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ELIO CABIB Calcolo delle Variazioni per principianti

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ELIO CABIB

Calcolo delle Variazioni

per principianti

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Alla Memoria di Franco Conti

ELIO CABIB

[email protected]

professore di Analisi Matematica

Universita di Udine

Calcolo delle Variazioni

per principianti

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Indice

Introduzione 1

1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 5

1.1 Un problema isoperimetrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.2 La disuguaglianza di Jensen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

1.3 Geodetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.4 Un problema di area minima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

1.5 Fili, membrane, elasticita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.6 La brachistocrona e il Principio di Fermat . . . . . . . . . . . . . . . . 15

1.7 Il fenomeno di Lavrentiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.8 Minimi relativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

1.9 L’equazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

1.10 L’Equazione di Eulero negli esempi visti . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2 Il Problema di Dirichlet 25

2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.2 Esempi con soluzioni esplicite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

2.3 Teorema della media, principio di massimo e disuguaglianza di Harnack 34

2.4 La formula integrale di Poisson in 2D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

2.5 La formula integrale di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

2.6 Risoluzione del problema di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

2.7 Formulazione variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

2.8 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . 51

3 Problemi non lineari 59

3.1 L’equazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

3.2 Il metodo diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

4 Omogeneizzazione e G-convergenza 69

4.1 Il caso unidimensionale e un esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

4.2 Le stime elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi . . . . . . . . . . . . . . . . 76

4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera . . . . . . . . . . . . 79

4.5 La G-convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

A Elementi di Analisi Funzionale 83

A.1 La misura di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

A.2 Integrazione di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

A.3 Spazi Lp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

A.4 Dualita e convergenza debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

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ii Indice

B Cenni sugli spazi di Sobolev 97B.1 Funzioni assolutamente continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97B.2 Distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98B.3 Gli spazi di Sobolev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

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Introduzione

La filosofia e scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci staaperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si puo intendere se primanon si impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri, ne quali e scritto.Egli e scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altrefigure geometriche, senza i quali mezzi e impossibile intenderne umanamenteparola.

Galileo, Il Saggiatore

Molti fenomeni in tutti i campi delle Scienze si prestano ad essere modellati e de-scritti, dal punto di vista matematico, in termini di principi di massimo o di minimo.Le configurazioni di equilibrio stabile di un sistema meccanico soggetto a forze conser-vative sono quelle che rendono minima l’energia potenziale (principio di Dirichlet); inun mezzo trasparente, il raggio di luce viaggia tra due punti dati scegliendo, fra tuttele possibili, la traiettoria lungo la quale impiega il minimo tempo (principio di Fer-mat); una lamina saponata con il contorno aderente ad una curva chiusa, realizzataad esempio in fil di ferro, si dispone secondo una configurazione di area minima (pro-blema di Plateau). Affermazioni di questo tipo possono essere considerate principinaturali, leggi della natura che noi ci limitiamo a descrivere con il linguaggio raziona-le della matematica, la chiave giusta, secondo Pitagora, per comprendere l’armoniadell’Universo.

In altri casi invece, per motivi pratici, ci possiamo porre il problema del controllodi un fenomeno, o di un evento, per costringerlo ad adeguarsi a certi requisiti dimassimo o di minimo. Ad esempio, in sede di progetto, disponendo di certi materiali,vogliamo realizzare una struttura secondo criteri di minimo costo, di minimo peso, dimassima resistenza o di minima dispersione di calore e cosı via.

Tra i grandi problemi passati alla storia della Matematica, vale la pena citarnealcuni, oltreche per il loro interesse soprattutto geometrico e fisico, per il ruolo chehanno avuto nello sviluppo del Calcolo delle Variazioni (CdV). Nel problema isoperi-metrico ci si chiede quale figura piana o spaziale renda massima l’area o il volume, aseconda della dimensione, a parita di perimetro o di area della superficie che lo rac-chiude. Noto come problema di Didone, legato a una famosa leggenda sulla fondazionedi Cartagine, ha una storia millenaria, ma e stato risolto da De Giorgi nella massimageneralita soltanto negli anni ’50 del XX secolo (la soluzione e il cerchio, o la sfera,nessuno ha mai dubitato di questo, mancava solo una dimostrazione soddisfacente).Non appena pero si tiene conto di certi vincoli, ci si imbatte subito in questioni ancoraaperte, come nel caso in cui lo si voglia risolvere nella classe dei poliedri: le soluzioninel caso piano sono i poligoni regolari, come ognuno si aspetterebbe, ma nello spazioi poliedri regolari sono solo di 5 tipi!

Un altro problema interessante e quello della ricerca delle geodetiche di una su-perficie, che sono le curve di minima lunghezza, di estremi assegnati e giacenti su diessa. Per la sfera le soluzioni sono gli archi di cerchio massimo, ma si comprendefacilmente che superfici anche poco piu complicate danno luogo a notevoli difficolta.Se la superficie rappresenta un vincolo rigido privo di attrito su cui si muove una

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2 Indice

particella materiale, non soggetta a forze attive, la traiettoria che essa percorre euna geodetica. Un filo inestensibile e perfettamente flessibile, soggetto solo a forze ditrazione e vincolato a giacere sulla superficie, si dispone, in condizioni di equilibrio,secondo una geodetica.

Il celebre problema della brachistocrona venne posto nel 1696 da Jean Bernoulli,gia in possesso della soluzione, in una delle sfide matematiche dell’epoca. Si trattadella traiettoria prestabilita liscia lungo la quale deve scivolare un punto materialepesante, con posizioni iniziale e finale assegnate, affinche il tempo impiegato per ladiscesa sia minimo. Se le due posizioni sono allineate sulla verticale la soluzione echiaramente la retta, altrimenti e un arco di cicloide, la stessa curva descritta daun punto della periferia di un disco che rotola senza strisciare. L’inizio del CdVviene convenzionalmente attribuito al periodo in cui venne posto questo problema,accanto al quale e pero doveroso ricordare anche il problema di Newton (1686) sullaforma ottimale che dovrebbe possedere un corpo in movimento immerso in un liquidoaffinche sia minima la resistenza offerta dal mezzo.

Nella sua forma piu generale un problema di minimo viene posto nei seguentitermini:

dato uno spazio X di “stati ammissibili” e data una funzione F : X → R, trovarex ∈ X tale che

(1) F (x) = miny∈X

F (y) .

Nel CdV l’attenzione e costantemente rivolta al caso un po’ meno generale dei fun-zionali integrali. Si considera dunque uno spazio X di funzioni u e un funzionaleintegrale

(2) F (u) =

∫Ω

f(x, u(x), Du(x)) dx ,

dove Ω ⊂ Rn e un aperto e f : Ω×D → R, essendo D ⊂ Rm ×Rmn. Sotto il segnodi integrale compare la composizione dell’integrando f(x, z, ξ), x ∈ Ω e (z, ξ) ∈ D,con le funzioni

z = u(x) = (u1(x), u2(x), . . . , un(x)) e ξ = Du(x) =

(∂ui∂xj

).

Limitandoci al caso (2), dove peraltro potrebbero comparire anche derivate di or-dine piu alto, sembra ragionevole ambientare il problema di minimo (1) nello spazioC1(Ω,Rm) con opportune condizioni al contorno che possono essere di vario tipo, tracui le piu comuni sono quelle di Dirichlet, in cui si assegna sul bordo il valore di u, diNeumann, in cui si assegna il valore della derivata normale, e le condizioni miste: suuna parte del bordo quelle di Dirichlet e sulla parte complementare quelle di Neumann.

Ricordando come ci si comporta di fronte ai problemi di minimo per le funzioniordinarie, di una o piu variabili, verrebbe spontaneo tradurre il problema (1) in terminidi una condizione del tipo

(3) F ′(x) = 0

tutta da precisare. E, in effetti, con un’adeguata nozione di derivata e possibile daresignificato alla (3), che, come vedremo, sara di volta in volta un’equazione differen-ziale ordinaria o alle derivate parziali, oppure un sistema di equazioni differenziali.La condizione (3) prende il nome di equazione di Eulero, o di Eulero-Lagrange, delfunzionale F . Pero, ammesso che F sia “derivabile”, bisogna tener presente che la(3) e una condizione solo necessaria, come del resto avviene per le funzioni ordinarie,ed e soddisfatta non soltanto dal punto di minimo assoluto, cui siamo interessati nel

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problema (1), ma da tutti gli eventuali punti stazionari per F , tra i quali quelli dimassimo e di minimo relativo. L’equazione di Eulero e in pratica solo una condizionenecessaria di stazionarieta. Saranno invece altre proprieta del funzionale, come laconvessita, o la positivita della derivata seconda (condizione di Legendre) insieme adaltre condizioni, a renderla sufficiente. Possiamo aggiungere che in presenza di vincoliunilaterali, come nel caso dell’equilibrio di una membrana tesa su un ostacolo, la con-dizione di stazionarieta si esprime mediante una disuguaglianza, dovuta al fatto chela soluzione puo essere, in qualche senso, “di frontiera” rispetto alla classe ammissi-bile, esattamente come nei problemi di massimo e minimo vincolato per le funzioniordinarie. In altri casi, ancora piu generali, si ottengono addirittura delle inclusionidifferenziali.

La (3) presenta dunque dei limiti di applicabilita e allo stesso tempo ci da pocheinformazioni. Allora, a partire dall’epoca di Weierstraß, si e cominciato a capovolgereil punto di vista. I metodi diretti del CdV formano una teoria che si basa sostanzial-mente sull’idea ben nota del Teorema di Weierstraß di combinare la continuita con lacompattezza per ottenere l’esistenza del minimo. Cosı, oltre ai problemi di minimogia esistenti, si e cercato di ricondurre anche altre equazioni differenziali gia note aprincipi di minimo. Si e visto per esempio che la classica equazione di Poisson peril laplaciano non era altro che l’equazione di Eulero di un funzionale energia, qua-dratico nel gradiente. Questo approccio e stato notevolmente sviluppato da Hilbert,ma soprattutto da Tonelli, il quale ha sostituito la continuita, troppo restrittiva, conla nozione di semicontinuita inferiore, sufficiente per l’esistenza del minimo su uncompatto.

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4 Indice

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Capitolo 1

Presentazione informale di alcuniproblemi variazionali

1.1 Un problema isoperimetrico

Nella sua versione piu generale puo essere formulato nei due modi equivalenti:- fra tutti i sottoinsiemi di Rn con volume assegnato, trovare quello di minimo

perimetro;- fra tutti i sottoinsiemi di Rn con perimetro assegnato, trovare quello di massimo

volume.L’equivalenza risulta evidente se si pensa a questo tipo di approccio: prima di

tutto si cerca di dare una ragionevole stima “universale” del volume in termini delperimetro

V (Ω) 6 CP (Ω)α(n)

dove la costante C non dipende da Ω e dove α = n/(n− 1) se C e adimensionale. Sispera poi di determinare la forma ottimale di Ω, quella che soddisfa l’uguaglianza, ilche e ovviamente possibile se si e indovinato il valore ottimale di C, detta costanteisoperimetrica.

Il seguente problema isoperimetrico e noto come il problema di Didone per laleggenda da cui si fa discendere, secondo la quale venne data alla regina Didone lapossibilita di impossessarsi di un territorio, su cui avrebbe fondato Cartagine, estesoquanto poteva contenerne la superficie della pelle di un bue. Didone, astutamente,la taglio a strisce sottilissime riuscendo cosı a delimitare con esse un territorio moltovasto. Ne diamo una formulazione semplificata (ma non troppo) nell’ambito dellecurve regolari a tratti. Non e la piu generale possibile, ma e comunque significativaper il tipo di ragionamento che ci interessa illustrare.

Quale curva piana e sufficientemente regolare

(x (t) , y (t)) , t ∈ [0, 1] ,

di lunghezza l e soggetta alla condizione y (0) = y (1) = 0, rende massima l’area dellaregione che essa delimita insieme alla retta y = 0?

Essendo assegnata la lunghezza, conviene scegliere come parametro l’ascissa cur-vilinea, inoltre non e restrittivo supporre l = π e y > 0. Il problema si affrontafacilmente usando l’idea ricorrente di prima: si da una ragionevole stima dall’altodelle aree di tutte le regioni ammissibili (dal basso nei problemi di minimo) in terminidella lunghezza del bordo e poi si spera che la stima scelta sia ottimale in modo dapoter esibire una regione particolare che realizza l’uguaglianza.

Indichiamo con Ω un insieme ammissibile, cioe una regione piana delimitata dallacurva regolare

(x(s), y(s)) , s ∈ [0, π] , y(0) = y(π) = 0 ,

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6 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

e dall’asse x. Usando la formula di Gauss-Green, la disuguaglianza elementare

ab 61

2(a2 + b2)

e la disuguaglianza di Poincare

(1.1)

∫ π

0

y2 ds 6∫ π

0

y′2 ds ,

che verra chiarita tra poco, si ottiene

m(Ω) =

∫Ω

1 dxdy =

∫Ω

∂y

∂ydxdy = −

∫∂Ω+

y dx = −∫ π

0

yx′ ds

61

2

∫ π

0

(x′2 + y2) ds 61

2

∫ π

0

(x′2 + y′2) ds =π

2,

essendo (x′, y′) un versore. L’uguaglianza e raggiunta da ogni semicirconferenza dellaforma

x(s) = c+ cos s

y(s) = sen s , s ∈ [0, π] .

Dimostriamo adesso la (1.1) per le funzioni regolari a tratti. Ricordiamo che se I eun intervallo limitato, una funzione y(s) definita su I viene detta regolare a tratti see continua su I e se ammette derivata y′ limitata e continua su I eccetto un numerofinito di punti, dove esistono finiti il limite destro e il limite sinistro. Se I e unintervallo non limitato si richiede che la sua restrizione ad ogni intervallo limitatocontenuto in I sia regolare a tratti.

Sia allora y(s) una funzione regolare a tratti su [0, π] tale che y(0) = y(π) = 0 eindichiamo ancora con y(s) il suo prolungamento dispari e 2π-periodico a tutto R. Inquesto modo si ottiene ancora una funzione regolare a tratti che, per le ipotesi fatte,puo essere rappresentata come somma della sua serie di Fourier

y(s) =

∞∑n=1

y(n) senns

nel senso della convergenza uniforme. Applicando l’identita di Parseval alla y e allay′, somma della serie delle derivate, si ottiene∫ π

0

y2 ds =π

2

∞∑n=1

y(n)2 e

∫ π

0

y′2 ds =π

2

∞∑n=1

n2y(n)2 ,

da cui segue immediatamente la (1.1). Si lascia per esercizio di dimostrare la disu-guaglianza di Poincare ∫

I

y2 ds 6

(l

π

)2 ∫I

y′2 ds

nel caso di un intervallo I di lunghezza l. Poiche la funzione sen(πs/l) (e nel casoprecedente la funzione sen s) realizza l’uguaglianza, la costante (l/π)2 e ottimale.

La situazione che abbiamo descritto riguarda una curva piana di lunghezza asse-gnata con gli estremi su una retta, ma ad essa possiamo facilmente ricondurre ancheil problema isoperimetrico per una curva chiusa.

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1.2 La disuguaglianza di Jensen 7

1.2 La disuguaglianza di Jensen

La convessita gioca un ruolo fondamentale nei problemi di minimo. Per le funzioniordinarie sappiamo che ogni punto stazionario di una funzione convessa e necessaria-mente di minimo, relativo ma anche assoluto, e se la convessita e stretta il minimo eunico. Il funzionale che esprime la lunghezza di una curva

(1.2) L(γ) =

∫ 1

0

|γ′(t)| dt

e convesso in γ, ma non strettamente perche tale e il modulo che definisce l’integrando.Tuttavia l’unicita vale ugualmente in questo caso e vedremo perche. Per verificarecio che sanno tutti, che il minimo di L sulla classe delle curve di una varieta linearecon estremi dati γ(0) = A e γ(1) = B viene raggiunto dal segmento rettilineo, si dala stima inferiore

L(γ) =

∫ 1

0

|γ′(t)| dt >∣∣∣ ∫ 1

0

γ′(t) dt∣∣∣ = |B −A|

con la disuguaglianza elementare del modulo e si osserva che L(γ0) = |B−A|, essendoγ0 la curva

γ0(t) = A+ t(B −A) , 0 6 t 6 1 .

Una disuguaglianza piu generale e la seguente di Jensen. Siano Ω ⊂ Rn un aperto dimisura finita, ξ : Ω→ Rm integrabile e f : Rm → R convessa. Allora

(1.3) f

(1

m(Ω)

∫Ω

ξ(x) dx

)6

1

m(Ω)

∫Ω

f(ξ(x)) dx ,

La dimostrazione e immediata, basta ricordare che f e convessa se e solo se il suografico sta tutto al di sopra di ogni piano d’appoggio, cioe

∀η ∈ Rm ∃c ∈ Rm tale che f(ξ) > f(η) + c · (ξ − η) ∀ξ ∈ Rm .

Scegliendo

ξ = ξ(x) e η = 〈ξ〉 =1

m(Ω)

∫Ω

ξ(x) dx ,

si haf(ξ(x)) > f(〈ξ〉) + c · (ξ(x)− 〈ξ〉) ∀x ∈ Ω ,

da cui segue la (1.3) per integrazione su Ω.La disuguaglianza di Jensen vale anche con l’integrale inteso rispetto ad una misura

positiva qualsiasi ed e la generalizzazione naturale del caso discreto

f

(1

m

n∑i=1

miξi

)6

1

m

n∑i=1

mif(ξi) ,

dove f e convessa, mi > 0 e m =∑mi.

Ragionando come per il funzionale (1.2), la (1.3) ci porta alla soluzione nel casocartesiano del grafico di minima lunghezza con estremi assegnati

L(y) =

∫ b

a

√1 + y′(x)2 dx ,

alla soluzione del problema di minimo, sempre con estremi assegnati, per un funzionalequadratico delle curve

E(γ) =1

2

∫ b

a

|γ′(t)|2 dt

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8 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

che in quanto tale esprime in genere una qualche forma di energia. In tutti i problemivariazionali con f convessa, che siano parametrici

min∫ b

a

f(γ′(t)) dt | u(a) = A , u(b) = B

o cartesiani in una variabile

min∫ b

a

f(y′(x)) dx | u(a) = u1 , u(b) = u2

,

usando la (1.3) si vede subito che le funzioni lineari sono soluzioni e non ve ne sonoaltre nel caso di stretta convessita. Ovviamente nel caso cartesiano in piu variabilibisogna che anche i dati al bordo siano lineari. E immediato infatti verificare, usandola (1.3), che il problema

min∫

Ω

f(Du(x)) dx | u(x) = ξ · x ∀x ∈ ∂Ω

ammette come soluzione la funzione w(x) = ξ · x per ogni x ∈ Ω . Per esempio,la funzione w(x), che rappresenta la configurazione di equilibrio di una membranavincolata sul bordo a una curva piana, soddisfa il problema di Dirichlet

min

1

2

∫Ω

|Du|2 dx | u(x) = ξ · x ∀x ∈ ∂Ω

,

quindi w(x) = ξ · x in Ω e la membrana rimane piatta. Le stesse considerazioni sipossono applicare al funzionale dell’area

F (u) =

∫Ω

√1 + |Du|2 dx

per l’equilibrio delle lamine saponate.

1.3 Geodetiche

Fra tutte le curve regolari di estremi assegnati, giacenti in una superficie regolare,si chiamano geodetiche le minimanti locali del funzionale che ne esprime la lunghezza.Ricordiamo che una superficie l-dimensionale in Rn e una funzione x(q) = x(q1, . . . , ql)di classe C1 definita su un aperto A ⊂ Rl a valori in Rn tale che i vettori

∂x

∂q1,∂x

∂q2, . . . ,

∂x

∂ql

sono linearmente indipendenti in ogni punto, generando cosı lo spazio tangente l −dimensionale. Se le coordinate lagrangiane qh sono funzioni C1 di un parametrot ∈ [a, b] la composizione γ(t) = x(q(t)) e una curva regolare il cui sostegno giace sullasuperficie. La sua lunghezza e il funzionale

(1.4) L(γ) =

∫ b

a

|γ′(t)| dt =

∫ b

a

( l∑hk=1

∂x

∂qh· ∂x∂qk

qhqk

)1/2

dt =

∫ b

a

√A(q)q · q dt

dove A(q) e il tensore metrico riemanniano, evidentemente definito positivo, di com-ponenti

ahk =∂x

∂qh· ∂x∂qk

.

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1.3 Geodetiche 9

La definizione di geodetica che abbiamo dato e di natura variazionale in quantosoluzione del problema

(1.5) minγL(γ) | γ(a) = A , γ(b) = B

con A,B punti della superficie assegnati. Il primo integrale nella (1.4) consideratoda solo, ignorati i successivi, puo essere interpretato anche come nella (1.2), dove siconsidera una curva nello spazio euclideo. Per l’unicita, a meno di cambiamenti diparametro, facciamo un ragionamento che prescinde dal caso particolare eucideo cheabbiamo gia trattato, ma applicabile al caso generale della (1.4). Ricordiamo intantoche L e invariante per parametrizzazioni perche se t = t(τ) e C1 e per esempiocrescente, con τ ∈ [α, β], si ha∫ b

a

|γ′(t)| dt =

∫ β

α

∣∣∣dγ(t(τ))

dt

∣∣∣ dtdτ

dτ =

∫ β

α

∣∣∣dγ(t(τ))

∣∣∣dτdt

dt

dτdτ =

∫ β

α

∣∣∣dγ(t(τ))

∣∣∣ dτ ,pertanto non e restrittivo cercarne il minimo nella classe piu ristretta delle curve con“velocita” di modulo costante, pensiamo all’ascissa curvilinea o ad un parametro adessa proporzionale, ma non essendo strettamente convesso, l’unicita non e cosı chiara.Ricorriamo allora al funzionale ausiliario

(1.6) E(γ) =1

2

∫ b

a

|γ′(t)|2 dt =1

2

∫ b

a

A(q)q · q dt .

Esso non e invariante per cambi di parametro ed e strettamente convesso. Per ladisuguaglianza di Jensen in termini di γ si ha

L(γ) 6√

2(b− a)E(γ) ,

dove la disuguaglianza e stretta, a meno che γ non abbia derivata di modulo costante.A differenza di cio che avviene per L, il minimante di E e proprio unico e con derivatadi modulo costante. Ma allora sostituire l’intera classe delle curve ammissibili conquella piu ristretta delle curve che hanno derivata di modulo costante non modifica iminimanti di E e su questo sottoinsieme si ha

L(γ) =√

2(b− a)E(γ) ,

pertanto i due problemi di minimo per E e per L sono equivalenti e anche il mini-mante di L e unico (a meno di cambi di variabile).

Se vogliamo dare un’interpretazione meccanica a questo problema, osserviamo chein assenza di forze attive un sistema soggetto a vincoli lisci e fissi percorre propriole geodetiche con stato cinetico di modulo costante. Dal punto di vista variazionalequesto dipende dal fatto che il funzionale da rendere stazionario secondo il Principiodi Hamilton ∫ t2

t1

L (q, q, t) dt ,

dove L = T−V si riduce alla sola energia cinetica T , coincide esattamante con quellodella (1.6).

Per trovare il minimo del funzionale (1.4), l’integrando e certamente convessorispetto a q, ma dipende anche da q, quindi non possiamo applicare la (1.3). Ma seper qualche relazione tra i parametri, che sia compatibile coi dati agli estremi, la A(q)si riduce ad una costante A0 tale che per ogni q valga la relazione puntuale

A(q)ξ · ξ > A0ξ · ξ ∀ξ ∈ Rl

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10 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

allora si puo senz’altro semplificare il problema sostituendo A0 ad A(q). Comunquein tutti i casi in cui la complicata geometria della varieta puo diventare rilevantesi assiste all’esistenza di piu soluzioni, per questi problemi e quindi piu appropriatoparlare di minimi relativi.

Applichiamo questo ragionamento all’esempio ben noto delle geodetiche della sfera.Per due punti di una sfera passano due geodetiche, un arco della circonferenza massimacontenente i due punti e il suo complementare, ma uno solo dei due e la curva diminima lunghezza, a meno che i due punti non siano gli estremi di un diametro.Vediamolo concretamente. Fissati i due punti A e B, con A 6= B, sulla sfera unitariadi equazione

x1(ϑ, ϕ) = senϑ cosϕ

x2(ϑ, ϕ) = senϑ senϕ

x3(ϑ, ϕ) = cosϑ , ϑ ∈ [0, 2π] , ϕ ∈ [0, π[ ,

possiamo supporre A = x(0, ϕ) = (0, 0, 1) e B = x(ϑ0, 0) = (a, 0, b). Ogni curvaγ(t) = x(ϑ(t), ϕ(t)) con t ∈ [0, 1] tale che x(ϑ(0), ϕ(0)) = A e x(ϑ(1), ϕ(1)) = Bsoddisfa la stima dal basso

L(γ) =

∫ 1

0

∣∣∣∣∂x∂ϑϑ+∂x

∂ϕϕ

∣∣∣∣ dt =

∫ 1

0

√ϑ2 + ϕ2 sen2 ϑ dt >

∫ 1

0

|ϑ| dt >∣∣∣∣∫ 1

0

ϑ dt

∣∣∣∣ = ϑ0

che viene raggiunta da una ϕ costante, corrispondente ad un arco della circonferenzadi massimo raggio passante per A e per B (e avente quindi il centro in O). Ora, seB = (0, 0,−1), cioe se a = 0, vi sono infinite soluzioni di lunghezza π, essendo ϑ0 = π;se invece a > 0 la stima inferiore trovata viene raggiunta da quello dei due archi cheha lunghezza minima. L’arco complementare, di lunghezza 2π − ϑ0, e comunque diminimo relativo. Infatti le curve che vanno da A a B attraversando un piccolo intornodi (0, 0,−1) formano un intorno di quell’arco e soddisfano

L(γ) >∫ 1

0

|ϑ| dt = 2π − ϑ0 .

Esercizio 1.1 Trovare le geodetiche del cilindro e del cono.

Vediamo invece un caso di non esistenza con un funzionale che non sembra troppodiverso. Il funzionale

F (u) =

∫ 1

0

√u2 + u′2 dx

non ha minimo nella classe delle funzioni regolari a tratti su [0, 1] tali che u(0) = 0 eu(1) = 1. Infatti a causa dei dati agli estremi u non puo essere identicamente nulla,quindi la stima dal basso

F (u) >

∫ 1

0

|u′| dt >∣∣∣∣∫ 1

0

u′ dt

∣∣∣∣ = 1

non puo essere raggiunta. D’altra parte il minorante trovato e proprio l’estremoinferiore, basta osservare che sulla successione

un(t) =

0 se 0 6 t 6 1− 1/n

n(t− 1) + 1 se 1− 1/n < t 6 1

si ha F (un)→ 1.

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1.4 Un problema di area minima 11

1.4 Un problema di area minima

Immaginiamo di immergere due curve circolari di fil di ferro, contenute in duepiani paralleli ideali a distanza fissata, in una soluzione di acqua saponata. La laminache si forma al momento dell’estrazione si dispone secondo una configurazione diarea minima e non e un cilindro come si potrebbe pensare, ma una superficie dirivoluzione connessa che presenta una strozzatura nella zona centrale e che ha perbordo le due circonferenze. Questo avviene se le due basi sono abbastanza vicine,ma se aumentiamo la loro distanza, la strozzatura si fa sempre piu accentuata e oltreuna certa distanza critica la lamina saponata si rompe e se ne formano due piatteche occupano le basi. Vediamo come si puo spiegare questo fenomeno nell’ambito delCdV.

Innanzitutto bisogna capire perche se le basi sono circolari la superficie di areaminima e proprio di rivoluzione. Se le due circonferenze, di raggi 1 e a, hanno il centrosull’asse x e sono contenute rispettivamente nei piani x = 0 e x = l possiamo supporreche la generica superficie abbia la forma parametrica (x, ρ(x, ϑ) cosϑ, ρ(x, ϑ) senϑ) conρ(0, ϑ) = 1 e ρ(l, ϑ) = a per ogni ϑ ∈ [0, 2π] e x ∈ [0, l]. La simmetria circolare dellebasi ci permette di abbassare il valore dell’area

A =

∫ 2π

0

∫ l

0

√ρ2ϑ + ρ2(1 + ρ2

x) dx >∫ 2π

0

∫ l

0

ρ√

1 + ρ2x dx

eliminando cosı la dipendenza da ϑ, quindi la superficie di area minima e di rivolu-zione. Pertanto possiamo ridurre il problema al piano x, y e sostituire la superficiecol suo profilo curvilineo, grafico di una funzione y = y(x), regolare a tratti su [0, l] ei cui valori agli estremi dell’intervallo coincidono con i raggi assegnati delle basi.

L’area e il prodotto di 2π per il funzionale

(1.7) F (y) =

∫ l

0

y(x)√

1 + y′(x)2 dx

che va reso minimo con le condizioni y(0) = 1 e y(l) = a. Non e ovviamente restrittivosupporre y(x) > 0 per ogni x ∈ [0, l].

Dimostriamo che ogni funzione regolare a tratti y(x) che minimizza F e necessa-riamente convessa e che se

F (y) <a2 + 1

2

allora y(x) > 0 per ogni x ∈ [0, l]. Il significato e evidente: la superficie di area minimapresenta la caratteristica strozzatura e se ha un’area inferiore a quella complessivadelle basi non puo toccare l’asse di simmetria. In altre parole, non appena y = 0 inqualche punto si ha subito

F (y) >a2 + 1

2e inf F (y) =

a2 + 1

2,

le due lamine piane che occupano le basi realizzano la minima area.

Supponiamo che y sia una soluzione non convessa del problema di minimo per ilfunzionale (1.7). Allora esiste un intervallo J = [α, β] ⊂ [0, l] tale che la funzione

ϕ(x) =

y(α) +

y(β)− y(α)

β − α(x− α) se x ∈ [α, β]

y(x) altrove

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12 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

e C1 a tratti e ϕ (x) < y (x) su J . Per la disuguaglianza di Jensen, dove si fa usodella misura µ con densita y

µ(E) =

∫E

y(x) dx ,

si ha

∫ β

α

y√

1 + y′2 dx =

∫ β

α

√1 + y′2 dµ >

√√√√µ(J)2 +

(∫ β

α

y′ dµ

)2

=

√√√√µ(J)2 +

(∫ β

α

yy′ dx

)2

=

√√√√µ(J)2 +

(∫ β

α

ϕϕ′ dx

)2

>

√√√√(∫ β

α

ϕdx

)2

+

(∫ β

α

ϕϕ′ dx

)2

=

∫ β

α

ϕ√

1 + ϕ′2 dx

essendo ϕ′ costante su [α, β].

Veniamo alla seconda affermazione. In primo luogo otteniamo una stima dal bassodel funzionale, sulle sole funzioni convesse, che dipende dall’area delle due basi e dalminimo di y(x).

Sia x0 ∈ [0, l] un punto di minimo per una funzione convessa y(x). Poiche y′ ecrescente, si ha

y′(x) 6 0 se x 6 x0 e y′(x) > 0 se x > x0 ,

quindi

F (y) =

∫ l

0

y√

1 + y′2 dx >

∫ l

0

y|y′| dx = −∫ x0

0

yy′ dx+

∫ l

x0

yy′ dx =a2 + 1

2−y(x0)2 .

Se la soluzione del problema variazionale, che e una y(x) tra queste convesse di classeC1, avesse minimo nullo, y(x0) = 0, risulterebbe F (y) > (a2+1)/2, l’area della laminasarebbe superiore alla somma delle aree delle due basi. Ma questo non puo accadereperche

a2 + 1

2= inf F .

Si verifica infatti con facili calcoli che in corrispondenza della successione

yn(x) =

1− nx se 0 6 x 61

n

0 se1

n< x < l − 1

n

a+ na(x− l) se l − 1

n6 x 6 l ,

si ha F (yn) → (a2 + 1)/2. La lamina si rompe in due componenti connesse piatteche vanno ad occupare le basi. Si tratta di una soluzione generalizzata ed e notacome soluzione di Goldschmidt. Le soluzioni regolari di questo problema le possiamodeterminare con le equazioni di Eulero.

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1.5 Fili, membrane, elasticita 13

1.5 Fili, membrane, elasticita

Un filo omogeneo di massa m, inestensibile e perfettamente flessibile di lunghezzal viene sospeso per gli estremi nei punti O = (0, 0) e A = (a, 0) con a < l. Vogliamodeterminare la configurazione di equilibrio del filo sotto l’azione della forza peso.

E facile immaginare, e non sara difficile provarlo, che il filo si deve disporre nelpiano verticale contenente i due estremi, secondo il grafico di una funzione y(x) defi-nita sull’intervallo [0, a] che prende il nome di catenaria. L’energia potenziale del pesoagente su un tratto infinitesimo ds che si trova a quota y vale ρgy ds, dove ρ = m/le la densita di massa. Per il principio di Dirichlet si perviene cosı al problema diminimo per il funzionale

F (y) =

∫ a

0

y(x)√

1 + y′(x)2 dx ,

lo stesso dell’esempio precedente, con le condizioni agli estremi

y(0) = y(a) = 0

e con in piu la condizione di vincolo∫ a

0

√1 + y′(x)2 dx = l ,

circostanza che lo rende molto diverso.Ovviamente se gli estremi del filo vengono disposti a distanza l lo spazio delle

funzioni ammissibili si riduce alla sola funzione nulla e il problema perde interesse. Sepero, rimosso il vincolo sulla lunghezza, si vuole studiare l’equilibrio di un filo defor-mabile posto in trazione e poi vincolato agli estremi, (0, 0) e (l, 0), bisogna tener contodell’energia di deformazione che il filo accumula nel passaggio dalla configurazione ariposo (x, 0) | 0 < x < l alla configurazione attuale (x, y(x)) | 0 < x < l per lapresenza di certi carichi trasversali assegnati. Nella teoria delle “piccole deformazio-ni”, dove ds ∼ dx, e lecito scrivere la trazione τ > 0 del filo e il carico trasversale perunita di lunghezza p (ad esempio il peso proprio p = −ρg) nella configurazione inde-formata, cioe in funzione della sola x, e ignorarne la dipendenza dallo spostamentotrasversale y(x). La funzione τ(x) e assegnata, ma viene calcolata preventivamentecome soluzione dell’equazione di equilibrio lungo il filo (τ e costante in assenza forzetangenziali distribuite). L’energia di deformazione coincide con il lavoro totale che τcompie per la variazione relativa di lunghezza

E(y) =

∫ l

0

τds− dxdx

dx =

∫ l

0

τ(√

1 + y′2 − 1) dx ∼ 1

2

∫ l

0

τy′2 dx

per l’ipotesi di piccole deformazioni. A questa bisogna aggiungere l’energia potenzialedel carico che e l’opposto del lavoro. Si perviene cosı al problema di minimo per ilfunzionale energia

F (y) =1

2

∫ l

0

τy′2 dx−∫ l

0

py dx

con le condizioni al bordo y(0) = y(l) = 0.In dimensione n > 1, come nel caso della membrana in R2 che e l’analogo del filo,

il funzionale diventa

F (u) =1

2

∫Ω

ADu ·Dudx−∫

Ω

fu dx ,

dove Ω e un aperto di Rn, f : Ω → R e A(x), x ∈ Ω, una matrice uniformementedefinita positiva. Il problema variazionale consiste nel rendere minimo F (u) su unaclasse di funzioni u che soddisfano dati al bordo di vario tipo, per esempio

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14 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

- condizione di Dirichlet

u = g su ∂Ω ,

- condizione di Neumann∂u

∂n= h su ∂Ω ,

- condizione mista

u = g su ∂1Ω ,∂u

∂n= h su ∂2Ω , dove ∂1Ω ∪ ∂2Ω = ∂Ω .

