia di una o piùprestazioni infermieristiche.

consente di valutare l’efficacia e l’efficienza delle singole azioni infermieristiche.

è elaborato in progress ed èdocumentato nella cartella infermieristica.

è elaborato da un gruppoappositamente incaricato ed è archiviato nell’unitàoperativa; è consultabile presso la direzione infermieristica.

è elaborata dal gruppo professionale ed èarchiviata nell’unitàoperativa; è consultabile presso la direzione infermieristica 37

Esempio di Indicatori per la psichiatria

Generali

N. Ricoveri Volontari e TSO;N. Inserimenti in strutture riabilitative;Compliance della terapia farmacologica;N. di visite domiciliari effettuate (specificare il ruolo dell’operatore o degli operatori coinvolti)

Indici di qualità specifici per la psichiatria.

N. di progetti integrati presentati rapportati al n. di ricoveri effettuati;N. di progetti integrati presentati rispetto al n. di inserimenti in struttura;Livello di soddisfazione degli operatori rispetto ai rapporti interpersonali fra operatori;Livello di soddisfazione degli operatori rispetto ai progressi dell’ utente;Livello di soddisfazione degli operatori circa il rapporto con la famiglia;Livello di soddisfazione degli operatori circa il rapporto con l’utenza;

Identifichiamo e documentiamo degli indicatori per misurare il nostro

processo/attività/prodotto/servizio/ e per valutare la coerenza con quanto

percepito dal cliente.

QUESTIONARIO PAZIENTI-FAMIGLIE

Si/no non rilevanteSi ritiene soddisfatto del trattamento ricevuto a domicilio per la sua patologia ?Ritiene di aver ricevuto un trattamento terapeutico scrupoloso da parte dell’ équipe?Si ritiene soddisfatto del potere decisionale che le è stato concesso in merito al trattamento ed alla terapia?Ritiene che il personale abbia mostrato riguardo e/o rispetto per la sua persona?Ritiene di aver ottenuto le informazioni necessarie nel trattamento a domicilio?Il personale si rivolge parlando sempre in maniera comprensiva e cortese?Ritiene che l’équipe si sia mostrata competente durante i colloqui sul suo stato di salute?Ha trovato corrispondenza fra le informazioni ricevute dai diversi operatori dell’équipe?Ritiene di aver ottenuto il necessario sostegno umano da parte degli operatori dell’équipe?Ritiene soddisfacienti i contatti fra i suoi familiari e l’équipe curante?Ritiene che le terapie a cui è sottoposto siano gestite con efficienza ?Le è stato proposto il servizio home-maker come risorsa a domicilio?Ritiene soddisfacienti i contatti fra il suo medico curante e l’équipe psichiatrica? Si ritiene soddisfatto dei progressi fatti?Si ritiene soddisfatto per i rapporti interpersonali con il personale del servizio?Si ritiene soddisfatto per i rapporti con chi si prende cura di lui (familiare od altro)?

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INDICATORI di qualità perla famiglia ed il paziente

QUESTIONARI:

Livelli di soddisfazione per i progressi fatti dal paziente;

Livelli di soddisfazione per i rapporti interpersonali con il paziente in cura;

Livelli di soddisfazione con il personale del servizio.

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Creare un book delle attività di reparto

Il book di U.O. è uno strumento indispensabile perché permette agli operatori di orientarsi nella molteplicità dei processi .

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Come è fatto

Denominazione del Servizio o U.O.Nomi di tutti gli operatori recapiti e qualificheMappa delle attività svolte nell’U.O. e da chi vengono svolteProtocolli e Procedure in usoModulistica standard in usoIstruzioni per l’uso di tutta la documentazione esistenteIstruzioni di funzionamento di tutte le apparecchiatureLegenda per abbreviazioni o sigle in uso

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Conclusioni

Gli effetti benefici del trasferimento nella pratica clinica, percorsi clinico-assistenziali e procedure dipendono da numerosi fattori, dei quali i più rilevanti, in ordine alla natura dell’assistenza infermieristica, sono:

1. il giusto grado di flessibilità nell’interpretare ed utilizzare tali strumenti, in ragione della situazione clinica e delle caratteristiche individuali dei pazienti; diversamente, si incorrerebbe nell’eccesso di standardizzazione e nel conseguente approccio routinario alla cura della persona;

2. una cultura professionale ed organizzativa interdisciplinare e d’équipe, orientata alla qualità dei risultati, all’efficienza e, soprattutto, disponibile al cambiamento.

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Conclusioni

Ragionare di protocolli e procedure farà bene al paziente/utente e a noi, chiamati a nuove responsabilità e sottoposti a molti stress, primo fra tutti quello della trasformazione in atto della categoria, da ausiliaria a professionale, competitiva, universitaria, autonoma.Un percorso lento, ricco di ostacoli e incertezze, con sgambettiesterni e talvolta interni, ma che deve essere fatto.Per gli infermieri della psichiatria il percorso è appena tracciato, ma questo potrebbe essere un incentivo a lavorare sulle nostre necessità specifiche e trovare le nostre soluzioni.

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Materiale utilizzabile per la psichiatria

Allegato 3Allegato 4Allegato 5

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Flow-chart

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BIBLIOGRAFIA

•Avisani R., Boldi A., "Il protocollo nella pianificazione dell'assistenza infermieristica", in AA. VV., Guida all'esercizio professionale per il personale infermieristico, Torino, 1996; •Di Giulio P. (a cura di), Gli strumenti dell'assistenza. Protocolli, raccomandazioni delle società scientifiche, linee guida.•"L'Infermiere", n.5, 1997;•Lavalle T., Spairani C.,” Procedure, protocolli e linee guida di assistenza infermieristica”. Edizioni Masson;•Motta P.C., "Il processo di assistenza infermieristica", in Fumagalli E., Lamboglia E., Magon G., Motta P.C., La cartella infermieristica informatizzata. Uno strumento per la pianificazione e la misurazione del carico di lavoro, Torino, 1998;•Motta P.C., “Protocolli infermieristici: un inquadramento concettuale e metodologico”, Nursing Oggi, 4, 1998.•"Protocolli. Standard", in Cantarelli M. (a cura di), Un modelloprofessionale per l'assistenza infermieristica. Il passaggio da un'assistenza per mansioni ad un'assistenza per prestazioni. Milano, 1987;

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SITOGRAFIA

http://www.gimbe.org/gimbe/statement/ps_gc.htm

www.google.it

www.pubmed.org

www.ipasvi.roma.it

BIBLIOGRAFIA

•“Procedure, protocolli e linee guida di assistenza infermieristica”. ANIN

•Silvestro A., "Strumenti d'integrazione organizzativo - assistenziale: piani di lavoro, protocolli, procedure", Scenario, 4, 1994.

La tabella è tratta e modificata da: P.C. Motta, “Il processo di assistenza infermieristica”, in E. Fumagalli, E. Lamboglia, G. Magon, P.

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Grazieper l’attenzione

60

GIMBEGruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze

Evidence-Based Medicine Italian Group

®

Position Statement

Il Governo Clinico nelle Aziende SanitarieVersione 1.4 del 6 febbraio 2009

1

Copyright © GIMBE® - Tutti i diritti riservati

1. DEFINIZIONI 1.1. Cos’è il Governo Clinico • Il governo clinico (GC), liberamente tradotto da Clinical Governance, è una “strategia mediante la quale le orga-nizzazioni sanitarie si rendono responsabili del migliora-mento continuo della qualità dei servizi e del raggiungi-mento-mantenimento di elevati standard assistenziali, stimolando la creazione di un ambiente che favorisca l’eccellenza professionale1”.

• Il concetto di GC può essere riferito sia alla definizio-ne, mantenimento e verifica della qualità clinica, sia ai meccanismi di responsabilizzazione, gestione e governo dei processi assistenziali.

• L’efficacia del GC è condizionata dalla sua capacità di permeare tutti i livelli dell’organizzazione sanitaria, per consentire ai professionisti di raggiungere e mantenere elevati standard assistenziali: strutture e processi orga-nizzativi, meccanismi di valutazione e finanziamento, per-formance e qualità assistenziali, formazione continua e valutazione professionale.

• Il GC richiede un diverso orientamento della struttura organizzativa delle Aziende sanitarie, chiamate ad un ruo-lo attivo nello sviluppo degli standard di qualità che devo-no essere definiti, mantenuti e verificati dalla componente professionale. Considerato che la mission principale delle Aziende sanitarie è quella di fornire assistenza di elevata qualità, sono tutti i professionisti a divenire il riferimento assoluto per la governance dell’organizzazione.

Because clinicians are at the core of clinical work, they must be at the heart of clinical governance2

• Un sistema di governance dovrebbe fornire una rispo-sta appropriata ai “problemi selvaggi” dei sistemi com-plessi, caratterizzati da forti autonomie che si influenzano e si limitano a vicenda. 1.2. Cosa non è il Governo Clinico3 • Il governo dei clinici.

• Il governo dei manager.

• Un nuovo modello di “autoreferenzialità” (sistema di facciata) o di “autodifesa” del sistema o dei servizi.

• L’ennesima “ghettizzazione” della qualità assistenziale all’interno di uffici dedicati.

1.3. Le ragioni di una traduzione infelice • Il termine governance deve intendersi come la gestio-ne dei processi di consultazione e concertazione per il raggiungimento degli obiettivi. In tal senso, la governance non può essere imposta dall’alto o dall’esterno, ma con-segue all’interazione di molteplici attori che si autogover-nano, influenzandosi reciprocamente.

• Il termine governo corrisponde all’inglese government e definisce il potere normativo esercitato dalle istituzioni.

• GIMBE® propone di tradurre / interpretare Clinical Go-vernance in “governance clinico-assistenziale” che sottoli-nea:

- la non traducibilità del termine governance; - la maggior riduttività del termine “clinico” rispetto a

clinical, che caratterizza tutte le professioni sanitarie e non solo quella medica. 2. OBIETTIVI

• Governare l’estrema complessità delle organizzazioni sanitarie avendo compe duplice obiettivo:

- la promozione integrata della qualità assistenziale; - l’efficienza, in relazione alla sostenibilità economica.

• Ridurre, nella percezione della qualità assistenziale, il gap che esiste tra professionisti (libertà professionale in-condizionata) e manager (bilancio aziendale).

• Mettere a punto un sistema multidimensionale di indi-catori per monitorare la qualità dell’assistenza sanitaria, in termini di sicurezza, efficacia, appropriatezza, partecipa-zione degli utenti, equità, efficienza (figura 1).

Figura 1

Position Statement GIMBE® - Il Governo Clinico nelle Aziende Sanitarie

2

Copyright © GIMBE® - Tutti i diritti riservati

3. STRUMENTI • Tutti gli strumenti del GC (figura 2):

- non dovrebbero essere utilizzati in maniera spora-dica e/o afinalistica;

- non dovrebbero essere confinati esclusivamente all’ambito professionale, ma devono essere integrati in tutti i processi di governo aziendale: strutturali-organizzativi, finanziari e professionali.

Figura 2

3.1. Evidence-Based Practice

• Diffondere l’EBP core-curriculum tra i professionisti sanitari, che dovrebbero essere in grado di:

- formulare quesiti clinico-assistenziali; - ricercare, con la massima efficienza, le migliori evi-

denze disponibili; - conoscere i principi del critical appraisal: validità in-

terna, rilevanza clinica, applicabilità; - integrare le evidenze nelle decisioni clinico-

assistenziali.

3.2. Information Management • Acquisire a livello istituzionale:

- strumenti per la gestione delle informazioni scientifi-che: banche dati, editoria elettronica, internet, software di archiviazione bibliografica;

- competenze per valutare criticamente studi primari e secondari: revisioni sistematiche, linee-guida, HTA re-ports, analisi economiche, analisi decisionali. 3.3. Data Management • Migliorare l’interazione e la comunicazione tra i diversi sistemi informativi aziendali.

• Sviluppare i database clinici, facendo riferimento agli standard internazionali DocDat.

3.4. Linee Guida e Percorsi Assistenziali • Sviluppare metodologie per l'adattamento locale di li-nee guida (LG) e la costruzione di percorsi assistenziali (PA), abbandonando definitivamente l'inutile ambizione di produrre ex-novo LG.

• Al fine di definire PA evidence-based, condivisi tra i professionisti e adattati al contesto locale, GIMBE® ha ela-borato un framework che prevede diverse fasi:

- definizione delle priorità; - costituzione del gruppo di lavoro aziendale multipro-

fessionale; - ricerca, valutazione critica ed eventuale integrazione

delle LG; - analisi del contesto locale, adattamento delle LG e

costruzione dei PA; - pianificazione dell’aggiornamento dei PA; - definizione delle strategie di diffusione e implemen-

tazione dei PA; - definizione del panel degli indicatori di processo e di

esito; - verifica dell’impatto dei PA attraverso la pianificazio-

ne, conduzione e reporting del clinical audit. 3.5. Health Technology Assessment • Utilizzare modelli e report internazionali di HTA per riorganizzare le modalità di gestione aziendale (acquisto, manutenzione, dismissione) delle tecnologie sanitarie, specialmente se esistono input regionali alla loro gover-nance.

• Promuovere la diffusione delle tecnologie efficaci e la dismissione di qualunque tecnologia di efficacia non do-cumentata o, comunque, obsoleta. 3.6. Clinical Audit • Pianificare e condurre audit clinici che, confrontando l’assistenza erogata con standard definiti, permettano di:

- identificare le inappropriatezze, sia in eccesso, sia in difetto;

- verificare i risultati conseguenti al processo di cam-biamento, in termini di processo e, se possibile, di esito. 3.7. Risk Management • Considerare l’errore come “difetto del sistema” e non del singolo professionista.

• Diffondere la cultura della gestione del rischio, stru-mento di miglioramento professionale e organizzativo, senza farsi condizionare esclusivamente da problemati-che assicurative e medico-legali.

• Pianificare e implementare programmi aziendali di ge-stione del rischio clinico.

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3.8. Formazione continua, training, accreditamento professionale • Consolidare tra gli operatori sanitari la cultura della formazione continua, intesa come parte integrante della pratica professionale.

• Inserire le attività di ECM (in particolare, la formazione sul campo) nelle strategie multifattoriali mirate alla modifi-ca dei comportamenti professionali.

• Sviluppare strumenti per misurare la qualità tecnico-professionale, sino a definire criteri di training e accredi-tamento, standardizzando la valutazione di conoscenze, competenze e attitudini. 3.9. Research & Development • Diffondere tra i professionisti la cultura e gli strumenti della ricerca clinica e sui servizi sanitari, con particolare enfasi allo sviluppo della ricerca indipendente.

• Governare le modalità di coinvolgimento dell’Azienda e dei professionisti nella ricerca sponsorizzata, al fine di garantirne utilità sociale, metodologia, etica e integrità. 3.10. Staff management • Definire le strategie di management degli staff per va-lorizzare le risorse umane, in relazione alle attitudini, co-noscenze e competenze di ogni singolo professionista. 3.11. Partecipazione degli utenti • Coinvolgere i cittadini nella valutazione e nelle modali-tà di erogazione di servizi e prestazioni sanitarie, sia per-ché costituisce un loro diritto, sia perché il loro contributo può ridurre l’inappropriatezza della domanda.

4. ASPETTI ORGANIZZATIVI

• Nel pieno rispetto dei riferimenti normativi di politica sanitaria nazionale e regionale, è utopistico definire un modello organizzativo unitario per l’attuazione del GC.

• Alla luce della consistente variabilità delle Aziende sa-nitarie, oltre che dei Piani Sanitari Regionali/Provinciali, il modello organizzativo proposto nasce da un “ragionevole compromesso” tra:

- ponderata valutazione dei riferimenti normativi; - evidenze scientifiche sull’attuazione del GC; - esperienza maturata dal GIMBE® nella realizzazione

di progetti aziendali di GC. 4.1. Il modello organizzativo GIMBE® • In assenza di un modello dipartimentale ben struttura-to e funzionante, non sussistono i pre-requisiti organizza-tivi per una piena attuazione del GC in un’Azienda Sanita-ria.

• Considerato l’insuccesso dei progetti di GC attuati con modalità top-down, è indispensabile attuare gli strumenti del GC con modalità bottom-up, previa costituzione delle reti multiprofessionali per il GC.

• In una prima fase, dovrebbe essere costituita la rete dipartimentale dei facilitatori di GC; successivamente la rete dovrebbe essere ampliata a livello delle UO. Nel terri-torio le reti dovrebbero essere sempre innestate sulle strutture organizzative esistenti: dipartimenti di cure pri-marie, nuclei di cure primarie.

• Le reti per il GC (figura 3) dovrebbero essere struttura-te in unità trasversali di supporto metodologico alle attività di GC e il ruolo dei facilitatori riconosciuto con l’istituzione di ore dedicate.

Figura 3

• Per ottimizzare il coordinamento delle reti e dei proget-ti di GC, gli uffici di staff (governo clinico, rischio clinico, qualità, formazione, accreditamento) dovrebbero essere adeguatamente qualificati, oltre che sottoposti a un pro-cesso di riorganizzazione.

• La definizione degli obiettivi e dei progetti di GC do-vrebbe essere effettuata in occasione della concertazione del budget.

• In un’Azienda sanitaria possono essere identificati due livelli di attuazione del GC:

Livello Ambito Riferimento organizzativo Macro Azienda Collegio di Direzione

Meso Dipartimento Comitato di Dipartimento

• Non è possibile una piena attuazione del GC a livello micro (UO), spesso proposto nelle Aziende dove il model-lo dipartimentale non esiste e/o non è adeguatamente strutturato.

• Il Collegio di Direzione e i Comitati di Dipartimento do-vrebbero programmare incontri periodici dedicati alla pia-nificazione, valutazione e report delle attività di GC.

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• L’Azienda, oltre a monitorare e portare a termine i progetti avviati, dovrebbe evitare la loro proliferazione incontrollata, altamente predittiva di insuccesso. Quali indicazioni generali:

- livello macro: 2-3 progetti/anno, spesso su commit-tment regionale;

- livello meso: coinvolgere tutti i dipartimenti in alme-no 1 progetto (mono o interdipartimentale), evitando di impegnare ciascun dipartimento in più di 3 progetti/anno. 5. PROBLEMATICHE APERTE 5.1. Generali • Aspettative non sempre convergenti tra professionisti e manager.

• Assenza di un approccio epidemiologico alla pianifi-cazione dei servizi sanitari.

• Peso limitato delle evidenze scientifiche nelle macro-decisioni aziendali, specie se esistono tensioni tra appro-priatezza e volumi (e conseguenti rimborsi) delle presta-zioni sanitarie.

• Difficoltà nel conciliare gli obiettivi dell’Azienda Ospe-daliera (produzione) con quelli dell’Azienda USL (commit-tenza).

• Contrasti tra “interessi” aziendali, dipartimentali, di UO e professionali.

• Sistemi informativi aziendali inadeguati per raccoglie-re indicatori di qualità e/o scarsamente comunicanti tra loro. 5.2. Relative alle reti per il GC • Qualificazione professionale sugli strumenti del GC: acquisizione del Clinical Governance core-curriculum.

• Definizione di nuove responsabilità e ruoli professio-nali.

• Limitata percezione della necessità di “tempo dedica-to” per i facilitatori. 5.3. Relative agli uffici di staff • Necessità di qualificazione e riorganizzazione degli uffici di staff strettamente connessi alle attività di GC.

• Possibili tensioni con le reti per il GC.

• Necessità di integrazione tra attività di GC e progetti formativi aziendali, in particolare attraverso l’utilizzo della “formazione sul campo” (che riconosce crediti ECM solo in alcune Regioni).

Note bibliografiche

1 Piano Sanitario Regionale Emilia Romagna 1999-2001 2 Degeling PJ, Maxwell S, Iedema R, et al. Making clinical gover-nance work. BMJ 2004;329:679-81 3 Domenighetti G. Comunicazione personale. Febbraio 2006 • Trabacchi V, Pasquarella C, Signorelli C. Evoluzione e ap-plicazione dei concetti di Governo clinico e Clinical Governance in Italia. Ann Ig 2008;20:509-15 • Freeman T, Walshe K. Achieving progress through clinical governance? A national study of health care managers' percep-tions in the NHS in England. Qual Saf Health Care 2004;13:335-43. • Campbell SM, Sheaff R, Sibbald B, et al. Implementing clini-cal governance in English primary care groups/trusts: reconciling quality improvement and quality assurance. Qual Saf Health Care 2002;11:9-14. • Buetow SA, Roland M.Clinical governance: bridging the gap between managerial and clinical approaches to quality of care. Qual Health Care 1999;8:184-90. Authorship

• Il Position Statement è stato elaborato da Antonino Cartabellotta e Massimo Annicchiarico, con il contributo di Franco Berti, Marcello Cellini, Alfredo Potena, Maurizia Rolli, Gianni Rossi. Ringraziamenti • Si ringraziano tutti i colleghi che, in occasione dei workshop GIMBE® o tramite invio di specifici commenti, hanno contributo al Position Statement. Publication history • Pubblicato in formato elettronico (ver. 1.4) il 6 feb-braio 2009. • Pubblicato in formato elettronico (ver. 1.3) il 7 feb-braio 2008. • Pubblicato in formato elettronico (ver. 1.2) il 25 marzo 2007. • Pubblicato in formato elettronico (ver. 1.1) il 9 feb-braio 2007. • Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Sanità”, 21-27 febbraio 2006 • Presentato alla 1a Conferenza Nazionale GIMBE® (9 febbraio 2006) Note • Per citare il presente documento: Position Statement GIMBE® : Il Governo Clinico nelle Aziende Sanitarie. Dispo-nibile a: www.gimbe.org/gimbe/statement/ps_gc.htm • Inviare commenti e suggerimenti a: [email protected]

Atti del Convegno

Triage Psichiatrico Territoriale (TPT) e gestione infermieristica

delle urgenze in psichiatria

Relatori: Vincenzo Raucci

Giovanni Spaccapeli

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Programma

8.30 Registrazione partecipanti 9.00 Apertura lavori 9.15 Cenni storici e legislativi in ambito psichiatrico (Giovanni Spaccapeli -Vincenzo Raucci) 10.15 Organizzazione di un DSM: obiettivi e management (Giovanni Spaccapeli) 10.45 Coffee break 11.00 Triage psichiatrico: definizione e strumenti (Vincenzo Raucci) 11.45 Esercitazione di gruppo su casi definiti 13.00 Pausa pranzo

14.00 Urgenza-emergenza in ambito psichiatrico: strumenti e strategie (Giovanni Spaccapeli - Vincenzo Raucci) 15.00 La contenzione fisica, psicologica e farmacologica (Vincenzo Raucci - Giovanni Spaccapeli) 16.00 Esercitazione di gruppo sui metodi alternativi alla contenzione 17.30 Dibattito 18.30 Consegna questionari di gradimento e di valutazione 19.00 Fine Convegno

1a sessione

2a sessione

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“La storia non è soltanto una pura specu-lazione intellettuale: la comprensione del passato professionale può, infatti, favorire la consapevolezza dei problemi e delle si-tuazioni del presente”.

