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1 Convegno ArTeA “Materiali e Creatività nella Crisi”, VICENZA, 19 ottobre 2013 OLTRE I MATERIALI. PROCEDURE PER “TENERE INSIEME” LA DISGREGAZIONE PSICOTICA Intervento di Ilaria Bomben Non so chi sono, che anima ho. Quando parlo con sincerità, non so con quale sincerità parlo. Sono variabilmente altro da un io che non so se esiste (se è quegli altri). Sento fedi che non ho. Mi prendono ansie che ripudio. La mia perpetua attenzione su di me perpetuamente mi denuncia tradimenti d'anima di un carattere che forse non ho, ne essa crede che io possegga. Mi sento multiplo. Sono come una stanza con innumerevoli specchi fantastici che riflettono falsamente un'unica realtà precedente che non si trova in nessuno e in tutti. Come il pianista si sente albero e perfino fiore, io mi sento diversi esseri. Mi sento vivere vite altrui, in me, in modo incompleto, come se il mio essere partecipasse all'esistenza di tutti gli uomini incompletamente di ciascuno, attraverso una somma di non-io sintetizzati in un io posticcio. Fernando Pessoa, Appunti sparsi Affrontiamo questo tema partendo dal concetto di frammentazione e da alcune considerazioni sull’identità. Sappiamo che l’identità è un insieme non continuo di elementi; che c’è qualcosa che deve “tenere insieme” questi pezzi, altrimenti non potremmo percepirci come persona unica, qualcosa che integra tutte le informazioni che vengono dall’interno del corpo e dal mondo esterno, oltre che dalla nostra storia personale, illudendoci di essere un’identità unica. Qualcosa che tiene insieme e costituisce la nostra personalità, il Sé, l’agente che pensa i nostri pensieri e compie le nostre azioni. Sappiamo che un rinforzo alla percezione del Sé viene dalla relazione con gli altri. E che per interagire adeguatamente con gli altri è necessario prima avere ben fissato i confini della propria identità. Lo psicologo Antonio Damasio parla di Me-Sociale. Una funzione primaria dell’identità è costruire relazioni, ne consegue che le caratteristiche del Sé dipendano in gran parte dall’ambiente. Ci sono prove che esistono differenze marcate nelle identità, che si sviluppano ArTeA

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Convegno ArTeA “Materiali e Creatività nella Crisi”, VICENZA, 19 ottobre 2013

OLTRE I MATERIALI. PROCEDURE PER “TENERE INSIEME” LA DISGREGAZIONE PSICOTICA

Intervento di Ilaria Bomben

Non so chi sono, che anima ho.

Quando parlo con sincerità, non so con quale sincerità parlo. Sono variabilmente altro da un io che non so se esiste (se è quegli altri).

Sento fedi che non ho. Mi prendono ansie che ripudio.

La mia perpetua attenzione su di me perpetuamente mi denuncia tradimenti d'anima di un carattere che forse non ho, ne essa crede che io possegga.

Mi sento multiplo. Sono come una stanza con innumerevoli specchi fantastici che riflettono falsamente un'unica realtà precedente che non si trova in nessuno e in tutti.

Come il pianista si sente albero e perfino fiore, io mi sento diversi esseri. Mi sento vivere vite altrui, in me, in modo incompleto, come se il mio essere partecipasse all'esistenza di tutti gli

uomini incompletamente di ciascuno, attraverso una somma di non-io sintetizzati in un io posticcio. Fernando  Pessoa,  Appunti  sparsi  

Affrontiamo questo tema partendo dal concetto di frammentazione e da alcune considerazioni sull’identità. Sappiamo che l’identità è un insieme non continuo di elementi; che c’è qualcosa che deve “tenere insieme” questi pezzi, altrimenti non potremmo percepirci come persona unica, qualcosa che integra tutte le informazioni che vengono dall’interno del corpo e dal mondo

esterno, oltre che dalla nostra storia personale, illudendoci di essere un’identità unica. Qualcosa che tiene insieme e costituisce la nostra personalità, il Sé, l’agente che pensa i nostri pensieri e compie le nostre azioni.

