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Appunti di Relatività ristretta

Francesco Ravanini

Corso di Laurea in Astrosica e Cosmologia

Università di Bologna

28 dicembre 2007

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Introduzione

Nel 1905 Einstein pubblicò 3 articoli:

1. elettrodinamica dei corpi in movimento, cioè le basi della relatività ristretta

2. uno studio sul moto browniano, grazie al quale si dava un forte argomento a favoredella natura particellare della materia

3. eetto fotoelettrico, cioè l'interpretazione di uno dei fenomeni più importanti checondussero alla formulazione della meccanica quantistica

Qui ci occuperemo della prima di queste 3 linee di ricerca iniziate dal genio di Ulm, i cuifrutti nella Fisica del XX secolo sono noti a tutti. In realtà la relatività nasce da unaproblematica già individuata in lavori precedenti di altri autori, in particolare di Lorentz(1904) e di Poincaré (1901). Al termine del 1905 Einstein uscì con un altro lavoro in cuicompare per la prima volta la celebre relazione E = mc2 e negli anni successivi Minkowskiperfezionò la teoria dello spazio-tempo.

Nel 1911 Einstein cominciò a lavorare alla relatività generale portata a termine nel1916. Da allora non è più sorta alcuna nuova teoria della relatività.

Il concetto di relatività dei movimenti risale in eetti a Galileo. Trovandosi su untreno che si muove di moto rettilineo uniforme senza scossoni, se non si guarda fuori dalnestrino non ci si può accorgere dello stato di moto o di quiete. Non si può quindi parlaredi moto assoluto, ma solo di moto relativo tra due sistemi di riferimento inerziali.

Tutto ciò concorda con la legge di gravitazione di Newton che non determina unostato di moto assoluto. Cioè la legge di gravitazione ha la stessa forma in due sistemi inmoto relativo uniforme. In altre parole, facendo misure sulla gravitazione non è possibiledistinguere se un sistema sia in moto oppure no.

La scoperta dell'elettromagentismo, culminata attorno al 1850 nei lavori di Max-well e nelle sue 4 celebri equazioni, pose per la prima volta problemi a questa visionegalileiana della relatività dei movimenti. La teoria di Maxwell predice l'esistenza di vibra-zioni del campo elettromagnetico e predice pure la velocità di propagazione di tali ondeelettromagnetiche. Tale velocità vale

c = 299.792.458 m/sec ≈ 3 · 108 m/sec

e coincide con la velocità della luce nel vuoto, da cui Maxwell dedusse che la luce dovevaessere un fenomeno elettromagnetico.

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Già l'astronomo danese Rømer aveva misurato la velocità della luce in base ai ritardidelle eclissi dei satelliti di Giove. Misure più precise arrivarono con il ranarsi delletecnologie nel XIX secolo.

Dire che la luce viaggia alla velocità della luce non è una banalità. Ci si chiede inquale sistema di riferimento ciò avvenga. Alla ne dell'800 il ragionamento tipico era ilseguente: esiste un etere luminifero che vibra producendo le onde elettromagnetiche, cosìcome l'aria vibrando produce le onde sonore. La luce ha velocità c se riferita a un sistemadi riferimento a riposo rispetto all'etere.

Se però ci muoviamo rispetto all'etere con velocità ~v, la luce non dovrebbe più propa-garsi con velocità ~c, ma con velocità ~c+ ~v, cioè la velocità della luce non è più la stessa intutte le direzioni. Ciò implica che le leggi di Maxwell sono valide solo per un sistema diriferimento a riposo rispetto all'etere, che viene detto sistema di riferimento assoluto.L'elettromagnetismo ci permetterebbe pertanto di vericare lo stato di quiete o di motoassoluto di un sistema.

Alla ne del XIX secolo Michelson riuscì a misurare la velocità della luce con unaprecisione tale da dover decidere se il suo sistema (la Terra) era in quiete o in moto rispettoall'etere.

Nel giro di 6 mesi la Terra, che gira attorno al Sole a 30 Km/sec, cambia la sua velocitàdi 60 Km/sec e quindi se a un certo istante la Terra fosse in quiete rispetto all'etere, dopo6 mesi essa si muoverebbe rispetto all'etere di 60 Km/sec. Quindi esiste almeno un giornodell'anno in cui la Terra è in moto rispetto all'etere.

La discrepanza tra ~c e ~c + ~v è valutabile con uno strumento costruito da Michelson eMorley detto interferometro. Ciò che l'interferometro misura è la dierenza di velocitàdella luce secondo la direzione. Ciò che si osservò fu l'assoluta costanza di c in ogni direzionee ad ogni epoca dell'anno. Non si poteva cioè misurare alcun vento di etere.

Per dare risposta all'interrogativo aperto dall'esperimento di Michelson e Morley, Lo-rentz sviluppò una teoria basata sul fatto che se si considera un solido, esso è formato daatomi, costituiti da cariche elettriche positive e negative. La forza di attrazione tra carichepositive e negative, cioè la forza di Coulomb, rimane elettrostatica nchè le cariche sonoferme rispetto all'etere. Quando queste si muovono compaiono fenomeni magnetici chesi espletano macroscopicamente come un accorciamento della lunghezza del solido nelladirezione del moto. Tale accorciamento era tale, secondo Lorentz, da compensare le di-screpanze non osservate da Michelson e Morley e non era possibile rendersene conto perchèanche i metri con cui si misurava tale lunghezza si accorciavano.

Einstein assunse invece la non isolabilità del moto assoluto come postulato e di-mostrò che la non riuscita dell'esperimento di Michelson e Morley era dovuta a proprietàintrinseche dello spazio.

Riassumendo, nella teoria galileiana c'è un principio di relatività del moto che vieneviolato dalle leggi di propagazione della luce. Infatti, usando il teorema di addizione dellevelocità, la velocità della luce non dovrebbe essere uguale per tutti i sistemi di riferimentoe manterrebbe la sua costanza in tutte le direzioni solo per osservatori in quiete rispettoall'etere. Se si accetta quindi il teorema di addizione delle velocità, la velocità della lucedeve essere diversa a seconda degli osservatori.

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Se invece si vuole salvare il principio di relatività, occorre abbandonare il teorema diaddizione delle velocità nella forma galileiana. Ciò porta a una nuova legge di composizionedelle velocità per la quale la velocità della luce è c per tutti gli osservatori. Non è possibileinseguire la luce o andarle incontro perché comunque sia la velocità della luce è semprec. Einstein salvò così il principio di relatività a costo di sacricare il teorema di addizionedelle velocità.

Sebbene nel 1906 una misura di velocità di elettroni sembrò porre dubbi sulla nuovateoria di Einstein, tutte le misure successive diedero ragione a quest'ultimo e oggi gli eettidella teoria della relatività einsteiniana sono testati giornalmente nei grandi acceleratori diparticelle.

Si noti che il cambiare il teorema della composizione delle velocità cambia tutta lameccanica, nonché i concetti stessi di spazio e tempo. Si ha infatti che eventi simultaneiper un osservatore non lo sono più per un altro. Si consideri ad esempio un aereo che volada Bologna a Roma e che giunto a metà del suo percorso riceve un segnale radio dalledue città. Per il personale di terra l'invio dei due segnali costituisce due eventi simultanei.Per il pilota Roma si sta avvicinando e Bologna si sta allontanando dal segnale, perciò ilsegnale arriva prima da Roma che da Bologna, perché si propaga sempre a velocità c. Dueeventi simultanei per il personale di terra non lo sono per il pilota. La simultaneità nonè un concetto assoluto.

Per evento si intende un qualcosa che capita in un certo punto dello spazio a un certoistante. L'arrivo del segnale è un evento, un libro su un tavolo non è un evento, bensì unasuccessione di eventi succedentesi con continuità.

L'insieme di tutti gli eventi costituisce lo spazio-tempo cioè uno spazio a 4 dimensionidi coordinate (t, x, y, z). Un punto dello spazio ordinario è una curva nello spazio-tempoche sarà chiamata linea di mondo del punto materiale.

Anche le unità di misura cambiano da un sistema di riferimento ad un altro in motorispetto al primo. Le sbarre si contraggono nella direzione del moto, gli orologi battonoil secondo più lentamente. Conseguentemente anche le leggi della dinamica subisconodelle modiche, che hanno come conseguenza una nuova visione della meccanica. I campielettromagnetici possono essere inseriti in tale quadro in maniera molto elegante.

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Capitolo 1

Meccanica newtoniana e relatività

galileiana

1.1 Equazioni del moto

Il mondo newtoniano è da intendersi costituito da punti materiali, ciascuno individuato da3 coordinate xi, i = 1, 2, 3 che possiamo riunire in un vettore ~x ∈ R3 e da un parametro mdetto massa.

Si denisce velocità la derivata

~v =d~x

dt

e accelerazione la derivata seconda

~a =d2~x

dt2

La legge newtoniana del moto~F = m~a

è da interpretarsi come sistema di equazioni dierenziali per le traiettorie ~xn(t) dei puntimateriali n = 1, ..., N soggetti al campo vettoriale di forze ~F (~x,~v, t)

mnd2~xn

dt2= ~F

(~x1, ..., ~xN ,

d~x1

dt, ...,

d~xN

dt, t

)Abbiamo così un sistema di equazioni dierenziali ordinarie del secondo ordine che dà ilmoto dei punti materiali.

1.2 Sistemi di riferimento e osservatori

Le coordinate ~x ≡ (x1, x2, x3) di un punto materiale sono date rispetto a un sistema diriferimento (per es. assi cartesiani). Cosa succede alle leggi del moto se si cambia sistemadi riferimento?

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8 CAPITOLO 1. MECCANICA NEWTONIANA E RELATIVITÀ GALILEIANA

Qual è il sistema di riferimento (o i sistemi di riferimento) rispetto al quale le leggi delmoto sono valide?

Deniamo il concetto di osservatore: si dice osservatore O un sistema di riferimentocon un pressato origine di assi coordinati (normalmente cartesiani, ma potremmo anchepensare ad altre coordinate: polari, ecc...) dotato di regoli per la misura di distanze (quindiin grado di assegnare coordinate x1, x2, x3 ai punti materiali) e di un orologio (quindi ingrado di misurare il tempo t).

Deniamo anche il concetto di evento: si tratta di una entità denita da 4 coordinate:le 3 usuali coordinate spaziali identicanti un punto materiale e una coordinata temporaleche ne ssa l'istante. Un evento è cioè un punto ~x dello spazio R3 considerato a un certotempo t.

Osservatori diversi O,O′, ... attribuiscono ad un evento delle coordinate (t, ~x), (t′, ~x′)ecc... diverse l'uno dall'altro. Vogliamo correlare queste descrizioni dierenti per ottenereun'unica teoria invariante, cioè valida per tutti gli osservatori.

1.3 Trasformazioni di Galileo

Un primo cambiamento possibile è il seguente

t′ = t+ τ

~x′ = ~x+ ~ξ

Questo cambiamento di coordiante è detto traslazione. Il vettore ξ implementa unatraslazione spaziale, mentre il parametro τ descrive una dierenza nell'inizio del computodei tempi per i due osservatori, lasciando per altro l'asse dei tempi del tutto identico sottoogni altro aspetto per i due osservatori. Le traslazioni perciò dipendono da quattro costanti(3 nel vettore ~ξ, una in τ) non dipendenti dal punto.

Un altra trasformazione è la seguente

t′ = t~x′ = O~x

in cui O è una matrice 3 × 3 ortogonale, cioè OOT = 1. Tali trasformazioni, comeben noto, lasciano invariata la lunghezza di un vettore e sono chiamate rotazioni. Ognimatrice ortogonale a 3 dimensioni ha 3 parametri indipendenti, che possono essere pensatiper esempio come i 3 angoli di Eulero, e che descrivono completamente la rotazione.

Il tipo di cambiamento di coordiante caratterizzante da un punto di vista sico è però

t′ = t~x′ = ~x+ ~vt

cioè la trasformazione tra due osservatori in moto relativo uniforme con velocità ~v.Si noti che abbiamo inserito in queste trasformazioni ben 10 parametri:

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1.4. TEOREMA DI ADDIZIONE DELLE VELOCITÀ 9

1. 1 relativo alla traslazione dell'origine dei tempi

2. 3 relativi alle traslazioni spaziali

3. 3 relativi alle rotazioni

4. 3 della velocità ~v di moto relativo dei sistemi di riferimento

La più generica trasformazione di Galileo si ha operando contemporaneamente tutte e trequeste trasformazioni. L'insieme di tutte le trasformazioni di Galileo forma gruppo e sichiama gruppo di Galileo. La meccanica newtoniana è invariante sotto il gruppo diGalileo.

1.4 Teorema di addizione delle velocità

Supponiamo di fare due successive trasformazioni di Galileo A : O → O′ e B : O′ → O′′

~x′ = ~x+ ~vAt

~x′′ = ~x′ + ~vBt

eliminando la ~x′ otteniamo~x′′ = ~x+ (~vA + ~vB)t

che deve essere identica alla trasformazione diretta C : O → O′′

~x′′ = ~x+ ~vCt

e quindi abbiamo il teorema di addizione delle velocità

~vC = ~vA + ~vB

che è in un certo senso la legge di composizione del Gruppo di Galileo. Nelle trasformazionidi Galileo le velocità si sommano, come è accettabile anche dall'esperienza intuitiva.

Sappiamo che la luce ha velocità c nei sistemi di riferimento in cui valgono le equazioni diMaxwell. Se vale il teorema di addizione delle velocità galileiano, allora le leggi di Maxwellnon sono più invarianti per trasformazioni di Galileo. Se viceversa le equazioni di Maxwellsono valide in tutti i sistemi di riferimento inerziali, non vale più il teorema di addizionedelle velocità, cioè le trasformazioni tra sistemi inerziali non possono più essere quelle diGalileo. Einstein scelse questa seconda ipotesi, cioè impose che c è un invariante e che leequazioni di Maxwell devono valere in tutti i sistemi di riferimento inerziali, restaurandoil prinicipio di relatività ma rinunciando alle trasformazioni galileiane.

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10 CAPITOLO 1. MECCANICA NEWTONIANA E RELATIVITÀ GALILEIANA

1.5 Invarianza delle leggi della natura

Nella Fisica di Newton e Galileo, un qualunque corpo in moto con velocità ~u rispettoall'osservatore O avrà velocità ~u′ = ~u + ~v rispetto all'osservatore O′ in moto rettilineouniforme con velocità ~v rispetto al primo. Ciò si ottiene dalla denizione di velocità comederivata della coordinata. Poichè ~v è costante, la derivata seconda, cioè l'accelerazione, èinvariante

~a′ = ~a

e, assumendo che la massa m di un corpo sia una proprietà invariante per sistemi diriferimento, si ha che il primo membro delle leggi del moto è invariante di Galileo.

Se il secondo membro sia invariante o meno dipende dalla forma delle forze.

Gravitazione newtoniana tra due corpi 1 e 2

~F12 = −Gm1m2

|~r12|2~k12

ove ~k12 = ~r12

|~r12| e ~r12 = ~x1 − ~x2 dipende solo dalla distanza dei due corpi che è uninvariante per traslazioni e rotazioni, e anche per boosts a velocità costante. Perciòla gravità newtoniana è invariante di Galileo.

Forze elettrostatiche la legge di Coulomb è pure invariante sotto trasformazioni di Ga-lileo se si ipotizza che la carica elettrica è una proprietà dei corpi invariante diGalileo.

In generale ogni forza dipendente solo dalle distanze è invariante per trasformazioni diGalileo e quindi rende invarianti le equazioni newtoniane del moto. Tuttavia in natura sononote forze che dipendono non solo dalle posizioni ma anche dalle velocità, come capita nelleleggi di Maxwell per l'elettromagnetismo. Come abbiamo visto, è proprio sull'invarianzadelle leggi di Maxwell che la relatività galileiana entra in crisi.

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Capitolo 2

Cinematica relativistica

2.1 Principi fondamentali

La meccanica relativistica si basa su due principi fondamentali:

Principio di inerzia Esiste almeno un sistema di riferimento inerziale in cui un corpoin quiete o in moto rettilineo uniforme perdura nel suo stato di quiete o di motorettilineo uniforme se non è soggetto a forze esterne

Si noti che se esiste un sistema di riferimento inerziale, ne esistono automaticamente inniti:tutti quelli in moto rettilineo uniforme rispetto al primo.

Principio di Relatività ristretta Le leggi della sica sono le stesse (cioè hanno la stessaforma) in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Dalle leggi di Maxwell si deduce che la velocità di propagazione delle onde elettromagneticheè c. Poichè le leggi di Maxwell sono leggi universali della natura, ne si conclude che lavelocità della luce c deve essere la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Nonesiste un etere o un sistema di riferimento assoluto.

2.2 Unità di misura naturali

Poiché la velocità della luce deve essere uguale in tutti i sistemi di riferimento, vienenaturale in relatività porla uguale a 1 e misurare tutte le altre velocità come frazioni dellavelocità della luce. Ciò corrisponde a introdurre nuove unità di misura, più convenientiper il tipo di problemi che andiamo a trattare, in cui i tempi e le lunghezze hanno la stessaunità di misura. Per esempio possiamo adottare il metro come unità di misura sia dellospazio che del tempo. Un metro di tempo corrisponde al tempo che impiega la luce apercorrere un metro, cioè a 1

csecondi, ovvero circa 1/3 di nanosecondo. Conseguentemente,

tutte le velocità sono misurate da numeri puri. Quando diremo che un corpo ha velocità2/3, intenderemo che si muove a una velocità pari a 2/3 della velocità della luce.

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12 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Le accelerazioni saranno misurate in m−1, le masse continuano ad essere misurate in Kg,ma gli impulsi e le energie saranno pure misurati in Kg e le forze in Kg/m. Le formule siesprimono senza la ridondanza di fattori c, il che le rende più immediatamente signicantidal punto di vista sico, ma per calcolare le grandezze nel tradizionale sistema metricointernazionale m, Kg, sec occorrerà tener conto dei fattori di conversione tra le unità dimisura dei due sistemi.

Alternativamente, si può scegliere il secondo come unità fondamentale. Allora le distan-ze saranno misurate in secondi-luce, cioè l'unità di misura delle lunghezze sarà la distanzapercorsa dalla luce in un secondo, ovvero 300.000 Km circa. Una versione di questo siste-ma di misura più adatta alle distanze astronomiche è quella degli anni per i tempi e glianni-luce per le distanze.

2.3 Trasformazioni di Lorentz

Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali O e O′, rispettivamente con coordinatex = (t, x, y, z) e x′ = (t′, x′, y′, z′).1 La critica alla simultaneità implica che t 6= t′, cioè cheanche i tempi partecipano alle leggi di trasformazione tra sistemi di riferimento inerziali.Cerchiamo delle trasformazioni x′(x) che lascino invariante la velocità della luce.

Le traslazioni e le rotazioni saranno uguali a quelle delle trasformazioni di Galileo,poichè mantengono invariante la lunghezza dei vettori (e perciò c in particolare).

Una ovvia richiesta è che un corpo in moto rettilineo uniforme in O deve vedersi conmoto rettilineo uniforme anche in O′, altrimenti sarebbe violato il principio di inerzia,ovvero

~v =d~x

dt= cost. inO ⇔ ~v′ =

d~x′

dt′= cost. inO′

Per esempio sull'asse x:

v′x =dx′

dt′=dx′

dt

dt

dt′=

∂x′

∂xdxdt

+ ∂x′

∂ydydt

+ ∂x′

∂zdzdt

+ ∂x′

∂t

∂t′

∂xdxdt

+ ∂t′

∂ydydt

+ ∂t′

∂zdzdt

+ ∂t′

∂t

Ora, le derivate dxdt

= vx ecc... sono costanti per ipotesi. Perciò l'unico modo di garantireche v′x sia costante è di richiedere che le derivate parziali ∂x′

∂xecc... siano anch'esse costanti.