La storia dell’assistenza psichiatrica presenta caratteristiche originali e diverse rispetto alla storia della psichiatria, perchè non è ancora dotata di tutto il bagaglio documentario neces-sario per compararla a discipline infermieristi-che cosiddette canoniche. Riportare quindi la storia dell’assistenza psi-chiatrica, significa esplorare campi difficili come quelli della ricerca storica degli archivi ospedalieri che spesso sono andati distrutti o difficilmente consultabili. È necessario sottolineare che la storia dell’as-sistenza psichiatrica è piuttosto recente, infatti è da soli 200 anni che le persone affette da pa-tologie psichiatriche “godono” del riconosci-mento di tali patologie. Il merito di aver operato una svolta “culturale” è del medico italiano Vincenzo Chiarugi, a cui si attribuisce il merito di aver pensato al Manicomio ospedale e non Manico-mio carcere (primi dell’Ottocento). Anche in Francia il medico Pinel, in piena rivoluzione francese, maturò un nuovo atteg-giamento nei confronti della malattia mentale e per questo può essere considerato il padre della moderna psichiatria: separò il malato mentale dalle altre devianze sociali, e iniziò a considerarli come oggetto di indagine clinica riuscendo così a distinguere disturbi e sintomi, da interpretare come espressione di patologia individuale. Con questa prospettiva furono creati i primi luoghi di cura denominati Manicomi che ave-vano l’obiettivo di riportare alla razionalità, alla disciplina interiore ed alla buona condotta attraverso un programma educativo e il tratta-mento morale. EP O C A PR E-BA S A G L I A In riferimento al R.D. n°615, che annovera la Legge 104, si dice che il personale infermieri-stico era deputato esclusivamente alla custo-dia degli alienati.

Gli unici requisiti richiesti erano saper leggere e scrivere ed avere la residenza nei pressi del manicomio; l’art.34 recitava: “Gli Infermieri rispondono dei malati a loro affidati e della custodia degli strumenti impiegati per il lavoro”; questo immediato coinvolgimento giuridico spiega facilmente il rigido atteggiamento di sorve-glianza e custodia che lasciava poco spazio alla volontà del singolo di impegnarsi altri-menti. Il personale infermieristico veniva assunto con un semplice esame dopo un corso di prepara-zione della durata di qualche mese, dove si davano nozioni di psichiatria e soprattutto nozioni pratiche: sedare una crisi, mettere le fasce contenitive, fare il “cravattino”, assistere le persone durante la pratica terapeutica dell’ elettroschock, affinché ai degenti non venisse-ro provocate fratture, e così via. Pertanto il compito principale che aveva l’in-fermiere era bloccare la pericolosità del pa-ziente tanto che tra i requisiti richiesti vi era soprattutto la prestanza fisica. Erano considerati subalterni ai medici e condi-videvano con i malati molte limitazioni: ave-vano per esempio l’obbligo dell’internato e il divieto di dormire fuori dalle mura dell’istitu-to. Erano quindi ben lontani dall’essere conside-rati operatori sanitari attenti ai bisogni del malato. Da tali norme traspare vivamente la logica alla quale il manicomio era improntato: la maggior parte di queste norme furono abrogate solo nel 1980. Una prima vera innovazione avvenne nel 196-8, con la Legge n°341 “Provvidenze per l’assi-stenza psichiatrica”, nota come Legge Mariot-ti; con questa Legge si potenziarono gli orga-nici medici e infermieristici, si introdussero figure nuove quali lo psicologo, l’assistente sociale e l’igienista, e si crearono i primi centri di igiene mentale, cioè le prime strutture di assistenza e cura extraospedaliere. EP O C A PO ST-BA S A G L I A Dopo la chiusura dei manicomi, avvenuta de-finitivamente dopo quasi un ventennio dall’e-manazione della Legge 180, anche gli Infermie-

Cenni storici e legislativi in ambito psichiatrico

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ri vengono liberati con i pazienti. Si assiste durante questa fase ad un progressi-vo rafforzamento delle strutture territoriali in tutto il paese, anche se i ricercatori dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale Pubblica sottoli-neano che la diffusione delle diverse strutture deputate all’assistenza psichiatrica appare disomogenea, “a pelle di leopardo” secondo una definizione che diverrà consueta nel lessi-co della psichiatria italiana, privilegiando la concentrazione nelle regioni settentrionali e centrali a scapito di quelle meridionali. Il processo di trasformazione fu complesso e difficile, avvenne tra enormi conflitti interni, in particolare tra gli infermieri che non si sen-tivano tutelati nel loro nuovo posto di lavoro, SPDC e Centri Psico Sociali, e facevano fatica ad abbandonare il tradizionale ruolo di custo-di per assumere/esprimere le potenziali capa-cità assistenziali nei nuovi processi di cura e riabilitazione, tanto è vero che si preferì, tran-ne qualche caso isolato, mantenere quello stig-ma che inquadrava ancora l’infermiere nel suo ruolo storico di custode. Oggi si può dire che l’infermiere, a fatica, si sta appropriando di ampi spazi di autonomia e da una funzione di stampo custodialistico è transitato ad una di pianificazione assistenzia-le e di collaborazione attiva con l’equipe, pur non avendo cancellato ancora del tutto quello stigma che ogni tanto affiora e che ci pone sempre in una posizione di difesa. Il D.M 739/1994 asserendo che “la natura del-l’assistenza infermieristica è tecnica, educativa e relazionale” permette di trovare una guida all’assistenza infermieristica in campo psichia-trico, in quanto questi tre aspetti sono presenti in misura paritetica. • Aspetto tecnico interventi classici sanitari • Aspetto educativo interventi volti a fornire al malato e ai familia-ri: norme igieniche, dietetiche e comportamen-tali, motivazioni sull’importanza delle prescri-zioni terapeutiche, informazioni sugli effetti collaterali dei farmaci. • Aspetto relazionale interventi nei quali il professionista infermiere funge da mediatore relazionale per facilitare la comunicazione con la persona, appianare i conflitti interpersonali, familiari e sociali; la relazione con la persona è il fulcro centrale dell’intervento terapeutico. Promuovere il passaggio dell’ Infermiere che opera in campo psichiatrico, da un ruolo total-

mente passivo ad uno attivo ha significato, e significa ancora oggi, rivoluzionare drastica-mente un modo di essere e di porsi, anche al cospetto dello scenario dell’opinione pubblica e delle altre figure professionali che ci affian-cano nel lavoro di tutti i giorni. Tale evoluzione deve essere costantemente sostenuta, con verifiche e monitoraggi conti-nui, attraverso un coinvolgimento attivo di tutta l’equipe infermieristica. PA R T E NO RM AT I VA Il quadro storico della legislazione psichiatrica italiana può essere riassunto e schematizzato, ripercorrendone al tempo stesso alcune tappe fondamentali, che hanno in parte determinato e in parte seguito il diffondersi e il concretiz-zarsi delle esperienze di psichiatria territoriale e ospedaliera nel nostro paese. LA LEG G E N° 36 D E L 1904 La legge del 1904 e il relativo Regolamento n.615 del 1909 avevano istituito gli Ospedali Psichiatrici (O.P.) cioè i “Manicomi”. Si trattava di complessi normativi “speciali” per la Psichiatria che veniva collocata al di fuori dell’as-sistenza generale sanitaria in un contesto, cioè, in cui erano incluse tutte le “devianze”, indipendentemente dalla presen-za o meno di psicopatologia. Per tale motivo gli O.P. si connotarono come strutture segreganti ed a loro volta segregate, non solo dagli altri presidi sanitari ma anche e soprattutto dalla società civile. Chi veniva riconosciuto alienato (altro da sé, cioè fuori di sé) subiva un internamento pres-soché perpetuo, disposto non da un autorità medica, ma giudiziaria, attuato in base ad una generica presunzione di “pericolosità sociale” o di “pubblico scandalo”: la cura era subalter-na alle esigenze custodialistiche e, comunque, dopo 30 giorni di ricovero “coatto” il malato perdeva i propri diritti civili, per cui era consi-derato soggetto con totale ”incapacità giudi-ziale”, interdetto e quindi sottoposto alla no-mina di un tutore ed infine segnalato al Casel-lario Giudiziale. Tutto ciò portava al “ricovero definitivo” che concludeva, quello che doveva essere un pro-cesso di cura o almeno di assistenza, in una vera e propria criminalizzazione dell’ “alienato”. LA LE G G E 431 D E L 1968 (LEGGE MA -R I O T T I) Nella nuova Legge di riforma ospedaliera del

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1967 viene inserita una legge stralcio sull’as-sistenza psichiatrica, detta “Legge Mariotti”. In particolare, tale legge: a) riduce le dimensioni degli ospedali psichia-trici, stabilendo regole e delimitazioni ben de-finite: un massimo di 600 posti letto per OP, con divisioni dotate di un numero massimo di 125 posti letto; b) propone l’istituzione di divisioni di psichia-tria all’interno degli ospedali generali; c) sancisce un rapporto numerico tra persona-le di cura e ricoverati: il rapporto non deve esser inferiore a 1 operatore ogni 4 pazienti ricoverati; d) suggerisce un miglior intervento psicologi-co e psicosociale a favore degli assistiti ricove-rati negli ospedali psichiatrici; e) introduce il principio del ricovero volonta-rio come elemento che può rafforzare la quali-tà dell’osservazione diagnostica e dell’inter-vento terapeutico nell’ospedale psichiatrico; f) determina finalmente l’abolizione della regi-strazione dell’assistito ricoverato in O.P. nel casellario giudiziario (art.11); g) dispone l’istituzione di centri di igiene men-tale (CIM), strutture ambulatoriali finalizzate allo scopo di offrire un supporto terapeutico e sociale a quegli assistiti dimessi dall’O.P. e rientrati nel territorio di origine. Come abbiamo visto finalmente, nel 1968 (nell’art.4) venne prevista la possibilità del “ricovero volontario”, a “scopo d’internamento e cura”, per cui l’individuo non era più solo conside-rato come un eventuale pericolo, ma anche come il portatore di una sofferenza che doveva essere alle-viata. L’istituzione dei primi Centri d’Igiene Men-tale (CIM) concepisce così la possibilità di una cura al di fuori delle mura di un ospedale. LE G G E N° 180 D E L 13 MA G G IO 1978 In ambito psichiatrico, come abbiamo già vi-sto, l’aspetto legislativo assume una rilevanza fondamentale, perciò una pietra miliare della legislazione psichiatrica italiana è la Legge n° 180 del 13 Maggio 1978 “Accertamenti e tratta-menti sanitari volontari e obbligatori” (nota an-che come “Legge Basaglia”) che fu emanata grazie alla spinta di un referendum popolare per abbattere lo storico isolamento della Psi-chiatria dalle altre discipline sanitarie. Tale legge fu successivamente inglobata nella legge n.833, del 23 dicembre 1978, di Riforma Sanitaria Nazionale, per rientrare nelle compe-tenze delle Unità Sanitarie Locali, oggi trasfor-mate in Aziende Sanitarie Locali. Avvalendosi di un crescente consenso da par-

te del mondo politico e dell'opinione pubblica, il movimento psichiatrico, guidato dal prof. Basaglia, portò avanti, in quegli anni, la lotta all'ideologia ed alla prassi dell’ Ospedale psi-chiatrico, mediante brillanti esperienze locali di un progressivo smantellamento dei Manico-mi, con la ristrutturazione “innovativa” dei Servizi di Salute Mentale, cambiando la pro-spettiva di intervento: da un’ottica prettamen-te Ospedaliera ad una prettamente Territoriale (Gorizia, Trieste, Perugia). Prima però ci fu un tentativo nel 1973, quando venne inoltrata per la prima volta, di una ri-chiesta di incostituzionalità della Legge 36-/1904; tale richiesta venne però respinta dalla Corte Costituzionale. Sulla riforma del Sistema Sanitario Nazionale (S.S.N.), si innescò un ampio dibattito a livello parlamentare e nel successivo Progetto di Leg-ge presentato in Parlamento, trovò spazio an-che una proposta di riforma dell’Assistenza Psichiatrica. Con tale norma la malattia mentale, non era più considerata un’alienazione, cioè un pro-cesso che rendeva la persona, che ne era colpi-ta, un essere diverso ed assurdo ma la specifi-cità della follia non poteva più essere ricon-dotta alla sua supposta violenza e pericolosità dando la possibilità alla Psichiatria di rientrare in un contesto più chiaro qual è quello della prevenzione, cura e riabilitazione delle malat-tie mentali. Dopo più di settant’anni la situazione si era rovesciata: il ricovero volontario divenne la norma, mentre i provvedimenti obbligatori continuarono ad esistere, ma solo come atti eccezionali cui ricorrere in circostanze ben definite. L’ospedale psichiatrico venne per sempre can-cellato, permanendo ancora come fossile di un passato in via di superamento. Con la Legge di Riforma Psichiatrica Naziona-le cessava, almeno formalmente, la segregazio-ne del malato mentale, mentre si dava indica-zione di curare il paziente nel proprio contesto territoriale perché lì si creavano le condizioni per l’insorgen-za della malattia ed era nel ter-ritorio che si poteva meglio operare per preve-nire, curare e riabilitare. Ciononostante è rimasta nella legislazione una quota di restrizione della libertà personale (solo temporanea) per la quale ancora oggi qualsiasi cittadino può essere ricoverato con-tro la sua volontà in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, nell’ambito di un Ospedale Generale.

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Tutto ciò, però, non significa tanto che l’atavi-ca paura della follia è destinata a permanere come un nucleo irriducibile persino alle leggi più libertarie, quanto che esiste la consapevo-lezza che effettivamente, in certi momenti ed in certe situazioni, possano essere inevitabili dei passaggi coercitivi a carico del paziente. La differenza fondamentale è che quando la coercizione risulta inevitabile questa avviene in un contesto legislativo estremamente garan-tista nei confronti del soggetto in crisi. In effetti la Legge si ispira all’articolo 32 della Costituzione che afferma la tutela della salute come un diritto dell’individuo, ma d’altra par-te riconosce anche alla collettività un interesse nella tutela della salute stessa. Ciò consente l’introduzione degli Accertamenti e Tratta-menti Sanitari Obbligatori (ASO e TSO), non più per paura di un pericoloso alienato, ma nell’interesse generale della società a recupe-rare, in virtù di un intervento sanitario, un suo cittadino affetto da grave patologia psichica e pertanto momentaneamente irresponsabile. L’ASO ed il TSO non possono essere imposti al singolo solo nel suo esclusivo interesse, ma semmai quando è riconosciuto, oltre all’inte-resse del singolo, il superiore interesse della collettività che verrebbe compromesso dal rifiuto della cura. L’interesse della comunità non è quello di difendersi da una presunta minaccia portata dal malato mentale, quanto quello di assisterlo e di curarlo. La Legge 180 viene, così, recepita dalla Legge 833 negli articoli 33-34-35-64. L'articolo n°34 "Accertamenti e Trattamenti Sanitari Volontari e Obbligatori per malattia mentale (T.S.V. e T.S.O.)"; dispone il principio di territorialità: “la legge regionale nell'ambito dell'USL e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute, disciplina l'istituzione dei servi-zi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative e sono attuate di norma dai presidi e servizi territoriali extra-ospedalieri. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO (TSO) per malattia mentale, può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengono accettate dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che con-sentano di adottare tempestive e idonee misure extra-ospedaliere. Il ricovero deve essere attuato presso gli ospedali generali, in specifici Servizi Psi-chiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC)”. Pertanto le norme che regolano la possibilità

di effettuare un trattamento sanitario contro la volontà del paziente sono regolamentate in modo molto preciso e circostanziato: "[…] possono essere disposti T.S.O. nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e poli-tici […]" nei casi espressamente previsti, costituiti da: • Presenza di disturbi psicopatologici per cui si

ravvisi la necessità di urgenti interventi terapeu-tici.

• Rifiuto del paziente di sottostare ai trattamenti proposti.

• Impossibilità di attuare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere.

L'articolo n°35 definisce il procedimento da attuare per gli Accertamenti e Trattamenti Sanitari Obbligatori (ASO e TSO), in condizio-ne di degenza ospedaliera per malattia menta-le, e per la tutela giurisdizionale. In particola-re stabilisce che nei casi in cui il Trattamento Sanitario Obbligatorio debba protrarsi oltre il 7° giorno, il sanitario responsabile del Servizio Psichiatrico è tenuto a formulare la proposta motivata di prolungamento, dandone comuni-cazione al sindaco che ha predisposto il rico-vero indicando l’ulteriore durata presumibile del trattamento stesso. L'articolo n°64 definisce le norme transitorie per l'assistenza psichiatrica: "la Regione nell'ambito del Piano Regionale, disciplina il GRADUALE SUPERAMENTO DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI o NEU-ROPSICHIATRICI E LA LORO DIVERSA U-TILIZZAZIONE". La Regione a partire dal 1° gennaio 1979 isti-tuisce i Servizi Psichiatrici di cui all'articolo n°35, utilizzando anche il personale dei Ospedali Psichiatrici Pubblici. PR O G E TT O OB I ET TI VO “TU T E L A D E L L A SALUT E MEN T AL E 1994-1996” Indica come insoddisfacente il livello dei ser-vizi e delle modalità di intervento nel campo della salute mentale, propone di affrontare in maniera tempestiva ed efficace la questione del definitivo superamento degli ospedali psi-chiatrici, stigmatizza la progressiva delegitti-mazione che ha investito l’ex ospedale psichia-trico, non consentendo un graduale e adegua-to reinserimento dei pazienti nel contesto ter-ritoriale, rileva la mancanza di decisione poli-tica, amministrativa, e programmatica nell’ affrontare il problema del superamento dell’o-spedale psichiatrico, determinando uno stato di abbandono e inaccettabile degrado della condizione di vita dei ricoverati, indica la tipo-

