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Bruno Tassone – Gianvito Boccone - Comunione e Separazione
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).
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Indice
1. INTRODUZIONE ......................................................................................................................................... 3
2. BENI COMUNI .......................................................................................................................................... 5
3. COMUNIONE DE RESIDUO O DIFFERITA ............................................................................................... 13
4. BENI PERSONALI (ART. 179 C.C.) .......................................................................................................... 17
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 26
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1. Introduzione
La comunione legale è il regime legale dei rapporti patrimoniali della famiglia scelto dal
legislatore della riforma del diritto di famiglia del ’75 e introdotto appunto con la legge n. 151 del
19 maggio 1975 nel Codice Civile, segnatamente al Libro I delle persone e della famiglia, titolo IV
del matrimonio, capo VI del regime patrimoniale della famiglia.
Si è in tal modo voluto favorire l’interesse unitario della famiglia attraverso la valorizzazione
del contributo, non solo economico, di entrambi i coniugi al benessere comune (contributo che
può consistere nella cura e dedizione alla crescita ed educazione dei figli, nelle rinunce e nei
sacrifici di uno dei coniugi al proprio sviluppo professionale a favore delle attività prestate
nell’interesse della famiglia e anche nel contributo morale all’equilibrio della famiglia attraverso ad
esempio il sostegno al partner).
La finalità del legislatore, che riflette certamente una evoluzione culturale che riconosce il
fondamentale ruolo della donna all’interno della famiglia, è stata dunque quella di promuovere e
favorire la solidarietà all’interno della famiglia stessa riconoscendo una parità dei coniugi nella sua
gestione morale ed anche economica.
Il regime di comunione legale tutela inoltre il valore pubblicistico dell’interesse della famiglia
attraverso la destinazione dei beni al mantenimento della famiglia, all’istruzione e all’educazione
dei figli e al soddisfacimento di ogni altra obbligazione contratta nell’interesse della famiglia (art.
186, lett. c, c.c., obblighi gravanti sui beni della comunione).
Il regime quindi determina una attribuzione del bene comune per metà all’altro coniuge
oltre che una pari opportunità di amministrazione dei beni comuni (disciplinata dall’art. 180 c.c.).
L'attribuzione del ruolo di regime legale implica che la comunione di beni si applica
qualora difetti un accordo tra i coniugi relativo ad un diverso assetto dei rapporti patrimoniali.
Il regime non è dunque necessario in quanto derogabile attraverso la scelta del regime di
separazione, che può anche essere dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio (art. 162
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c.2, c.c.) e modificabile dai coniugi attraverso la stipula per atto pubblico di una convenzione
matrimoniale (artt. 159 e segg. c.c.), cioè di un accordo diretto a modificare, nei limiti previsti
dall’art. 210 c.c. , il regime legale di comunione, ovvero a escluderne l’applicazione applicando il
regime di separazione o alla stipula di un regime atipico.
La comunione legale non ha inoltre carattere di universalità essendone escluse varie
categorie di beni.
Nell’ambito di questa tipologia di regime patrimoniale possono infatti distinguersi due
momenti di operatività connessi a due sistemi di beni, ravvisandosi insieme a quelli
immediatamente comuni, quelli di residuo (o de residuo), destinati ad essere ricompresi nella
comunione legale per la parte residua al momento dello scioglimento della comunione, relativi
alla comunione differita dei frutti (art. 177, lett. b, c.c.), dei proventi derivanti dall’attività separata
di ciascuno dei coniugi (art. 177, lett. c, c.c.), delle aziende gestite da entrambi i coniugi e
costituite dopo il matrimonio (art. 177, lett. d, c.c.) e degli incrementi dell’impresa (art. 178, c.c.).
Non rientrano come vedremo nella comunione legale i beni personali di proprietà esclusiva
di ciascuno dei coniugi.
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2. Beni comuni
Secondo l’art. 177 lett. a, c.c., costituiscono oggetto della comunione: gli acquisti compiuti
dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai
beni personali.
L’art. 177, lett. a, c.c. delinea come visto la categoria di beni che cadono in comunione
immediata, prevedendo che qualora un bene venga acquistato in regime di comunione legale
tra i coniugi, congiuntamente o separatamente, la titolarità del diritto di proprietà sul bene
acquisito spetta a ciascuno di essi.
Ai fini della precisazione dell’oggetto della comunione legale è necessario in primis chiarire
che l’espressione “acquisti”, contenuta nella norma citata, utilizzata in senso non tecnico, indica
più precisamente i diritti acquistati.
L’interpretazione sistematica della norma consente di affermare che tra questi diritti sono
compresi la proprietà e i diritti reali di godimento, come si deduce argomentando a contrario, dal
tenore letterale dell’art. 179, lett. a, c.c. che escludendo dalla comunione “i beni di cui, prima del
matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di
godimento”, implicitamente afferma quali cadano in comunione legale.
Si ritiene inoltre che possano essere considerati beni comuni le aziende costituite dopo il
matrimonio quando siano entrambi i coniugi a gestirle e le quote di società di capitali.
Costituiscono nuovi acquisti i diritti pervenuti ai coniugi in base ad un’operazione
economica che comporti l’ingresso stabile di un nuovo cespite nel patrimonio dell’acquirente, non
anche quei diritti il cui ingresso nel patrimonio consista un momento transitorio di un’operazione
economica complessa dalla quale deriva la facoltà o l’obbligo di restituzione o ri-trasferimento dei
beni, come ad esempio nei contratti di mutuo, mandato, o per persona da nominare.