Ma ciò implica che le funzioni x′(x) siano funzioni lineari, cioè

x′ = Ax

dove A è una matrice 4 × 4 a elementi reali. Determiniamo gli elementi Aij ponendociin una situazione sica che a prima vista può apparire semplicata, ma che in realtà non

1Nel seguito indicheremo sempre i vettori tridimensionali in R3 con la notazione ~x = (x1, x2, x3), lecui componenti saranno indicate con indici latini xi con i = 1, 2, 3. Riserveremo invece la notazione x avettori 4-dimensionali nello spazio-tempo. Dovendo enumerare le componenti di tali 4-vettori converremodi indicarle con indici greci xµ che corrono su 0,1,2,3 in cui 1,2,3 sono le coordinate spaziali e 0 quellatemporale del 4-vettore. Useremo perciò le notazioni: x = (x0, x1, x2, x3) = (x0, ~x)

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2.3. TRASFORMAZIONI DI LORENTZ 13

perde di generalità. Usando traslazioni e rotazioni, possiamo infatti sempre metterci nellasituazione in cui il moto rettilineo uniforme relativo tra i due sistemi inerziali sia direttolungo l'asse x e stabilire l'origine dei tempi in modo tale che al tempo t = t′ = 0 le originie tutti gli assi dei due sistemi cartesiani coincidano. In istanti successivi, il sistema O′,visto da O scorre lungo l'asse x a velocità costante v, mantenendo inalterata la direzionedegli assi y, z.

Se tutto l'asse x deve coincidere, al tempo t = t′ = 0 con l'asse x′, ciò signica che ognipunto con coordinata y = 0 e z = 0 al tempo t = t′ = 0 deve avere forzatamente anchenell'altro sistema y′ = 0 e z′ = 0. Ciò implica

A21 = A31 = 0

Lo stesso ragionamento applicato agli assi y e z comporta anche

A12 = A32 = A13 = A23 = 0

Perciò le trasformazioni si riducono a

t′ = A00t+ A01x+ A02y + A03z

x′ = A10t+ A11x

y′ = A20t+ A22y

z′ = A30t+ A33z

L'origine O di O appare ad O′ muoversi di moto rettilineo uniforme lungo l'asse x′, cioèha le equazioni del moto

x′ = A10t y′ = A20t = 0 z′ = A30t = 0

e quindiA20 = A30 = 0

Invertendo le trasformazioni si ha

t =A11

(t′ − A02

A22

y′ − A03

A33

z′)− A01

∆x′

x =A00

∆x′ − A01

(t′ − A02

A22

y′ − A03

A33

z′)

y = (A22)−1y′

z = (A33)−1z′

in cui ∆ = A00A11 − A10A01. Questa sono le trasformazioni inverse da O′ a O. Tuttaviaqueste devono ovviamente essere identiche in forma a quelle dirette scritte sopra con ilsolo cambio v → −v. Perciò, nota l'assenza di y e z nelle trasformazioni di x′ e t′ dirette,dovremo richiedere simmetricamente una assenza di y′ e z′ dalle trasformazioni di x e tinverse. Ciò conduce a

A02 = A03 = 0

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14 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Pertanto le trasformazioni si semplicano nelle seguenti

t′ = A00t+ A01x

x′ = A10t+ A11x

y′ = A22y

z′ = A33z

Finora abbiamo solo messo in opera considerazioni geometriche. Ma ora imponiamo cheun fotone di luce che viaggia a velocità c = 1 in O, sia visto viaggiare alla stessa velocitàc anche in O′. Il fotone viaggerà in linea retta e perciò le sue equazioni del moto saranno

x = n1t y = n2t z = n3t

in cui ni sono le componenti di un versore indicante la direzione del moto: n21 + n2

2 + n23 =

c2 = 1. Al tempo t+ dt il fotone avrà incrementato la sua posizione di

dx = n1dt dy = n2dt dz = n3dt

Ne consegue che la quantità

dt2 − dx2 − dy2 − dz2 = 0 . (2.1)

Ragionando allo stesso modo nel sistema O′ si avrà

dt′2 − dx′2 − dy′2 − dz′2 = 0 (2.2)

La versione innitesima delle trasformazioni ci permette di sostituire nella (2.2) i dieren-ziali dx′, dy′, ... con gli analoghi dx, dy, ... ottenendo

(A00dt+ A01dx)2 − (A10dt+ A11dx)

2 − A222dy

2 − A233dz

2 = 0

Questa espressione deve essere proporzionale alla (2.1) poichè entrambe devono annullarsi.In particoalre i coecienti dei termini in dt dx che sono assenti dalla (2.1) devono annullarsi,mentre gli altri devono essere uguagliati a meno di una quantità per ora arbitraria Q2

A00A01 − A10A11 = 0 (2.3)

A211 − A2

01 = A222 = A2

33 = A210 − A2

00 = Q2 (2.4)

La quantità arbitraria è indicata con Q2 in quanto, essendo tutti i coecienti Aij reali, èsicuramente positiva. La scelta della soluzione

A22 = A33 = Q

piuttosto che −Q, garantisce che nella trasformazione non ci sia un'inversione degli assi ye z (vedremo più avanti come sono trattate queste trasformazioni particolari). L'origine

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2.3. TRASFORMAZIONI DI LORENTZ 15

degli assi O di O ha x = 0, perciò a un generico tempo t la trasformazione per questoparticolare punto è

x′ = A10t (2.5)

Questo punto O è visto da O′ procedere lungo l'asse x′ con velocità −v, quindi O′ gliattribuisce l'equazione del moto x′ = −vt′. Sostituendo t con t′ nella (2.5), ottenendox′ = A10

A00t′ si legano i parametri Aij alla velocità relativa dei due sistemi, che deve essere

l'unico parametro sico delle trasformazioni

A10 = −vA00

e dalla (2.3) segue

−vA11 = A01

Usando la (2.4) si ottiene

A211

(1− v2

)= A2

00

(1− v2

)= Q2

da cui

A11 = A00 =Q√

1− v2

Come già commentato per A22 e A33 anche qui scegliamo la soluzione positiva per Q.Questa scelta è qui ancora più giusticata dal fatto che se fosse A00 < 0 crescendo tdiminuirebbe t′, cioè i due sistemi di riferimento avrebbero assi dei tempi rivolti in direzioneopposta, con nefaste conseguenze sulla causalità, ecc...

Le trasformazioni di Lorentz diventano perciò con questa scelta

t′ = Qt− vx√1− v2

L = −m√

1− v2

x′ = Qx− vt√1− v2

(2.6)

y′ = Qy

z′ = Qz

A questo punto possiamo scrivere le traformazioni inverse, ricavandole dalla (2.6)

t = Q−1 t′ + vx′√1− v2

x = Q−1 x′ + vt′√1− v2

(2.7)

y = Q−1y′

z = Q−1z′

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16 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

oppure come trasformazioni con v → −v

t = Qt′ + vx′√

1− v2

x = Qx′ + vt′√

1− v2(2.8)

y = Qy′

z = Qz′

Dal confronto della (2.7) e della (2.8) risulta evidente che la costante Q > 0 deve soddisfareQ = Q−1, da cui Q = 1. Perciò in conclusione le trasformazioni di Lorentz sono

t′ =t− vx√1− v2

x′ =x− vt√1− v2

(2.9)

y′ = y

z′ = z

Spesso si introduce la notazione

γ =1√

1− v2

che semplica la forma delle trasformazioni di Lorentz

t′ = γ(t− vx)

x′ = γ(x− vt) (2.10)

y′ = y

z′ = z

La funzione γ(v), spesso detta fattore γ relativistico di una trasformazione di Lorentz ètale che

γ(v = 0) = 1

γ(v → 1) → ∞

e per velocità piccole (non relativistiche) ha lo sviluppo di Taylor

γ(v) ≈ 1 +1

2v2 + ...

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2.4. TRASFORMAZIONI DELLE VELOCITÀ 17

2.4 Trasformazioni delle velocità

Supponiamo di avere un oggetto che viaggia con velocità ~u = (ux, uy, uz) nel sistema diriferimento O. A quale velocità sarà visto viaggiare in O′ in moto rispetto a O a velocitàv lungo l'asse x? Ovviamente, come abbiamo visto, non può valere un teorema di pureaddizioni delle velocità, come avveniva con le trasformazioni di Galileo, in quanto sarebbein contraddizione con l'invarianza della velocità della luce. Per dedurre la trasformazionedelle velocità scriviamo le trasformazioni di Lorentz in forma innitesima

dt′ = γ(dt− v dx)

dx′ = γ(dx− v dt)

dy′ = dy

dz′ = dz

da cui

u′x =dx′

dt′=γ(dx− v dt)

γ(dt− v dx)=

ux − v

1− uxv

u′y =dy′

dt′=

dy

γ(dt− v dx)=

uy

γ(1− uxv)

u′z =dz′

dt′=

dz

γ(dt− v dx)=

uz

γ(1− uxv)

Questa è la formula relativistica di addizione delle velocità. Si noti come la modicarispetto alla pura addizione di Galileo si produca a causa del fatto che anche i tempi dtsono diversi nei due sistemi di riferimento. Ciò comporta leggi di trasformazione non banalianche per le uy, uz sebbene le coordinate y, z non subiscano variazioni. Inoltre, limitandociall'asse x, se O vede un raggio di luce muoversi a velocità c = 1, O′ misurerà una velocità

c′ =1 + v

1 + v= 1

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18 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

cioè queste formule confermano l'invarianza della velocità della luce. Se un corpo si muovea velocità ux = 1

2rispetto a O, e O′ si muove rispetto ad O a velocità v = 1

2, esso non sarà

visto da O′ muoversi a velocità 1, come erroneamente si potrebbe concludere applicandotrasformazioni di Galileo, bensì a velocità

u′x =12

+ 12

1 + 12· 1

2

=4

5

cioè a una velocità comunque inferiore a quella della luce.

Per velocità relative tra i sitemi di riferimento piccole rispetto a quella della luce (v 1)le formule si riducono a quelle galileiane, come si può vedere facilmente espandendo leformule di trasformazione delle velocità per v → 0. Ciò spiega perché nell'esperienzacomune l'addizione galileiana di velocità è assolutamente accettabile.

Per esempio se due automobili si incrociano sull'autostrada a velocità ciascuna di 30m/sec (circa 100 Km/h), ognuno dei due autisti dovrebbe giudicare, galileianamente, chel'altra auto gli viene incontro a 60 m/sec. Se invece applichiamo le formule relativistiche,tenendo conto che in unità c = 1 la velocità di 30 m/sec è pari a circa 10−7, avremo

u′x =2 · 10−7

1 + 4 · 10−14= 2 · 10−7(1− 4 · 10−14)

ovvero la correzione è di 14 ordini di grandezza inferiore alla velocità stessa, assolutamentetrascurabile.

Se invece si incontrassero due astronavi vaiggianti ciascuna a velocità 0.99, cioè vicinis-sime alla velocità della luce, avremmo

u′x =0.99 + 0.99

1 + 0.992=

1.98

1.981= 0.9995 < 1

comunque inferiore alla velocità della luce.

2.5 Diagrammi spazio-temporali

Un modo utile per visualizzare la geometria dello spazio-tempo come emerge dalle trasfor-mazioni di Lorentz è quello di ricorrere ai cosiddetti diagrammi spazio-temporali. Iniziamocon il semplicare il nostro problema pensando allo spazio come a una retta unidimensio-nale. Allora lo spazio-tempo sarà rappresentato da un piano bidimensionale con coordinate(x, t).

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2.5. DIAGRAMMI SPAZIO-TEMPORALI 19

Le bisettrici x = ±t di questo graco rappresentano le linee lungo cui si propaganoraggi di luce passanti per il qui e ora cioè l'origine degli assi x = t = 0. Una particellalanciata dall'origine in moto rettilineo uniforme x = vt sarà rappresentata da una retta diinclinazione tanϕ = 1/v, come la linea verde in gura. Questa rappresentazione della suatraiettoria nello spazio-tempo viene detta linea di mondo. Una particella in moto nonuniforme potrà percorrere linee di mondo curve più complicate, come per esempio la lineablu, la cui tangente punto per punto avrà inclinazione pari a 1/v in quell'istante. Tuttaviase la particella si mantiene sempre a velocità minore di quella della luce v < 1, la suainclinazione dovrà essere sempre maggiore di 45

su questo graco. Linee con inclinazioni

minori di 45corrispondono a ipotetici corpi viaggianti a velocità maggiori di c (tachioni).

Vedremo tra breve che tali oggetti non possono esistere, pena la violazione dell'ordinamentocausale degli eventi.

Nel sistema di riferimento qui disegnato, che chiameremo O, gli assi x e t sono visibil-mente ortogonali. Le linee di eventi giudicati simultanei dall'osservatoreO sono ovviamenterette parallele all'asse x, cioè aventi equazione t = cost. Analogamente corpi fermi rispettoad O saranno rappresentati da linee di mondo parallele all'asse t, cioè da rette di equazionex = cost.

Ci possiamo ora chiedere come possano essere rappresentati su questo diagramma gliassi di un nuovo sistema di riferimento inerziale O′ in moto rispetto ad O a velocità v. Letrasformazioni di Lorentz ci dicono che

x′ = γ(x− vt) t′ = γ(t− vx)

Perciò l'asse delle x′, ovvero la retta di equazione t′ = 0, sarà dato sul nostro piano (x, t)dalla retta t = vx e l'asse dei tempi t′, ovvero la retta di equazione x′ = 0, sarà datodalla retta t = 1

vx. L'osservatore O′ giudica eventi simultanei quelli che giacciono su rette

t′ = cost., cioè t = vx+ cost.γ. Prendiamo per esempio il luogo geometrico degli eventi che O

giudica simultanei e vericantesi dopo 1 metro (ricordiamo che stiamo misurando il tempoin metri!) dal qui ed ora. Questi saranno sulla retta t = 1. Ma per O′ gli eventi simultaneidopo 1 metro saranno t′ = 1, cioè t = vx + 1

γ. Non solo la retta degli eventi simultanei

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20 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

per O′ è inclinata rispetto a quella di O, ma anche l'unità di misura del tempo ne risultamodicata di una quantità 1/γ, come vedremo meglio più avanti.

La cosa più sorprendente è che apparentemente il sistema di riferimento O′ non sembrapiù ortogonale. L'angolo tra gli assi non è uguale a 90

!. Tuttavia questa non ortogonalità

è solo apparente. Infatti ciò che determina l'ortogonalità non è l'angolo tra gli assi, mal'annullarsi del prodotto scalare tra i vettori della base. Ora, il teorema che aerma che

~x · ~y = |~x||~y| cosϑxy

ove ϑxy è l'angolo compreso tra i due vettori, è vero solo in geometria euclidea. Cominciamoa capire che la geometria dello spazio-tempo non è di tipo strettamente euclideo.

In geometria euclidea la distanza ta due punti, per esempio tra l'origine e un punto Pdi coordinate (x, y) è data da s2 = x2 + y2, come ben nota conseguenza del Teorema diPitagora. La cosa importante è che, mentre un cambiamento di base nello spazio euclideopuò far variare le coordinate del punto P , la sua distanza dall'origine rimane invariata.Passando infatti da una base ortogonale a un'altra, la trasformazione che opero è, nel casoeuclideo, una rotazione. Ora, qualunque rotazione lascia invariata la quantità s2. Si diceinfatti in geometria che le rotazioni sono isometrie, ovvero trasformazioni di coordinateche lasciano invariata la distanza tra punti. Le traslazioni e le rotazioni nello spazio euclideosono isometrie.

Vediamo se anche nel nostro spazio-tempo vale una simile relazione, cioè se la distanzaspazio-temporale tra due eventi si può scrivere come σ2 = x2 + t2. Se così fosse, dovreitrovare che questa quantità è invariante per le trasformazioni che richiedo essere isometriedel mio spazio-tempo. Ciò che deve restare invariante per cambiamenti di coordinate nellospazio-tempo è la velocità della luce, che abbiamo visto condurre alle trasformazioni diLorentz. Perciò le nostre isometrie sono le trasformazioni di Lorentz. Se applico talitrasformazioni alla quantità σ2 sopra denita, mi accorgo subito che essa non è invariante:σ′2 6= σ2. Invece lo è la quantità τ 2 = t2 − x2. Infatti

τ ′2 = t′2 − x′2 = γ2[(t− vx)2 − (x− vt)2] = γ2(1− v2)(t2 − x2) = τ 2

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2.6. PRODOTTO SCALARE IN MN 21

Dunque la geometria è drasticamente diversa nello spazio-tempo rispetto allo spazionormale. Mentre il nostro spazio può essere assimilato allo spazio euclideo R3, lo spazio-tempo non è banalmente un R4, o più precisamente, è isomorfo a R4 come spazio vettoriale,ma non come spazio metrico. Chiameremo questo spazio M4, la lettera M essendo sceltain onore del matematico Minkowski che, negli anni immediatamente seguenti al 1905,formalizzò questo tipo di spazi proprio pensando all'applicazione in relatività stimolatada Einstein. Dunque nello spazio-tempo di Minkowski non vale il teorema di Pitagoratradizionale, ma piuttosto un teorema di Pitagora alla rovescia con il segno meno e dovel'ipotenusa è sempre minore di uno dei due cateti!

2.6 Prodotto scalare in MN

È chiaro che in una simile situazione geometrica anche il prodotto scalare va rivisto. Infattila distanza di un punto dall'origine può essere pensata come la norma del vettore cheidentica quel punto. Tornando al nostro esempio bidimensionale, in R2 tale norma è datada |~x|2 = x2 +y2 = ~x ·~x e risulta, per quanto detto, essere un invariante per trasformazioniisometriche. Invece in M2, ove un punto, o meglio un evento, è identicato dal vettorex = (t, x) la norma invariante sarà |x|2 = x · x = t2 − x2. Vediamo subito che il prodottoscalare è denito in modo diverso. In R2 esso era denito come

~a ·~b = a1b1 + a2b2

ma ciò porterebbe alla denizione di distanza s2 che non va bene in Minkowski. Quidobbiamo assumere un prodotto scalare denito come

a · b = a0b0 − a1b1

ove abbiamo indicato con l'indice 0 la coordinata temporale e con 1 quella spaziale deinostri vettori. In questo modo la norma di un vettore e il prodotto scalare stesso risultaessere invariante di Lorentz.

Tornando al caso 4-dimensionale sico, il prodotto scalare in M4 sarà dato da

a · b = a0b0 − a1b1 − a2b2 − a3b3

Pensando al prodotto scalare come moltiplicazione riga per colonna di vettori, mentre nelcaso euclideo R3 si ha immediatamente

(a1, a2, a3)

b1b2b3

=3∑

i=1

aibi

nel caso minkowskiano occorre inserire una opportuna matrice

(a0, a1, a2, a3)

1 0 0 00 −1 0 00 0 −1 00 0 0 −1

b0b1b2b3

=3∑

µ,ν=0

aµηµνbν

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22 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Useremo in generale indici latini quando ci riferiremo a spazi euclidei e indici greci perspazi di tipo Minkowski. Gli spazi minkowskiani talvolta vengono anche detti spazi pseudo-euclidei.