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logia, il potenziale bacino di utenza (1 posto letto ogni 10.000 abitanti), la capienza massi-ma indicativa (max 20 posti letto per struttura) e le caratteristiche dei potenziali utenti delle strutture residenziali finalizzate “anche” alle attività in favore del superamento dell’ospe-dale psichiatrico, auspicando la promozione di specifici progetti per il superamento dell’ospe-dale psichiatrico. LE G G E N° 724 D E L 23 DI C E M B R E 1994 Sollecita le Aziende USL, le Regioni e gli altri Enti locali ad un particolare impegno, al fine di giungere alla definitiva chiusura degli ex-ospedali psichiatrici; Proibisce di fatto le "dimissioni selvagge"; Indica la necessita di elaborare progetti riabili-tativi personalizzati all'interno del Diparti-mento di Salute Mentale (DSM); Dispone che i progetti di deistituzionalizza-zione e riabilitazione vengano realizzati attra-verso la stretta collaborazione e comune re-sponsabilità tra l’unita operativa (UOP), che svolge la sua attività all'interno dell'ex-Ospedale psichiatrico, e quella operante nel Centro di Salute Mentale (CSM o CPS), prefe-ribilmente mediante l’elaborazione di appositi protocolli operativi; Dispone inoltre che: in caso di alienazione del patrimonio immobiliare, i redditi prodotti siano utilizzati per l’'attuazione di quanto previsto dal Progetto-obiettivo "Tutela della Salute men-tale 1994-1996", per interventi nel settore psi-chiatrico e per la realizzazione dei progetti re-gionali di attuazione del P.O.N. (Progetto O-biettivo Nazionale). LE G G E N° 662 D E L 1996 - ART I CO L I 1 , C O M M I 20-25 Dispone che entro il 31 gennaio 1997 le Regio-ni, sentite le Associazioni nazionali del settore e degli Enti locali interessati, adottino piani programmatici per la tutela della salute men-tale, in attuazione di quanto previsto dal Pro-getto-Obiettivo "Tutela della Salute mentale 1994-1996" (Comma 20); Modifica il dettato della Legge Finanziaria 1996, affermando che i beni mobili ed immobi-li, che appartenevano agli ex OP e che non trovino impiego per altre attività di carattere sanitario, devono essere venduti. Quanto rica-vato dalla vendita andrà a supportare l'attua-zione del Progetto-Obiettivo per la Tutela del-la. Salute mentale, approvato nel 1994 (Comma21); Invita le Regioni a valutare i risultati ammini-

strativi e di gestione conseguiti dal Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria nell’ambito della programmazione regionale per la defini-tiva chiusura degli OP, allo scopo di determi-nare la quota integrativa del trattamento eco-nomico del Direttore generale (Comma 22); Applica alle Regioni che per il 1997 non abbia-no osservato tale disciplina in ordine alla pia-nificazione di progetti per la tutela della salute mentale, una riduzione dei finanziamenti pari allo 0,5%, in sede di ripartizione del fondo sanitario nazionale. A partire dal 1998 la ridu-zione aumenterà al 2% (Comma 23); Impone alle Regioni di fornire al Ministero della Sanità dati trimestrali, relativi all’attua-zione dei progetti a tutela della salute mentale, che a sua volta il ministero trasmetterà sotto forma di relazione trimestrale al Parlamento (Comma 24); Indica alle Regioni la necessita di considerare i DIPARTIMENTI DI SALUTE MENTALE delle Aziende sanitarie locali tra i soggetti di prioritario interesse, ai quali destinare quote dei finanziamenti ex Art.20 della Legge 67/88 (Comma 25). PI AN O OB IE T T I VO "TU T E L A D E L L A SA-L U T E MENTALE" 1998-2000 Colloca la salute mentale tra le numerose te-matiche ad elevata complessità, per le quali si rendono necessari indirizzi programmatori specifici. In accordo con le indicazioni generali del Piano Sanitario Nazionale, il nuovo Pro-getto-Obiettivo contiene obiettivi specifici di salute, da perseguire, come finalità anche al di la del suo triennio di validità nominale. L'as-setto strutturale delineato dal precedente Pro-getto-Obiettivo viene confermato. Le motiva-zioni per un nuovo Progetto Obiettivo non risiedono quindi nella necessità di ulteriori cambiamenti nell'organizzazione delle struttu-re che si occupano di salute mentale, bensì nella definizione di interventi più incisivi sul piano programmatico, allo scopo di definire in modo specifico la "missione" del DSM. II nuo-vo Progetto Obiettivo 1998-2000 individua, infatti, gli obiettivi specifici del settore, com-pletando quanto enunciato nel Piano sanitario nazionale ed evidenziando gli interventi prio-ritari, le politiche e i programmi di Salute mentale. GL I OBI ETTI VI PR I OR IT A R I Fermo restando il compito di tutelare, in ogni sua forma, la salute mentale dei cittadini, l’o-biettivo prioritario è quello di assicurare la presa in carico e la risposta ai bisogni delle persone affette da disturbi mentali gravi, che

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presentano disabilita tali da compromettere l'autonomia e 1'esercizio dei diritti di cittadi-nanza e che sono ad alto rischio di cronicizza-zione e di emarginazione. Ciò si concretizza mediante la definizione e la realizzazione di progetti “emancipativi” che ricostruiscano il tessuto affettivo, relazionale e sociale delle persone, tramite interventi integrati volti all’-attivazione massima delle risorse, quantunque residuali. Va ribadito che una tale concezione esclude qualunque mandato di "custodia" e conseguente "istituzionalizzazione". A tal fine sono necessarie: L'attuazione da parte dei servizi di salute mentale di una prassi e di un atteggiamento non di attesa, ma mirati a intervenire attiva-mente e direttamente nel territorio (domicilio, luoghi di lavoro ecc..), in collaborazione con le associazioni dei familiari e di volontariato e con gli altri servizi sanitari e sociali; La formulazione per ciascuno di essi di un piano terapeutico-riabilitativo individualizza-to, con assegnazione di responsabilità e di sca-denze di verifica precise; L'integrazione in tali piani dell’'apporto di altri servizi sanitari, dei servizi socio-assistenziali e di altre risorse del territorio, in particolare per quanto riguarda le attività la-vorative, 1'abitare e i cosiddetti beni relaziona-li (produzione di relazioni affettive e sociali). L'applicazione delle strategie terapeutiche giu-dicate di maggiore efficacia, alla luce dei crite-ri della Medicina basata su prove di efficacia (Evidence Based Medicine). Il coinvolgimento delle famiglie nella formula-zione e nella attuazione del piano terapeutico riabilitativo: si sottolinea che tale coinvolgi-mento deve essere, ovviamente, volontario e che la responsabilità dell'assistenza è del servi-zio e non della famiglia; L'attivazione di programmi specifici di recu-pero degli utenti gravi che non si presentano agli appuntamenti o che abbandonano il servi-zio, in modo tale da ridurre anche 1'incidenza di suicidi negli utenti; Il sostegno alla nascita e al finanziamento di gruppi di mutuo-aiuto di familiari e di pazien-ti, e di cooperative sociali, specie quelle con finalità di inserimento lavorativo; L'effettuazione di iniziative di informazione, rivolte alla popolazione generale, sui disturbi mentali gravi, con lo scopo di diminuire i pre-giudizi e diffondere atteggiamenti di maggio-re solidarietà. Ciò aumenterebbe, fra l’altro, la possibilità di indirizzare i malati gravi ai ser-

vizi di salute mentale. Se l’'attenzione priorita-ria deve essere dedicata alla presa in carico dei malati gravi, è, tuttavia, opportuno che i servi-zi di salute mentale differenzino la propria attività clinica erogando assistenza anche alle persone affette da disturbi meno gravi, sia per aumentare la capacita d'offerta nei riguardi di patologie a crescente rilevanza epidemiologi-ca, sia per ampliare le potenzialità e gli inte-ressi professionali degli operatori. LE PO LI T I CH E E I PRO G R A M M I D I SA-L U T E MENTALE Per raggiungere gli obiettivi sovraesposti il DSM deve disporre di: • Strutture e risorse proprie; • Di un Servizio responsabile (senza possibi-lità di delega ad altri) della salute mentale del-la popolazione di un definito bacino territoria-le; • Articolazione del Servizio in presidi a di-versa funzione: ambulatoriale, domiciliare, residenziale diurna, residenziale notturna, ospedaliera, che devono coordinarsi tra loro; • Funzionamento del servizio mediante un'e-quipe multiprofessionale, i cui membri siano in grado di operare in maniera integrata su progetti di intervento condivisi: 1'equipe non va identificata con il Servizio nel suo insieme, ma è costituita dal gruppo ristretto che defini-sce il progetto individualizzato di trattamento, se ne fa carico e lo sviluppa sulla base della sua evoluzione; • Impiego di risorse interne per individuare e attivare risorse esterne al servizio stesso, for-mali e informali (Rete sociale); • Attivazione di una rivelazione permanente di dati che permetta 1'impiego sistematico da parte del Servizio del metodo epidemiologico valutativo, volto alla conoscenza delle caratte-ristiche dell'utenza alla valutazione delle pro-cedure utilizzate, e alla valutazione degli esiti in relazione sia ai risultati degli interventi sia alla soddisfazione di tutu gli attori coinvolti nel trattamento (pazienti, familiari, operatori). FU N Z IO N I • Definizione e mantenimento di una valida relazione terapeutica; • Valutazione dei disturbi psichici e somatici e dei problemi psicologici e sociali del pazien-te e di tutti gli aspetti rilevanti del suo am-biente; • Formulazione di un programma di tratta-mento conseguente ai risultati della valutazio-ne; • Rilevamento della attività di vita quotidia-

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na per provvedere alle necessità di quegli in-dividui che non sono completamente m grado di gestirsi in maniera autonoma;

Formulazione di interventi individuali che comprendano: • terapie biologiche; • terapie psicologiche; • interventi di gruppo psicoterapici, riabilita-tivi e di apprendimento sociale; • interventi psicosociali e riabilitativi alla famiglia e al contesto sociale. PR O C E D U RE • Coordinamento delle attività terapeutiche; • Dimensione longitudinale del trattamento, che deve protrarsi per tutto il tempo necessa-rio; • Dimensione trasversale del trattamento, che deve, in ogni singola fase del percorso lon-gitudinale, dare risposte adeguate alla soddi-sfazione dei bisogni della persona/ paziente; • Definizione degli obiettivi che devono esse-re correlati concretamente alla soddisfazione dei bisogni sanitari e sociali del paziente; • Gli obiettivi da perseguire devono essere mantenuti elevati (alto livello di sfida) suppor-tando il paziente nel tentativo di raggiungerli; • L'attività di supporto del Servizio non deve mai trasformarsi in attività di supplenza , gra-duando i livelli di stimolazione orientati a va-lorizzare le capacita dell'individuo. La stimo-lazione deve essere ottimale: pur mantenendo alto il livello di sfida non deve essere ne sopra ne sottodimensionata. • L'individuazione del livello di stimolazione ottimale si realizza anche con la promozione sistematica in ogni fase del trattamento della "contrattualità" del paziente. Il Dipartimento di salute mentale è, secondo il Progetto-obiettivo 1998-2000, la struttura più idonea a tale scopo; Ai DSM debbono,inoltre, essere assegnate ri-sorse adeguate dal Fondo Sanitario Regionale, in particolare quote di finanziamento debbono essere vincolate alla realizzazione di strutture residenziali e semiresidenziali (vedi anche art. 20 della legge 67/88 beni alienati agli ex ospe-dali psichiatrici ex 724/94). II DSM può essere articolato in moduli, che sono anche centri di costo, con direzione uni-ca, e che servono un bacino territoriale non superiore a 150.000 abitanti. LE G I S L A Z I O N E PS I CHI AT R I C A RE G I O N E LO M B A R DIA La Regione Lombardia nel 1979 con una prima Delibera identifica i primi ospedali presso i

quali istituire i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. Nel 1982 definisce con Delibera l'istituzione dei Centri Residenziali Terapeutici (C.R.T.) per i trattamenti a medio termine, finanzian-done 15, definisce, inoltre, gli organici di per-sonale per i Centri Psico- Sociali (C.P.S.) e po-ne le premesse per la riconversione degli O-spedali Psichiatrici. Nel 1984 definisce il PROGETTO OBIETTIVO dal titolo: "Tutela Socio Sanitaria dei malati di mente" piano ancor oggi esclusivo della Regio-ne Lombardia. II Progetto definisce e istituisce le UNITÀ O-PERATIVE DI PSICHIATRIA definendo aree di territorio, i parametri di assegnazione del personale e la tipologia dei presidi di cui de-vono poter disporre. Ogni Unità Operativa Psichiatrica (UOP) deve possedere almeno un Centro Psico Sociale in ogni USSL, a suo cari-co, e di un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) e di un Centro Residenziale Te-rapeutico (CRT). Per ciascuna tipologia di struttura il progetto definisce anche le caratteristiche edilizie, ag-giunge poi indicazioni di opportunità per quanto riguarda la creazione di Comunità Protette (CP). Un aspetto qualificante è la creazione del DI-PARTIMENTO DI SALUTE MENTALE (DSM). Esso rappresenta un organismo che non ri-chiede né strutture, né personale nè spese, ma deve svolgere l'importante compito di mettere a confronto, nell'ambito di un determinato territorio di più USSL, Unita Operative e ser-vizi diversi tra loro, sui problemi comuni. O-gni D.S.M. comprende e collega tra loro Ie U.O.P. con quello dell'ex Ospedale Psichiatri-co, con quello di Neuropsichiatria Infantile, con i Servizi di Assistenza di Base, e di Assi-stenza Sociale delle UU.SS.LL. che compongo-no il territorio di competenza di un determina-to D.S.M.. I D.S.M. devono occuparsi di salute mentale nel senso di esercitare un'azione di prevenzio-ne del disagio psichico, che richiede un inter-vento multidisciplinare. Legge Regionale n° 67 del 31 dicembre 1984 “Provvedimenti per la tutela socio-sanitaria dei malati di mente e per la riorganizzazione dei servizi psichiatrici” Legge n° 72 del 7 giugno 1985 “Aggregazione funzionale delle USSL al fine di costituire i dipartimenti di salute mentale e le unita ope-rative di psichiatria e di individuare i presidi

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psichiatrici”. La Legge Regionale n° 47 del 16 settembre '88 “Organizzazione e funzionamento del dipar-timento di salute mentale”definisce il nuovo Programma triennale per 1'attuazione di quanto non è stato incluso nei precedenti Piani regionali per la Psichiatria. Delibera del Consiglio regionale n.IV/1817 del 21 dicembre 1989. Programma di iniziative sperimentali per la tutela della salute mentale in esecuzione della Legge Regionale 31 dicembre 1984, n 67, "Provvedimenti per la tutela socio sanitaria dei malati di mente: secondo provvedimento". Legge Regionale n° 1 del 2 gennaio 1990. “Istruzione del servizio psichiatria presso il settore coordinamento per i servizi sociali”. Delibera del Consiglio Regionale n.IV/1953 del 21 marzo 1990. Programma di iniziative sperimentali per la tutela della salute mentale in esecuzione della Legge Regionale 31 dicembre 1984, n.67, "Provvedimenti per la tutela socio sanitaria dei malati di mente: terzo provvedimento". La Legge Regionale n° 5 del 4 marzo 1991. Modifica alla Legge regionale n.72 del 7 giu-gno 1985 "Aggregazione funzionale delle USSL al fine di costituire i dipartimenti di sa-lute mentale e le unita operative di psichiatria e di individuare i presidi psichiatrici". Circolare n° 45 del 2 luglio 1992. Settori assi-stenza e sicurezza sociale - Coordinamento sevizi sociali - Sanità e igiene - Indicazioni re-lative agli interventi socio-sanitari integrati nelle aree materno-infantile, della psichiatria, neuropsichiatria infantile, tossicodipendenza, alcool-dipendenza, e Aids; titolarità delle fun-zioni e degli interventi operativi, dipendenza gerarchica e funzionale degli operatori psico-sociali, interazioni e coordinamenti necessari. Delibera della Giunta Regionale n° V/1329 del 30 gennaio 1995 avente per oggetto il Pro-getto Obiettivo "Tutela socio- sanitaria dei ma-lati di mente triennio 1995 -1997" Il progetto obiettivo "Tutela socio-sanitaria dei malati di mente" approvato dal Consiglio Regionale ha come finalità la salvaguardia della salute men-tale nell'età adulta, per mezzo di interventi coerenti con i principi stabiliti dalla legislazio-ne dello Stato ed attuati nell'ambito del Piano Sanitario Nazionale e della programmazione sanitaria della Regione. PI AN O O BIE T T I VO R EG I O N A L E SALUT E ME N T A L E 2003-2005 Il “Piano per la salute mentale” è il frutto di un lavoro d'equipe al quale hanno partecipato

circa 100 esperti tra psichiatri, psicologi, rap-presentanti delle associazioni delle famiglie dei malati di mente, delle associazioni di vo-lontariato e del mondo del lavoro. Sono previste azioni per favorire: • l'ampliamento della libertà di scelta da par-te del malato e dei suoi familiari, con la possi-bilità di rivolgersi anche al “privato sociale”; • l'introduzione del “contratto di cura”, cioè di percorso terapeutico e clinico individuale, sottoscritto dal paziente, dalla sua famiglia e dall'equipe che lo prende in carico, garanten-do percorsi di cura personalizzati per i sogget-ti affetti da disturbi psichiatrici gravi e per i malati con maggiori bisogni e a maggior ri-schio di abbandono. Per questi pazienti è pre-visto l'istituzione del “case manager”, una figu-ra professionale impegnata a supportare co-stantemente sul malato durante le varie tappe della terapia; • la riqualificazione delle strutture residen-ziali psichiatriche, con una differenziazione tra strutture riabilitative e assistenziali, per rispondere in modo più efficace ai bisogni di ciascun utente; • le collaborazioni con il privato (inserimento del paziente in gruppi di auto-aiuto); • il sostegno nelle attività quotidiane dei ma-lati; • l'inserimento lavorativo; • la “residenzialità sociale” (istituzione di strutture come le case alloggio e gli apparta-menti protetti); • un maggior coinvolgimento delle famiglie; • la riqualificazione delle strutture; • la formazione e l'aggiornamento degli ope-ratori per una maggiore qualità dei servizi e delle cure. è un atto di recepimento della Legge Regiona-le 31/97, del P.O. nazionale “Tutela della salu-te mentale 1998-2000”, della legge 328/2000 di riforma dell'assistenza e si pone a completa-mento del percorso indicato dal P.S.S.R. lom-bardo 2002-2004.

Al riguardo, va ricordato che la Regione Lombardia con il P.S.S.R. 2002-2004 si è disco-stata dalle indicazioni che hanno ispirato la legge nazionale di riforma dell'assistenza del 2000 perseguendo una propria linea autonoma di revisione delle politiche di welfare nella direzione, di un “Welfare dei consumatori-utenti di aziende e organismi erogatori di pre-stazioni, tariffate, numerate, quantificate, ac-quisibili ovunque sul mercato pubblico e pri-vato.

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Contenuti Il Piano Regionale Salute Mentale lombardo assembla una grande varietà di contributi, elaborazioni e proposte protocolli e linee-guida, alcuni dei quali di valore, che danno corpo a un lavoro di integrazione teso a realiz-zare nei servizi gli assunti della “psichiatria di comunità”, in una direzione quindi, per certi versi, diversa da quella del welfare del consu-matore che ispira il P.S.S.R. 2002-2004. È diffu-samente sottolineata la dimensione comunita-ria dei servizi, la loro declinazione nella varie-tà delle situazioni locali, con un forte spinta al raccordo con la medicina di base, i piani di Distretto socio-sanitario, i Piani di zona (questi ultimi figli della 328/00), la partnership di utenti, famiglie, volontariato, cooperazione sociale, le risorse locali del privato profit e no-profit. Gli elementi di novità e maggior interesse del-la proposta di piano sono i seguenti: L'organismo di coordinamento per la salute mentale presso la ASL Proprio in ragione della spinta verso la comu-nità locale, il Piano prevede l'attivazione dell' “Organismo di coordinamento per la salute menta-le, da istituirsi da parte della ASL, d'intesa con le Aziende Ospedaliere che insistono sul suo territo-rio, coinvolgendo altri erogatori accreditati, Comu-ni e terzo settore. L'organismo possiede una strut-tura organizzativa propria, definisce un regola-mento relativo sia alla composizione e rappresen-tanza delle diverse articolazioni, sia all'organizza-zione delle attività e al calendario delle riunioni”. Tale organismo diventa il vero motore delle politiche di salute mentale (“analisi dei biso-gni del territorio, controllo e verifica delle atti-vità erogate, la definizione di previsioni di spesa (budget), gli inserimenti in strutture re-sidenziali, l'organizzazione di programmi in-novativi (…), la promozione di programmi di prevenzione e di educazione e gli interventi di rilievo sociale”). Ne fanno parte il direttore del DSM e i responsabili delle strutture complesse del DSM, il direttore del Dipartimento ASSI e il Direttore del Dipartimento Servizi Sanitari di Base dell'ASL, i rappresentanti delle strut-ture private accreditate, delle associazioni di tutela dei malati e dei familiari, dirigenti co-munali designati dalla Conferenza dei Sindaci della ASL. L'Organismo di coordinamento predispone il Piano Territoriale per la salute mentale che ha cadenza triennale, organizza annualmente la Conferenza Territoriale per la salute mentale, attiva i Tavoli a livello dei di-stretti socio-sanitari che a loro volta elaborano

Intese Distrettuali di programma fra ASL, A-ziende ospedaliere, Comuni, Associazioni, Enti riconosciuti (e fra gli esempi sono citati il Giudice Tutelare competente per territorio, i rappresentanti dei tutori dell' ordine pubblico e della polizia locale, i rappresentanti degli Istituti scolastici per le problematiche relative alle fasce di età giovanile ecc.). Come si vede, grande è l'enfasi sulla partecipazione e la inte-grazione di tutti i possibili soggetti delle attivi-tà finalizzate alla salute mentale. Per quanto riguarda la gestione dei possibili percorsi ter-ritoriali delle situazioni più complesse e diffi-cili, il DSM indica un referente prescrittore/responsabile del Piano di Trattamento Indivi-duale (P.T.I.) In nome della libertà di scelta dell'utente/cliente, è possibile che un progetto di presa in carico sia assunto da un DSM di-verso da quello competente per territorio. In tale caso il “gestore” ne dà notizia alla ASL che trasmette l'informazione all'Organismo di coordinamento. La riorganizzazione dell'offerta residenziale Un capitolo rilevante riguarda la proposta di riorganizzazione dell'offerta residenziale nella direzione della differenziazione delle Strutture Residenziali sulla base del livello di intervento terapeutico e riabilitativo da una parte e del grado di intensità dell'assistenza dall'altra. Ne consegue che: Gli attuali CRT diventano Comunità Riabilita-tive ad Alta Assistenza (CRA) con una degen-za della durata massima di 18 mesi per quanto riguarda l'età, possono accedere solo persone con età inferiore ai 50 anni. Le attuali Comunità Protette ad alta protezio-ne diventano Comunità Protette ad Alta Assi-stenza (CPA) con una degenza massima di 36 mesi. Le attuale Comunità Protette a Media Prote-zione diventano Comunità Protette a media assistenza (CPM). Alle CPA e CPM si accede con età inferiore ai 65 anni. Le attuali Comunità Protette a bassa protezio-ne diventano Casa famiglia, Casa alloggio, Appartamento autonomo Sono previste inoltre Comunità Riabilitative a Media Assistenza (CRM), vale a dire di nuovi servizi residenziali capaci di operare a costi più bassi. Sono adottati nuovi criteri di ammissione alle Strutture residenziali, in base alla diagnosi (escluse demenza primaria a grave ritardo mentale) ed all'età.