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Non rientrano inoltre nel concetto di acquisto le risorse pervenute ad un coniuge finalizzate
al perseguimento di scopi non comuni all’altro, come nei casi di assegni alimentari, usufrutto legale
sui beni di un figlio di un solo coniuge.
La soluzione appare pacifica in giurisprudenza1.
Da questa affermazione la stessa Corte fa ad esempio derivare, in un caso specifico
riguardante un contratto preliminare di vendita stipulato da uno dei coniugi, che l’altro coniuge
non è legittimato - sostituendosi al primo - a proporre la domanda di esecuzione specifica ex art.
2932 c.c. (Cass. civ., 27.1.95, n. 987).
Ancora, sulla base del principio detto, in forza del quale cadono in comunione immediata
solamente i diritti reali, viene esclusa dalla giurisprudenza di merito la caduta in comunione del
diritto di uno dei coniugi nei confronti del datore di lavoro relativo al trattamento di fine rapporto
non ancora percepito (App. Milano 4.4.1997, RDMP, 1998, 74).
Di poi, nel caso di acquisto da parte di un coniuge di un autoveicolo la Corte di Cassazione
stabilisce che non è necessario il consenso dell’altro coniuge in regime di comunione legale dei
beni (art. 159 c.c.), essendo sufficiente la dichiarazione autenticata del trasferimento verbale del
venditore per l'iscrizione o la trascrizione nel P.R.A. (artt. 13 e 16 R.D. 29 luglio 1927 n. 1814).
Tale bene tuttavia, in occasione dell’acquisto da parte di un coniuge, entra
automaticamente nel patrimonio di entrambi, pur essendo consumabile e oneroso, salvo che il
giudice del merito, con valutazione insindacabile in sede di legittimità, ne accerti la natura
personale (Cass. civ., 9.11.00, n. 14575, GIUS, 2001, 452).
Il meccanismo di acquisizione automatica alla comunione disciplinato dall’art. 177, lett. a,
c.c., opera dunque, secondo i principi giurisprudenziali su esposti, solo nel momento in cui si
1 La Corte di Cassazione ha al riguardo affermato che “la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177, c.c., riguarda gli
acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà della res o la costituzione di diritti reali sulla medesima,
non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali per la loro stessa natura relativa e
personale, pur se strumentali rispetto all’acquisizione di una res, non sono suscettibili di cadere in comunione” (Cass. civ.,
18.02.99, n. 1363; conforme Cass. civ., 4.03.03, n. 3185).
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produce l’effetto traslativo (cfr. Cass. civ., 17.12.1993, n. 12523, NGCC, 1994, I, 651; Cass. civ.,
23.9.1997, n. 9355, Corr. G, 1998, 68).
Sull’interpretazione del termine acquisti la dottrina ha adottato tesi diverse, aderendo
alcuni all’orientamento giurisprudenziale che ritiene che oggetto della comunione possano essere
solo i diritti reali, ma altri sostenendo, diversamente, che non si possano escludere i diritti di credito
e che gli acquisti comprendano ogni diritto la cui acquisizione si risolva in un investimento, ovvero
distinguendo sulla base della stabilità dell’acquisto rispetto al patrimonio comune.
A sostegno della prima opinione si argomenta che i diritti di credito, per la loro natura
strumentale, relativa e personale, una volta sorti in capo ad un coniuge non possono considerarsi
trasferiti ex lege alla comunione (Schlesinger in Comm. dir. It. Fam. III); che il diritto di credito
generalmente si inserisce in un rapporto complesso nel quale, a fronte della posizione attiva, il
creditore assume un obbligo e quindi non avrebbe senso prevedere la comunione del credito
senza disciplinare la situazione giuridica del debito ad esso correlato (Russo, L’Oggetto della
Comunione Legale e i Beni Personali, in Comm. Schlesinger).
La dottrina che invece afferma che qualsiasi diritto, acquistato dopo il matrimonio, diviene
comune (Oppo, in La Riforma del Diritto di Famiglia Dieci Anni Dopo), ritiene che il legislatore parli
in modo generico di acquisti e che quindi l’interprete non possa distinguere fra acquisti di diritti
reali e acquisti di diritti di credito proprio perché il legislatore non ha operato distinzioni.
Si è argomentato inoltre che il termine acquisto identifica l’ingresso stabile di un nuovo
cespite nel patrimonio dell’acquirente, per cui esulerebbero dalla nozione indicata tutte quelle
fattispecie di acquisizione di un diritto attraverso una più ampia operazione negoziale, che importi
per il destinatario l’ulteriore obbligo o facoltà di trasferire, restituire od impiegare l’oggetto
dell’acquisto a vantaggio di beni personali.
In questo senso si è escluso che costituiscano nuovo acquisto le modificazioni dei beni, quali
miglioramenti e ristrutturazioni, poiché non si traducono in un nuovo cespite, autonomamente
valutabile (Auletta, in Bianca, a cura di, La Comunione Legale).
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Riguardo all’oggetto e alle modalità, si ritiene che il termine acquisti possa essere riferito sia
agli acquisti a titolo originario sia quelli a titolo derivativo.
Sulla questione vi sono diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali che traggono
argomenti sia dal tenore letterale della norma sia dalla ratio dell’istituto della comunione legale.
Una prima impostazione nega la caduta in comunione dei diritti acquistati a titolo originario
basando la propria interpretazione sull’aggettivo “compiuti”, che la norma stessa riferisce agli
acquisti, implicando tale espressione che il legislatore abbia inteso riferirsi solo alle ipotesi in cui uno
od entrambi i coniugi siano parti o destinatari di un atto giuridico operativo dell’attribuzione
patrimoniale (acquisti derivativi onerosi).