La matrice η di elementi ηµν viene detta metrica dello spazio M4. La metrica di RN

sarebbe invece banalmente la matrice identità a N dimesioni 1N . Talvolta la notazionedei 4-vettori ora introdotta viene abbreviata indicando solo due simboli nel vettore riga ocolonna: la componente temporale a0 e il 3-vettore delle componenti spaziali ~a. In questomodo la formula per il prodotto scalare diventa

(a0,~a)

(1 ~0~0 −13

)(b0~b

)= a0b0 − ~a ·~b

In M2 la metrica è semplicemente

η =

(1 00 −1

)Verichiamo che con tale metrica anche il sistema O′ risulta ortogonale, nonostante leapparenze. In O i vettori della base sono

e0 =

(10

), e1 =

(01

)ed evidentemente il loro prodotto scalare da proprio gli elementi di η:

eµ · eν = ηµν

come facile vericare. Perciò i vettori della base sono ortogonali. Trasformiamo questi vet-tori secondo Lorentz in una nuova base per O′ che si muove a velocità v. La trasformazionedi Lorentz si può scrivere in forma matriciale come(

t′

x′

)= γ

(1 −v−v 1

)(tx

)perciò

e′0 = γ

(1− v

0

), e′1 = γ

(0

1− v

)ed è quindi immediato vericare che anche i loro prodotti scalari vericano

e′µ · e′ν = ηµν

Dunque, anche se a prima vista gracamente diremmo che i due assi di O′ non sonoortogonali, in realtà essi vericano le condizioni di ortogonalità come quelli di O. È ilconcetto di ortogonalità che si modica nello spazio di Minkowski poiché la metrica, cheappunto determina i prodotti scalari, non è più 1 ma η.

Si noti come i vettori della base ortonormale, che in uno spazio euclideo prenderemmonormalizzati a 1, qui sono in realtà normalizzati a ±1. Infatti |e0|2 = 1, ma |e1|2 = −1.Equivalentemente, det η = −1 < 0. La metrica non è denita positiva e ciò ha comeconseguenza che possono esistere vettori a norma nulla che non sono nulli, mentre in unospazio euclideo questo era garantito.

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2.7. CONO-LUCE, PASSATO, PRESENTE, FUTURO 23

2.7 Cono-luce, passato, presente, futuro

I vettori in MN , cioè in qualunque spazio con metrica non denita positiva, si possonodividere come segue

1. vettori di tipo tempo, aventi |x|2 > 0

2. vettori di tipo spazio, aventi |x|2 < 0

3. vettori di tipo luce, aventi |x|2 = 0.

Questi ultimi deniscono un ipercono nello spazio M4 di equazione t2 − ~x2 = 0, dettocono-luce. I vettori di tipo tempo si trovano all'interno di questo cono e quelli di tipospazio all'esterno. L'origine del cono coincide con il qui e ora O. Il cono è ovviamentecomposto da due falde: una di coordinate t > 0 detta cono del futuro, l'altra con t < 0detta cono del passato. In gura ne diamo una rappresentazione in M3.

L'asse dei tempi in gura è orientato verticalmente dal basso verso l'alto. Il vertice deidue coni è l'evento qui e ora O. La supercie del cono superiore è il luogo geometricodelle traiettorie di raggi di luce emessi in O. L'interno del cono superiore rappresenta glieventi che potrò raggiungere in futuro partendo da O e viaggiando a v < 1. (vedremo trabreve che è impossibile viaggiare o comunicare a v > 1).

Analogamente la supercie del cono inferiore è il luogo geometrico di eventi passati chepossono aver emanato un raggio di luce che mi raggiunge qui e ora in O. Lo spazio, stelle,galassie, ecc... che vedo (cioè sto osseervando) ora tramite segnali luminosi (o radio, IR,UV, X...) è dato proprio da questa supercie conica (che in M4 sarebbe di dimensione 3,quindi uno spazio R3). L'interno del cono inferiore è l'insieme degli eventi di partenza diun mezzo di trasporto o un segnale viaggiante a v < 1 che raggiunge O qui e ora.

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24 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Risulta perciò evidente che l'evento O può essere inuenzato causalmente solo daglieventi appartenenti al cono inferiore, mentre O stesso può inuenzare causalmente soloeventi appartenenti al cono superiore. Ciò giustica la nomenclatura di passato data alcono inferiore e quella di futuro data al cono superiore.

La regione esterna ai due coni non presenta alcuna possibile connessione causale con Oe ad essa viene dato, forse con un certo abuso di termini, il nome di presente. Il piano (inM4 sarebbe un iperpiano R3) perpendicolare all'asse dei tempi e passante per O costituiscel'insieme di tutti gli eventi simultanei a O nel sistema di riferimento in cui O è a riposo eprende il nome di adesso. I concetti di presente e adesso, che abitualmente consideriamocome equivalenti, sono distinti in relatività e tornano a coincidere solo nel limite in cui lavelocità della luce diventa innita. In tale limite i coni si allargherebbero no a coinciderecon il piano dell'adesso. Si noti, equivalentemente, che abbiamo identicato due spazi R3 inquanto detto sopra, non coincidenti. Uno è lo spazio degli adesso, coiè denito dagli eventisimultanei. L'altro è lo spazio visibile che comprende eventi che vedo adesso, ma capitatinel passato. Se vedo oggi esplodere una supernova nella Grande Nube di Magellano, stoossevando ora un evento capitato circa 160.000 anni fa. Ciò che si trova al posto di quellasupernova ora, nel senso di simultaneamente a me adesso, mi è sconosciuto. Fa partedegli eventi del presente, di cui non posso avere informazione. Se decido ora di mandareuna sonda per esplorare quella supernova, a velocità vicinissima a quella della luce, essaraggiungerà la supernova tra 160.000 anni, quando la sua linea di mondo incontrerà il miocono del futuro.

2.8 Rapidità

Continuiamo a restringerci per semplicità allo spazio-tempo bidimensinale M2. Un altromodo di scrivere le trasformazioni di Lorentz fa uso delle funzioni iperboliche

cosh θ =eθ + e−θ

2, sinh θ =

eθ − e−θ

2

per le quali vale l'identitàcosh2 θ − sinh2 θ = 1

analoga a quella per funzioni trogonometriche ordinarie, ma con il segno meno, proprio ciòche distingue l'invariante di Lorentz da un comune invariante per rotazioni. Ricordiamoche

cosh θ = cos iθ , sinh θ = i sin iθ

e che, per denizione

tanh θ =sinh θ

cosh θ

Poiché eθ > 0 e e−θ > 0, allora cosh θ > 0, per tutti i θ. Invece sinh θ può essere sia positivoche negativo (è una funzione dispari di θ, mentre cosh θ è pari). Tuttavia è sempre

| sinh θ| < | cosh θ|

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2.8. RAPIDITÀ 25

fe quindi | tanh θ| < 1, per tutti i θ.

Valgono le espansioni in serie attorno a θ = 0

sinh θ ≈ θ +1

6θ3 +O(θ5)

cosh θ ≈ 1 +1

2θ2 +O(θ4)

tanh θ ≈ θ − 1

3θ3 +O(θ5)

Poniamo v = tanh θ nelle trasformazioni di Lorentz. Il parametro θ così denito prendeil nome di rapidità. Avremo

√1− v2 =

√1− sinh2 θ

cosh2 θ=

1

cosh θ=⇒ γ = cosh θ , γv = sinh θ

e quindi

t′ = t cosh θ − x sinh θ

x′ = x cosh θ − t sinh θ

ovvero (t′

x′

)=

(cosh θ − sinh θ− sinh θ cosh θ

)(tx

)

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26 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Così scritte, le trasformate di Lorentz hanno una fortissima analogia con una rotazione diangolo θ degli assi in un piano euclideo, dove però qui θ → iθ. Possiamo allora pensarealle trasformazioni di Lorentz come a una sorta di speciali rotazioni (iperboliche) nellospazio-tempo.

La legge di composizione delle velocità, in termini delle rapidità prende una formaparticolarmente interessante. Essa infatti può essere scritta come

tanh θB =tanh θA − tanh θAB

1− tanh θA tanh θAB

per la trasformazione da un sistema OA e uno OB viaggiante a velocità relativa vAB rispettoa OA. Questa risulta essere proprio la formula di addizione delle tangenti iperpoliche, dacui si deduce

θB = θA − θAB

ovvero, mentre in relatività le velocità non rispettano più una legge di somma, le rapiditàseguono un principio di addizione. Per piccole velocità

v = tanh θ ≈ θ + ...

e quindi il teorema di addizione delle rapidità equivale in questo limite al teorema diaddizione delle velocità galileiano.

2.9 Invarianza dell'ipervolume

Ritorniamo ora al diagramma dello spazio M2 di coordinate (t, x).

Un corpo che si muova alla velocità della luce viaggia lungo la prima o la secondabisettrice. Posso pensare di riscrivere le trasformazioni di Lorentz usando le coordinate

t± x = ξ±

dette coordinate di cono-luce. Avrò

ξ′± = e±θξ±

L'invariante di Lorentz τ 2 = t2− x2 è ora dato semplicemente dal prodotto τ 2 = ξ+ξ−. Lelinee ξ± = cost. sono le parallele alle bisettrici e segnano la propagazione di raggi di luce.

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2.10. IPERBOLI INVARIANTI, STABILITÀ DEL CONO-LUCE 27

Se costruisco un quadrato e poi lo trasformo secondo Lorentz può succedere per esempioche la sua ξ+ sia dimezzata, ma allora la sua ξ− sarà contemporaneamente raddoppiata,sicchè l'area rimane costante. Applicando questo ragionamento a tutto lo spazio M4 enon solo al diagramma semplicato bidimensionale, possiamo aermare che l'ipervolumeΩ di una gura geometrica 4-dimensionale è un invariante di Lorentz. In particolare ilvolumetto innitesimo d4x = dt dx1dx2dx3 è un invariante.

2.10 Iperboli invarianti, stabilità del cono-luce

Le rotazioni del piano euclideo mantengono invariate le circonferenze e ciò perché l'equa-zione della circonferenza si scrive

x2 + y2 = cost.

Ciò che funge da analogo della circonferenza nello spazio-tempo di Minkowski sono leiperboli

t2 − x2 = cost.

Esse sono iperboli equilatere aventi come asintoti le bisettrici η = cost. e ξ = cost. Latrasformazione di Lorentz non fa altro che far scorrere i punti del piano su queste iperboli(come ad esempio per i vertici del quadrato di cui sopra) che vengono perciò dette iperboliinvarianti.

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28 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Se allora un punto è vincolato a scorrere su queste iperboli, esso si potrà trovare o suuna iperbole del I-III quadrante rispetto a ξ±, oppure su una del II-IV, oppure sugli assiξ±. Poichè le bisettrici sono mandate in se stesse dalle trasformazioni di Lorentz, non èpossibile per un punto fuori di esse attraversarle. Esse dividono nettamente lo spazio-tempoin 3 regioni che vengono trasformate in se stesse.

Si vede così che una trasformazione di Lorentz manda eventi del cono del futuro sem-pre in eventi dello stesso cono del futuro. Analogamente capita con passato e presente. Sidice che le tre regioni passato, presente e futuro sono sottoinsiemi stabili, cioè mappatiin se stessi dalle trasformazioni di Lorentz. Le trasformazioni di Lorentz hanno quindi lapiacevole caratterisitica di non cambiare la posizione di un evento: se esso, per esempio,appartiene al futuro di O, apparterrà anche al futuro di qualunque sistema di riferimentocentrato in O e in moto relativo inerziale rispetto a quello in cui O è a riposo. Le trasforma-zioni di Lorentz, perciò, tendono a conservare la succesione causale degli eventi e questa èuna proprietà cruciale per una struttura geometrica che voglia pretendere di rappresentareil mondo sico.

2.11 Ordinamento causale e velocità maggiori di c.

Dimostriamo ora che in relatività ristretta non può esistere alcun agente sico

che si propaghi a velocità maggiore di quella della luce. Le trasformazioni diLorentz sono valide per v < 1, poiché per v = 1 il denominatore si annulla e per v > 1diventa immaginario. Si potrebbe però obbiettare che ciò non dimostra aatto che nonpossano esistere velocità superiori a quella della luce. Infatti per v ≥ 1 le trasformazionipotrebbero essere diverse. Tuttavia ora mostreremo che ciò porta ad un assurdo, usandosolo trasformazioni di Lorentz per v < 1.

Supponiamo di avere due eventi che siano distanti ∆x nello spazio e ∆t nel tempo; sianocioè (t1, x1) le coordinate dell'evento 1 e (t2, x2)le coordinate dell'evento 2. ∆x = x1 − x2

e ∆t = t1− t2 > 0, cioè l'osservatore O vede l'evento 2 avvenire prima dell'evento 1. Dalle

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2.12. CONTRAZIONE DELLE LUNGHEZZE 29

trasformazioni di Lorentz abbiamo subito che per un altro osservatore O′ in moto rispettoad O a velocità v questi intervalli saranno

∆x′ = γ(∆x− v∆t)

∆t′ = γ(∆t− v∆x)

E' possibile che O′ veda l'evento 1 avvenire prima di 2? Perchè ciò accada deve essere∆t′ < 0, ovvero ∆t < v∆x da cui

∆t

∆x< v < 1

Quindi tutti i sistemi che traslano rispetto al sistema O con velocità v sodisfacente a questediseguaglianze vedono prima 1 e poi 2. Tali v esistono se ∆t < ∆x, cioè se l'intervallotemporale tra i due eventi per l'osservatore O è minore del tempo che impiega la luce perandare da 2 a 1.

Supponiamo che l'evento 1 sia provocato dall'evento 2, cioè che esista una relazione dicausa-eetto tra i due eventi nella sequenza 2 → 1. E' chiaro che se trovo un osservatoreper il quale la sequenza di eventi è invertita ho violato la causalità. Se esiste tale causalità,allora essa sarà dovuta a un agente sico propagantesi da 2 a 1. Questo agente sico sipropaga a una velocità

u =∆x

∆t

Se u < 1 non ci sono velocità v tali da invertire la sequenza degli eventi 2 → 1, perché∆t/∆x = 1/u > 1. Se invece supponiamo per assurdo che tale agente sico si propaghicon una velocità u > 1, potremo sempre trovare una velocità v < 1 alla quale si mouve unosservatoreO′ per il quale la sequenza di eventi appare invertita (1 → 2) e ciò è chiaramenteimpossibile in quanto violerebbe la causalità.

Se ne conclude che nessun segnale, sia esso composto da corpi dotati di massa o meno,può propagarsi a velocità maggiore di quella della luce senza violare la causalità. La velocitàdella luce rappresenta quindi un limite massimo di propagazione di qualunque informazionenello spazio-tempo.

2.12 Contrazione delle lunghezze

Immaginiamo di avere una sbarra OA di lunghezza L ferma in O e avente un'estremitànell'origine O e l'altra in un punto A lungo l'asse x, cioè tale che

∀t, xo = 0 xA = L

Per le trasformazioni di Lorentz, lo stesso punto avrà in un sistema inerziale O′ in motorispetto a O a velocità v lungo l'asse x le seguenti coordinate

x′o = −γvto t′o = γto

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30 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

e quindi x′o = −vt′o, come è logico che sia, poiché O′ vede questo punto sso nell'origine diO allontanarsi a velocità −v. Analogamente per il punto A

x′A = γ(L− vtA) t′A = γ(tA − vL)

La misura di lunghezza della sbarra viene eettuata da entrambi gli osservatori misurandosimultaneamente le coordinate dei punti estremi O e A e calcolandone la dierenza, cioè

per O : L = xA − xo a tempi uguali to = tA

per O′ : L′ = x′A − x′o a tempi uguali t′o = t′A

La condizione t′o = t′A si traduce in

γto = γ(tA −v

c2L) ⇒ tA − to =

v

c2L

D'altronde la dierenza x′A − x′o si trasforma come

x′A − x′o = γ[L− v(tA − to)] = γL

(1− v2

c2

)da cui discende che O′ giudica che la lunghezza di una sbarra misurata da O essere dilunghezza L sia di lunghezza

L′ =L

γ

Poiché γ > 1, è sempre L′ < L e si ha il fenomeno noto come contrazione relativistica delle

lunghezze.

Una sbarra a 30 m/sec (velocità tipica di un auto sull'autostrada) sarebbe contrattadi una quantità dell'ordine di 10−14 volte la sua lunghezza a riposo. Ma a velocità vicinea quelle della luce la contrazione può arrivare a essere quasi totale. Si noti che questomodo di misurare la posizione degli estremi simultaneamente non tiene conto dei ritardidi segnale dovuti alla velocità nita della luce, e non è ad essi dovuto, ma alla particolarenatura della geometria pseudoeuclidea dell spazio-tempo.

2.13 Dilatazione dei tempi

Associata alla contrazione delle lunghezze si ha sempre anche una dilatazione dei tempi.Supponiamo di avere un orologio fermo nell'origine degli assi di O che possiamo schematiz-zare come una serie di eventi equidistanti (il battito dei secondi, per esempio) lungo l'asset. Sia la distanza tra i primi due di questi eventi T . Cioè il primo evento O si trova into = xo = 0 e il secondo A (l'altro estremo dell'intervallo temporale OA di lunghezza T )in tA = T e xA = 0.O′ vede i due eventi a tempi

t′o = 0 t′A = γtA

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2.14. PARADOSSO DEI GEMELLI 31

e quindi giudica che l'intervallo temporale trascorso sia

T ′ = t′A − t′o = γtA

dunque con una dilatazione dei tempi

T ′ = γT

2.14 Paradosso dei gemelli

Supponiamo che si voglia fare un viaggio dalla Terra ad α-Centauri (distanza misuratadalla Terra L = 4 anni-luce) a v = 4

5c = 240.000 Km/sec. La luce impiega 4 anni per

arrivare ad α-Centauri. I terrestri (sistema O) vedono l'astronave impiegare 5 anni perraggingere la stella.

Per questo problema conviene adottare come unità di misura aventi c = 1 l'anno peeri tempi e l'anno-luce per le misure spaziali.

Sull'astronave c'è un orologio che scandisce il tempo. Visto dagli astronauti, questoorologio è del tutto regolare, mentre da Terra lo si vede andare più lentamente e gli stessiastronauti invecchiano più lentamente dei loro gemelli terrestri. Per quanto visto, unintervallo di tempo dell'astronave sarà visto da Terra dilatato di un fattore

γ =1√

1− v2=

5

3

Quindi mentre sulla Terra sono passati 5 anni, sull'astronave ne sono passati 3 e quindigli astronauti dicono di impiegare 3 anni per fare il viaggio. Ma gli astronauti viaggianosempre alla velocità v = 4

5e dicono che il viaggio è più corto perché è più breve il percorso.

Infatti per la contrazione delle lunghezze per loro sarà L′ = 35L, cioè per gli astronauti

la distanza Terra α-Centauri è di 125

= 2, 4 anni-luce. Dunque l'evento A di arrivo suα-Centauri avrà coordinate

x = 4 t = 5 nel sistema O della Terra

x′ = 0 t′ = 3 nel sistema O′ dell'astronave

Tuttavia questo calcolo fa sorgere un apparente paradosso. La perfetta relatività deimovimenti fa sì che gli astronauti possano assumere di essere fermi e che invece sia la Terraa muoversi a v = 4

5e percio` essi vedono gli eventi terrestri svolgersi più lentamente di

un fattore di dilatazione 53. Allora dati due gemelli, uno dei quali rimane sulla Terra e

l'altro invece fa parte dell'equipaggio, il gemello terrestre vedrebbe il gemello astronautainvecchiare meno rapidamente di lui, mentre il gemello astronauta vedrebbe quello terrestreinvecchiare meno di lui. Chi invecchia meno in realtà?

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32 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

Il paradosso si risolve rendendosi conto che due sistemi di riferimento inerziali viaggianonecessariamente con moto rettilineo uniforme uno rispetto all'altro e che perciò nchè sirimane in questa situazione non vi sarà modo per i due gemelli di reincontrarsi e paragonareeettivamente le loro età. Per fare ciò, l'astronave deve invertire il suo moto e tornare versola Terra. Ma questo equivale a dire che deve necessariamente rallentare e passare quindiper stati di moto accelerato per i quali non valgono più le trasformazioni di Lorentz.

Tralasciando il problema della decelerazione e poi nuova accelerazione in senso oppostodell'astronave, immaginiamo che il gemello astronauta, una volta arrivato ad α-Centauri,salti dal sistema di riferimento inerziale O′ di andata verso la stella a quello O′′ di ritorno.Eventi simultanei per il sistema di andata sono individuati da rette parallele all asse x′ delsistema di andata, e queste rette sono ben diverse da quelle parallele all'asse x′′ del sitemadi ritorno.