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La nuova classificazione nasce dall'esigenza di differenziare fra di loro strutture che tendono a fare le stesse cose allo stesso modo ed anche da quella di ridurre la spesa per la residenzia-lità protetta. Pertanto cambiano anche i criteri di finanziamento con una quota fissa a giorna-ta a remunerazione dell'offerta assistenziale e una quota variabile in ragione dell'intensità del progetto di trattamento. Per ogni utente inserito in una struttura resi-denziale deve essere elaborato un Progetto terapeutico-riabilitativo (PTR) coerente e fun-zionale al Piano di Trattamento Individuale (PTI). La bozza di piano tratta dell' intervento preco-ce nelle psicosi, dell'inserimento lavorativo,

degli interventi per i casi di “doppia diagnosi” per i quali è necessario sviluppare un forte raccordo con i SERT, i servizi per i disabili con ritardo mentale e disturbi dello sviluppo, i servizi per gli anziani non-autosufficienti, del trattamento dei disturbi da ansia, depressione, comportamenti alimentari. Specifici capitoli sono dedicati alla “psichiatria di consultazione” in Ospedale, alla qualità e alla promozione della qualità, alla formazione e a Carcere e OPG. Nello specifico si rimanda all’accordo quadro fra Regione Lombardia e Ministero della Giustizia del 3 marzo 2003.

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Innanzitutto bisogna specificare perché par-lando di tematiche sanitarie si deve necessa-riamente affrontare la questione del management. Con tale termine si può intende-re l'insieme delle tecniche di gestione delle organizzazioni, o il complesso delle funzioni di gestione. Orbene, verrebbe ancor più da chiedersi dopo tale definizione come mai si debbano affronta-re tali questioni, ma se facciamo mente locale e pensiamo alle ragioni che hanno portato all’e-manazione delle leggi 502/92 e 517/93 e 31-/97 capiamo l’importanza del management anche in campo sanitario. Le definizioni enunciate prima si calano all’in-terno di una organizzazione come quella di un dipartimento aziendale ospedaliero, nel no-stro caso di salute mentale. Il DSM Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) deve essere in grado di "fornire adeguati interventi ospedalieri (in alcune realtà anche territoriali) per l'acuzie, garantendo l'assistenza domicilia-re e gli interventi riabilitativi (semiresidenziali e residenziali) secondo gli standard stabiliti dalle norme regionali del 1995; il DSM può essere o tutto pubblico, o tutto privato. Il DSM diventa un dipartimento gestionale, secondo il documento del Piano di organizza-zione e Funzionamento delle Aziende Sanita-rie (POFA) della regione Lombardia. Al dipar-timento di tipo gestionale è attribuito un bu-dget unico. Il DSM opera per funzioni, con il superamento della logica per strutture della programmazio-ne regionale lombarda 1995-1997, ma anche di quella del P.O. nazionale 1998-2000; la funzio-ne della "presa in carico" per la gestione delle situazioni gravi è differenziata da quelle dell' "assunzione in cura" e della “consulenza”. Ne è a capo un Direttore, supportato da un Comitato Tecnico, e non più dalla Conferenza di Servizio. Il Piano conferma la collocazione del DSM dentro l'Azienda Ospedaliera, ma con una forte proiezione esterna alla ricerca di un radi-camento nei territori di competenza della ASL, nella sua nuova versione lombarda, dei Co-muni, attraverso i Piani di Zona, fino alla fa-

miglia e alle reti delle relazioni informali in cui sono immerse le vite quotidiane. Il DSM opera su ambiti provinciali, su dimen-sioni sovrapponibili a quelle della ASL (che potrebbero quindi non corrispondere a quelle dell'Azienda Ospedaliera da cui vede assegna-to il budget). Il DSM si occupa della salute mentale degli adulti, si deve raccordare con UONPIA, SERT, servizi per disabili e anziani non autosuffi-cienti, servizi specialistici ospedalieri, Diparti-mento ASSI e Medicina di base delle ASL, altri gestori, servizi sanitari del Dipartimento Am-ministrazione Penitenziaria (DAP). L'equipe psichiatrica svolge funzioni cliniche e terapeutiche, assistenziali, di integrazione del-l'approccio multiprofessionale, di intermedia-zione (case management). Una citazione doverosa è quella relativa all’in-fluenza che ha avuto la psichiatria militare su tutto il processo di rinnovamento avvenuto in America, e nel mondo in genere, dal dopo-guerra in avanti; e che si confà all’argomento in questione perchè alcuni principi sono dive-nuti punti focali nella pianificazione dei servi-zi. Essi sono: La prossimità - il trattamento deve essere for-nito il più vicino possibile al contesto in cui si vive; La tempestività - immediata identificazione e trattamento dei disturbi psichiatrici porta a risultati più vantaggiosi; La semplicità - il trattamento deve soddisfare i bisogni fondamentali dell’uomo: riposo, ali-mentazione e sostegno sociale; L’aspettativa - un rapido ritorno alle abilità “normali”, compromesse dalla malattia, deve essere interamente auspicato e realizzabile. UOP (Unità Operativa di Psichiatria) È un insieme di servizio atti ad erogare presta-zioni clinico-assistenziali, ma anche socio-educative, dimensionata in base al bacino d’u-tenza nel quale è collocata. La UOP fa capo al DSM ed è coordinata da un Direttore di Unità Operativa e al suo interno trovano collocazione tutti i servizi di seguito

Organizzazione di un DSM: obiettivi e management

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descritti. CPS (Centro Psico Sociale) È il presidio socio-sanitario che si occupa di salute mentale in ambito territoriale; si attua la presa in carico globale della persona (ma an-che la presa in cura o consulenza) attraverso la stesura del Piano di Trattamento Individuale (PTI). Esso si coordina con gli altri servizi del DSM e con i servizi istituzionali e non presenti sul territorio. Ambulatorio psichiatrico Simile al CPS si differenzia per: il minor orario di apertura e la dotazione di personale anch’-essaridotta. SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) È il servizio ospedaliero che garantisce il rico-vero in caso di acuzie alle persone affette da patologie psichiatriche; anch’esso si coordina con gli altri servizi del DSM. CRA (Comunità Riabilitativa ad Alta Assis-tenza) È il servizio residenziale che provvede alla realizzazione di progetti riabilitativi a medio e lungo termine (max 18 mesi), in apposita struttura protetta possono accedere solo per-sone con età inferiore ai 50 anni; anch’esso si coordina con gli altri servizi del DSM. CP (Comunità Protetta) Si tratta di strutture residenziali all’interno delle quali gli utenti, inseriti su progetti con

una degenza massima di 36 mesi , sperimenta-no forme più avanzate di autonomia. Si divi-dono in CP ad alta assistenza (CPA), dove gli operatori sono presenti 24 ore su 24, a media (CPM), con operatori presenti durante le ore diurne e le Case famiglia, Case alloggio o Ap-partamenti autonomi (già Comunità Protette a bassa protezione), dove gli operatori sono pre-senti a fasce orarie durante il giorno. Alle CPA e CPM si accede con età inferiore ai 65 anni. CD (Centro Diurno) È il servizio che garantisce interventi in semi-residenzalità, attuando progetti riabilitativi e risocializzanti a medio e lungo termine; si in-terfaccia col CPS del medesimo territorio. DH (Day Hospital) È il servizio che garantisce interventi in regi-me di ricovero giornaliero, e che eroga presta-zioni di tipo sanitario. Si interfaccia soprattut-to con il CPS e il SPDC. Le figure che operano nei presidi del DSM All’interno del DSM operano numerosi opera-tori di varie professionalità quali: Medici, Psi-cologi, Assistenti Sociali, Infermieri, Educatori Professionali, Terapisti della Riabilitazione Psichiatrica. Inoltre ai vari livelli possiamo trovare OSS, OTA, Ausiliari, Amministrativi. Ciò, quindi, implica per tutti gli operatori la capacità di saper interagire con altri professio-nisti e altri lavoratori nell’ottica di perseguire sempre la miglior risposta al bisogno di salute

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Il termine “triage” deriva dal francese “trier”, che significa scegliere, classificare, catalogare. Il sistema di “triage”, quindi, è uno strumento organizzativo pensato per gestire gli accessi non programmati ad un servizio per acuti. Tale processo ha la finalità di selezionare e classificare i pazienti in base al tipo e all’ur-genza delle loro condizioni. Non bisogna quindi confondersi con la visita medica specialistica, che seguirà comunque in base alle priorità stabilite dal triage. Il triage può essere svolto in luoghi diversi e, in ognuno, con diverse modalità, a seconda dei campi in cui viene applicato. Sorvolando i contesti nei quali è stato mag-giormente applicato, come nel D.E.A., ci occu-peremo di analizzare la possibilità, ovvero la necessità, di pensare e rendere praticabile il triage in ambito psichiatrico. I contesti possono essere sostanzialmente due: il territorio e il Pronto Soccorso ospedaliero. Al territorio daremo il significato più ampio di tale termine; diremo cioè che il territorio è l’intero bacino operativo dell’equipe del CPS (o CIM, o CSM), ovvero l’intero ambiente in cui vive il paziente, ambulatorio compreso. Presso il Pronto Soccorso, invece, adotteremo un sistema di triage più classico, di cui co-munque diremo nella seconda parte di questo intervento. TRIAGE PSICHIATRICO TERRITORIALE (TPT) Anche se a qualcuno potrà sembrare eccessivo parlare di scelta, classificazione, catalogazione delle urgenze psichiatriche, quasi fossero nu-merosissime, in realtà è opportuno che se ne discuta, anche alla luce dell’evoluzione nor-mativa (e organizzativa) degli ultimi decenni. Dalla riforma psichiatrica in poi (1978) abbia-mo assistito ad una lenta ma progressiva ap-plicazione di tale Legge attraverso la chiusura delle strutture manicomiali, l’apertura dei Centri Psichiatrici Ambulatoriali (come i CIM, i CSM, i CPS), di strutture più o meno protet-te, dei Centri Diurni, degli SPDC e così via. Sono stati avviati inoltre numerosi progetti innovativi, inserimenti lavorativi, affidi fami-liari: in poche parole abbiamo assistito ad un ritorno del paziente in seno al suo ambiente.

La gestione delle urgenze, dal ristretto ambito carcerario-manicomiale è stata trasmessa all’-ambito ospedaliero, prima, e all’intero territo-rio in cui vive, lavora e si cura il paziente, poi(1). Va da sé, quindi, che l’intera gestione delle urgenze psichiatriche deve essere organizzata e coordinata attraverso un efficace sistema operativo, che tenga conto delle numerose variabili ambientali nel nuovo contesto. Le suddette trasformazioni normative e orga-nizzative si ripercuotono, quindi, inevitabil-mente sul quotidiano operare dell’infermiere del territorio; situazioni di urgenza-emergenza, prima demandate ad altri, andran-no affrontate in prima persona attraverso fon-damentali elementi quali la formazione conti-nua e l’adozione di protocolli prestabiliti.

L’operatore da destinare ad un TPT dovrà, secondo noi, provenire da un percorso forma-tivo che tenga conto di alcuni fattori: • esperienza lavorativa minima in DSM di almeno due anni (di cui almeno la metà in SPDC) • stage documentativo in tutti i servizi del DSM (calibrato in base al valore didattico di ogni servi-zio in funzione del triage) • corso di formazione apposito (durata di almeno tre mesi e di almeno 90 ore) Va ricordato, a questo punto, quali sono i re-quisiti di base di un infermiere triagista(2): • diploma di infermiere, che secondo la nor-

(VARIABILI AMBIENTALI)

INFERMIERE

PROTOCOLLI

SISTEMA OPERATIVO

T P T (TRIAGE PSICHIATRICO TERRITORIALE)

Triage psichiatrico: definizione e strumenti

____________________________ (1) Il Progetto Obiettivo Regionale (POR) lombardo richiama la Legge 180/1978 per la gestione delle urgenze a livello territoria-le (2) Come da linee guida sul triage, atto d’intesa Stato-Regioni del gennaio 2001 (G.U. 285 del 7 dicembre 2001)

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mativa attuale corrisponde alla laurea di pri-mo livello in infermieristica o in titoli ad essa equipollenti (diploma universitario in scienze infermieristiche, diploma di infermiere profes-sionale) e nell’abilitazione professionale alla professione di infermiere; • almeno sei mesi di esperienza lavorativa in un Pronto Soccorso; • corsi di addestramento nel supporto vitale di base, anche pediatrico; • conoscenza delle procedure del sistema organizzativo del servizio; • corsi di psicologia comportamentale, di organizzazione del lavoro e di conoscenza di tecniche relazionali. Sono tuttavia giudicati indispensabili dal GFT(3) anche i seguenti punti: • un’ottima preparazione professionale: necessaria per stabilire, nei pochi minuti della valutazione iniziale, il grado di criticità dello stato del paziente. Per realizzare questa fun-zione occorre possedere, oltre alle competenze specifiche, una buona preparazione “generale”, sia dal punto di vista clinico-assistenziale (capacità di ragionamento clini-co) sia per quanto riguarda l’utilizzo del pro-cesso di nursing nella definizione dei bisogni della persona e nella pianificazione degli in-terventi (definizione delle priorità assistenzia-li); • un controllo dell’emotività propria e al-trui: saper gestire tutte quelle situazioni che si possono presentare, spesso in contemporanea, e che mettono a dura prova la capacità di con-centrazione, l’equilibrio psichico e il manteni-mento del controllo su quanto succede attorno all’operatore; • una capacità di adattamento: sapersi muo-vere all’interno di linee guida, protocolli e me-todologie di lavoro con una certa elasticità, adattandosi alla situazione del momento. Schemi troppo rigidi possono produrre, in alcune circostanze, effetti opposti a quelli desi-derati; • una capacità organizzativa: comprendere rapidamente ma in maniera sufficientemente esaustiva le situazioni, valutandole e allocan-do al meglio le risorse disponibili, nell’ottica del loro migliore utilizzo. Se ben gestite, le scelte organizzative attuate in triage favorisco-no in maniera rilevante l’efficienza del servi-

zio, garantendone l’efficacia; • una capacità decisionale: all’infermiere di triage viene richiesto di attuare scelte decisio-nali in tempi ristretti e sovente in situazioni complesse e caotiche: una buona capacità deci-sionale corredata dalla conoscenza degli speci-fici ambiti di autonomia e responsabilità per-mette all’infermiere di agire correttamente e nel rispetto dei tempi e dei vincoli imposti dalle situazioni; • una capacità comunicativa e disponibilità: l’infermiere ha bisogno dell’aiuto e della colla-borazione di tutte le figure con cui interagisce; è importante saper ascoltare e rispondere va-lutando volta per volta le situazioni, in modo da poter adeguare il proprio linguaggio e l’at-teggiamento alla persona che si ha di fronte; • curiosità: presuppone innanzitutto la capa-cità di verifica personale della propria attività (anche con momenti di confronto con le altre figure professionali) e la realizzazione di ini-ziative volte ad aumentare le proprie compe-tenze, acquisendo esperienza e sicurezza nel tempo. Questa caratteristica permette di man-tenere alta la motivazione dell’operatore e fa-vorisce la tendenza a perseguire livelli di per-formance professionale qualitativamente ele-vati. È auspicabile che OGNI infermiere operante in un servizio territoriale, in futuro, abbia svolto una formazione completa per operare in TPT. Un servizio psichiatrico territoriale dovrà ob-bligatoriamente farsi carico di gestire al me-glio le crisi, nella maniera più efficace ed effi-ciente possibile. Altro fattore auspicabile è che i servizi psichia-trici siano in grado di funzionare secondo il modulo “24/7/365”, ovvero con un’apertura al pubblico 24 ore al giorno per 7 giorni la setti-mana e per 365 giorni all’anno. Attualmente non ci risulta la presenza sul ter-ritorio lombardo di servizi territoriali psichia-trici aperti secondo il suddetto modulo; tale funzione andrà quindi vicariata, negli orari di chiusura, dai servizi di Pronto Soccorso e di SPDC (opportunamente corredati di apposito personale). Un servizio territoriale che si attrezzi per una buona applicazione di TPT dovrà possedere: • un parco automezzi proporzionato al nu-mero di operatori che vi lavorano e ai clienti ai quali si rivolge, onde intervenire tempestiva-mente anche fuori sede; • un numero telefonico dedicato alle emer-

____________________________ (3) Finocchiaro, Marchisio, Guerzoni e altri del GFT (Gruppo Formazione Triage), “Triage Infermieristico”, seconda edizione, McGraw-Hill, Milano, 15-16, 2005

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genze, possibilmente di sole tre o quattro cifre, al quale risponde sempre un infermiere di TPT; • un locale apposito, esclusivo per la gestio-ne dei casi urgenti; • protocolli operativi condivisi. RISORSE UMANE, SIA INFERMIERISTICHE, SIA MEDICHE La progettazione degli spazi interni di un ser-vizio psichiatrico territoriale dovrà tener conto del fatto che gli accessi ordinari (visite su ap-puntamento, assunzione di terapie, colloqui di supporto, medicazioni programmate, informa-zioni) dovranno seguire un percorso il più separato possibile da quello osservato dagli accessi urgenti e che ci sia la presenza, nelle immediate vicinanze dell’in-gresso, dell’infer-miere di TPT con un agevole accesso all’appo-sito locale di cui ai punti precedenti. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO Il lavoro si divide essenzialmente in due fasi: accoglienza e assegnazione dei codici. L’accoglienza rappresenta indubbiamente un momento estremamente importante, è il pri-mo approccio con l’utente, solitamente svolto da un infermiere, che segna in certo senso an-che la storia di quella persona riferita al mo-mento di urgenza, dell’immagine del servizio, ed è quindi fondamentale che chi accoglie la persona sia in grado di gestire le proprie emo-zioni e il proprio giudizio (generalmente mai richiesto e troppo spesso erogato). Per gli spazi va necessariamente individuato un ambiente tranquillo, dedicato e possibil-mente lontano dal luogo di insorgenza o di causa della crisi. A nostro parere andrebbe approntata una scheda come all’allegato 1. Per le strategie rimandiamo all’intervento spe-cifico sull’urgenza-emergenza. Per quanto riguarda l’assegnazione dei codici è necessario aderire alla classica suddivisione in quattro colori, come da triage ospedaliero, da noi personalizzati nel modo illustrato a lato. Mentre per il codice colore rosso va garantita un’immediata risposta al paziente, per gli altri codici è previsto anche un periodo di attesa, fatto di osservazione e monitoraggio costante dei vari parametri (compresi quelli vitali). Ovviamente il tempo di attesa e di frequenza dell’osservazione si dilaterà via via che il codi-ce colore assegnato apparterrà alla fascia me-

no urgente, cioè data la minore gravità tali situazioni tenderanno a rientrare nella routine del CPS. Si potrà quindi andare dai 15 minuti di un codice giallo ai 90-120 di un codice bian-co. Una cosa, su tutte, è fondamentalmente cam-biata: un tempo la crisi veniva gestita in un ambito circoscritto, il manicomio o il Pronto Soccorso come servizio d’elezione, mentre

oggi si cerca di governarla sul territorio. È per questo motivo che riteniamo necessario, oggi, parlare di TPT: una tempestiva gestione

Colore Legenda

Situazioni che richiedono un tem-pestivo intervento da parte degli operatori (medici e infermieri) e che necessitano, il più delle volte, di un ricovero urgente (agitazione psico-motoria, crisi pantoclastica, idee suicidarie, gesti auto-eterolesivi, isolamento e apatia prolungati, si-tuazioni organiche che richiedano un intervento di specialisti di altri settori).

Situazioni che necessitano di un intervento degli operatori (vedi sopra), che non sempre richiedono un ricovero urgente ma solo un monitoraggio costante; anche in considerazione della compliance terapeutica e della presenza o meno di figure di supporto alla persona (risorse di rete).

I codici rosso e giallo richiedono sempre l’intervento dello specialista psichiatra

Situazioni che spesso si presentano in maniera eclatante ma che si risol-vono dopo un colloquio infermieri-stico (gli stati di ansia non necessi-tano, solitamente, di interventi di altri operatori).

Situazioni che si presentano con richiesta di urgenza ma che dopo valutazione (e gestione) infermieri-stica si decide di differire.

L’assegnazione dei codici colore non sarà, ovviamente, definitiva ma potrà variare, po-sitivamente o negativamente, a seconda del-

l’evoluzione della crisi.