Questo modello e comune ad una grande quantita di fenomeni in regime staziona-rio, dalla conduzione elettrica o termica nei continui all’equilibrio della membrana, alproblema della torsione nelle travi, al moto con potenziale di un liquido incomprimi-bile.

Vincoli unilaterali. Si vuole trovare la configurazione di equilibrio di una mem-brana tesa al di sopra di un ostacolo, soggetta ad un carico e vincolata sul bordo. Laformulazione variazionale del problema e

min

1

2

∫Ω

|Du|2 dx−∫

Ω

fu dx |u = u0 su ∂Ω , u > ψ in Ω

,

dove ψ : Ω→ R, ψ 6 u0 su partialΩ, rappresenta l’ostacolo.

Esercizio 1.2 Risolvere lo stesso problema per lo spostamento u(x) di un filoscarico sull’intervallo (−2, 2), con u(−2) = u(2) = 0, teso al di sopra dell’ostacoloψ(x) = 1 − x2, supponendo di sapere gia che in questo caso la soluzione deve starenecessariamente in C1(−2, 2).

Il caso vettoriale dell’elasticita lineare. Le proprieta materiali di un corpolineare elastico tridimensionale sono caratterizzate da un tensore a quattro indiciC = Cijhk, funzione del punto per i materiali compositi, che lega linearmenteil tensore di deformazione e(u) = 1

2 (∇u + ∇uT ) a quello degli sforzi σ secondo larelazione σ = Ce o, in componenti, σij = Cijhkehk (con la convenzione della sommarispetto agli indici ripetuti). Essendo e(u) e σ simmetrici, C e invariante rispettoallo scambio tra i primi due indici e tra gli altri due (simmetrie minori). In piuCijhk = Chkij (simmetria maggiore) se il materiale e iperelastico e in questo caso epossibile definire l’energia elastica di deformazione

E(u) =1

2

∫Ω

Ce(u) · e(u) dx =1

2

∫Ω

C∇u · ∇u dx .

Il problema dell’equilibrio elastico in forma variazionale, in presenza di una distribu-zione di forze di volume f(x) assegnate, consiste nel minimizzare il funzionale

F (u) =1

2

∫Ω

C∇u · ∇u dx−∫

Ω

f · u dx

con condizioni di Dirichlet sulle zone vincolate del bordo e condizioni di Neumannsulle zone soggette a forze di superficie.

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1.6 La brachistocrona e il Principio di Fermat 15

1.6 La brachistocrona e il Principio di Fermat

Si tratta della curva liscia a cui deve essere vincolato un punto materiale pesante,affinche il tempo impiegato durante la caduta, tra due posizioni assegnate, risultiminimo. Supponiamo che il punto materiale P di massa m debba partire con velocitanulla dalla posizione iniziale A = (0, 0) e debba raggiungere la posizione finale B =(l, a), con a > 0, essendo l’asse y del sistema di riferimento verticale discendente. Perla conservazione dell’energia, si ha

1

2mv2 = mgy ,

essendo y = y(x) la curva γ su cui P deve muoversi. Il tempo complessivo impiegatoper andare da A a B e allora dato da

T =

∫γ

ds

v=

∫ l

0

√1 + y′2

2gydx .

Ci troviamo dunque di fronte al problema di minimo per il funzionale

F (y) =

∫ l

0

√1 + y′2

ydx

con dati agli estremi y(0) = 0 e y(l) = a. Anche questo problema verra risolto conl-equazione di Eulero.

Alcuni funzionali presentati sono casi particolari di

(1.8) F (y) =

∫ l

0

h(y)√

1 + y′2 dx

che interviene nel modello generale classico della propagazione della luce attraversoun mezzo trasparente. Ad ogni punto P del mezzo corrisponde il modulo v(P ) > 0della velocita con cui il raggio di luce passa attraverso P . Secondo il principio diFermat, che sta alla base dell’ottica geometrica, la luce viaggia lungo una traiettoriadi minimo tempo

minγ

∫γ

ds

v

tra due punti dello spazio. Chiaramente nel caso di un mezzo omogeneo, in cui v ecostante, si ricade nel problema delle geodetiche; in uno spazio omogeneo la minimalunghezza e il minimo tempo sono la stessa cosa e la luce viaggia in linea retta se lospazio e quello ordinario euclideo.

Se la lastra e piana si perviene al problema di minimo per il funzionale

F (x, y) =

∫ 1

0

√x′2 + y′2

v(x, y)dt

sulla classe delle curve (x(t), y(t)) con estremi assegnati, ma se le proprieta materialivariano soltanto lungo y le curve soluzioni sono grafici y = y(x), come dimostreremopiu avanti, e il funzionale diventa

F (y) =

∫ l

0

√1 + y′2

v(y)dx ,

cioe il (1.8) con h(y) = 1/v(y). Volendo attribuire al funzionale (1.7) questo significa-to, il fatto che v sia decrescente con la quota y fa pensare al fenomeno del miraggio:

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16 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

in un caldo pomeriggio estivo gli strati dell’aria piu vicini all’asfalto sono piu rarefattia causa della maggiore temperatura, il raggio di luce che parte dal sole e giunge ainostri occhi li preferisce e quindi si incurva verso il basso dandoci l’impressione chesi tratti di un fenomeno di riflessione. Per questo ci sembra di vedere, in lontananzasulla strada, una zona bagnata che fa da specchio.Il riferimento alle geodetiche del caso omogeneo suggerisce di ribaltare il punto divista e, per estensione, di considerare le soluzioni dei problemi di minimo tempo comele geodetiche di uno spazio non euclideo, le cui “rette” continuano a identificarsi conle traiettorie della luce. Si pensi al caso del modello di Poincare per la geometria diLobacevskij, relativo al funzionale

F (y) =

∫ l

0

√1 + y′2

ydx ,

che ha come rette le semicirconferenze con centro sull’asse x contenute nel semipianoy > 0.

Per adesso non abbiamo avuto bisogno di affrontare seriamente la questione dellascelta dello spazio piu naturale in cui ambientare i problemi variazionali, per ora cisiamo limitati a illustrare dei problemi particolari insieme alle loro soluzioni, non ab-biamo dimostrato teoremi di esistenza. E stato comunque inevitabile accennare a C1,C1 a tratti per la natura stessa degli integrandi, ma e bene sottolineare subito chequesti spazi sono insufficienti per costruire teorie generali sull’esistenza di soluzioni.Gia per le funzioni ordinarie di una variabile, ricordiamo che senza la completezza diR cade il teorema di Weierstraß: la funzione senx non ha minimo su Q∩[0, 2π]. Ma lacompletezza e una nozione metrica; mentre la metrica giusta di R, per tutte le teorieragionevoli dell’analisi, e quella della distanza euclidea indotta dal valore assoluto, peri funzionali va cercata di volta in volta, a seconda del tipo di problema da risolvere.Comunque, anche senza affrontare adesso il problema della completezza e dell’esisten-za, il passaggio da C1 a C1 a tratti e gia di per se un miglioramento in quanto cipermette di recuperare soluzioni interessanti sulle quali il funzionale integrale e anco-ra ben definito. Anche con integrandi molto regolari, possiamo assistere all’esistenzadi “estremali spezzate”, cioe di punti di minimo che sono funzioni continue ma conqualche discontinuita sulle derivate.

Consideriamo ad esempio il problema di minimo per il funzionale

F (u) =

∫ 1

−1

(u′2 − 1)2 dx

con le condizioni u(−1) = u(1) = 1. Sono soluzioni u(x) = |x|, u(x) = 2− |x| e tantealtre, ma tutte devono presentare dei salti sulle derivate, le quali possono valere solo1 o −1. Tuttavia possiamo sempre trovare successioni di funzioni differenziabili un,uniformemente convergenti alle estremali spezzate, che siano minimizzanti per il fun-zionale, cioe tali che F (un)→ minF . Valgono infatti i seguenti risultati che citiamosenza dimostrazione:

- se u ∈ C1 a tratti e di minimo allora esiste una successione (un) ⊂ C1 tale cheun → u uniformemente e F (un)→ F (u),

- se u ∈ C1 e di minimo allora lo e anche in C1 a tratti.

Esercizio 1.3 Per il funzionale

F (u) =

∫ 1

0

((u′2 − 1)2 + u2) dx ,

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1.7 Il fenomeno di Lavrentiev 17

con le condizioni u (0) = u (1) = 0, dobbiamo accontentarci delle sole successioniminimizzanti (quali sono? costruirne una), dato che non ha minimo nemmeno tra leC1 a tratti.

Esercizio 1.4 Neanche il funzionale

F (u) =

∫ 1

0

xu′2 dx

ha minimo sulle u regolari a tratti tali che u(0) = 0 e u(1) = 1. Verificare che lasuccessione

un(x) =

0 se 0 6 x 6

1

n

1 +log x

log nse

1

n6 x 6 1

e minimizzante per F . Discutere rispetto ad α il caso del funzionale

F (u) =

∫ 1

0

xαu′2 dx .

1.7 Il fenomeno di Lavrentiev

Anche la scelta delle C1 a tratti, che significa sostanzialmente lavorare nell’ambitodelle funzione lipschiziane, puo essere troppo restrittiva. Per dare senso all’integralenon e necessario richiedere che u o Du siano limitate, ma basta qualche condizione diintegrabilita che assicuri che il funzionale sia ben definito.

Per toccar con mano l’influenza della scelta dello spazio, e in particolare per com-prendere come la condizione di derivata limitata sia troppo restrittiva, vediamo unfunzionale che ha estremo inferiore sulle funzioni lipschitziane strettamente maggioredel minimo sullo spazio delle funzioni integrabili con derivata integrabile. Per mo-tivi che vedremo in seguito, indichiamo la prima classe con W 1,∞ e la seconda conW 1,1. Chiaramente W 1,∞ ⊂ W 1,1 strettamente, per esempio

√x su [0, 1] appartiene

alla seconda ma non alla prima. Ma la peculiarita dell’esempio, che si trova in Da-corogna [9], sta nel fatto che questo fenomeno avviene anche se W 1,∞ e denso in W 1,1.

Sia

F (u) =

∫ 1

0

(x− u(x)3)2u′(x)6 dx .

Ovviamente la funzione w(x) = 3√x e l’unica soluzione del problema

minF (u) | u ∈W 1,1(0, 1) , u(0) = 0 , u(1) = 1

e F (w) = 0. Pero possiamo dimostrare che

(1.9) F (u) >7235

21855

per ogni u ∈W 1,∞(0, 1).Osserviamo che se u ha derivata limitata su [0, 1] e u(0) = 0, in un intorno di 0

deve assumere valori inferiori ad ogni funzione del tipo k 3√x. Se in piu u(1) = 1 e

k < 1, deve anche assumere valori superiori a k 3√x in un intorno di 1. Per continuita

esistono 0 < α < β < 1 tali che

1

43√x 6 u(x) 6

1

23√x ∀x ∈ [α, β] , u(α) =

1

43√α e u(β) =

1

23√β .

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18 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

Su questo intervallo si ha

Fαβ(u) =

∫ β

α

(x− u(x)3)2u′(x)6 dx =

∫ β

α

x2

(1− u(x)3

x

)2

u′(x)6 dx

>72

26

∫ β

α

x2u′(x)6 dx .

Effettuando il cambio di variabile y = x3/5, per cui

u(x) = u(y) = u(x3/5) e u′(x) =3

5u′(y)y−2/3 ,

e usando la disuguaglianza di Jensen, si ottiene

F (u) > Fαβ(u) >7235

2655

∫ β3/5

α3/5

u′(y)6 dy >7235

2655(β3/5 − α3/5)

(u(β3/5)− u(α3/5)

β3/5 − α3/5

)6

=7235(u(β)− u(α))6

2655(β3/5 − α3/5)5=

7235(1− (α/β)1/3/2

)621255β(1− (α/β)3/5)5

>7235

21855β>

7235

21855

essendo α/β < 1 e β < 1.

Esercizio 1.5 Mostrare che la successione di W 1,∞(0, 1)

un(x) =

n2/3x se 0 6 x 6 1/n3√x se 1/n < x 6 1

converge in W 1,1(0, 1) alla soluzione u(x) = 3√x, ma F (un) → ∞, quindi la un non

e minimizzante.

1.8 Minimi relativi

Come abbiamo appena visto, passando da uno spazio ad un altro piu grande, anchese il primo e denso nel secondo, il minimo di un funzionale puo diminuire. Vediamoinvece cosa succede se si modifica soltanto la metrica lasciando invariato lo spazio.Finora non abbiamo parlato di distanze o di possibili topologie semplicemente percheeravamo interessati alla determinazione dei minimi assoluti, la cui definizione fa uso diuna disuguaglianza di tipo globale che puo essere vera o falsa indipendentemente dallanatura topologica di X. Ma quando si passa allo studio dei minimi relativi il problemavariazionale acquista un carattere locale e la topologia diventa determinante, come eevidente dalla definizione

un punto x0 ∈ X e di minimo relativo per F se esiste un intorno U di x0 tale che

F (x0) 6 F (x) ∀x ∈ U

dove si usa la nozione di intorno.Sull’insieme C1[0, π] delle funzioni derivabili con derivata continua su [0, π] si

possono definire la norma forte

‖u‖∞ = supx∈[0,π]

|u (x) | ,

che e poi la norma rispetto alla quale l’insieme delle funzioni continue C0[0, π] e unospazio di Banach, e la norma debole

‖u‖1,∞ = ‖u‖∞ + ‖u′‖∞

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1.9 L’equazione di Eulero 19

che fa di C1[0, π] uno spazio di Banach. La prima topologia e piu fine della secondanel senso che ha piu aperti e quindi, per ogni elemento, piu intorni. Di conseguenzaogni punto di minimo debole e anche di minimo forte, ma non viceversa.

Il funzionale F : C1[0, π]→ R definito da

F (u) =

∫ π

0

u′2(1− u2u′2) dx , u(0) = u(π) = 0 ,

ammette la funzione nulla come punto di minimo relativo debole. Infatti se δ <√

2 e‖u‖1,∞ < δ allora

|u(x)u′(x)| 6 1

2

(u(x)2 + u′(x)2

)<δ2

2< 1

per ogni x ∈ [0, π], quindi F (u) > 0 e F (u) = 0 se e solo se u′, e di conseguenza u pervia delle condizioni agli estremi, e identicamente nulla.La successione

un(x) =2√n

sennx

soddisfa

limn→∞

‖un‖∞ = limn→∞

1√n

= 0 ,

ma F (un)→ −∞, quindi la funzione nulla non e di minimo relativo forte.La scelta della norma all’interno di uno spazio influisce anche sulla continuita di

un funzionale. Per esempio la lunghezza

F (y) =

∫ 1

0

√1 + y′2 dx

e continua rispetto alla norma debole perche

|F (y)− F (z)| 6∫ 1

0

|y′ − z′| dx 6 ‖y′ − z′‖∞ 6 ‖y − z‖1,∞ ,

ma e solo semicontinua inferiormente rispetto a quella forte, basta osservare che, apartire dal prolungamento 1-periodico u : R→ R della funzione

u0(x) =1

2−∣∣∣∣x− 1

2

∣∣∣∣ ,la successione uh(x) = u(hx)/h converge uniformemente alla funzione nulla, che halunghezza F (0) = 1, ma F (uh) =

√2 per ogni h ∈ N, quindi

F (0) < limh→∞

F (uh) .

In realta il funzionale lunghezza e, in modo analogo, anche quello dell’area sono solosemicontinui inferiormente rispetto alla convergenza uniforme.

1.9 L’equazione di Eulero

Sotto determinate (ragionevoli) ipotesi di regolarita dell’integrando f(t, z, ξ), lacondizione necessaria di stazionarieta si traduce in un sistema di equazioni differenzialiordinarie per le funzioni estremali. Consideriamo il funzionale

F (u) =

∫ b

a

f(t, u(t), u′(t)) dt

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20 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

sulla classe delle funzioni vettoriali u ∈ C1([a, b],Rm), con f ∈ C1([a, b]×D ×Rm),e il relativo problema di minimo

minF (u) | u(a) = u1 u(b) = u2 .

Se D = Rm i dati agli estremi definiscono la varieta lineare V ⊂ C1([a, b],Rm)delle funzioni ammissibili, parallela al sottospazio vettoriale V0 delle funzioni ϕ chesi annullano agli estremi. In altre parole

∀u ∈ V ∀ϕ ∈ V0 u+ ϕ ∈ V e ∀u, v ∈ V u− v ∈ V0 .

Se D e un sottoinsieme aperto di Rm, per ogni u ammissibile, cioe a valori in D eappartenente a V , e per ogni ϕ ∈ V0 anche la funzione u + εϕ e ammissibile per |ε|sufficientemente piccolo, quindi ha senso F (u+ εϕ) e se u e di minimo, o di massimo,relativo allora la variazione prima di F in u deve annullarsi

(1.10) limε→0

F (u+ εϕ)− F (u)

ε= 0 .

In questa condizione di stazionarieta riconosciamo a sinistra la derivata di Gateauxcome funzionale lineare su V0

ϕ→ d

dεF (u+ εϕ)|ε=0 = 〈F ′(u), ϕ〉

che ci ricorda la derivata direzionale per le funzioni ordinarie. Potendo derivare sottoil segno di integrale, la (1.10) diventa

(1.11) 〈F ′(u), ϕ〉 =

m∑h=1

∫ b

a

(∂

∂zhf(t, u, u′)ϕh +

∂ξhf(t, u, u′)ϕ′h

)dt = 0 .

La (1.11), detta equazione di Eulero in forma debole, deve essere soddisfatta per ogniϕ di classe C1 e nulla agli estremi, ma la condizione che si otterrebbe sostituendoV0 con D(]a, b[,Rm) e solo apparentemente meno restrittiva, in realta e del tuttoequivalente per densita, quindi possiamo scegliere senz’altro lo spazio delle funzionitest D(]a, b[,Rm). L’uso di questa classe piu ristretta sara necessario se nella (1.11)compaiono generiche distribuzioni.

Con l’ipotesi aggiuntiva f ∈ C2([a, b] × D × Rm) e lecito integrare per parti ilsecondo termine della (1.11), quindi si ottiene l’equazione di Eulero classica

(1.12)

m∑h=1

∫ b

a

(∂

∂zhf(t, u(t), u′(t))− d

dt

∂ξhf(t, u(t), u′(t))

)ϕh(t) dt = 0

per ogni ϕ ∈ D(]a, b[,Rm). Scegliendo volta per volta tutte le componenti di ϕidenticamente nulle eccetto una, la (1.12) si separa in un sistema di m condizioniintegrali indipendenti che per il seguente lemma si traduce nel sistema di equazionidifferenziali ordinarie del secondo ordine

(1.13)d

dt

∂ξhf(t, u(t), u′(t))− ∂

∂zhf(t, u(t), u′(t)) = 0 ∀h = 1, . . . ,m .

Lemma 1.1 (fondamentale del CdV) Se f ∈ C0[a, b] e∫ b

a

f(t)ϕ(t) dt = 0 ∀ϕ ∈ D ]a, b[

allora f(t) = 0 per ogni t ∈ [a, b].

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1.10 L’Equazione di Eulero negli esempi visti 21

Dimostrazione. Se fosse f(t0) 6= 0, ad esempio f(t0) > 0, risulterebbe f(t) > 0per |t − t0| < δ per un certo δ > 0. Scegliendo una ϕ > 0 con supporto contenentel’intervallo ]t0 − δ, t0 + δ[ si contraddice l’ipotesi.

2

Immediata conseguenza della (1.13) e l’integrale primo

(1.14) f indipendente da zk ⇒ ∂

∂ξkf(t, u(t), u′(t)) = costante ,

inoltre, poiche ogni soluzione del sistema (1.13) soddisfa identicamente

d

dt

(n∑h=1

u′h∂

∂ξhf(t, u(t), u′(t))− f(t, u(t), u′(t))

)= − ∂

∂tf(t, u(t), u′(t))

come si puo facilmente verificare, se f non dipende esplicitamente da t vale l’integraleprimo

n∑h=1

u′h∂

∂ξhf(t, u(t), u′(t))− f(t, u(t), u′(t)) = costante ,

detta Equazione di du Bois-Reymond.Abbiamo gia sottolineato che le equazioni di Eulero, nella forma debole (1.11)

(integrale) o nella versione forte (puntuale), (1.13) sono condizioni necessarie per leestremali. Possono diventare sufficienti in determinate situazioni? Come e ben notoper le funzioni ordinarie, la convessita e una buona proprieta per risolvere i problemidi minimo (la concavita per quelli di massimo) e se si suppone che l’integrando siaconvesso come funzione (z, ξ)→ f(t, z, ξ) allora anche il funzionale u→ F (u) e ovvia-mente convesso (il viceversa verra considerato piu avanti) e per ogni u ∈ C1([a, b],Rm)e per ogni ϕ ∈ D(]a, b[,Rm) si ha

F (u+ εϕ) > F (u) + ε〈F ′(u), ϕ〉 .

Ne segue che se u soddisfa la (1.11) il secondo termine della precedente relazione siannulla e F (u) e il minimo di F . Se poi f , e quindi F , e strettamente convessa lasoluzione, se esiste, e unica.

1.10 L’Equazione di Eulero negli esempi visti

Riprendiamo adesso lo studio dei problemi gia considerati, ma che non abbiamoancora risolto completamente. Alcuni funzionali, come quello della brachistocrona, liabbiamo scritti direttamente nella forma

F (y) =

∫ b

a

h(y)√

1 + y′2 dx

assumendo in modo del tutto arbitrario che la curva soluzione dovesse cercarsi trale funzioni y = y(x). Ma partendo pure dal problema parametrico di minimo per ilfunzionale

F (x, y) =

∫ 1

0

h(y)√x′2 + y′2 dt ,

dalla (1.14) discende il principio di conservazione

h(y)x′√x′2 + y′2

= c

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22 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

e se c 6= 0 x(t) e strettamente monotona, x puo essere scelta come variabile al postodi t e il problema assume la forma cartesiana in y.

La brachistocrona. Tenendo presente che l’integrando

f(y, y′) =

√1 + y′2

y

non dipende da x, l’equazione di Eulero si riduce, dopo qualche passaggio, a

y(1 + y′2) = c , c > 0 .

Se c = 0 non c’e che la soluzione banale y = 0, l’unica soluzione costante. Se c > 0 siha ovviamente

0 < y =c

1 + y′2< c

e l’equazione diventa √y

c− yy′ = 1 .

Posto

y(x) = c sen2 ψ(x)

2,

si ottiene

cψ′ sen2 ψ

2=c

2ψ′(1− cosψ) = 1 ,

da cui x =

c

2(ψ − senψ)

y =c

2(1− cosψ)

che sono le equazioni parametriche di una cicloide di raggio generatore c/2. Il pas-saggio per il punto finale (l, a) determina il valore di c e l’intervallo [0, ψ0] per la ψ.

Esercizio 1.6 Determinare le rette del modello di Poincare per il funzionale

F (y) =

∫ b

a

1

y

√1 + y′2 dx

La superficie di rivoluzione di area minima. Come equazione di Eulero siottiene facilmente

(1.15) y = c√

1 + y′2 , c > 0 .

Si conferma cio che abbiamo gia osservato, che se in un punto x0 si ha y(x0) = 0allora c = 0 e la soluzione e quella identicamente nulla con il salto agli estremi dovutoalle condizioni al contorno, detta soluzione di Goldschmidt [26]. Se c > 0 allora y > covunque e y = c al piu in un solo punto dal momento che y deve essere strettamenteconvessa, come si vede derivando una volta la 1.15. Allora e lecito porre

y(x) = c coshψ(x)

che, inserita nell’equazione, fornisce

ψ(x) =x

c+ λ

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1.10 L’Equazione di Eulero negli esempi visti 23

e quindi

y(x) = c cosh(xc

+ λ).

Imponendo la condizione y(0) = 1 = c coshλ si ottiene il cosidetto “pennello diestremali”

(1.16) y(x, λ) =cosh(x coshλ+ λ)

coshλ.

Quando pero si va a imporre l’altra condizione, y(l) = a, non sempre si trova unvalore di λ, deve valere infatti come condizione necessaria la relazione tra a e l

a =cosh(l coshλ+ λ)

coshλ>l coshλ+ λ

coshλ> l − |λ|

coshλ> l − 1 .

Per stabilire quali punti (l, a) sono raggiungibili da soluzioni y(x, λ) per qualche valoredi λ, osserviamo che per ogni x ∈]0, l[ la funzione λ→ y(x, λ) e strettamente convessae lim|λ|→∞

y(x, λ) = +∞, quindi ammette come inviluppo la funzione positiva

m(x) = minλ∈R

y(x, λ) .

Questa funzione non e un elemento della famiglia, quindi se a 6 m(l) il problema nonha soluzione, o meglio, si ha solo la soluzione di Goldschmidt, altrimenti, se a > m(l),vi sono due valori di λ che verificano l’equazione

y(l, λ) = a ,

quindi l’equazione di Eulero ammette due soluzioni, ma una soltanto e quella cheminimizza il funzionale.

La catenaria. Si vuole determinare la configurazione di equilibrio per il filoomogeneo, inestensibile e perfettamente flessibile, soggetto al proprio peso e fissatoagli estremi. Applicando il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, l’energia potenzialedella forza peso va penalizzata con la condizione vincolare sulla lunghezza∫ b

a

√1 + y′2 dx = l

per cui il funzionale da minimizzare diventa

F (y) =

∫ b

a

(y − λ)√

1 + y′2 dx

dove il moltiplicatore λ ∈ R e un’incognita aggiuntiva da determinarsi insieme allay(x) usando le condizioni agli estremi e la lunghezza assegnata del filo. L’equazionedi Du Bois Reymond in questo caso e

y − λ = c√

1 + y′2

che con la sostituzione u = (y − λ)/c si trasforma nella

u =√

1 + c2u′2 .

Posto u(x) = α coshψ(x), per sostituzione diretta si trova

u(x) = cosh(xc

+ γ)

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24 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali

e quindi

y(x) = λ+ c cosh(xc

+ γ).

Imponendo adesso le condizioni agli estremi e il vincolo sulla lunghezza si ottiene ilsistema a tre equazioni e tre incognite

y(0) = λ+ c cosh γ = h1

y(a) = λ+ c cosh(ac

+ γ)

= h2

c[

senh(ac

+ γ)− senh γ

]= l

e il problema e completamente risolto. Comunemente si impone che la quota degliestremi sia la stessa, per cui possiamo supporre h1 = h2 = 0. In questo caso γ =−a/2c per cui

y(x) = λ+ c cosh(1

c

(x− a

2

))dove senh(a/2c) = l/2c e λ = −c cosh(a/2c).

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Capitolo 2

Il Problema di Dirichlet

2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie

Alcuni problemi classici della Fisica Matematica dei mezzi continui sono governatida equazioni differenziali alle derivate parziali con condizioni al bordo e/o iniziali.Pensiamo ad esempio all’equazione per le piccole oscillazioni trasversali u(x, t) di unacorda vibrante di densita di massa ρ e soggetta alla trazione τ

ρutt − τuxx = f(x, t) 0 < x < l , t > 0 ,

(il pedice indica la derivata parziale) dove f e la sollecitazione esterna. All’equazionevanno associate le condizioni iniziali

u(x, 0) = g(x) e ut(x, 0) = h(x) , 0 < x < l ,

dette anche condizioni di Cauchy, e varie condizioni di vincolo quali

u(0, t) = u(l, t) = 0 , t > 0 ,

che sono le piu comuni, se gli estremi della corda sono bloccati. Piu in generaleu(0, t) e/o u(l, t) possono essere funzioni assegnate di t. In un eventuale estremo nonvincolato, poniamo x = l, sara necessario assegnare la forza applicata mediante lacondizione

τux(l, t) = p(t) t > 0 .

Problemi simili possono essere posti in piu variabili, per la membrana

ρutt − τ(uxx + uyy) = f(x, y, t) (x, y) ∈ Ω , t > 0 ,

per le onde sonore o per quelle elettromagnetiche

utt − c2a(uxx + uyy + uzz) = f(x, y, z, t) (x, y, z) ∈ Ω , t > 0 ,

a cui vanno associate condizioni iniziali in Ω simili alle precedenti e condizioni alcontorno che comunemente possono essere

- di Dirichlet: u = g su ∂Ω,

- di Neumann: a∂u

∂n= h su ∂Ω,

- miste: u = g su ∂1Ω e a∂u

∂n= h su ∂2Ω, dove ∂1Ω ∪ ∂2Ω = ∂Ω e ∂1Ω ∩ ∂2Ω = ∅

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26 Il Problema di Dirichlet

dove n indica il versore normale esterno. Vi sono anche altre condizioni come laderivata in direzioni diverse dalla normale (derivata obliqua), combinazioni lineari diu e della sua derivata normale, condizioni non locali espresse in termini della u stessacome negli appoggi elastici per una struttura vincolata ecc.

L’operatore di somma delle derivate seconde rispetto alle variabili spaziali in Rn

e detto laplaciano

∆u =

n∑i=1

uxixi = div gradu .

Problemi di diffusione e conduzione portano ad equazioni del tipo

(2.1) ut − a∆u = f , a > 0 ,

dove le condizioni iniziali si riducono alla u(x, 0) = g(x) e quelle al bordo sono lestesse che abbiamo visto prima. Nel caso stazionario, quando f e i dati al bordo nondipendono da t, si cercano soluzioni u della (2.1) indipendenti dal tempo e l’equazionesi riduce a

−∆u = f

nota come equazione di Poisson, di Laplace se f = 0. Questa equazione interviene neiproblemi di equilibrio

- per il potenziale elettrostatico o gravitazionale,

- per il flusso stazionario, termico o elettrico, attraverso mezzi conduttori,

- per la configurazione di equilibrio di tensostrutture quali fili e membrane

ed ha senso associare ad essa solo dati al bordo. Noi che siamo interessati al CdV cioccuperemo solo di quest’ultimo tipo di problemi che sono detti ellittici. I precedentisono, nell’ordine, iperbolici e parabolici secondo la classificazione standard che si basasulle proprieta dei coefficienti (aij) dell’operatore lineare del second’ordine

u → L(u) =

n∑ij=1

aijD2iju , aij = aji .

Se p, q e r, p + q + r = n, sono rispettivamente il numero degli autovalori positivi,negativi e nulli della matrice A = (aij) allora diciamo che L e ellittico se p = n oppureq = n, parabolico se r > 0 e p + r = n oppure q + r = n e iperbolico se p, q > 0. SeA = I l’operatore si riduce al laplaciano.

Naturalmente si possono considerare le varianti piu diverse. Limitandoci ai soliproblemi ellittici, i coefficienti possono non essere costanti e possono essere presentianche dei termini di ordine inferiore al secondo come nell’equazione

(2.2)

n∑ij=1

aij(x)D2iju+

n∑i=1

bi(x)Diu+ c(x)u = f

dove la parte del second’ordine e detta parte principale. In certi casi, ma non sempre,la (2.2) puo essere scritta nella cosiddetta forma di divergenza o variazionale

(2.3)

n∑ij=1

∂xj

(aij(x)

∂u

∂xi

)+

n∑i=1

bi(x)Diu+ c(x)u = f

dove la parte principale non e altro che div(A∇u) = D · (ADu). La matrice A(x) deicoefficienti nell’equazione

−D · (ADu) = f in Ω

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2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie 27

esprime la conduttivita elettrica o termica del conduttore Ω, essa puo dipendere dax se il mezzo non e omogeneo e non essere diagonale se il mezzo non e isotropo.Le (2.2) e (2.3) non sono equivalenti per vari motivi, per esempio nella seconda sipotrebbe considerare il caso di A non simmetrica, mentre nella prima l’eventualeparte antisimmetrica sparisce, inoltre la prima va scritta con u ∈ C2 e la seconda conADu ∈ C1 che prevede la possibilita che sia A, sia Du, possano essere discontinue,ma non il loro prodotto ovviamente.

Vi sono poi problemi ellittici di ordine superiore, tipicamente quelli del quart’or-dine per l’equilibrio della piastra, che richiedono 4 tipi di condizioni al bordo: due dinatura cinematica, come il bordo della piastra e vincolata, e due di natura meccanica,quali sollecitazioni sono applicate sul bordo; problemi ellittici vettoriali dove l’inco-gnita u e un vettore invece di uno scalare, ad esempio lo spostamento nell’equilibriodi un corpo elastico tridimensionale; infine vi sono problemi ellittici non lineari, trai tanti, per citarne uno familiare, quello dell’area minima che riguarda, come sappia-mo, la configurazione di equilibrio di una lamina saponata, noto come problema diPlateau.

Spendiamo adesso qualche parola sulla buona formulazione dei problemi cui ab-biamo accennato e su che cosa significa risolverli. In generale l’equazione da solaammette famiglie molto vaste di soluzioni, quindi le condizioni aggiuntive, al bordoo iniziali, hanno un ruolo fondamentale, certamente piu rilevante che nelle equazionidifferenziali ordinarie. Tuttavia e quasi sempre impossibile rappresentare le soluzioniin forma chiusa, attraverso cioe espressioni esplicite scritte in termini di funzioni note,se risolvere significa questo, almeno nel senso letterale del termine. Nel XIX secolola ricerca di soluzioni esplicite ha stimolato la costruzione delle funzioni speciali, hafornito rappresentazioni per serie, ha permesso lo sviluppo della teoria delle funzionianalitiche di variabile complessa (non a caso strettamente collegata con l’equazionedi Laplace). In questo tipo di approccio e gia presente, sebbene implicita, la scelta diuno spazio funzionale in cui cercare la soluzione: quello delle funzioni analitiche anchese l’operatore differenziale e del II ordine. Ogni funzione u ∈ C2(Ω) che soddisfa l’e-quazione di Laplace, in quanto tale viene detta armonica, e necessariamente analiticain Ω. Gia questa affermazione, che e di tipo qualitativo, ha una rilevanza maggiore euna maggiore utilita rispetto a improbabili e magari molto complicate rappresentazio-ni esplicite. Per provarla, se siamo in R2 e noto dalla teoria delle funzioni di variabilecomplessa che la parte reale e la parte immaginaria di una funzione analitica sonoarmoniche e che, viceversa, ogni funzione armonica reale e la parte reale (o la parteimmaginaria) di una funzione analitica di variabile complessa di cui l’altra parte e laarmonica coniugata a meno di una costante. Altrimenti, in Rn, si puo ricorrere allaformula integrale di Poisson sulla palla BR(0) ⊂ Rn di centro 0 e raggio R:

assegnata la funzione g ∈ ∂C0(BR(0)), l’unica soluzione u ∈ C2(BR(0))∩C0(BR(0))del problema di Dirichlet

∆u = 0 in BR(0)

u = g su ∂BR(0)

e la funzione analitica

(2.4) u(x) =

R2 − |x|2

ωnR

∫∂BR(0)

g(y)

|x− y|ndσ(y) se x ∈ BR(0)

g(x) se x ∈ ∂BR(0)

dove ωn e la misura n− 1 dimensionale della sfera unitaria.

Si tratta di uno dei rarissimi casi di rappresentazione esplicita che pero ci aiuta ascoprire proprieta generali interessanti e puo essere usata, con un minimo di ipotesisulla regolarita della frontiera di un dominio Ω piu generale, per dimostrare in modo

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28 Il Problema di Dirichlet

costruttivo l’esistenza della soluzione del problema di Dirichlet con f ∈ C0(Ω) eg ∈ C0(∂Ω).

Problema 2.1 Trovare u ∈ C2(Ω) ∩ C0(Ω) tale che−∆u = f in Ω

u = g su ∂Ω .

Una u che soddisfa questa problema viene detta soluzione classica.