Sappiamo che un rinforzo alla percezione del Sé viene dalla relazione con gli altri. E che per interagire adeguatamente con gli altri è necessario prima avere ben fissato i confini della propria identità. Lo psicologo Antonio Damasio parla di Me-Sociale. Una funzione primaria dell’identità è

costruire relazioni, ne consegue che le caratteristiche del Sé dipendano in gran parte dall’ambiente. Ci sono prove che esistono differenze marcate nelle identità, che si sviluppano

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in contesti culturali differenti, ciascuna con un bagagl io di memorie autobiograf iche

che contribuiscono a tenere insieme l’identità personale.1

Identità come somma delle proprie molteplici appartenenze. Sii plurale come l’universo.

“Sono state realizzate alcune ricerche su quella che può definirsi un tipo particolare di

memoria autobiografica, associata a un forte sentimento: la Nostalgia. Il sentimento della nostalgia avrebbe come scopo principale il mantenere una condizione psicologica di

continuità del Sé, un’operazione al servizio di un incremento dell’unità del Sé.

Attraverso le fantasticherie nostalgiche, la persona va avanti e indietro tra i suoi Sé individuali e collettivi, nello sforzo di esplorare e comprendere in maniera significativa, non solo la

propria rilevanza per le vite degli altri, ma anche il posto tenuto dagli altri nella propria vita.

Una funzione psicologica decisiva, che contribuisce a tenere insieme le varie identità che l’individuo sviluppa nel corso della sua vita e al tempo stesso a proteggere la salute psichica”2 Vorrei tornare sull’idea di frammentazione, di molteplice, parlando della condizione esistenziale dell’essere umano, condizione comune a tutti noi, soggetti al tempo e alla trasformazione. L’accettazione della frammentazione; che la realtà è frammentata ed è tenuta insieme dai vissuti; il senso divenire/trasformazione. Il Divenire è, secondo Eraclito, la sostanza dell'Essere, poiché ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione. È l'identità del diverso, ovvero l'elemento che unifica il molteplice (ciò che in tutte le molteplici cose è costante). Il divenire è infatti composto di opposti che convivono nelle cose. L'armonia delle cose, per Eraclito, sta proprio nel suo perenne mutamento e nel continuo contrasto tra gli opposti. Questo concetto è definito polemos ("guerra", "opposizione"), il quale permette l'esistenza di tutte le cose.

E sempre a proposito di divenire, vorrei poi riferirmi, in un accenno, a Emanuele Severino, perché c’è una sua immagine, che ci può essere utile in questa sede. La realtà, per Severino, è come la pellicola di un film: i fotogrammi esistevano già prima di passare davanti al

proiettore, e continuano ad esistere una volta che l'hanno passato; nello stesso modo gli enti

                                                                                                               1  Di  che  cosa  è  fatta  la  coscienza  di  sé,  in  Corriere  della  Sera,  7/4/2013    2  Di  che  cosa  è  fatta  la  coscienza  di  sé,  in  Corriere  della  Sera,  7/4/2013  

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esistevano già prima di apparire nel mondo, e continuerebbero ad esistere anche una volta

che non sono più percepibili.

Il divenire è allora semplicemente la percezione della compresenza, all'interno della coscienza di un determinato istante T, dell'istante presente e del ricordo dell'istante

precedente T-1 (o meglio, di tutti gli istanti T-1, T-2, T-3.... che vengono abbracciati dal

ricordo): ecco spiegata l'apparente dinamicità del reale. In altre parole, anche la coscienza è frammentata in un'inf inità di fotogrammi, ciascuno dei qual i

contiene sia l 'evento 'presente' sia i l r icordo degl i eventi 'passati'.

Ad ogni modo, quando il Sé interiore è troppo frammentato, possono insorgere

manifestazioni patologiche di depersonalizzazione, ma anche più semplicemente episodi di

ansia, depressione e difficoltà di integrazione sociale, fino alla perdita di contatto con la realtà. Affrontiamo qui il concetto di Psicosi, come lo interpreta la psicoanalisi, e cioè come una rottura dell'Io con la realtà esterna, dovuta alla pressione dell'Es sull'Io. L'Io cede all'Es per poi recuperare parzialmente la costruzione di una propria realtà attraverso il delirio, recuperando il rapporto oggettuale (Freud). Questo disturbo psichiatrico, caratterizzato da una grave alterazione dell'equilibrio psichico dell'individuo, con compromissione dell'esame di realtà, è inquadrabile da diversi punti di vista a seconda della lettura psichiatrica di partenza e quindi del modello di riferimento.