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del problema unita ad una corretta classifica-zione delle priorità potranno, nella maggio-ranza dei casi, ridurre il ricorso all’ospedaliz-zazione, con conseguente risparmio per la spe-sa sanitaria pubblica. Il triage sul territorio si effettua, quindi, non già per il numero degli utenti e per una neces-sità impellente di classificare e catalogare (anche se talvolta può capitare), ma soprattut-to per valutare un invio al Pronto Soccorso o una gestione del problema sul posto. La tendenza in crescita e comune a tutte le realtà sanitarie di ricorrere al pronto soccorso da parte di un numero sempre maggiore di cittadini, che ha già generato l'esigenza di uti-lizzare il triage nel pronto soccorso, ha ancor di più motivato la necessità di utilizzare il tria-ge sul territorio. TRIAGE PSICHIATRICO IN PRONTO SOCCORSO Innanzitutto va detto che in Pronto Soccorso si dovrebbero utilizzare gli stessi codici colore utilizzati per gli altri utenti (opportunamente adeguati), anche se spesso si nota la presenza di personalizzazioni stereotipate, dove i codici colore sono attribuiti solo in base al grado di ostilità e/o violenza del paziente, verso opera-tori e /o oggetti. I codici usati in PS sono:

casi gravissimi, con pericolo di vita ed in-tervento immediato dell’equipe sanitaria;

casi gravi con rischio di vita evolutivo, con priorità relativa, riducendo al minimo il tem-po di attesa;

interventi differibili; casi meno gravi per i quali il paziente a-

vrebbe potuto rivolgersi ad altre strutture am-bulatoriali o al proprio medico di famiglia, il caso verrà trattato una volta terminate le ur-genze. In Pronto Soccorso, ad ogni modo, bisognerà allestire un’apposita zona di triage psichiatri-co che tenga conto di anzidetti fattori, quali: preparazione di personale apposito, locale vuoto, arredato in maniera essenziale, proto-colli definiti e condivisi.

Sarà necessario dotarsi di un’apposita scheda di prestazione e valutazione (vedi allegato 1) che tenga conto anche di scale collaudate, co-me quella di Yudofsky* qui riprodotta. *Yudofsky Stuart C. : Neuropsichiatra che si occupa, principalmente, di classificazione di disturbi di personalità con comportamenti “antisociali”.

1 Verbale

2 Fisica contro oggetti

3 Fisica contro sé stessi

4 Fisica contro altre persone

Scala di aggressività evidente (Yudofsky, 1996)

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Dal Dizionario Garzanti: Emergenza - s. f. - 1 (rar.) l'emergere; ciò che emerge, che sporge - 2 situazione particolar-mente critica, difficile: in caso di emergenza; pia-no di emergenza | (stato di) emergenza, situazio-ne di pericolo grave e generalizzato su un cer-to territorio che impone alle autorità pubbli-che di prendere particolari misure | freno di emergenza, quello che serve in caso di avaria del freno principale. Urgenza - che deve essere fatto subito, impel-lente. Innanzitutto è opportuno distinguere le due definizioni nei rispettivi ambiti: quello sanita-rio classico e quello più strettamente psichia-trico. Dal documento SIARTI-AAROI del 1991 “criteri organizzativi per il trattamento delle emer-genze e delle urgenze in campo sanitario”, è emer-genza “qualunque circostanza che si presenti in modo improvviso, e con caratteristiche tali da pro-vocare conseguenze critiche, talora gravi, per la

salute degli individui che ne restano coinvolti”, e ancora “una condizione statisticamente poco fre-quente, che coinvolge uno o più individui, e per la quale sono necessari immediati e adeguati inter-venti terapeutici o il ricorso a mezzi straordinari di trattamento”. Qui si evidenzia l’occasionalità e la costante criticità dell’emergenza, precisando invece come urgenza: “una condizione statisticamente ordinaria in cui, pur non esistendo un immediato pericolo di vita, è tuttavia necessario adottare entro breve tempo l’opportuno intervento terapeutico.”. In psichiatria gli stessi termini vogliono defini-re situazioni differenti: l’“emergenza psichia-trica” è caratterizzata dalle circostanze o dal-l'ambiente; richiede un intervento urgente a seguito della rottura di un equilibrio con l'am-biente stesso (pseudo urgenza psichiatrica o e-mergenza sociale), mentre l’“urgenza psichiatri-ca” è lo stato psicopatologico acuto del pazien-te di per sé stesso, per sua intrinseca natura e indipendentemente dalle pressioni esterne a

Urgenza-emergenza in ambito psichiatrico: strumenti e strategie

Prima ancora di parlare di approccio all’urgenza psichiatrica è necessario ricordare a tutti noi quanto lo stigma circa la vera follia abbia sempre condizionato le azioni (e le reazioni) di ognuno di noi, operatori e non. Da sempre la nostra società, ma diremo l’intera umanità o, perché no, l’intero mondo animale, ha sempre avuto paura di ciò che non conosce, dell’ignoto, ovvero di ciò che memorizziamo (stigmatizzandolo) come fonte di pericolo. Il serpente, ad esempio, contiene in sé lo stereotipo del male, della cattiveria… immagine ancestrale che evoca il maligno nella sua forma più infida. Poco importa se la maggior parte di tali rettili sia in realtà mite, timida e che fugge ad ogni più piccolo rumore. Parimenti la follia, da sempre imprevedibile, incontenibile, disordinata, anarchica: nella società contemporanea, dove tutto deve rispettare i canoni preconfezionati di bellezza e perfezione tendiamo senza indugio a rifiutare, ghettizzare, contenere in ogni sua espressione diversa ciò che non è conforme ai suddetti canoni. Cosa potevamo aspettarci, d’altronde, se cinema e letteratura non hanno fatto altro che regalarci immagini ridicolizzanti (come il prototipo del comico svitato) o peggio del serial killer assetato di sangue? Se i mass-media non fanno altro che sbat-tere il mostro in prima pagina ogni volta che accade un inspiegabile fatto di sangue, criminalizzando anche le strutture sanitarie incapaci di prevenire il folle gesto dell’infanticida o dell’introverso massacratore? Quanti divulgatori del cosiddetto sapere di massa hanno saputo trasmetterci la vera immagine di un individuo solo, che vive in condizioni di disagio, ammalato, triste, impotente eppure portatore di risorse appena sopite, forse seriamente com-promesse ma spesso capace di insospettabili recuperi personali e sociali? Dal remoto passato in cui i matti venivano imbarcati su grosse navi e deportati verso mondi nuovi, dove più incerti erano i confini sia fisici sia dell’umana tolleranza, passando dalla creazione di strutture manicomiali sempre più grandi, enormi contenitori capaci di racchiudere campionari sempre più variegati di dolente umanità, via via fino ai giorni nostri, tempi di apparente, democratica tolleranza ma pregni di rigurgiti di nostalgia, di quando il matto veniva rinchiuso senza mez-zi termini e per periodi più lunghi, come suggeriscono alcune proposte di Legge in discussione al Parlamento, nulla sembra cambiato come risposta sociale verso il diverso, verso l’ignoto… verso la paura! E se lo stigma dell’atteggiamento verso il diverso è quello di rifiutarlo, di escluderlo dalla nostra vista, parimenti il nostro atteggiamento verso la crisi, spesso violenta, può essere di paura, fuga, oppure di contenimento, repressione. Ecco cosa, alla fine di questo corso, non dovremo più fare: ragionare in termini di contenimento, fuga. È necessario conosce-re (e far conoscere), con la consapevolezza che ciò che si conosce non si teme, i complessi meccanismi che si celano dietro una crisi e in tutto il periodo che ne completa l’iter.

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richiedere un rapido intervento. I quadri patologici più frequenti nelle urgenze psichiatriche sono: la Sindrome cerebrale acuta, l’Episodio mania-cale, l’Episodio depressivo melanconico, l’E-sordio schizofrenico o buffè delirante, le Psico-si confusionali, l’Intossicazione/astinenza da alcol, le Crisi d’ansia generalizzata e i disturbi da attacco di panico che determinano quadri sintomatologici d’intensa angoscia, i compor-tamenti presuicidari e parasuicidari, i quadri di psichiatria trans-culturale. Da sottolineare che possono presentarsi casi di urgenze miste (combinazione di disturbi so-matici e psichici acuti, ad es: ansia in corso di crisi cardiaca), urgenze pseudo-psichiatriche (patologia somatica che si presenta con sinto-mi psichici) e urgenze pseudo-somatiche (patologie psichiche che si presenta come ur-genza somatica, ad es le conversioni isteriche, le malattie psicosomatiche). PR I N CI P I GE N E R A L I D I IN T ER V E N T O S U L L A CR I SI Anzitutto va detto che durante una crisi non dovrebbero essere prese decisioni affrettate: spesso siamo condizionati dalla convinzione che sia necessario contenere la crisi con l’ausi-lio dei farmaci o mediante il ricorso a un rico-vero obbligatorio. La necessità pratica di far tornare quanto prima tutto nei range di nor-malità ci spinge, a volte, a prendere decisioni affrettate, non riuscendo in tal modo a definire l’effettivo grado di urgenza. Ma tutti noi dobbiamo sapere che va data priorità ad un fattore basilare : l’assessment. Va anche precisato che non è necessario, nelle situazioni d’urgenza, fare più di quanto sia richiesto dalla situazione stessa: da un lato perché non vi sono risorse per tutti, quindi esse vanno razionate garantendo una “sufficiente” risposta a tutti, e dall’altro per-ché dando più di quanto non sia necessario si creerebbero fenomeni di inutile dipendenza dal servizio. Dare più di quello che è necessa-rio ad alcuni pazienti può significare non ave-re risorse sufficienti da dedicare a tutti i pa-zienti in condizione di bisogno. Infine bisogna sempre prendere in considera-zione, durante una crisi, le necessità dell’inte-ro sistema di supporto del paziente (parenti, amici, vicini, forse dell’ordine, colleghi, opera-tori), ovvero bisogna considerare l’azione mi-gliore non solo tenendo presente le aspettative del paziente, ma dell’intera cerchia di persone

che in quel momento circonda il paziente. Questo perché spesso da loro dipende la “tenuta” della risposta all’urgenza data. L’AP P R O C CI O IN F E R M I E R I S T I C O IN UR -G E N Z A N EI SE R V I Z I D EL DSM Sia che l’intervento infermieristico avvenga in ambito degenziale (SPDC, CRA, CPA, CPM) o in ambito territoriale (CPS, Ambulatorio) l’at-teggiamento del professionista deve essere improntato ad instaurare una efficace relazione terapeutica che rappresenta l’obiettivo primario che si deve raggiungere e che caratterizza l’o-perare in psichiatria come aspetto fondamen-tale infermieristico. È necessario essere: • ATTIVI (è necessario saper dirigere una scena caotica, saper prendere decisioni, facen-do domande appropriate, facendo parlare uno alla volta, ascoltando tutto e tutti attentamen-te: è necessario, senzal’ausilio dei farmaci, sa-per contenere un livello di ansia solitamente, in situazioni di crisi, molto alto) • DISPOSTI AD ASSUMERSI RISCHI CALCOLATI (nelle situazioni di crisi spesso ci possiamo trovare a dover agire senza i rassi-curanti supporti ambientali, legali e professio-nali: potremo avere la necessità, ad esempio, di dover eticamente agire anche contro l’ap-provazione del paziente nell’unico interesse di salvargli la vita, impedendo che si faccia del male; potremo cioè trovarci a districarci nel nodo composto dal “diritto alla libertà di ogni cittadino” e dallo “stato di necessità”, entram-bi contemplati dalla giurisprudenza) • CALMI E CONTROLLATI (è necessario non farsi trascinare nella estrema confusione che spesso regna durante i momenti di crisi: il nostro atteggiamento, come tutte le nostre a-zioni, la postura, le parole, sono spesso un modello per il paziente, il quale alla nostra agitazione reagirà con maggior agitazione; se il paziente ci spaventa è necessario dirglielo, ma sempre mantenendo calma e controllo) • GARANTITI DA UN SISTEMA DI SUP-PORTO (in ogni situazione d’urgenza, in special modo quando ci si trova di fronte ad un paziente violento, è necessario garantirsi un sistema di supporto sia fisico, sia psicologi-co; bisogna aver cura, pur colloquiando con un paziente in una stanza vuota, di avere in prossimità colleghi o comunque risorse umane capaci di prestare man forte; inoltre, per raf-forzare una idea o una frase detta può essere necessario l’intervento di un secondo o terzo

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collega, oppure dei familiari, o ancora dagli agenti di polizia o da operatori dei servizi so-ciali, a conferma che quanto detto viene condi-viso dall’intero sistema di supporto, e non è frutto della volontà di persecuzione di un sin-golo operatore) • CAPACI DI CAPIRE LO SCOPO DI O-GNI INTERVENTO (durante la crisi di un soggetto noto al servizio è necessario, laddove possibile, attingere alla cartella ambulatoriale prima ancora di interferire e contraddire even-tuali decisioni prese dall’equipe curante) • CAPACI DI DISTINGUERE LA CRISI DA ALTRO (non sempre ciò che si presenta come crisi è davvero una crisi: la vera crisi non dipende dalla gravità del problema o dal suo grado di pericolosità, ma dalla sua insorgenza nuova e recente; se una persona si presenta con un’ansia forte dovuta ad un problema re-cente, allora si tratta di una crisi; diverso è se una persona si presenta con un attacco di an-sia dovuta a problemi che si trascina da anni; nel primo caso si tratta la crisi d’ansia, nel se-condo si interviene insieme a tutta l’equipe curante con un programma terapeutico atto a risolvere lo stato di crisi costante) La vera crisi si caratterizza dalla presenza di due fondamentali parametri: • Acuzie (repentina insorgenza dei sintomi) • Gravità (parametro che influenza la pro-gnosi) ASPETTI PRINCIPALI DA VALUTARE Durante il colloquio col paziente in urgenza è necessario fare una serie di valutazioni in base alle informazioni apprese, ma una rilevazione prioritaria va fatta in base alle seguenti tre categorie: • Ambiente di vita (Vive in un posto confor-tevole? È adatto a lui? In che contesto vive?) • Ambiente sicuro (Ha bisogno di essere messo al sicuro da danni che può cagionare a sé stesso o agli altri? Su chi possiamo contare perché si sorvegli sulla sua sicurezza? Per quanto tempo?) • Ambiente di cura (Ha bisogno di stare in un ambiente protetto? Per quanto tempo?) Ovviamente vanno esaminati altri aspetti, quali la presenza di un supporto sociale, di risorse formali e informali. A nostro parere andrebbe approntata una scheda come all’allegato 1.

QUALI ST RAT E G I E L’Infermiere deve saper mettere in atto i se-guenti presupposti: • creazione o individuazione di un ambiente sicu-ro ovvero libero da elementi di disturbo, ap-partato, con la presenza di meno persone pos-sibili (laddove la situazione la richieda e quan-do tale atteggiamento non compromette l’in-columità delle persone); • disporre del tempo necessario affinché il pa-ziente possa sentirsi libero di esporre le pro-prie emozioni e i propri vissuti relativi al mo-mento di difficoltà anche attraverso tecniche di facilitazione (empatia); • focalizzare la propria attenzione sui sentimenti del soggetto cogliendone le emozioni e facili-tandone l’espressione. Deve saper prendere la decisione migliore, nell’interesse del paziente, con decisione, chiarezza, e dichiarandola al paziente assumendosene la responsabilità. Sono pertanto da evitare: frequenti interruzio-ni durante il colloquio, atteggiamenti di sor-presa o emozione, scarsa disponibilità o ecces-siva protezione, propria interpretazione, inde-cisioni nell’agire che provocherebbero nel pa-ziente ulteriore angoscia. Inoltre l’infermiere deve tenere presente che avvicinandosi fisicamente al paziente entra in un suo spazio personale e può stimolare facil-mente una tra le forme più primitive di ag-gressività territoriale. La difesa del proprio territorio nelle persone violente e agitate si estende per uno spazio che è circa 4 volte più ampio di quanto non lo sia in un soggetto che non è violento. Per quanto concerne specifiche psicopatologie, è da rilevare che, ad esempio, in soggetti con spunti paranoidei, non bisogna avvicinarsi alle loro spalle, dove lo spazio deve essere sempre lasciato libero. Non ci si deve inoltre avvicinare al paziente con modalità rapide e decise in senso frontale, poiché ciò può essere percepito come un atteggiamento di confron-to, di sfida e può facilitare il passaggio all’a-zione aggressiva di difesa. È inoltre da evitare il contatto diretto e pro-lungato nello sguardo degli occhi del paziente: è spesso percepito da molti soggetti come una forma di invasività e di provocazione persona-le.

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Il R.D. n°615, art.60 capo IV così recitava : “Nei manicomi debbono essere aboliti o ridot-ti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con una autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’istituto”. Robert Gardiner Hill, direttore del Lunatic Asylum di Lincoln in Inghilterra, può essere considerato il primo avversatore della conten-zione del XIX° sec., egli ebbe il merito di ri-muovere dai ceppi tutti i suoi pazienti dimo-strando, in tal modo, che i metodi non costrit-tivi portavano ad un miglioramento delle con-dizioni dei pazienti, una maggior tranquillità ambientale e un atteggiamento più collaborati-vo dei malati. A 180 anni dalle esperienze di Hill, la conten-zione continua ad essere largamente praticata, non solo in ambiente psichiatrico, ma anche in altri settori della medicina come nei reparti o istituti geriatrici, pur in assenza di studi scien-tifici controllati sull’efficacia. Anche le linee guida e le raccomandazioni disponibili tendono ad allinearsi con quella che può essere definita una best practice pur-troppo magra di evidenze scientifiche. Nelle situazioni più critiche si può cercare di trattenere manualmente la persona e solo co-me ultima ratio va considerata la contenzione fisica.Il ricorso alla contenzione dovrebbe per-tanto avvenire solo in casi eccezionali, quando non esiste più altro modo per gestire la situa-zione. La prescrizione della contenzione deve essere fatta da un medico, che annota sia le ragioni che la durata di tale provvedimento, in cartel-la clinica e su un apposito registro contenzio-ni. E’ utile distinguere la contenzione fisica, nella quale gli operatori intervengono per bloccare fisicamente il paziente dalla contenzione mec-canica basata sull’utilizzo di mezzi o ausili omologati per limitare i movimenti (spondine, bendoni, corsetti ecc). Da sottolineare che, spesso, il ricorso alla con-tenzione meccanica deriva dall’insuccesso o dall’inapplicabilità della “contenzione farma-cologica” o più appropriatamente sedazione farmacologica.

La contenzione fisica di un paziente è un atto estremo che dovrebbe essere preso in conside-razione solo quando ogni altra procedura è fallita e ogni tentativo di stabilire un rapporto con la persona o individuare soluzioni di com-promesso è risultato vano. Ricorrere alla contenzione senza aver prima tentato ogni possibile azione è da considerarsi azione impropria e lesiva della libertà della persona La contenzione può essere giustificata solo da una condizione di pericolo che espone la per-sona o altri presenti a rischiare la propria inco-lumità e se non appropriatamente contrastata, può esporre il personale sanitario a un giudi-zio di imprudenza o di omissione di soccorso. LA FORMAZIONE DEL PERSONALE E’ l’elemento di maggior importanza nelle strategie di minimizzazione e nella riduzione degli incidenti legata a comportamenti aggres-sivi o violenti. Da una analisi della letteratura risultano due i filoni principali su cui agire: la prevenzione, ossia la precoce identificazione delle situazioni di rischio, e le tecniche di gestione dei com-portamenti aggressivi, prevalentemente di tipo cognitivo-comportamentale. Relativamente alle procedure di prevenzione riportiamo la metodologia del triage psichia-trico , strumento organizzativo volto a sele-zionare e ordinare gli accessi nei servizi per acutri, Il TP indica l’insieme delle azioni fina-lizzate alla valutazione della gravità e consen-te una rapida definizione delle priorità assi-stenziali e terapeutiche, la valutazione del pa-ziente all’ingresso in reparto, se fatta corretta-mente, permette di : identificare efficacemente le situazioni a rischio, mettere in atto azioni preventive e facilitare la trasmissione delle informazioni a tutto il personale di assistenza. Interventi comportamentali Comprendono tutte quelle tecniche che per-mettono all’operatore di gestire il rapporto con il paziente aggressivo-violento in termini di maggior efficacia e sicurezza, allo scopo di detendere la tensione e di recuperare la rela-zione con il paziente. Assumono perciò fondamentale importanza le

La contenzione fisica, psicologica e farmacologica

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tecniche di ascolto, l’osservazione e l’interpre-tazione delle modalità comunicative verbali e non verbali, ma anche la capacità di guidare il colloquio verso soluzioni interlocutorie che, esplorando , ad esempio, i bisogni della perso-na e le sue ragioni, possono condurci a trovare soluzioni più adeguate e vantaggiose per af-frontare meglio il momento di crisi. Tali tecniche hanno lo scopo di gestire la situa-zione in termini di sicurezza trasmettendo al paziente il convincimento che l’operatore ha la situazione sotto controllo e che si adopererà con decisione per impedirgli di arrecare dan-no a sé stesso o ad altri. Altre modalità di approccio presuppongono l’identificazione del problema, la definizione delle procedure per affrontarlo e per risolver-lo, e la loro pianificazione; il problema viene definito attraverso le diagnosi infermieristiche del North American Nursing Diagnosis Asso-ciation (NANDA) che, oltre ai fattori di ri-schio, identificano gli obiettivi e i traguardi da raggiungere a breve e lungo periodo. Relativamente al rischio di atti violenti gli in-terventi suggeriti vanno dalle indicazioni per l’operatore (accettazione del paziente, rinforzi positivi, disponibilità al dialogo) alle attenzio-ni per l’ambiente circostante (diminuzione degli stimoli, allontanamento di altre persone ecc.). La pratica della contenzione fisica deve sem-pre basarsi su specifici protocolli di appropria-tezza e di qualità, nel rispetto della sicurezza del paziente e del personale, ma soprattutto per prevenire gli abusi o per sopperire a ca-renza di personale. Alcuni punti da considerare come basilari e presenti in tutti i protocolli operativi sono: Utilizzo di pratiche sicure per il paziente e per il personale sanitario Uso di tecniche o ausili appropriati da parte degli operatori opportunamente addestrati Un sistema di revisione e monitoraggio conti-nuo Coinvolgimento attivo e continuo della perso-na nelle decisioni connesse al trattamento Individuazione e rispetto di specifici bisogni dell’individuo (sesso,età, religione ecc..) Rispetto della dignità della persona atta a ri-durre intrusioni nella privacy personale INTERVENTI AMBIENTALI Hanno lo scopo di prevenire condizioni che potrebbero indurre in una persona disturbata comportamenti pericolosi.