Anche in questo caso si puo ottenere una rappresentazione integrale, nota come formu-la di Green, dell’unica soluzione, ma e solo apparentemente esplicita perche richiede diconoscere una funzione armonica con opportuni valori sul bordo. Ma se vogliamo con-siderare situazioni anche di poco piu complicate, sollecitazioni discontinue, coefficientivariabili dell’operatore ecc., operatori non lineari ecc., che pure sono perfettamentesensate dal punto di vista fisico, e necessario formulare ogni volta il problema in spazidi funzioni appropriati. La scelta dello spazio in cui cercare la soluzione deve rispetta-re dei ragionevoli criteri, introdotti da Hadamard, affinche il problema sia ben posto.La buona formulazione secondo Hadamard si puo riassumere nei seguenti requisiti:

- esistenza,

- unicita,

- stabilita.

Questa e un’altra risposta, magari un po’ astratta, ma di carattere generale con ri-cadute concrete, alla domanda su che cosa significa risolvere i problemi di cui stiamoparlando. Per chiarirne il significato, pensiamo al fenomeno che il problema matema-tico pretende di modellizzare. Il fenomeno accade effettivamente, evolve in un solomodo e il fatto che il modello sia inevitabilmente imperfetto, e che vi siano inevita-bili errori di misurazione dei dati, non deve incidere eccessivamente sulla soluzione,a “piccole variazioni” dei dati devono corrispondere conseguenti “piccole variazioni”della soluzione, in questo senso il termine “stabilita” significa dipendenza continuadella soluzione dai dati.

Ora, per fare degli esempi, il problema di Cauchy per il laplaciano, ma ancheper le equazioni ellittiche in generale, non e ben posto come si vede nel seguentecontroesempio di Hadamard

∆u = 0 ∀(x, y) ∈ R2 : y > 0

u(x, 0) = 0

uy(x, 0) = g(x) .

Intanto osserviamo che u deve essere analitica nel semipiano y > 0 e siccome la primacondizione al bordo, da sola, ci permette di costruire un prolungamento analitico(principio di Schwartz) a tutto R2 ponendo

u(x, y) =

u(x, y) se y > 0

−u(x,−y) se y < 0 ,

non esistono soluzioni se g non e analitica in R. Comunque non vale la dipendenzacontinua, basta osservare che la successione di dati

gn(x) =sennx

n

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2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie 29

tende uniformemente a 0, a cui corrisponde la soluzione ovunque nulla, ma la succes-sione delle corrispondenti soluzioni

un(x, y) =sennx senhny

n2

ammette sottosuccessioni divergenti in ogni punto che non sia del tipo (kπ, y). Aprescindere dalla scelta dello spazio funzionale, i dati di Cauchy non sono opportuniper un’equazione ellittica.

Ad un’equazione iperbolica non si addicono dati di Dirichlet. Consideriamo adesempio l’equazione

uxy = 0

che per integrazione diretta, con u ∈ C2(R2), porta alla rappresentazione

u(x, y) = ϕ(x) + ψ(y) ϕ,ψ ∈ C2(R)

con ϕ e ψ arbitrarie. Su un rettangolo coi lati paralleli agli assi, come Q = [0, 1]×[0, 1],puo esistere una soluzione solo se su due lati opposti, ad esempio y = 0 e y = 1,vengono assegnate due funzioni che differiscono per una costante, dovendo essere

u(x, 0) = ϕ(x) + ψ(0) e u(x, 1) = ϕ(x) + ψ(1) .

Tornando al laplaciano, o ad un’equazione ellittica del tipo −D · (ADu) = f ,una immediata relazione di compatibilita tra i dati va imposta per l’esistenza dellasoluzione nel problema di Neumann. Lo si vede con una semplice integrazione∫

Ω

f dx = −∫

Ω

D · (ADu) dx = −∫∂1Ω

ADu · ndσ −∫∂2Ω

ADu · ndσ ,

da cui ∫Ω

f dx+

∫∂2Ω

g dσ +

∫∂1Ω

∂u

∂ndσ = 0

che esprime l’equilibrio delle forze esterne. Il terzo termine rappresenta la reazionevincolare che non e mai nota a priori, ma dipende dalla soluzione u, ed e assente nelproblema di Neumann nel quale deve valere la condizione necessaria∫

Ω

f dx+

∫∂Ω

g dσ = 0 .

Una terza risposta, doverosa, sul significato di soluzione e di natura applicativa econsiste nella discretizzazione dell’equazione e nell’approssimazione numerica dellasoluzione. Metodi di questo tipo non possono prescindere dalla formulazione generaleperche operano negli stessi spazi funzionali, facendo uso delle stesse norme e delleconseguenti nozioni di convergenza. Grosso modo consistono nella scelta di una fa-miglia di “funzioni base” ϕh, dette funzioni spline, all’interno dello spazio funzionalescelto, in modo che sia completa. Ogni sottoinsieme finito ϕ1, ϕ2, . . . , ϕk genera unsottospazio vettoriale di dimensione finita e l’equazione opportunamente discretizza-ta, in cui l’operatore differenziale viene sostituito da un operatore algebrico, avra unasoluzione del tipo

uk =

k∑i=1

ciϕi .

Per k → ∞ la uk deve convergere, il piu rapidamente possibile, nella norma dellospazio alla soluzione u del problema dato. L’utilita pratica e quella di disporre disoluzioni approssimate che nelle applicazioni possono dare informazioni sufficienti.

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30 Il Problema di Dirichlet

Osserviamo infine, con riferimento al problema di Dirichlet, che per il suo caratterelineare puo essere decomposto nei due problemi

−∆v = f in Ω

v = 0 su ∂Ωe

−∆w = 0 in Ω

w = g su ∂Ω ,

risolti i quali si ha u = v +w. Cio vale anche con gli altri dati al bordo e in presenzadi ogni operatore lineare.

2.2 Esempi con soluzioni esplicite

Indichiamo con Du il gradiente di una funzione differenziabile u : Ω → Rn doveΩ, da ora in poi, e un aperto connesso e con bordo ∂Ω regolare, cioe C1 a tratti olipschitziano. Ricordiamo il lemma di Gauss, detto anche teorema della divergenza∫

Ω

divE dx =

∫∂Ω

E · ν dσ

dove E ∈ C1(Ω) ∩ C0(Ω) e un campo vettoriale e ν il versore normale esterno. Nesegue che se il campo E e conservativo con potenziale u ∈ C2(Ω) ∩ C1(Ω), E = Du,si ha

(2.5)

∫Ω

∆u dx =

∫∂Ω

Du · ν dσ =

∫∂Ω

∂u

∂νdσ .

Per un prodotto del tipo uDv si ha∫Ω

div(uDv) dx =

∫∂Ω

u∂v

∂νdσ ,

d’altra parte div(uDv) = Du · Dv + u∆v, quindi vale la formula d’integrazione perparti

(2.6)

∫Ω

u∆v dx =

∫∂Ω

u∂v

∂νdσ −

∫Ω

Du ·Dv dx .

Della (2.6) discende la formula di Green

(2.7)

∫Ω

(u∆v − v∆u) dx =

∫∂Ω

(u∂v

∂ν− v ∂u

∂ν

)dσ .

Una funzione u ∈ C2(Ω) viene detta armonica se ∆u = 0 in Ω. Dalla (2.6) segueche se u = v ∈ C2(Ω) ∩ C1(Ω) e una funzione armonica allora∫

Ω

|Du|2 dx =

∫∂Ω

u∂u

∂νdσ

da cui si vede subito che se u = 0 oppure Dνu = 0 su ∂Ω allora Du = 0 in Ω e se Ω econnesso u e costante, in particolare se u = 0 su ∂Ω allora u = 0 su Ω. In altre parole,se f e g sono continue l’eventuale soluzione del problema di Dirichlet per l’equazionedi Poisson

(2.8)

−∆u = f in Ω

u = g su ∂Ω

e unica in C2(Ω)∩C0(Ω), o unica a meno di una costante in C2(Ω)∩C1(Ω) nel casodel problema di Neumann. Infatti se u e v sono due soluzioni la loro differenza earmonica e nulla sul bordo, quindi e nulla ovunque.

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2.2 Esempi con soluzioni esplicite 31

In R, o in un intervallo, le funzioni armoniche sono ovviamente tutte e sole lefunzioni (impropriamente) lineari, quelle del tipo u(x) = αx+ β.

Cosı per esercizio, e anche perche ci servira nel seguito, quali sono le funzioniarmoniche in Rn, n > 1, a simmetria sferica, che dipendono cioe dalla sola variabileρ = |x|? Poiche Diρ = xi/ρ, si ha

Diu = u′(ρ)xiρ

D2iju = u′′(ρ)

xixjρ2

+ u′(ρ)δijρ

2 − xixjρ3

⇒ ∆u = u′′(ρ) +n− 1

ρu′(ρ) .

L’equazione di Laplace si riduce ad all’equazione ordinaria

u′′(ρ) +n− 1

ρu′(ρ) = 0

di cui le costanti sono certamente soluzioni, ma oltre ad esse, dividendo per u′ eintegrando, si trovano le altre

(2.9) u′(ρ) =α

ρn−1⇒ u(ρ) =

α log ρ+ β se n = 2

α

ρn−2+ β se n > 2 .

Piu semplicemente si puo procedere in questo modo: su Rn − 0 u deve esserearmonica, e siccome u′(ρ) = Du · ν sulla sfera di raggio ρ centrata in 0, si ha per ogniR > 0 fissato e per ogni ρ > R

0 =

∫R<|x|<ρ

∆u(|x|) dx =

∫|x|=ρ

u′(ρ) dσ −∫|x|=R

u′(R) dσ = ωnρn−1u′(ρ)− c

dove ωn e la misura n− 1-dimensionale della superficie sferica di raggio 1. Pertanto

u′(ρ) =c

ωnρn−1ρ > 0 .

Per integrazione si ottengono le stesse di poco fa.

Esercizio 2.1 - Per n = 2 dimostrare che ∆u in coordinate polari assume laforma

∆u =1

ρ

∂ρ

(ρ∂u

∂ρ

)+

1

ρ2

∂2u

∂ϑ2.

Se u non dipende da ϑ l’equazione di Laplace diventa

(ρu′)′ = 0

da cui

u(ρ) = α log ρ+ β .

Trovare l’espressione di ∆u in coordinate sferiche per n = 3.

Vediamo ora come si comporta la soluzione quando il dato f nell’equazione diPoisson presenta una superficie discontinuita. Si tratta di un aspetto interessante chefaremo intervenire nel prossimo esempio per “toccar con mano”, sempre con soluzioniesplicite, il primo passo verso formulazioni piu generali in cui la nozione di soluzioneva intesa in un senso che diremo debole per distinguerla da quella cui siamo abituati,trattata finora, che invece diremo classica.

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32 Il Problema di Dirichlet

Se f ha una superficie di discontinuita Γ all’interno di Ω e u soddisfa

(2.10) −∆u = f in Ω ,

moltiplicando per una funzione test ϕ ∈ D(Ω) e integrando si ottiene

(2.11)

∫Ω

Du ·Dϕdx =

∫Ω

fϕ dx .

Si considerino le ϕ con supporto in una palletta col centro in Γ e si fissi una direzioneper il versore normale ν nei punti di Γ. La palla interseca Ω in due regioni Ω−, dacui ν esce, e Ω+ in cui ν entra. Dalla (2.11) si ottiene∫

Ω

fϕ =

∫Ω−

Du ·Dϕ+

∫Ω+

Du ·Dϕ =

∫Γ

ϕ

(∂u−

∂ν− ∂u+

∂ν

)dσ −

∫Ω

ϕ∆u

e siccome il primo membro e l’ultimo termine coincidono, per l’arbitrarieta di ϕ lacomponente normale di Du ha salto nullo, quindi e continua.

Una membrana circolare B di raggio unitario e bloccata sul bordo e caricata conuna pressione costante f = F/π(R2 − r2) sull’anello r < |x| < R essendo 0 < r <R < 1 e nulla al di fuori. Qual e la sua configurazione di equilibrio u(x, y)? Siamodi fronte ad un dato f discontinuo quindi non ci possiamo aspettare u ∈ C2, maessendo continuo in ognuna delle tre regioni Br = |x| < r, Ar,R = r < |x| < R eAR = R < |x| < 1, u sara C2 in ciascuna di esse e dovra soddisfare le condizionidi raccordo appena viste attraverso il bordo di Ar,R: per la simmetria radiale u′(ρ)deve essere continua. Essendo u(1) = 0 e imponendo la continuita di u′(ρ), con facilicalcoli si ottiene la soluzione del nostro problema

ur(ρ) =

F

[1− 2(R2 logR− r2 log r)

R2 − r2

]se ρ 6 r

F

[R2 − ρ2

R2 − r2− 2(R2 logR− r2 log ρ)

R2 − r2

]se r < ρ 6 R

− F2π

log ρ se R < ρ 6 1

che appartiene a C1(B) ∩C0(B) ma non a C2(B). Essa soddisfa la (2.11) ed e dettaper questo soluzione debole della (2.10).

Supponiamo adesso che il carico

fr(ρ) =

F

π(R2 − r2)su Ar,R

0 altrove

tenda a concentrarsi sempre di piu sulla circonferenza γR di raggio R conservando larisultante F . Per r → R, usando il teorema della media integrale, si ha∫

B

frϕ =F

π(R2 − r2)

∫Ar,R

ϕ =F

π(R2 − r2)

∫ R

r

ρ

∫ 2π

0

ϕ(ρ, ϑ) dϑdρ

=F (R− r)ρπ(R2 − r2)

∫ 2π

0

ϕ(ρ, ϑ) dϑ → F

2πR

∫ 2π

0

ϕ(R,ϑ)Rdϑ =F

2πR

∫γR

ϕds .

L’espressione ottenuta esprime la forza F , concentratasi su γR con sensita di lineaF/2πR, come la distribuzione su D(B) definita da

ϕ → 〈fR, ϕ〉 =F

2πR

∫γR

ϕds

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2.2 Esempi con soluzioni esplicite 33

che potremmo, per analogia alla δ di Dirac, indicare con la notazione

fR =F

2πRδγR .

D’altra parte ur converge uniformemente alla funzione C1 a tratti

uR(ρ) =

− F

2πlogR se ρ 6 R

− F2π

log ρ se R < ρ 6 1

e, poiche Dur → DuR in L2, si ha∫B

Dur ·Dϕ →∫B

DuR ·Dϕ ,

quindi la uR e soluzione del problema di Dirichlet nel senso∫B

DuR ·Dϕ = 〈fR, ϕ〉 ∀ϕ ∈ D(B) .

Per R→ 0, sempre per il teorema della media, il II membro tende a

〈f0, ϕ〉 = Fϕ(0)

che e proporzionale alla δ concentrata in 0, mentre la uR tende alla funzione

u0(ρ) = − F2π

log ρ , 0 < ρ 6 1 ,

ma non vi e convergenza del gradiente in L2, la funzione u0 sta infatti in L2 ma nonin H1(B) e siccome∫

B

DuR ·Dϕ = −∫B

uR∆ϕ → −∫B

u0∆ϕ ,

la u0 soddisfa il problema di Dirichlet nella forma ancora piu debole

−∫B

u0∆ϕ = 〈f0, ϕ〉 ∀ϕ ∈ D(B) .

La scelta di H1, in 2D, corrisponde al modello fisico per il quale il carico puntualenon ha nessuna influenza sullo spostamento della membrana, e come uno spillo chel’attraversa, diversamente, come abbiamo visto, dal caso di un carico distribuito suuna linea. Al di fuori di H1, nell’ambito piu ampio delle distribuzioni, la soluzionerelativa ad un carico concentrato e la funzione logaritmica a simmetria radiale suRn − 0 che ammette il punto di applicazione del carico come punto singolare.

Opportunamente normalizzate, nel senso che ora diciamo, le funzioni armoniche asimmetria sferica su Rn, gia calcolate in precedenza, hanno un ruolo importante nellostudio del problema di Dirichlet classico per l’operatore di Laplace.

Si chiama soluzione fondamentale dell’operatore differenziale −∆ la soluzione Γ(ρ)dell’equazione

−∆Γ = δ

tale che Γ(∞) = 0 se n > 2 e Γ(1) = 0 se n = 2. In R non ha molto sensoconsiderarla, ma se proprio la vogliamo, se −u′′ = δ allora −u′ e la funzione di

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34 Il Problema di Dirichlet

Heaviside (a meno di una costante) e possiamo scegliere come soluzione fondamentalela funzione u(x) = −|x|/2. Dunque Γ deve soddisfare l’equazione

(2.12) −∫Rn

Γ∆ϕdx = ϕ(0) ∀ϕ ∈ D(Rn)

e per calcolarla dobbiamo porre β = 0 nella (2.9) e calcolare α. Supponiamo n > 2,ma il ragionamento non cambia per n = 2, consideriamo una ϕ a supporto compattoin Rn e per ogni ε > 0 sia Ωε = Rn − Bε(0). Applicando la formula di Green (2.7),per il teorema della media si ha∫

Ωε

Γ∆ϕdx =

∫|x|=ε

Γ∂ϕ

∂νdσ −

∫|x|=ε

ϕ∂Γ

∂νdσ

= Γ(ε)ωnεn−1 ∂ϕ(ξε)

∂ν+ Γ′(ε)ωnε

n−1ϕ(ηε)

dove ξε, ηε ∈ ∂Bε(0). Per ε→ 0 si ottiene∫Ωε

Γ∆ϕdx = αϕ(0)

da cui α = −1 e

Γ(ρ) =

− log ρ

2πse n = 2

1

ωn(n− 2)ρn−2se n > 2 .

2.3 Teorema della media, principio di massimo edisuguaglianza di Harnack

Per ogni x ∈ Ω scegliamo una palla BR(x) ⊂ Ω e applichiamo la (2.5) alla Bρ(x),con ρ < R, scrivendo il termine sul bordo in coordinate sferiche y = x + ρω dove|ω| = 1 e la variabile vettoriale della sfera unitaria∫

∆u dy =

∫∂Bρ

∂u

∂νdσ =

∫|ω|=1

ρn−1 ∂

∂ρu(x+ ρω) dω

= ρn−1 ∂

∂ρ

∫|ω|=1

u(x+ ρω) dω = ρn−1 ∂

∂ρ

[ρ1−n

∫∂Bρ

u dσ

].

Allora la media su ∂Bρ

(2.13)1

ωnρn−1

∫∂Bρ

u dσ

e funzione crescente o decrescente di ρ a seconda del segno di ∆u su Ω. Una funzioneC2(Ω) viene detta subarmonica [superarmonica] se

∆u(x) > 0 [∆u(x) 6 0] ∀x ∈ Ω .

Confrontando il limite della media (2.14) per ρ → 0 con il valore che assume perρ = R si ottiene il seguente risultato.

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2.3 Teorema della media, principio di massimo e disuguaglianza di Harnack 35

Teorema 2.2 (della media) - Per ogni palla BR(x) ⊂ Ω

(2.14)

u armonica⇒ u(x) =1

ωnRn−1

∫∂BR

u dσ

u subarmonica⇒ u(x) 61

ωnRn−1

∫∂BR

u dσ

u superarmonica⇒ u(x) >1

ωnRn−1

∫∂BR

u dσ .

Questa proprieta vale anche con la media su tutta la palla, basta integrare rispetto aρ da 0 a R la (2.14) scritta con ρ al posto di R∫ R

0

ωnρn−1u(x) dρ =

ωnRn

nu(x)

6=>

∫ R

0

∫∂Bρ

u dσ =

∫BR

u(y) dy

da cui

u(x)6=>

n

ωnRn

∫BR

u(y) dy

dove ωn/n e la misura della palla unitaria.Una conseguenza importante e il seguente principio di massimo.

Teorema 2.3 (Principio di massimo forte) - Una funzione subarmonica (su-perarmonica) u in Ω che abbia massimo (minimo) in un punto interno e necessaria-mente costante.

Dimostrazione. Supponiamo ∆u > 0 in Ω e u(x0) = M = supΩu con x0 ∈ Ω.

L’insieme ΩM = x ∈ Ω | u(x) = M e non vuoto perche x0 ∈ ΩM e chiuso in Ωperche u e continua. D’altra parte, per il teorema della media, se BR(x0) ⊂ Ω

M = u(x0) 6n

ωnRn

∫BR(x0)

u(x) dx 6M ,

quindi u(x) = M per ogni x ∈ BR(x0), pertanto ΩM e anche un aperto di Ω. SiccomeΩ e connesso ΩM = Ω e u e costante su Ω.

2

Dunque una funzione armonica non puo raggiungere il suo massimo ne il suo minimoall’interno di Ω, a meno che non sia costante. Di immediata conseguenza e il seguente.

Teorema 2.4 (Principio di massimo debole) - Se Ω e limitato e u ∈ C2(Ω)∩C0(Ω) soddisfa ∆u > 0 (∆u 6 0) allora

supΩu = sup

∂Ωu

(infΩu = inf

∂Ωu

).

In particolare se ∆u = 0

inf∂Ωu 6 u(x) 6 sup

∂Ωu ∀x ∈ Ω .

Si conferma anche, per altra via, l’unicita della soluzione del problema al bordo (2.8):se u, v sono due soluzioni e w = u− v allora ∆w = 0 in Ω e w = 0 su ∂Ω. Per il

principio di massimo w(x) = 0 per ogni x ∈ Ω, quindi u = v.Qui l’ipotesi che Ω sia limitato e necessaria, infatti la funzione u(x, y) = xy e

armonica nel semipiano y > 0 dove ha estremi non finiti, ma sul bordo, l’asse x, enulla.

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36 Il Problema di Dirichlet

Un altro modo per dimostrare il principio di massimo debole per le funzioni C2

subarmoniche e il seguente. Se ∆u > 0 in Ω la funzione

uε(x) = u(x) +ε

2|x|2

e subarmonica in senso stretto in quanto

∆uε = ∆u+ nε > 0

e soddisfa il principio di massimo perche se esistesse un punto di massimo all’inter-no l’hessiano in quel punto avrebbe autovalori non positivi, ma la loro somma e illaplaciano che e positivo.

Sia R > 0 abbastanza grande in modo che Ω sia contenuto in una palla di raggioR. Allora

maxΩ

u 6 maxΩ

uε = max∂Ω

uε 6 max∂Ω

u+ε

2R2 .

Per ε→ 0 si ha la tesi.

Esercizio 2.2 - Mostrare che se u ∈ C2(Ω) ∩ C0(Ω) e armonica allora

supΩ|u| = sup

∂Ω|u| .

Usando la proprieta della media si puo dimostrare il Teorema di Liouville secondoil quale una funzione armonica e limitata su Rn e necessariamente costante. Infattidalla formula integrale di Poisson, che ricaveremo tra poco, seguira che ogni funzio-ne armonica u e analitica e quindi infinitamente derivabile, ma allora anche Du earmonica e per la proprieta della media si ha

Du(x) =n

ωnRn

∫BR(x)

Du(y) dy =n

ωnRn

∫∂BR(x)

u(y)ν dσ(y)

da cui

|Du(x)| 6 n

Rmax∂BR(x)

|u| .

Se |u| e limitata basta passare al limite per R → +∞ e si ottiene che Du = 0.Osserviamo che la conclusione non cambia se, piu in generale, la u ha all’infinito unacrescita sublineare. Le funzioni armoniche definite su tutto Rn devono avere all’∞un andamento asintotico almeno lineare.

Teorema 2.5 (Disuguaglianza di Harnack) - Per ogni aperto Ω ∈ Rn e perogni aperto Ω′ ⊂⊂ Ω esiste una costante C = C(Ω,Ω′, n) tale che

supΩ′

u 6 C infΩ′u

per ogni u ∈ C2(Ω) armonica non negativa.

Dimostrazione. Fissiamo un punto x ∈ Ω e R > 0 tale che 4R < dist(x, ∂Ω). Perogni x1 ∈ BR(x) si ha

u(x1) =n

ωnRn

∫BR(x1)

u dy 6n

ωnRn

∫B2R(x)

u dy

da cui

supBR(x)

u 6n

ωnRn

∫B2R(x)

u dy .

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2.4 La formula integrale di Poisson in 2D 37

Analogamente, per ogni x2 ∈ BR(x) si ha

u(x2) =n

ωn(3R)n

∫B3R(x2)

u dy >n

ωn(3R)n

∫B2R(x)

u dy

da cui

infBR(x)

u >n

ωn(3R)n

∫B2R(x)

u dy .

Per confronto si ottienesupBR(x)

u 6 3n infBR(x)

u .

Sia ora Ω′ ⊂⊂ Ω, scegliamo i punti x1, x2 ∈ Ω′ rispettivamente di massimo e minimodi u e un ricoprimento finito di Ω′ con k palle di raggio R con 4R < dist(Ω′, ∂Ω).Di queste ne scegliamo una parte, B1, B2, . . . Br, ordinandole in modo che x1 ∈ B1 ex2 ∈ Br e Bi−1 ∩Bi 6= ∅ per ogni i = 1, . . . , r 6 k. Partendo dalla prima si ha

u(x1) 6 3n infB1

u 6 3n infB1∩B2

u 6 3n supB2

u 6 32n infB2

u 6 3n supB2

u 6 32n infB2

u

6 32n infB2∩B3

u 6 32n supB3

u 6 33n infB3

u 6 . . . 6 3rnu(x2) 6 3knu(x2)

dove 3kn e il valore della costante C dell’enunciato.2

2.4 La formula integrale di Poisson in 2D

La soluzione u ∈ C2(B)∩C0(B), con B = BR(0) ⊂ Rn, del problema di Dirichletper l’equazione di Laplace

∆u = 0 in B

u = g su ∂B ,

essendo g ∈ C0(∂B), ammette una rappresentazione esplicita nota come la formulaintegrale di Poisson. In questo paragrafo ci occupiamo del caso bidimensionale usandole coordinate polari che sono le piu adatte, visto il dominio. Procediamo col metododella separazione di variabili ponendo u(ρ, ϑ) = v(ρ)w(ϑ). Dall’equazione di Laplace

∆u =1

ρ(ρv′(ρ))′w(ϑ) +

1

ρ2w′′(ϑ)v(ρ) = 0

si ottieneρ(ρv′(ρ))′

v(ρ)= −w

′′(ϑ)

w(ϑ)

che e identicamente soddisfatta se e solo se ognuna delle due funzioni, a destra ea sinistra, e costante con lo stesso valore k ∈ R. Si ottiene dunque il sistema diequazioni ordinarie

(2.15)

w′′(ϑ) + kw(ϑ) = 0 0 6 ϑ < 2π ,

ρ(ρv′(ρ))′ − kv(ρ) = 0 0 6 ρ < R .

Siccome k < 0 sarebbe incompatibile col carattere di w di essere 2π-periodica, po-niamo k = λ2 > 0, da cui w(ϑ) = c1 cosλϑ + c2 senλϑ. La condizione di periodicitaporta a λ = n ∈ N e alla successione delle soluzioni

w0 =a0

2, wn(ϑ) = an cosnϑ+ bn sennϑ , n > 1 ,

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38 Il Problema di Dirichlet

tra le quali figura anche quella costante, a0/2, corrispondente a n = 0.La seconda nella (2.15), l’equazione in ρ, puo essere scritta nella forma

ρ2v′′(ρ) + ρv′(ρ)− n2v(ρ) = 0

Imponendo una potenza ρα come soluzione, si trova l’integrale generale

v(ρ) = Anρn +Bnρ

−n ,

ma Bn = 0 se vogliamo soluzioni regolari su tutto il disco, prive di singolarita.Per la completezza del sistema trigonometrico in L2[0, 2π] ci aspettiamo di poterrappresentare ogni soluzione dell’equazione di Laplace come somma di una serietrigonometrica

(2.16) u(ρ, ϑ) =a0

2+

∞∑n=1

ρn(an cosnϑ+ bn sennϑ) .

La condizione u(R,ϑ) = g(ϑ) ci permette di ricavare gli an e i bn dai coefficienti diFourier della g, dunque

u(ρ, ϑ) =1

∫ 2π

0

g(ϕ) dϕ

+1

π

∞∑n=1

( ρR

)n [∫ 2π

0

g(ϕ) cosnϕdϕ cosnϑ+

∫ 2π

0

g(ϕ) sennϕdϕ sennϑ

]

=1

∫ ∞0

g(ϕ)[1 + 2

∞∑n=1

( ρR

)ncosn(ϕ− ϑ)

]dϕ .

Il termine in parentesi quadra e la parte reale di

1 + 2

∞∑n=1

( ρR

)nein(ϕ−ϑ) = 1 +

Rei(ϕ−ϑ)

1− ρ

Rei(ϕ−ϑ)

=R+ ρei(ϕ−ϑ)

R− ρei(ϕ−ϑ)

=R2 − ρ2 + 2Rρi sen(ϕ− ϑ)

R2 − 2Rρ cos(ϕ− ϑ) + ρ2,

da cui

(2.17) u(ρ, ϑ) =R2 − ρ2

∫ 2π

0

g(ϕ)

R2 − 2Rρ cos(ϕ− ϑ) + ρ2dϕ .

Come applicazione della (2.16) vediamo un caso di soluzione con “energia infinita”sul cerchio unitario B = B1(0). La funzione

g(ϑ) =

∞∑n=1

senn!ϑ

n2, 0 6 ϑ 6 2π ,

e continua sulla circonferenza unitaria perche la serie converge uniformemente (da-to che converge totalmente) e la corrispondente soluzione u ∈ C2(B) ∩ C0(B) e lafunzione

u(ρ, ϑ) =

∞∑n=1

ρnsenn!ϑ

n2, 0 6 ϑ 6 2π , 0 6 ρ < 1 .

Ricordando che

|Du|2 = u2ρ +

1

ρ2u2ϑ ,

si ha ∫B

|Du|2 dx >∫ 2π

0

∫ 1

0

ρ1

ρ2

∞∑n=1

ρ2nn!2

n4cos2 n!ϑ dρ =

π

2

∞∑n=1

n!2

n5= +∞ .

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2.5 La formula integrale di Poisson 39

2.5 La formula integrale di Poisson

Usiamo di nuovo la (2.7) per ricavare una rappresentazione integrale delle funzioniu ∈ C2(Ω)∩C1(Ω). Per ogni x ∈ Ω poniamo Ωε = Ω−Bε(x) e osserviamo che, postoρ = |x− y|, la funzione y → Γ(|x− y|) e armonica in Ωε. Pertanto∫

Ωε

Γ(|x− y|)∆u(y) dy =

∫∂Ω

Γ(|x− y|) ∂u∂νy

dσ(y) + Γ(ε)ωnεn−1 ∂u(ηε)

∂νy

−∫∂Ω

u(y)∂Γ

∂νydσ(y)− Γ′(ε)ωnε

n−1u(ξε)

e per ε→ 0, tenuto conto che Γ(ε)εn−1 → 0 e Γ′(ε)εn−1 e costante, si ottiene

u(x) = −∫

Ω

Γ(|x− y|)∆u(y) dy

−∫∂Ω

u(y)∂Γ

∂νydσ(y) +

∫∂Ω

Γ(|x− y|) ∂u∂νy

dσ(y) .

(2.18)

Si riconosce il valore del potenziale u in un punto come somma di 3 contributi: nel-l’ordine, il potenziale di volume dovuto ad una distribuzione di carica all’interno diΩ, il potenziale di doppio strato dovuto ad una distribuzione di dipoli in superficie eil potenziale di strato semplice dovuto ad una distribuzione di cariche in superficie.

Ora prendiamo una funzione h(x, y) di classe C2(Ω× Ω) tale che y → h(x, y) siaC1(Ω) per ogni x ∈ Ω e che h(x, y) = Γ(|x − y|) per ogni x ∈ Ω e per ogni y ∈ ∂Ω.Poiche ∫

Ω

h(x, y)∆u(y) dy +

∫∂Ω

u(y)∂h

∂νydσ(y)−

∫∂Ω

h∂u

∂νdσ(y) = 0 ,

per differenza membro a membro con la (2.18) e introdotta la funzione di GreenG(x, y) = h(x, y)− Γ(|x− y|), si ottiene

u(x) =

∫Ω

G(x, y)∆u(y) dy +

∫∂Ω

u(y)∂G

∂νydσ(y) ∀x ∈ Ω

che fornisce una rappresentazione integrale della soluzione, ammesso che esista, delproblema di Dirichlet (2.8)

u(x) = −∫

Ω

G(x, y)f(y) dy +

∫∂Ω

g(y)∂G

∂νydσ(y) ∀x ∈ Ω .

Costruiamo adesso la funzione di Green per la palla BR = BR(0) e con essa laformula di Poisson. Cerchiamo una funzione h del tipo

h(x, y) =α

ωn(n− 2)|x∗ − y|n−2

dove x∗ = R2x/|x|2 e il punto ottenuto da x per inversione rispetto alla BR e αva determinato in modo che per ogni y ∈ Br sia G(x, y) = 0. Poiche |x∗ − y| =|x − y||y|/|x| = |x − y|R/|x|, questa condizione e verificata se α = Rn−2/|x|n−2 e laG vale

G(x, y) =1

ωn(n− 2)

(Rn−2

|x|n−2|x∗ − y|n−2− 1

|x− y|n−2

), ∀(x, y) ∈ Ω× Ω .

Per calcolare la derivata normale (in y) di G sul bordo teniamo presente che

∂G

∂νy= ∇yG ·

y

R=

∂G

∂|y|y

R· yR

=∂G

∂|y|

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40 Il Problema di Dirichlet

e che, se x · y = |x||y| cos γ = R|x| cos γ,

∂|x− y|∂|y|

=R− |x| cos γ

|x− y|,

∂|x∗ − y|∂|y|

=R− |x∗| cos γ

|x∗ − y|.

Quindi, dopo qualche manipolazione, si ottiene

∂G

∂νy=

1

ωn(n− 2)

(Rn−2

|x|n−2· (2− n)(R− |x∗| cos γ)

|x∗ − y|n− (2− n)(R− |x| cos γ)

|x− y|n

)=

R2 − |x|2

ωnR|x− y|n.

Per una funzione armonica u ∈ C2(BR) ∩ C1(BR) vale dunque la formula di rappre-sentazione integrale di Poisson

(2.19) u(x) =R2 − |x|2

ωnR

∫∂BR

u(y)

|x− y|ndσ(y) ∀x ∈ BR

e con un ragionamento di approssimazione uniforme sul bordo non e difficile mostrareche la (2.19) vale anche se u ∈ C2(BR)∩C0(BR). Si osservi che per x = 0 si riottieneil teorema della media con le conseguenze che abbiamo gia visto.

Per stabilire l’esistenza di soluzioni del problema di Dirichlet classico per l’equa-zione di Laplace sulla palla dobbiamo applicare, in un certo senso, il ragionamentoinverso a quello che ha portato alla (2.19).

Teorema 2.6 - Siano B = BR(0) e g ∈ C0(∂B). Allora la funzione

(2.20) u(x) =R2 − |x|2

ωnR

∫∂BR

g(y)

|x− y|ndσ(y) ∀x ∈ B

e soluzione del problema di Dirichlet

u ∈ C2(B) ∩ C0(B) ,

∆u = 0 in B

u = g su ∂B .

Dimostrazione. Che u e armonica in B discende dal fatto che lo e la funzionex→ G(x, y) e quindi anche la x→ ∂G(x, y)/∂νy sul bordo. Rimane da far vedere cheu assume il valore g su ∂B con continuita, cioe che |u(x)−g(x0)| → 0 per x→ x0 conx ∈ B per ogni x0 ∈ ∂B. Per la (2.19) con u = 1 identicamente, il nucleo di Poisson

K(x, y) =R2 − |x|2

ωnR|x− y|n, x ∈ B , y ∈ ∂B ,

ha integrale unitario ∫∂B

K(x, y) dσ(y) = 1 ,

cosa che si potrebbe anche verificare direttamente ma sarebbe piuttosto complicato.Fissati x0 ∈ ∂B e ε > 0, scegliamo δ > 0 tale che per ogni y ∈ ∂B con |y − x0| < δ siabbia |g(y)− g(x0)| < ε e sia |g| 6M su ∂B. Si ha allora per ogni x ∈ B

|u(x)− g(x0)| 6∣∣∣∣∫∂B

K(x, y)(g(y)− g(x0)) dσ(y)

∣∣∣∣6∫|y−x0|6δ

K(x, y)|g(y)− g(x0)| dσ(y) +

∫|y−x0|>δ

K(x, y)|g(y)− g(x0)| dσ(y)

< ε+2M(R2 − |x|2)

ωnR

∫|y−x0|>δ

1

|x− y|ndσ(y)

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2.5 La formula integrale di Poisson 41

e poiche nell’ultimo integrale |x− y| > |y− x0| − |x− x0| > δ− |x− x0|, basta che sia|x− x0| < δ/2 e si ha |x− y| > δ/2. Qundi per |x− x0| < δ/2 si ottiene

|u(x)− g(x0)| < ε+2M(R2 − |x|2)Rn−2

(δ/2)n= ε+ ψ(x) ,

ma siccome ψ(x)→ 0 per x→ x0, ψ(x) < ε se |x− x0| < δ′ per un certo δ′ > 0 . Indefinitiva, per |x− x0| < minδ′, δ/2 si ottiene

|u(x)− g(x0)| < 2ε .