Il gemello astronauta, nell'evento A in cui arriva su α-Centuari ed è ancora solidale alsistema di riferimento O′, descrive gli eventi che lui giudica simultanei al suo arrivo, comeil luogo geometrico dato dalla retta parallela all'asse x′ e passante per l'evento A cioè nel

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2.14. PARADOSSO DEI GEMELLI 33

sistema di coordinate di O′ dalla retta

t′ = 3

Questa viene trasformata nel sistema O della Terra nella retta di equazione

3 =5

3

(x+

4

5t

)ovvero

t =4

5x+

9

5

che intercetta l'asse x = 0 su cui rimane la Terra a un tempo t = 95

= 1, 8 anni. Questo èil tempo che il gemello astronauta giudica sia passato sulla Terra durante il suo viaggio diandata.

Ora l'astronauta inverte bruscamente la rotta, cioè salta istantaneamente su un altrosistema di riferimento O′′ in cui la retta degli eventi simultanei con A è data dalla equazione

t = −4

5x+

41

5

che è la retta di inclinazione data dall'inverso della velocità (negativa) di ritorno che passaper l'evento A. L'astronauta, durante il salto daO′ aO′′ vede trascorrere istantaneamentetutti gli eventi terrestri dal tempo 9

5= 1, 8 anni al tempo 41

5= 8, 2 anni. Cioè un intervallo

di 6,4 passa istantaneamente sulla Terra per giudizio dell'astronauta.Ovviamente questo salto istantaneo non è sicamente possibile. La decelerazione e

successiva accelerazione deve durare un certo tempo e i tempi terrestri vengono visti scor-rere più velocemente ma non istantanemaente per eetti di trasformazioni tra sistemi diriferimento accelerati che tratteremo in relatività generale. Per ora basti sapere che alsuo ritorno sulla Terra il gemello astronauta sarà invecchiato in totale di 6 anni, mentre ilsuo gemello terrestre sara` invecchiato di 10 anni. Questa asimmetria è dovuta proprio alfatto che l'astronauta ha dovuto cambiare sistema di riferimento inerziale mentre il gemelloterrestre no.

Si noti che anche in questa analisi del paradosso dei gemelli non si tiene conto dellavelocità di propagazione del segnale. Gli eetti di dilatazione dei tempi e contrazione dellelunghezze sono dati esclusivamente da considerazioni sul concetto di simultaneità comegiudicato dai diversi sistemi di riferimento inerziali in gioco.

Se invece volessimo tener conto della propagazione dei segnali alla velocità c, la descri-zione dei fenomeni sarebbe diversa. L'astronauta vedrebbe gli eventi terrestri dei primi 1,8anni raggiungerlo molto lentamente, mentre i successivi lo raggingerebbero rapidamentedurante il viaggio di ritorno, cosicchè al momento del rientro sulla Terra l'astronauta èaggiornato su tutti gli eventi accaduti sul pianeta nel decennio trascorso. Tuttavia egli èconscio che ciò che vede a un certo istante sulla Terra è in realtà avvenuto tempo primaed è a lui arrivato tramite un segnale luminoso che ci ha messo un certo tempo, così comequando vediamo esplodere una supernova non diciamo ora è esplosa la supernova ma,

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34 CAPITOLO 2. CINEMATICA RELATIVISTICA

se questa si trova per esempio a 1000 anni-luce da noi, diciamo 1000 anni fa è esplosauna supernova nella costellazione tal dei tali, ecc.... Attribuiamo cioè all'evento esplosionedella supernova una proprietà di simultaneità con gli eventi terrestri di 1000 anni fa, noncon quelli di oggi. È questa simultaneità che viene distorta dalle trasformazioni di Lorentz.L'eetto non è dovuto solo al trasmettersi a velocità nita dei segnali.

2.15 Tempo proprio

Si denisce tempo proprio τ di un sistema di riferimento il tempo misurato dagli orologiposti a riposo nel sistema di riferimento dato.

Si ponga attenzione nel distinguere il tempo proprio dal tempo coordinata. Il tempo

coordinata vuol dire semplicemente la dierenza tra la coordinata tempo di due eventi.L'evento partenza e l'evento arrivo su α-Cen dell'astronave, nell'esempio del paragrafoprecedente, sono distanziati di 5 anni per l'osservatore terrestre O.

Tempo proprio è quello sperimentato dall'astronave per chi è sopra l'astronave. Essa,nel sistema dell'astronave O′ è ferma. Ora, abbiamo visto che

dt′2 − d~x′2 = dt2 − d~x2

è un invariante per trasformazioni di Lorentz. Nel sistema dell'astronave d~x′ = 0 e dt′ èil tempo segnato dagli orologi dell'astronave, cioè è contemporaneamente tempo proprio etempo coordinata dell'astronave.

dτ 2 = dt2 − d~x2

Ma d~xdt

= ~v e quindi, indicando con v = |~v|

dτ = dt√

1− v2

cioè si riottiene il tempo dilatato, cioè il tempo proprio dell'astronave è il tempo che laTerra ha visto passare sui suoi orologi moltiplicato per per il fattore di rallentamento√

1− v2 = γ−1.D'ora in poi useremo il tempo proprio come invariante spazio-temporale fondamentale

dτ 2 = dt2 − dx21 − dx2

2 − dx23

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Capitolo 3

Calcolo tensoriale piatto

Vediamo ora di formalizzare in una veste matematica corretta le idee esposte nel capitoloprecedente. Allo scopo iniziamo con alcuni richiami sugli spazi vettoriali e gli spazi metrici,per poi introdurre il calcolo tensoriale piatto.

Le leggi della Fisica devono essere uguali in qualsiasi sistema di riferimento inerziale,cioè invarianti per trasformazioni di Lorentz. Per poter asserire ciò bisogna porre le leggisiche in una forma in cui l'invarianza appaia chiaramente e ciò viene fatto tramite ilcalcolo tensoriale.

3.1 Spazi vettoriali lineari reali

Uno spazio vettoriale lineare V su un corpo commutativo K è un insieme di elementi ~vdetti vettori1 nel quale siano denite

• una operazione di somma + : V× V → V che goda delle proprietà

commutativa~v + ~u = ~u+ ~v ∀~v, ~u ∈ V

associativa(~v + ~u) + ~w = ~v + (~u+ ~w) ∀~v, ~u, ~w ∈ V

esistenza del vettore nullo

∃~0 ∈ V : ~v +~0 = ~v ∀~v ∈ V1In questa sezione useremo la convenzione di indicare vettori in uno spazio vettoriale generico di di-

mensione N con il simbolo ~x. Useremo invece la notazione con lettere grassette x quando penseremo aun vettore come a una matrice colonna. La corrispondente matrice riga sarà indicata dall'operazione ditrasposizione come xT . Le matrici quadrate saranno indicate con lettere grassette, usualmente, ma nonsempre, maiuscole A,B, ecc...I risultati di questo capitolo si potranno applicare sia allo spazio-tempo 4-dimensionale di Minkowski,

i cui vettori sono indicati con x che allo spazio ordinario R3 i cui vettori sono indicati con ~x negli altricapitoli.

35

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36 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

esistenza dell'opposto

∀~v ∈ V ∃(−~v) : ~v + (−~v) ≡ ~v − ~v = ~0

• un prodotto per scalari K× V → V che goda delle proprietà

distributiva Iλ(~v + ~u) = λ~v + λ~u ∀λ ∈ K, ∀~v, ~u ∈ V

distributiva II

(λ+ µ)~v = λ~v + µ~v ∀λ, µ ∈ K, ∀~v ∈ V

associativa(λµ)~v = λ(µ~v) ∀λ, µ ∈ K, ∀~v ∈ V

invarianza per l'unità di K

1~v = ~v 1 ∈ K, ∀~v ∈ V

Nel seguito ci occuperemo principalmente dei casi in cui K = R nel quale V è detto spaziovettoriale reale.

Ricordiamo qui, senza ripeterne le dimostrazioni, alcune proprietà utili degli spazivettoriali:

• l'unicità del vettore nullo e dell'opposto di un elemento dato

• le leggi di annullamento del prodotto per scalari

0~v = ~0 ∀~v ∈ V

λ~0 = ~0 ∀λ ∈ R

• la validità delle usuali regole algebriche di calcolo

• l'esistenza una base ~eµ;µ = 1, ..., N di vettori linearmente indipendenti di V taleche ogni vettore ~a ∈ V si possa esprimere come2

~a = aµ~eµ aµ ∈ R

Il numero intero N si dice dimensione di V e si scrive dim V = N . Le aµ sono dettecomponenti del vettore ~a nella base ~eµ.

2Qui e nel seguito aderiamo alla convenzione di Einstein sugli indici: indici ripetuti una volta in alto euna in basso si sottintendono sommati, cioè, per esempio, la notazione precedente sottintende una

∑µ a

secondo membro. Quindi o un indice si contrae, cioè si somma con un altro indice con lo stesso nome mache si trova in posizione (alto o basso) opposta, oppure è libero e allora deve comparire libero e nella stessaposizione anche nell'altro membro dell'equazione. Si noti che gli indici ripetuti sono muti e che quindipossono essere ribattezzati a piacere.

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3.1. SPAZI VETTORIALI LINEARI REALI 37

Deniamo un operatore come un ente astratto A che, applicato a un generico ~a ∈ Vproduce come risultato un altro vettore ~d ∈ V, cioè A : V → V.

A~a = ~d

Consideriamo operatori lineari, cioè tali che

A(λ~a+ µ~b) = λA~a+ µA~b

Il vettore ~d sarà esprimibile come ~d = dµ~eµ, ma anche come

~d = A~a = A(aµ~eµ) = aµA~eµ = aµAνµ~eν

cioèdµ = aνAµ

ν

in cui Aµν indica la µ-sima componente del vettore A~eν . I numeri Aµ

ν possono essereorganizzati in una matrice

A =

A11 . . . A1

N...

. . ....

AN1 . . . AN

N

Si noti che la posizione degli indici non è indierente. Il primo indice, che sia in alto oin basso, rappresenta comunque le righe, mentre il secondo rappresenta le colonne. Eccoperchè le notazioni Aµ

ν e Aµ

ν non sono equivalenti e la notazione Aµν in realtà avrebbe senso

solo per matrici simmetriche. Si può così dire che la matrice A costituisce una rappresen-tazione matriciale dell'operatore lineare A. Come conseguenza dell'algebra operatoriale sipuò immediatamente costruire l'algebra delle matrici

1. Somma: la matrice S = A + B ha componenti Sµν = Aµ

ν +Bµν

2. Prodotto: la matrice P = AB ha componenti P µν = Aµ

ρBρν

Un vettore ~a = aµ~eµ sarà rappresentato dalla matrice colonna

a =

a1

...aN

e ciò concorda con la denizione del prodotto righe per colonne

dµ = Aµνa

ν cioè d = Aa

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38 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

3.2 Prodotto scalare, metrica

Nello spazio V deniamo un prodotto scalare, inteso come forma bilineare non degenerecon valori in R, cioè · : V× V → R avente le proprietà

~a ·~b = ~b · ~a

(λ~a+ µ~b) · ~c = λ~a · ~c+ µ~b · ~c

Il prodotto scalare permette di denire, per ogni vettore, una norma

|~v| =√~v · ~v

Uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare viene perciò detto spazio normato.Esprimendo i vettori tramite le componenti nella base

~a ·~b = aµbν~eµ · ~eν = gµνaµbν

ove si è denita la metrica

gµν = ~eµ · ~eν

La commutatività del prodotto scalare implica la simmetria della metrica gµν = gνµ.Introduciamo anche la metrica inversa, denita dalla relazione

gµνgνρ = δµρ

dove δµρ = 1 se µ = ρ e δµ

ρ = 0 se µ 6= ρ è il cosiddetto simbolo di Krönecker, che descrive lecomponenti della matrice identità 1. Pensando a gµν come alle componenti di una matriceg, allora la relazione denitoria di gµν si rilegge come g−1g = 1, e ciò giustica il nomedi metrica inversa per gµν . Il fatto che il prodotto scalare sia non degenere assicura chedetg 6= 0 e che quindi esiste l'inverso g−1. Si noti invece che non richiederemo in generaleche il prodotto scalare sia denito positivo, il che implicherebbe che tutti gli autovalori dig siano positivi. Qui invece possiamo permettere sia autovalori positivi che negativi, comeappunto capita nel caso della metrica dello spazio-tempo minkowskiano.

Il prodotto scalare in termini matriciali si può rappresentare come

~a ·~b = aTgb

Uno spazio normato dotato di metrica invertibile e simmetrica si dice spazio metrico.Nella presente trattazione assumiamo che gli elementi della matrice metrica siano co-

stanti indipendenti dalle coordinate. Vedremo che in Relatività generale occorrerà genera-lizzare questo punto a metriche dipendenti dalle coordinate, che introdurranno i cosiddettispazi curvi. Nella trattazione della relaitività ristretta, tuttavia, si fa uso solo di metrichecostanti e gli spazi metrici dotati di metriche costanti si dicono spazi piatti.

Possiamo poi denire i vettori della base duale di V

~eµ = gµν~eν

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3.2. PRODOTTO SCALARE, METRICA 39

che sono pure linearmente indipendenti. Pertanto un vettore si può decomporre anche nellabase duale

~a = aµ~eµ

Confrontando questa decomposizione con quella nella base originaria si legano i due diversitipi di componenti

aµgµν = aν

e analogamenteaµgµν = aν

Inoltre il prodotto scalare di due vettori si esprime come

~a ·~b = gµνaµbν = aνb

ν

Da tutto ciò si comprende l'importante ruolo della metrica gµν e della sua inversa gµν

nell'alzare e abbassare gli indici. In qualunque situazione, da una quantità con un indicein alto si potrà ottenere la sua analoga con indice in basso moltiplicando per la metricagµν . Viceversa un indice sarà abbassato dalla metrica inversa gµν .

Due vettori si dicono ortogonali se il loro prodotto scalare è nullo. Una base in cui tuttii vettori siano ortogonali l'uno all'altro si dice base ortogonale. Ovviamente la metrica gdi una base ortogonale è una matrice diagonale. Poichè ogni matrice con determinante nonnullo si può diagonalizzare, e avrà come elementi diagonali i suoi autovalori, ne concludiamoche possiamo sempre trovare una base ortogonale per uno spazio piatto.

La norma può essere riscritta in componenti, mostrando la sue relazione con la metrica

|~v|2 = gµνvµvν

In particolare per i vettori della base

|~eµ|2 = gµµ (qui non vale la convenzione di Einstein)

e perciò possiamo sempre ridenire nuovi vettori della base aventi norma quadrata 1:~eµ = g

−1/2µµ ~eµ. In questa nuova base ortonormale la metrica risulta necessariamente

diagonale e avente lungo la diagonale elementi gµµ = ±1. Gli spazi vettoriali reali normati

piatti si possono perciò classicare dandone le dimensioni e la quantità di +1 e −1 checompaiono nella metrica di una loro base ortonormale. Poiché il numero totale deglielementi diagonali di g è la dimensione, in realtà basterà indicare quanti autovalori +1(o coordinate temporali) e quanti −1 (o coordinate spaziali) compaiono nella metrica.

Come spazi vettoriali, tutti questi spazi sono isomor a RN . Tuttavia solo se tuttigli autovalori hanno lo stesso segno, che in questo caso conviene prendere positivo, cioèse in una base ortonormale g = 1N (dove 1N indica la matrice identità a N dimensioni)essi sono isomor a uno spazio euclideo. In questo caso potremo usare la notazione RN

per identicarli. In tutti gli altri casi useremo la notazione Rp,q dove p è il numero di

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40 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

coordinate spaziali e q quello di coordinate temporali3. Gli spazi di Minkowski sarannoclassicati come MN = RN−1,1 cioè spazi con N − 1 coordinate spaziali e 1 coordinatatemporale. Gli spazi Rp,q con entrambi p, q 6= 0 e dim Rp,q = p + q sono detti spazipseudoeuclidei. In questa notazione lo spazio-tempo sico della Relatività ristretta, chenora abbaimo chiamato M4, è R3,1.

Il segno di |~v|2 dipende essenzialmente dagli autovalori della metrica. In RN questi sonotutti positivi, e perciò anche il determinante della metrica è positivo. La norma quadratasarà sempre positiva e potrà annullarsi solo per il vettore nullo. Nel caso, invece, deglispazi pseudoeuclidei è possibile trovare un luogo geometrico di tutti i vettori che hannonorma nulla. A questo luogo viene dato il nome di cono-luce. I vettori saranno classicatia seconda che abbiano norma positiva, nulla o negativa in vettori di tipo tempo, di tipoluce o di tipo spazio, come già visto.

3.3 Cambiamenti di base

Un altro importante aspetto della questione è vedere cosa succede alle aµ quando si fa uncambiamento di base. Supponiamo di trasformare i vettori della base ~eµ in un nuovoinsieme di vettori ~e′µ attraverso l'applicazione di una trasformazione lineare L

~e′µ = L~eµ = Λνµ~eν

Dunque la trasformazione L si può rappresentare come una matrice N × N Λ. Si puòdimostrare facilmente che i vettori ~e′µ sono ancora linearmente indipendenti se e solo sedetΛ 6= 0. In questo caso ~e′µ è una nuova base di V ed esiste certamente la trasformazioneinversa Λ−1 che manda le ~e′µ nelle ~eµ.

Sia dato un vettore ~a e abbia componenti aµ nella vecchia base ~eµ e a′µ nella nuovabase ~e′µ. Sarà

~a = aµ~eµ = aµ(Λ−1)νµ~e

′ν = a′ν~e′ν

cioèa′ν = (Λ−1)ν

µaµ

Si vede come le componenti con indice in alto di ~a si trasformano con Λ−1. Perciò sonodette componenti controvarianti del vettore ~a.

3Il scegliere +1 per le coordiante temporali e −1 per quelle spaziali è puramente una convenzione. Sipotrebbe benissimo scegliere, come in eetti vienefatto in molti libri di relatività, anche di attribuire il nomedi spaziali alle coordinate con metrica +1, (convenzione East-Coast) il che tra l'altro sarebbe compatibilecon la scelta nel caso euclideo. Tuttavia per altri motivi realtivi a una scrittura più elegante della teoria diecampi, molti scelgono la convenzione, cui aderiremo anche noi, di attribuire +1 alle coordinate temporalie −1 a quelle spaziali (convenzione West-Coast). I nomi delle convenzioni derivano dal fatto che mentrela scuola di Einstein (Princeton, ecc...) che si trova sulla costa atlantica degli USA (East-Coast) adottavala metrica con coordinate spaziali +1, nei grandi Istituti di ricerca californiani, seguendo soprattuttoFeynman, si preferì la metrica con +1 per le coordinate temporali. Leggendo un libro di Relatività siinvita sempre a fare molta attenzione a come si sono adottate le convenzioni, poiché diverse formulepossono cambiare segno a causa di questa scelta.

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3.4. ISOMETRIE 41

Ricordando che aµ = aνgµν = aν~eµ · ~eν , avremo

a′µ = a′ν~e′µ · ~e′ν = (Λ−1)νρa

ρΛσµΛτ

ν~eσ · ~eτ

Però (Λ−1)νρΛ

τν = δτ

ρ e quindi

a′µ = Λσµgσρa

ρ = Λσµaσ

Queste componenti si trasformano perciò con Λ e vengono quindi dette componenti cova-

rianti di ~a.