E’ noto che la persona nei primi giorni di rico-vero si trova esposta a condizioni ambientali che in genere non rispondono alle sue esigen-ze di: tranquillità, isolamento o di privacy. I reparti ospedalieri spesso ristretti, affollati, talora chiassosi, possono trasformarsi in atti-vatori della crisi; d’altra parte le capacità d’a-dattamento nei momenti di scompenso sono le prime a venir meno, così come la disponibilità e la tolleranza nei confronti degli altri, mentre aumentano la tensione, il disagio, l’irritabilità e la reattività. Gli interventi strutturali sull’ambiente e sull’-organizzazione hanno lo scopo di detendere la tensione, recuperare un livello di funziona-mento più adeguato ed evoluto che permetta al paziente di esprimere in modo più appro-priato e tranquillamente i propri bisogni: e-sempi in tal senso possono essere: separazione zona notte da zona giorno, disponibilità di sale ricreative, zone di maggior sicurezza, aree per attività motorie per scaricare la tensione ecc... EVENTI AVVERSI Pur non potendo affermare che la contenzione è un mezzo efficace in maniera scientifica, si deve mettere in risalto il ruolo dannoso che essa può avere sulla salute fisica e psicologica dell’individuo, in particolare se anziano. Traumi meccanici: • Strangolamento • Lesioni dei tessuti molli superficiali Asfissia da compressione della gabbia toracica Malattie organiche e funzionali • Aumento dell’osteoporosi • Incontinenza • Infezioni • Lesioni da decubito Diminuzione della massa, del tono, e della forza muscolare Sindromi della sfera psicosociale • Paura e sconforto • Depressione • Umiliazione • Stress Sfiducia I messaggi che arrivano al paziente soggetto a contenzione sono: • Pericolosità • Dipendenza: dipendere dall’infermiere che deve rispondere a ogni bisogno Spersonalizzazione: privazione della libertà che può inficiare la ristrutturazione del pro-prio IO.

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Sono purtroppo da registrare anche decessi dovuti ad uso improprio della contenzione, da una indagine condotta negli USA su 20 casi di decesso da contenzione fisica, nel 40% dei casi la causa di morte è stata l’asfissia, seguita da strangolamento, arresto cardiaco e incen-dio, tutti decessi da incendio sono risultati relativi a degenti che fumavano o che cercava-no di accendere sigarette. I principali problemi alla base dei decessi sono stati identificati in: • Valutazione medica affrettata o incompleta • Ispezione del paziente inaccurata • Inadeguata pianificazione degli interventi, la restrizione era stata attuata con finalità pu-nitive • La stanza o il reparto risultava/no inappro-priata/o • Assenza di procedure di osservazione e controllo del degente contenuto • Insufficiente addestramento, competenza e numero degli operatori Fattori legati alle attrezzature: uso di due pun-ti di fissaggio anziché quattro, uso di corsetti troppo alti, binario di spondine troppo alto ecc.. Da rilevare che dal 1990 ad oggi emerge che i danni e gli eventi avversi relativi all’uso im-proprio della contenzione, sono accaduti prin-cipalmente nell’area geriatrica e della disabili-tà, mentre un numero molto esiguo di casi riguarda la psichiatria. Concludendo è da sottolineare che qualora il ricorso alla contenzione sia ingiustificato si posso configurare i seguenti reati : sequestro di persona (art.605 C.P.), violenza privata (art.610 C.P.) e maltrattamenti (art. 592 C.P.), qualora per l’uso di mezzi di contenzione si procurassero danni alla persona assistita si può configurare il reato di Lesioni personali colpose (art. 590 C.P.). In altri paesi la contenzione è gestita diversa-mente; da pratica terapeutica è divenuta, nel tempo, pratica assistenziale, ad esempio in Inghilterra il ricorso alla contenzione non vie-ne deciso dal medico, ma proposta da due membri dell’equipe (che possono anche non essere medici), e deve essere avvallata dal/la caposala. Per completezza è utile rammentare che l’uso della contenzione è sempre vietato nei pazien-ti in età pediatrica (carta dei diritti del bambi-no ricoverato in ospedale - Consiglio d’Euro-pa).

IL FARMACO NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE VIOLENTO Non va dimenticato che nella gestione di pa-zienti agitati o violenti, non è raro ricorrere all’ uso indiscriminato di farmaci perché si è por-tati, istintivamente, a considerare necessarie, per sedare un paziente aggressivo, dosi più elevate di psicofarmaci. Si tratta di una reazio-ne a cortocircuito degli operatori (medici e infermieri) alle provocazioni del paziente. È utile ricordare che l'efficacia sedativa di un farmaco non ha alcun rapporto di proporzio-nalità con la pericolosità del paziente (De Mar-tis, 1994). La risposta interventista, il più delle volte è finalizzata a soffocare la nostra ansietà invece di reggere quella del paziente conte-nendo le emozioni e mettendo in ordine il caos psichico. Nelle situazioni drammatiche l’uso indiscrimi-nato di neurolettici rischia di compromettere, oltre che la salute del paziente, anche i suoi rapporti futuri con il servizio. È, invece, auspi-cabile creare un clima in cui la violenza, per-lopiù legata al panico del paziente, può essere stemperata, sdrammatizzata e contenuta. Si tratta di trovare la forma più adeguata di rela-zione che contempli fermezza e il rispetto del-la persona in uno stile che gli autori definisco-no soft. Qualora si renda necessaria la contenzione farmacologica per lo stato clinico del paziente è importante rimanergli accanto cercando di realizzare quella che Winnicot definisce fun-zione di Holding, ovvero un contenimento psicologico e affettivo del malato. Questa fun-zione si traduce nella capacità dell'equipe cu-rante di assorbire le proiezioni laceranti del paziente e di evitare controagiti impulsivi e di disinnescare ogni possibile circuito di aggres-sività. L’Infermiere quindi accanto a quella che può essere definite una buona attitudine alla relazione d’aiuto dovrà adottare quegli accorgimenti osservativi che gli consentano di evidenziare possibili effetti collaterali o indesi-derati della terapia farmacologica, che risulte-ranno strategici nel far accettare al malato la terapia farmacologica, in quanto rilevante ri-sulta essere l'informazione: fornire cioè spie-gazioni corrette e semplici sulla terapia che si sta somministrando, nonché sugli effetti inde-siderati prodotti dalla stessa. Per concludere il problema della contenzione non dovrebbe mai diventare una risposta data dal singolo infermiere, equipe o reparto ma bensì una questione da risolvere prima all’in-

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terno della nostra stessa società e nell’ambien-te culturale, da cui deriva ogni miglioramento verso la chiarezza della norma giuridica.Il la-voro infermieristico in psichiatria impone un ruolo, sia di tipo assistenziale-sanitario, sia di tipo relazionale-psicologico. È proprio a que-st'ultimo tipo che si impone una preparazione specifica dell'operatore, evidenziata da una impronta "psicodinamica", quale condizione necessaria per entrare in relazione terapeutica col paziente. L'infermiere si dispone ad osservare eventi psicologici e si trova inserito in un campo che implica inevitabilmente la circolarità di pen-sieri, emozioni, fantasie; dove il sintomo assu-me il suo pieno significato quando viene com-preso non più solamente inerente alla malattia o al paziente stesso ma come possibilità di comunicazione e di relazione.

Prendere atto della propria impotenza operati-va permette di tollerare meglio la frustrazione provocata talvolta dai pazienti, e meglio si può fronteggiarla se vi è consapevolezza di queste dinamiche indotte dal paziente, oltre che dei vissuti personali rispetto all'utilizzo di un particolare farmaco, in quel particolare pa-ziente. “Non è una novità individuare e rifiutare la sopraf-fazione dell’uomo sull’uomo; non è una novità cer-carne le cause, rifiutando di coprirle sotto il pregiu-dizio. Ma finché la sopraffazione e la violenza sono ancora il leitmotiv della nostra realtà, forse non si può che usare parole ovvie, per non mascherare sotto la costruzione di teorie apparentemente nuove il desiderio ultimo di lasciare le cose come stanno”

Franco Basaglia

1.1 Tabella 15 Linee guida di comportamento per la corretta assistenza ai pazienti confusi e agitati

Comportamenti da evitare • Non mettersi sullo stesso piano del paziente: non ritenersi offesi dalle sue affermazioni

o dai suoi comportamenti. • Non approcciare la persona da dietro né con richiami contemporanei a più persone. • Non ridicolizzarla, non molestarla, non usare nomignoli. • Non urlare. • Non dare informazioni errate. • Non manifestare paura o ansia che potrebbero aumentare la sua aggressività. • Evitare gli stimoli luminosi o sonori diretti o improvvisi. • Non costringere la persona confusa con la forza fisica o con altre forme di controllo

fisico poiché tali gesti verrebbero facilmente intesi come violazione del proprio spazio vitale.

• Evitare di ricorrere a mezzi di contenzione Comportamenti da adottare • Essere calmi, cortesi, trasmettere disponibilità. • Fermarsi a parlare qualche minuto: usare frasi brevi e chiare per facilitare la

comprensione • Incoraggiare la risposta. • Fargli capire che non gli si vuole far male. • Parlare stando di fronte: essere flessibili e tolleranti abolendo rigidità e rifiuto • Avere sempre il pieno controllo della comunicazione metaverbale che è quella più

facilmente compresa dal soggetto confuso, • Operare in maniera che sia una sola persona a gestire la relazione, se possibile chi

riscuote maggior fiducia nell'ospite. • Cercare di capire se c'è qualcosa che lo spaventa o le ragioni dell'eventuale

aggressività. • Analizzare ed ascoltare tutto quello che dice anche se incoerente • Evitare di parlare "senza senso". • Valutare se è meglio orientarlo alla realtà oppure se è più opportuno spostare la sua

attenzione su altri temi. • Cercare di identificare e mettere in relazione le cause al comportamento agitato.(es: • ostruzione urinaria, stitichezza, incontinenza, T.l.A. (Attacco Ischemico Transitorio), • febbre, sovradosaggio farmacologico o effetti collaterali dei farmaci, disidratazione, ecc.

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INTRODUZIONEL’ a rgomento della contenzione fisica delle persone assi -stite è oggi molto dibattuto tra i professionisti infermieri,soprattutto in ambito geriatrico e psichiatrico e, quindi,all’interno di strutture quali le case protette, le residenzesanitarie assistenziali, le case di riposo, i reparti psichiatri-ci, ecc. L’utilizzo di mezzi contenitivi, tuttavia, non èlimitato a questi soli ambiti. Spesso, infatti, viene rilevatoil ricorso alla contenzione anche in “setting” per acuti,vale a dire in unità operative ospedaliere di medicina ec h i r u rgia, servizi di Pronto Soccorso, ecc. In tali settoripuò manifestarsi una minore considerazione, da parte delpersonale infermieristico, delle sequele cliniche e degliaspetti legali e giuridici correlati all’uso (anche impro-prio) dei mezzi di contenzione fisica.

ASPETTI EPIDEMIOLOGICI E CLINICI L’uso di mezzi coercitivi per l’assistenza ai malati mentaliè presente da secoli. Solo a partire dalla metà delNovecento tale pratica è stata messa in discussione e sisono avviate ricerche volte ad inquadrare il fenomeno. InItalia, si stima che il ricorso ai mezzi di contenzione, insettori psichiatrici e geriatrici, abbia una percentualevariabile dal 20 al 50 % dei casi.

Nel 1980 il Congresso degli USA, poiché il fenomenonelle nursing homes aveva raggiunto proporzioni allar-manti, commissionò ad un Istituto di Medicina uno studiosulla qualità dell’assistenza. I risultati della ricerca diede-ro origine all’Omnibus Budget Reconciliation A c t(OBRA) del 19871. Tale documento contiene importantiprovvedimenti, tra i quali quelli relativi alla r i d u z i o n edella contenzione fisica e farmacologica in assenza digiustificazioni cliniche e di apposita documentazione.Altri studi di ricerca sono stati effettuati negli USA duran-te gli anni Novanta; ad esempio, alcune associazionigeriatriche, in risposta all’Health Care Financing

Administration ( H C FA) formularono nuove proposte diintervento per ridurre l’uso inappropriato dei mezzi dicontenzione.

In ogni caso, non sono disponibili, ad oggi, dati attendibi -li relativi all’uso dei mezzi di contenzione in setting pera c u t i . Uno studio-pilota2, condotto presso l’Ospedale SanR a ffaele di Milano, ha evidenziato che l’80% degli infer -mieri intervistati si è trovato nella condizione di applicaremezzi di contenzione fisica (29% spondine per letto intere,22% cintura per sedia, 15% bracciali a polsi o caviglie)durante l’assistenza infermieristica alle persone assistite. Lesituazioni cliniche più frequenti sono legate al disorienta-mento nel tempo e nello spazio (31%), alla prevenzionedelle cadute accidentali (27%), al trasporto in barella (24%).

ASPETTI GIURIDICI DELLA CONTENZIONEIl principale riferimento di legge s p e c i f i c o sulla contenzio-ne rimane l’art. 60 del R.D. n° 615 del 1909: “Nei manico-mi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamenteeccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non pos-sono essere usati se non con l’autorizzazione scritta deldirettore o di un medico dell’Istituto. Tale autorizzazionedeve indicare la natura del mezzo di coercizione (...)”.

Tuttavia, riferimenti giuridici di portata più generale, eriguardanti l’insieme dei trattamenti sanitari, sono conte-nuti nell’articolo 32 della Costituzione, che recita: “LaRepubblica tutela la salute come fondamentale diritto del-l’individuo e interesse della collettività, e garantisce curegratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a undeterminato trattamento sanitario se non per disposizionedi legge. La legge non può in nessun caso violare i limitiimposti dal rispetto della persona umana”.

La contenzione fisica della persona assistita, che si con-figura come atto coercitivo e quindi in contrasto con lalibertà della persona, è ammessa solo nei casi nei qualiessa possa configurarsi come provvedimento di vigilanza,

Linee guida per l’uso della contenzione fisica nell’assistenza infermieristica

Nadia PoliInf. AFD, Uff. Formazione,

Az. Osp. ‘Istituti Ospitalieri’di Cremona

Anna M.L. RossettiIID, Serv. Infermieristico,

IRCCS San Raffaele di Milano

PROCEDURE

Nursing Oggi, numero 4, 2001 59

Contenzione fisica

di custodia, di prevenzione o di cura, quindi solamenteallo scopo di tutelare la vita o la salute della persona af ronte di una condizione di incapacità di intendere e divolere che renda di fatto inattendibile ogni scelta o mani-festazione di volontà del soggetto. Il Codice Penale, infat-ti, prevede situazioni nelle quali la contenzione è giustifi -cata (art. 51 c.p., ‘Esercizio di un diritto o adempimentodi un dovere’; art. 54 c.p., ‘Stato di necessità’) o è dovuta,(art. 589 c.p., ‘Omicidio colposo’; art. 590 c.p., ‘Lesionipersonali colpose’; art. 591 c.p., ‘Abbandono di personeminori o incapaci’).

Qualora la contenzione fosse ingiustificata perchésostenuta da motivazioni di carattere disciplinare o persopperire a carenze organizzative o, ancora, per conve-nienza del personale sanitario, si possono configurare ireati di sequestro di persona (art. 605 c.p.), violenza pri -vata (art. 610) e maltrattamenti (art. 572).

Qualora, per l’uso dei mezzi di contenzione, si verifi-cassero danni alla persona (lesioni traumatiche, asfissia,patologie funzionali ed organiche...), si potrebbero confi-gurare altre ipotesi di reato, per responsabilità colposa(art. 589 c.p., ‘Omicidio colposo’e 590 c.p., ‘Lesioni per-sonali colpose’) o per violazione dell’art. 586 c.p. (‘Morteo lesioni come conseguenza di altro delitto).

ASPETTI DEONTOLOGICI ED ETICI DELLA CON-TENZIONEIn ambito professionale, si possono ritrovare specifiche indi-cazioni di natura deontologica relative alla contenzione, acominciare da quanto previsto dal nuovo Codice deontologi -co degli infermieri, promulgato nel maggio 1999. L’art. 4.11recita, infatti: “L’infermiere si adopera affinché il ricorsoalla contenzione fisica e farmacologica sia evento straordi-nario e motivato, e non metodica abituale di accudimento.Considera la contenzione una scelta condivisibile quando visi configuri l’interesse della persona e inaccettabile quandosia una implicita risposta alle necessità istituzionali”.

Dunque, per non incorrere nei reati di cui al precedenteparagrafo e per adempiere allo spirito ed alla sostanza deldettato deontologico che la stessa professione si è dato,l’adozione di un trattamento che contempli una pratica dicontenzione deve essere correttamente motivata e docu -mentata. A tale scopo e, dunque, nell’ottica di limitare ilpiù possibile il ricorso ai mezzi di contenzione, sono stateelaborate alcune linee guida di cui il professionista infer -m i e re può avvalersi per l’assistenza. Ad esempio, negliUSA, la prestigiosa Joint Commission on Accreditation ofH e a l t h c a re Org a n i z a t i o n s ha introdotto nel 1996 n u o v istandards relativi alla contenzione, applicabili in numero -si settori di cura della salute3.

L’ESPERIENZA DEGLI INFERMIERI DEL PRESIDIOOSPEDALIERO CREMONESENel 2001 la Prima Divisione di Medicina Generale delPresidio Ospedaliero Cremonese (POC) ha avviato unprocesso di revisione della metodologia infermieristica, in

particolare attraverso un percorso formativo ad hoc orien -tato alla produzione di strumenti operativi applicabili esperimentabili nell’unità operativa (procedure, protocollie linee guida).

Nell’ambito di tale iniziativa, un gruppo di infermieri siè specificamente dedicato all’elaborazione di linee guidaper la gestione della contenzione fisica.

La divisione di Medicina Generale è dotata di 60 postiletto ordinari e di 4 per Day-hospital. La durata delladegenza è mediamente pari a 8,3 giorni e l’unità operativaricovera pazienti con un’età media di 67,2 anni. Nel primosemestre 2001, i casi di pazienti ricoverati che associanoalla patologia primaria la necessità di una contenzionefisica sono risultati significativi. Questo dato non è rimastoinosservato agli infermieri, che hanno manifestato l’esi-genza di analizzare approfonditamente le problematichegiuridiche, etiche e cliniche connesse alla contenzione fisi-ca, allo scopo di dotarsi di linee guida condivise che con -sentano una gestione di migliore qualità dell’assistenza a ipazienti per i quali si giudichi appropriato il ricorso, sep-pure temporaneo, alla contenzione fisica.

Le linee guida rappresentano uno strumento indispensa-bile, anche per il fatto che non è possibile garantire unprocesso assistenziale efficace e rispettoso della dignitàdel paziente, in assenza di un documento formale che defi -nisca con chiarezza i criteri per:- analizzare i casi clinici in cui si considera utile ed

appropriato la pratica della contenzione;- scegliere il mezzo di contenzione più adeguato;- garantire un’omogeneità di comportamento nell’appli-

cazione e nel monitoraggio della contenzione.Per rispondere concretamente a tali esigenze, l’équipeinfermieristica ha utilizzato il momento formativo perfotografare la situazione “contenzione fisica” del proprioreparto, per analizzarla ed approfondirne i vari aspetti, peridentificare la popolazione interessata dal fenomeno ed,infine, per esplicitare gli obiettivi della prestazione infer-mieristica.

Il percorso si è concluso con la produzione di alcuni docu-menti, che riportiamo integralmente negli allegati al presen-te articolo (allegato n° 1: “Protocollo infermieristico per lapromozione dell’adesione al trattamento farmacologico,nelle persone con alterazione dello stato di coscienza e nonsupportate da caregivers”; allegato n° 2: “Protocollo infer-mieristico per la prevenzione delle cadute accidentali, nellepersone con alterazioni dello stato di coscienza e/o con alte-razioni della funzione motoria”; allegato n° 3: “Scheda dimonitoraggio dell’utilizzo dei mezzi di contenzione”).

Gli strumenti elaborati sono stati sottoposti a sperimenta-zione dal 1° Luglio al 30 Settembre 2001 ed attualmente gliinfermieri sono impegnati nell’elaborazione dei dati ottenu-ti. Sicuramente, con tale percorso, si è ottenuto da un latoun’attenzione e maggior responsabilizzazione in relazioneal fenomeno della contenzione fisica, dall’altro un miglio-ramento del processo assistenziale quotidiano e certamenteuna maggiore consapevolezza nell’agire infermieristico.