2

Si noti che la (2.20) diventa la (2.17) per n = 2. La formula integrale di Poisson hanotevoli conseguenze.

- Una funzione u ∈ C2(Ω) che soddisfa il teorema della media e armonica? Pos-siamo vedere subito che e vero, basta prendere, per ogni palla B = BR(x) ⊂ Ω, unafunzione w armonica in B e uguale a u su ∂B, cosı, per w vale la proprieta dellamedia e w(x) = u(x) e questo vale per ogni x ∈ Ω, quindi anche u e armonica.

- Il limite uniforme di una successione di funzioni armoniche e una funzione ar-monica. Basta ricordare che l’integrale su ogni palla passa al limite rispetto allaconvergenza uniforme.

- Dal punto precedente segue che su un aperto limitato Ω, se (uh) ⊂ C2(Ω)∩C0(Ω)e una successione di funzioni armoniche le cui restrizioni a ∂Ω formano una successione(gh) uniformemente convergente a una certa g, allora la (uh) converge unifomementead una u ∈ C2(Ω) ∩ C0(Ω), ovviamente armonica, che coincide con g su ∂Ω.

Conseguenza del prossimo teorema e l’interessante proprieta che per le funzioniarmoniche la convergenza in un solo punto implica la convergenza uniforme, almenosui compatti. Precisamente:

- se una successione di funzioni armoniche (uh) su Ω e crescente e la successionedei valori uh(x0) in un punto x0 ∈ Ω e limitata allora su ogni aperto Ω′ ⊂⊂ Ω la (uh)converge uniformemente. Dimostriamo adesso la proprieta enunciata poco sopra sullesuccessioni crescenti di funzioni armoniche.

Se definitivamente uk(x0)− uh(x0) < ε per h < k si ha

supΩ′

(uk − uh) 6 C infΩ′

(uk − uh) 6 C(uk(x0)− uh(x0)) < Cε

e quindi la convergenza e uniforme su Ω′.Con la formula di Poisson, ma piu semplicemente dal teorema della media, si

possono dare delle stime sulle derivate all’interno. Precisamente, se u ∈ C2(Ω) earmonica anche Du lo e, quindi per ogni B = BR(x) ⊂⊂ Ω si ha

Du(x) =n

ωnRn

∫B

Du(y) dy =n

ωnRn

∫∂B

u(y)ν dσ

da cui|Du(x)| 6 n

Rsup∂B|u|

e prendendo il massimo R > 0 per cui BR(x) ⊂ Ω, posto dx = dist(x, ∂Ω), si ottiene

|Du(x)| 6 n

dxsup

Ω|u| .

Applicando le stesse considerazioni alle derivate successive e con un ragionamento sulricoprimento di un aperto Ω′ ⊂⊂ Ω con palle, si ottiene la stima

(2.21) supΩ|Dαu| 6

(n|α|d

)|α|sup

Ω|u|

dove d = dist(Ω′, ∂Ω).Conseguenze della (2.21) sono:

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42 Il Problema di Dirichlet

(a) compattezza: ogni successione limitata di funzioni armoniche contiene una sot-tosuccessione che converge uniformemente sui compatti (ad una funzione neces-sariamente armonica, come sappiamo),

(b) Teorema di Liouville: Una funzione armonica limitata su Rn e necessariamentecostante.

2.6 Risoluzione del problema di Dirichlet

Abbiamo visto all’inizio del § 2.3 le definizioni di funzione subarmonica e superar-minica, ma quelle vanno bene se ammettono derivate seconde. A noi serve adesso undefinizione piu generale.

Definizione 2.7 - Una funzione u : Ω → R e detta subarmonica se per ogniΩ′ ⊂⊂ Ω e per ogni h armonica in Ω si ha

maxΩ′

(u− h) = max∂Ω′

(u− h) .

E evidente che continua a valere il principio di massimo, basta prendere h = 0. Lefunzioni lineari sono sia subarmoniche che superarmoniche, infatti sono armoniche(le uniche per n = 1). Le funzioni convesse sono subarmoniche e per n = 1 su unintervallo le funzioni subarmoniche sono convesse; infatti se u : I → R e subarmonica,presi due punti x1, x2 ∈ I e la funzione armonica

ϕ(x) = u(x1) +u(x2)− u(x1)

x2 − x1(x− x1) ∀x ∈ [x1, x2] ,

si hamax

[x1,x2](u(x)− ϕ(x)) 6 maxu(x1)− ϕ(x1), u(x2)− ϕ(x2) = 0

quindi u(x) 6 ϕ(x) per ogni x ∈ [x1, x2].

Proposizione 2.8 - Se u1, . . . , uk sono subarmoniche in Ω allora l’inviluppo su-periore

u(x) = maxu1, . . . , uk , x ∈ Ω ,

e subarmonica.

Dimostrazione. Se u non fosse subarmonica esisterebbe un aperto Ω′ ⊂⊂ Ω, unpunto x0 ∈ Ω′ e una funzione armonica h tale che

u(x0)− h(x0) > max∂Ω′

(u− h) .

Ma per qualche i = 1, . . . , k si ha u(x0) = ui(x0), quindi

ui(x0)− h(x0) > max∂Ω′

(u− h) > max∂Ω′

(ui − h)

e ui non sarebbe subarmonica.2

Per ogni funzione u ∈ C0(Ω) e per ogni palla B ⊂ Ω la formula di Poisson ci diceche esiste un’unica funzione uB ∈ C2(B) ∩ C0(Ω) armonica in B e che vale u su ∂B.Indicheremo ancora con uB , e la chiameremo troncata armonica di u su B, la funzionecontinua che estende col valore u al di fuori di B tale funzione armonica.

Se u e subarmonica lo e anche uB , infatti, scelte una palla B′ ⊂ Ω e una funzionearmonica h in Ω tale che h > uB su ∂B′, si ha uB = u 6 h su B′ −B ed essendo uB

armonica in B, uB 6 h per il principio di massimo.

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2.6 Risoluzione del problema di Dirichlet 43

Costruiamo adesso la soluzione u ∈ C2(Ω) ∩ C0(Ω) del problema di Dirichlet∆u = 0 in Ω

u = g su ∂Ω

con g ∈ C0(∂Ω). Consideriamo la classe

Sg = v ∈ C0(Ω) | v subarmonica e v 6 g su ∂Ω .

Definito un insieme simile per le funzioni superarmoniche tali che v > g su ∂Ω, e chiaroche la soluzione u del nostro problema, se esiste, deve appartenere ad entrambe leclassi, dato che, in quanto armonica e sia super che subarmonica, inoltre la condizioneal bordo u = g equivale a u 6 g e u > g insieme. Cio suggerisce di definire la u comeinviluppo superiore della classe Sg.

Teorema 2.9 - La funzione u(x) = supv(x) | v ∈ Sg e armonica in Ω.

Dimostrazione. Fissiamo un punto x0 ∈ Ω e una successione (uh) ⊂ Sg tale cheuh(x0)→ u(x0). Le vh definite da

vh(x) = maxu1(x), . . . , uh(x) x ∈ Ω

formano una successione crescente di funzioni subarmoniche tali che vh(x0)→ u(x0).Presa una palla B ⊂⊂ Ω di centro x0 le troncate armoniche wh = vBh stanno nellastessa classe Sg, quindi vh 6 wh 6 u e wh(x0) → u(x0) crescendo. Quindi (wh)converge in B uniformemente ad una funzione armonica w, ma sappiamo solo chew(x0) = u(x0) e dobbiamo dimostrare che w(x) = u(x) per ogni x ∈ B. Allorascegliamo un punto qualsiasi x ∈ B distinto da x0 e, come sopra, una successione(uh) ∈ Sg tale che uh(x) → u(x), definiamo le vh = maxu1, . . . , uh, vh > vh e lerelative troncate wh > wh che formano una successione crescente tale che wh(x) →u(x). Per le stesse ragioni di prima wh converge uniformemente in B ad una funzionearmonica w > w con w(x0) = w(x0). La differenza w − w e armonica in B ed haminimo, nullo, nel centro x0 ∈ B, quindi w = w e dal momento che w(x) = u(x) e xe arbitrario, w e w coincidono con u e anche u e armonica.

2

Rimane da stabilire se la u cosı costruita e continua su tutto Ω in modo che siasoddisfatta la condizione

(2.22) limx→x0x∈Ω

u(x) = g(x0)

per ogni x0 ∈ Ω.

Definizione 2.10 - Un punto ξ ∈ ∂Ω e detto regolare (rispetto al laplaciano) seesiste una funzione αξ ∈ C0(Ω), detta funzione barriera, tale che

(a) αξ e superarmonica,

(b) αξ(x) > 0 per ogni x ∈ ∂Ω− ξ e αξ(ξ) = 0.

Se ad esempio Ω e strettamente convesso ogni punto e regolare basta prendere αξ(x) =νξ ·(ξ−x) se νξ e la normale esterna. Lo stesso se Ω ha la proprieta della sfera esterna:

esiste una palla Br(x) tale che Br(x) ∩ Ω = ξ

possiamo scegliere come funzione barriera

αξ(x) =

log|x− x|r

se n = 2

r2−n − |x− x|2−n se n > 2 .

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44 Il Problema di Dirichlet

Anche la proprieta del cono esterno, cioe l’esistenza di un cono con vertice in ξ ∈ ∂Ωcontenuto nel complementare di Ω, garantisce che ξ sia regolare.

Un esempio di punto non regolare e invece il caso della spina di Lebesgue unacuspide rivolta verso l’interno.

Teorema 2.11 - La funzione u(x) = supv(x) | v ∈ Sg soddisfa la condizionedi continuita fino al bordo (2.22) se e solo se ogni punto di ∂Ω e regolare.

Dimostrazione. Se ∂Ω e regolare, essendo g continua, fissato ε > 0 esiste δ > 0tale che |g(x)− g(ξ)| < ε per ogni x ∈ ∂Ω ∩Bδ(ξ). Su ∂Ω−Bδ(ξ) si ha

|g(x)− g(ξ)| 6 sup∂Ω

g − inf∂Ωg 6 osc(g)

αξ(x)

inf∂Ω−Bδ(ξ)

αξ= kαξ(x) ,

quindi|g(x)− g(ξ)| < ε+ kαξ(x) ∀x ∈ ∂Ω .

Questa disuguagianza equivale a

(2.23) g(ξ)− ε− kαξ(x) < g(x) < g(ξ) + ε+ kαξ(x)

dove la funzione a sinistra e subarmonica e quella destra e superarmonica. Ricordiamoche u e stata definita come l’inviluppo superiore delle subarmoniche che sul bordo nonsuperano g e coincide con l’analogo inviluppo delle superarmoniche non inferiori a g,quindi anche u deve soddisfare la stessa stima (2.23), pertanto

|u(x)− g(ξ)| < ε+ kαξ(x) ∀x ∈ Ω .

Ora, essendo αξ continua, αξ < ε per x ∈ Ω sufficientemente vicino a ξ e in essi|u(x)− g(ξ)| < 2ε.

Viceversa supponiamo che il problema di Dirichlet sia risolubile in C2(Ω)∩C0(Ω)per ogni dato al bordo g ∈ C0(∂Ω). Per ogni ξ ∈ ∂Ω la funzione αξ(x) = |ξ − x|e continua, positiva e nulla solo in ξ e la funzione armonica che sul bordo vale αξ eovviamente una barriera, quindi ξ e regolare.

2

Una condizione necessaria e sufficiente e quella di Wiener∫ ρ0

0

cap(Bρ(ξ) ∩ Ω)

ρn−1dρ = +∞

dove

cap(E) = inf

∫Rn

|Dϕ|2 dx | ϕ ∈ D(Rn) , ϕ > 1 su E

2.7 Formulazione variazionale

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che, assegnata f ∈ C0(Ω), se u ∈ C2(Ω)soddisfa la (2.10) allora soddisfa la (2.11). Certamente vale anche il viceversa, bastaragionare come nel Lemma B.10, ma se inizialmente si pone il problema nella forma(2.11) con f ∈ C0(Ω) non possiamo sapere se esistono soluzioni in C2(Ω), in modoche ad esse si possa applicare il laplaciano, e se e lecito riconoscerle come soluzionidella (2.10). Questo passaggio logico e l’oggetto della teoria della regolarita di cuivedremo i primi passi piu avanti. La formulazione debole e molto piu generale percheha senso non solo con f ∈ L2(Ω), come nel caso del carico discontinuo del § 2.2,ma anche quando f ∈ D ′(Ω) in cui rientra il caso del carico concentrato su varietadi dimensione inferiore a quella dello spazio. Vediamo uno alla volta vari livelli di

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2.7 Formulazione variazionale 45

generalita del problema di Dirichlet per il laplaciano nella forma debole, assumendoper ora g = 0 su ∂Ω.

1. Se f ∈ L2(Ω) la distribuzione ϕ →∫

Ωfϕ puo essere estesa a tutto L2(Ω)

venendo a coincidere col prodotto scalare v →∫

Ωfv, d’altra parte a primo membro

compare il prodotto scalare tra i gradienti Du e Dv che ha senso in H1, quindiv ∈ H1

0 (Ω) che e la chiusura di D(Ω) in H1(Ω). Ricordando che g = 0 su ∂Ω,cerchiamo la soluzione u in questo spazio pervenendo al seguente problema.

Problema 2.12 Data f ∈ L2(Ω), trovare u ∈ H10 (Ω) tale che

(2.24)

∫Ω

Du ·Dv dx =

∫Ω

fv dx ∀v ∈ H10 (Ω) .

2. Se v ∈ H10 (Ω) possiamo sostituire f con una distribuzione ϕ → 〈f, ϕ〉 che sia

estendibile a tutto H10 (Ω), quindi con f ∈ H1

0 (Ω)∗. Il duale H10 (Ω)∗ di H1

0 (Ω) vieneindicato con H−1(Ω) e vale in proposito la seguente caratterizzazione:

f ∈ H−1(Ω) se e solo se esistono f0, f1, f2, . . . fn ∈ L2(Ω) tali che

〈f, v〉 =

∫Ω

f0v +

∫Ω

n∑i=1

fiDiv ∀v ∈ H10 (Ω) .

In altre parole, in termini del campo vettoriale F = (f1, f2, . . . fn) ∈ L2(Ω)n, f e ladistribuzione

f = f0 − divF .

Problema 2.13 Data f ∈ H−1(Ω), trovare u ∈ H10 (Ω) tale che

(2.25)

∫Ω

Du ·Dv dx = 〈f, v〉 ∀v ∈ H10 (Ω) .

Visto che ogni spazio di Hilbert ammette se stesso come duale, H10 non dovrebbe

fare eccezione e la cosa sarebbe del tutto accettabile. Ma se consideriamo H10 come

sottospazio di L2, che coincide col suo duale, si deve ammettere anche (H10 )∗ ⊃ L2

strettamente. Questo ci soddisfa, altrimenti ci dovremmo limitare ai soli dati f ∈ H10 .

3. Se f ∈ D ′(Ω) e una distribuzione qualsiasi, in assenza di ulteriori ipotesi nonsi puo uscire dallo spazio D(Ω) e anche u va cercata tra le distribuzioni, quindi ilproblema assume la seguente (debolissima) forma.

Problema 2.14 Data f ∈ D ′(Ω), trovare u ∈ D ′(Ω) tale che

(2.26) −∫

Ω

u∆ϕdx = 〈f, ϕ〉 ∀ϕ ∈ D(Ω) .

Un caso particolare importante della (2.26) e l’equazione

(2.27) −∆u = δ in Rn ,

dove la distribuzione δ di Dirac e definita da 〈δ, ϕ〉 = ϕ(0) per ogni ϕ ∈ D(Rn). Peril carattere isotropo dell’operatore laplaciano e naturale cercare soluzioni u = u(ρ) asimmetria sferica, per le quali l’equazione in Rn − 0 diventa

∆u = u′′(ρ) +n− 1

ρu′(ρ) = 0 , ρ > 0 ,

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46 Il Problema di Dirichlet

e che ha per soluzioni le funzioni

u(ρ) =

α log ρ+ β se n = 2

α

ρn−2+ β se n > 2 .

Si giunge alla stessa conclusione integrando membro a membro l’equazione su unacorona sferica di raggio interno r fissato e raggio esterno generico ρ > r e applicandoil teorema della divergenza

0 =

∫r<|x|<ρ

∆u dx =

∫|x|=ρ

Du · xρdσ −

∫|x|=r

Du · xrdσ

=

∫|x|=ρ

u′(ρ) dσ −∫|x|=r

u′(r) dσ = ωnρn−1u′(ρ)− ωnrn−1u′(r) ,

da cuiu′(ρ) =

c1ρn−1

+ c2 .

Tra queste soluzioni radiali si puo scegliere c1 e c2 in modo che u soddisfi la (2.27). Lolasciamo per esercizio suggerendo di considerare una generica ϕ a supporto compattoK e, definito Kε = K−Bε(0), integrare per parti u∆ϕ su Kε. Rimarranno da trattaresolo degli integrali su ∂Bε(0) di cui si puo calcolare facilmente il limite per ε → 0usando il teorema della media. La soluzione di (2.27) e detta soluzione fondamentaledel laplaciano e vale

Γ(ρ) =

log ρ

2πse n = 2

1

(n− 2)ωnρn−2se n > 2 .

Da ora in poi ci interesseremo del Problema 2.13 relativo al punto 2. Questa formu-lazione viene anche detta variazionale in quanto equivalente al seguente problema.

Problema 2.15 Assegnata f ∈ H−1(Ω), sia F : H10 (Ω)→ R il funzionale

F (v) =1

2

∫Ω

|Dv|2 dx− 〈f, v〉 ∀v ∈ H10 (Ω) .

Trovare u ∈ H10 (Ω) tale che

F (u) 6 F (v) ∀v ∈ H10 (Ω) .

L’esempio fatto alla fine del § 2.4 mostra che sebbene la formulazione variazionaleabbia carattere ben piu generale della formulazione classica, in presenza di dati albordo non omogenei vi sono dei casi in cui la prima non puo essere considerata perchela soluzione ha energia non finita. Questo inconveniente non accade se si assume cheg sia la “restrizione al bordo” di una funzione g ∈ H1(Ω). Detta cosı la cosa non hasenso perche il bordo ha misura nulla e le nostre funzioni sono definite quasi ovunque,per questo esiste un’opportuna nozione di traccia di cui non parliamo adesso. Ma unaltro modo del tutto equivalente per recuperare il rigore dovuto e assumere g ∈ H1(Ω)e imporre la condizione u− g ∈ H1

0 (Ω). Essendo∫Ω

Du ·Dv =

∫Ω

D(u− g) ·Dv +

∫Ω

Dg ·Dv ,

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2.7 Formulazione variazionale 47

u ∈ H1(Ω) e soluzione se e solo se w = u− g ∈ H10 (Ω) soddisfa l’equazione∫

Ω

Dw ·Dv = 〈f, v〉 −∫

Ω

Dg ·Dv ∀v ∈ H10 (Ω)

dove si riconosce f + ∆g come elemento di H−1(Ω) essendo Dg ∈ L2(Ω). Il proble-ma omogeneo sul bordo non e quindi meno generale di quello con g perche pur discegliere sempre la formulazione del Problema 2.13, anche se si e nelle condizioni delProblema 2.12, ci si puo ricondurre al caso omogeneo.

Tutto cio che si e detto finora vale anche nel caso piu generale di un operatore ellit-tico in forma variazionale a coefficienti A(x) = (aij(x)). Sulla matrice A supponiamoaij ∈ L∞(Ω) e che per un certo λ > 0 si abbia

A(x)ξ · ξ =

n∑ij=1

aij(x)ξiξj > λ|ξ|2 ∀ξ ∈ Rn ∀x q.o. ∈ Ω .

Problema 2.16 Data f ∈ H−1(Ω), trovare u ∈ H10 (Ω) tale che

(2.28) − div(A(x)Du) = f in Ω .

La (2.28) va intesa nel senso variazionale, come equazione∫Ω

A(x)Du ·Dv = 〈f, v〉 ∀v ∈ H10 (Ω)

oppure, se A(x) e simmetrica, come principio di minimo

(2.29) F (u) 6 F (v) ∀v ∈ H10 (Ω)

essendo

F (v) =1

2

∫Ω

A(x)Dv ·Dv dx− 〈f, v〉 ∀v ∈ H10 (Ω) .

L’esistenza e l’unicita della soluzione del Problema 2.16 e conseguenza di un teoremaastratto negli spazi di Hilbert che vediamo tra poco.

Siano H uno spazio di Hilbert reale con prodotto scalare 〈., .〉 e norma ‖ · ‖ e H∗

il suo duale con l’accoppiamento : H∗ ×H → R

(f, u)→ 〈f, u〉 .

Un operatore lineare e continuo A : H → H∗ determina la forma bilineare

(2.30) a(u, v) = 〈Au, v〉

che e ovviamente lineare in u e in v e continua perche |a(u, v)| 6 ‖A‖‖u‖‖v‖. Vice-versa, ad ogni forma bilineare e continua rimane associato l’operatore A : H → H∗

tale che vale la (2.30).

Definizione 2.17 Diciamo che a(u, v) e coerciva se esiste una costante λ > 0tale che

a(u, u) > λ‖u‖2 ∀u ∈ H .

Una forma bilineare continua e coerciva definisce la norma√a(u, u) che e equivalente

alla norma di H.

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48 Il Problema di Dirichlet

Teorema 2.18 (Lax-Milgram) Sia a(u, v) una forma bilineare continua e coer-civa su uno spazio di Hilbert H. Allora per ogni f ∈ H∗ esiste ed e unico u ∈ H taleche

(2.31) a(u, v) = 〈f, v〉 ∀v ∈ H .

Inoltre l’applicazione f → u e lipschitziana: se u1 e u2 sono le soluzioni della (2.31)corrispondenti ai dati f1 e f2 allora

(2.32) ‖u1 − u2‖H 61

λ‖f1 − f2‖H∗ .

Dimostrazione. Supponiamo dapprima che a(u, v) sia simmetrica. In questo casola (2.31) e equivalente al problema di minimo in H per il funzionale

F (v) =1

2a(v, v)− 〈f, v〉 .

Infatti se u e di minimo per F la funzione t→ F (u+ tv), t ∈ R, deve avere derivataper t = 0 per ogni v ∈ H. Poiche

F (u+ tv) =1

2a(u, u) + ta(u, v) +

t2

2a(v, v)− 〈f, u〉 − t〈f, v〉 ,

imponendo che la derivata

d

dtF (u+ tv) = a(u, v) + ta(v, v)− 〈f, v〉

si annulli per t = 0 si ottiene la (2.31). Se, viceversa, u soddisfa la (2.31) allora perogni v ∈ H si ha

F (v) = F (u+ v − u) =1

2a(u, u) + a(u, v − u) +

1

2a(v − u, v − u)− 〈f, u〉 − 〈f, v − u〉

= F (u) +1

2a(v − u, v − u) > F (u)

che equivale ad affermare che u e di minimo per F .

Dimostriamo adesso che il minimo di F esiste. Poiche

〈f, v〉 6 ‖f‖‖v‖ =

∥∥∥∥fε∥∥∥∥ ‖εv‖ 6 1

2

(‖f‖2

ε2+ ε2‖v‖2

),

F e limitato inferiormente in quanto

F (v) >λ− ε2

2‖v‖2 − ‖f‖

2ε2> −‖f‖

2ε2,

basta scegliere ε2 < λ. Sia allora

I = infv∈H

F (v) .

Per ogni h ∈ N esiste uh ∈ H tale che

I 6 F (uh) < I +1

h∀h ∈ N .

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2.7 Formulazione variazionale 49

Siccome F (uh) → I, la (uh) si chiama successione minimizzante. Essa e di Cauchyperche

λ

2‖uh − uk‖2 6

1

2a(uh − uk, uh − uk)

= a(uh, uh) + a(uk, uk)− 2a

(uh + uk

2,uh + uk

2

)= 2(F (uh) + 〈f, uh〉+ F (uk) + 〈f, uk〉)− 4

(F

(uh + uk

2

)+ 〈f, uh + uk

2〉)

= 2(F (uh) + F (uk))− 4F

(uh + uk

2

)6 2(F (uh) + F (uk))− 4I 6

1

h+

1

k

che tende a 0 per h, k →∞. Essendo H completo, esiste u ∈ H tale che ‖uh−u‖ → 0e poiche 〈f, uh − u〉 → 0 e inoltre

|a(uh, uh)− a(u, u)| = |a(uh − u, uh − u) + 2a(uh − u, u)|6 ‖A‖‖uh − u‖2 + 2‖A‖‖uh − u‖‖u‖ → 0 ,

allora F (uh)→ F (u), ma F (uh)→ I e quindi F (u) = I.Siano adesso u1, u2 ∈ H soluzioni delle equazioni

a(ui, v) = 〈fi, v〉 ∀v ∈ H .

Per differenza si haa(u1 − u2, v) = 〈f1 − f2, v〉

e scegliendo v = u1 − u2 si ottiene

λ‖u1 − u2‖2 6 a(u1 − u2, u1 − u2) = 〈f1 − f2, u1 − u2〉 6 ‖f1 − f2‖‖u1 − u2‖

da cui segue la (2.32) che oltre all’unicita prova anche la dipendenza continua.Se a non e simmetrica poniamo

at(u, v) = a0(u, v) + tb(u, v) , t ∈ [0, 1] ,

dove a0(u, v) = 12 (a(u, v) + a(v, u)) e b(u, v) = 1

2 (a(u, v) − a(v, u)) sono le sue partisimmetrica e antisimmetrica. Si osservi che a1 = a e at e coerciva con la stessacostante λ. Dimostriamo che se la (2.31) e risolubile per aτ allora lo e anche per atper ogni t ∈ [τ, τ + t0] per un certo t0 > 0. L’applicazione T : H → H che associa adogni w ∈ H la soluzione u del problema

aτ (u, v) = 〈f, v〉 − (t− τ)b(w, v) , τ 6 t 6 τ + t0 ,

e, per t0 sufficientemente piccolo, una contrazione. Infatti in quanto continua la bsoddisfa |b(w, v)| 6 M‖w‖‖v‖ e il funzionale v → β(v) = b(w, v) soddisfa ‖β‖ 6M‖w‖. Per la (2.32) applicata a u1 = Tw1 e u2 = Tw2 si ha

‖u1 − u2‖ 6(t− τ)M

λ‖w1 − w2‖ 6

t0M

λ‖w1 − w2‖

e per t0 < λ/M risulta che T e una contrazione. Allora ammette un punto fissoTu = u che soddisfa

aτ (u, v) = 〈f, v〉 − (t− τ)b(u, v)

che equivale aat(u, v) = 〈f, v〉 .

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50 Il Problema di Dirichlet

A partire dal caso simmetrico gia visto τ = 0, si ha dunque esistenza anche per t > 0almeno fino al valore t0, poi si ha esistenza per tutti i t da τ = t0 a 2t0 e poi da τ = 2t0a 3t0. Dopo un numero finito di passi si arriva al valore finale t = 1 corrispondentealla forma bilineare data.

2

Come rientra il nostro problema di Dirichlet all’interno dello schema astratto cheabbiamo appena discusso? Lo spazio che ci interessa, H1

0 (Ω), e di Hilbert comesottospazio chiuso di H1(Ω), ma le condizioni di continuita e di coercivita della formabilineare a(u, v) non coinvolgono tutta la norma, bensı solo la parte che contiene ilgradiente. Lo schema generale puo essere applicato direttamente ad un problemacome questo

(2.33)

−div(A(x)Du) + k(x)u = f in Ω

u = 0 su ∂Ω

che e l’equazione di equilibrio di una membrana appoggiata su un letto di molle dirigidezza k(x) > 0. Essendo in questo caso

a(u, v) =

∫Ω

k(x)uv dx+

∫Ω

A(x)Du ·Dv dx ,

l’ambientazione del problema in H10 (Ω) e l’ipotesi f ∈ H−1(Ω) sono corrette perche

l’esistenza e l’unicita della soluzione per il problema (2.33) discendono direttamentedal Teorema 2.18.

Per adattare il Problema 2.16 al Teorema 2.18 dobbiamo mostrare che in H10 (Ω)

la norma con le sole derivate e equivalente alla norma di H1(Ω) e allo scopo vale ilseguente risultato.

Teorema 2.19 (Disuguaglianza di Poincare) Siano Ω ⊂ Rn un aperto limi-tato e 1 6 p < +∞. Esiste una costante c(Ω, p) > 0 tale che

(2.34) ‖u‖Lp(Ω) 6 c(Ω, p)‖Du‖Lp(Ω) ∀u ∈W 1,p0 (Ω) .

Dimostrazione. Sia u ∈ C10 (Ω) estesa con valore nullo al complementare di Ω.

Fissato un punto x ∈ Ω, per r > 0 abbastanza grande (dipendente da Ω) si hau(x+ rω) = 0 per ogni ω ∈ Rn tale che |ω| = 1, pertanto

−u(x) = u(x+ rω)− u(x) =

∫ r

0

∂u(x+ tω)

∂tdt =

∫ r

0

Du(x+ tω) · ω dt .

Passando al modulo e usando la disuguaglianza di Holder

|u(x)| 6∫ r

0

|Du(x+ tω)| dt 6 r1/q

(∫ r

0

|Du(x+ tω)|p dt)1/p

.

Adesso eleviamo alla p e passiamo all’integrale su Rn

‖u‖pp =

∫Rn

|u(x)|p dx 6 rp/q∫Rn

∫ r

0

|Du(x+ tω)|p dt dx

= rp−1

∫ r

0

∫Rn

|Du|p dx dt = rp‖Du‖pp .

Se u ∈ W 1,p0 (Ω) esiste una successione (uh) ⊂ C1

0 (Ω) tale che ‖uh − u‖W 1,p(Ω) → 0.Per ogni uh vale la disuguaglianza (2.34) e la norma e continua, quindi la (2.34) estabile nel passaggio al limite e rimane vera per ogni u ∈W 1,p

0 (Ω).

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2.8 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 51

La costante trovata per questa disuguaglianza e semplicemente r, il raggio di unapalla che contiene Ω, e non sembra dipendere da p, ma la costante ottimale, la minimaper cui la disuguaglianza e vera, dipende da p.

2

La relazione

‖Du‖p 6 ‖u‖p + ‖Du‖p 6 (1 + c)‖Du‖p ∀u ∈W 1,p0 (Ω)

mostra che in W 1,p0 (Ω) la norma di W 1,p(Ω) e la norma in Lp(Ω) del solo gradiente

sono equivalenti, quindi la forma bilineare

a(u, v) =

∫Ω

A(x)Du ·Dv dx

e coerciva in H10 (Ω). Rimane da verificare, con riferimento al Teorema 2.18, che il

funzionale F (v) della (2.29) e limitato inferiormente, ma questo e vero perche

F (u) >λ

2‖Du‖L2(Ω) − 〈f/ε, εu〉 >

λ

2‖Du‖L2(Ω) −

1

2ε2‖f‖2H−1(Ω) −

ε2

2‖u‖2L2(Ω)

>λ− c2ε2

2‖Du‖L2(Ω) −

1

2ε2‖f‖2H−1(Ω) > −

1

2ε2‖f‖2H−1(Ω)

pur di scegliere ε2 < λ/c2. Da queste considerazioni possiamo dedurre che il Proble-ma 2.16 ammette una ed una sola soluzione in H1

0 (Ω).Il Teorema 2.19 ci dice che l’immersione W 1,p

0 (Ω) → LP (Ω) e continua. Perinduzione vale banalmente il seguente corollario.

Corollario 2.20 Siano Ω ⊂ Rn un aperto limitato e 1 6 p < +∞. Esiste unacostante c(Ω, p) > 0 tale che

‖u‖Wk,p(Ω) 6 c(Ω, p)∑|α|=k

‖Dαu‖Lp(Ω) ∀u ∈W k,p0 (Ω) .

2.8 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet

Illustriamo in questo paragrafo un approccio alternativo alla questione dell’esi-stenza e unicita per il Problema di Dirichlet nella versione variazionale (2.29) che poiriprenderemo, in una versione generale, nei problemi variazionali non lineari. Il me-todo diretto prende in esame, appunto direttamente, le proprieta del funzionale senzapassare dall’equazione e si basa sull’idea del celebre teorema di Weirstraß di combinarela continuita di una funzione con la compattezza del dominio. Rispetto al § 2.7 nullacambia sulla formulazione, f ∈ H−1(Ω), F e limitato inferiormente in H1

0 (Ω) e la solu-zione la cerchiamo in questo spazio. Dato che siamo interessati al solo minimo (d’altraparte F non e neanche limitato superiormente) e che H1

0 (Ω) non e certo compatto,piu del teorema di Weirstraß ci interessa una sua variante che prevede l’esistenza delminimo con le ipotesi che i sottolivelli, cioe gli insiemi u ∈ H1

0 (Ω) | F (u) 6 k, sianocompatti e che F sia un funzionale semicontinuo inferiormente. Ora, i sottolivelli diF sono limitati perche

lim‖v‖→∞

F (v) = +∞

e sono anche chiusi perche, come abbiamo gia visto, F e addirittura continua, ma inuno spazio vettoriale in dimensione non finita come H1

0 (Ω), la cui metrica e quelladella norma, gli insiemi chiusi e limitati non sono in generale compatti. Insomma, lecose non sembrano andare tanto bene, ma adesso ci procuriamo gli ingredienti che ciservono per farle funzionare.

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52 Il Problema di Dirichlet

Sia X uno spazio che soddisfa il I assioma di numerabilita, per esempio uno spaziometrico, in modo che tutte le sue proprieta topologiche siano caratterizzabili in terminidelle successioni convergenti.

Definizione 2.21 Una funzione F : X → R e detta semicontinua inferior-mente (s.c.i.) [superiormente (s.c.s.)] se per ogni x ∈ X e per ogni successione(xh) ⊂ X tale che xh → x si ha

F (x) 6 lim infh→∞

F (xh) [F (x) > lim suph→∞

F (xh)] .

Proposizione 2.22 Una funzione F : X → R e s.c.i. se e solo se per ogni t ∈ Ril sottolivello St(F ) = x ∈ X | F (x) 6 t e chiuso.

Dimostrazione. Se F e s.c.i. allora per ogni t ∈ R e per ogni successione (xh)convergente a x tale che per ogni h ∈ N si abbia F (xh) 6 t si ha

F (x) 6 lim infh→∞

F (xh) 6 t ,

quindi St(F ) e chiuso.Viceversa, sia (xh) una successione convergente a x e indichiamo con l il minimo

limite di F (xh). Per definizione di minimo limite per ogni ε > 0 e per ogni h ∈ Nesiste kh ∈ N tale che

F (xkh) 6 l + ε ∀h ∈ N .

Essendo Sl+ε(F ) chiuso, F (x) 6 l + ε. Ma allora F e s.c.i. essendo ε arbitrario.2

Vi sono altre condizioni necessarie e sufficienti, come la proprieta che l’epigrafico siachiuso, ma non le tratteremo.