La tesi trova conferma anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione2.
La seconda interpretazione ritiene rilevante che la norma in esame parli semplicemente di
acquisti, perché ciò consentirebbe di giustificare l’inesistenza di ostacoli in merito alla caduta in
comunione di tutti i beni acquistati durante il matrimonio a qualunque titolo, purché siano
suscettibili di valutazione economica.
Questo orientamento è ritenuto maggiormente condivisibile, perché più aderente alla ratio
del regime legale della comunione legale e, in particolare, alla solidarietà tra i coniugi.
L’esclusione dall’oggetto della comunione legale degli acquisti a titolo originario sembra
porsi in contrasto con la finalità dell’istituto della comunione legale di promozione e di garanzia di
una situazione di parità patrimoniale tra i coniugi.
2 Nel senso che “nel regime di comunione legale, la costruzione realizzata durante il matrimonio su suolo di proprietà di uno
dei coniugi, appartiene esclusivamente a questo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione, a titolo
originario e, pertanto, non costituisce oggetto della comunione medesima, ai sensi dell'art. 177, 1°co., lett. b, c.c., che
prevede il diverso caso di un acquisto negoziale, e quindi a titolo derivativo, da parte di un coniuge. Peraltro, quando la
costruzione sia stata eseguita sul suolo di proprietà esclusiva di un coniuge con impiego di denaro comune, il coniuge che si
è giovato dell'accessione sarà tenuto a restituire alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per eseguire
l'edificazione a norma dell’art. 192, 1° co., c.c., mentre, nel caso in cui nella costruzione sia stato impiegato denaro
appartenente in via esclusiva all'altro coniuge, a quest’ultimo spetterà il diritto di ripetere le relative somme ai sensi dell’art.
2033 c.c.”, Cass. civ., 14.3.92, n. 3141, GC, 1992, I,1732.
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In definitiva si ritiene che la genericità della norma non consenta una scelta assoluta nei
confronti di una delle soluzioni prospettate e che sia preferibile accertare nei singoli casi la
compatibilità dell’acquisto con il regime di comunione legale.
§
Un’ulteriore precisazione è necessaria relativamente alle modalità di acquisto dei beni per
le quali la norma contempla due casi distinti e cioè quello dell’acquisto congiunto, che cade in
contitolarità secondo i principi generali dell’ordinamento, e quello dell’acquisto operato
individualmente.
L’intervento congiunto dei coniugi si verifica nei casi in cui entrambi concludono il contratto
o realizzano l’attività necessaria alla produzione dell’acquisto di un diritto a titolo originario. La
stipulazione del negozio può anche essere effettuata da uno solo dei coniugi, in rappresentanza
dell’altro.
Il problema si pone nel caso di acquisti compiuti singolarmente da ciascun coniuge e
riguarda il modo di operare dell’acquisto a favore della comunione legale e dell’altro coniuge.
In una occasione la Corte di Cassazione, esaminando un caso di acquisto di immobile da
parte di uno solo dei coniugi, con denaro proprio e con consenso dell’altro all’acquisto esclusivo,
chiarisce la portata dell’articolo 179, 2° co., c.c., letto in connessione con la regola generale della
comunione incidentale dei beni fra coniugi (art. 177, 1° co., lett. a, c.c.) nel modo che segue.
Si premette che in regime di comunione legale dei beni fra coniugi, i beni acquistati con
proventi dell’attività separata – cioè anche con denaro proprio – di uno di loro, entrano
immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, in base alla regola generale
stabilita dall’articolo 177, 1° co., lett. a, c.c., per cui gli acquisti compiuti dai coniugi durante il
matrimonio fanno parte della comunione incidentale, salvo che si tratti di beni “personali”, le cui
categorie sono tassativamente indicate dal successivo articolo 179.
Pertanto, la qualità di bene “personale” e la conseguente esclusione della comunione, nel
caso preveduto dall’articolo 179, 1° co., lett. f, c.c., non conseguono per il semplice fatto che il
bene sia stato acquistato con denaro proprio di uno dei coniugi: essendo invece necessario,
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affinché tale esclusione si verifichi, che l’acquisto sia stato effettuato con denaro proveniente dalla
vendita di beni personali (Cass. n. 9355/97) o mediante la permuta con altri beni personali (Cass. n.
1556/93).
La circostanza dell’appartenenza esclusiva al marito del denaro necessario per l’acquisto
non costituisce, dunque, elemento sufficiente, ai sensi del combinato disposto delle norme sopra
citate, per escludere l’immobile acquistato, e destinato ad abitazione familiare, dalla comunione
legale fra coniugi (Cass. civ., 27.2.03, n. 2954).
La partecipazione al contratto del coniuge (formalmente) non acquirente, ed il suo
eventuale assenso esplicito all’acquisto personale da parte dell’altro, non sono considerati dalla
legge, rettamente interpretata, elementi sufficienti, di per sé, ad escludere l’acquisto dalla
comunione coniugale (cfr. Cass. civ., 27.2.03, n. 2954).
La Corte dunque dimostra di aderire all’orientamento dottrinale che esclude l’efficacia
negoziale della dichiarazione resa dal coniuge non acquirente al momento della stipula dell’atto,
e invece attribuisce alla stessa solamente un carattere ricognitivo degli effetti della dichiarazione,
non sufficiente però ad attribuire carattere personale al bene in caso di mancanza dei necessari
requisiti di legge tassativamente elencati dall’art. 179, c.c.