Nursing Oggi, numero 4, 200160

Procedure

NOTE1. E.L. Siegler, E. Capezuti, G. Maislin, M. Baumgarten, L.

Evans, N. Strumpf, “Effects of a Restraint ReductionIntervention and OBRA. Regulations on Psychoactive DrugUse in Nursing Homes”, JAGS, 1997, 45: pp. 791-796.

2. U. Angeli, Indagine conoscitiva sulle conoscenze e compe -

tenze infermieristiche nell’ambito della contenzione fisica,tesi di diploma DU per Infermiere, a.a. 1999-2000; sintesipubblicata in Nursing Oggi, 3, 2001.

3. L. Palmer, F. Abrams, D. Carter, W. W. Schluter, “ReducingInappropriate Restraint Use in Colorado’s Long Term CareFacilities”, The Joint Commission, February, 1999, pp. 78-94.

Protocollo Infermieristico

PROMOZIONE DELL’ADESIONE AL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO, N E L L E P E R S O N E C O N A LT E R A Z I O N E D E L L O S TATO D I C O S C I E N Z A E N O N S U P P O R TAT E D A C A R E G I V E R S

1. APETTI NORMATIVI SULLA CONTENZIONE FISICA

- Principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Costituzione italiana)- Consenso all’atto terapeutico (art. 32 Costituzione italiana)- Chiunque abusa di mezzi di contenzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui

affidata per ragione di educazione, cura o vigilanza, ovvero per l’esercizio di una professione, è punibile, se dal fattoderiva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (…)” (art. 571 Codice penale)

- Difesa della libertà e della dignità della persona (art. 2 Codice deontologico dell’infermiere, art. 5 Codice deontologicodel medico)

- “L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione fisica e farmacologica sia evento straordinario e motivato, enon metodica abituale di accudimento. Considera la contenzione una scelta condivisibile quando vi si configuri l’inte-resse della persona e inaccettabile quando sia una implicita risposta alle necessità istituzionali” (art. 4.10 Codicedeontologico)

- “L’uso non giustificato dei mezzi di contenzione potrebbe anche tradursi in accusa di aggressione e violenza” (art. 610Codice penale)

- “Va dall’altro canto ricordato che se ricorrono gli estremi dello stato di necessità (art. 54 Codice penale), la misura dicontenzione (sempre proporzionale al pericolo attuale di un danno grave non altrimenti evitabile) non solo può, madeve essere applicata se non si vuole incorrere nel reato di abbandono di incapaci” (art. 591 Codice penale)

(Allegato 1)

PROCEDURA

AZIONI

Identificazione delle persone chenecessitano di contenzione per l’a-desione al trattamento: - raccolta dati all’ingresso per ogni

persona assistita; - valutazione dello stato di coscien-

za della persona che deve esseresottoposta a terapia;

- valutazione del grado di collabo-razione del paziente tramite collo-quio;

- valutazione d’équipe sulla realenecessità dell’utilizzo del mezzodi contenzione.

RISORSE

- Infermiere; - scheda di valutazione infermieri-

stica; - diario infermieristico.

DESTINATARI

Pazienti affetti da:- malatt ie a carico del S.N.C.

(malattia di A l z h e i m e r, demenze,Morbo di Parkinson, ecc.);

- cirrosi epatica; - stato confusionale (nel paziente

anziano); - sindromi tossico-carenziali (alcool

o sostanze stupefacenti); - malattie psichiatriche.

(continua)

Nursing Oggi, numero 4, 2001 61

Contenzione fisica

PROCEDURE PER L’USO DEI MEZZI DI CONTENZIONE

Elenco dei presidi utilizzati in reparto a scopo di con-t e n z i o n e :

Descrizione e applicazione:- Spondine per letto:

Ne esistono di diversi tipi: possono essere a scatto e giàapplicate al letto di degenza o essere asportabili daparte del personale. Non vanno mai utilizzate se esistela possibilità, da parte del paziente, di scavalcarle.

- Bracciali di immobilizzazione: Sono solitamente in gommaschiuma o in poliuretano erivestiti in materiali morbidi e traspiranti, come il vello.Possono essere regolati tramite chiusure in velcro erobuste cinghie di fissaggio con fibbie. Possono anche

essere utilizzati in situazioni di emergenza nel caso diauto-eterolesionismo.

Ulteriori raccomandazioni:- La contenzione non può essere imposta per più di 12

ore consecutive salvo che non lo richiedano le condizio-ne del soggetto.

- Durante il periodo di contenzione garantire al paziente lapossibilità di movimento e di esercizio per non meno di10 minuti ogni 2 ore con esclusione della notte.

- Valutare ogni 3-4 ore l’eventuale insorgenza di eff e t t idannosi direttamente attribuibili alla contenzione.

- Il comfort e la sicurezza del paziente sono entrambi daperseguire durante il periodo di contenzione.

AZIONI

Informazione al paziente ed ai suoifamiliari: - spiegare l’importanza e la neces-

sità dell’esecuzione della terapia; - rassicurare il paziente (tranquilliz-

zarlo, stargli vicino), informandoloche la contenzione verrà rimossaal termine della terapia.

Ratifica dell’uso del mezzo di con-tenzione nella documentazione clini-ca della persona assistita: - prescrizione medica sul diario cli-

nico; - annotazione sul diario infermieri-

stico; - compilazione della scheda infer-

mieristica.

Utilizzo del mezzo di contenzione: - scelta del mezzo di contenzione

adeguato: - bracciale di contenzione; - spondine per il letto.

Posizionamento del mezzo di con-tenzione:- bracciale: avvolgere il bracciale al

polso del paziente in modo chenon sia troppo stretto, fissandoloal letto così che il paziente abbiaun limitato grado di movimento;

- spondine: applicarle al letto, assi-curandosi che siano fissate cor-rettamente.

Controllo ogni trenta minuti del cor-retto posizionamento del mezzo dicontenzione.

Al termine del trattamento, rimozio-ne del mezzo di contenzione.

RISORSE

- Infermiere.

- Medico; - infermiere;- scheda di valutazione infermieri-

stica; - diario infermieristico.

- Infermiere; - mezzi di contenzione.

- Infermiere; - OTA; - mezzi di contenzione.

- Infermiere; - OTA.

- Infermiere; - OTA.

DESTINATARI

(continua)

Nursing Oggi, numero 4, 200162

Procedure

Complicanze legate all’uso dei mezzi contenitivi:I potenziali danni legati ad un utilizzo scorretto e/o prolun-gato dei mezzi di contenzione si dividono in tre categorie:- Traumi meccanici:

- Arrossamento- Cianosi- Abrasioni- Ematomi

- Malattie funzionali e organiche:- decondizionamento psicofisico- incontinenza- lesioni da decubito- infezioni- diminuzione della massa, del tono e della forza

muscolare- aumento dell’osteoporosi

- Sindromi della sfera psicosociale:- stress- umiliazione- depressione- paura e sconforto

Conclusioni“ L’INFERMIERE SI A D O P E R A AFFINCHÉ IL RICORSO A L L ACONTENZIONE FISICA E FA R M A C O L O G I A C A S I A E V E N TOSTRAORDINARIO E MOTIVATO, E NON METODICAABITUALE

DI A C C U D I M E N TO. CONSIDERA L A CONTENZIONE UNAS C E LTA CONDIVISIBILE QUANDO VI SI CONFIGURI L’ I N T E-RESSE DELLA P E R S O N A E INACCETTABILE QUANDO SIAUNA IMPLICITA RISPOSTA ALLE NECESSITA’ ISTITUZIONALI”(art. 4.10 Codice Deontologico).

Bibliografia- “Nuovo Codice Deontologico dell’infermiere” (artt. 2, 4, 10).- “Codice Deontologico del Medico” (artt. 5, 21, 40).- “Costituzione Italiana” (artt. 13, 32).- “Codice Penale” (artt. 54, 591, 610).- “Uso dei mezzi di contenzione fisica” di E.Zanetti e

S.Costantini - Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia. -Divisione di Geriatria, Ospedale del Felettino, A z i e n d aUSL 5 (La Spezia).

- “Contenzione: una pratica da limitare”, L’ I n f e r m i e r e ,marzo/aprile, 1998.

- “Aspetti Giuridici della professione infermieristica: ele-menti di legislazione sanitaria” di Luca Benci, Ed. McGraw-Hill, 2^ edizione.

Gruppi di lavoroBertoli Nora, Casarini Sara, Costa Giusy, GeneraliGiuseppina, Massari Loredana, Morenghi Elena,Sanmartino Angela, Viviani Simonette.I.P. U.O. MEDICINA 1^ Istituti Ospitalieri Cremona

Protocollo Infermieristico

PREVENZIONE DELLE CADUTE ACCIDENTALI, NELLE PERSONE CON ALTERAZIONI

DELLO STATO DI COSCIENZA E/O CON ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE MOTORIA

PREMESSA

Riscontriamo, nelle persone ricoverate nel reparto Medicina I, problemi di salute riferibili ad alterazione dello stato dicoscienza e/o alterazioni della funzione motoria, con elevato rischio di incorrere in cadute accidentali durante il ricovero.Questo protocollo ha lo scopo di prevenire questa evenienza e di limitare il ricorso (uso e/o abuso) di mezzi di conten-zione fisica nei casi effettivamente necessari per la salvaguardia della persona assistita.

APETTI NORMATIVI SULLA CONTENZIONE FISICA

- Principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Costituzione italiana)- Consenso dell’atto terapeutico (art. 32 Costituzione italiana)- “Chiunque abusa di mezzi di contenzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui

affidata per ragione di educazione, cura o vigilanza, ovvero per l’esercizio di una professione, è punibile, se dal fattoderiva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (…)” (art. 571 Codice penale)

- Difesa della libertà e della dignità della persona (art. 2 Codice deontologico dell’infermiere, art. 5 Codice deontologicodel medico)

- “L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione fisica e farmacologica sia evento straordinario e motivato, enon metodica abituale di accudimento. Considera la contenzione una scelta condivisibile quando vi si configuri l’inte-resse della persona e inaccettabile quando sia una implicita risposta alle necessita’ istituzionali” (art. 4.10 Codicedeontologico)

- “L’uso non giustificato dei mezzi di contenzione potrebbe anche tradursi in accusa di aggressione e violenza” (art. 610Codice penale)

(Allegato 2)

Nursing Oggi, numero 4, 2001 63

Contenzione fisica

- “Va dall’altro canto ricordato che se ricorrono gli estremi dello stato di necessità (art. 54 Codice penale), la misura dicontenzione (sempre proporzionale al pericolo attuale di un danno grave non altrimenti evitabile) non solo può, madeve essere applicata se non si vuole incorrere nel reato di abbandono di incapaci” (art. 591 Codice penale)

DESTINATARI: Persone con alterazioni dello stato di coscienzaPersone con alterazioni dell’apparato locomotorePersone con disturbi comportamentali

PROCEDURA

AZIONI

Identificare le persone a maggiorrischio di caduta: - raccolta dati all’ingresso per ogni

persona assistita (valutare in par-ticolare se vi sono state cadutepregresse e in quali circostanze);

- valutazione della stabilità dellapersona;

- valutazione dello stato di coscien-za della persona (malattie acute ocroniche, iperpiressia, assunzionedi farmaci sedativi, diuretici, vaso-dilatatori, ipotensione ortostatica).

Introdurre modificazioni ambientalinei locali che ospitano persone arischio: - Illustrare alla persona gli ausili a

disposizione nella camera didegenza (impianto di chiamata,illuminazione, ecc.);

- Illustrare alla persona l’ubicazionedei servizi igienici e degli spazicomuni (valutare le distanze);

- Fornire gli accessori di supportoper il letto (staffa, spondina, pro-lunga del campanello);

- Fornire ausil i per i l cammino(bastone, tripode, deambulatore,deambulatore con ruote, carrozzi-na, comoda, ecc.);

- Valutare ed eventualmente sugge-rire l’abbigliamento adeguato allapersona assistita o alle persone diriferimento (no a pantaloni troppolunghi o che non consentonolibertà di movimento, calzaturenon adeguate, ecc.).

RISORSE

- Infermiere; - scheda infermieristica; - diario infermieristico; - scala di Tinetti; - foglio terapia.

- Infermiere o OTA (su indicazionedell’infermiere);

- accessori; - ausili per la marcia.

DESTINATARI

Persone a rischio: - storia pregressa di cadute; - allettamento prolungato >7 giorni;- disturbi visivi; - valutazione dell’equilibrio <11; - valutazione dell’andatura <8; - indice di mobilità =<19; - presenza di malattie a carico del

S.N.C. (malattia di A l z h e i m e r.Morbo di Parkinson, ecc.); patolo-gie a carico dell’apparato musolo-osteo-articolare;

- F.C. < 60 >120; - T.A. >39°C; - P.A. < 80/60 > 150/100.

CASI PARTICOLARI

Persone con alterazioni dello stato di coscienza: statisoporosi, sedazione, ecc.

- Applicare mezzi contenitivi (spondine per letto o barella); - monitorare la persona e registrare le osservazioni nella

documentazione infermieristica1;

(continua)

Nursing Oggi, numero 4, 200164

Procedure

Persone con disturbi comportamentali (agitazione psico-motoria, stato confusionale, ecc.) ed attività motoriaesuberante.

Persone con disturbi comportamentali (agitazionepsico-motoria, stato confusionale, ecc.) ed attivitàmotoria limitata.

- Valutare la capacità motoria; - predisporre l’ambiente in modo confortevole con luci

s o ffuse, eliminazione di rumori di sottofondo e d’og-getti potenzialmente dannosi;

- individuazione e prevenzione di situazioni a rischioper l’insorgenza del disturbo, quali l’intolleranzaambientale o interpersonale;

- allontanare la persona dal presunto evento scatenante;- attuare strategie relazionali con la persona; - dotare la persona di abbigliamenti imbottiti; - proporre passeggiate o attività occupazionali per

distogliere il paziente dallo sfogo aggressivo; - richiedere la collaborazione di persone significative

(familiari o persone note disponibili). Qualora le suddette strategie alternative non abbianosortito alcun effetto2: - valutare in équipe la necessità di ricorrere a mezzi di

contenzione; - scegliere il mezzo di contenzione più adeguato alla

situazione e alla persona; - applicare il mezzo di contenzione (vedi procedura3); - la prescrizione deve indicare: motivazione, tipo di con-

tenzione, durata; - informare il paziente e i suoi familiari sulla necessità

di contenzione; - ratificare l’uso dei mezzi di contenzione nella documen-

tazione clinica della persona (prescrizione medica);- monitorare e registrare le osservazioni sull’apposita

scheda ogni 30 minuti.

- Valutare la capacità motoria; - predisporre l’ambiente in modo confortevole con luci

s o ffuse, eliminazione di rumori di sottofondo e d’og-getti potenzialmente dannosi;

- individuazione e prevenzione di situazioni a rischioper l’insorgenza del disturbo, quali l’intolleranzaambientale o interpersonale;

- allontanare la persona dal presunto evento scatenante;- attuare strategie relazionali con la persona;- proporre attività occupazionali per distogliere il

paziente dallo sfogo aggressivo; - utilizzare supporti ortesici per mantenere la postura

corretta (es. fascia per carrozzina); - richiedere la collaborazione di persone significative

(familiari o persone note disponibili). Qualora le suddette strategie alternative non abbianosortito alcun effetto4: - valutare in équipe la necessità di ricorrere a mezzi di

contenzione; - scegliere il mezzo di contenzione più adeguato alla

situazione e alla persona; - applicare il mezzo di contenzione (vedi procedura5);- ratificare l’uso dei mezzi di contenzione nella documen-

tazione clinica della persona (prescrizione medica); - la prescrizione deve indicare: motivazione, tipo di con-

tenzione, durata; - informare il paziente e i suoi familiari sulla necessità

di contenzione; - monitorare e registrare le osservazioni sull’apposita

scheda ogni 30 minuti.

(continua)

(continua)

Nursing Oggi, numero 4, 2001 65

Contenzione fisica

PROCEDURE PER L’USO DEI MEZZI DI CONTENZIONE

Elenco dei presidi utilizzati in reparto a scopo di con-t e n z i o n e :

Descrizione e applicazione:- Fascia per carrozzina:

È costituita da un cuscinetto imbottito, morbido, comu-nemente rivestito di materiale traspirante; è dotato d’al-cune cinghie d’ancoraggio che ne permettono il fissag-gio alla poltrona o alla carrozzina.Per questioni di sicurezza è da evitarne l’uso sulle nor-mali sedie che, data la loro leggerezza, non impedisco-no alla persona di alzarsi e trascinare con sé la sedia.

- Fascia pelvica:È costituita da una mutandina in cotone o in materialesintetico con cinghie di ancoraggio e fibbie di chiusuraper applicazione a sedie o carrozzine.La fascia previene anche la postura scorretta, evitandolo scivolamento in avanti del bacino.Le varianti alla fascia pelvica possono essere costituiteda: divaricatore inguinale, fasce anti-scivolamento, cor-setto con bretelle, corsetto con cintura pelvica.

- Tavolino per carrozzina:È di facile applicazione e fissaggio tramite rotaia scorre-vole e viti poste sotto i braccioli della carrozzina.Impedisce di sporgersi in avanti e permette l’utilizzo delpiano d’appoggio per eventuale attività.

- Spondine per letto:Ne esistono di diversi tipi: possono essere a scatto e giàapplicate al letto di degenza, o essere asportabili daparte del personale.Non vanno mai utilizzate se esiste la possibilità, daparte del paziente di scavalcarle.

- Bracciali di immobilizzazione: Sono solitamente in gommaschiuma o in poliuretano erivestiti in materiali morbidi e traspiranti come il vello.Possono essere regolati tramite chiusure in velcro erobuste cinghie di fissaggio con fibbie.Possono anche essere utilizzati in situazioni di emer-genza nel caso di auto-eterolesionismo.

- Fasce di sicurezza per il letto: Sono solitamente costituite da una fascia imbottita appli-cata alla vita del paziente e fissata al letto mediante cin-ghie di ancoraggio.

Consentono libertà di movimento permettendo la postu-ra laterale e seduta.

Ulteriori raccomandazioni:- La contenzione non può essere imposta per più di 12

ore consecutive salvo che non lo richiedano le condizio-ne del soggetto.

- Durante il periodo di contenzione garantire al paziente lapossibilità di movimento e di esercizio per non meno di10 minuti ogni 2 ore con esclusione della notte.

- Valutare ogni 3-4 ore l’eventuale insorgenza di eff e t t idannosi direttamente attribuibili alla contenzione, qualiabrasioni, ulcere da decubito, edemi agli arti inferiori,ematomi, etc.

- Il comfort e la sicurezza del paziente sono entrambi daperseguire durante il periodo di contenzione.

Complicanze legate all’uso dei mezzi contenitivi:I potenziali danni legati ad un utilizzo scorretto e/o prolun-gato dei mezzi di contenzione si dividono in tre categorie:- Traumi meccanici:

- strangolamento - asfissia da compressione della gabbia toracica- lesione dei tessuti molli superficiali

- Malattie funzionali e organiche:- decondizionamento psicofisico- incontinenza- lesioni da decubito- infezioni- diminuzione della massa, del tono e della forza

muscolare- aumento dell’osteoporosi

- Sindromi della sfera psicosociale:- stress- umiliazione- depressione- paura e sconforto

EccezioniLa scarsa giurisprudenza in materia sembra escludere chevi debba essere differenza d’obblighi e di trattamento per ipazienti sottoposti ad un T.S.O. rispetto a quelli non sotto-posti.

Persone con alterazioni motorie: disturbi nella deambu-lazione, astenia, ecc.

- Proporre ausili per la deambulazione (vedere “modifica-zioni ambientali”);

- applicare supporti ortesici per il mantenimento correttodella postura;

- monitorare la persona e registrare le osservazioni nelladocumentazione infermieristica.

(continua)

Note1. In questo caso l’uso dei mezzi di contenzione non ha una accezione negativa in quanto non si agisce contro la volontà della per-

sona assistita, pertanto è sufficiente l’annotazione nella documentazione infermieristica. È buona pratica informare le persone diriferimento delle motivazioni che hanno indotto all’uso di questi dispositivi.

2. Ricordiamo che la persona appartiene ad una categoria a rischio di caduta.3. La corretta applicazione dei mezzi di contenzione può essere oggetto di procedure a parte.4. Ricordiamo che la persona appartiene ad una categoria a rischio di caduta.5. La corretta applicazione dei mezzi di contenzione può essere oggetto di procedure a parte.

Nursing Oggi, numero 4, 200166

Procedure

È sancito quindi l’obbligo di maggiore sorveglianzaverso quei pazienti che, ricoverati anche in reparti non psi-chiatrici, abbiano dato “segni di squilibrio” tali da suggerirel’adozione d’adeguate misure di sorveglianza.

ConclusioniL’INFERMIERE SI A D O P E R A AFFINCHÉ IL RICORSO A L L ACONTENZIONE FISICA E FA R M A C O L O G I A C A S I A E V E N TOSTRAORDINARIO E MOTIVATO, E NON METODICAABITUALEDI A C C U D I M E N TO. CONSIDERA L A CONTENZIONE UNAS C E LTA CONDIVISIBILE QUANDO VI SI CONFIGURI L’ I N T E-RESSE DELLA P E R S O N A E INACCETTABILE QUANDO SIAUNA IMPLICITA RISPOSTA ALLE NECESSITA’ ISTITUZIONALI”(art. 4.10 Codice Deontologico).