Definizione 2.23 Un funzionale F : X → R e detto coercivo se per ogni t ∈ R ilsottolivello St(F ) ha chiusura compatta in X (in modo equivalente, esiste un compattoK ⊂ X tale che St(F ) ⊂ K).

Teorema 2.24 (Il metodo diretto) Se F : X → R e s.c.i. e coercivo alloraesiste x0 ∈ X tale che

F (x0) 6 F (x) ∀x ∈ X .

Dimostrazione. Scelti ad arbitrio un punto x ∈ X e un numero reale t > F (x),il relativo sottolivello St, indichiamolo con S, e non vuoto e compatto per ipotesi.Dimostriamo che F ha minimo in S. Scelta una successione minimizzante (xh) ⊂ S

limh→∞

F (xh) = infx∈S

F (x) = I ,

essendo S compatto la (xh) ammette una sottosuccessione (xkh) convergente ad uncerto x0 ∈ S. Dalla semicontinuita di F segue

F (x0) 6 lim infh→∞

F (xkh) = limh→∞

F (xh) = I ,

quindiF (x0) = I ,

I e il minimo e x0 e un punto di minimo per F . Il minimo trovato e anche il minimodi F su tutto X dal momento che per ogni x /∈ S si ha F (x) > t > F (x) > F (x0).

Se in piu ogni successione minimizzante gia converge a x0 il punto di minimo eunico, ma se vi sono piu successioni minimizzanti convergenti a punti distinti ognunodi questi e di minimo e non vale l’unicita.

2

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2.8 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 53

Per far rientrare il nostro caso in questo schema astratto bisogna sostituire la topo-logia della norma con una topologia piu ricca di compatti, quindi con meno aperti,in modo che ogni successione limitata ammetta sottosuccessioni convergenti, d’altraparte diminuendo la quantita di aperti diminuisce anche la quantita di funzioni conti-nue e semicontinue. Bisogna dunque introdurre nello spazio una nozione abbastanzadebole di convergenza da garantire la compattezza dei limitati e, dovendo rinunciarealla continuita di F , allo stesso tempo non troppo debole da conservarne perlomenola semicontinuita. La convergenza che fa al caso nostro e detta appunto convergenzadebole, ci limitiamo per il momento ad uno spazio di Hilbert separabile, che ammettecioe un sottoinsieme numerabile e denso. Ricordiamo che ogni spazio di Hilbert Hseparabile ammette una base ortonormale numerabile, cioe un sistema numerabile(eh) tale che 〈eh, ek〉 = δhk e tale che l’insieme di tutte le combinazioni lineari finitedegli eh e denso in H.

Definizione 2.25 Diciamo che la successione (uh) ⊂ H converge debolmentea u ∈ H, e si scrive uh u, se per ogni v ∈ H∗ si ha

〈v, uh〉 → 〈v, u〉 .

Ad esempio uhH1(Ω)−−−− u se per ogni v ∈ H1(Ω)∫

Ω

(uhv +Duh ·Dv) dx →∫

Ω

(uv +Du ·Dv) dx .

Oppure uhH1

0 (Ω)−−−− u se per ogni v ∈ H−1(Ω), cioe v = v0 − div V con v0 ∈ L2(Ω) eV ∈ L2(Ω)n, si ha∫

Ω

(uhv0 +Duh · V ) dx →∫

Ω

(uv0 +Du · V ) dx .

Vediamo alcune proprieta di questa nuova nozione di convergenza.

• Se uh → u nel senso usuale, ‖uh − u‖ → 0, allora uh u, per questo la primae anche detta convergenza forte. La dimostrazione e immediata

|〈uh − u, v〉| 6 ‖uh − u‖‖v‖ .

• Viceversa, se uhu e in piu ‖uh‖ → ‖u‖ allora uh → u, basta osservare che

‖uh − u‖2 = ‖uh‖2 − 2〈uh, u〉+ ‖u‖2 .

• La norma di H e s.c.i. rispetto alla convergenza debole, basta osservare che

0 6 〈uh − u, uh − u〉 = ‖uh‖2 − 2〈u, uh〉+ ‖u‖2 ,

da cui2〈u, uh〉 − ‖u‖2 6 ‖uh‖2

e passando al limite sul primo membro e al minimo limite sul secondo si ottiene

‖u‖2 6 lim infh→∞

‖uh‖2 .

• Ogni successione debolmente convergente e limitata. Questo risultato si basa sulTeorema di Banach-Steinhaus, nel quale si afferma che se (Tn) e una successionedi operatori lineari e continui tra due spazi di Banach X e Y allora

supn∈N‖Tnx‖ < +∞ ∀x ∈ X ⇒ sup

n∈N‖Tn‖ < +∞ .

Nel nostro caso, se uhu allora per ogni v ∈ H∗ la successione 〈uh, v〉 e limitatain R, cioe suph |〈uh, v〉| < +∞, allora suph ‖uh‖ < +∞.

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54 Il Problema di Dirichlet

• Se uhu e vh → v allora 〈uh, vh〉 → 〈u, v〉. Infatti

|〈uh, vh〉 − 〈u, v〉| 6 |〈uh, vh − v〉|+ |〈u− uh, v〉| ,

dove il primo termine tende a 0 per la disuguaglianza di Schwartz e il secondoper la definizione stessa di successione debolmente convergente.

Un esempio di successione convergente a 0 debolmente in L2[−π, π] e il sistema trigo-nometrico (en) essendo en(t) = eint/

√2π. Sappiamo infatti che per ogni f ∈ L2[−π, π]

vale la disuguaglianza di Bessel

n∑k=−n

|f(k)|2 6 ‖f‖22 ,

quindi la successione f(k) = 〈f, ek〉 e infinitesima. La successione (ek) non convergefortemente a nulla.

Proposizione 2.26 Ogni insieme debolmente chiuso lo e anche fortemente. Vi-ceversa, ogni convesso fortemente chiuso lo e anche debolmente.

Dimostrazione. La prima affermazione e ovvia perche uh → u⇒uhu. L’impli-cazione inversa, con l’ipotesi che C sia convesso, si basa su una versione del Teoremadi Hahn-Banach, secondo la quale dati in uno spazio vettoriale reale V un convessochiuso C e un compatto K disgiunti e non vuoti, esiste un iperpiano che li separastrettamente, cioe un elemento a ∈ V ∗ e un α ∈ R tali che

C ⊂ v ∈ V | 〈a, v〉 > α e K ⊂ v ∈ V | 〈a, v〉 < α .

Noi abbiamo un convesso C fortemente chiuso e vogliamo dimostrare che il com-plementare C e debolmente aperto. Allora prendiamo un punto (che e compatto)x0 /∈ C e un iperpiano che separa strettamente x0 da C, con a e α come sopra. Tuttol’insieme debolmente aperto v ∈ V | 〈a, v〉 < α e un intorno (debole) di x0 che haintersezione vuota con C, quindi C e debolmente chiuso.

2

Teorema 2.27 Ogni successione limitata in uno spazio di Hilbert separabile am-mette una sottosuccessione debolmente convergente.

Dimostrazione. Sia (un) una successione limitata in H, dobbiamo dimostrare cheesistono una u ∈ H e una sottosuccessione (ukn) ⊂ (un) tali che ukn u. Rispettoad una base ortonormale (ei) di H, ogni un ammette la rappresentazione

un =

∞∑i=1

cniei , cni = 〈un, ei〉 = coefficienti di Fourier ,

nel senso della convergenza in norma

limm→∞

∥∥un − m∑i=1

cniei∥∥ = 0 .

Dall’identita di Parseval

‖un‖2 =

∞∑i=1

|cni|2

segue che se e limitata la (un), mettiamo ‖un‖ 6 1 per ogni n ∈ N, anche |cni| 6 1 perogni n, i ∈ N. In particolare (cn1) e limitata in R, quindi esiste una sottosuccessione

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2.8 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 55

(u(1)n ) ⊂ (un) con i relativi coefficienti di Fourier (c

(1)ni ) ⊂ (cni) tali che c

(1)n1 → c1.

Prendiamo adesso la (c(1)n2 ) che e anch’essa limitata in R. Allora dalla (u

(1)n ) possiamo

estrarre una sottosuccssione (u(2)n ) con i coefficienti di Fourier (c

(2)ni ) ⊂ (c

(1)ni ) tali che

c(2)n2 → c2. Si noti che c

(1)n2 continua a convergere a c1. Andando avanti con questo

ragionamento, al k-esimo passo si estrae una sottosuccessione (u(k)n ) ⊂ (u

(k−1)n ) con i

coefficienti di Fourier (c(k)ni ) ⊂ (c

(k−1)ni ) tali che c

(k)nj → cj per ogni j = 1, . . . , k.

Con procedimento diagonale si costruisce la successione (u(n)n ), anch’essa estratta

dalla (un). Essa ammette la (c(n)ni )i∈N come successione dei coefficienti di Fourier la

quale soddisfa

(2.35) limn→∞

c(n)ni = ci ∀i ∈ N .

Tenendo presente che c(n)ni = 〈u(n)

n , ei〉, se al posto degli ei mettiamo una combinazionelineare finita v =

∑i viei, dalla (2.35) si ricava

limn→∞

〈u(n)n , v〉 =

∑i

vi limn→∞

c(n)ni =

∑i

vici ,

quindi il funzionale

(2.36) v → L(v) = limn→∞

〈u(n)n , v〉

dipende linearmente da v nel sottospazio V denso in H delle combinazioni linearifinite degli ei, inoltre e limitato perche

|L(v)| 6 supn∈N‖u(n)

n ‖‖v‖ 6 ‖v‖ .

Per il Teorema di Hahn-Banach L ammette un’estensione a tutto H, indichiamolaancora con L, che ne conserva la norma, quindi esiste u ∈ H tale che L(v) = 〈u, v〉per ogni v ∈ H. La (2.36) ci dice che

〈u(n)n , v〉 → 〈u, v〉 ∀v ∈ V .

Veniamo adesso alla stessa conclusione per ogni v ∈ H. Per ogni ε > 0 scegliamovε ∈ V tale che ‖v − vε‖ < ε. Per n abbastanza grande si ha

|〈u(n)n − u, v〉| 6 |〈u(n)

n − u, v − vε〉|+ |〈u(n)n − u, vε〉|

6 ε‖u(n)n − u‖+ ε 6 ε(‖u(n)

n ‖+ ‖u‖) + ε < 3ε .

2

Questo risultato si estende facilmente anche al caso in cui H non e separabile. Bastaconsiderare la chiusura del sottospazio generato dalla successione (un), indichiamolocon H, che e evidentemente uno spazio di Hilbert e separabile per costruzione, alloraesiste un elemento u ∈ H e una sottosuccessione (ukn) ⊂ (un) tale che uknu. Ciosignifica che per ogni v ∈ H si ha 〈uhk , v〉 → 〈u, v〉. Ma H = H ⊕ H⊥, ogni w ∈ H si

puo scrivere in modo unico nella somma w = v + v⊥ con v ∈ H e v⊥ ∈ H⊥, quindiper ogni w ∈ H si ha

〈uhk , w〉 = 〈uhk , v〉+ 〈uhk , v⊥〉 = 〈uhk , v〉 → 〈u, v〉 = 〈u, v〉+ 〈u, v⊥〉 = 〈u,w〉 .

Abbiamo ora a disposizione tutti gli strumenti che ci servono per trattare il Problemadi Dirichlet 2.16, nella versione variazionale(2.29), col metodo diretto del CdV.

Teorema 2.28 Il Problema 2.16 ammette soluzione unica.

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56 Il Problema di Dirichlet

Dimostrazione. Il funzionale

1

2

∫Ω

A(x)Dv ·Dv − 〈f, v〉 ∀v ∈ H10 (Ω)

e fortemente continuo quindi s.c.i. rispetto alla convergenza forte, ma siccome e ancheconvesso ogni sottolivello

St(F ) = v ∈ H10 (Ω) | F (v) 6 t

e convesso, fortemente chiuso e quindi debolmente chiuso per la Proposizione 2.26.Allora F e debolmente s.c.i. su H1

0 (Ω).Siano I l’estremo inferiore di F e (uh) ⊂ H1

0 (Ω) una successione minimizzante.Con manipolazioni ormai familiari si ha

F (uh) >λ

2‖Duh‖2L2(Ω) −

1

2ε2‖f‖2H−1(Ω) −

ε2

2‖uh‖2H1

0 (Ω)

=λ− ε2

2‖uh‖2H1

0 (Ω) −1

2ε2‖f‖2H−1(Ω)

che implica la limitatezza della (uh)

‖uh‖2H10 (Ω) 6

2

λ− ε2(F (uh) +

1

2ε2‖f‖2H−1(Ω))

pur di scegliere ε2 < λ, dato che F (uh)→ I. Per la debole compattezza dei limitati, v.il Teorema 2.27, la (uh) ammette una sottosuccesione (ukh) debolmente convergentead una certa u ∈ H1

0 (Ω). Questo limite u e di minimo di F perche

F (u) 6 lim infh→∞

F (ukh) = limh→∞

F (uh) = I .

L’unicita discende dalla stretta convessita del funzionale.2

Per fare un esempio, anche il funzionale convesso

(2.37) F (u) =

∫ 1

0

xα|u′|2 dx , α > 0 ,

e fortemente, e quindi debolmente, semicontinuo inferiormente in H10 ]0, 1[, ma non per

ogni α ammette minimo con le condizioni agli estremi u(0) = 0 e u(1) = 1, ricordiamoil caso α = 1 gia visto tra i primi esempi del corso. Vediamo intanto che l’equazionedi Eulero

(xαu′)′ = 0

ammette l’integrale generale

u(x) = c1x1−α + c2

in cui l’unica soluzione, e solo per α < 1, che soddisfa le condizioni al bordo e

(2.38) u(x) = x1−α ,

pero u′ ∈ L2 solo se α < 1/2. Cio fa sospettare che la coercivita possa valere in spazipiu grandi. Proviamo a fissare 1 < p < 2 e cerchiamo di stimare la norma in Lp delladerivata col nostro funzionale usando la disuguaglianza di Holder∫ 1

0

|u′|p dx =

∫ 1

0

|u′|pxα/rx−α/r dx 6

(∫ 1

0

|u′|rpxα dx) 1r(∫ 1

0

x−αr−1 dx

)1− 1r

.

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2.8 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 57

Deve assere allora r = 2/p e 2/p = r > α+ 1, cioe p(α+ 1) < 2, in modo che l’ultimointegrale sia convergente e si abbia∫ 1

0

|u′|p dx 6 C

(∫ 1

0

xα|u′|2 dx) p

2

.

Dunque per ogni 1 < p < 2/(α+ 1) esiste un’unica soluzione del problema di minimoper il funzionale (2.37) in H1,p]0, 1[ che e data dalla (2.38).

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58 Il Problema di Dirichlet

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Capitolo 3

Problemi non lineari

3.1 L’equazione di Eulero

Non ci preoccupiamo adesso dell’esistenza di minimi, ne di punti stazionari, vo-gliamo solo ricavare la condizione necessaria di stazionarieta F ′(u) = 0, nota comeequazione di Eulero (o anche di Eulero-Lagrange) per il funzionale

(3.1) F (u) =

∫Ω

f(x, u(x), Du(x)) dx ,

dove Ω e un aperto limitato di Rn e f : Ω ×Rm ×Rmn → R, con la condizione albordo u = u0 su ∂Ω.

Per dare un senso all’integrale supponiamo che f soddisfi la seguente definizione.

Definizione 3.1 Diciamo che f e un integrando di Caratheodory se

(car)1. x→ f(x, z, ξ) e misurabile per ogni (z, ξ) ∈ Rm ×Rmn;

(car)2. (z, ξ)→ f(x, z, ξ) e continua per quasi ogni x ∈ Ω.

Inoltre, affinche F sia ben definito sullo spazio di Sobolev W 1,p(Ω,Rm), con p > 1,possiamo assumere ad esempio che f soddisfi una condizione del tipo

|f(x, z, ξ)| 6 a(x) + b|z|p + c|ξ|p per q.o. x ∈ Ω ,∀z ∈ Rm,∀ξ ∈ Rmn ,

dove a ∈ L1(Ω) e b, c > 0. Naturalmente i passaggi formali di derivazione che stia-mo per fare richiedono ulteriori ipotesi di regolarita su f , tra le quali la differen-ziabilita almeno fino al secondo ordine, ma le vedremo strada facendo. Riguardoalla condizione al bordo, scelta u0 ∈ W 1,p(Ω,Rm), il modo corretto di intenderla eu− u0 ∈ W 1,p

0 (Ω,Rm), ma bisogna fare l’ulteriore ipotesi che ∂Ω sia lipschitziano, ameno che u0 non sia identicamente nulla.

A partire da un certo elemento u ∈ u0 +W 1,p0 (Ω,Rm), tutte le variazioni u+ tϕ,

con ϕ ∈ C∞0 (Ω), appartengono alla stessa varieta lineare. Ora, supponiamo in piuche u sia stazionario per F . Allora la funzione t → F (u + tϕ) ammette t = 0 comepunto stazionario in R, quindi

(3.2)d

dtF (u+ tϕ)|t=0 = 0 ∀ϕ ∈ C∞0 (Ω) .

Il primo membro non e altro che l’analogo della derivata direzionale per le funzioniordinarie

L(ϕ) = 〈F ′(u), ϕ〉

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60 Problemi non lineari

e, se esiste, prende il nome di derivata di Gateaux di F . Passando la derivata rispettoa t sotto il segno di integrale e integrando per parti, la (3.2) diventa

L(ϕ) =

∫Ω

m∑i=1

∂f

∂zi(x, u,Du)ϕi +

n∑j=1

∂f

∂ξij(x, u,Du)

∂ϕi∂xj

dx

=

∫Ω

(∇zf(x, u,Du) · ϕ+∇ξf(x, u,Du) ·Dϕ) dx

=

∫Ω

(∇zf(x, u,Du)− divx∇ξf(x, u,Du))ϕdx = 0

per ogni ϕ ∈ C∞0 (Ω). Per l’arbitrarieta di ϕ, adattando il ragionamento del Lem-ma B.10 al caso presente, si ottiene l’equazione differenziale del secondo ordine

(3.3) divx∇ξf(x, u(x), Du(x))−∇zf(x, u(x), Du(x)) = 0 ∀x ∈ Ω .

Vale anche qui cio che e stato detto nel § 1.9 del Cap. 1, la condizione di stazionarietadiventa sufficiente, affinche u sia di minimo, nel caso che F sia convessa. Se poi F estrettamente convessa il minimo e unico. Problema a parte e capire quali condizionisu f garantiscano la convessita di F .

Definizione 3.2 Una funzione u ∈ C2(Ω) ∩ C0(Ω) che risolve puntualmente la(3.3) viene detta soluzione classica. Se u ∈W 1,p(Ω,Rm) soddisfa

< F ′(u), ϕ >=

∫Ω

(∇zf(x, u,Du) · ϕ+∇ξf(x, u,Du) ·Dϕ) dx = 0

per ogni ϕ ∈ C∞0 (Ω), allora diciamo che u risolve la (3.3) nel senso delle distribuzioni,oppure che u e una soluzione debole della (3.3).

Il caso classico richiede che f sia di classe C2, altrimenti, affinche F ′(u) sia ben definitosu W 1,p, dobbiamo fare delle ipotesi sul comportamento di ∇zf e ∇ξf per le qualirimandiamo a [9].

Vediamo la forma che la (3.3) assume nei vari casi.Se m = n = 1 si tratta dell’equazione differenziale ordinaria in u

d

dx

∂f

∂ξ(x, u, u′)− ∂f

∂z(x, u, u′) = 0 ;

se m > n = 1 e il sistema di equazioni ordinarie

d

dx

∂f

∂ξi(x, u, u′)− ∂f

∂zi(x, u, u′) = 0 , i = 1, . . . ,m .

Questi primi due li abbiamo gia trattati nel Cap. 1 con i relativi ed eventuali integraliprimi che ci hanno permesso di semplificarle.

Se m = 1 < n si ottiene l’equazione alle derivate parziali

n∑j=1

∂xj

∂f

∂ξj(x, u,Du)− ∂f

∂z(x, u,Du) = 0 ;

se m,n > 1 e il sistema di equazioni alle derivate parziali

n∑j=1

∂xj

∂f

∂ξij(x, u,Du)− ∂f

∂zi(x, u,Du) = 0 , i = 1, . . . ,m .

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3.1 L’equazione di Eulero 61

Come esempio, tra i tanti possibili, citiamo il seguente, sia per la sua importanza, an-che storica, sia perche ci richiama ala mente il nostro vecchio problema della superficiedi rivoluzione di area minima col quale ha degli aspetti comuni.

Il problema di Plateau. L’equazione di Eulero per il problema dell’area minima

min

∫Ω

√1 + |Du|2 dx |u = u0 su ∂Ω

e l’equazione della curvatura media nulla con condizioni al bordo

(3.4)

divDu√

1 + |Du|2= 0 in Ω

u = u0 su ∂Ω .

Vediamo un controesempio all’esistenza (v. [12]). Sia Ω l’anello circolare BR(0) −Br(0), con 0 < r < R. Come condizioni al bordo imponiamo u(r) = M > 0 eu(R) = 0. Per motivi di simmetria e lecito cercare la soluzione tra le funzioni asimmetria circolare, del tipo u(ρ) con r < ρ < R. Per vederlo con maggiore rigore,basta partire dalla sua espressione in coordinate polari u(ρ, ϑ) e poi osservare che

F (u) =

∫ 2π

0

∫ R

r

ρ√

1 + u2ρ + u2

ϑ/ρ2 dρ >

∫ 2π

0

∫ R

r

ρ√

1 + u2ρ dρ .

Se cancellare uϑ non fa aumentare il valore del funzionale vuol dire che il minimoviene raggiunto da una funzione che non dipende da ϑ, quindi, a parte il fattore 2π,il funzionale da minimizzare diventa

F (u) =

∫ R

r

ρ√

1 + u′(ρ)2dρ .

Tenendo presente che l’integrando non dipende da u, si ottiene l’equazione di Eulero

ρu′√1 + u′(ρ)2

= c

che si trasforma facilmente nella

u′ =−c√ρ2 − c2

, 0 < c < r ,

dove c > 0 perche u′ ha segno costante e u(r) > u(R). Dopo facili calcoli si ricaval’integrale generale

u(ρ) = k − c log(ρ+√ρ2 − c2) , r < ρ < R ,

che con la condizione su ∂BR(0) diventa

u(ρ) = c logR+√R2 − c2

ρ+√ρ2 − c2

.

L’altra condizione sarebbe

u(r) = c logR+√R2 − c2

r +√r2 − c2

= M ,

ma la funzione di c ∈]0, r[ che compare a primo membro e crescente e limitata, quindiper M abbastanza grande non c’e soluzione, almeno nel senso classico. Come nel-l’esempio visto in precedenza, bisognerebbe accettare come soluzioni delle funzioniche ammettono salti, anche in questo caso in corrispondenza dei dati al bordo, ma siuscirebbe dall’ambito classico. Il motivo della mancata esistenza di soluzioni classichesta nel fatto che questo dominio non soddisfa la bounded slope condition.

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62 Problemi non lineari

3.2 Il metodo diretto

In questo paragrafo seguiamo la traccia di [10]. I risultati generali che stabili-scono l’esistenza di soluzioni di problemi variazionali si basano (praticamente tutti)sull’idea fondamentale, dovuta a Tonelli, di combinare la semicontinuita del funzio-nale con la compattezza del suo dominio. Questo tipo di approccio, originato dalfamoso teorema di Weierstraß sugli estremi delle funzioni continue di variabile reale,e noto come metodo diretto perche non passa dalle equazioni di Eulero, ma e rivoltoa studiare direttamente le proprieta del funzionale. Con Hilbert e il progredire deglistudi sugli spazi funzionali l’idea ha subito successive elaborazioni, generalizzazionie raffinamenti, fino a diventare, con Tonelli, il nucleo fondamentale attorno al qualegravita il CdV.

Per poter applicare il metodo diretto, bisogna formulare il problema di minimoin uno spazio munito di una topologia abbastanza forte da rendere semicontinuo ilfunzionale e allo stesso tempo abbastanza debole perche esista una quantita sufficien-temente grande di insiemi compatti. Ma di fronte a un caso in cui non e possibileottenere le due proprieta insieme non possiamo concludere che non vi sono soluzioniperche le due proprieta sono solo una condizione sufficiente. Se vi sono ragioni percui la soluzione debba esistere comunque, allora il problema andra analizzato auto-nomamente con uno studio specifico, altrimenti si dovra dimostrare che la soluzionenon c’e.

Definizione 3.3 Uno spazio topologico X soddisfa il I assioma di numerabi-lita se ogni punto x ∈ X ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile.

In un tale spazio la topologia e univocamente determinata dalla nozione di convergenzadelle successioni e le proprieta topologiche degli insiemi, di essere aperto, chiuso,compatto ecc., si possono descrivere in termini di successioni.

Definizione 3.4 Una funzione F : X → R e semicontinua inferiormente(s.c.i.) se

F (x) 6 lim infy→x

F (y)

per ogni x ∈ X.F e sequenzialmente semicontinua inferiormente (seq-s.c.i.) se

F (x) 6 lim infh→∞

F (xh)

per ogni successione (xh) ⊂ X tale che xh → x.

Proposizione 3.5 In generale

F s.c.i.⇒ F seq − s.c.i.

e vale anche l’implicazione opposta se X soddisfa il I assioma di numerabilita.

Per i nostri scopi, X sara uno spazio di Banach, o almeno sicuramente uno spaziometrico, quindi useremo solo la semicontinuita sequenziale. Ricordiamo che F e s.c.i.se e solo se per ogni t ∈ R l’insieme St = x ∈ X | F (x) 6 t e chiuso. Ricordiamoinoltre che una successione minimizzante per F e una successione (xh) ⊂ X tale cheF (xh)→ inf F e che dalle proprieta dell’estremo inferiore una tale successione esistesempre.

Teorema 3.6 (Il metodo diretto) Se X e uno spazio metrico compatto ognifunzione F : X → R s.c.i. ammette minimo in X.

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3.2 Il metodo diretto 63

Dimostrazione. Sia (xh) ⊂ X una successione minimizzante. Poiche X e com-patto, esistono una sottosuccessione (xkh) ⊂ (xh) e un punto x ∈ X tali che xkh → x.Per la semicontinuita di F si ottiene

F (x) 6 lim infh→∞

F (xkh) = infy∈X

F (y)

dunque il punto x e di minimo per F .2

Spesso lo spazio X non e compatto, ma cio che serve e la compattezza delle successioniminimizzanti che puo essere recuperata con una proprieta aggiuntiva del funzionale.Si ottiene in questo modo una variante al Teorema 3.6 che fornisce ancora l’esistenzadel minimo.

Definizione 3.7 Diciamo che F : X → R e coerciva se per ogni t ∈ R esisteK ⊂ X compatto tale che

x ∈ X | F (x) 6 t ⊂ K .

Oppure, in modo equivalente, se l’insieme x ∈ X | F (x) 6 t e compatto.

Ricordiamo che gli insiemi compatti sono necessariamente chiusi in uno spazio diHausdorff e ogni spazio metrico lo e.

Teorema 3.8 Se F : X → R e s.c.i. e coerciva allora ammette minimo in X.

Dimostrazione. Sia t ∈ R tale che l’insieme x ∈ X | F (x) 6 t 6= ∅ (bastascegliere un punto qualsiasi x0 ∈ X e un t > F (x0)) e sia K la chiusura di taleinsieme. Siccome K e compatto, F ammette minimo in K, cioe esiste x ∈ X tale cheF (x) 6 F (y) per ogni y ∈ K.

Ma x e di minimo su tutto X perche se y ∈ X −K si ha F (x) 6 t < F (y).2

Osservazione 3.9 Sul Teorema 3.8 si basa l’uso della topologia debole: se X euno spazio di Banach riflessivo, dove i limitati sono debolmente compatti, allora

F : X → R e debolmente coerciva ⇔ lim‖x‖→+∞

F (x) = +∞ .

Infatti se t viene scelto come prima, per un certo r > 0 F (x) > t se ‖x‖ > r, quindix ∈ X | F (x) 6 t ⊂ Br(0) che e debolmente compatto.

Se per la coercivita dobbiamo usare la topologia debole, l’uso congiunto con la se-micontinuita ci costringe a porci la domanda: quali funzioni sono debolmente s.c.i.?Ovviamente costituiscono un sottoinsieme di quelle fortemente s.c.i. in quanto

St σ-chiuso in X ⇒ St τ -chiuso in X ,

dove σ e τ indicano la topologia debole e forte rispettivamente. Ma se facciamol’ipotesi aggiuntiva che St sia convesso, naturalmente con X spazio vettoriale normato,per il teorema di Hahn-Banach vale anche l’implicazione opposta. Con cio abbiamodimostrato la seguente proposizione.

Proposizione 3.10 Se X e uno spazio normato e F : X → R e convessa allorae σ − s.c.i. se e solo se e τ − s.c.i..

Teorema 3.11 Siano (Ω,M , µ) uno spazio di misura, dove µ e positiva e σ-finita,X = Lpµ(Ω,Rn), 1 6 p < +∞ e f : Ω×Rn → R una funzione M⊗B(Rn)-misurabiletale che

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64 Problemi non lineari

(i) f(x, ξ) > −a(x)− b|ξ|p , a ∈ L1µ(Ω) , b ∈ R;

(ii) ξ → f(x, ξ) s.c.i. su Rn.

Allora il funzionale

F (u) =

∫Ω

f(x, u(x))dµ(x)

e ben definito e τ -s.c.i. in Lpµ(Ω,Rn). Se in piu ξ → f(x, ξ) e convessa allora F eσ-s.c.i. in Lpµ(Ω,Rn).

Dimostrazione. Dalla (i) segue che la parte negativa, f−, dell’integrando f(x, u(x))ha integrale finito, quindi F e ben definito.

Siano uh, u ∈ Lpµ(Ω,Rn) tali che uh → u in Lpµ(Ω,Rn). A meno di passare asottosuccessioni, uh → u puntualmente quasi ovunque e per la (ii)

f(x, u(x)) 6 lim infh→∞

f(x, uh(x)) q.o. in Ω .

Per il lemma di Fatou∫Ω

f(x, u(x)) dx 6∫

Ω

lim infh→∞

f(x, uh(x)) 6 lim infh→∞

∫Ω

f(x, uh(x)) dx .

Infine, se ξ → f(x, ξ) e convessa allora anche F e convesso e quindi σ-s.c.i.inLpµ(Ω,Rn).

2

Teorema 3.12 Siano Ω un aperto di Rn, µ la misura di Lebesgue e f come nelTeorema 3.11. Allora il funzionale

F (u) =

∫Ω

f(x,Du(x)) dx

e τ -s.c.i. in W 1,p(Ω) e se in piu ξ → f(x, ξ) e convessa F (u) e σ-s.c.i. in W 1,p(Ω).

Dimostrazione. Per il Teorema 3.11 il funzionale

G(w) =

∫Ω

f(x,w(x)) dx

e τ -s.c.i., l’operazione di derivazione D : W 1,p(Ω)→ Lp(Ω,Rn) e continua, quindi lacomposizione u→ F (u) e τ -s.c.i. in W 1,p(Ω). L’ultima affermazione e a questo puntoovvia.

2

Adesso abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per risolvere il problema variazionale

minu∈W 1,p

0 (Ω)

∫Ω

f(x,Du(x)) dx

sotto le ipotesi:

1. ξ → f(x, ξ) s.c.i.;

2. ξ → f(x, ξ) convessa;

3. f(x, ξ) > −a(x) + b|ξ|p, con 1 < p < +∞, a ∈ L1(Ω) e b > 0.

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3.2 Il metodo diretto 65

L’esistenza di una soluzione discende dalle seguenti considerazioni:

- F e σ-s.c.i. in W 1,p(Ω) e quindi in W 1,p0 (Ω);

- essendo la norma di u in W 1,p0 (Ω) equivalente alla norma in Lp(Ω,Rn) di Du ed

essendoW 1,p(Ω) uno spazio di Banach riflessivo per 1 < p < +∞, dalla disuguaglianza

F (u) > −∫

Ω

a(x) dx+ b

∫Ω

|Du(x)|p dx

segue che F e coerciva in W 1,p0 (Ω).

Esercizio 3.1 Dimostrare l’esistenza del minimo con dati al bordo non omogeneiu− u0 ∈W 1,p

0 (Ω).

Riguardo al caso p = 1 abbiamo gia visto un controesempio all’esistenza per il fun-zionale dell’area, sebbene valga in W 1,1(Ω) la stessa disuguaglianza (3.2), ma questospazio non e riflessivo. Un altro controesempio e

min

∫ 1

−1

(1 + |x|)|u′(x)| dx | u ∈W 1,1(−1, 1) , u(−1) = −1 , u(1) = 1

.

Una funzione u ∈ W 1,1(−1, 1) non nulla agli estremi non puo essere quasi ovunquenulla su ]− 1, 1[, quindi

F (u) >

∫ 1

−1

|u′(x)| dx >

∣∣∣∣∫ 1

−1

u′(x) dx

∣∣∣∣ = 2 .

D’altra parte F (uh)→ 2 se

uh(x) =

hx+ h− 1 se − 1 < x 6 −1 + 1

h

0 se − 1 + 1h < x < 1− 1

h

hx− h+ 1 se 1− 1h 6 x < 1 .

Dimostriamo adesso che la convessita di un integrando, a valori reali finiti, e unacondizione anche necessaria per la semicontinuita debole del funzionale. L’ipotesiche faremo su f di essere continua non e restrittiva perche, essendo a valori reali, laconvessita implica la continuita.

Teorema 3.13 Sia Ω un aperto limitato di Rn e f : Ω×Rn → R un integrandodi Caratheodory tale che per ogni R > 0 esiste gR ∈ L1(Ω) tale che

|f(x, ξ)| 6 gR(x)

per ogni x q.o. in Ω e per ogni ξ ∈ BR(0). Se il funzionale F : W 1,∞(Ω)→ R definitoda

F (u) =

∫Ω

f(x,Du(x)) dx

e σ∗-s.c.i. in W 1,∞(Ω) allora la funzione ξ → f(x, ξ) e convessa per ogni x q.o. inΩ.

Il Teorema 3.13 puo essere applicato anche al caso di un funzionale σ-s.c.i. in W 1,p(Ω)con la condizione

|f(x, ξ)| 6 a(x) + b|ξ|p

(basta scegliere gR(x) = a(x)+bRp) perche se F e σ-s.c.i. in W 1,p(Ω) allora e σ∗-s.c.i.in W 1,∞(Ω).

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66 Problemi non lineari

Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che, dati ξ1, ξ2 ∈ Rn e λ ∈ [0, 1], postoξ = λξ1 + (1− λ)ξ2, deve essere

f(x, ξ) 6 λf(x, ξ1) + (1− λ)f(x, ξ2) .

Sia lξ la funzione lineare lξ(x) = ξ · x. Costruiamo una successione (uh) di funzionicontinue e affini a tratti, convergente a lξ debolmente∗ in W 1,∞(Ω), il cui gradienteassume solo i valori ξ1 e ξ2. Sia χ(t), t ∈ R, il prolungamento 1-periodico dellafunzione

χ0(t) =

1 se 0 6 t < λ0 se λ 6 t < 1

Fissato un versore e ∈ Rn, affinche la funzione costante a tratti su Rn

w(x) = ξ1χ(x · e) + ξ2(1− χ(x · e))

sia un gradiente, deve soddisfare le condizioni di integrabilita

Diwj −Djwi = 0

che in forma debole diventano∫Rn

(wjDiϕ− wiDjϕ) dx = 0 ∀ϕ ∈ C∞0 (Rn) .

Scegliendo come supporto di ϕ una piccola palla che interseca il piano x · e = λ, dopofacili calcoli si vede che e deve essere parallelo al vettore ξ1 − ξ2.