3.4 Isometrie

Tutte le possibili trasformazioni lineari invertibili e suriettive sui vettori di uno spazio me-trico possono essere viste come cambiamenti di base. Tra esse, hanno particolare interessequelle che lasciano invariato il prodotto scalare. A queste si da il nome di isometrie.Dunque, se opero una trasformazione su un vettore ~v, esso si trasformerà in un v' a causadi una isometria L

~v′ = L~v (3.1)

Pensando ai vettori come matrici colonna, il prodotto scalare si realizza riga per colonnacioè occorre, tramite la metrica, denire il corrispondente vettore riga. Si noti, per quantodetto sopra, che il vettora riga v di componenti covarianti vµ è dato da

v = vTg

Il prodotto scalare sarà allora~u · ~v = uv = uTgv

Il cambiamento di base (3.1) in termini matriciali si scrive

v′ = Λv u′T = uTΛT

Se la trasformazione L deve lasciare invariato il prodotto scalare, si deve vericare che

u′Tgv′ = uTΛTgΛv = uTgv

da cui la condizione fondamentale che denisce l'insieme di matrici che possono rappresen-tare una isometria

ΛTgΛ = g (3.2)

Nel caso di spazi euclidei in cui g = 1 questa si riduce alla condizione di ortogonalitàdi matrici. Le isometrie degli spazi euclidei sono le rotazioni N -dimensionali che sonorealizzate appunto da matrici ortogonali

ΛT = Λ−1

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42 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

Queste matrici costituiscono un gruppo sotto l'operazione di prodotto di matrici, che sichiama gruppo ortogonale O(N). Poichè per qualunque matrice con detA 6= 0

detAT = detA e det(A−1) = (detA)−1

per le matrici ortogonali si ha

(detΛ)2 = 1 ⇒ detΛ = ±1

E' chiaro che due matrici ortogonali con determinante +1 hanno prodotto ancora condeterminante +1. Le matrici con determinante +1 formano perciò un sottogruppo di O(N)detto sottogruppo delle rotazioni proprie SO(N). Le matrici con determinante −1 invecenon formano gruppo. Tuttavia esse possono essere tutte ottenute moltiplicando le matricidi SO(N) per un singolo elemento con determinante −1, per esempio la matrice −1 se Nè dispari, o la matrice diag(1,−1, ...,−1) se N è pari. Esse quindi costituiscono un lateraledel sottogruppo SO(N) e, detto Z2 il gruppo ciclico 1,−1 si ha O(N) = SO(N)× Z2.

Passiamo ora ad esaminare il caso degli spazi pseudoeuclidei Rp,q. La relazione deni-toria del gruppo di matrici è ora la (3.2) con g = diag(1, ..p volte..., 1,−1, ...q volte...,−1).Questo denisce un gruppo che è la generalizzazione del gruppo delle rotazioni O(N) a spazicon metrica più generale. Indicheremo questi gruppi con O(p, q). Il gruppo delle trasforma-zioni di Lorentz è pertanto il gruppo O(3, 1). A questo gruppo vanno aggiunte le traslazionispaziali e temporali, che formano un gruppo abeliano isomorfo a Rp+q (inteso come grupporispetto al prodotto), per avere tutte le isometrie psssibili di Rp,q. Il gruppo di tutte leisometrie, sia Lorentz che traslazioni, si dice gruppo di Poincaré P(p, q) = O(p, q)× Rp+q.

Il determinante, con ragionamento del tutto analogo a quanto fatto per le matrici orto-gonali, è sempre ±1. Anche qui possiamo quindi identicare un sottogruppo di trasforma-zioni proprie SO(p, q). Tuttavia la struttura può presentare un ulteriore complessità, cheanalizzeremo in dettaglio nel coaso di nostro intertesse, cioè il gruppo O(3, 1).

3.5 Gruppo di Lorentz

Il gruppo di Poincaré P(3, 1) è il gruppo delle trasformazioni di coordinate x′ = Λx + a inR3,1 che lasciano invariato il prodotto scalare e perciò permettono di denire l'invariantemetrico dτ 2 = |dx|2 = dt2 − |d~x|2. Le trasformazioni di Poincaré sono costituite dalletraslazioni a ∈ R4 e dalle trasformazioni di Lorentz Λ ∈ O(3, 1). Queste ultime si possonodividere in proprie, cioè con determinate +1, e improprie con determinate −1. Le primeformano il sottogruppo SO(3, 1), come già visto. Le seconde invece sono un laterale chepuò essere realizzato moltiplicando ogni elemento di SO(3, 1) per la matrice g = η =diag(1,−1,−1,−1). Quest'ultima lascia invariata la coordinata temporale e manda lecoordinate spaziali da ~x in −~x. Si tratta quindi di una trasformazione di parità. Ognitrasformazione impropria è il prodotto di una trasformazione propria e una di parità.

Inoltre si può denire l'insieme O+(3, 1) delle matrici Λ aventi l'elemento Λ00 > 0.

Queste trasformazioni hanno la proprietà di lasciare invariato l'ordine temporale degli

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3.5. GRUPPO DI LORENTZ 43

eventi, perciò sono dette ortocrone. Quelle invece con Λ00 < 0 invertono la direzione

dell'asse dei tempi e vengono dette anticrone. Il loro insieme viene spesso indicato conO−(3, 1). Chiameremo inoltre SO±(3, 1) = O±(3, 1)∩ SO(3, 1). Dimostriamo che O+(3, 1)è un sottogruppo di O(3, 1). Sapendo che il prodotto è associativo, che l'elemento 1appartiene a O+(3, 1), ci basta mostrare che il prodotto di due matrici ortocrone è ancorauna matrice ortocrona e che l'inversa di una trasformazione ortocrona è ortocrona. Perfare ciò cominciamo col notare che, dalla relazione (3.2) discende

Λ−1 = η−1ΛT η

Ne segue(Λ−1)0

0 = Λ00 (3.3)

Perciò se Λ è ortocrona con Λ00 > 0, pure Λ−1 lo è. Inoltre

(Λ−1)k0 = Λ0

k , (Λ−1)kl = Λl

k k, l = 1, 2, 3 (3.4)

Inoltre, sempre dalla relazione denitoria (3.2), calcolandone esplicitamente il primo ter-mine, si ha

(Λ00)

2 −∑

i

(Λi0)

2 = 1

Riscrivendo quest'ultima per Λ−1 e tenendo conto delle (3.3,3.4) abbamo anche

(Λ00)

2 −∑

i

(Λ0i)

2 = 1

Da queste ultime due equazioni discende che (Λ00)

2 ≥ 1 e cioè Λ00 ≤ −1 oppure Λ0

0 ≥ 1.Chiaramente le metrici ortocrone si hanno nel secondo caso. Supponiamo che Λ,Σ ∈O+(3, 1). Vogliamo mostrare che P = ΛΣ ∈ O+(3, 1). Calcoliamo pertanto il primoelemento di matrice di P

P 00 = Λ0

0Σ00 +

∑i

Λ0iΣ

i0 = Λ0

0Σ00 + ~Λ · ~Σ

dove con ~Λ, ~Σ indichiamo i vettori di componenti Λ0i e Σi

0 rispettivamente. Il loro prodottoscalare gode della seguente proprietà

~Λ · ~Σ = |~Λ||~Σ| cos θ

dove θ è l'angolo tra ~Λ e ~Σ e ovviamente | cos θ| ≤ 1. Perciò

|~Λ · ~Σ| ≤ |~Λ||~Σ|

Ora (Λ00)

2 = 1 + |~Λ|2 > |~Λ|2 e (Σ00)

2 = 1 + |~Σ|2 > |~Σ|2, per cui Λ00Σ

00 > |~Λ||~Σ| e

P 00 = Λ0

0Σ00 + ~Λ · ~Σ ≥ Λ0

0Σ00 − |~Λ||~Σ| > 0

da cui risulta che P ∈ O+(3, 1). Dunque le matrici ortocrone formano un sottogruppo diO(3, 1).

La situazione dei sottogruppi del gruppo di Lorentz si può riassumere nella segnetetabella

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44 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

detΛ = +1 detΛ = −1

Λ00 ≥ 1 proprie ortocrone improprie ortocrone

Λ00 ≤ −1 proprie anticrone improprie anticrone

La prima casella in alto a destra, cioà le proprie ortocrone forma il sottogruppo SO+(3, 1)delle trasformazioni di Lorentz ottenibili dall'identità con deformazioni continue dei para-metri. Normalmente si richiede che una legge sica sia invariante rispetto a queste trasfor-mazioni. Le trasformazioni della seconda casella, le improprie ortocorone, si ottengono dalleproprie ortocrone moltiplicandole per una inversione di parità P = diag(1,−1,−1,−1) (checoincide con la metrica η). Tutte le leggi siche per le quali si desidera anche invarianzadi parità devono essere invarianti almeno per tutte le ortocrone, siano esse proprie o im-proprie, cioè per il sottogruppo O+(3, 1) costituito da entrambe le caselle della prima rigadella tabella.

La prima casella della seconda riga, le trasformazioni proprie anticrone si ottengono dal-le proprie ortocrone moltiplicandole per una inversione temporale T = diag(−1,−1, 1, 1).Tutte le leggi siche che siano indierenti alla freccia del tempo devono essere invariantiper tutte le matrici proprie, siano esse ortocrone o anticrone, cioè per le matrici di tuttoil sottogruppo SO(3, 1) costituito dalle due caselle della prima colonna della tabella. Lematrici della seconda colonna della seconda riga, cioè le improprie anticrone si ottengonodalle proprie ortocrone moltiplicandole per PT = diag(−1, 1,−1,−1). Esse vanno consi-derate se si vuole invarianza rispetto a tutto il gruppo di Lorentz, cioè anche per parità einversione temporale.

3.6 Tensori

Considerando ora un operatore rappresentato da una matrice A, i suoi elementi Aµν si

trasformano come segue(A′)µ

ν = (Λ−1)µρΛ

σνA

ρσ

Quindi, consistentemente, l'indice in alto si trasforma in maniera controvariante e quello inbasso in maniera covariante. Più in generale, un oggetto che si trasforma come il prodottodi p componenti controvarianti e q covarianti di un vettore si dice tensore di rango (p, q).In altre parole, un tensore è un insieme di numeri

Aµ1···µpν···νq

che, per una trasformazione di base, si trasforma come

(A′)µ1···µpν1···νq

= (Λ−1)µ1ρ1· · · (Λ−1)µp

ρ1Λσ1

ν1· · ·Λσq

νqAρ1···ρp

σ1···σq

In un tensore, qualunque indice può essere innalzato o abbassato usando la metrica o lametrica inversa.

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3.7. INVARIANTI 45

3.7 Invarianti

Si dicono invarianti le quantità che non variano per un cambiamento di base. Il prodottoscalare di due vettori è un invariante

a′µb′µ = aσΛσ

µ(Λ−1)µρb

ρ = aσδσρ b

ρ = aσbσ

Gli invarianti sono molto importanti in relatività. Ad esempio, le trasformazioni di Lorentzdevono lasciare invariata la quantità

dτ 2 = dt2 − |d~x|2 = gµνdxµdxν = dxµdx

µ

Poichè non abbiamo richiesto la positività della metrica, si può avere dτ 2 < 0 e non è veroche dτ 2 = 0 implichi che dxµ = 0. Infatti tutti i vettori del cono-luce sono caratterizzatiproprio da dτ 2 = 0.

Un altro invariante importante è la traccia TrA = Aµµ di una matrice

(A′)µµ = (Λ−1)µ

ρΛσµA

ρσ = Aρ

ρ

Anche il determinante di una matrice è un invariante. Basta ricordare che il determi-nante di un prodotto è uguale al prodotto dei determinanti e che il determinante di unamatrice inversa è uguale all'inverso del determinante della matrice originaria:

detA′ = det(Λ−1AΛ) = (detΛ)−1 detA detΛ = detA

3.8 Campi tensoriali

Ci interessa ora studiare la trasformazione di un tensore dipendente dal punto, ovvero diquello che si denisce come un campo tensoriale.

(T ′)µνρ(x

′) = (Λ−1)µα(Λ−1)ν

βΛγρT

αβγ(x)

in cuixµ = Λµ

νx′ν

Supponinamo di avere una grandezza W (P ), ove P è un punto di V di coordinate~x. Se trasformandola secondo una isometria di V succede che W ′(P ) = W (P ), ovveroW ′(~x′) = W (~x), si dice che W è una funzione scalare. Se W ′ = W anche come formafunzionale, ovvero W (~x′) = W (~x), si parla di invariante scalare.

Un esempio di invariante scalare in R3 è il potenziale coulombiano

V (r) =a

r=

a√∆xi∆xi

Trasformandolo con l'isometria di R3, cioè le rotazioni O(3), si ha infatti

V ′(r′) =a√

(R−1)ji∆x

′jR

ik∆x

′k=

a√∆x′j∆x

′j= V (r′)

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46 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

Quindi V (r) non solo ha lo stesso valore, ma mantiene anche la stessa forma nel nuovosistema di coordinate ~x′ che aveva nel vecchio ~x.

Introduciamo ora il concetto di derivata di un tensore. Cominicamo col denire lederivate di una funzione scalare

∂W ′

∂x′µ=∂W

∂xν

∂xν

∂x′µ= Λν

µ

∂W

∂xν

La derivata di uno scalare rispetto alle componenti controvarianti di un 4-vettore si compor-ta quindi come un 4-vettore covariante. Analogamente la derivata rispetto alle componenticovarianti si comporta in modo controvariante

∂W ′

∂x′µ=∂W

∂xν

∂xν

∂x′µ= (Λ−1)µ

ν

∂W

∂xν

In maniera poco ortodossa, si può dire che indici in alto nel denominatore di una derivatasi comportano come indici in basso e viceversa indici in basso si comportano come indici inalto. Ciò giustica l'introduzione del simbolo ∂µ per indicare la derivata tensoriale rispettoalla coordinata xµ

∂µ ≡∂

∂xµ= (

∂t, ~∇)

∂µ si comporta quindi come un 4-vettore covariante

∂′µ = Λνµ∂µ

Si noti che l'analogo controvariante è dato da

∂µ =

(∂∂t

−~∇

)Derivando un tensore di rango r si ottiene un tensore di rango r + 1. Per esempio

∂′µT′αβ(~x′) = Λν

µ(Λ−1)αγ(Λ

−1)βδ∂νT

γδ

Ad esempio in R3 il potenziale elettrostatico, come abbiamo visto, è un invariante scalare.Derivandolo rispetto alle componenti xi del vettore posizione ~x si ottiene un 3-vettore (ilcampo elettrico) Ei = −∂iV il che può essere scritto in notazione vettoriale ~E = ~∇V comeben noto.

La derivata di un vettore da un tensore di rango 2

∂µVν = T ν

µ

Facendone la contrazione si ottiene la divergenza del vettore ~V . A 3 dimensioni questa èla usuale divergenza

∂iVi = ~∇ · ~V

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3.8. CAMPI TENSORIALI 47

che è infatti uno scalare. Nel caso 4-dimensionale di Minkowski si parla di 4-divergenza

∂µVµ

di un 4-vettore. Questa è uno scalare di Lorentz.Inne, il rotore è una operazione dierenziale che, applicata a un vettore, genera un

altro vettore. In generale, per scrivere questa operazione in componenti conviene introdurreil simbolo totalmente antisimmetrico di Levi-Civita. In uno spazio vettoriale V aN dimensioni questa è denita come un tensore di rango N

εα1...αN =

+1 perα1...αN = tutte le permutazioni pari di 1, ..., N−1 perα1...αN = tutte le permutazioni dispari di 1, ..., N0 per almeno 2 indici uguali

Illustreremo questo a 3 dimensioni in R3 e a 4 dimensioni nello spazio-tempo di MinkowskiM4. In R3 talvolta il simbolo di Levi-Civita viene anche chiamato simbolo di Ricci. Lecomponeti del rotore di un vettore saranno espresse da

(~∇× ~V )i = εijk∂jVk

Infatti, per esempio

(~∇× ~V )1 = ε123∂2V3 + ε132∂3V2 = ∂2V3 − ∂3V2

come deve essere secondo la denizione tradizionale. Il lettore potrà agevolmente vericarele altre componenti.

Il simbolo di Levi-Civita a 4 dimensioni ha 4 indici: εαβγδ = −εαβγδ. La contrazione diun tensore antisimmetrico di rango r ≤ 4 con il simbolo di Levi-Civita produce un altrotensore di rango 4− r totalmente antisimmetrico nei suoi indici che viene detto duale delprecedente

εαβγδVδ = V αβγ εαβγδFγδ = Fαβ εαβγδRβγδ = Rα

La contrazione, invece, con un tensore simmetrico produce 0, perché moltiplicare un oggettosimmetrico per uno antisimmetrico produce sempre zero. Poiché ogni tensore di rango 2può essere pensato come la somma di una parte simmetrica e di una antisimmetrica negliindici, risulta che solo la parte antisimmetrica può avere un duale. Si noti che la proprietàche il duale di un tensore di rango 2 è pure di rango 2 è valida solo in 4 dimensioni.

Il simbolo di Levi-Civita si trasforma come

ε′α1...αN = detΛ · εα1...αN

ed è quindi una densità tensoriale di rango N . Si dice densità scalare ogni oggetto che sitrasformi come

q′(x′) = detΛ · q(x)

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48 CAPITOLO 3. CALCOLO TENSORIALE PIATTO

e densità tensoriale ogni oggetto che, oltre alla trasformazione tipica dei tensori abbia ancheun termine di tipo determinante nella trasformazione. Per esempio una densità tensorialedi rango 2 si trasforma come

T ′µν(x′) = detΛ · (Λ−1)µρ(Λ

−1)νσT

ρσ

Nel caso del simbolo di Levi-Civita, tutti i termini Λβiαi

nella contrazione si elidono dandodelle δ di Kroenecker e lasciando quindi sopravvivere solo il termine col determinate. Per letrasformazioni proprie detΛ = 1 perciò non c'è distinzione da un tensore usuale, e il simbolodi Levi-Civita è lo stesso in tutti i sistemi di riferimento. Ma se considero trasformazioniimproprie, allora detΛ = −1 e i tensori sono quindi caratterizzati dalle loro trasformazionidi parità. I vettori che si trasformano con un segno meno sotto trasformazioni di paritàvengono detti pseudovettori. Si possono avere anche pseudoscalari (le densità scalari) epseudotensori.

Una proprietà importante di εijk = εijk a 3 dimensioni è la seguente

εijkε lmi = δjlδkm − δjmδkl

molto utile per dimostare certe identità tra gradienti, divergenze e rotori di 3-vettori.Vedremo alcuni esempi di ciò nella trattazione del campo elettromagnetico.

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Capitolo 4

Dinamica relativistica

4.1 Particella libera relativistica

Per sviluppare una dinamica relativistica procederemo qui da un punto di vista formale,e cioè da un prinicipio di minima azione. Come in meccanica newtoniana una particellalibera percorre un cammino lungo il quale la traiettoria sia minima (linea retta in uno spazioeuclideo) e questo può essere formalizzato chiedendo che la lunghezza della traiettoria Γ∫

Γ

ds

sia minimo, cioè che

δ

∫Γ

ds = 0

così anche in relatività richiederemo che la lunghezza della linea di mondo γ di una particellanello spazio-tempo sia la minima possibile se la particella è libera. Perciò richiederemo ilprincipio di minima azione

δS = 0

con

S = α

∫γ

ove α è una costante per ora arbitraria, che sseremo in seguito. L'azione S può esserescritta come l'integrale, tra l'istante iniziale tA e quello nale tB del moto, di una funzionedelle coordinate e delle velocità nota come Lagrangiana L(~x,~v)

S =

∫ tB

tA

dt L(~x,~v)

Poichè il tempo proprio dτ è legato al tempo coordinata da dτ =√

1− v2dt, possiamoassumere come lagrangiana di una singola particella libera la quantità

L = α√

1− v2

49

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50 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

Determiniamo ora la costante α richiedendo che per v → 0 sia riprodotta la lagrangiananon relativistica di una particella libera, che notoriamente è pari alla sua energia cienticaL = 1

2mv2 + cost. (a meno di una costante additiva arbitraria). Perciò espandiamo questa

esperessione per v piccoli

L = α− 1

2αv2 + ...

da cui è immediato identicare α = −m. Perciò la lagrangiana relativistica della particellalibera di massa m è

L = −m√

1− v2

La massa m si intende misurata nel sistema di riferimento a riposo. Da questa lagrangianaè immediato ricavare, col metodo di Euler-Lagrange, le equazioni del moto

d

dt

∂L

∂~v− ∂L

∂~x= 0 (4.1)

cioè il moto rettilineo uniforme~v = cost.