Bibliografia- “Nuovo Codice Deontologico dell’infermiere” (art. 2, 4 . 1 0 ) .

- “Codice Deontologico del Medico” (artt. 5, 21, 40).- “Costituzione Italiana” (artt. 13, 32).- “Codice Penale” (artt. 54, 591, 610).- “Uso dei mezzi di contenzione fisica” di E.Zanetti e

S.Costantini - Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia. -Divisione di Geriatria, Ospedale del Felettino, A z i e n d aUSL 5 (La Spezia).

- “Contenzione: una pratica da limitare”, L’ I n f e r m i e r e ,marzo/aprile, 1998.

- “Aspetti Giuridici della professione infermieristica: ele-menti di legislazione sanitaria” di Luca Benci, Ed. McGraw-Hill, 2^ edizione.

Gruppi di lavoroBertoli Nora, Casarini Sara, Costa Giusy, GeneraliGiuseppina, Massari Loredana, Morenghi Elena,Sanmartino Angela, Viviani Simonette.

(Allegato 3)

(continua)

Nursing Oggi, numero 4, 2001 67

Contenzione fisica

(continua)

Presidio Ospedaliero Centrale U.O.: Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura

Direttore F.F. Dott. Pierluigi Botarelli

Direttore D.S.M: Dott. Pierangelo Martini

Ospedale Belcolle – Viterbo, Ospedale Civile Montefiascone, Ospedale S. Anna – Ronciglione Via dell’Ospedale - 01100 Viterbo - tel. 0761/339677; fax 0761/345898 - 339675; e-mail: [email protected]

Partita IVA e Cod. Fisc.:01455570562

E:\SitoAsl \extern\dsm\20041101\protocollo sulla contenzione del Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura di Viterbo.doc

DIPARTIMENTO

DI

SALUTE

MENTALE

PROTOCOLLO PER LA CONTENZIONE IN REPARTO S.P.D.C.

La vecchia legislazione sugli ospedali psichiatrici del 1904, e soprattutto il regolamento del 1909, affermavano che nei manicomi doveva essere abolita, o ridotta a casi assolutamente eccezionali, la contenzione fìsica dei ricoverati e comunque dopo autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell'istituto. Stava di fatto però che nei vecchi manicomi la contenzione fisica non risultasse "eccezionale" bensì misura grandemente applicata. Avendo la legge 180 del 1978 abolito gli articoli qualificanti della legge del 1904. Nonché gli artt. del cod.pen. e del cod.civ. collegati, parrebbe ovvio sostenere la tacita abolizione anche del regolamento inerente la contenzione dei malati psichici. D'altra parte la legge 180 si preoccupa soprattutto di garantire i diritti civili e politici del paziente in T.S.O nonché la sua dignità umana e la possibilità di comunicare con chiunque. Dato per valido questo suddetto concetto sulla 180, rimane e grava sull'operatore psichiatrico l'obbligo della vigilanza, cioè lo psichiatra non deve solo curare ma anche custodire, al fine di attenuare una possibile pericolosità auto ed etero-diretta del malato psichico. E rimane anche la delicata questione della salvaguardia dell'incolumità del paziente stesso e degli altri degenti in SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) essendovi spesso condizioni insufficienti a garantire tale incolumità. Crediamo che la stragrande maggioranza dei medici e degli infermieri che lavorano nei servizi psichiatrici si siano trovati, almeno una volta nella loro carriera, a fronteggiare situazioni di grande rischio o di veri e propri agiti di grande pericolo purtroppo esitati, a volte, in lesioni personali. I comportamenti violenti sono eventi frequenti nelle persone normali ed, in misura minore, nelle persone con problemi mentali di origine psichica ed organica. Per comportamento violento si intende l'aggressione fisica da parte di un essere umano verso un altro con l'intenzione specifica di fare del male, mentre l'aggressività è sostenuta da un atteggiamento ostile che comprende l'irritabilità, il rifiuto di collaborare ed altri comportamenti non amichevoli. La violenza risulta, infatti, associata a varie malattie psichiatriche ed organiche. Esistono perciò fattori di rischio clinico che comprendono la psicosi, la mania, i disturbi di personalità antisociale e borderline, l'abuso di alcol e/o di sostanze e malattie neurologiche come i tumori, le infezioni dell'encefalo, la demenza di Alzheimer, la sclerosi multipla, i disturbi cerebrovascolari, le convulsioni (soprattutto post-ictali), l'idrocefalo normoteso, disturbi metabolici come l'ipoglicemia. E' stato dimostrato che se un paziente manifesta propositi di violenza e proviene da un ambiente povero e con bassa scolarizzazione, dove la violenza è una modalità riconosciuta ed accettata, più probabilmente sarà violento. E' fondamentale, pertanto, raccogliere tutte le informazioni disponibili sugli episodi passati di violenza da parenti, accompagnatori o comunque da chi richiede l'intervento, a oltre a ciò, possono essere all'origine del comportamento violento anche le dinamiche interpersonali tra il paziente e lo staff degli operatori. Le condizioni contingenti devono essere valutate attentamente e va rimossa ogni facilitazione di passaggio all'atto, come la possibilità di estrinsecare la violenza alla presenza di persone che possono attivarla maggiormente. E' importante tener conto di alcuni accorgimenti: non intervistare il paziente da soli, ma possibilmente avere accanto personale dello staff sanitario; non portare il paziente in un piccolo ambiente; non assumere un atteggiamento oppositivo, ma evitare di polemizzare o contrastare; avvicinarsi lentamente al paziente; fermarsi a distanza; parlare e muoversi lentamente ed in maniera chiara e tranquilla; evitare il contatto fisico; presentarsi in maniera comprensibile definendo il proprio ruolo; non ostacolare l'uscita dalla stanza al paziente; invitarlo a sedersi in modo da avere più tempo per contrastare un eventuale atto di violenza. Se il paziente desidera allontanarsi, non fermarlo e, se esiste il rischio di atteggiamento auto- o eteroaggressivo, è necessario informare la forza pubblica (che è sempre opportuno preventivamente allertare. L'intervento implica problemi medico-legali, in quanto il paziente può non essere consenziente al trattamento psichiatrico.

2

Al comportamento violento o minaccioso, pertanto, gli operatori devono rispondere, nel rispetto della persona, con metodologie necessarie di forza. Il provvedimento di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) viene adottato in base a proposta motivata del medico che ha visitato il paziente. Tale proposta deve essere convalidata dal medico dell'Azienda Sanitaria Locale competente per il territorio o dagli operatori del Servizio di Guardia Medica o dalla Direzione Sanitaria dell'Ospedale dove si trova il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) competente. Il provvedimento di TSO viene disposto dal sindaco. In genere, tuttavia, dopo aver redatto la proposta di TSO, il medico può rivolgersi direttamente agli operatori della polizia municipale, che possono fungere da raccordo tra i vari soggetti coinvolti nell'espletamento del provvedimento ed intervenire nel caso in cui si debba operare con forza. L'articolo 54 del cod. pen. recita: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitatile, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo. Secondo interpretazione più corrente il suddetto articolo permette una contenzione fisica limitata nel tempo e in casi estremi, con annotazione della stessa su un registro vidimato e contemporanea annotazione in cartella clinica (allo scopo di evitare abusi) Tutti concordano sul fatto che la violenza del paziente debba essere studiata, analizzata e si debbano porre in atto, all'ingresso in Reparto di un paziente attualmente o potenzialmente violento, dei programmi adeguati, studiati e preventivati.Gli eventi che fanno precipitare la violenza dei paziente possono essere esterni (conflitti familiari sociali o conflitti con lo staff curante) od interni (intossicazioni e presenza di deliri e dì allucinazioni). Tali eventi debbono essere conosciuti all'equipe nel momento dei loro intervento e la mancata informazione riguardo agli stessi, nel senso di una trasmissione di una anamnesi non corretta al momento della consegna del paziente nelle mani dello staff curante, può inficiare l’operatività dello stesso. Vi sono anche delle precise controindicazioni alla contenzione come la presenza di encefalopatie, che potrebbero essere aggravate dalla mancanza di un input sensoriale, l'uso della contenzione come sostituto di un programma terapeutico, l'uso semplicemente punitivo della contenzione, la contenzione come una risposta al rifiuto, da parte dei paziente, ad eseguire dei piani terapeutici o riabilitativi, l'uso della contenzione come risposta automatica ad un comportamento fastidioso o, semplicemente, come comodità dello staff curante, specie durante la notte. Va verificato che ogni emergenza è il risultato della sommazione di molteplici cause e, giustamente, Gerardo Favaretto (Padova) ha messo in luce come il concetto stesso di emergenza vada studiato, localizzato ed analizzato. Il Comitato Nazionale di Bioetica, nel settembre 1999, a proposito del trattamento dei malati psichici dava un parere sulla questione della contenzione fìsica. Il CDB riteneva che: "II ricorso a dei mezzi di breve contenzione fisica appropriati dovrebbe essere proporzionato allo stato di agitazione dei paziente e al rischio; inoltre il personale dovrebbe poter avere una formazione particolarmente approfondita in merito. E' stato in questo contesto sottolineato che la risposta al comportamento violento di un paziente dovrebbe essere graduale, cioè il personale dovrebbe in un primo tempo tentare di rispondere verbalmente, poi, nei casi più eccitati e per quanto possibile, attraverso la contenzione manuale e solo infine attraverso dei mezzi di contenzione meccanica. Si è allora considerato che il ricorso all'isolamento e ai mezzi di contenzione meccanica o altre forme dì coercizione per periodi lunghi non dovrebbero aver luogo che in casi eccezionali e se non esiste alcun altro modo per porre rimedio alla situazione. Inoltre, il ricorso a tutte queste misure dovrà essere fatto dietro ordine espresso dì un medico o essere immediatamente comunicato a coloro i quali devono approvarlo. Le ragioni e la durata di tali misure dovrebbero essere oggetto-di una menzione in un registro appropriato e nel dossier personale dei paziente". La contenzione e l'isolamento devono essere drasticamente ridotti e praticati solo in casi eccezionali o in stato di urgenza e devono altresì venir limitati nel tempo.

3

PROCEDURE RELATIVE ALLA CONTENZIONE FISICA DEI PAZIENTI PRESSO IL REPARTO S.P.D.C. D.S.M. A.S.L. VITERBO

A)La contenzione è un dispositivo che limita in generale le libertà individuali ed in particolare la libertà di movimento del paziente e come tale va considerato un procedimento estremo a cui ricorrere solo nei casi in cui siano presenti le seguenti condizioni: 1) il paziente con il suo comportamento auto e/o eteroaggressivo, mette a rischio l'incolumità propria o degli altri 2) altri interventi meno restrittivi, clinicamente comunque esperiti in precedenza, hanno dimostrato inefficacia, inappropriatezza o sono risultati insufficienti allo scopo. B) La contenzione viene attuata in regime di TSO. Solo in casi eccezionali e dove si configuri uno “stato di necessità” secondo i termini di legge, si può procedere alla contenzione senza TSO per un tempo strettamente limitato al superamento delle condizioni che l'hanno determinato. C) Il paziente contenuto va in ogni caso considerato come un paziente che necessita di alta intensità assistenziale; pertanto il reparto disporrà un’assistenza continuativa anche al fine di garantire il necessario contenimento emotivo che possa facilitare il superamento delle condizioni psicopatologiche alla base del contenimento stesso. D) La contenzione è attuata attraverso l'applicazione di apposite “fasce di contenzione” ai quattro arti e, nei casi di intensa agitazione psicomotoria, è consentito l'uso aggiuntivo della fascia pettorale. L'applicazione a due o ad un arto è sconsigliata per il rischio che, con movimenti bruschi, il paziente possa procurarsi lesioni (per es. alle articolazioni). E) La contenzione è considerata comunque un provvedimento finalizzato esclusivamente al recupero delle condizioni psichiche che permettano al paziente di collaborare alle cure come tale deve essere revocato non appena decadono le condizioni che lo hanno determinato. Tale finalità comporta la ricerca di un atteggiamento di massimo rispetto nei confronti del paziente contenuto, con il quale, durante la contenzione, ove questo è possibile, vengono esplicitate le cause che hanno reso necessario il provvedimento e va ricercato un dialogo che introduca progressivamente un piano di comprensione e collaborazione favorevole ad un assetto terapeutico più partecipato. F) E' specifico compito del medico di guardia o, limitatamente agli orari diurni dei giorni feriali, del medico di reparto: 1) Specificare nella diaria della cartella le motivazioni che rendono necessaria la contenzione,

l'inefficacia dei tentativi messi in atto per utilizzare altri mezzi meno restrittivi e il tipo di contenzione prescritto.

2) Segnalare nella grafica della cartella l'ora della contenzione. , 3) Firmare il registro delle contenzioni relativamente al provvedimento. 4) Monitorare nel proprio turno la permanenza delle condizioni che hanno resa necessaria la contenzione e riportare tale verifica nella diaria della cartella. 5) Provvedere tempestivamente alla revoca del provvediménto di contenzione ove risultino decadute le condizioni che lo hanno determinato. 6) Riportare nella diaria della cartella la valutazione che ha determinato la revoca della contenzione. 7) Segnalare nella grafica della cartella l'ora della revoca della contenzione. 8) Firmare il registro delle contenzioni relativamente alla revoca del provvedimento . G) E' specifico compito degli infermieri: 1) Assicurare al paziente la massima assistenza, durante la contenzione con ripetuti controlli durante il turno relativamente al decoro e alla pulizia personale, ai bisogni fisiologici e a tutti gli aspetti assistenziali specifici della situazione. 2) Controllare la P.A. la F.C. e la T.C. (almeno tre volte al giorno) la diuresi e l'alvo riportandone i valori nella grafica della cartella.

4

3) Ricercare, ove possibile, con il paziente contenuto uno scambio verbale finalizzato a rilevare e segnalare eventuali modificazioni delle condizioni che hanno determinato la contenzione. 4) Valutare l'opportunità e procedere ad una temporanea parziale rimozione delle fasce di contenzione ove questo risulti legato a necessità di tipo assistenziale (per es. polso e caviglia omolaterale per cambio delle lenzuola o massaggi sacrali; oppure ad un polso durante i pasti per permettere al paziente di alimentarsi autonomamente, ecc . ). Tale rimozione parziale, che viene comunicata verbalmente al medico e riportata nella consegna infermieristica prevede la presenza del personale d'assistenza per l'intero periodo di parziale scontenzione. 6) Segnalare nelle consegne infermieristiche lo stato del paziente contenuto per tutto il periodo in cui è attuato il provvedimento di contenzione. Obiettivo nel corso del tempo, da parte del Reparto S.P.D.C., è quello di portare avanti progetti di umanizzazione e formativi del personale aventi lo scopo di ridurre al minimo il numero ed i tempi di contenzione laddove risulti necessaria.

Il Responsabile f.f. S.P.D.C Dott. Pierluigi Botarelli

Lista di controllo n. 3.6

CENTRO DI SALUTE MENTALE

IL/LA SOTTOSCRITTO/A

nato/a a _______________________________________ prov. di _______ il ________________

titolare/legale rappresentante della Società/Ente/Azienda __________________________________

ai sensi dell’art. 5 c. 3 lett. e) del D.P.G.P. 27 novembre 2000 n. 30-48/Leg.

D I C H I A R A

che la struttura sanitaria e/o socio-sanitaria denominata ___________________________________

________________________________________________________________________________

composta di n. ______ edifici siti in

Comune / LocalitàIndirizzoC.C.pp.ff. / pp.ed.p.m.

è in possesso dei requisiti minimi come di seguito specificati previsti per il rilascio di autorizzazioneall’esercizio delle attività sanitarie e/o socio-sanitarie relative alle funzioni indicate in domanda.

REQUISITI SPECIFICI

3.6

REQUISITO DASODDISFARE :

Espleta le funzioni indicate per il CSM dal DPR 7 aprile 1994.

Criteri per la verifica del possesso del requisito

Situazioneattuale

3.6 Esiste la documentazione (*) formalizzata con la quale la direzione della struttura esplicital'organizzazione interna del centro di salute mentale, con particolare riferimento a:- organigramma;- livelli di responsabilità;- modalità di erogazione del servizio;- la descrizione quali-quantitativa delle specifiche prestazioni, attività e/o interventi di

prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale e informazione svolti in formaambulatoriale, domiciliare e nella comunità (ex DPR 7 aprile 1994 e DPR 10 novembre1999);

- la modalità di relazione con le altre strutture per la tutela della salute mentale con ildipartimento di emergenza-urgenza.

(*) Può coincidere con la documentazione utilizzata per attestare il possesso dei requisitidella lista di controllo n.1

SI NO

3.6.1 REQUISITI MINIMI STRUTTURALI E TECNOLOGICI

3.6.1 - 1

REQUISITO DASODDISFARE :

Numero di locali e spazi in relazione alla popolazione servita.

Criteri per la verifica del possesso del requisito

Situazioneattuale

3.6.1 - 1Il numero complessivo di locali e spazi del centro di salute mentale è adeguato in relazionealla popolazione servita e alle specifiche prestazioni, attività e/o interventi di prevenzione,cura, riabilitazione e reinserimento sociale svolti.

SI NO

3.6.1 - 2

REQUISITO DASODDISFARE :

Ciascun Centro di salute mentale deve disporre almeno di:- locale per accoglienza utenti, segreteria informazioni;- locale per attività diagnostiche e terapeutiche;- locale per visita medica;- locale per riunioni;- spazio archivio.

Criteri per la verifica del possesso del requisito

Situazioneattuale

Il centro dispone almeno di:

3.6.1 - 2-a un locale che consenta di svolgere le attività di accoglienza degli utenti, di segreteria e diinformazione in modo da garantire la riservatezza degli utenti; SI NO

3.6.1 - 2-b un locale per le attività diagnostiche e terapeutiche; SI NO

3.6.1 - 2-c un locale per la visita medica; SI NO

3.6.1 - 2-duna sala riunioni (anche in comune con altre strutture, purché la disponibilità della sala siatale da consentire le specifiche prestazioni, attività e/o interventi di prevenzione, cura,riabilitazione e reinserimento sociale del centro);

SI NO

3.6.1 - 2-e uno spazio, anche in comune con altre strutture, da adibirsi specificamente ad archivio delcentro di salute mentale. SI NO

3.6.2 REQUISITI MINIMI ORGANIZZATIVI

3.6.2 - 1

REQUISITO DASODDISFARE :

- Presenza di personale medico ed infermieristico per tutto l'orario di apertura;- Presenza programmata di altre figure professionali di cui al DPR 7/4/94, in relazione

alla popolazione del territorio servito;

Criteri per la verifica del possesso del requisito

Situazioneattuale

3.6.2 - 1-a Durante l'orario di apertura, nel centro di salute mentale è in servizio almeno un medico e uninfermiere.

SI NO

3.6.2 - 1-b

Le altre figure professionali previste dal DPR 7 aprile 1994 (psicologi, assistenti sociali,educatori, ausiliari od operatori socio-sanitari, personale amministrativo) sono presenti inmaniera programmata o secondo fasce orarie stabilite e documentate, in relazione allapopolazione servita e alle specifiche prestazioni, attività e/o interventi di prevenzione, cura,riabilitazione e reinserimento sociale svolti.

SI NO

3.6.2 - 2

REQUISITO DASODDISFARE :

- Apertura 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, con accoglienza a domanda,organizzazione attività territoriale, intervento in condizioni di emergenza-urgenza;

Criteri per la verifica del possesso del requisito

Situazioneattuale

3.6.2 - 2-a Il centro di salute mentale è aperto 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana. SI NO

3.6.2 - 2-b L'attività di accoglienza e analisi della domanda si svolge con modalità a "bassa soglia" enon subordinata a prescrizione o invio da parte di altri professionisti. SI NO

3.6.2 - 2-c Esiste e viene applicata una procedura per gli interventi in condizioni di emergenza-urgenza. SI NO

3.6.2 - 3

REQUISITO DASODDISFARE :

- Collegamento con il Dipartimento di Emergenza-urgenza;- Collegamento con le altre strutture per la tutela della salute mentale professionali di

cui al DPR 7/4/1994.

Criteri per la verifica del possesso del requisito

Situazioneattuale

3.6.2 - 3-a Esiste la documentazione che attesti il collegamento funzionale con il dipartimento diemergenza-urgenza. SI NO

3.6.2 - 3-b Esiste la documentazione che attesti il collegamento funzionale con le altre strutture per latutela della salute mentale di cui al DPR 7/4/94 e DPR 10 novembre 1999. SI NO

D I C H I A R Adi rinviare al programma di adeguamento per i seguenti criteri non soddisfatti

Nr.criterio

Rif. pag.progr.adeg.

Nr.criterio

Rif. pag.progr.adeg.

Nr.criterio

Rif. pag.progr.adeg.

Nr.criterio

Rif. pag.progr.adeg.

Nr.criterio

Rif. pag.progr.adeg.

Nr.criterio

Rif. pag.progr.adeg.

D I C H I A R Aaltresì l’inapplicabilità alla struttura dei seguenti criteri non soddisfatti

Nr. criterio Motivo inapplicabilità

Luogo e data ____________________________ ________________________________________(firma del dichiarante)

 

 

 

 

 

 

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