Dal punto di vista psicopatologico, sintomi psicotici sono ad esempio i deliri, le allucinazioni, l'autismo, la perdita dei nessi associativi (a livello del pensiero e di organizzazione comportamentale), la presenza di modalità primarie di pensiero, la comparsa di un disturbo

depressivo senza una sua corrispondenza psicologica causale (depressione endogena) o ipertimico marcato (mania), disturbi della coscienza dell'Io, disturbi della psicomotilità (catatonia), disgregazione profonda del la personal ità etc. Per proseguire il nostro ragionamento tocchiamo il concetto di Bel lo in Lacan.

Jaques Lacan considera l’Arte come pratica simbolica finalizzata a trattare l’eccesso ingovernabile del reale. Nella sua estetica in gioco c’è "l'organizzazione", la "circoscrizione", la "bordatura", la

"velatura" della Cosa, il reale, che essendo irrappresentabile in sé, può essere infatti

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rappresentata solo come "Altra Cosa". E' qui che Lacan convoca la sublimazione come

modalità di differenziazione "di" e "da" das Ding.

In questo senso Lacan teorizzando il bello come barriera nei confronti del reale, sembra riprendere il Freud de Il poeta e la fantasia, laddove riconosce alla vera "ars poetica" la

capacità di rendere sopportabile il disgustoso e il ripugnante.

Ma il bello come difesa dal reale, non è la stessa cosa della rimozione tout court del reale. La dialettica tra bello e reale sviluppata da Lacan nel Seminario VII ricalca quella nicciana tra

apollineo e dionisiaco sviluppata ne La nascita della tragedia, ma riprende altresì l'idea

freudiana di fondo secondo cui non è mai la liberazione immediata dell'inconscio a rendere possibile la creazione artistica, quanto piuttosto la sua velatura simbolica [9].

Nondimeno il bello, per preservare la sua forza estetica, deve essere in rapporto al reale; la

bellezza è un velo apollineo che deve far presentire il caos dionisiaco che pulsa in essa. Lacan pensa al bello come forma, come efficacia simbolico-immaginaria della forma. E, ripetiamolo, l'efficacia della forma risulta proprio dal suo prendere una certa distanza dalla realtà inquietante della Cosa. Il bello è un velo necessario che ricopre il Terrificante del reale. Ma questo velo non è una semplice copertura, una cancellazione o, addirittura, una negazione (o una rimozione) della realtà. Il Bello non è per Lacan la dimensione di una pura armonia formale—il bello non è la rimozione del brutto del reale—ma è un modo di sperimentare una distanza estetica dal reale della Cosa.

In altri termini non c'è opera d'arte che non implichi un'attività di sublimazione, ovvero una mediazione, una difesa dal reale “una bordatura significante intorno al vortice del reale”. (Il modello filosofico sembra essere, come ho già segnalato, quello della Nascita della

tragedia di Nietzsche e, in particolare, dell'elaborazione che definisce la dialettica tensionale tra dionisiaco e apollineo. L'apollineo nicciano contorna il caos dionisiaco come l'opera d'arte in Lacan contorna il vuoto di das Ding. L'apollineo preserva la barriera della bellezza. L'orrore della vita non annienta la vita, perché il bello è una protezione—per Nietzsche una sorta di balsamo analgesico—che protegge la vita.

Nella prima estetica di Lacan la bellezza sembra effettivamente riflettere questo tratto nicciano: il Bello è una barriera nei confronti della Cosa; l'opera è freudianamente una velatura dell'inconscio.3)

                                                                                                               3  Massimo Recalcati, Le tre estetiche di Lacan, in www.lacan.com

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E quindi veniamo all’arteterapia…

L’arte è rigorosa.

Il codice artistico è strutturante.

L’Espressione è intesa come creazione di forme per parlare di sé. La valutazione estetica della realtà, che si mette in atto in un percorso di arteterapia, può

essere interiorizzata dal paziente: questo è l’aspetto riabilitativo dell’arteterapia.