Per ricavare una espressione per l'impulso ~p di questa particella, ricordiamo che informalismo lagrangiano esso è visto come variabile canonicamente coniugata alla coordinata~x

~p =∂L

∂~v=

m~v√1− v2

= mγ~v

Si noti come questa espressione dierisca da quella newtoniana ~p = m~v. Il fattore γ facrescere vertiginosamente l'impulso di una particella di massa m quando questa viaggi avelocità relativistiche. Per accelerare una particella alla velocità della luce occorrerebbefornirle un impulso innito, cosa chiaramente impossibile e per questo motivo nessun corpomateriale dotato di massa potrà mai raggiungere la velocità della luce.

L'energia totale del sistema è data dall'hamiltoniana

E = H = ~p · ~v − L = mγv2 +m√

1− v2 =mv2 +m−mv2

√1− v2

= mγ

Si noti che quando la particella è a riposo, cioè γ = 1, l'energia del sistema non è nulla,bensì

E0 = m

cioè ogni corpo materiale è dotato di una energia a riposo pari alla sua massa. Questa è forsela relazione più famosa di tutta la relatività, ma quello che interessa qui è capirne il profondosignicato: ogni massa è una forma di energia e l'energia può essere sempre pensata comemassa (questo sarà particolarmente importante per determinare i campi gravitazionali).La massa pu essere trasformata in energia e viceversa, come avviene notoriamente nellereazioni nucleari. Per esempio nella fusione dell'idrogeno in elio, la massa totale dei corpiiniziali è più grande del 7 per mille di quella del nucleo di elio nale. La dierenza si ètrasformata in energia termica e cinetica i cui eetti devastanti sono noti a tutti.

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4.2. 4-VELOCITÀ 51

L'energia di una particella libera può perciò essere pensata come somma di energiacinetica e energia a riposo

E = mγ = m+ (γ − 1)m

perciò una espressione per l'emergia cinetica di una particella materiale in relatività èT = (γ− 1)m. È immediato vericare che, espandendo per piccole v si riottiene la formulausuale dell'energia cientica non-relativistica T = 1

2mv2.

4.2 4-velocità

Una volta compreso come scrivere l'energia e il momento relativistici, ci chiediamo comeessi si trasformino sotto Lorentz. Allo scopo dobbiamo prima introdurre il concetto di4-velocità. Essa è denita come

uµ =dxµ

Essendo la derivata eettuata rispetto al tempo proprio, che è un invariante, uµ ereditale proprietà tensoriali di dxµ e quindi è un 4-vettore. Le componenti della 4-velocità sipossono ottenere osservando che dτ 2 = dt2 − |d~x|2 = dt2(1− v2) da cui dt = γdτ e perciò

uµ = γdxµ

dt= γ

(1~v

)La 4-velocità ha sempre norma 1

uµuµ = γ2(1,−~v)

(1~v

)= γ2(1− v2) = 1

E' utile denire in maniera simile anche la 4-accelerazione

aµ =duµ

che risulta sempre ortogonale alla 4-velocità. Infatti derivando la uµuµ = 1 rispetto a τ si

ottieneaµuµ = 0

4.3 4-impulso e equazione di mass-shell

Una volta introdotta la 4-velocità la trattazione covariante dell'impulso e dell'energiapuò essere agevolmente trattata dimostrando che la quantità p = (E, ~p) di componenticontrovarianti

pµ =

(E~p

)

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52 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

detta 4-impulso è un 4-vettore. Infatti essa può essere scritta come pµ = muµ con uµ

4-velocità, come è immediato vericare

pµ =

(mγmγ~v

)= mγ

(1~v

)= mγuµ

Il 4-vettore p perciò ha componenti che si trasformano come un tensore controvariante dirango 1

p′µ = (Λ−1)µνp

ν

da cui si possono ricavare le trasformazioni di energia e impulso. In particolare, sistemidi riferimento diversi attribuiranno energia diversa a un corpo; le componenti energia eimpulso si mescolano in una trasformazione di Lorentz, proprio come si mescolano spazioe tempo.

La quantità |p|2 = pµpµ è pertanto un invariante di Lorentz. Essa può essere espressa

da un lato tramite la sua espressione generale

|p|2 = E2 − p2

(in cui si è usata la notazione p = |~p|) e dall'altro può essere calcolata in un sistema diriferimento particolare, poiché il suo valore non cambia passando da un sistema a un altro.Calcolandola quindi nel sistema di riferimento a riposo, in cui

pµ =

(m~0

)si ottiene l'equazione di mass-shell o equazione di dispersione per una particella liberarelativistica

E2 = p2 +m2

che è l'analogo della formula newtoniana che lega impulso ed energia E = p2

2m. Si noti che

se si vuole calcolare l'energia da questa formula occorre estarre una radice quadrata

E = ±√p2 +m2

Le soluzioni con il segno meno vengono escluse dal fatto che si assume che una particellaa riposo abbia energia pari alla sua massa positiva m, non −m. Tuttavia queste energienegative diventano importanti quando si cerca di introdurre una equazione quantisiticarelativistica analoga all'equazione di Schrödinger, la cosiddeta equazione di Dirac, cheprevede appunto accanto alle soluzioni di energia positiva anche quelle di energia negativa,portando di fatto al concetto di antiparticella. Non ci occupiamo qui per ora di questoproblema, segnalando però che anche le soluzioni di energia negativa della relazione dimass-shell possono assumere signicato in certi capitoli della Fisica Teorica.

Si noti inoltre che la relazione di mass-shell ci da anche la relazione energia-impulso nelcaso di particelle prive di massa (per esempio il fotone)

E = p

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4.4. PARTICELLA IN UN POTENZIALE ESTERNO 53

Pensando a tali particelle prive di massa come caso limite di quelle massive per m→ 0, cirendiamo conto che la relazione

E =m√

1− v2

si annullerebbe a meno che il denominatore pure si annulli, ovvero che v = 1, cioè che laparticella viaggi alla velocità della luce. Viceversa, una particella che viaggia alla velocitàdella luce avrebbe energia divergente, a meno che il numeratore si annulli, cioè la particellasia di massa nulla. Le particelle esistenti in natura perciò si possono dividere in due grandiclassi:

• quelle con massa m > 0 che viaggiano sempre a velocità inferiore a quella della luce

• quelle di massa nulla, che sono forzate a viaggiare costantemente alla velocità dellaluce senza mai fermarsi o rallentare.

Non possono invece esistere particelle che viaggino a velocità superiori a quelle della luce(tachioni). Esse potrebbero essere infatti veicolo di segnali superluminali che violerebberola causalità. Per essere più precisi esse potrebbero esistere ma non avere alcuna interazionecol mondo da noi conosciuto e perciò si possono totalmente ignorare in una teoria scienticaperché non misurabili.

4.4 Particella in un potenziale esterno

Supponiamo ora che la nostra particella sia immersa in un campo esterno statico descrivibileda un potenziale V (~x). La lagrangiana sarà ora

L = −m√

1− v2 − V (~x)

e le equazioni di Euler-Lagrange (4.1) che minimizzano l'azione in questo caso sono

d~p

dt= −∂V

∂~x= −~∇V

Introdotto il concetto di forza~F = −~∇V

la legge fondamentale del moto può essere scritta come

~F =d~p

dt

che ha una forma analoga a quella newtoniana, ma in realtà è molto diversa. Infatti ora ilmomento non ha più la forma newtoniana ~p = m~v da cui sarebbe subito possibile inferire

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54 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

la seconda legge di Newton ~F = m~a. Essendo ora la forma dell'impulso ~p = mγ~v la suaderivata sarà più complicata

~F = md

dt(γ~v) = mγ~a+m

dt~v

= mγ~a+mdγ

d~v· d~vdt~v = mγ~a−mγ3(~v · ~a)~v

Questa legge mostra che la forza è parallela alla accelerazione solo nel caso in cui que-st'ultima sia perpendicolare alla velocità o parallela ad essa. In tutti gli altri casi, ci sonocomponenti della forza non dirette come l'accelerazione. Inoltre la validità di questa formadella legge del moto è limitata ai casi in cui la massa rimane costante. Ora abbiamo vistoche processi nucleari possono trasmutare massa in energia e perciò può esserci anche untermine dm/dt che complica ulteriormente le cose. In conclusione, sebbene la ~F = d~p/dtsia una corretta legge dinamica in relatività, essa ha un contenuto in generale molto piùricco che in meccanica newtoniana, prevedendo sia forze non parallele all'accelerazione, siala possibilità che, con la transmutazione di massa in energia siano previsti nuovi metodi diinuire sulle traiettorie dei corpi materiali.

4.5 4-forza

Un metodo più succinto di esprimere la legge della dinamica è quello di introdurre ilconcetto di 4-forza

F µ =dpµ

dτEssendo dτ un invariante, la natura tensoriale di pµ implica che la 4-forza è un 4-vettore.Le sue componenti sono

F µ =dt

dpµ

dt= γ

(dEdt~F

)Come abbiamo visto, in relatività può capitare che la massa di un corpo si trasmuti inparte in energia, cambiando quindi le caratteristiche del moto, come avviene per esempionelle reazioni nucleari. Se però ci restringiamo a moti in cui la massa a riposo del corporimane costante, dalla denizione di 4-forza segue

F µ = mduµ

dτ= maµ

cioè una specie di analogo 4-dimesionale della legge di Newton. Ricordando che la 4-accelerazione è ortogonale alla 4-velocità, ne segue Fµu

µ = 0, da cui, esplicitando lecomponenti

γ2(dE

dt,−~F )

(1~v

)= 0

ovverodE

dt= ~F · ~v

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4.6. AZIONE A CONTATTO E A DISTANZA. CAMPI. 55

e perciò possiamo riscrivere la 4-forza come

F µ = γ

(~F · ~v~F

)Osservando inne che ~p = E~v si ha

~F =d~p

dt= E~a+

dE

dt~v

e perciò la generalizzazione relativistica della legge di Newton

~F = mγ~a+ (~F · ~v)~v

che torna a coincidere con quella classica per v 1. Questa equazione ci dice che laforza, in generale, non è più parallela all'accelerazione, cosa che invece succedeva sempre inmeccanica newtoniana. Il parallelismo tra ~F e ~a sussiste solo se ~v = 0, ciè in caso di motoincipiente, oppure se ~F · ~v = 0, cioè per forze perpendicolari alla velocità (come nel motocircolare uniforme) o, inne, per il caso in cui il moto sia rettilineo (non necessariamenteuniforme), cioè con ~a parallela a ~v.

4.6 Azione a contatto e a distanza. Campi.

Se si vuole ora considerare la dinamica di un sistema chiuso (cioè non sottoposto a forzeesterne, ma solo alle forze esercitate da uno sull'altro corpo appartenente al sistema), siincontra un punto fondamentale di dierenza con la meccanica newtoniana.

Un sistema di particelle infatti può prevedere due tipi fondamentali di interazioni:

• l'interazione a contatto in cui i corpi si comportano come liberi nchè non giungonoa contatto l'uno dell'altro e allora avviene un urto durante il quale può esserci scambiodi impulso e energia. Questa è la situazione tipica delle classiche palle da biliardo

• l'interazione a distanza in cui i corpi si sentono l'un l'altro attraverso un poten-ziale, come avviene per esempio nella gravità newtoniana.

Nessun segnale può propagarsi a velocità superiore a quella della luce. La visione newto-niana della forza di gravitazione universale presuppone una forza che dipenda solo dalleposizioni dei corpi che la generano e la subiscono. Poiché tali corpi si muovono, il dire chela forza dipende solo dalla posizione e non dalla velocità ha una conseguenza crucuale: sideve richiedere che la forza si propaghi a velocità innita. Se un corpo si muove la suainuenza gravitazionale secondo Newton deve riaggiornarsi immediatamente in qualunquepunto dello spazio. Ciò rende la graviatazione di Newton incompatibile con la relatività ri-stretta. Sarà da questo punto che prenderà le mosse l'altra grande rivoluzione Einsteiniana,la relatività generale.

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56 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

Qui ci basti commentare per ora che una interazione tra corpi distanti in relatività nonpuò che avvenire a velocità minore o uguale a quella della luce. Il concetto di campo, chein meccanica newtoniana era nulla più che un espediente matematico, diventa ora invececentrale. Invece del concetto di azione a distanza tra due corpi, la visione relativistica pre-ferisce parlare di corpo materiale che produce un campo (gravitazionale, elettromagnetico,ecc...) che si propaga nello spazio come un'onda a velocità minore o uguale a quella dellaluce e quando raggiunge l'altro corpo materiale è da questo percepito e ne inuenza il moto.Ciò che viene salvato della visione newtoniana è solo il prinicipio di azione e reazione. Laforza prodotta dal campo sul corpo di arrivo è uguale e contraria a quella sul corpo dipartenza. Tuttavia queste due forze non vengono in essere nello stesso istante, ma sonoseparate dal tempo di propagazione del segnale di campo da un corpo all'altro.

Tuttavia il principio di azione e reazione garantisce, come in meccanica newtoniana,che l'impulso totale di un sistema chiuso si conserva. Nel caso di forze a contatto questo èchiaramente intuitivo. Se la forza ~FAB agente dalla particella A sulla particella B duranteun urto è uguale e contraria alla ~FBA agente dalla particella B sulla particella A, allora

~FAB + ~FBA =d

dt(~pA + ~pB) = 0

Perciò l'impulso totale ~P = ~pinA + ~pin

B = ~poutA + ~pout

B si conserva nel processo di urto. Dall'e-quazione di mass-shell discende che anche l'energia totale E = Ein

A + EinB = Eout

A + EoutB .

Perciò possiamo aermare che in ogni processo di urto il 4-impulso totale P µ del sistemasi conserva.

Nel caso di interazione a distanza ovviamente per avere ancora la conservazione del4-impulso totale dobbiamo ammettere che parte di esso è data dal 4-impulso del campoche deve essere sommato a quello delle particelle. Dunque in relatività l'unico tipo dilagrangiama che possiamo immaginare di scrivere per particelle interagenti a distanza è perforza accoppiata alla lagrangiana di un campo φ(~x, t) (la cui natura tensoriale dipenderàdal tipo di interazione) che media le forze tra queste particelle

L =∑

A

(−mA

√1− v2

A − V (~xA, ~vA, φ(~xA, t), ∂µφ(~xA, t))

)+ Lcampo(φ, ∂µφ)

Vedremo in dettaglio un esempio di ciò trattando il campo elettromagnetico.

In ultima analisi anche le interazioni a contatto sono in realtà delle interazioni a distanza(su distanze molto piccole). Due palle da biliardo che urtano sono composte da atomi che,avvicinandosi gli uni agli altri, si repellono per via di forze elettromagnetiche. Gli urti traparticelle elementari sono in realtà regolati dalle forze nucleari (deboli e forti), anch'essedescritte da un campo. Da ciò si vede come il concetto di campo prenda sempre piùimportanza man mano che si procede nell'analisi delle forze della natura e la relatività sidimostra perfettamente compatibile con questo tipo di visione.

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4.7. CRITICA AL CONCETTO DI CORPO RIGIDO 57

4.7 Critica al concetto di corpo rigido

In meccanica classica è molto in uso il concetto di corpo rigido. Un corpo perfettamenterigido ha un moto del tutto solidale col suo centro di massa. Se imprimo una forza suun lato del corpo, tutti i punti del corpo devono risentire immediatamente di questa forzae spostarsi di conseguenza. In relatività, tuttavia, ciò è impossibile perché implicherebbela trasmissione di una informazione a velocità innita. Detto in altro modo, la velocitàdel suono all'interno di un corpo rigido dovrebbe essere innita e perciò maggiore dellavelocità della luce. Il corpo perfettamente rigido è un concetto non valido in meccanicarelativistica.

La visione relativistica si sposa bene invece con una visione atomistica in cui un corpomateriale è costituito da moltissimi corpuscoli tenuti insieme da campi di interazione.Il problema si ripresenta però a livello dei corpuscoli: se questi hanno una qualunqueestensione, non potendo essere rigidi, devono essere composti di qualcosa di ancora piùpiccolo. Dunque gli oggetti elementari in relatività devono essere puntiformi. In realtàquesta visione viene modicata se si introducono considerazioni quantisitiche. Tuttaviaqui non ci occuperemo di questo interessantissimo aspetto, che esula dalla trattazionestrettamente classica della relatività ristretta e assumeremo come puntiformi gli oggettielementari.

4.8 Densità e correnti

Spesso, avendo a che fare con corpi macroscopici, conviene considerare la distribuzionedi materia come approssimativamente continua e perciò introdurre i concetti di densità ecorrente di materia. Preso un cubetto innitesimo di lato dx e volume dV = d3x di mate-riale, misuratane la massa-energia dE si denisce densità di materia-energia relativisiticala quantità

µ(~x, t) =dE

dV

Questa può variare nel tempo perché ci può essere un usso di materia che esce o entradalle pareti immaginarie del cubetto. Dunque una informazione completa non constasolo della densità ma anche dei movimenti di materia, cioè del movimento che la materiadel cubetto compie in ogni istante, ovvero della corrente di materia

~π(~x, t) = µ(~x, t)~v(~x, t)

Alternativamente possiamo pensare a un sistema di N particelle puntiformi A = 1, ..., Nche costituiscono il nostro corpo materiale. In questo caso la denizione di densità ecorrente può agevolmente essere data in termini di distribuzioni delta di Dirac centrate nei

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58 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

punti in cui si trovano le particelle (si ricordi che ~pA = EA~vA)

µ(~x, t) =∑

A

EAδ(3)(~x− ~xA) (4.2)

~π(~x, t) =∑

A

~pAδ(3)(~x− ~xA) (4.3)

in cui δ(3)(~x) = δ(x1)δ(x2)δ(x3) è la distribuzione delta di Dirac tridimensionale e ~xA =~xA(t) è la traiettoria della particella A.

Naturalmente µ(x) non è un invariante di Lorentz. Per rendersene conto facilmente,pensiamo a un gas di densità uniforme in una scatola cubica di lato L. Se M è la massatotale del gas, la sua densità nel sistema di riferimento in cui il cubo è a riposo, sarà

µ =M

L3

Tuttavia se osservo il cubo da un sistema di riferimento inerziale che si muova rispetto aquello a riposo con velocità v lungo uno dei lati del cubo, questo lato subirà una contrazionedi Lorentz e misurerà L′ = L/γ. Pertanto questo nuovo osservatore non vede più un cuboma un parallelepipedo schiacciato di un fattore γ nella direzione del moto e avente volumeL3/γ. Perciò egli attribuirà al gas una densità

µ′ =γM

L3= γµ

Ci aspettiamo quindi che la densità si trasformi con un fattore γ e che non sia uno scalareinvariante di Lorentz, ma si trasformi come una struttura più complicata.