Le Sezioni Unite sono infine intervenute sull’argomento, confermando la tesi di cui alla
importante sentenza su riportata, con la sentenza n. 2275 del 28.10.2009.
§
In ultimo, secondo l’art. 177 lett. d, c.c., le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite
dopo il matrimonio costituiscono oggetto della comunione.
Perché l’azienda coniugale si realizzi è necessaria una cogestione da parte di entrambi i
coniugi.
Non sono ricomprese altre forme di collaborazione, anche se continuativa e di rilevo, né
altri tipi di apporti, come finanziamenti, partecipazioni, garanzie.
Gestione dell’azienda significa partecipazione alle scelte imprenditoriali,
all’amministrazione, al controllo.
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L’azienda è un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa
(art. 2555, c.c.). Tra azienda e impresa c’è un rapporto di mezzo a fine.
Il bene può qualificarsi come aziendale solo in quanto destinato dall’imprenditore
all’esercizio dell’azienda.
Può dunque sussistere una dissociazione fra titolarità dell’impresa e proprietà degli strumenti
di produzione.
Il rapporto della gestione dell’azienda con la comunione legale è distinto a seconda che
l’azienda sia gestita separatamente o da entrambi i coniugi.
Solo in questo ultimo caso i profitti e gli incrementi cadono in comunione immediata.
L’attività di gestione separata può senza dubbio considerarsi attività separata del coniuge
ai sensi dell’art. 177, lett. c, c.c. e, conseguentemente, l’azienda così gestita non può cadere in
comunione immediata, anche se costituta successivamente al matrimonio, a meno che sia stata
costituita con l’impiego di denaro o beni della comunione.
Questa soluzione si differenzia rispetto a quella valevole nel caso di beni destinati
all’esercizio di attività separata per l’attitudine dell’attività di impresa ad attrarre risorse e a
costituire oggetto di reinvestimento degli utili prodotti (AULETTA, in Bianca, a cura di, La Comunione
Legale).
Riassumendo, se l’azienda è costituita con l’impiego di beni comuni ma è gestita
separatamente dal coniuge, i beni destinati all’esercizio rimangono comuni, gli incrementi e i
profitti spettano al coniuge che svolge l’attività imprenditoriale e all’altro coniuge spetta la
comunione de residuo sui profitti e gli incrementi e la remunerazione per l’utilizzo dei beni a lui
comuni. Nel caso invece in cui l’azienda è un bene personale e gestita separatamente nulla
questio, essa rimane di sua esclusiva proprietà.
L’altro coniuge avrà diritti esclusivamente, al momento dello scioglimento della comunione,
sulla comunione de residuo degli incrementi e degli utili (art. 178 c.c.).
Così anche se la costituzione o l’acquisto dell’azienda avviene dopo il matrimonio da parte
di uno dei coniugi con mezzi personali e viene gestita separatamente, l’azienda e beni destinati
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all’esercizio dell’impresa non cadono in comunione immediata. In questo caso l’azienda rimane di
proprietà del coniuge che la gestisce autonomamente e a lui spettano gli utili e gli incrementi
dell’attività separata. Allo scioglimento della comunione all’altro coniuge spetteranno metà degli
incrementi e dei profitti non consumati e metà dei beni destinati all’esercizio dell’impresa (artt. 177,
lett. c e 178 c.c.).
Nel regime della comunione legale tra i coniugi, perché i benefici acquistati da uno dei
coniugi cadano in comunione cosiddetta de residuo, ovvero solo al momento dello scioglimento
della stessa e non al momento del loro acquisto, e nei limiti in cui sussistano a tale momento, è
sufficiente che siano destinati all'esercizio dell'impresa, ancorché di tale destinazione non si faccia
menzione nell'atto di acquisto, con la conseguenza che tali beni, destinati all'uso predetto, sono
liberamente aggredibili, prima di tale evento, da parte dei creditori del coniuge acquirente (Cass.
civ., 21.5.97, n. 4533).
Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio
ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
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3. Comunione de residuo o differita
Come detto, la comunione legale dei beni contempla una categoria di beni destinati a
divenire comuni che sussistano (non siano stati consumati) nel patrimonio dei coniugi quando si
verifichi lo scioglimento del regime di comunione legale.
I frutti di cui all’art. 177 lett. b) c.c. sono i frutti naturali contemplati dall’art. 820, 1° comma,
c.c. (i frutti naturali sono quelli che provengono direttamente dalla cosa, a prescindere dal
concorso dell’opera dell’uomo, ad esempio prodotti agricoli, quelli minerari, la legna, etc.).
Riguardo ai frutti civili, di cui all’art. 820, 3° comma, c.c., rientrano tra i proventi (lett. c) art.
177 c.c.), cioè le utilità che provengono indirettamente da una cosa come corrispettivo del
godimento che altri ne abbia: canoni, interessi dei capitali, rendite vitalizie, etc.
Mentre per i frutti civili si deve tenere conto anche di quelli non ancora materialmente
percepiti, purché il relativo diritto sia già entrato nel patrimonio, per i frutti naturali si può tener
conto solo di quelli materialmente esistenti nel patrimonio del coniuge e non di quelli maturati e
percipiendi o che avrebbero potuto essere percepiti usando l’ordinaria diligenza.
L’alienazione dei frutti naturali verso corrispettivo durante la comunione li trasforma in
proventi, rientrando il denaro ricavato nei beni nella lett. c) dell’art. 177.