Torna in mente la teoria di Winnicott per cui la capacità di usare lo spazio transizionale rappresenta lo scopo ultimo dello sviluppo umano e significa essere capace di “Vivere

creativamente” e “sentirsi reali”4.

La tecnica del collage, “poetica del frammento”, si offre all’atelier di arteterapia come possibilità di affrontare la disgregazione. Ne “Il Collage in Arteterapia” Achille De Gregorio individua due delle parole chiave del medium collage, nel “meravigliare” e nel porre “interrogativi”, specificando così l’aspetto, nel collage, dell’incubo e della comunicazione. “il collage nasce sulla spinta di un dato psichico delirante e di relazione”5 L’inserimento di simboli ed elementi bizzarri in un’immagine, fa venire in mente il concetto di Oggetto bizzarro in Bion, per definire la modalità in cui si struttura il delirio nella psicosi. “Secondo Bion infatti nella fantasia le particelle dell’Io espulse continuano a condurre una loro vita autonoma e incontrollata fuori della personalità con la conseguenza che la persona si sente circondata da “oggetti bizzarri”, appunto.6 La formazione delirante, che noi consideriamo il prodotto della malattia, costituisce in verità il tentativo di guarigione, la ricostruzione. Il delirio sembra essere l’unico modo, per lo psicotico,

per provare ad avere dei minimi contatti con il ‘mondo delle cose’.7 Ovviamente la terapia attraverso il collage, non favorirà certo lo stare nel delirio del paziente,

ma si concentrerà invece sull’azione del “tenere insieme” i frammenti, strutturando

                                                                                                               4  D. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore  5  A.De Gregorio, Il Collage in Artetrapia, Milano 2006, ArTeAEditing  6  Giuseppe Pansini, Psiche nella città dell’arte 7  Alessia Gionta www.dialogopsicologia.it/articoli/psicoanalisi/Psicosi_e_delirio

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sensatamente l’immagine, creando quella “bordatura significante intorno al vortice del reale”

(Lacan), che abbiamo citato sopra.

Creare il fondale, la scenografia, l’ambiente, insieme alle velature, ai ritocchi, costituiscono le procedure con cui si sviluppa la creatività del paziente e in cui si gioca l’azione terapeutica.

L’arte è un’area transizionale, un’area intermedia, un’area di gioco dove può svilupparsi la creatività e la terapia a mediazione artistica, nel “fare artistico”, propone oggetti transizionali,

frammenti di realtà, per avvicinarsi alla realtà in maniera soggettiva.

Nella relazione terapeutica si mettono in relazione l’“area di gioco” del paziente e del terapeuta, privilegiando un approccio di tipo empatico, necessario specialmente con pazienti

che hanno difficoltà nel mettere in relazione realtà psichica interna e realtà esterna.

(“Il terapeuta deve offrire al paziente schizofrenico una terapia supportiva-espressiva, nella quale dovrà omettere la ‘Fase Interpretativa’ perché impossibile da attuare con questo tipo di pazienti per privilegiare la ‘Fase Empatica’; quindi mettere in primo piano la relazione con l'altro da sé; una relazione che, in quanto prescinde inizialmente dalla parola, è empatica, ossia si svolge nell'incontro intersoggettivo degli individui che partecipano alla relazione stessa”). Il collage più che mai si presenta come medium relazionale, proprio perché prevede una elevata partecipazione dell’arteterapeuta, sia nella preparazione dei materiali (immagini, riviste, ritagli classificati per temi Nutrire l’immaginario…), sia nell’accompagnamento tecnico

(trucchi, modalità di incollaggio…). Una particolare modalità, che sembra molto ben testimoniare quanto diciamo, perché si

presta a potenziare la funzioni di “tenere insieme” è l’uso della pittura nel collage. L’immaginario disgregato, frammentato, del disagio psicotico, sperimentato nella tecnica del collage, viene “tenuto insieme”, aggregato dalla materia pittorica, sostenuto e inserito in un ambiente che permette l’aggancio con una realtà tollerabile, possibile, credibile.