Allo stesso modo si possono introdurre altre densità. Per particelle dotate di unaqualche proprietà che chiameremo genericamente carica qA potrò introdurre una densitàdi carica e una densità di corrente

ε(~x, t) =∑

A

qAδ(3)(~x− ~xA)

~J(~x, t) =∑

A

qA~vAδ(3)(~x− ~xA)

e lo stesso per qualunque altro tipo di carica una particella possa possedere. Nel seguito diquesta sezione pensiamo a qA come a una qualsiasi caratteristica Lorentz-invariante di unaparticella: la sua massa mA, la sua carica elettrica eA oppure un'altro tipo di carica (peresempio di colore per i quarks, ecc...). L'invarianza di queste cariche elementari implicache possiamo scrivere le densità e le correnti in maniera covariante collezionandole in un

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4.8. DENSITÀ E CORRENTI 59

4-oggetto

Jµ =

(ε~J

)=∑

A

qA

(1~vA

)δ(3)(~x− ~xA) =

∑A

qAdxµ

A

dtδ(3)(~x− ~xA)

=

∫dt∑

A

qAδ(t− tA)dxµ

A

dtδ(3)(~x− ~xA) =

∫dt∑

A

qAdxµ

A

dtδ(4)(x− xA)

=

∫dτ∑

A

qAuµAδ

(4)(x− xA(τ))

In questa ultima forma è chiaro che Jµ è un 4-vettore. Infatti dτ e qA sono invarianti, uµA

sono 4-vettori e la δ(4), dovendo soddifare in qualunque sistema di riferimento la relazionedenitoria ∫

d4xδ(4)(x) = 1

deve pure essere un invariante. Per essere più precisi essa si trasforma inversamente ad4x. Quest'ultimo si trasforma come detΛ−1, perciò la delta di Dirac 4-dimensionale sitrasforma come detΛ, cioè come una densità scalare. Perciò Jµ si trasforma come unopseudo-4-vettore.

Calcoliamo ora, tornando alla notazione con la delta 3-dimensionale, la divergenza delladensità di corrente

~∇ · ~J =∑

A

qAd~xA

dt

∂~xδ(3)(~x− ~xA) = −

∑A

qAd~xA

dt

∂~xA

δ(3)(~x− ~xA)

= −∑

A

qA∂

∂tδ(3)(~x− ~xA) = −∂ε

∂t

Se le qA sono proprietà delle particelle indipenedenti dal tempo allora vale l'equazione dicontinuità

∂ε

∂t+ ~∇ · ~J = 0

ovvero ancora più elegantemente in formalismo 4-dimensionale

∂µJµ = 0

Questa equazione ha un profondo signicato sico, in quanto è alla base delle leggi diconservazione. Infatti in un sistema chiuso, la carica totale Q sarà la somma di tutte lecariche qA delle singole particelle, ovvero l'integrale della densità ad essa associata su unvolume V sucientemente grande da includere tutto il sistema

Q(t) =

∫V

d3xε(x) =∑

A

∫d3x qAδ

(3)(~x− ~xA) =∑

A

qA

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60 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

Questa quantità globale potrebbe in linea di principio dipendere dal tempo t. Tuttavial'equazione di continuità ci permette di calcolarne la derivata temporale

dQ

dt=

∫V

d3x∂ε

∂t= −

∫V

d3x~∇ · ~J

Ora per il teorema di Stokes l'integrale su un volume della divergenza di un campo vettorialeè pari all'integrale sulla frontiera ∂V di tale volume del campo vettoriale stesso∫

V

d3x~∇ · ~J =

∫∂V

d~σ · ~J

dove con d~σ si indica il vettore innitesimo normale a ∂V in un punto ~σ ∈ ∂V . Se questasupercie è presa molto lontana (matematicamente, innitamente lontana) dal sistema,tutte le densità e correnti saranno nulle su tale supercie. Perciò l'integrale di Stokes siannulla e

dQ

dt= 0 ⇒ Q = costante

Perciò a ogni equazione di continuità è associata una legge di conservazione della quantità

Q =

∫R3

d3xJ0(x)

Notando che d3x si trasforma con un γ−1 e ε con un γ, si vede che Q è uno scalare se Jµ

era un 4-vettore.

4.9 Tensore energia-impulso

Ritorniamo alla denizione di densità di massa-energia e alla corrispondente corrente, datenelle eq.(4.2,4.3). La corrente corrisponde anche alla densità di impulso, perciò allo stessomodo della densità di materia possiamo pensare alla densità di impulso come un 3-vettoredi componenti

πi(x) =∑

A

piAδ

(3)(~x− ~xA)

dove piA sono le componenti del 3-vettore impulso della particella A. La densità di corrente

corrispondente a ogni componente della densità di impulso è data da un oggetto con 2 indiciσij. Il primo denota a quale componente della densità di impulso ci stiamo riferendo, ilsecondo è l'indice della componente della velocità nella denizione di corrente

σij(x) =∑

A

piAv

jAδ

(3)(~x− ~xA)

Tutte queste nozioni possono essere riassunte in un unico oggetto 4-dimensionale con dueindici

T µν(x) =∑

A

pµA

dxµA

dtδ(3)(~x− ~xA) =

∑A

pµAp

νA

EA

δ(3)(~x− ~xA)

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4.9. TENSORE ENERGIA-IMPULSO 61

da cui si evince che T µν = T νµ è un oggetto simmetrico. Inoltre esso può essere riscrittocome

T µν =∑

A

∫dτpµ

AuνAδ

(4)(x− xA(τ))

in analogia con quanto fatto nel caso di una corrente generica nella sezione precedente.Con ciò si vede che si tratta di un tensore di rango 2, cui viene dato il nome di tensoreenergia-impulso. Le sue componenti in forma matriciale sono

T µν =

µ π1 π2 π3

π1 σ11 σ12 σ13

π2 σ21 σ22 σ23

π3 σ31 σ32 σ33

=

(µ ~π~π σ

)

dove la matrice 3×3 σ è detta tensore degli sforzi (nome mutuato dalla teoria dell'elasticitàdei solidi) e il suo elemento i, j-simo rappresenta il usso della componente i della densitàdi impulso lungo la direzione j.

Questa denizione è stata data per particelle non interagenti o interganeti a contatto.Nel caso di particelle interagenti a distanza si dovrà considerare anche la densità di ener-gia e di impulso distribuita nel campo di interazione, come vedremo nel caso del campoelettromagnetico.

Il tensore energia impulso è una quantità fondamentale in tutta la relatività, ristrettao generale. Esso infatti codica nella maniera più completa la conservazione di 4 caricheche sono alla base di tutta la meccanica.

∂iTµi =

∑A

pµA

dxiA

dt

∂xiδ(3)(~x− ~xA)

= −∑

A

pµA

dxiA

dt

∂xiA

δ(3)(~x− ~xA)

= −∑

A

pµA

∂tδ(3)(~x− ~xA)

= − ∂

∂t

∑A

pµAδ

(3)(~x− ~xA) +∑

A

dpµA

dtδ(3)(~x− ~xA)

= −∂Tµ0

∂t+∑

A

dpµA

dtδ(3)(~x− ~xA)

ovvero

∂νTµν =

∑A

dpµA

dtδ(3)(~x− ~xA) =

∑A

F µAγ

−1(vA)δ(3)(~x− ~xA) = gµ

A dierenza del caso generico della sezione precedente, qui il 4-impulso delle singole par-ticelle non è necessariamente una quantità ssa nel tempo. Lo è ovviamente nchè una

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62 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

particella è libera. Nel momento in cui comincia a interagire essa subisce una forza, checrea appunto il termine gµ di cui sopra e a cui si da talvolta il nome di densità di forza. Sele particelle non interagiscono, ovviamente ∂νT

µν = 0. Lo stesso si verica se le particelleinteragiscono solo a contatto. Infatti supponiamo che tutte le particelle si stiano muoven-do liberamente tranne due B e C che si urtano. Per tutte le particelle libere l'impulso el'energia si conservano, dunque dpµ

A/dt = 0. Allora gli unici termini non nulli nella densitàdi forza sono

gµ =dpµ

B

dtδ(3)(~x− ~xB) +

dpµC

dtδ(3)(~x− ~xC)

L'interazione avviene a contatto, cioè quando ~xB = ~xC e durante l'urto il 4-impulso siconserva

d

dt(pµ

B + pµC) = 0 ⇒ gµ = 0

In caso di azione a distanza la gµ non può essere annullata. Tuttavia, come vedremoesplicitamente nel caso del campo elettromagnetico, è possibile aggiungere un termine dicampo al tensore energia-impulso in modo tale che la somma del T µν della materia piùquello del campo sia ancora conservato.

La legge di conservazione corrispondente all'equazione di continuità del tensore energia-impulso ci dice che la quantità

P ν =

∫R3

d3xT 0ν

si conserva. Chiaramente questa quantità corrisponde al 4-impulso totale del sistema, cioèalla somma dei 4-impulsi di tutte le particelle in esso contenute. Come abbiamo detto ciòè strettamente vero solo per particelle con interazioni a contatto (per esempio in un gasperfetto relativistico). Per interazioni a distanza, come l'elettromagnetismo, la gravità o lealtre forze fondamentali della natura, per mantenere l'equazione di continuità (e quindi laconservazione dell'energia-impulso) occorre aggiungere un termine di campo che ci mostracome una certa quantità dell'energia e dell'impulso totali del sistema chiuso sono distribuitenel campo di interazione. Il campo in relatività non è più solo un articio matematico, madiventa una vera e propria entità sica dotata di energia e impulso come le particelle.

4.10 Momento angolare

Si denisca la quantità

Mγαβ = xαT γβ − xβTαγ = −Mγβα

che è chiaramente un 4-tensore di rango 3, essendo somma di prodotti di tensori di rango1 e 2 rispettivamente. Si noti l'antisimmetria negli indici α, β. Questa quantità obbediscea una legge di continuità rispetto all'indice γ se il sistema è isolato. Infatti

∂γMγαβ = δα

γTγβ + xα∂γT

γβ − δβγT

αγ + xβ∂γTαγ

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4.11. CENTRO DI MASSA-ENERGIA 63

La legge di continuità del tensore energia-impulso garantisce l'annullarsi del secondo equarto termine, perciò

∂γMγαβ = Tαβ − T βα = 0

per simmetria del tensore energia-impulso. Corrispondentemente a questa equazione dicontinutà esiste una collezione di cariche conservate etichettate da due indici

Jαβ =

∫d3xM0αβ = −Jβα

Si tratta quindi di di un tensore antisimmetrico di rango 2, perciò dotato di 6 componentiindipendenti, normalmente esprimibili in termini di 2 vettori tridimensionali. Vediamo dicapire a cosa corrispondono sicamente queste componenti

J0i =

∫d3x(x0T 0i − xiT 00) = tP i −

∫d3xxiT 00 = Ki

J ij =

∫d3x(xiT j0 − xjT i0) =

∫d3x(xiπj − xjπi) = εijkLk

Queste espressioni diventano ancora più chiare se torniamo alle espressioni per un sistemadi particelle. Per le componenti di L avremo

~L =

∫d3x~x× ~π =

∑A

∫d3x~xA × ~pAδ

(3)(~x− ~xA) =∑

A

~xA × ~pA

e perciò stiamo parlando delle componenti del momento angolare totale del sistema, cheperciò è una quantità conservata anche in relatività.

4.11 Centro di massa-energia

Più involuta è l'interpretazione delle componenti di ~K

~K = t ~P −∫d3xρ~x = t ~P −

∑A

EA~xA

Dividendo ambo i membri per l'energia totale, che è pure una quantità conservata, si vedeche il punto (centro di massa-energia)

~X =

∑AEA~xA∑

AEA

soddisfa l'equazione del moto~X = ~V t+ ~K

ove sia ~V = ~P/E e ~K sono costanti. Perciò tale punto si muove di moto rettilineo uniforme.Perciò il centro di massa-energia (CME) ha un moto non inuenzato dalle forze internedel sistema e ci si può porre in un sistema di riferimento inerziale in cui esso risulti fermo.Questo è il concetto che sostituisce il centro di massa della sica newtoniana.

Nel sistema CME il vettore ~X è ovviamente nullo, per denizione, come pure la suavelocità ~V . Perciò in questo sistema ~K = 0 e Jαβ ha solo 3 componenti date dal momentoangolare intrinseco del sistema.

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64 CAPITOLO 4. DINAMICA RELATIVISTICA

4.12 Spin

Il 4-tensore Jαβ ha una trasformazione alquanto peculiare per traslazioni. Se cambiocoordinate come x′µ = xµ + aµ con aµ= costante, esso subirà una variazione

J ′αβ = Jαβ + aαpβ − aβpα

Ciò non deve sorprendere più di tanto, poiché sappiamo che il momento angolare subisceuna analoga variazione quando lo si denisca da origini degli assi diversi. Per isolare laparte intrinseca del momento angolare risulta conveninete denire un 4-vettore detto spincome segue

Sα =1

2εαβγδJ

βγU δ

dove U δ = P δ/∑

nmn è la 4-velocità del CME. Nel sistema CME le sue componenti sono

U δ =

(1~0

)(poiché γ(0) = 1). Perciò in tale sistema le componenti di Sα si possono facilemnte calcolare

Sα = (0, J23, J31, J12)

cioè

Sα =

(0~L

)Le componenti dello spin sono proprio date dal momento angolare intrinseco, cioè calcolatonel sistema CME. Che Sα abbia sempre 3 componenti indipendenti, in qualunque sistemadi riferimento si può vedere dalla relazione

UαSα = 0

facilmente deducibile dalla denizione di Sα in quanto si moltiplica un termine simmetricoin α, δ (UαU δ) per uno antisimmetrico εαβγδ. Questa relazione lega tra loro le 4 componentidi Sα in qualunque sistema di riferimento, lasciandone solo 3 linearmente indipendenti.

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Capitolo 5

Il campo elettromagnetico

5.1 Equazioni di Maxwell

I fenomeni elettromagnetici, nella sintesi operata da Maxwell (1850) sono descritti da uncampo elettrico ~E e un campo magnetico ~B generati da distribuzioni di carica elettricadescritte da una densità di carica ρ e una densità di corrente ~j = ρ~v, essendo ~v un campodi velocità che descrive i moti delle cariche elettriche nello spazio tridimensionale.

Le equazioni di Maxwell, che regolano tutti i fenomeni elettromagnetici, si scrivono

~∇ · ~E = ρ I Eq. di Gauss per l'elettricità~∇ · ~B = 0 II Eq. di Gauss per il magetismo~∇× ~E = −∂ ~B

∂tIII Legge di Faraday dell'induzione

~∇× ~B = ∂ ~E∂t

+~j IV Legge di Ampère

La II e la III legano tra loro i campi ~E e ~B e si dicono equazioni omogenee, le altredue legano i campi ~E, ~B alle loro cause, cioè alla distribuzione di cariche descritta dalladensità ρ e dalla densità di corrente ~j.

Non esistono, per quanto sappiamo, in natura cariche e correnti magnetiche (monopolimagnetici) anche se da un punto di vista teorico restaurerebbero la simmetria ~E ↔ − ~Bche le equazioni godono quando scritte in assenza di cariche elettriche (cioè per ρ = ~j = 0).

5.2 Equazione di continuità

La densità di carica ρ e la corrente ~j sono legate dall'equazione di continuità

∂ρ

∂t+ ~∇ ·~j = 0

Quest'ultima è deducibile dalle equazioni di Maxwell stesse. Si prenda la IV equazione ese ne faccia la divergenza (cioè vi si applichi l'operatore ~∇· ad ambo i membri)

~∇ · ~∇× ~B =∂

∂t~∇ · ~E + ~∇ ·~j

65

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66 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO

e inne si ricordi che per qualunque vettore ~V vale l'identità ~∇· ~∇× ~V = 0. Riesprimendo~∇ · ~E tramite la equazione III, si ottiene l'equazione di continuità.

Il signicato sico dell'equazione di continuità è quello di conservazione della caricaelettrica totale del sistema, come può essere dimostrato seguendo le linee della sezione 4.8.Quest'ultima è denita come la somma su tutti i punti dello spazio della densità di caricadistribuita in ciascun punto

Q ≡∫

R3

ρ(~x, t)d3x

Nel caso di un sistema di particelle cariche la densità e la densità di corrente sarannodenite come

ρ(~x, t) =∑

A

eAδ(3)(~x− ~xA)

~j(~x, t) =∑

A

eA~vAδ(3)(~x− ~xA)

in cui eA sono le cariche elettriche delle singole particelle del sistema. Ovviamente nediscende che Q =

∑A eA.

5.3 Campi potenziali

Dalla II equazione di Maxwell vediamo che ~B è un campo vettoriale a divergenza nul-la. Tutti i vettori a divergenza nulla si possono scrivere come rotore di un altro vettoreopportuno. Perciò introduciamo il potenziale vettore ~A tale che

~B = ~∇× ~A (5.1)

Sostituendo nella III

~∇× ~E = −~∇× ∂ ~A

∂t

cioè

~∇×

(~E +

∂ ~A

∂t

)= 0

Ora, ogni vettore avente rotore nullo può essere scritto come il gradiente di un opportunopotenziale scalare. Esisterà dunque una funzione φ tale che

~E +∂ ~A

∂t= −~∇φ

φ è detto potenziale scalare. Quindi

~E = −~∇φ− ∂ ~A

∂t(5.2)

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5.4. INVARIANZA DI GAUGE E GAUGE DI LORENTZ 67

5.4 Invarianza di gauge e gauge di Lorentz

I potenziali ~A e φ non sono in realtà deniti univocamente dalle relazioni (5.1,5.2). Quelliche contano da un punto di vista sico sono i campi ~E, ~B e qualunque variazione dei po-tenziali ~A, φ che li lasci invariati è del tutto ininuente per la sica dell'elettromagnetismo.

Mostriamo ora che una ridenizione dei potenziali come segue

~A → ~A′ = ~A+ ~∇Λφ → φ′ = φ− ∂Λ

∂t

(5.3)

con Λ funzione arbitraria genera gli stessi campi ~E, ~B. Infatti, tenendo conto della identitàvettoriale

~∇× ~∇f = 0 , ∀fsi ha

~B′ = ~∇× ~A′ = ~∇× ~A+ ~∇× ~∇Λ = ~∇× ~A = ~B

~E ′ = −~∇φ′ − ∂ ~A′

∂t= −~∇φ+ ~∇∂Λ− ∂ ~A

∂t− ~∇∂Λ

∂t= ~E

Le ridenizioni (5.3) dei potenziali, che lasciano invariata la sica, sono dette trasformazioni

di gauge. Le equazioni di Maxwell sono invarianti per trasformazioni di gauge.Possiamo quindi scegliere opportunamente le Λ per semplicare certe formule relative

ai potenziali ~A, φ sapendo che queste non inceranno i risultati sici che riguardano i campi~E, ~B.

Una scelta conveniente è il cosiddetto gauge di Lorentz in cui

~∇ · ~A+∂φ

∂t= 0 (5.4)

Qualunque funzione Λ(x) che soddis la condizione

Λ = 0

realizza la condizione (5.4) del gauge di Lorentz. Infatti operando sul primo membro della(5.4) una trasformazione di gauge si ottiene

~∇ · ~A′ +∂φ′

∂t= ~∇ · ~A+

∂φ

∂t+∇2Λ− ∂2Λ

∂t2= ~∇ · ~A+

∂φ

∂t−Λ

e perciò essa è realizzata da qualunque trasformazione di gauge che soddis Λ = 0.

5.5 Equazioni soddisfatte da ~A e φ; 4-potenziale Aµ

Sostituendo le (5.1,5.2) nella IV equazione di Maxwell, si ha

~∇× ~∇× ~A =∂

∂t

(−~∇φ− ∂ ~A

∂t

)+~j

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68 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO

e grazie alla nota identità tra vettori

~∇× ~∇× ~V = ~∇(~∇ · ~V )−∇2~V

si perviene alla

−∇2 ~A+∂2 ~A

∂t2= −~∇

(~∇ · ~A+

∂φ

∂t

)+~j

equazione che deve essere soddisfatta dai potenziali scalare e vettore anchè i campi ~E, ~Bda loro generati soddisno le equazioni di Maxwell.