I proventi costituiscono il risultato di qualsiasi attività esclusiva o separata del coniuge, inclusi
i crediti maturati allo scioglimento della comunione e quindi anche i redditi percipiendi: la norma,
a differenza di quanto previsto per i frutti, non contempla espressamente la loro percezione.
I proventi dell’attività separata, così come i frutti dei beni propri, possono consistere solo in
beni mobili o in diritti di credito nei confronti dei terzi, con esclusione degli immobili (così Cass. civ.,
8.5.96, n. 4273).
Gli utili d’impresa sono proventi dell’attività separata di uno dei coniugi.
Anteriormente allo scioglimento della comunione i beni comuni de residuo rientrano nella
titolarità e disponibilità esclusiva del coniuge cui appartengono.
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La Corte di Cassazione ha affermato in una pronuncia rimasta isolata che i proventi
dell’attività separata di ciascun coniuge entrerebbero a far parte della comunione immediata: nel
regime di comunione legale fra i coniugi, i beni acquistati con i proventi dell'attività separata di
uno dei coniugi entrano immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, senza che
vi sia possibilità di esclusione mediante la dichiarazione prevista dall'art. 179, lett. f, c.c., applicabile
soltanto all'acquisto effettuato con il prezzo del trasferimento dei beni “personali”, tassativamente
elencati nel predetto art. 179 (Cass. civ., 23.9.97, n. 9355, GI, 1998, 876).
La suprema Corte, successivamente, accogliendo la tesi dottrinale prevalente ha
diversamente ritenuto che i redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali (art.
177, lett. b, c.c.), quanto che si tratti di proventi della loro attività separata (art. 177, lett. c, c.c.),
non cadono automaticamente in comunione, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare,
salvo a diventare comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una
causa di scioglimento della comunione (Cass. civ., 12 .9.03, n. 13441, in GC, 2004, I, 341).
La motivazione accoglie quindi le argomentazioni proposte dalla dottrina che, nel silenzio
della normativa la quale non pone obblighi di destinazione sui beni oggetto della comunione de
residuo né limiti o controlli alla facoltà di “consumazione”, ha ritenuto che l'esercizio di
quest’ultima, ovvero l'impiego nei più vari modi, ma senza che l'operazione comporti nuovi,
durevoli acquisti, sottrae “lecitamente” cespiti a quella che, al momento dello scioglimento della
comunione, diverrà esattamente la comunione de residuo.
Tanto da costituire un fatto impeditivo suscettibile di essere opposto al coniuge il quale
dimostri il godimento di determinate entrate da parte dell'altro (potendosi altrimenti presumere
che quelle sostanze siano state semplicemente occultate).
Il coniuge ha l’obbligo di ben amministrare o comunque di non dilapidare i beni in
questione?
Il coniuge, una volta rispettato il suo obbligo di contribuzione ex art. 143 c.c., ha piena
libertà di godimento e disposizione sui proventi della propria attività senza alcun obbligo di
rendiconto nei confronti dell’altro coniuge.
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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).
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In mancanza di una espressa previsione legislativa che imponga al singolo coniuge di
amministrare i redditi individuali, in modo da non pregiudicare le aspettative dell’altro, quest’ultimo
potrà, al fine di evitare tale pregiudizio, intanto chiedere l’anticipata separazione dei beni in base
all’art. 193 c.c. relativo alla separazione giudiziale dei beni: la norma può infatti comprendere
l’aspettativa inerente alla comunione residuale e, in caso di cattiva gestione di uno dei coniugi nei
propri affari o di mala amministrazione dei beni, riconosce l’interesse dell’altro coniuge.
Inoltre, il coniuge si potrà avvalere di strumenti di tutela generali spettanti ad ogni creditore,
come le azioni revocatoria e surrogatoria nonché il risarcimento dei danni, nonché invocare il
principio di buona fede e il divieto dell’abuso del diritto, fermo l'obbligo, per il coniuge che mette
in atto la condotta pericolosa per gli interessi della famiglia, di spiegare in sede giudiziale come le
sue entrate sono state spese.
Si tenga presente però che la Corte di Cassazione ha affermato che la comunione de
residuo non fa nascere un vero e proprio diritto di credito in favore della comunione ed a carico
del singolo coniuge, ma dà luogo ad una semplice aspettativa di fatto.
Ciò comporta che le azioni a tutela del credito potrebbero essere esercitate solo dopo lo
scioglimento della comunione e non prima (Cass. civ., 8.2.2006, n. 2597).
Quanto ai beni destinati all'esercizio di impresa (art. 178 c.c.), la disciplina della comunione
de residuo è completata dalla previsione dell’art. 178 c.c.
I beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli
incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della
comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa.
Il legislatore ha voluto tutelare l’iniziativa economica di ciascun coniuge e la sua
autonomia nella gestione dell’impresa. Se diversamente si fosse previsto che i beni investiti
nell’esercizio dell’impresa cadessero subito e automaticamente nella comunione attuale si
sarebbe realizzata una contitolarità dell’impresa e conseguentemente una probabile dissuasione
per il coniuge imprenditore che dovrebbe condividere ogni scelta con l’altro coniuge.
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I beni destinati all’esercizio dell’impresa sono sempre esclusi dalla comunione legale fino
allo scioglimento, senza bisogno che il coniuge renda la dichiarazione di esclusione all’atto
dell’acquisto prevista dall’art. 179, c.2., c.c., in quanto detta previsione si riferisce alle diverse
ipotesi contemplate nel primo comma dell’art. 179 c.c., tra cui i beni destinati all’esercizio della
professione (cfr. Cass. civ., 19.9.05, n. 18456).