Du = ξ1

Du = ξ2Du = ξ1

Du = ξ2 lξ

e *

Figura 3.1: La funzione a zig-zag

Sia u la funzione che prolunga la

u0(x) =

ξ1 · x se 0 6 x · e < λ

ξ2 · x+ λ|ξ1 − ξ2| se λ 6 x · e < 1

in modo che u− lξ sia 1-periodica nella direzione di e. Sui piani x · e ∈ Z u− lξ = 0 e

‖u− lξ‖∞ = λ(1− λ)|ξ1 − ξ2| .

Introdotta la successione

uh(x) =1

hu(hx) ,

si ha

‖uh − lξ‖∞ =1

h‖u− lξ‖∞ =

λ(1− λ)|ξ1 − ξ2|h

→ 0

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3.2 Il metodo diretto 67

mentre Duh ∗ ξ in L∞(Rn), quindi uh

∗ lξ in W 1,∞(Rn). Tenendo presente cheDuh(x) = ξ1χh(x · e) + ξ2(1 − χh(x · e)), dove χh(t) = χ(ht)/h e χh ∗ λ, dallasemicontinuita di F segue

F (lξ) =

∫Ω

f(x, ξ) dx 6 lim infh→∞

F (uh) = lim infh→∞

∫Ω

f(x,Duh(x)) dx

= lim infh→∞

∫Ω

[f(x, ξ1)χh(x · e) + f(x, ξ2)(1− χh(x · e))] dx

= λ

∫Ω

f(x, ξ1) dx+ (1− λ)

∫Ω

f(x, ξ2) dx .

Per eliminare i segni di integrale dimostriamo che e possibile localizzare la disugua-glianza ottenuta scrivendola su ogni aperto A a chiusura compatta in Ω, un fattonon ovvio perche non sappiamo ancora se F e s.c.i. anche su A. Fissati A,B taliche B ⊂⊂ A ⊂⊂ Ω, sia ϕ una funzione di taglio (detta per questo cut off), cioeϕ ∈ C∞0 (A), 0 6 ϕ 6 1 e ϕ = 1 su B. Infine consideriamo la successione

vh = ϕuh + (1− ϕ)lξ ,

dove uh e la successione costruita sopra. E evidente che vh = uh su B, vh = lξ suΩ−A e vh

∗ lξ in W 1,∞(Ω). Dunque∫Ω

f(x, ξ) dx 6 lim infh→∞

∫Ω

f(x,Dvh(x)) dx

= lim infh→∞

(∫B

f(x,Duh) dx+

∫A−B

f(x,Dvh) dx+

∫Ω−A

f(x, ξ) dx

)e portando a sinistra l’ultimo termine∫

A

f(x, ξ) dx 6 lim infh→∞

(∫B

f(x,Duh(x)) dx+

∫A−B

f(x,Dvh(x)) dx

),

dove

limh→∞

∫B

f(x,Duh(x)) dx = λ

∫B

f(x, ξ1) dx+ (1− λ)

∫B

f(x, ξ2) dx .

Su A−BDvh = ϕDuh + (1− ϕ)ξ + (uh − lξ)Dϕ ,

da cui

|Dvh| 6 |Duh|+ |ξ|+ ‖uh − lξ‖∞|Dϕ| 6 1 + 2 max|ξ1|, |ξ2| = R

e quindi ∫A−B

|f(x,Dvh)| dx 6∫A−B

gR(x) dx .

Dalla (3.2) si ottiene∫A

f(x, ξ) dx 6 λ

∫B

f(x, ξ1) dx+(1−λ)

∫B

f(x, ξ2) dx+

∫A−B

gR(x) dx ∀B ⊂⊂ A .

Quando B tende a ricoprire tutto A si ottiene la disuguaglianza tra gli integrali su A,e quindi puntuale in Ω, ma in questo senso:

∀ξ1, ξ2 ∈ Rn e ∀λ ∈ [0, 1] ∃Nξ1,ξ2,λ ⊂ Ω di misura nulla tale che

f(x, ξ) 6 λf(x, ξ1) + (1− λ)f(x, ξ2) ∀x ∈ Ω−Nξ1,ξ2,λ .

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68 Problemi non lineari

Consideriamo allora l’insieme N unione di tutti gli Nξ1,ξ2,λ al variare di ξ1 e ξ2 in Qn

e di λ in Q ∩ [0, 1]. Tale insieme ha misura nulla e per ogni x ∈ Ω − N la funzioneξ → f(x, ξ) e convessa in Qn ed essendo continua e convessa anche su Rn.

2

Il seguente esempio, del tipo dell’Esercizio 1.3, mostra che senza l’ipotesi di con-vessita il minimo puo non esistere.

3.1 Sul quadrato unitario Ω =]0, 1[×]0, 1[ il funzionale

F (u) =

∫Ω

[((D1u)2 − 1)2 + (D2u)4

]dx

non ha minimo in W 1,40 (Ω).

Intanto notiamo che F (u) > 0 per ogni u ∈ W 1,40 (Ω). Costruiamo una successione

(uh) di funzioni “zig-zag” come nel Teorema 3.13, dipendenti solo da x1, u′h(x1) = ±1,convergente uniformemente a 0, in modo che F (uh) = 0. Siccome questa successionenon soddisfa i dati al bordo, la modifichiamo con l’uso di una funzione di taglio. Perogni A ⊂⊂ Ω siano ϕ ∈ C∞0 (Ω) tale che ϕ = 1 in A e vh = ϕuh. Allora

F (vh) =

∫A

f(Duh) +

∫Ω−A

[((uhD1ϕ± ϕ)2 − 1)2 + u4

h(D2ϕ)4]→∫

Ω−A(ϕ2 − 1)2

essendo il primo integrale nullo e uh → 0. Ma F (vh) > inf F , quindi

infu∈W 1,4

0 (Ω)F (u) 6

∫Ω−A

(ϕ2 − 1)2 dx

per ogni A ⊂⊂ Ω. Passando al limite per A Ω si ottiene inf F = 0. Se esistesseuna funzione ammissibile u tale che F (u) = 0, dovrebbe essere D2u = 0 in Ω e udipenderebbe solo da x1, ma imponendo i dati al bordo si otterrebbe u = 0 in Ω.Questo e assurdo perche F (0) = m(Ω) = 1.

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Capitolo 4

Omogeneizzazione e G-convergenza

L’omogeneizzazione e una descrizione matematica del comportamento dei materialicompositi da un punto di vista macroscopico. Una struttura costituita da materialecomposito e un continuo nel quale la legge costitutiva e variabile da punto a puntoo da zona a zona. In altre parole, il continuo presenta una distribuzione di materialicaratterizzati da parametri che assumono valori differenti. Fra i tanti, si possonoelencare i seguenti casi:

• diverse conducibilita elettriche o termiche in un conduttore;

• diversi valori delle costanti elastiche in un solido elastico;

• diverse rigidezze di una struttura elastica;

• distribuzioni di fori e fessurazioni, di isolanti e di rinforzi piu o meno rigidi;

• fibre e strati sottili rinforzanti nelle strutture;

• mezzi continui con microstrutture: cristalli, porosita ecc.;

• policristalli, cioe quei materiali anisotropi in cui varia da punto a punto solol’orientazione degli assi cristallografici.

Tali disomogeneita possono essere distribuite in maniera casuale, come i sassi nelcemento, si parla allora di compositi random e di omogeneizzazione stocastica, oppurepossono essere intenzionali, distribuite con dei criteri precisi in modo da rinforzare leparti piu deboli di una struttura, per proteggerla ad esempio da eventuali dispersionidi calore e cosı via.

Supponiamo adesso che i diversi materiali compongono una struttura, soggetta adeterminate azioni esterne, siano distribuiti in maniera molto fitta, con rapide oscil-lazioni spaziali nel passaggio da un componente all’altro. Allora il comportamentoche ne deriva non si presta piu ad essere descritto in maniera esatta punto per punto,mentre invece puo diventare conveniente studiarne localmente la media, adottandouna lunghezza di scala macroscopica. Con questo approccio si possono ottenere “ingrande” informazioni addirittura piu utili e significative . Il problema fondamentalein omogeneizzazione e allora cercare di determinare quale “materiale medio” va so-stituito a quello rapidamente variabile affinche ne venga preservato il comportamentomedio. Esso viene chiamato materiale effettivo.

Il caso piu semplice e quello di una struttura periodica che obbedisce ad una leggecostitutiva di tipo lineare. Consideriamo ad esempio il sistema dell’elasticita lineare

div σ = 0

σ = Ce(u)

e(u) = 12 (∇u+∇uT ) ,

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70 Omogeneizzazione e G-convergenza

dove C e Q-periodico (Q e il cubo unitario di R3 e C(x + ei) = C(x) per ognix ∈ R3 e per ogni ei della base canonica), insieme a tutte le sue soluzioni Q-periodiche(u, σ). Per definizione il tensore elastico effettivo, l’omogeneizzato di C, e quel tensorecostante C∗ che correla linearmente ogni deformazione media 〈e(u)〉 con la media〈σ〉 = 〈Ce(u)〉 dello sforzo corrispondente, secondo la legge di Hooke effettiva

〈σ〉 = C∗〈e(u)〉 .

L’omogeneizzazione consiste dunque nel passaggio da C(x) a C∗. Ovviamente C∗non coincide con la semplice media di C(x) su Q e la sua determinazione richiede larisoluzione di un’equazione differenziale, di un sistema in questo caso, alle derivateparziali e a coefficienti variabili.

Questo argomento ha suscitato un certo interesse gia sul finire del XIX secolo,soprattutto per le applicazioni ingegneristiche, ma solo a partire dagli anni ’60 delXX e stato riscoperto in ambito matematico diventando una teoria rigorosa che hadato prova di grande utilita. Studi sistematici e ricerche in molte direzioni sono statiavviati dando frutti di notevole interesse in numerosi campi negli anni e nei decennisuccessivi. Le applicazioni sono molteplici e i singoli problemi ne mettono in lucedi continuo sempre nuovi aspetti e proprieta, v. [2], [3], [21]. A titolo di esempio,citiamo, tra i tanti, alcuni settori dell’Analisi e della Meccanica che interagiscono conl’omogeneizzazione in modo naturale per il tipo d’indagine con cui vengono coltivati.

Problemi inversi - Si tratta di ricavare informazioni su certi parametri, possibil-mente determinarne il valore, che nei problemi tradizionali dell’Analisi sono assegnati,a partire da misurazioni effettuate sulle soluzioni. La non unicita e l’assenza di sta-bilita sono tipiche di questi problemi che infatti vengono detti mal posti. Ora, se iparametri da determinare sono quelli che descrivono il mezzo, l’inevitabile grossolanitadelle misurazioni ci costringe a tener conto di un eventuale fenomeno di instabilitamateriale che si presta ad essere descritto con metodi di omogeneizzazione. In [14]Kohn e Vogelius mettono bene in evidenza questo fenomeno trattando un problemasignificativo legato alla tomografia. Si veda anche [1] e [17].

Ottimizzazione strutturale - Assegnata una classe di materiali disponibili, coneventuali vincoli sulle loro quantita, e richiesto di distribuirli in modo che il com-portamento della struttura soddisfi certi requisiti di ottimalita, ad esempio offra lamassima resistenza o minimizzi certi costi. Dal momento che le informazioni suiparametri caratteristici dei componenti e sulla loro distribuzione sono contenute neicoefficienti dell’operatore, problemi di questo tipo vengono detti di controllo sui coef-ficienti. Anche questi sono mal posti, nel senso che il materiale piu conveniente puonon esistere. Cio che pero esiste, con riferimento ad un problema di minimo (costo,energia o quant’altro), e una successione minimizzante di compositi ammissibili. Conun’adeguata nozione di convergenza di questi compositi possiamo immaginare che illimite di questa successione sia un materiale in cui i componenti iniziali non sono piudistinguibili, quindi non ammissibile, ma che puo essere comunque considerato comeil materiale ottimale in un senso generalizzato. Sara la soluzione di un nuovo proble-ma di ottimizzazione, detto problema rilassato, ambientato nella classe piu ampia deimateriali ottenibili per omogeneizzazione a partire da quelli assegnati, in cui si chiededi rendere minimo un nuovo costo, espresso da un opportuno funzionale rilassato cheammette sempre minimo. I suoi punti di minimo sono i limiti delle successioni mini-mizzanti del funzionale iniziale. Risolto il problema rilassato, siamo cosı in grado dicostruire dei compositi arbitrariamente “vicini” alla soluzione ottimale.

Sono di notevole interesse anche i problemi di ottimizzazione della forma, si pensial problema di Newton della minima resistenza al moto, il primo nella storia dell’ae-rodinamica, che possono rientrare in quelli cui abbiamo accennato come casi degeneri,

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4.1 Il caso unidimensionale e un esempio 71

in cui i valori caratteristici dei componenti possono annullarsi (in corrispondenza deivuoti, o degli isolanti). Essi presentano difficolta aggiuntive a causa della perdita dicoercivita dell’equazione di equilibrio.

Cristalli - Il problema dell’equilibrio si traduce nella minimizzazione di un funzio-nale non convesso, il cui integrando, la densita di energia, e una funzione del tensoredi Cauchy-Green invariante rispetto a certe rotazioni di un gruppo finito, legato allesimmetrie del cristallo, [4]. I diversi punti di minimo che essa presenta corrispon-dono alle diversi fasi che possono convivere in un cristallo (twinning) in condizionidi equilibrio. Ma poiche il gradiente di deformazione non rispetta le condizioni dicompatibilita attraverso l’interfaccia tra una fase e quella adiacente, si assiste ad unatendenza delle diverse fasi a mescolarsi in maniera sempre piu fitta. Infatti il funziona-le ammette successioni minimizzanti lineari a tratti, convergenti verso una soluzioneomogeneizzata, una fase “media” che rappresenta un punto di minimo del funzionalerilassato. Questo fenomeno trova analogie in altre situazioni come la formazione dipiccole pieghe nella trazione di tessuti e membrane inestensibili, [20], [22].

4.1 Il caso unidimensionale e un esempio

Sia a(x) una funzione misurabile e 1-periodica su R, a valori nell’intervallo [α, β],β > α > 0. La funzione

aε(x) = a(x/ε) , ε > 0 ,

e ε-periodica. Il parametro ε rappresenta la lunghezza di scala della microstrutturadescritta da aε. Consideriamo poi la successione di problemi

−(aεu′ε)′ = f in ]0, 1[

uε(0) = uε(1) = 0 ,

con f assegnata su ]0, 1[. Vogliamo studiare il comportamento asintotico di uε quandoε → 0, cioe quando le oscillazioni di aε si fanno sempre piu rapide. Per integrazionediretta si ottiene

u′ε(x) = −F (x) + c

aε, F (x) =

∫ x

0

f(t) dt .

Siano J un intervallo limitato e Jε un intervallo di ampiezza ε contenuto in J . Conun semplice cambio di variabile si ottiene∫

aε(x)−1 dx = ε

∫ 1

0

a(x)−1 dx .

Poiche il numero di intervalli disgiunti del tipo Jε contenuti in J e dell’ordine dim(J)/ε, si ha

m(J)

ε

∫Jε

aε(x)−1 dx ∼∫J

aε(x)−1 dx

e per ε→ 0 si ottiene la convergenza delle medie

1

m(J)

∫J

aε(x)−1 dx →∫ 1

0

a(x)−1 dx = 〈a−1〉 ,

cioe a−1ε converge debolmente* in L∞(R) a 〈a−1〉. Quindi la successione (uε) converge

alla soluzione u del problema limite−a∗u′′ = f in ]0, 1[

uε(0) = uε(1) = 0 ,

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72 Omogeneizzazione e G-convergenza

dove il coefficiente a∗ e l’omogeneizzato di a

(4.1) a∗ = 〈a−1〉−1 .

Osserviamo fin da ora che questo nuovo tipo di convergenza, sebbene sia definitaattraverso un problema con dati all’interno e sul bordo, e di natura locale e dipendesolo dal coefficiente a(x). Infatti il coefficiente effettivo nel seguente problema con aperiodica

(4.2)

(au′)′ = 0 in R

u′ 1-periodica ,

dovendo per definizione correlare la media di u′ con la media di au′, soddisfa

(4.3) a∗〈u′〉 = 〈au′〉 .

Ora, con una integrazione della (4.2) si ottiene

au′ = c = 〈au′〉 ,

inoltreu′ =

c

ae 〈u′〉 = c〈a−1〉

e dalla (4.3) si ricava subito la (4.1). E evidente quindi il carattere puramente localedell’omogeneizzato.

Come applicazione, consideriamo il seguente esempio unidimensionale di problemadi controllo sui coefficienti. Per progettare una trave che occupa l’intervallo Ω =]0, 1[siano disponibili le due sole rigidezze assiali α, β > 0. Siano Ω1 e Ω2 sottoinsiemi apertie disgiunti di Ω tali che Ω1 ∪ Ω2 = Ω. Indicando con χ la funzione caratteristica diΩ1

χ(x) =

1 se x ∈ Ω1

0 se x ∈ Ω2

,

riempire Ω1 con materiale del tipo α e Ω2 con quello del tipo β corrisponde a definirela rigidezza variabile

a(x) = αχ(x) + β(1− χ(x)) .

Ci proponiamo di distribuire i due materiali in modo ottimale, come richiesto nelseguente problema modello.

Problema 4.1 - Trovare Ω1 e Ω2 tali che, se ua ∈ H10 (Ω) e l’unica soluzione del

problema al bordo

(4.4)

−(a(x)u′a)′ = 1 in Ω

ua(0) = ua(1) = 0 ,

risulti minimo il valore del funzionale

(4.5) F (a) = ‖ua − w‖L2(Ω) ,

dove w e una funzione assegnata in H10 (Ω).

Il costo in (4.5) da minimizzare rappresenta una ragionevole distanza tra lo sposta-mento che la struttura puo subire, se progettata con i materiali disponibili, e unospostamento ottimale, assunto come obiettivo, espresso dalla w. Numerose posso-no essere le varianti, per esempio si potrebbe fissare un vincolo sulla percentuale di

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4.1 Il caso unidimensionale e un esempio 73

volume occupato da ciascun materiale, imponendo che l’ntegrale di χ abbia un cer-to valore tra 0 e 1. Anche per il funzionale costo si possono fare altre scelte. Peresempio chi e interessato a massimizzare la resistenza di una struttura di solito cercauna distribuzione di rigidezze che minimizzi il lavoro complessivo del carico perchequesta grandezza. coincidendo con l’energia immagazzinata, puo essere interpretatacome misura della “cedevolezza”: per un carico costante coincide con lo spostamentomedio e per una forza concentrata in un punto lo spostamento in quel punto.

Mostriamo adesso che il Problema 4.1, il piu semplice cui si potrebbe pensare inottimizzazione strutturale, e mal posto. Scegliendo per w la funzione

w(x) =α+ β

4αβ(x− x2) ,

e facile verificare che per nessun coefficiente ammissibile essa soddisfa (4.4) perchealtrimenti verificherebbe l’uguaglianza

[αχ(x) + β(1− χ(x))]α+ β

4αβ(1− 2x) = c− x , ∀x ∈ Ω ,

in cui a sinistra compare una funzione discontinua e a destra una funzione continua.Pero esiste una successione (ah) di coefficienti ammissibili tale che la corrispondentesuccessione (uh) delle soluzioni del Problema 4.1 converge a w in L2(Ω). Precisamente,se nella definizione di a scegliamo per χ il prolungamento 1-periodico della funzioneche vale 1 sull’intervallo ]0, 1/2[ e 0 su ]1/2, 1[, posto

ah(x) = a(hx) , ∀x ∈ Ω ,

si ottiene1

ah∗

1

a∗in L∞(Ω) e uh → w in L2(Ω) ,

dove a∗ = 2αβ/(α+ β) e l’omogeneizzato di a e w soddisfa−a∗w′′ = 1 in Ω

w(0) = w(1) = 0 .

Dunque F ha estremo inferiore nullo ma non ammette minimo.In questo esempio la non esistenza sembra dovuta ad una mancanza di chiusura o

di compattezza dell’insieme ammissibile. In [19] Murat prende in considerazione variproblemi di controllo sui coefficienti, sia in dimensione maggiore, sia per equazioninon ellittiche, sia per i sistemi, allo scopo di metterne in evidenza la mal posizione el’esempio appena trattato e il piu semplice nello spirito di quel lavoro. Il fenomenodescritto corrisponde al caso in cui due aperti occupati dai componenti iniziali, neltentare di approssimare la situazione ottimale tendono a “polverizzarsi” costringendoi due materiali a mescolarsi finemente finche non fondono in un unico “materialemedio”, omogeneo in questo caso, che pero non e ammissibile e naturalmente i dueaperti non sono piu distinguibili. Esso e il limite di successioni ammissibili rispettoad una certa nozione di convergenza che, da quanto visto finora, non coincide ingenerale con alcuna nozione classica, come la convergenza puntuale, forte o deboleche sia. Problemi di ottimizzazione strutturale come questi vengono ripresi in [6]in un contesto variazionale generale in cui la non esistenza viene spiegata con lamancanza di semicontinuita inferiore, rispetto a questa nozione di convergenza, dicerti costi dipendenti dai coefficienti. In [27] Velte e Villaggio trattano problemisimili con l’aggiunta di certi vincoli di limitatezza sulle deformazioni. Essi mostranoche in certi casi la non esistenza e dovuta all’assegnazione di dati incompatibili con ivincoli, mentre in altri si possono avere addirittura piu soluzioni.

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74 Omogeneizzazione e G-convergenza

4.2 Le stime elementari

Nelle strutture unidimensionali il valore caratteristico del materiale effettivo di-pende soltanto dalla concentrazione locale dei vari componenti, infatti, come si vededalla (4.1), coincide sempre con la loro media armonica. Ma in dimensione mag-giore la situazione e piu complicata per il fatto che la geometria della distribuzionedei materiali componenti diventa rilevante. Inoltre i coefficienti dell’equazione sonomatrici e anche se i componenti iniziali sono isotropi in ogni punto si puo assistereall’insorgere di anisotropie se la distribuzione delle disomogeneita non soddisfa op-portune condizioni di invarianza rispetto alle rotazioni. E un’ulteriore conferma chesiamo di fronte ad un tipo di convergenza nuova, nella quale successioni di funzioni avalori scalari possono convergere a funzioni a valori matrici. Si tratta allora di capirequali materiali si possono ottenere per omogeneizzazione al variare della geometriadella distribuzione dei singoli componenti. Una prima valutazione dell’insieme deimateriali effettivi si ottiene subito ricavando le stime elementari: esse sono solo ne-cessarie e consistono di una limitazione dall’alto mediante la media aritmetica e diuna dal basso con la media armonica dei parametri iniziali. Mentre il problema difornire stime piu precise verra discusso nel prossimo paragrafo, qui ci limiteremo alladeterminazione delle stime elementari. A questo scopo e conveniente ricorrere ad unacaratterizzazione variazionale della forma quadratica associata al materiale effettivo.

Sia M la classe delle matrici simmetriche e costanti che soddisfano la condizione

c1|ξ|2 6 Aξ · ξ 6 c2|ξ|2 , c2 > c1 > 0 .

Sia poi M la classe delle funzioni misurabili su Rn a valori in M . Mostriamo chel’omogeneizzato A∗ di una matrice Q-periodica A ∈M e una matrice di M costante,quindi identificabile con un elemento di M , tale che

(4.6) 〈A−1〉−1ξ · ξ 6 A∗ξ · ξ 6 〈A〉ξ · ξ .

Per ogni ξ ∈ Rn sia lξ la funzione lineare lξ(x) = ξ · x. Consideriamo le soluzioni delproblema

(4.7)

divADu = 0 in Rn

u− lξ Q-periodica

dove A ∈ M e Q-periodica. Ovviamente 〈Du〉 = ξ e, posto η = 〈ADu〉, la matriceeffettiva A∗ e, per definizione, data da

A∗ξ = η .

Le quantita Du = Du − ξ e ADu = ADu − η vengono dette parti fluttuanti rispet-tivamente di Du e ADu e hanno media nulla. Dalla seguente versione variazionaledella (4.7)∫

Q

A(ξ +Du) · (ξ +Du) dx = infϕ∈C1

Q−per(Rn)

∫Q

A(ξ +Dϕ) · (ξ +Dϕ) dx

e ricordando che A(ξ +Du) = η +ADu, si ottiene

(4.8) A∗ξ · ξ = infϕ∈C1

Q−per(Rn)

∫Q

A(ξ +Dϕ) · (ξ +Dϕ) dx

ed in particolare per ϕ = 0

A∗ξ · ξ 6 〈A〉ξ · ξ .

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4.2 Le stime elementari 75

Per la stima dal basso possiamo usare il principio variazionale per l’energia comple-mentare

(4.9)1

2A∗ξ · ξ = sup

div σ=0

∫Q

(ξ · σ − 1

2A−1σ · σ

)dx

che si ricava a partire dall’ovvia relazione

A−1(A(ξ +Dϕ)− σ) · (A(ξ +Dϕ)− σ) > 0 ,

equivalente a((ξ +Dϕ)−A−1σ) · (A(ξ +Dϕ)− σ) > 0 ,

che vale con l’uguaglianza se e solo se σ = A(ξ +Dϕ), da cui

1

2A(ξ +Dϕ) · (ξ +Dϕ) > (ξ +Dϕ) · σ − 1

2A−1σ · σ .

Per integrazione termine a termine si ottiene

1

2

∫Q

A(ξ +Dϕ) · (ξ +Dϕ) >∫Q

ξ · σ − 1

2

∫Q

A−1σ · σ +

∫Q

Dϕ · σ

per ogni ϕ ∈ C1Q−per(R

n). Ma siccome il campo vettoriale σ per cui vale l’uguaglianzasoddisfa div σ = 0 e in tal caso l’ultimo termine e nullo, non e restrittivo passareall’estremo superiore a destra su tutte le σ a divergenza nulla ottenendo

1

2

∫Q

A(ξ +Dϕ) · (ξ +Dϕ) = supdiv σ=0

∫Q

(ξ · σ − 1

2A−1σ · σ

)dx

e passando al minimo a sinistra si ottiene la (4.9). La stima dal basso si ottiene subitoosservando che 〈σ〉 = 〈A(ξ +Dϕ)〉 = A∗ξ in corrispondenza della ϕ ottimale, quindila (4.9) diventa

1

2A∗ξ · ξ = A∗ξ · ξ − 1

2inf

div σ=0〈σ〉=A∗ξ

∫Q

A−1σ · σ ,

da cui

A∗ξ · ξ 6∫Q

A−1σ · σ ∀σ ∈ C1Q−per(R

n) : div σ = 0 , 〈σ〉 = A∗ξ .

Basta allora scegliere il vettore costante σ = A∗ξ = η e si ottiene

A∗ξ · ξ = η · (A∗)−1η 6 〈A−1〉η · η

che equivale alla disuguaglianza di sinistra nella (4.6).Un caso in cui la matrice effettiva coincide con la media e quello in cui vale

la condizione divA(x) = 0. Infatti questa e equivalente a divA(x)ξ = 0 per ogniξ ∈ Rn, da cui si deduce subito che le soluzioni dell’equazione divA(x)Du = 0 con〈Du〉 = ξ sono le funzioni u(x) = ξ · x. Dalla (4.8) segue allora che A∗ = 〈A〉.Questa situazione e stata considerata in [7], e generalizzata poi in [8], per trattare unproblema di ottimizzazione strutturale per una membrana soggetta ad uno stato dipretrazione A(x), che per l’equilibrio nel piano ha divergenza nulla.

Le stime ottenute valgono sempre in omogeneizzazione, anche nel caso vettorialedell’elasticita e anche nei problemi non lineari. Osserviamo infine che con la (4.8)si stabilisce un legame tra l’omogeneizzazione e l’analisi convessa. Questo aspettocostituisce l’idea centrale su cui si basa lo studio di alcuni problemi di ottimizzazionestrutturale. Ma al di la di queste applicazioni, in tutti i problemi variazionali in

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76 Omogeneizzazione e G-convergenza

Meccanica che coinvolgono un’energia W non convessa, come nel caso gia citato deicristalli, certe proprieta del fenomeno si colgono studiando il problema rilassato

minu

∫Ω

W ∗(Du(x)) dx

dove W ∗ e il convessificato, o meglio il quasiconvessificato trattandosi di un problemavettoriale, di W

W ∗(ξ) = infϕ∈C1

0 (Q)

∫Q

W (ξ +Dϕ) dx ,

simile ad una versione non lineare della (4.8). E dunque ragionevole chiamare soluzioniomogeneizzate quelle del problema rilassato.

4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi

Il calcolo esplicito del materiale effettivo a partire da una distribuzione geometricadei componenti e praticamente impossibile, eccetto in qualche caso particolare, perchein generale, ma non sempre, richiede di risolvere esplicitamente l’equazione differen-ziale. Casi in cui e stato possibile calcolare l’omogeneizzato sono ad esempio quellodelle inclusioni sferiche o ellissoidali, nei quali e nota la funzione di Green, quellodegli strati, quello della scacchiera in due dimensioni e pochissimi altri come quellopiu recente [18] della scacchiera a 4 fasi. Alcuni studi riguardano il comportamentoasintotico dell’omogeneizzato quando uno dei componenti degenera verso 0 o all’∞.Risultati piu soddisfacenti sono stati invece ottenuti sulla determinazione e la de-scrizione dell’insieme di tutti i materiali effettivi che si possono ottenere mescolandoperiodicamente alcuni materiali iniziali, al variare della loro disposizione geometri-ca. Per fissare le idee consideriamo il caso piu semplice di due conducibilita isotropeβ > α > 0 delle quali e prescritta la percentuale locale di volume occupato dall’uno edall’altro. Il composito e rappresentato dal coefficiente

a(x) = αχ(x) + β(1− χ(x)) , x ∈ Rn ,

dove χ e il prolungamento Q-periodico di una funzione χ0 : Q → R che assumesolo i valori 0 e 1 e tale che 〈χ0〉 = ϑ, per cui 〈a〉 = αϑ + β(1 − ϑ). Il parametroϑ ∈ [0, 1] e la percentuale locale di volume occupata dal materiale del tipo α, mentre laparte complementare, di volume 1− ϑ, e occupata dall’altro, β. Ad ogni scelta dellaχ0, e quindi della χ, corrisponde una particolare distribuzione geometrica. Dallestime elementari (4.6) discendono subito le stime per gli autovalori λi, i = 1, . . . , n,dell’omogeneizzato A∗

ν(ϑ) 6 λi 6 µ(ϑ)

dove

ν(ϑ) =

α+

1− ϑβ

)−1

e µ(ϑ) = αϑ+ β(1− ϑ)

sono rispettivamente la media armonica e la media aritmetica dei componenti nellerispettive proporzioni. L’unica distribuzione geometrica di α e β per cui questi valoricaratteristici estremi vengono raggiunti insieme e quella degli strati

a(x) = αχ(x · e) + β(1− χ(x · e)) , x ∈ Rn ,

dove e e la direzione ortogonale agli strati, quella lungo cui α e β sono disposti in serie(in parallelo lungo i piani x1 = c). Scegliendo e = e1, l’equazione di Eulero relativaal principio variazionale (4.8), che in questo caso va scritto nella forma

(4.10) A∗ξ · ξ = inf〈Du〉=ξ

Du Q−periodica

∫Q

a(x1)|Du|2 dx ,

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4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi 77

e l’equazione

(4.11) div(a(x1)Du) = 0 .

La particolare struttura del coefficiente a suggerisce di cercare soluzioni del tipo

u(x) = w(x1) +

n∑i=2

ξixi

con w tale che w′(x1) = pχ(x) + q(1− χ(x))

〈w′〉 = ξ1 .

Passando alle medie si ottiene una prima condizione

pϑ+ q(1− ϑ) = ξ1 ,

mentre la (4.11) si semplifica diventando un’equazione ordinaria per la w equivalenteall’integrale primo

a(x1)w′ = c

che si traduce subito nella condizione di raccordo

αp = βq

attraverso l’interfaccia dove a cambia valore. Dalle due condizioni si ricavano i valoridi p e di q

p = ν(ϑ)ξ1/α

q = ν(ϑ)ξ1/β

che sostituiti nella (4.10) ci danno la forma quadratica relativa al materiale effettivo

A∗ξ · ξ =

∫χ=1

α

[(ν(ϑ)ξ1/α)2 +

n∑i=2

ξ2i

]+

∫χ=0

β

[(ν(ϑ)ξ1/β)2 +

n∑i=2

ξ2i

]

= ν(ϑ)ξ21 + µ(ϑ)

n∑i=2

ξ2i .

La forma diagonale che abbiamo ottenuto per A∗ e dovuta alla scelta iniziale dei ver-sori della base, evidentemente e principale la direzione ortogonale agli strati, lungo cuiil materiale effettivo offre una conduttivita pari alla media armonica dei componenti,come lo sono tutte le altre direzioni, nella giacitura ortogonale, dove le conduttivitaprincipali coincidono tutte con la media aritmetica. In particolare per n = 2

A∗ξ · ξ = ν(ϑ)ξ21 + µ(ϑ)ξ2

2 .

E stato dimostrato, con tecniche diverse e in maniera indipendente da vari autori,che al variare della disposizione geometrica di α e β, in proporzioni locali fissate, ivalori caratteristici dei materiali effettivi sono quelli che nel caso bidimensionale sonorappresentati nella piccola regione H(ϑ) caratterizzata dal sistema di disequazioni

(4.12)

1

λ1 − α+

1

λ2 − α6

1

ν(ϑ)− α+

1

µ(ϑ)− α1

β − λ1+

1

β − λ26

1

β − ν(ϑ)+

1

β − µ(ϑ)

nelle quali le uguaglianze corrispondono alle due curve che delimitano H(ϑ). Si vedeanche dalla figura che se un autovalore coincide con la media armonica l’altro deve

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78 Omogeneizzazione e G-convergenza

-

6

H(ϑ)

λ1 = λ2

(µ(ϑ), ν(ϑ))

(ν(ϑ), µ(ϑ))

Figura 4.1: L’insieme dei materiali effettivi in termini degli autovalori

coincidere con la media aritmetica e viceversa, che corrisponde, come abbiamo appenavisto, al caso degli strati.

La simmetria rispetto alla retta dei materiali isotropi, di equazione λ1 = λ2, e do-vuta all’invarianza nello scambio tra gli autovalori che corrisponde ad una rotazionedel composito di π/2, ma se si stabilisce di ordinarli ponendo λ1 6 λ2 si ottiene lasola parte superiore senza perdere nessuna informazione. Per ottenere tutti i materialieffettivi, a prescindere dalla frazione di volume locale, bisogna calcolare l’unione degliinsiemi H(ϑ) al variare di ϑ ∈ [0, 1], quindi basta eliminare ϑ dalla curva parametri-ca (ν(ϑ), µ(ϑ)) dei materiali estremi con gli autovalori ordinati, ottenendo l’arco diiperbole

(4.13) ν =αβ

α+ β − µ

che insieme alla retta degli isotropi delimita l’unione delle parti superiori delle regioniH(ϑ) ed ha equazione

(4.14)αβ

α+ β − µ6 λ1 6 λ2 6 µ .