Nel gauge di Lorentz questa equazione si semplica notevolmente

~A = ~j

Analogamente, sostituendo le (5.1,5.2) nella I equazione di Maxwell otteniamo

−~∇ ·

(~∇φ+

∂ ~A

∂t

)= −∇2φ− ∂

∂t~∇ · ~A = ρ

Nel gauge di Lorentz, in cui ~∇· ~A = −∂φ∂t

anche questa equazione si semplica notevolmente

φ = ρ

Risulta quindi conveniente riunire i tre potenziali ~A e il potenziale φ in un oggetto4-dimensionale

Aµ =

(φ~A

)per il quale, nel gauge di Lorentz, le equazioni di campo si scrivono semplicemente

Aµ = jµ

Poichè ≡ ∂µ∂µ si Lorentz-trasforma come uno scalare e jµ come un 4-vettore contro-

variante, anche Aµ risulta essere un 4-vettore controvariante. Il corrispondente 4-vettorecovariante sarà ovviamente denito da Aµ = gµνA

ν = (φ,− ~A). A questo oggetto Aµ o Aµsida il nome di 4-potenziale elettromagnetico.

5.6 Tensore elettromagnetico

Per scrivere le equazioni di Maxwell in forma covariante dobbiamo innanzitutto trovareun oggetto tensoriale che codichi opportunamente le informazioni contenute nei campi~E, ~B. Questi due vettori corrispondono in totale a 6 componenti. Perciò l'oggetto checerchiamo non può essere un 4-vettore, che ha solo 4 componenti. Un generico tensore dirango 2 avrebbe 16 componenti, ma se consideriamo un tensore antisimmetrico, esso ha lecomponenti diagonali nulle e quelle sotto la diagonale opposte a quelle sopra la diagonale, e

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5.6. TENSORE ELETTROMAGNETICO 69

perciò non indipendenti. Tale tensore antisimmetrico ha perciò esattamente 6 componentiindipendenti, e viene quindi spontaneo pensare a un tale oggetto come il naturale candidatoa descrivere il campo elettromagnetico.

Deniamo il tensore elettromagnetico

Fµν = ∂µAν − ∂νAµ

Si verica subito che tale oggetto è antisimmetrico nello scambio degli indici µ e ν. Le suecomponenti possono essere determinate con un calcolo diretto, per esempio:

F0i = ∂0Ai − ∂iA0 = −∂Ai

∂t− ∂iφ = Ei

F12 = ∂1A2 − ∂2A1 = ∂2A1 − ∂1A

2 = −B3

RiassumendoF0i = Ei Fij = −εijkBk

ovvero in forma matriciale

Fµν =

0 E1 E2 E3

−E1 0 −B3 B2

−E2 B3 0 −B1

−E3 −B2 B1 0

Analogamente si può denire un tensore controvariante

F µν = gµρgνσFρσ =

0 −E1 −E2 −E3

E1 0 −B3 B2

E2 B3 0 −B1

E3 −B2 B1 0

La prima considerazione è che Fµν , anche se inizialmente denito attarverso il 4-

potenziale Aµ, dipende solo dai campi elettrico e magnetico, perciò come questi è unoggetto sico gauge invariante.

Consideriamo ora le due equazioni di Maxwell disomogenee (I e IV) nella forma

~∇ · ~E = ρ~∇× ~B − ∂ ~E

∂t= ~j

A secondo membro compare in modo evidente la 4-corrente jµ, perciò ci aspetteremmo chequesta sia eguagliata da un 4-vettore. Abbiamo però a disposizione un tensore antisim-metrico Fµν di rango 2. Osserviamo che le componenti di questo tensore sono date dallecomponenti di ~E o ~B. Ora, nelle equazioni compaiono le derivate di tali vettori, perciòdovrebbe esserci anche una ∂µ nel primo membro dell'equazione. Viene spontaneo pensa-re che la contrazione ∂µF

µν , che ha appunto un solo indice libero, possa essere il migliorcandidato. Infatti le equazioni disomogenee si scrivono

∂µFµν = jν (5.5)

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70 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO

Possiamo vericare questo fatto componente per componente

∂µFµ0 = ∂iE

i = ~∇ · ~E = j0 = ρ

∂µFµi = ∂0F

0i + ∂kFki = ∂0E

i + ∂k = −∂Ei

∂t+ (~∇× ~B)1

e analogamente per le altre componenti.Si noti che derivando il primo membro rispetto a ∂µ si ottiene 0, poichè si sta contraendo

un oggetto totalmente simmetrico (∂µ∂ν) con uno totalmente antisimmetrico (F µν). Perciòil secondo membro di tale uguaglianza dovrà pure essere 0. Abbiamo così ridedotto in unmodo molto semplice, che illustra la potenza del caclolo covariante, l'equazione di continuità∂µj

µ = 0.Esaminiamo ora le equazioni omogenee

~∇ · ~B = 0~∇× ~E + ∂ ~B

∂t= 0

Di nuovo queste sono 4 equazioni in tutto, ma la dierenza ora è che non possono più essereuguagliate a un 4-vettore: a secondo membro infatti c'è semplicemente 0. Dovendo usareFµν e non potendo contrarlo in modo tale da ottenere comunque 4 equazioni, si può solopensare a una combinazione di antisimmetrizzazione degli indici che possa eventualmentedare 4 equazioni indipendenti. Avendo a disposizione 2 indici ciò non è possibile: poichèogni indice prende 4 valori le possibilità sarebbero le possibili liste di 4 oggetti presi a duea due, cioe`

4!

2!2!= 6

In eetti stiamo contando le compomenti di Fµν che sono appunto 6. Tuttavia notiamoche anche in queste equazioni come nelle precedenti entrano le derivate, perciò dovremomettere una ∂µ da qualche parte. Vediamo allora cosa si riesce a fare con oggetti con 3indici, tipo ∂µFνρ. Se antisimmetrizziamo completamente questo oggetto otteniamo tutti imodi di disporre 4 oggetti presi a 3 a 3 cioè

4!

3!1!= 4

abbiamo il giusto numero di equazioni. Per le equazioni omogenee di Maxwell si proponequindi la forma

∂µFνρ + ∂ρFµν + ∂νFρµ = 0

Una verica componente per componente conferma che la scelta è giusta e che questaequazione veramente è equivalente alle equazioni di Maxwell omogenee.

Usando il simbolo di Levi-Civita è utile a questo punto introdurre il tensore elettroma-gnetico duale

Fµν = εµνρσFρσ

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5.7. FORZA DI LORENTZ 71

in modo da scrivere le equazioni omogenne di Maxwell nella semplice forma

∂µFµν = 0 (5.6)

Le equazioni di Maxwell possono quindi essere scritte in maniera covariante tramite le (5.5)e le (5.6).

Per studiare le trasformazioni di Lorentz dei potenziali scalare e vettore basta osservareche essi formano un 4-vettore e perciò si trasformano come

A′µ = ΛµνA

ν

Nel caso di due sistemi di riferimento in moto relativo a velocità v lungo l'asse x1 si avrà

φ′ = γ(φ− vA1)

A′1 = γ(A1 − vφ)

A′2 = A2

A′3 = A3

Analogamente per i campi elettrico e magnetico basta scrivere le trasformazioni del tensoreelettromagnetico

(F ′)µν = ΛρµΛσ

νFρσ

ed esplicitare le componenti. Un semplice prodotto di matrici fornisce, :

E ′1 = E1

E ′2 = γ(E2 − vB3)

E ′3 = γ(E3 − vB2)

B′1 = B1

B′2 = γ(B2 + vE3)

B′3 = γ(B3 + vE2)

Si noti come un campo puramente elettrico in un sistema di riferimento inerziale puòmostrare sia componenti elettriche che magnetiche in un altro. I concetti di campo elettricoe di campo magnetico sono del tutto relativi.

5.7 Forza di Lorentz

Le equazioni di Maxwell dicono come, data una distribuzione di cariche (descrtta da ρ) edato il loro movimento (descritto da ~j) siano determinati il campo elettrico e il campo ma-gnetico. Tuttavia non dicono nulla su come i campi ~E, ~B inuenzino il moto delle particellecariche. Questo è descritto dalla cosiddetta forza di Lorentz, cioè da una espressione perla forza generata da un campo elettromagnetico che inserita nelle equazioni del moto (diNewton o relativistiche) determina le traiettorie dei punti materiali carichi elettricamente.

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72 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO

La forza di Lorentz è, nel caso più generale

~F = e

(~E +

1

c~B × ~v

)In formalismo 4-dimensionale essa si può tradurre in una espressione che lega la derivatadel 4-impulso rispetto al tempo proprio con il tensore elettromagnetico e la 4-velocità

dpµ

dτ=

1

cF µνuν

5.8 Formalismo lagrangiano

Come già commentato nel capitolo sulla meccanica relativisitca l'interazione a distanzain relatività si deve pensare sempre come mediata da un campo avente una sua densitàdi energia-impulso e quindi assimilabile a un ente sico che partecipa alla dinamica delsistema assieme alle particelle che ne sono sorgenti. Una trattazione completa di un sistemacomprendente le sue forze deve perciò passare attraverso la formulazione di un principiodi minima azione, o equivalentemente di un formalismo lagrangiano, che comprenda siale particelle materiali che i campi che ne trasmettono le interazioni. In questa sezioneesporremo la formulazione lagrangiana di un sistema di particelle accoppiato al campoelettromagnetico.

Scriviamo l'azione di particelle nel campo elettromagnetico come composta di tre parti

S = Smat + Sint + Scampo

in cui Smat è l'azione delle N particelle libere vista a suo tempo

Smat = −N∑

A=1

mA

∫ t1

t0

√1− v2

Adt

Scampo è il termine di puro campo in assenza di materia e dovrebbe riprodurre le equazionidi Maxwell in assenza di cariche elettriche e correnti. Esso deve essere sia invariante diLorentz che invariante di gauge. Inoltre, poichè le equazioni di Maxwell in forma covarianteinvolvono derivate prime di Fµν , ci aspettiamo che la corrispondente densità di Lagrangiana,da cui esse sono ottenute attraverso le equazioni di Eulero-Lagrange con una operazione diderivazione, sia un Lorentz-invariante quadratico nelle Fµν e senza derivate. Ci sono dueinvarianti di Lorentz e di gauge indipendenti con questi requisiti1

FµνFµν e FµνF

µν

Abbiamo però visto che di questi due invarianti il primo è anche invariante di parità,mentre il secondo non lo è. Poichè i fenomeni elettromagnetici, per quanto ne sappiamo

1Ovviamente FµνFµν = FµνFµν , come è facile vericare

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5.8. FORMALISMO LAGRANGIANO 73

sperimentalmente, non presentano violazioni della simmetria di parità, ne a livello classicoe nemmeno a quello quantistico, escluderemo la possibilità che il secondo termine possacomparire nella densità di lagrangiana L. Pertanto assumiamo che l'azione sia data da

Scampo =

∫d4xL = λ

∫d4xFµνF

µν

ove d4x = dx0dx1dx2dx3. La costante λ davanti all'integrale sarà determinata dalla ri-chiesta che eettivamente le equazioni del moto forniscano le equazioni di Maxwell, con legiuste costanti. Ricordando la denizione di Fµν in termini del 4-potenziale Aµ possiamousare le equazioni di Eulero-Lagrange

∂ρ∂L

∂∂ρAµ

− ∂L∂Aµ

= 0

per ricavare le equazioni del moto. Queste risultano avere la forma

∂ρFρµ = 0

complementate dall'identità di Bianchi

∂ρFρµ = 0

Sappiamo che l'identità di Bianchi da origine alle equazioni omogenee di Maxwell, mentrel'altra equazione da origine a quelle disomogenee che sono accoppiate alla materia. Ilfatto che qui esse a secondo membro siano nulle rispecchia l'assunto iniziale che stiamotrattando un campo in assenza di materia. Il termine proporzionale a jµ che abbiamovisto a secondo membro dare le equazioni di Maxwell disomogenee complete verrà dunquedal termine di interazione materia-campo Sint. Questo dovrà essere un Lorentz-invariantecontenente appunto jµ accoppiata in qualche modo al campo Aµ. La maniera più semplicedi accoppiare questi due campi in grado di fornire, attraverso Eulero-Lagrange, le equazionidi Maxwell disomogenee è quella di assumere

Sint = ω

∫d4x jµAµ

Anche qui la costante ω davanti all'integrale sarà determinata richiedendo che venganoriprodotte le corrette costanti nelle equazioni di Maxwell. Applicando Eulero-Lagrange atutto il sistema Sint + Scampo, a dierenza di prima, ove comparivano solo derivate della Lrispetto a ∂ρAµ, ora compare anche una derivata della densità di lagrangiana rispetto adAµ, portando alle equazioni

∂ρFρµ = jµ

a patto che si scelga λ = −ω/4. La scelta di porre ω = 1 porta, come vedremo tra breve, alcorretto accoppiamento materia-campo, cioè alla giusta espressione per la forza di Lorentz.L'azione totale del sistema materia-campo elettromagnetico sarà perciò

S = −N∑

A=1

mA

∫dt√

1− v2A +

∫d4xjµAµ −

1

4

∫d4xFµνF

µν

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74 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO

Ricordando le espressioni della densità di carica e di corrente per un sistema di particelleognuna avente carica eA

ρ(~x, t) =N∑

A=1

eAδ(3)(~x− ~xA(t))

~j(~x, t) =N∑

A=1

eA~vA(t)δ(3)(~x− ~xA(t))

perveniamo alla lagrangiana di un sistema di particelle materiali immerso in un campoelettromagnetico

L = −∑

A

mA

√1− v2

A +∑

A

eAφ(xA)−∑

A

eA~vA · ~A(xA) + Lcampo

Prima di calcolare le equazioni del moto, ricaviamo il momento coniugato ~PA delle coordi-nate ~xA

~PA ≡∂L

∂~vA

= ~pA + eA~A(xA)

ove ~pA = mAγ(vA)~vA è il consueto impulso della particella materiale. Per applicare Eulero-Lagrange per le variabili ~x,~v

d

dt

∂L

∂~vA

=∂L

∂~xA

calcoliamo innanzitutto il termine ∂L/∂~xA

∂L

∂~xA

∣∣∣∣~vA=cost.

= ~∇L = eA~∇( ~A · ~vA)− eA

~∇φ

Dimostriamo che vale l'identità

~∇( ~A · ~v) = (~v · ~∇) ~A+ ~v × (~∇× ~A) (5.7)

Ciò può essere fatto in compnenti, tenendo conto della relazione

δljδkm = δjmδ

lk + εijkε

ilm (5.8)

La componente j-sima del primo membro della (5.7) si può scrivere

∂j( ~A · ~v) = ∂jAkvk = δl

jδkm∂lAmvk

che equivale a moltiplicare il primo membro della (5.8) per ∂lAmvk. La (5.8) ci fornisce

alloraδljδkm∂lA

mvk = (δjmδlk + εijkε

ilm)∂lA

mvk = vk∂kAj + εjkivk(~∇× ~A)i

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5.9. TENSORE ENERGIA-IMPULSO DEL CAMPO ELETTROMAGNETICO 75

e cioè la (5.7). Pertanto

∂L

∂~xA

= eA(~vA · ~∇) ~A(xA) + eA~vA × ~B(xA)− eA~∇φ(xA)

Da ciò, usando le equazioni di Eulero-Lagrange per le coordinate ~xA e le velocità ~vA

delle particelle si ottiene l'espressione per la forza di Lorentz vista prima

dpµ

dτ= F µνuν

Questa che abbiamo esposto è la lagrangiana generale dell'elettrodinamica classica di unsistema di particelle e sta alla base della generalizzazione quantistica nota come QED(quantoelettrodinamica), uno dei massimi successi della Teoria Quantistica dei Campi.

Si noti che il calcolo del momento coniugato alle coordinate ~xA delle particelle, nel casodi accoppiamento con il campo elettromagnetico dato dalla Sint proposta sopra, porta a

~PA =∂L

∂~xA

= ~pA + eA~A(xA)

con ~pA impulso della particella libera, cioè la cosiddetta regola minimale di accoppiamentotra materia carica e un campo elettromagnetico esterno.

Inne calcoliamo l'hamiltoniana che ci darà l'energia totale del sistema. Cominciamoda Smat + Sint (indichiamo per brevità ~AA = ~A(xA) e φA = φ(xA)

H =∑

A

~vA · ~PA − L

=∑

A

(mAγAv

2A + eA

~AA · ~vA +mA

√1− v2

A − eA~AA · ~vA + eAφA

)=

∑A

(mAγA + eAφA)

Si noti che il contributo all'energia dovuto alla presenza di campo elettromagnetico provienetutto dal solo potenziale scalare.

5.9 Tensore energia-impulso del campo elettromagneti-

co

Nel caso del campo elettromagnetico, descritto dalla densità di lagrangiana

L = −1

4FµνF

µν

calcoliamo il tensore energia impulso

T µν =

∂L∂∂µAσ

∂µAσ − δµνL

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76 CAPITOLO 5. IL CAMPO ELETTROMAGNETICO

Essendo∂L

∂∂µAσ

= −1

2Fαβ ∂Fαβ

∂∂µAσ

= −1

2Fαβ ∂(∂αAβ − ∂βAα)

∂∂µAσ

= −Fαβ ∂∂αAβ

∂∂µAσ

= −Fαβδµαδ

σβ = −F µσ

si ha

T µν = −F µσ∂νAσ +

1

4δµνFρτF

ρτ

Alzando l'indice ν

T µν = −F µσ∂νAσ +1

4gµνFρτF

ρτ

Questo tensore non è simmetrico. Costruiamoci allora un tensore

T ′µν = T µν + ∂σψµνσ

che sia simmetrico. Allo scopo prendiamo

ψµνσ = AµF νσ

cosicchè∂σψ

µνσ = (∂σAµ)F νσ + Aµ∂σF

νσ

In assenza di cariche il secondo termine scompare e quindi

∂σψµνσ = F νσ∂σA

µ

Perciò il nuovo tensore energia impulso sarà ora simmetrico e varrà

T µνcampo = −

(F µσF ν

σ −1

4gµνFρτF

ρτ

)Si vede subito che la traccia

T µµ = 0

è nulla (il campo elettromagnetico classico è conformemente invariante) ed esplicitando lecomponenti

T 00 = H =E2 +B2

2T 0i = Si

T 11 =1

2(E2

2 + E23 − E2

1 +B22 +B2

3 −B21)

T 22 =1

2(E2

3 + E21 − E2

2 +B23 +B2

2 −B21)

T 33 =1

2(E2

1 + E22 − E2

3 +B21 +B2

2 −B23)

T ij = −EiEj +BiBj i 6= j

Le componenti T ij = σij si dicono tensore degli sforzi di Maxwell, mentre le componentiT 0i che devono fornire la densità di impulso del sistema, sono date dalle componenti delvettore di Poynting ~S = ~E × ~B, del quale si può così comprendere il signicato sico.

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5.10. TENSORE ENERGIA-IMPULSO DI MATERIA ACCOPPIATA AL CAMPO ELETTROMAGNETICO77

5.10 Tensore energia-impulso di materia accoppiata al

campo elettromagnetico

Ricordando le denizioni di densità e corrente di materia

µ(x) =∑

n

mnγ(vn)δ(3)(~x− ~xn(t)) = T 00mat

~π(x) =∑

n

~pnδ(3)(~x− ~xn(t)) = T i0

mat

ovvero, usando il 4-vettore pµ

T µ0mat(x) =

∑n

pµnδ

(3)(~x− ~xn(t))

possiamo vedere le componenti T µ0mat del tensore energia-impulso di un sistema di particelle

libere come le densità di 4-impulso. Queste, assieme alle densità di correnti di 4-impulsoformano come visto a suo tempo 4 equazioni di continuità

∂νTµνmat = 0

Se le particelle non sono più libere, ma intergaenti elettromagneticamente, questa equa-zione di continuità non vale più e deve essere sostiutita da una più generale che comprendeanche il contributo del tensore energia-impulso del campo elettromagnetico. Denendoinfatti

T µν = T µνmat + T µν

campo

si ha l'equazione di continuità∂µT

µν = 0

valida per tutto il sistema chiuso costituito da materia più campo elettromagnetico.