Riguardo agli incrementi dell’impresa, secondo una interpretazione più restrittiva, si è
affermato (Schlesinger, Commentario di diritto di Famiglia, III) che incrementi siano gli utili
accantonati e non distribuiti e i nuovi investimenti.
L’acquisto di partecipazioni sociali, secondo parte della dottrina, se comporta
responsabilità illimitata, rientra nell’applicazione dell’art. 178 cc.
La Cassazione ha ritenuto al contrario che l’acquisto di partecipazione rientra tra gli
acquisti che secondo l’art. 177, lett a, c.c. rientrano immediatamente in comunione legale (Cass.
civ., 2.2.2009, n. 2569).
Nell’ipotesi di partecipazione del coniuge in regime di comunione legale ad una società
cooperativa la giurisprudenza è orientata ad escludere tali partecipazioni sia dalla comunione
immediata che da quella de residuo perché le partecipazioni in società cooperativa hanno valore
strumentale all’ottenimento di utilità economica futura e non in un investimento che può
comportare in un immediato incremento patrimoniale (cfr. Trib. Venezia, 4.7.1986, in Società, 1987,
157).
Ciò detto, occorre ora completare il discorso sulla comunione dei beni esaminando quali
beni rimangono al di fuori di essa, in quanto ritenuti ex lege beni personali del singolo coniuge.
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4. Beni personali (art. 179 c.c.)
L’elenco dei beni personali esclusi dall’oggetto della comunione comprende due
categorie differenti: la prima riguarda i beni acquisiti prima del matrimonio o al cui acquisto l’altro
coniuge non abbia contribuito (art. 179, lett. a, b e f); la seconda riguarda i beni strettamente
personali, distinti dal patrimonio familiare per tutelare lo sviluppo della libertà e della personalità
individuale del coniuge che non può essere limitata neanche nell’interesse del patrimonio familiare
quando l’altro coniuge non vi abbia apportato alcun contributo (art 179, comma 1 lett. c e d).
Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era
titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione,
quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti
alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla
conduzione di una azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla
perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro
scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto.
L'acquisto di beni immobili o di mobili ex art. 2683 c.c. (beni mobili registrati per cui è
prevista la trascrizione nei pubblici registri), effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla
comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti
dall’atto di acquisto se ne sia stato parte anche l’altro coniuge.
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§
Partendo dai beni e diritti reali di godimento acquisiti prima del matrimonio (art. 179, lett. a,
c.c.), essi rientravano nel patrimonio del coniuge così come costituito ante nuptias.
Riguardo ai diritti reali, risulta fondamentale individuare il momento della loro costituzione o
del trasferimento per stabilire se il bene ricada o no all’interno della comunione legale.
Se l’acquisto è a formazione progressiva come nel caso di una stipula di un contratto
preliminare il bene ricade in comunione solo se l’effetto traslativo del contratto si è perfezionato
successivamente al matrimonio.
Nel caso del contratto preliminare si precisa che dalla stipula derivano solo effetti
obbligatori e non effetti reali che si verificano solo al momento della conclusione del negozio
definitivo.
§
Quanto ai beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o
successione (lett. b), l’esclusione opera quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è
specificato che essi sono attribuiti alla comunione.
Questa categoria di beni è esclusa dalla comunione legale a prescindere dal momento
dell’acquisto del diritto.
In dottrina e giurisprudenza si discute se debbano rientrare in tale categoria anche le
liberalità indirette, cioè gli atti di liberalità che non ricadono nella disciplina di cui all’art. 769 c.c.,
ma che realizzano comunque un arricchimento del coniuge attraverso un negozio volto ad
ottenere un risultato ulteriore, non tipico.
La Corte di Cassazione si è orientata ad interpretare la norma ricomprendendo anche le
liberalità indirette quali ad esempio la donazione di denaro elargita al figlio semplicemente o per
destinarlo all’acquisto successivo di un bene.
§
Circa i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori (art. 179
lett. c), essi – secondo un primo orientamento interpretativo – sono quelli di fatto utilizzati da un solo
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coniuge e quindi oggettivamente destinati all’uso esclusivo di uno dei coniugi (abbigliamento,
occhiali da vista).
Secondo altri la norma va interpretata estensivamente, ricomprendendo da un punto di
vista soggettivo tutti i beni che pur essendo in teoria fruibili da entrambi i coniugi, sono di fatto
utilizzati da uno solo uno di essi (accessori sportivi, gioielli, strumenti musicali).
Regole diverse valgono però per un bene di uso personale che sia un immobile o un bene
mobile registrato e sia acquistato in costanza di matrimonio.
Infatti, come si vedrà più oltre, l’acquisto sarà soggetto alla disciplina dettata dall’ultimo
comma dell’art. 179 c.c. secondo il quale l’esclusione dalla comunione opera solo se risulti
dall’atto.
§
Rispetto ai beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli
destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione (art. 179, lett. d, c.c.), il
criterio utilizzato dal legislatore è anche in questo caso quello della destinazione del bene.
Il termine professione ricomprende qualsiasi attività lavorativa, sia essa autonoma o
subordinata o parasubordinata.
La ratio della norma è quella di sottrarre i beni necessari all’esercizio dell’attività lavorativa
alla disponibilità dell’altro coniuge che potrebbe influire negativamente sull’esercizio della
professione determinando conseguenze negative o comunque limitando la libertà di decisione
nelle scelte.
Può trattarsi di beni con grande valore economico.