Il caso n-dimensionale e un po’ piu complicato. L’analogo della curva (4.13) e la curvadi Rn

λ1 = ν(ϑ) , λi = µ(ϑ) per i = 2, . . . , n ,

corrispondente al caso degli strati. L’analogo delle due curve che delimitano H(ϑ)e una coppia di superfici n − 1-dimensionali la cui unione e solo parte del bordo diH(ϑ). La descrizione completa di H(ϑ) e data dal sistema

(4.15)

n∑i=1

1

λi − α6

1

ν(ϑ)− α+

n− 1

µ(ϑ)− αn∑i=1

1

β − λi6

1

β − ν(ϑ)+

n− 1

β − µ(ϑ)

ν(ϑ) 6 λi 6 µ(ϑ) i = 1, . . . , n ,

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4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera 79

in cui, a differenza del caso bidimensionale, e stata riportata anche la terza condizioneperche non discende dalle altre. Infine abbiamo anche la descrizione completa, aprescindere dalla percentuale locale, di tutto l’insieme dei materiali effettivi

λn − α 6(n− 2)α+ β

1 + α

n−1∑i=1

1

λi − α

,

dimostrata in [6], che e l’analogo della (4.14).Relativamente ai soli materiali isotropi effettivi, le stime (4.15) sono state ottenute

per la prima volta da Hashin e Shtrikman [13] per l’elasticita con inclusioni sferichedei componenti. Col metodo delle ellissoidi cofocali sono state poi ottenute nellaversione completa da Tartar [24]. Un altro modo in cui sono state ottenute le stessestime e quello delle laminazioni successive, [16], che consiste nel ricostruire gli strati,secondo opportune direzioni, alternando α o β con la conduttivita effettiva ottenutaal I passo, e poi di nuovo α o β con quella ottenuta al II passo e cosı via. Si dimostrache basta iterare questo procedimento un numero finito di volte, a seconda delladimensione, e si raggiungono tutti i materiali effettivi che realizzano le uguaglianzenelle due stime. E stato applicato lo stesso metodo anche ai compositi a piu fasi,a componenti anisotropi, ai moduli elastici, alle rigidezze delle piastre. Nelle ultimedue situazioni le stime di Hashin e Shtrikman, sebbene ancora ottimali, non sonopiu sufficienti per descrivere completamente i materiali effettivi a causa dell’eccessivonumero di parametri, i moduli elastici, rispetto alla dimensione dello spazio. In duedimensioni si dispone di descrizioni complete per i compositi anisotropi e per i modulielastici col vincolo di incomprimibilita [15].

4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera

Un caso interessante e particolarmente semplice di calcolo esplicito che vale la penadi illustrare, ottenuto da Dykhne in [11], e quello della scacchiera quadrata piana adue fasi isotrope. Si dimostra che la “scacchiera effettiva” di due componenti inizialiβ > α > 0, isotropa per ovvi motivi di simmetria, ha valore caratteristico la mediageometrica

√αβ dei componenti. Il risultato si basa sulla seguente speciale proprieta(

A

detA

)∗=

A∗

detA∗

valida esclusivamente in due dimensioni. Si noti che

A

detA= RA−1RT , R =

(0 −11 0

),

quindi dobbiamo dimostrare che se v con gradiente Q-periodico soddisfa

(4.16) div(RA−1RTDv) = 0

e 〈Dv〉 = η allora

(4.17) RA∗−1RT η · η =

∫Q

RA−1RTDv ·Dv dx .

In due dimensioni gli operatori di rotore e divergenza si trasformano uno nell’altroapplicando al campo vettoriale una rotazione di π/2, quindi la (4.16) e equivalente a

rot(A−1RTDv) = 0 ,

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80 Omogeneizzazione e G-convergenza

ma un campo irrotazionale e un gradiente ed esiste u tale che

A−1RTDv = Du .

AlloraDv = RADu e rotDv = 0⇒ div(ADu) = 0 .

Calcoliamo adesso 〈Du〉. Poiche 〈Dv〉 = 〈RADu〉 = η, si ha 〈ADu〉 = RT η, ma〈ADu〉 = A∗〈Du〉, quindi

〈Du〉 = A∗−1RT η

e per definizione di A∗

A∗A∗−1RT η ·A∗−1RT η =

∫Q

ADu ·Du

che e equivalente alla (4.17).Venendo alla scacchiera, posto A∗ = a(α, β)I, osserviamo che scambiare le caselle

di un tipo con quelle dell’altro non ha nessun effetto per via dell’isotropia, inoltre ae 1-omogenea, quindi

a(α, β) = αβ a

(1

β,

1

α

)= αβ a

(1

α,

1

β

)=

αβ

a(αβ),

da cui segue subitoa(αβ) =

√αβ .

La scacchiera a cubi in dimensione maggiore e un problema ancora aperto, mentre lascacchiera piana a 4 fasi isotrope e stata calcolata piu di recente in [18].

4.5 La G-convergenza

Finora abbiamo parlato del fenomeno dell’omogeneizzazione periodica, senza trop-pe pretese, rimanendo ad un livello presoche intuitivo e superficiale, e cosı abbiamovisto matrici periodiche che possono “tendere” in un qualche senso nuovo verso unamatrice necessariamente costante per l’invarianza rispetto alle traslazioni delle fun-zioni periodiche, abbiamo visto funzioni scalari, cioe matrici isotrope, che “tendono”a vere e proprie matrici, anche anisotrope, fenomeno veramente inusuale nella conver-genza delle successioni di funzioni, a causa di disposizioni geometriche dei componentiche non sono invarianti per rotazione. Allo scopo di comprendere con maggiore chia-rezza gli aspetti essenziali di questa teoria, l’omogeneizzazione va inquadrata in uncontesto piu generale, con un’appropriata nozione di convergenza delle successioni dioperatori ellittici. In certi casi essa si riduce alla convergenza forte in qualche norma,ad esempio uniforme, dei coefficienti, ma in generale e un tipo di convergenza piudebole, sebbene non sia equivalente, altro che in situazioni eccezionali, v. [7] e [8],alla vera e propria convergenza debole che conosciamo.

Sia M lo spazio delle matrici introdotto al § 4.2. Assegnata una successione(Ah) ⊂ M , per ogni aperto limitato Ω ⊂ Rn e per ogni f ∈ H−1(Ω) la successione(uh) delle soluzioni dei problemi

(4.18)

−divAhDuh = f in Ω

uh ∈ H10 (Ω)

e limitata in H10 (Ω) e quindi debolmente compatta. Infatti

c1‖Duh‖2L2(Ω) 6∫

Ω

AhDuh ·Duh dx = 〈f, uh〉 6 ‖f‖H−1(Ω)‖uh‖H10 (Ω)

6 (cp + 1)‖f‖H−1(Ω)‖Duh‖L2(Ω) ,

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4.5 La G-convergenza 81

dove cp e la costante di Poincare. Dunque, a meno di sottosuccessioni, (uh) convergedebolmente in H1

0 (Ω) ad una certa u ∈ H10 (Ω), quindi u→ u in L2(Ω). La domanda

che ci poniamo e la seguente:

la funzione limite u e soluzione di qualche problema? In caso affermativo, quale?

Se avviene che Ah → A uniformemente, in L∞(Ω), o nella norma di qualche spazioLp(Ω), allora AhDuhADu in L2(Ω) perche forte× debole = debole. Dunque∫

Ω

ADu ·Dϕdx = limh→∞

∫Ω

AhDuh ·Dϕdx = 〈f, ϕ〉 ∀ϕ ∈ D ′(Ω) ,

quindi u e la soluzione del problema limite

(4.19)

−divADu = f in Ω

u ∈ H10 (Ω) .

Ma la convergenza forte di Ah e una condizione solo sufficiente per il passaggio allimite delle soluzioni. Questa osservazione suggerisce la seguente definizione.

Definizione 4.2 - Diciamo che AhG→ A in M se per ogni aperto limitato Ω ⊂ Rn

e per ogni f ∈ H−1(Ω) la successione (uh) delle soluzioni dei problemi (4.18) convergedebolmente in H1

0 (Ω) alla soluzione u del problema (4.19).

Dalle osservazioni introduttive di questo paragrafo si capisce subito che laG-convergenzainduce su M una topologia compatta, inoltre e stato dimostrato che M e metrizzabile.

Tenendo presento quanto abbiamo detto sull’omogeneizzazione, non sara difficilecomprendere, a questo punto, il senso delle proprieta qui di seguito riportate per laloro importanza in questa teoria.

(G)1. Per n = 1, ahG→ a⇔ a−1

h ∗ a−1 in L∞(R).

(G)2. Per n = 2, AhG→A⇔ Ah/ detAh

G→A/ detA.

(G)3. Se divA(x) = 0 allora AhG→A⇔ Ah

∗A in L∞(Rn).

(G)4. La G-convergenza ha carattere locale: se AhG→A, Bh

G→B e Ah = Bh q.o. suun insieme misurabile E allora A = B q.o. su E. Con questa proprieta si vuol sotto-lineare che la G-convergenza, sebbene coinvolga problemi al contorno per loro naturanon locali, non dipende ne dal dominio, ne dai dati, ma solo sai valori puntuali deicoefficienti. Una conseguenza e l’unicita del G-limite.

(G)5. Se AhG→A e su un aperto limitato Ω la successione delle derivate di Ah e li-

mitata nella norma di L1(Ω) allora Ah → A in L1(Ω). Questo discende dal Teoremadi Rellich. In altre parole, dove c’e un limite alla frequnza delle oscillazioni materialil’omogeneizzazione viene impedita e la G-convergenza si riduce alla convergenza forte.

(G)6. Se AhG→A e se inoltre Ah

∗A e A−1h ∗A−1 in L∞(Ω) allora

A(x)ξ · ξ 6 A(x)ξ · ξ 6 A(x)ξ · ξ ∀x q.o. ∈ Rn , ∀ξ ∈ Rn .

(G)7. Per ogni aperto limitato Ω ⊂ Rn e per ogni scelta dei dati, se AhG→A allora

vale la convergenza debole dei momenti

AhDuhADu in L2(Ω)

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82 Omogeneizzazione e G-convergenza

e delle energieAhDuh ·Duh∗ADu ·Du in L∞(Ω) .

Viceversa, se per ogni Ω e per ogni scelta dei dati le energie convergono allora AhG→A.

Un altro “viceversa” e questo

DuhDu e AhDuhADu in L2(Ω)⇒ AhDuh ·DuhADu ·Du in L∞(Ω) .

Quest’affermazione e immediata conseguenza del seguente risultato di compattezzaper compensazione [25]:

Se Φh e Ψh sono campi vettoriali in L2(Rn) tali che ΦhΦ e ΨhΨ in L2(Rn)e le successioni (div Φh) e (rot Ψh) sono limitate in H−1

loc (Rn) allora

Φh ·Ψh∗Φ ·Ψ in L∞(Ω) .

Dagli anni ’70 del secolo passato e stata poi sviluppata la teoria della Γ-convergenzaper i funzionali, anche non quadratici, come generalizzazione di questa ai probleminon lineari di tipo variazionale. E facile immaginare la vastita di questa teoria e deisuoi campi di applicazione.

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Appendice A

Elementi di Analisi Funzionale

A.1 La misura di Lebesgue

La teoria della misura secondo Peano-Jordan, insieme alla relativa teoria dell’in-tegrazione secondo Riemann, e insufficiente per i nostri scopi perche troppo restrit-tiva nei passaggi al limite. Una teoria piu agevole in questo senso e quella dovutaa Lebesgue. Essa ci permette la costruzione di spazi di funzioni piu appropriati perl’ambientazione di problemi variazionali e di equazioni differenziali in quanto completirispetto a determinate metriche naturali. E ben noto l’esempio dell’insieme Q∩ [0, 1]che non e misurabile secondo Peano-Jordan, ma lo e secondo Lebesgue dal momentoche, essendo ogni singolo punto un insieme misurabile (di misura nulla per entram-be le teorie), tale deve essere anche quell’insieme come unione numerabile di insiemimisurabili. La misura di PJ passa al limite su un’unione finita, ma non su un’unionenumerabile come in quella di L. Di conseguenza la funzione di Dirichlet, che vale 1su Q∩[0, 1] e 0 altrove, non e integrabile secondo Riemann, ma lo e secondo Lebesgue.

In una generica teoria della misura si dispone di un insieme X, di una famigliaM ⊂P(Rn) di insiemi detti misurabili e di un’applicazione µ : M → [0,+∞] dettamisura (positiva) con le seguenti proprieta.M e una σ-algebra:

(M )1. X ∈M ,

(M )2. (Eh)h∈N ⊂M ⇒∞⋃h=1

Eh ∈M ,

(M )3. E ∈M ⇒ E ∈M .

Combinando tra loro questi assiomi si ottiene subito che ∅ = X ∈M e

(Eh)h∈N ⊂M ⇒∞⋂h=1

Eh =

( ∞⋃h=1

Eh

)∈M .

µ e numerabilmente additiva:

(µ) (Eh)h∈N ⊂M e Eh ∩ Ek = ∅ se h 6= k ⇒ µ

( ∞⋃h=1

Eh

)=

∞∑h=0

µ(Eh) .

Per evitare di banalizzare la teoria si assume che esista in M almeno un insiemeE0 di misura finita. Allora e subito evidente che µ(∅) = 0, basta scegliere nella (µ)E1 = E0 e Eh = ∅ per ogni h > 1, inoltre scegliendo Eh = ∅ definitivamente si vedesubito che µ e anche finitamente additiva.

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84 Elementi di Analisi Funzionale

La terna (X,M , µ) si chiama spazio mensurale. Vediamo alcune conseguenzeimportanti.

Proposizione A.1 - Valgono le seguenti proprieta:

(a) µ e crescente, E1 ⊂ E2 ⇒ µ(E1) 6 µ(E2),

(b) µ e numerabilmente subadditiva, (Eh)h∈N ⊂M ⇒ µ

( ∞⋃h=1

Eh

)6∞∑h=0

µ(Eh),

(c) (Eh)h∈N ⊂M e Eh ⊂ Eh+1 ∀h ∈ N⇒ µ

( ∞⋃h=1

Eh

)= limh→∞

µ(Eh),

(d) (Eh)h∈N ⊂M , µ(E1) < +∞ e Eh ⊂ Eh+1 ∀h ∈ N

⇒ µ

( ∞⋂h=1

Eh

)= limh→∞

µ(Eh).

Dimostrazione. Per verificare (a)

µ(E2) = µ(E1 ∪ (E2 − E1)) = µ(E1) + µ(E2 − E1) > µ(E1) .

Per la (b), osserviamo che gli insiemi E1 = E1, Eh = Eh− (E1 ∪E2 ∪ . . .∪Eh−1) perh > 1 sono a due a due disgiunti e hanno la stessa unione degli Eh, quindi

µ

( ∞⋃h=1

Eh

)= µ

( ∞⋃h=1

Eh

)=

∞∑h=1

µ(Eh) 6∞∑h=1

µ(Eh) .

I limiti nelle (c) e (d) esistono per la monotonia. Per (c) poniamo E1 = E1, Eh =Eh − Eh−1 per h > 1 e osserviamo che gli Eh sono a due a due disgiunti e hanno lastessa unione degli Eh, quindi

µ

( ∞⋃h=1

Eh

)= µ(E1) +

∞∑h=2

µ(Eh) = µ(E1) +

∞∑h=2

[µ(Eh)− µ(Eh−1)] = limh→∞

µ(Eh) .

Per (d) poniamo E =⋂∞h=1Eh e Eh = E1−Eh per h > 2 e osserviamo che Eh ⊂ Eh+1

e che E1 − E =⋃∞h=1 Eh. Dalla (c) segue

µ(E1)− µ(E) = µ(E1 − E) = limh→∞

µ(Eh) = µ(E1)− limh→∞

µ(Eh)

che e la tesi.2

L’ipotesi µ(E1) < +∞ non si puo togliere, basta pensare alla successione di intervalli[h,+∞[ che hanno misura di Lebesgue infinita, ma intersezione vuota.

Una misura viene detta completa se tutti i sottoinsiemi di ogni insieme misurabiledi misura nulla sono misurabili (e di conseguenza hanno misura nulla). Una misuraviene detta σ-finita se X e unione numerabile di insiemi misurabili Xk di misura finita.

Se X e anche uno spazio topologico indichiamo con B(X) la σ-algebra di Borel chee quella generata dagli aperti. I suoi elementi, detti boreliani, sono gli aperti, i chiusie tutte le loro unioni e intersezioni numerabili. In altre parole B(X) e la piu piccolaσ-algebra contenente gli aperti, quindi e chiusa rispetto alle operazioni di unione eintersezione numerabili e passaggio al complementare. Una misura (X,B(X), µ) none in generale completa, pero puo essere completata scegliendo come misurabili gli ele-menti della classe piu vasta B(X) ∪ E ⊂ X | ∃B ∈ B(X) : µ(B) = 0 e ponendoµ(E) = 0.

Esempi

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A.1 La misura di Lebesgue 85

A.1 La δ di Dirac in x0 ∈ X e la funzione di insieme

δx0(E) =

1 se x0 ∈ E0 se x0 /∈ E

per ogni E ⊂ X ed e una misura.

A.2 La funzione che associa ad ogni insieme E ⊂ X il numero dei suoi punti, nelsenso della definizione

c(E) =

n. punti di E se E e finito

+∞ se E e infinito ,

e una misura.

A.3 Uno spazio di probabilita e una terna (X,E , P ) dove E e una σ-algebra i cuielementi sono gli eventi e P e una misura finita tale che P (X) = 1 che si chiamamisura di probabilita. Ad ogni evento E ∈ E corrisponde la sua probabilita P (E).

La misura di Lebesgue in Rn e un’estensione della misura ordinaria dai rettangolia insiemi via via piu generali e risulta completa, σ-finita e di Borel.

Per comodita parliamo provvisoriamente di volume riservando il termine misuraalla sua estensione definitiva.

Per un rettangolo R = [a1, b1]× [a2, b2]× . . .× [an, bn] poniamo

v(R) =

n∏i=1

(bi − ai)

da cui gia si capisce che la misura non risente della presenza o meno di facce espigoli nel rettangolo, cioe del carattere chiuso, aperto o semiaperto degli intervalliche compongono R. E naturale dunque aspettarsi che la misura di Lebesgue n-dimensionale di una varieta k-dimensionale in Rn e nulla se k < n (una curva ha areae volume nulli, una superficie ha volume nullo ecc.).

Definiamo plurirettangolo una unione finita di rettangoli

P =

m⋃j=1

Rj .

Ovviamente P non ha un’unica rappresentazione, ma possiamo sempre supporre cheRj ∩ Rh = ∅ se j 6= h oppure che abbiano in comune solo facce e spigoli che sonorettangoli di volume nullo. In questo caso

v(P ) =

m∑j=1

v(Rj) .

Estendiamo adesso la nozione di volume agli aperti limitati e ai compatti. Se A e Ksono rispettivamente un aperto limitato e un compatto di ⊂ Rn poniamo

v(A) = supv(P ) | P plurirettangolo ⊂ Av(K) = infv(P ) | P plurirettangolo ⊃ K .

Esercizio A.1 - Verificare che il volume e una funzione crescente sugli aperti esui compatti, cioe

A1 ⊂ A2 ⇒ v(A1) 6 v(A2) e K1 ⊂ K2 ⇒ v(K1) 6 v(K2) .

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86 Elementi di Analisi Funzionale

Per ogni insieme limitato E ⊂ Rn poniamo

m∗(E) = supv(K) | K compatto ⊂ Em∗(E) = infv(A) | A aperto ⊃ E .

Proposizione A.2 - Per ogni insieme E ⊂ Rn si ha

(A.1) m∗(E) 6 m∗(E) .

Dimostrazione. Basta verificare che per ogni A e K tali che K ⊂ E ⊂ A v(K) 6v(A). Se P0 un plurirettangolo tale che K ⊂ P0 ⊂ A si ha

v(K) = infP⊃K

v(P ) 6 v(P0) 6 supP⊂A

v(P ) = v(A) .

2

Definizione A.3 - Un insieme limitato E ⊂ Rn viene detto misurabile sem∗(E) = m∗(E) che per la (A.1) equivale a m∗(E) > m∗(E). Questo valore comunesi indica con m(E) e si chiama misura di E.

Proposizione A.4 - Gli aperti limitati e i compatti di Rn sono misurabili e laloro misura coincide col volume.

Dimostrazione. Se A e un aperto limitato e K un compatto in Rn si ha

m∗(A) = infA′⊃A

v(A′) = v(A) = supP⊂A

v(P ) 6 supK⊂A

v(P ) = m∗(A)

m∗(K) = supK′⊂K

v(K ′) = v(K) = infP⊃K

v(P ) > infA⊃K

v(A) = m∗(K) .

2

Osservazione A.5 - Un insieme limitato E ⊂ Rn e misurabile se e solo se perogni ε > 0 esistono A e K tali che K ⊂ E ⊂ A e m(A)−m(K) < ε.

Osservazione A.6 - Ogni insieme misurabile secondo Peano-Jordan e anche mi-surabile secondo Lebesgue perche secondo la prima teoria va considerato misurabileogni insieme le cui misure interna ed esterna sono approssimabili mediante i volumidei soli plurirettangoli. In altre parole, poiche

supP⊂E

v(P ) 6 supK⊂E

v(K) = m∗(E) 6 m∗(E) = infA⊃E

v(A) 6 infP⊃E

v(P ) ,

essere PJ-misurabile per l’insieme E significa che il primo e l’ultimo termine sonouguali, ma allora coincidono anche quelli intermedi e quindi E e L-misurabile, mentreil viceversa non e detto. Pero si puo dimostrare che un insieme L-misurabile e anchePJ-misurabile se e solo se la frontiera di E ha misura di Lebesgue nulla.

A completamento della Definizione A.3, se E ⊂ Rn non e limitato diciamo che emisurabile se l’intersezione di E con ogni palla Br(0) lo e e in questo caso definiamo

m(E) = limr→∞

m(E ∩Br(0)) .

Un esempio di insieme non misurabile, un po’ complicato da costruire e che trala-sciamo, e stato trovato da Vitali nel 1905 usando l’assioma della scelta e nel 1964Coeliem ha dimostrato che tale assioma e anche necessario. In assenza dell’assioma

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A.2 Integrazione di Lebesgue 87

della scelta bisogna accettare che tutti gli insiemi siano misurabili. Piu semplice e in-vece verificare che l’insieme D = Q∩ [0, 1], che come si ricordera non e PJ-misurabile,lo e secondo Lebesgue ed ha misura nulla. Si tratta infatti di un insieme numerabiledi punti. Ora, se E = xh | h ∈ N ⊂ Rn consideriamo per ogni ε > 0 e per ognih ∈ N il cubetto (n-dimensionale) di centro xh e volume ε2−h. La loro unione e unaperto A contenente E e per definizione di misura esterna si ha

0 6 m∗(E) 6 m∗(E) 6 m(A) 6∞∑h=1

ε2−h = ε .

Per l’arbitrarieta di ε m∗(E) = m∗(E) = 0, quindi E e misurabile ed ha misura nulla.La nozione di misura esterna ci permette di applicare un ragionamento dello stessotipo per dimostrare che ogni sottoinsieme di un insieme misurabile di misura nulla emisurabile ed ha misura nulla.

E naturale chiedersi a questo punto se non esistano insiemi di misura nulla conpotenza superiore al numerabile. La risposta e affermativa e l’insieme di Cantor ne eun esempio. Questo insieme e cio che si ottiene dall’intervallo [0, 1] togliendo l’unionedegli intervalli I(h/2k) di centro h/2k, con h dispari e minore di 2k, e raggio 21−k.Esprimendo i numeri di [0, 1] in forma ternaria cio che si toglie e l’insieme di tutti inumeri che contengono la cifra 1, quindi cio che rimane, l’insieme di Cantor, e formatodai soli numeri con due cifre e quindi equipotente a [0, 1] (in forma binaria).

Da quanto detto, la misura di Lebesgue e dunque completa, la classe M deimisurabili contiene la classe B(Rn) degli insiemi di Borel avendo in piu qualunquesottoinsieme di ogni boreliano di misura nulla, e regolare per costruzione, nel senso cheogni misurabile ha misura approssimabile con gli aperti dall’esterno e con i compattidall’interno, infine e ovviamente σ-finita. Si puo dimostrare, ma noi lo evitiamo, chela funzione m che abbiamo ora costruito soddisfa la (µ) e insieme ad essa anche tuttele conseguenze elencate all’inizio, quindi e una vera misura.

A.2 Integrazione di Lebesgue

Le funzioni di questo paragrafo le assumiamo definite su Rn, di una funzionedefinita su un sottoinsieme se ne puo sempre considerare il prolungamento nullo al difuori. La misura sara sempre, a meno di avviso contrario, quella di Lebesgue.

Definizione A.7 - E detta misurabile ogni funzione f : Rn → R tale che perogni E ⊂ R misurabile f−1(E) e misurabile. Se ci si limita ai soli boreliani neldominio e nel codominio e la controimmagine di un boreliano e un boreliano, la fviene detta boreliana.

La composizione di funzioni misurabili e misurabile, sono misurabili le somme (il caso+∞ −∞ non ha senso e va escluso), i prodotti (con la convenzione 0 · ∞ = 0) difunzioni misurabili e le funzioni continue. Infine se fnRn → R e una successione difunzioni misurabili allora lo sono anche le funzioni definite puntualmente da

infnfn , sup

nfn , lim inf

n→∞fn , lim sup

n→∞fn .

Teorema A.8 (di Lusin) - Se f e misurabile

Definizione A.9 - La funzione χA : Rn → R definita da

χA(x) =

1 se x ∈ A0 altrove

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88 Elementi di Analisi Funzionale

si chiama funzione caratteristica dell’insieme A. Una funzione semplice e unacombinazione lineare finita di funzioni caratteristiche di insiemi Eh, h = 1, . . . , k,misurabili

ϕ(x) =

k∑h=1

αhχEh(x) .

Certamente non e unica la rappresentazione di una funzione semplice, si puo ad esem-pio partire dai valori che la ϕ assume, gli αh, e definire Eh = ϕ−1(αh), comunquepossiamo sempre fare in modo che gli Eh siano a due a due disgiunti.

L’integrale di ϕ e il numero∫Rn

ϕ(x) dx =

k∑h=1

αhm(Eh) .

Definizione A.10 - Se f : Rn → R e misurabile e non negativa l’integrale dif e l’elemento di R ∫

Rn

f(x) dx = supϕ6f

∫Rn

ϕ(x) dx .

Se f ha segno qualunque poniamo

f+(x) = maxf(x), 0 = parte positiva e f−(x) = −minf(x), 0 = parte negativa ,

per cuif(x) = f+(x)− f−(x) e |f(x)| = f+(x) + f−(x) .

Diciamo che f e semi-integrabile se almeno una delle due funzioni non negative,f+ o f−, ha integrale finito e integrabile se entrambe hanno integrale finito. In ognicaso poniamo ∫

Rn

f(x) dx =

∫Rn

f+(x) dx−∫Rn

f−(x) dx .

Se f e semi-integrabile puo avere integrale non finito, se invece e integrabile haintegrale finito ed e anche assolutamente integrabile, cioe∫

Rn

|f(x)| dx =

∫Rn

f+(x) dx+

∫Rn

f−(x) dx < +∞ .

Non ha senso considerare l’integrale di f se entrambe le due parti, positiva e negativa,hanno integrale non finito.Se infine vogliamo considerare l’integrale di f esteso ad un insime E ⊂ Rn misurabilebasta porre ∫

E

f(x) dx =

∫Rn

f(x)χE(x) dx .

Nella definizione che abbiamo dato di integrale per una funzione positiva si e fatto usodelle sole funzioni semplici minoranti. Analogamente a come viene definito l’integraledi Riemann, tramite le sole costanti a tratti, potevamo supporre la funzione limitatae definirla integrabile nel caso che l’estremo superiore degli integrali delle funzionisemplici minoranti coincidesse con l’estremo inferiore degli integrali delle semplicimaggioranti, ma sarebbe stato superfluo per l’ipotesi che abbiamo fatto di funzionemisurabile. Si puo dimostrare che con questa ipotesi i due estremi coincidono sempree, viceversa, se coincidono la funzione e misurabile. Per verificare poi che l’integraledi Lebesgue e una estensione di quello di Riemann, basta osservare che la classe dellefunzioni costanti a tratti e piu ristretta di quelle semplici, quindi

supϕstep

ϕ6f

∫ϕ 6 sup

ϕ∈Sϕ6f

∫ϕ 6 inf

ψ∈Sψ>f

∫ψ 6 inf

ψstep

ψ>f

∫ψ .

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A.2 Integrazione di Lebesgue 89

Se f e integrabile secondo Riemann sono uguali il primo e l’ultimo e lo e anche secondoLebesgue, altrimenti puo esserlo secondo Lebesgue, ma non secondo Riemann.

Indichiamo con L1(Rn) lo spazio delle funzioni integrabili.

Esercizio A.2 - Dimostrare che L1(Rn) e uno spazio vettoriale e che l’integralee un funzionale lineare e positivo, quindi crescente, su L1(Rn).

Definizione A.11 - Diciamo che una proprieta p(x) definita su Rn vale quasiovunque, e scriviamo p(x) q.o., se l’insieme x ∈ Rn | ¬p(x) ha misura nulla.

Esercizio A.3 - Dimostrare che∫f = 0 se f = 0 q.o., quindi modificare una

funzione integrabile (o semi-integrabile) su un insieme di misura nulla non ha nessunainfluenza sul valore del suo integrale.

Esercizio A.4 - Dimostrare che se f > 0 su E e∫E

= 0 allora f = 0 q.o. su Ee che se f ha segno qualunque e

∫Ef = 0 per ogni insieme misurabile E ⊂ Rn allora

f = 0 q.o. su Rn.

Vediamo, senza dimostrazione, alcune importanti proposizioni che riguardano pro-prieta di passaggio al limite sotto il segno di integrale rispetto alla convergenzapuntuale di successioni di funzioni fh : Rn → R.

Teorema A.12 (di Beppo Levi) - Se (fh) e una successione (puntualmente)monotona di funzioni misurabili non negative, posto f(x) = lim

h→∞fh(x), si ha∫

Rn

f(x) dx = limh→∞

∫Rn

fh(x) dx .

Per sottolineare l’importanza delle ipotesi, osservaiamo che ad esempio la successionenon negativa e non monotona (χ[h,h+1]) ha limite puntuale 0, ma integrale costantepari a 1, mentre la successione negativa di funzioni costanti (−1/n) e crescente, halimite puntuale 0, ma integrale costante pari a −∞.

Nel seguente risultato si afferma che l’integrale e semicontinuo inferiormente ri-spoetto alla convergenza puntuale.

Teorema A.13 (Lemma di Fatou) - Se (fh) e una successione di funzioni mi-surabili e f(x) = lim inf

h→∞fh(x) allora∫

Rn

f(x) dx 6 lim infh→∞

∫Rn

fh(x) dx .

Il seguente e noto anche come teorema della convergenza dominata.

Teorema A.14 (di Lebesgue) - Sia (fh) una successione di funzioni misurabiliche ammette limite puntuale f(x) = lim

h→∞fh(x) e tale che per qualche g integrabile si

abbia per ogni h ∈ N |fh(x)| 6 g(x) q.o. su Rn. Allora f e integrabile e∫Rn

f(x) dx 6 limh→∞

∫Rn

fh(x) dx .

Per concludere osserviamo che se f ∈ L1(Rn) la funzione d’insieme

E → ν(E) =

∫E

f(x) dx

con E misurabile e numerabilmente additiva e quindi e a sua volta una misura positiva,se f > 0, di cui si puo riconoscere la f come densita. E facile dimostrare che la ν

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90 Elementi di Analisi Funzionale

soddisfa la proprieta di essere assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue,nel senso che per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che

(A.2) m(E) < δ ⇒ ν(E) < ε .

Infatti se f ∈ L∞ basta scegliere δ = ε/‖f‖∞. Altrimenti definiamo la successione

fh(x) =

f(x) se f(x) 6 h

h se f(x) > h

che converge puntualmente a f . Poiche 0 6 f − fh 6 2f , per il Teorema dellaconvergenza dominata ‖f − fh‖1 → 0. Fissato ε > 0, scegliamo un h abbastanzagrande tale che ∫

Rn

(f − fh) dx < ε

e poi δ = ε/h. Se m(E) < δ si ha∫E

f dx =

∫E

(f − fh) dx+

∫E

fh dx < ε+m(E)h < 2ε .

A.3 Spazi Lp

Abbiamo detto che l’insieme L1(E) delle funzioni integrabili su un dominio misu-rabile E ⊂ Rn, o anche su tutto Rn, e uno spazio vettoriale. E naturale dotarlo dellanorma

‖f‖1 =

∫E

|f(x)| dx

che soddisfa le proprieta di essere positiva e la disuguaglianza triangolare, e nulla sef e la funzione identicamente nulla ma si annulla anche se f e solo quasi ovunquenulla. Per questo introduciamo la relazione di equivalenza

f ∼ g ⇔ f(x) = g(x) q.o.

e definiamo L1(E) = L1(E)/ ∼. Gli elementi di questo spazio sono classi di equi-valenza di funzioni e da ora in poi quando si considera un elemento f ∈ Lp si deveintendere quella funzione o una qualsiasi che differisca da essa solo su un insieme dimisura nulla. Cio comporta un po’ di attenzione in piu nel definire una funzione, peresempio specificare quale sia il valore di f in un punto non ha piu senso. Lo spazioL1(E) e di Banach.

Oltre alla norma integrale appena vista, e possibile definirne una che generalizzaquella uniforme e si basa su una nozione di estremo superiore che non dipende daivalori della funzione su un insieme di misura nulla. Si tratta dell’estremo superioreessenziale

sup essE

f = infM ∈ R | mx ∈ E | f(x) > M = 0 .

Se |f | ha estremo superiore essenziale finito diciamo che e essenzialmente limitata.Indichiamo con L∞(E) l’insieme delle classi di equivalenza delle funzioni misurabiliessenzialmente limitate su E. Munito della norma

‖f‖∞ = sup essE|f | ,

L∞(E) e uno spazio di Banach.

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A.3 Spazi Lp 91

Se 1 < p < +∞ definiamo Lp(E) l’insieme delle classi di equivalenza di funzionimisurabili tali che |f |p ∈ L1(E) munito della norma

(A.3) ‖f‖p =

(∫E

|f(x)|p dx)1/p

.

Che Lp(E) sia uno spazio vettoriale discende dalla disuguaglianza

(|f |+ |g|)p 6 2p−1(|f |p + |g|p) ,

ma che la (A.3) definisca una norma non e cosı ovvio come nei casi appena visti p = 1e p = +∞, bisogna dapprima dimostrare una importante proposizione.

Teorema A.15 (disuguaglianza di Holder) - Per ogni coppia p, q ∈ [1,+∞]tali che 1/p + 1/q = 1, detti esponenti coniugati, se f ∈ Lp(E) e g ∈ Lq(E) allorafg ∈ L1(E) e

(A.4) ‖fg‖1 6 ‖f‖p‖g‖q .

Dimostrazione. Se una delle due funzioni e (quasi ovunque) nulla la (A.5) e banal-mente vera, quindi supponiamo che entrambe le norme siano positive. Anche il casoestremo p = 1 e q = +∞ e banale, basta passare all’estremo superiore dentro l’integra-le e portarlo fuori. Supponiamo allora 1 < p, q < +∞. Poniamo F (x) = |f(x)|/‖f‖pe G(x) = |g(x)|/‖g‖q, usiamo la disuguaglianza di Young

FG 61

pF p +

1

qGq

e integriamo∫E

FGdx =1

‖f‖p‖g‖q

∫E

|fg| dx 61

p

∫E

F p dx+1

q

∫E

Gq dx =1

p+

1

q= 1 .

Se |f |p = |g|q q.o. la disuguaglianza diventa un’uguaglianza.2

La seguente versione della disuguaglianza di Holder e piu generale.

Proposizione A.16 - Date f1, f2, . . . , fk tali che fi ∈ Lpi , se 1/p1 + 1/p2 + . . .+1/pk = 1/r 6 1, allora f1f2 · · · fk ∈ Lr e

‖f1f2 · · · fk ∈ Lr‖r 6 ‖f1‖p1‖f2‖p2 · · · ‖fk‖pk .

Teorema A.17 (disuguaglianza di Minkowski) - Per ogni f, g ∈ Lp(E), conp > 1, si ha

‖f + g‖p 6 ‖f‖p + ‖g‖p .