(La pittura ha sempre fatto parte del collage, in numerose declinazioni, fin dagli albori di questa tecnica, e in molti artisti, in particolare illustratori di oggi, è una tendenza molto diffusa.)

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Ciò che riguarda questo particolare uso della pittura, secondo la teoria sul collage elaborata

da Achille De Gregorio, va ricercato nelle valutazioni sul sistema del le velature, “ritocchi e

sfumature, che sono quasi sempre necessari nei col lage ad uso terapeutico (a differenza del collage fatto dai professionisti). Tempera bianca oppure Strisce di rotoli di carta igienica e

scottex (normalmente non tinta né di spessore) da spennellare con la colla, da usare per un

angolo da abbassare, porre in secondo piano, attenuare… è una risorsa vera e propria per aggiustare qualsiasi particolare dirompente o invadente”.8

Si osserva che è lo sfondo, la parte del collage in cui la pittura, quando c’è, trova maggiore spazio; rappresenta dunque una delle soluzioni tecniche (presente nel collage fin dagli albori

di questa tecnica) di risolvere il problema del fondale. Focalizzando l’indagine sulla materia

pittorica (pastelli, crete colorate, tempere, acquerello, olio o più frequentemente i colori acrilici) possiamo individuare una serie di funzioni, che il colore assume nei collage: Amalgamare: l’immagine viene inglobata in un contesto materico, in cui la materia è il colore; l’immagine viene addomesticata, nella ricerca di una coerenza linguistica, che Antonello Silverini definisce “intonazione”. L’intonazione, si può intendere più strettamente come una “questione di toni”, ovvero di sfumature, di gradazioni: intervenire col colore su immagini provenienti da cataloghi, materiali, contesti differenti, per armonizzarli tra loro e costruire un’atmosfera coerente. L’innalzamento del valore estetico sappiamo essere un

passaggio fondamentale del percorso terapeutico….. Integrare, aggiungere: la possibilità di “correggere” l’immagine, modificarla, inventando

prolungamenti, decori, completare, dilatare, amplificare l’immagine, partendo anche solo da un piccolo frammento, che a quel punto diventa un dettaglio della nuova immagine creata, fungendo da “miccia”. Scrive Achille De Gregorio: “proporre virate ironiche, surreali o incredibili (nel senso di non credibili realisticamente) darà la possibilità di frenare l’emergere dell’angoscioso e del delirante”. Ecco dunque un’altra procedura, un altro strumento nelle

mani dell’arteterapeuta ,per aiutare il paziente a “tenere insieme”, a contenere;

                                                                                                               8  A.De Gregorio, Il Collage in Artetrapia, Milano 2006, ArTeAEditing  

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Ambientare / integrare: la pittura rende più scorrevole, favorisce il veloce riempimento

dello spazio, tamponando forse l’ansia di collocare presto l’immagine. Abbiamo visto come le

procedura canonica preveda l’accurata preparazione dei fondali pittorici, prima dell’incollaggio delle figure; ma molto spesso successivi interventi della pittura possono a

volte ribaltare i piani. Favorisce, velocizza, situazioni bloccate (ovviamente l’arteterapeuta

saprà valutare la necessità di favorire o frenare questo movimento); di nuovo il verbo “integrare”, per descrivere questa volta la possibilità di ampliare un frammento, componendo

ambientazioni molto personali;

Tenere insieme / creare connessioni: in molte opere le pennellate diventano il legame

concreto tra le immagini, torna la teoria di Bateson dello spazio come “struttura che

connette”; viene anche in mente – ad esempio guardando all’opera di Rauschemberg – l’espressione inglese “Cut&Paste”, per definire il papier collé, dove “paste”non ha altro significato che incollare, ma richiama un’azione molto materica e corporea di impasto, che ci da una lettura rispetto all’esecuzione dell’opera, al coinvolgimento corporeo. Mettere a fuoco, evidenziare: molto diffusa è la soluzione di evidenziare la figura, spesso centrale, con il colore, creando una sorta di alone, di aurea, che la distingue dal fondo, da cui l’immagine si staglia. Mettere a fuoco, mettere in luce; ma anche forse definire o trattenere, bloccare;