La destinazione del bene segue comunque un criterio oggettivo e quindi prescinde dalla
volontà espressa circa la destinazione del bene e anche dalla circostanza che il bene possa non
essere astrattamente indispensabile all’attività stessa.
Coerentemente, cessato il vincolo di destinazione, il bene ricadrà nella comunione.
La dottrina prevalente ritiene però che se il bene è stato acquistato con i proventi
dell’attività lavorativa del coniuge dovrebbe essere qualificato come personale.
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§
Venendo ai beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente
alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa (art. 179, lett. e, c.c.), si tratta di un’altra
categoria di beni esclusa dalla comunione immediata perché strettamente legati alla persona del
suo titolare.
Si tratta sia di beni ottenuti a titolo di risarcimento per danni subiti dal patrimonio o dalla
persona del coniuge, sia di corrispettivi pensionistici erogati da enti assistenziali per invalidità o
perdita della capacità lavorativa.
La giurisprudenza di legittimità ha escluso le indennità di accompagnamento (cfr. Cass.
27.4.05, n. 8758).
§
Ancora, sono esclusi dalla comunione i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni
personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto
dell’acquisto art. 179, lett. e, c.c., poiché l’acquisizione determina un incremento del patrimonio
individuale del coniuge e non incide sul patrimonio della comunione.
Sono ricompresi i beni acquistati dopo il matrimonio ma con denaro appartenente al
coniuge ante nuptias e anche i beni acquisiti con la vendita o lo scambio di bene personale per
surrogazione.
La norma richiede come secondo requisito la dichiarazione nell’atto di acquisto o di
scambio che serve a dare certezza immediata alla destinazione del bene e ad evitare che
l’accertamento sulla appartenenza al singolo debba poi essere effettuato ex post.
§
Circa l’acquisto di beni immobili e beni mobili registrati dopo il matrimonio ex art. 179
secondo comma, c.c., esso è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del
precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte
anche l’altro coniuge.
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Per i beni immobili e mobili registrati indicati dal secondo comma dell’art. 179 c.c.
l’esclusione non è automatica come negli altri casi ma è necessaria una dichiarazione ai fini
dell’operatività dell’esclusione.
La giurisprudenza di legittimità considera la dichiarazione non come atto negoziale ma
come atto ricognitivo della sussistenza dei requisiti richiesti dalle lettere c, d ed f dell’art. 179 (cfr.
Cass. civ., 6.3.08, n. 6120).
La Suprema Corte si è espressa anche in merito alla questione – dibattuta in dottrina
giurisprudenza – circa la sufficienza della dichiarazione ai fini dell’esclusione del bene,
indipendentemente dalla natura personale dello stesso.
Le Sezioni Unite sono infatti intervenute sull’argomento, confermando la tesi di cui alla prima
sentenza sopra riportata.
Invero, nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei
coniugi in regime di comunione legale la partecipazione all’atto dell'altro coniuge non acquirente,
prevista dall'art. 179, comma II, c.c., si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per
l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento
da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della
necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di
esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179, primo comma, lett. c), d) ed f),
c.c. (S.U., 28.10.09, n. 22755).
Pertanto, l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una
successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto
che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi.
Riguardo alla natura della dichiarazione resa dall’altro coniuge la Suprema Corte ribadisce
che la dichiarazione resa nell’atto, ai sensi dell'art. 179, comma II, c.c. in ordine alla natura
personale del bene, si atteggia diversamente a seconda che tale natura dipenda dall'acquisto
dello stesso con il prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente o dalla
destinazione del bene all'uso personale o all'esercizio della professione di quest'ultimo, assumendo
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nel primo caso natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti, ed
esprimendo nel secondo la mera condivisione dell'intento del coniuge acquirente.
Ne consegue che l'azione di accertamento negativo della natura personale del bene
acquistato postula nel primo caso la revoca della confessione stragiudiziale, nei limiti in cui la stessa
è ammessa dall'art. 2732 c.c., e nel secondo la verifica dell'effettiva destinazione del bene,
indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell'intento manifestato (sempre S.U., 28.10.09,
n. 22755).
La dichiarazione prevista dall'articolo 179 c.c., comma 2 ha dunque natura ricognitiva e
portata confessoria quando risulti descrittiva di una situazione di fatto, ma non quando sia solo
espressiva di una manifestazione di intenti:
Infatti, una dichiarazione di intenti può essere più o meno sincera o affidabile, ma non è
una attestazione di fatti, predicabile di verità o di falsità.
Quindi, secondo quanto prevede l’art. 2730 c.c., non può avere funzione di confessione
(Cass., sez. un., 26 maggio 1965, n. 1038), può avere dunque natura ricognitiva la dichiarazione
con la quale uno dei coniugi riconosca appunto che il corrispettivo dell'acquisto compiuto
dall'altro coniuge viene pagato con il prezzo del trasferimento di altri beni già personali (art. 179
c.c., comma 1, lettera f).
Tuttavia, non può attribuirsi natura ricognitiva alla dichiarazione con la quale uno dei
coniugi esprima condivisione dell’intento dell'altro coniuge di destinare alla propria attività
personale il bene che viene acquistato. Ovviamente, non può negarsi una peculiare efficacia
probatoria all’intervento del coniuge non acquirente che sia effettivamente ricognitivo dei
presupposti di fatto dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge (S.U.,
28.10.09, n. 22755).