Dimostrazione. Osserviamo intanto che

|f + g|p = |f + g| |f + g|p−1 6 (|f |+ |g|) |f + g|p−1 ,

dove a secondo membro il primo fattore sta in Lp(E) e il secondo in Lp/p−1(E) =Lq(E). Allora possiamo applicare la (A.5)∫

E

|f + g|p dx 6

[(∫E

|f |p dx)1/p

+

(∫E

|g|p dx)1/p

](∫E

|f + g|p dx)1−1/p

e dividendo a sinistra e a destra per l’ultimo fattore si ottiene la tesi. Vale l’ugua-glianza se una delle due funzioni e nulla o se f = λg per qualche λ ∈ R.

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92 Elementi di Analisi Funzionale

2

Dunque vale la disuguaglianza triangolare, le altre sono banali, e la (A.3) definisceuna norma. Si dimostra che Lp(E) e uno spazio di Banach.

Se il dominio d’integrazione ha misura finita possiamo ricavare una relazione d’in-clusione interessante fra tutti questi spazi, precisamente vale il seguente risultato.

Proposizione A.18 - Se p < q ed E ha misura finita allora Lq(I) ⊂ Lp(I) e perogni f ∈ Lq(I) si ha

(A.5) ‖f‖p 6 C‖f‖q .

Dimostrazione. E ovvio che L∞(E) ⊂ Lp(E) per ogni p > 1. Supponiamo q <+∞. La funzione costante 1 su E appartiene a tutti questi spazi. Scelta una f ∈Lq(E), pensiamo alla funzione |f |p come prodotto |f |p · 1 dove |f |p ∈ Lq/p(E) e

1 ∈ L(1−p/q)−1

(E) = Lqq−p (E) in modo da applicare la (A.5) e dedurre che |f |p =

|f |p · 1 ∈ L1(E). Inoltre∫E

|f |p dx 6 ‖|f |p‖q/p‖1‖q/(q−p) = ‖f‖pqm(E)1−p/q ,

da cui, elevando alla 1/p, si ricava

‖f‖p 6 m(E)1/p−1/q‖f‖q .

2

L’applicazione p→ ‖f‖p, per i p per i quali e definita, gode di alcune proprieta, unadelle quali e la seguente:

Se f ∈ L∞(E) allora limp→+∞

‖f‖p = ‖f‖∞. Infatti |f(x)| 6 ‖f‖∞ q.o., inoltre

per ogni ε > 0 esiste un insieme misurabile Eε ⊂ E di misura positiva tale che|f(x)| > ‖f‖∞ − ε q.o. in Eε. Quindi, elevando alla p e integrando, si ha

(‖f‖∞ − ε)m(Eε)1/p 6 ‖f‖p 6 ‖f‖∞m(E)1/p .

Per p → ∞ il primo e l’ultimo membro hanno limite, ma di quello centrale non losappiamo, possiamo solo scrivere

‖f‖∞ − ε 6 lim infp→+∞

‖f‖p 6 lim supp→+∞

‖f‖p 6 ‖f‖∞ ,

ma per l’arbitrarieta di ε il minimo e il massimo limite devono coincidere, quindi illimite esiste e vale ‖f‖∞.

Il fatto che L1(E) sia il piu grande di tutti non significa che ne sia l’unione. Adesempio, la funzione

f(x) =1

x log2 x, 0 6 x 6

1

2,

sta in L1[0, 1/2], ma non appartiene a nessun Lp[0, 1/2] con p > 1. Lo stesso si puodire dell’intersezione: la funzione log x, 0 < x 6 1/2, sta in tutti gli Lp con p > 1 manon in L∞.

Esercizio A.5 - A quali spazi Lp[0, 1], p > 1, appartengono le funzioni 1/xα, oin particolare la funzione 1/

√x?

L’unico caso in cui i due esponenti coniugati coincidono e quando p = q = 2, ilche rende speciale lo spazio L2(E). Per la disuguaglianza di Holder, se f, g ∈ L2(E)

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A.3 Spazi Lp 93

allora fg ∈ L1(E) e ‖fg‖1 6 ‖f‖2‖g‖2. Pertanto ha senso in L2(E) definire il prodottoscalare tra f e g come l’integrale del loro prodotto

〈f, g〉 =

∫E

fg dx .

Il lettore lo puo verificare facilmente per esercizio. Nella disuguaglianza di Holder siriconosce quella di Cauchy-Schwarz e la norma stessa puo essere scritta in termini delprodotto scalare

‖f‖2 =√〈f, f〉 .

Se 〈f, g〉 = 0 le due funzioni f e g si dicono ortogonali. Essendo completo, di Banachcome gli altri, e munito di una norma indotta dal prodotto scalare, L2(E) e uno spaziodi Hilbert.

Sulla relazione tra la convergenza puntuale e la convergenza in norma vale ilseguente risultato.

Teorema A.19 - Se fk → f in Lp(E) esistono una sottosuccessione (fhk) e unafunzione g ∈ Lp(E) tali che fhk → f q.o. in E e fhk(x) 6 g(x) per ogni k ∈ N e q.o.in E.

Per ogni p ∈ [1,+∞[ indicheremo con Lploc(Rn) l’insieme delle funzioni su Rn cheappartengono a Lp(K) per ogni compatto K ⊂ Rn.

La teoria dell’integrazione e la costruzione degli Lp si puo ripetere nello stessomodo per funzioni a valori reali (estesi) definite su uno spazio munito di una misura.Un esempio importante e quello dei numeri interi con la misura della cardinalita c(A)per ogni A ⊂ Z. In questo caso ogni funzione misurabile puo essere identificata conuna successione (cn) ⊂ R, n ∈ Z, e la condizione che sia integrabile coincide conquella della convergenza della serie

(A.6)∑n∈Z

cn

di cui pero non e chiaro in quale ordine vanno presi i termini, a meno che non sisostituisca Z con N. Comunque e ben noto che il suo carattere, e anche il valore dellasomma quando converge, puo dipendere dall’ordine dei termini. Se pero e incondizio-natamente convergente, che equivale ad essere assolutamente convergente, la sommadella serie non dipende dall’ordine dei termini e possiamo senz’altro interpretare la(A.6) arbitrariamente, ad esempio nel senso

limn→∞

n∑k=−n

ck .

Indichiamo con l1(Z), lp(Z), l∞(Z) gli insiemi delle successioni x = (xn) (reali ocomplesse) tali che

‖x‖1 =∑n∈Z

|xn| < +∞ , ‖x‖p =

(∑n∈Z

|xn|p)1/p

< +∞ , ‖x‖∞ = supn∈Z|xn| < +∞ .

Questi spazi sono di Banach e l1 ⊂ lp ⊂ lq ⊂ l∞ per ogni p, q tali che 1 6 p 6 q 6 +∞.In particolare l2 e di Hilbert col prodotto scalare tra x = (xn) e y = (yn)

〈x, y〉 =∑n∈Z

xnyn .

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94 Elementi di Analisi Funzionale

A.4 Dualita e convergenza debole

Siano X e Y due spazi vettoriali normati e A : X → Y un operatore lineare.

Definizione A.20 - Diciamo che A e limitato se esiste M ∈ R tale che

‖Ax‖ 6M‖x‖ ∀x ∈ X .

Il minimo M per cui vale questa relazione e la norma di A

‖A‖ = supx∈X

‖Ax‖‖x‖

= sup‖x‖61

‖Ax‖‖x‖

= sup‖x‖=1

‖Ax‖ .

Se X ha dimensione finita ogni operatore lineare A : X → Y e continuo, altrimentivale il seguente risultato.

Teorema A.21 - Se A : X → Y e lineare le seguenti proprieta sono equivalenti

(a) A e continuo,

(b) A e continuo in 0,

(c) A e limitato.

Dimostrazione. (a)⇒(b) e ovvia e (b)⇒(a) perche se ‖Ah‖ → 0 per ‖h‖ → 0 allora‖A(x + h) − A(x)‖ = ‖Ah‖ → 0. Anche (c)⇒(b) e ovvia perche se ‖h‖ → 0 allora‖Ah‖ 6 ‖h‖ → 0. Dimostriamo (b)⇒(c). Se A non fosse limitato per ogni n ∈ N

esisterebbe un xn ∈ X tale che ‖Axn‖ > n‖xn‖. La successione ξn =xn

n‖xn‖ha

norma 1/n e tende a 0, ma ‖Aξn‖ > 1 contrariamente all’ipotesi che sia continuo.

2

Se X ⊂ Y l’identita i : X → Y si chiama immersione. Essendo lineare, se vogliamostabilirne la continuita dobbiamo verificare la relazione ‖x‖Y 6M‖x‖X . Osserviamoinoltre che X ′ ⊃ Y ′.

Come caso particolare possiamo considerare Y = R oppure Y = C a seconda cheX sia uno spazio vettoriale reale o complesso. In questo caso A si chiama funzionalelineare. L’insieme dei funzionali lineari e continui su X e a sua volta uno spazionormato con la norma

‖A‖ = supx∈X

|Ax|‖x‖

,

si chiama duale di X e si indica con X ′. Di esso si puo considerare il duale, (X ′)′,che viene detto biduale di X e si indica con X ′′. Osserviamo che X puo essereconsiderato sottoinsieme del suo biduale, vediamo in che senso. Ad ogni x ∈ Xfacciamo corrispondere il funzionale lineare χ : X ′ → R definito da χ(A) = Ax.Anche questo e limitato per la stessa relazione, |χ(A)| = |Ax| 6 ‖A‖‖x‖ ed ha comenorma

‖χ‖ = supA∈X′

|Ax|‖A‖

.

Una delle tante conseguenze del seguente importante teorema e ‖χ‖ = ‖x‖, cioel’immersione i : X → X ′′ e un’isometria e quindi e continua.

Teorema A.22 (Hahn-Banach) - Siano X uno spazio normato, Y ⊂ X unsottospazio vettoriale e F : Y → R lineare e continuo. Allora F ammette unprolungamento F : X → R lineare e continuo tale che ‖F‖X = ‖F‖Y .

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A.4 Dualita e convergenza debole 95

Dimostrazione. Se ‖F‖ = 0 scegliamo come prolungamento il funzionale F (x) = 0per ogni x ∈ X. Se ‖F‖ 6= 0 possiamo supporre ‖F‖ = 1. Siano x0 /∈ Y e Y1 =y + λx0 | y ∈ Y , λ ∈ R. Il funzionale F : Y1 → R definito da

F ()

2

Nel caso degli spazi Lp(E) la disuguaglianza di Holder mostra che per f ∈ Lp ilfunzionale lineare

(A.7) g → F (g) =

∫E

fg dx

e continuo su Lq(E) e, tenendo presente che essa vale come uguaglianza scegliendo|g| = |f |p/q, possiamo affermare che la norma del funzionale e proprio ‖f‖p. Vieneallora da chiedersi se gli elementi di (Lq(E))′ siano tutti del tipo (A.7). Vale inproposito la seguente caratterizzazione.

Teorema A.23 (Teorema di Riesz) - Per ogni q ∈ [1,+∞[ (Lq(E))′ = Lp(E)nel senso che per ogni F ∈ (Lq(E))′ esiste un’unica f ∈ Lp(E) tale che vale la (A.7)e ‖F‖ = ‖f‖p quindi (Lq(E))′ e Lp(E) sono isometrici. Il caso q = +∞ fa eccezionenel senso che (L∞(E))′ % Lp(E).

Dunque gli spazi Lp con 1 < p < +∞ sono riflessivi, ma L1 e L∞ non lo sono. Lestesse proprieta valgono anche negli spazi lp.

Facciamo un esempio di funzionale su L∞[−1, 1] che non ammette rappresentazio-ne in L1. Il funzionale ϕ→ F (ϕ) = ϕ(0) e ovviamente lineare e continuo su C0[−1, 1]perche ϕ(0) 6 ‖ϕ‖∞. Allora ammette un’estensione con la stessa norma a tutto L∞

per il Teorema A.23. Se esistesse una f ∈ L1 tale che

F (g) =

∫ 1

−1

f(x)g(x) dx ∀g ∈ L∞[−1, 1]

la sua restrizione alle continue varrebbe∫ 1

−1

f(x)ϕ(x) dx = ϕ(0) ∀ϕ ∈ C0[−1, 1] .

Ma cio e assurdo perche la successione di funzioni continue ϕn(x) = e−n|x| soddisfa

ϕn(0)→ 1 e |f(x)ϕn(x)| 6 |f(x)| ∈ L1

mentre per la convergenza dominata∫ 1

−1

f(x)ϕ(x) dx→ 0 .

Gli spazi Lp con 1 6 p < +∞ sono separabili, ammettono cioe un sottoinsiemenumerabile e denso.

Se X e uno spazio vettoriale topologico e X ′ il suo duale la topologia debole di Xe la topologia meno fine su X rispetto a cui gli elementi di X ′ sono funzioni continue.A meno che X non sia uno spazio metrico (piu in generale basta che soddisfi il Iassioma di numerabilita), come nel caso che sia normato, la topologia debole non ecaratterizzata da una nozione di convergenza delle successioni. Ma a noi interessanogli spazi normati, dunque possiamo prendere come definizione di topologia debolequella indotta dalla seguente devinizione di convergenza debole.

Definizione A.24 - Una successione (xh) ⊂ X converge debolmente a x ∈ X,e si scrive xnx, se F (xh)→ F (x) per ogni F ∈ X ′.

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96 Elementi di Analisi Funzionale

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Appendice B

Cenni sugli spazi di Sobolev

B.1 Funzioni assolutamente continue

Definizione B.1 - Una funzione u : [a, b]→ R viene detta assolutamente con-tinua se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni famiglia finita di intervalli adue a due disgiunti [αi, βi] ⊂ [a, b], i = 1, . . . , k, si ha

k∑i=1

(βi − αi) < δ ⇒k∑i=1

|u(βi)− u(αi)| < ε .

L’insieme delle funzioni assolutamente continue su [a, b] viene indicato con AC[a, b].

Scegliendo k = 1 si vede subito che ogni funzione assolutamente continua e uniforme-mente continua. Il viceversa non e detto, vi sono funzioni continue su [a, b] che nonsono AC[a, b] come la funzione di Cantor, sulla quale si consiglia di consultare l’in-teressante presentazione di Gorni in cui viene chiamata funzione di Vitali. L’Autoremostra tra l’altro che e holderiana con esponente log3 2, quindi le funzioni holderianenon sono necessariamente AC.

Una condizione invece sufficiente e quella di Lipschitz: ogni funzione lipschitziana,in particolare ogni funzione di C1[a, b], e assolutamente continua. Infatti se per ognix, y ∈ [a, b]

|f(x)− f(y)| 6 K|x− y|scelto δ(ε) = ε/K nella Definizione B.1, si ha

k∑i=1

|u(βi)− u(αi)| 6 K

k∑i=1

(βi − αi) < Kε

K= ε .

Le funzioni assolutamente continue sono, in qualche senso che ora vediamo, quellederivabili.

Teorema B.2 (di derivazione di Lebesgue) - Se u ∈ AC[a, b] allora esistequasi ovunque la derivata u′(x), u′ ∈ L1[a, b] e

u(x)− u(y) =

∫ x

y

u′(t) dt ∀x, y ∈ [a, b] .

La dimostrazione e tutt’altro che banale e la omettiamo, ci limitiamo ad osservare cheammettere la derivata in L1 non implica essere assolutamente continua. La funzionedi Cantor c(x) ne e un esempio: e continua e non decrescente su [0, 1], ha derivataquasi ovunque nulla, ma

c(1)− c(0) = 1 >

∫ 1

0

c′(x) dx = 0 .

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98 Cenni sugli spazi di Sobolev

Evidentemente c(x) non e assolutamente continua, non coincide con la funzione inte-grale della sua derivata. E molto semplice invece dimostrare, con l’aiuto dell’assolutacontinuita dell’integrale (A.2), che le primitive di funzioni L1 sono AC come vieneaffermato nel seguente teorema.

Teorema B.3 - Siano v ∈ L1[a, b] e

u(x) =

∫ x

a

v(t) dt .

Allora u ∈ AC[a, b] e u′ = v q.o.

Con questa caratterizzazione riconosciamo come assolutamente continue le funzioni diC1]a, b[∩C0[a, b], come le holderiane xα con 0 < α < 1, come la 1/ log x su [0, 1/2] chenon e holderiana, semplicemente perche sono funzioni integrali di funzioni di L1]a, b[.Anche le funzioni localmente lipschitziane su ]a, b[, come le convesse, e continue su[a, b] sono assolutamente continue.

Se AC[a, b] viene munito della norma

‖u‖AC = ‖u‖1 + ‖u′‖1 ∀u ∈ AC[a, b]

si vede facilmente che Lip[a, b] e denso in AC[a, b].

Proposizione B.4 - Per ogni u ∈ AC[a, b] esiste una successione (uh) ⊂ Lip[a, b]tale che ‖u− uh‖AC → 0.

Dimostrazione. Siccome C0[a, b] e denso in L1[a, b], esiste una successione (vh) ⊂C0[a, b] tale che ‖vh − u′‖1 → 0. Le funzioni

uh(x) = u(a) +

∫ x

a

vh(t) dt

sono ovviamente lipschitziane, la successione delle derivate u′h = vh converge a u′ inL1 e adesso verifichiamo che uh → u in L1. Infatti

‖u− uh‖1 6 (b− a) supx∈[a,b]

∣∣∣∣∫ x

a

u′(t)− vh(t) dt

∣∣∣∣6 (b− a)

∫ b

a

|u′(t)− vh(t)| dt = (b− a)‖u′ − vh‖1 → 0 .

2

B.2 Distribuzioni

L’appendice precedente e finita proprio con un esempio di distribuzione, ora quadi seguito la vediamo piu precisamente.

Indichiamo con D(Ω) lo spazio vettoriale C∞0 (Ω) delle funzioni con derivate diogni ordine a supporto compatto nell’aperto Ω ⊂ Rn munito della seguente nozionedi convergenza.

Definizione B.5 - Una successione (ϕh) ⊂ D(Ω) converge in D(Ω) a ϕ ∈ D(Ω)per h → ∞ se esiste un compatto K ⊂ Ω che contiene tutti i supporti delle ϕh e lasuccessione delle derivate di ogni ordine (Dαϕh) converge uniformemente a Dαϕ.

Che lo spazio non sia vuoto lo si vede ad esempio con la funzione ϕ : Rn → R

ϕ(x) =

e− 1

1−|x|2 se |x| < 1

0 se |x| > 1

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B.2 Distribuzioni 99

manipolando la quale non e difficile costruire una funzione cut-off, una ϕ ∈ C∞0 (Ω)tale che

ϕ(x) =

1 se x ∈ K0 se x ∈ Rn − Ω

dove K e un compatto contenuto in Ω.Si puo dimostrare che la convergenza della Definizione B.5 e indotta da una

topologia non metrizzabile su D(Ω).Indichiamo con D ′(Ω) il duale di D(Ω), lo spazio dei funzionali lineari e continui

su D(Ω). Gli elementi di T ∈ D ′(Ω) si chiamano distribuzioni e T (ϕ) viene indicato disolito con 〈T, ϕ〉. Dunque una distribuzione e un’applicazione lineare T : D(Ω)→ Rtale che per ogni successione ϕh → 0 in D(Ω) si ha 〈T, ϕh〉 → 0.

La topologia di D(Ω) e definita in modo tale che nella Definizione A.20 la costanteM dipende dal compatto K ⊂ Ω che si sceglie come supporto comune agli elementi diD(Ω). Da K dipende anche il massimo ordine di derivazione che puo essere sufficienteconsiderare nella norma uniforme di ϕ e delle sue derivate.

Definizione B.6 - Una distribuzione e un funzionale lineare T : D(Ω) → Rtale che per ogni compatto K ⊂ Ω esistono un numero reale M > 0 e un m ∈ N taliche

(B.1) |〈T, ϕ〉| 6M‖ϕ‖m

per ogni ϕ ∈ D(Ω) con supporto in K.

Esempi

B.1 Ogni funzione f ∈ C0(Ω) o, piu in generale, ogni funzione f ∈ L1loc(Ω) definisce

l’applicazione, ovviamente lineare, 〈Tf , ϕ〉 =∫fϕ. Essa appartiene a D ′(Ω) in quanto

continua. Infatti gli elementi ϕh di una successione che tende a 0 in D(Ω) hanno tuttilo stesso compatto K ⊂ Ω come supporto, quindi

|〈Tf , ϕh〉| =∣∣∣∣∫

Ω

fϕh dx

∣∣∣∣ 6 ‖ϕh‖∞ ∫K

|f | dx→ 0 .

Cio mostra che le comuni funzioni possono essere viste come distribuzioni e possiamoidentificare Tf con la f stessa. Dal punto di vista della (B.1) l’esempio precedentepuo essere quindi rivisto in questo modo equivalente:

per ogni K ⊂ Ω compatto si ha∣∣∣∣∫Ω

fϕ dx

∣∣∣∣ 6 ‖ϕ‖∞ ∫K

|f | dx .

Una misura di Radon su Rn e una misura boreliana, regolare e finita sui compatti.

B.2 Ogni misura di Radon µ puo essere interpretata come la distribuzione µ ∈ D ′(Ω)

〈µ, ϕ〉 =

∫Ω

ϕdµ .

Essa e continua perche se K ⊂ Ω e il supporto di ϕ si ha

|〈µ, ϕ〉| =∣∣∣∣∫

Ω

ϕdµ

∣∣∣∣ 6 ‖ϕ‖∞µ(K) .

B.3 Una particolare misura e la delta di Dirac δx0, ossia la distribuzione

〈δx0 , ϕ〉 = ϕ(x0) .

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100 Cenni sugli spazi di Sobolev

Gli esempi precedenti sono misure di ordine 0 in quanto m = 0, cioe viene coinvoltala ϕ, ma non le sue derivate. In una variabile, tanto per fare qualche esempio, ledistribuzioni ϕ → ϕ′(0) e ϕ →

∫fϕ′ dx sono distribuzioni del I ordine. Esistono

anche distribuzioni di ordine infinito, come nel caso di una somma numerabile di δconcentrate su una successione di punti che tende al bordo con ordine di derivazionedella ϕ via via crescente. Ad esempio ha ordine infinito la distribuzione di D ′]0, 1[

〈T, ϕ〉 =

∞∑k=1

ϕ(k)

(1

k

).

Definizione B.7 - Il piu piccolo m ∈ N per cui vale la (B.1) per qualche M > 0per ogni compatto K ∈ Ω si chiama ordine della distribuzione. Se tale m non esistediciamo che la distribuzione ha ordine infinito.

Se f ∈ C1(Ω) ogni derivata parziale Dif e continua e appartiene a L1loc(Ω), quindi e

una distribuzione di ordine 1

〈Dif, ϕ〉 =

∫Ω

Difϕ dx = −∫

Ω

fDiϕdx ∀ϕ ∈ D(Ω) .

Questo esempio mostra che di ogni distribuzione se ne puo considerare la derivata diogni ordine perche in realta la funzione che dopo tutto viene derivata effettivamentee la funzione test ϕ che di derivate ne ha infinite.

Definizione B.8 - Per ogni multiindice α la derivata di una qualsiasi distribu-zione T ∈ D ′(Ω) e la distribuzione DαT ∈ D ′(Ω) definita da

〈DαT, ϕ〉 = (−1)α〈T,Dαϕ〉 ∀ϕ ∈ D(Ω) .

Esempi

B.4 La funzione di Heaviside

H(x) =

1 se x > 0

0 se x < 0

ha per derivata δ0. Infatti per ogni ϕ ∈ D(R) si ha

〈H ′, ϕ〉 = −∫R

Hϕ′ dx = −∫ +∞

0

ϕ′ dx = ϕ(0) .

B.5 Se la δ0 rappresenta una carica positiva puntiforme posta in 0 la sua derivata,la distribuzione δ′0, rappresenta un dipolo di due cariche di entita 1/h e −1/h, posterispettivamente in 0 e in h

〈δ′0, ϕ〉 = −ϕ′(0) = limh→0

ϕ(0)− ϕ(h)

h

Vediamo di spiegare meglio questi due esempi. Supponiamo che le gaussiane dellasuccessione

fh(x) =√hπe−hx

2

, h ∈ N ,

rappresentino densita di cariche elettriche distribuite (da cui il termine distribuzione)sulla retta. Al crescere di h le cariche si concentrano sempre di piu nelle vicinanze

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B.3 Gli spazi di Sobolev 101

dello 0 e i picchi delle fh sono sempre piu alti, ma la carica totale, l’integrale su R,rimane costante ed e pari a 1. Studiando come si comportano le distribuzioni associate

〈fh, ϕ〉 =√hπ

∫ +∞

−∞e−hx

2

ϕ(x) dx =1√π

∫ +∞

−∞e−y

2

ϕ

(y√h

)dy ,

si vede che per il teorema della convergenza dominata

limh→∞

〈fh, ϕ〉 = ϕ(0) = 〈δ0, ϕ〉 .

Se invece si considera la successione delle derivate delle gaussiane, integrando perparti si ottiene

limh→∞

〈f ′h, ϕ〉 = −ϕ′(0) = 〈δ′0, ϕ〉 .

Applicate le fh alla funzione test xϕ si possono interpretare come distribuzioni didipoli che si concentrano sempre di piu in 0. Osserviamo anche che le funzioni integrali

Fh(x) =

∫ x

−∞fh(t) dt

tendono alla funzione di Heaviside.Questo esempio suggerisce di considerare come nozione naturale di convergenza

delle successioni di distribuzioni quella puntuale.

Definizione B.9 - Una successione (Th) ⊂ D(Ω) converge a T ∈ D(Ω) se

limh→∞

〈Th, ϕ〉 = 〈T, ϕ〉 ∀ϕ ∈ D(Ω) .

Il prodotto di due distribuzioni non ha senso in generale, ma una distribuzionepuo sempre essere moltiplicata per una funzione di classe C∞. Infatti per T ∈ D ′(Ω)e per ogni ψ ∈ C∞(Ω) e ben definita la distribuzione

〈ψT, ϕ〉 = 〈T, ψϕ〉 ∀ϕ ∈ D(Ω) .

Abbiamo scelto come spazio delle funzioni test il piu piccolo possibile, D(Ω), in modoche vada bene per tutte le distribuzioni, per poter dare cioe una definizione generale.Tuttavia si puo sempre indagare se, caso per caso, non fosse possibile passare aduno spazio piu grande, cosı da costruire un’estensione della distribuzione. Per ledistribuzioni di ordine 0, come le misure di Radon, si puo certamente passare daD(Ω) a C0

0 (Ω), o a C0(Ω) ma non oltre, oppure a Cm0 (Ω) per quelle di ordine m.Ma l’estensione puo essere considerata talvolta anche su spazi ben piu grandi, bastacontrollare che non venga meno la disuguaglianza (B.1). Ad esempio se f ∈ Lp(Ω),con p ∈ [1,+∞[, la Tf puo essere estesa a Lq(Ω) dove q e l’esponente coniugato di p.

B.3 Gli spazi di Sobolev

Premettiamo due lemmi che saranno utili qui e nel seguito.

Lemma B.10 - Se f ∈ L1]a, b[ e∫ b

a

fϕ dx = 0 ∀ϕ ∈ D ]a, b[

allora f = 0 q.o. in ]a, b[.

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102 Cenni sugli spazi di Sobolev

Dimostrazione. Se per ogni compatto K ⊂]a, b[ applichiamo l’ipotesi ad una fun-zione cut-off che vale 1 su K si ottiene

∫Kf = 0. Ma l’integrale e nullo anche su ogni

boreliano B ⊂]a, b[, basta considerare una successione di compatti Kh ⊂ B tale chem(B −Kh) → 0 e applicare la proprieta che l’integrale e una misura assolutamentecontinua ∫

B

f dx =

∫B

f dx−∫Kh

f dx =

∫B−Kh

f dx→ 0 .

Ne segue∫Ef = 0 per ogni insieme E misurabile, dunque f = 0 quasi ovunque.

2

Lemma B.11 - Se f ∈ L1]a, b[ e∫ b

a

fϕ′ dx = 0 ∀ϕ ∈ D ]a, b[

allora esiste c ∈ R tale che f = c q.o. in ]a, b[.

Dimostrazione. L’ipotesi equivale a∫ b

a

fψ dx = 0 ∀ψ ∈ C∞[a, b] tale che

∫ b

a

ψ dx = 0 .

Sia 〈f〉 la media integrale di f su [a, b] e dimostriamo che questa e il valore costantedi f . Per ogni ϕ ∈ D ]a, b[ la funzione ψ = ϕ− 〈ϕ〉 e C∞ e a media nulla, quindi fψha integrale nullo. D’altra parte∫ b

a

fψ dx =

∫ b

a

f(ϕ− 〈ϕ〉) dx =

∫ b

a

fϕ dx−∫ b

a

f〈ϕ〉 dx

=

∫ b

a

fϕ dx− 〈f〉∫ b

a

ϕdx =

∫ b

a

(f − 〈f〉)ϕdx ,

quindi per il Lemma B.10 f − 〈f〉 = 0 q.o. in ]a, b[.2

Indichiamo con Du la derivata distribuzionale, detta anche derivata debole, di unafunzione u ∈ L1

loc]a, b[.

Definizione B.12 - Diciamo che u ∈W 1,p]a, b[ se u ∈ Lp]a, b[ e Du ∈ Lp]a, b[.

Dimostriamo adesso che gli elementi di W 1,1]a, b[ altro non sono che le funzioni diAC[a, b].

Teorema B.13 - Se u ∈ AC[a, b] allora u ∈ W 1,1]a, b[ e Du = u′ q.o. in [a, b].Viceversa, se u ∈ W 1,1]a, b[ allora esiste u ∈ AC[a, b] tale che u = u q.o. in [a, b] eu′ = Du q.o. in [a, b].

Dimostrazione. Sappiamo che ogni funzione u ∈ AC[a, b] ammette la derivata u′

quasi ovunque in L1]a, b[, dobbiamo dimostrare che∫ b

a

u′ϕdx = −∫ b

a

uϕ′ dx ∀ϕ ∈ D ]a, b[ .

La funzione v = uϕ e assolutamente continua, quindi

0 = v(b)− v(a) =

∫ b

a

v′ dx =

∫ b

a

(u′ϕ+ uϕ′) dx .

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B.3 Gli spazi di Sobolev 103

Vediamo l’implicazione contraria. Se u ∈ W 1,1]a, b[ Du ∈ L1]a, b[, quindi la suafunzione integrale

v(x) =

∫ x

a

Du(t) dt

appartiene ad AC[a, b], allora sta anche in W 1,1]a, b[ e Dv = Du q.o. in [a, b]. DalLemma B.11 segue che v − u = c q.o. in [a, b]. Bastera allora scegliere u = v − c.

2

Le proprieta viste per gli spazi Lp]a, b[ hanno delle conseguenze ovvie sugli spaziW 1,p]a, b[, per esempio 1 6 p < q 6 +∞⇒W 1,q]a, b[⊂W 1,p]a, b[, essendo W 1,∞]a, b[lo spazio delle funzioni assolutamente continue che ammettono derivata distribuzio-nale, ma a questo punto nel senso classico q.o., essenzialmente limitata, si trattacioe delle funzioni lipschitziane. Abbiamo visto che nel piu grande di questi spazi,W 1,1]a, b[, ci sono funzioni non holderiane come 1/ log x con 0 < x < 1/2, mentre glielementi di W 1,p]a, b[ con 1 < p < +∞ sono tutte funzioni holderiane con esponente1/q con q il coniugato di p. Infatti, per la disuguaglianza di Holder, se a 6 y < x 6 b

|u(x)− u(y)| =∣∣∣∣∫ x

y

u′(t) dt

∣∣∣∣ 6 ∫ x

y

|u′(t)| dt 6 ‖u′‖p|x− y|1/q .

Dobbiamo tener presente che gli elementi di questi spazi sono classi di equivalenza difunzioni, quindi quando si dice che una funzione e regolare, nel senso che e continua,lipschitziana o holderiana ecc., si deve intendere che nella sua classe ce n’e una conqueste proprieta e con la quale si puo identificare.

In dimensione maggiore, e considerando anche le derivate successive fino ad uncerto ordine m ∈ N, si definiscono nello stesso modo i vari spazi di Sobolev. Dato unaperto Ω ⊂ Rn, definiamo

Wm,p(Ω) = u ∈ Lp(Ω) | Dαu ∈ Lp(Ω) ∀α : |α| 6 m .

In altre parole e elemento di Wm,p(Ω) ogni funzione u ∈ Lp(Ω) tale che per ognimultiindice |α| 6 m esiste uα ∈ Lp(Ω) tale che

〈uα, ϕ〉 = (−1)|α|∫

Ω

uDαϕdx ∀ϕ ∈ D(Ω) .

Ovviamente W 0,p(Ω) = Lp(Ω). La norma naturale di Wm,p(Ω) e cosı definita

(B.2) ‖u‖m,p =∑α6m

‖Dαu‖p

e rispetto ad essa e uno spazio di Banach. Nel caso particolare p = 2 si ottiene unospazio di Hilbert col prodotto scalare

〈u, v〉 =∑α6m

∫Ω

DαuDαv dx .

Lo spazio C∞(Ω) e denso in ogni Wm,p(Ω) con p finito, ma, a differenza di quantoaccade in Lp(Ω), C∞0 (Ω) non lo e. Se ne consideriamo la chiusura rispetto alla norma(B.2) si ottiene il sottospazio Wm,p

0 (Ω). Non e difficile verificare che Wm,p0 (Rn) =

Wm,p(Rn).Gli spazi Wm,p(Ω) con 1 < p < +∞ sono riflessivi e quelli con 1 6 p < +∞

sono separabili. Quelli con p < +∞ coincidono con gli spazi Hm,p(Ω) definiti comecompletamento degli spazi di funzioni regolari Cm(Ω), nei quali le derivate vengonochiamate forti (per distinguerli da quelle deboli, nel senso delle distribuzioni).

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104 Cenni sugli spazi di Sobolev

Definizione B.14 - Diciamo che u ∈ Hm,p(Ω) se esiste una successione (uh) ⊂Cm(Ω) tale che ‖uh−u‖p → 0 e per ogni α 6 m la successione (Dαuh) e di Cauchy inLp(Ω), per cui esistono funzioni uα ∈ Lp(Ω) tali che ‖Dαuh−uα‖p → 0. Le funzioniuα si chiamano derivate forti di u e si indicano con Dαu.

In un lavoro del 1964 intitolato H = W Meyers e Serrin hanno dimostrato che per1 6 p < +∞ i due tupi di spazi di Sobolev coincidono. Che cio non valga nel casop = +∞, per cui H1,∞(Ω) $W 1,∞(Ω), e evidente con l’esempio u(x) = |x| su ]−1, 1[.

Lo spazio Wm,p0 (Ω), visto come sottospazio di Wm,p(Ω), ammette come duale uno

spazio piu grande. Prendiamo ad esempio W 1,20 (Ω) = H1

0 (Ω). Ogni funzionale linearee continuo puo essere visto come l’estensione ad H1

0 (Ω) di una distribuzione del tipo

ϕ→ 〈f, ϕ〉 =

∫Ω

f0ϕ+

n∑i=1

∫Ω

fiDiϕ .

Allora gli elementi fi devono appartenere a L2(Ω) e

f = f0 −n∑i=1

∂fi∂xi

= f0 − divF , F = (f1, . . . , fn) ,

nel senso delle distribuzioni. Il duale di H10 (Ω) viene pertanto indicato con H−1(Ω).

Piu in generale, W−m,q(Ω), 1/p + 1/q = 1, e l’insieme delle distribuzioni f ∈ D ′(Ω)tali che per ogni |α| 6 m esistono fα ∈ Lq(Ω) tali che

〈f, u〉 =∑|α|6m

∫Ω

fαDαu dx ∀u ∈Wm,p

0 (Ω) .

Per indicare la f si scrive f =∑|α|6m

(−1)|α|Dαfα.

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