Nascondere, r i tagl iare: in questo aspetto emerge prepotentemente il valore di “arma di difesa” (e con effetto immediato, direi) che può avere la pittura: può “coprire adeguatamente

e ritoccare le immagini problematiche”. Altre procedure, vicine al collage – anzi in qualche modo derivanti – che ben si prestano a lavorare sull’aggregazione, sull’assemblaggio, sul “tenere insieme”, sono forme d’arte che comunemente si possono definire “tecnica mista”, un calderone in cui si trova un po’ di tutto;

e quando ci si immerge è necessario tenere in mente gli avvertimenti di Achille De Gregorio, rispetto alle “contaminazioni” tra le tecniche e ai rischi di perdersi in “sperimentazioni creative ed effetti speciali”9, poco utili ai fini di un percorso di arte terapia.

                                                                                                               9  Achille De Gregorio, Il Collage in Arteterapia, Milano 2006, ArTeA editing  

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Ma da alcune di queste forme d’arte è possibile ricavare spunti e soluzioni potenzialmente

utili in atelier di arte terapia.

E queste sono le opere di molti artisti e illustratori di oggi che si muovono, tra il libro d’artista, il collage tridimensionale.

Queste particolari soluzioni formali sono molto interessanti, perché rappresentano per

l’arteterapeuta spunti concreti, per accompagnare il paziente – quando il percorso terapeutico lo richiedesse – per esempio nell’esplorazione della terza dimensione.

Certamente si tratta di modalità piuttosto complesse dal punto di vista della progettazione, sofisticate e di lunga realizzazione, ma anche quando è l’arteterapeuta a vicariare, anche solo

in parte, il paziente nella confezione dell’oggetto, del manufatto artistico (per quanto riguarda

ad esempio per disabilità gravi o anziani), ha comunque più valore la procedura che si mette in atto (il contenimento, l’architettura, la narrazione, la relazione…). Il carattere molto intimo, confidenziale e allo stesso tempo ludico di queste immagini, ci traghetta al mondo dello scrapbooking, una tecnica che stiva, contiene, raccoglie in un oggetto tascabile, quotidiano, materiali elaborati con la tradizionale tecnica del collage, ma in un supporto diverso, una base che si presta a essere “contenitore”, un oggetto che può avvicinarsi all’idea di “album di famiglia” da un lato e di “diario segreto adolescenziale”, dall’altro.

Torna il discorso che facevamo all’inizio sul sentimento della nostalgia, come operazione al servizio di un incremento dell’unità del Sé. Come troviamo scritto nel sito dell’associazione italiana degli appassionati di questa tecnica,

“lo scrapbooking, per gli amici scrap, è un modo di raccontare una storia, fermare un momento felice, ricordare una persona cara, ringraziare chi amiamo, mettere nero su bianco i nostri sogni e le nostre aspettative per il futuro”10, persino. (Ripensiamo a quanto detto sopra in merito alla funzione della nostalgia come un’operazione al servizio di un incremento dell’unità del Sé)

Lo scrapbooking ci parla comunque delle caratteristiche di una potenziale utenza (donne, adolescenti…), presentandosi come possibilità di un lavoro molto personale, sui propri ricordi, sogni e desideri. Al contrario le derive commerciali, sempre più diffuse nel mondo

                                                                                                               10  www.associazionescrapbookingitalia.org

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dell’hobbistica, che propongono una serie di materiali e strumenti, sempre nuovi, per

realizzare un assemblaggio prefabbricato, sono interessanti dal punto di vista dello studio del

fenomeno, ma possono difficilmente – a mio parere - considerarsi esperienze di valore, dal punto di vista arte terapeutico.

Concludendo ritorniamo al titolo dell’intervento. Oltre i materiali, dunque, per sottolineare ancora una volta che è proprio nelle procedure, che

sta la terapia.

In atelier il paziente, insieme all’arteterapeuta, sperimenta la capacità di architettare, di comporre l’immagine, di creare un contenitore all’immaginario frammentato e allo stesso

tempo di ritoccare, velare, domare i contenuti angosciosi: che il paziente, con l’aiuto del

terapeuta, “per contenere il malessere e tutelare il percorso di trasformazione”11 //

                                                                                                               11  Achille De Gregorio, Il Collage in Arteterapia

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