La Suprema Corte chiarisce non solo se l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sia
condizione sufficiente dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge, ma
anche se sia condizione necessaria di un tale effetto:
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Dalla stessa lettera dell'articolo 179, comma 2, c.c., risulta peraltro che l’intervento adesivo
del coniuge non acquirente non è di per sé sufficiente a escludere dalla comunione il bene che
non sia effettivamente personale.
La norma prevede infatti che i beni acquistati risultano esclusi dalla comunione “ai sensi
delle lettera e), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto
se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge”.
Sicché dall'atto deve risultare alcuna delle cause di esclusione della comunione
tassativamente indicate nello stesso articolo 179 c.c., comma 1; e l'effetto limitativo della
comunione si produce solo vai sensi delle lettere e), d) ed f) del precedente comma, vale a dire
solo se i beni sono effettivamente personali (S.U., 28.10.09, n. 22755).
L’intervento adesivo del coniuge non acquirente può dunque rilevare solo come prova dei
presupposti di tale effetto limitativo quando assuma il significato di un’attestazione di fatti. Ma non
rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione. E quando la natura personale del bene che
viene acquistato sia dichiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sarà l'effettività di
tale destinazione a determinarne l'esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa
dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione.
Secondo il sistema definito dall'articolo 177 c.c. e dall'articolo 179 c.c., comma 1 infatti,
l'inclusione nella comunione legale e' un effetto automatico dell'acquisto di un bene non
personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed e' solo la natura
effettivamente personale del bene a poterne determinare l'esclusione dalla comunione. Se il
legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni
dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni,
che condiziona invece gli effetti previsti dall'articolo 179 c.c., comma 2.
Certo, potrebbe anche ritenersi che una tale facoltà debba essere riconosciuta ai coniugi
per ragioni sistematiche, indipendentemente da un'espressa previsione legislativa. Come potrebbe
ritenersi che, dopo C. cost., n. 91/1973, non possa negarsi a e ciascun coniuge il diritto di donare
anche indirettamente all'altro la proprietà esclusiva di beni non personali.
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Tuttavia, tali facoltà non potrebbero affatto desumersi dall'articolo 179, comma 2, c.c. che
condiziona comunque l’effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del
bene; e attribuisce all'intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di
riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti (S.U., 28.10.09,
n. 22755).
L'intervento adesivo del coniuge non acquirente rimane certamente condizione necessaria
dell'esclusione dalla comunione del bene acquistato dall'altro coniuge. L'articolo 179 c.c., comma
2 prevede infatti che l'esclusione della comunione ai sensi dell'articolo 179 c.c., comma, lettera e)
d) e f) si abbia solo se la natura personale del bene sia dichiarata dall'acquirente con l'adesione
dell'altro coniuge.
In definitiva la natura personale del bene non è sufficiente a escludere di per sé l'esclusione
dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi.
L'eventuale inesistenza di questo presupposto potrà essere comunque oggetto di una
successiva azione di accertamento, pur nei limiti dell'efficacia probatoria che l'intervento adesivo
avrà in concreto assunto.
Il coniuge non acquirente quindi potrà successivamente proporre domanda di
accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come
personali dall'altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge
non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi.
Attraverso anche la revoca della confessione giudiziale resa ex art. 2732 c.c. per errore di
fatto o violenza.
La dichiarazione deve essere prestata al momento stesso in cui viene effettuato l’acquisto
proprio in relazione alle esigenze di certezza sulla titolarità del diritto.
Nell’ipotesi in cui il coniuge non acquirente si rifiuti di rendere la dichiarazione, l’altro
coniuge potrebbe promuovere un’azione di accertamento della natura personale del bene.
La tesi è confermata da una recente sentenza, cioè Cass. 2 febbraio 2012, n. 1523,
secondo la quale la natura giuridica e i limiti di efficacia della dichiarazione del coniuge non
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acquirente, partecipe all'atto di compravendita, sono stati chiariti da Cass., Sez. Unite 28 ottobre
2009 n. 22755, secondo cui essa si atteggia diversamente a seconda che la personalità del bene
dipenda dal pagamento del prezzo con i proventi del trasferimento di beni personali, o
alternativamente dalla destinazione del bene all'esercizio della professione dell'acquirente.
Solo nel primo caso la dichiarazione del coniuge non acquirente assume natura ricognitiva
della natura personale e portata confessoria dei presupposti di fatto già esistenti.
Laddove nel secondo - che è quello pertinente nel caso di specie - esprime la mera
condivisione dell'intento altrui.
Ne consegue che la successiva azione di accertamento della comunione legale sul bene
acquistato, mentre è condizionata, nella prima ipotesi, dal regime di prova legale della
confessione stragiudiziale, superabile nei limiti di cui all'art. 2732 cod. civile, per errore di fatto o
violenza, nella seconda implica solo la prova dell'effettiva destinazione del bene,
indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell'intento manifestato.
Si tratta quindi di un accertamento, in punto di fatto, dell'effettiva strumentante
dell'immobile alla professione o all'esercizio dell'impresa costituita dopo il matrimonio da uno dei
coniugi.
Con l’ulteriore corollario che in quest'ultimo caso i beni, inclusi quelli immobili, fanno parte
della comunione legale se e nei limiti in cui sussistano alla data del suo scioglimento. L'esclusione
definitiva dalla comunione di immobili e mobili registrati, alle condizioni previste dall'art.179,
secondo comma, cod. civile, riguarda infatti solo i beni destinati all'esercizio della professione (art.
179, primo comma, lettera d).
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Bibliografia
E. del Prato, Le basi del diritto civile, 4a ed., Torino, Giappichelli, 2020