anteprima: a ovest dell'est

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ANTEPRIMA Narrativa In uscita verso i primi di dicembre 2009 Contatta l'autore su www.isalotti.serviziculturali.org Leggi a schermo intero Condividi

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ANTEPRIMA NARRATIVA

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ANTEPRIMA

Narrativa In uscita verso i primi di dicembre 2009

Contatta l'autore su www.isalotti.serviziculturali.org

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ANTEPRIMA

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DESCRIZIONE:

In strada, zaino in spalla, fermiamo una macchina per avere un passaggio alla stazione di Ulan Bator e qua ci mettiamo in attesa del treno che porta in Siberia, a ovest, verso il Baikal.”

Frammenti di vita, di emozioni vissute e di persone incontrate con l’Asia che scorre sotto i piedi.

L'AUTORE:

“Andrea Sabatini è nato a Viareggio (Lucca) nel 1975 e vive a Pistoia. È laureato in Scienze Statistiche e ha un Dottorato di ricerca in Statistica epidemiologica. Attualmente lavora alla Provincia di Prato.

“A Ovest dell’Est” è il suo primo libro.

Titolo: A Ovest dell'Est Autore: Andrea Sabatini Editore: 0111edizioni Collana: I Piccolibri Pagine: 72 Prezzo: 9,90 euro 9,35 euro su www.ilclubdeilettori.com

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- Gioca con l'autore e con il membri della Banda del BookO (che si legge BUCO): rapisci un personaggio dal libro e chiedi un riscatto per liberarlo [leggi qui]

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LA BANDA DEL BOOKO (CHE SI LEGGE BUCO)

ANONIMA SEQUESTRI ovvero PERSONAGGI RAPITI

Hai un amico scrittore e vuoi fargli uno scherzo o un dispetto, oppure vuoi "vendicarti" per qualcosa ma non hai ancora trovato il sistema per "fargliela pagare"? RAPISCIGLI un personaggio e fallo rivivere in un tuo racconto, poi chiedi il riscatto all'autore: se paga, il suo personaggio ne uscirà indenne, altrimenti MORIRA'!

Se fra i libri che hai letto c'è un personaggio che ti ha particolarmente colpito e che ti è rimasto impresso per qualche motivo, puoi unirti alla Banda del BookO ( che si legge Buco) per un'IMPRESA A DELINQUERE assolutamente fuori dal comune: RAPISCI IL PERSONAGGIO, TIENILO IN OSTAGGIO E CHIEDI UN RISCATTO. Per rapire un personaggio è necessario renderlo protagonista di un racconto con DUE FINALI, uno a lieto fine e uno tragico (il personaggio MUORE!). Verrà reso pubblico un solo racconto, in base all'esito della richiesta di riscatto: se l'autore paga, il finale sarà "lieto", altrimenti il personaggio farà una tragica fine. Non ti senti abbastanza "scrittore" per buttare giù un racconto? Non fa niente! Rapisci ugualmente un personaggio: se l'autore del libro da cui lo hai rapito non pagherà il riscatto, daremo la notizia dell'uccisione della vittima. Se invece pagherà... bé, a morire sarai tu (ossia il bandito), durante il bliz di liberazione.

TUTTI I RACCONTI VERRANNO PUBBLICATI IN ANTOLOGIA

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Leggili online con EasyReader

Decine di libri in versione integrale da leggere online, liberamente.

EasyReader è una vastissima raccolta di libri da leggere online, in versione integrale oppure in versione "trailer", comunque sempre molto "corposa" (da un minimo di 30 pagine a un massimo di 50). Tutti i libri proposti in versione e-book su questo sito sono coperti da copyright e sono disponibili anche in formato libro, regolarmente pubblicati (e quindi muniti di codice ISBN) e disponibili anche in libreria. Il catalogo viene aggiornato MENSILMENTE.

Novità AvventuraBambini/Ragazzi

Fantasy/Fantascienza

Giallo/Thriller

Horror Narrativa Poesia Sentimentale Altri generi

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ANDREA SABATINI

A Ovest dell’Est

Andata e ritorno lungo la Via della Seta e la Transiberiana

www.0111edizioni.com

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www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com

A OVEST DELL’EST 2009 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2009 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2009 Andrea Sabatini

ISBN 978-88-6307-227-3 In copertina: Foto di Egisto Nino Ceccatelli

Finito di stampare nel mese di Novembre 2009 da

Digital Print Segrate - Milano

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"Sal, we gotta go and never stop going till we get there".

"Where we going, man?" "I don't know but we gotta go."

Jack Kerouac (On the road)

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PARTE PRIMA

Da Samarcanda a Pechino

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L’arrivo Una scossa dell’aereo mi sveglia e per qualche se-condo indugio nell’incertezza di sognare, poi la vo-ce del comandante che annuncia la discesa mi ripor-ta alla realtà, sto davvero volando sopra un deserto bianco disegnato da piccole dune. Nadia recupera il suo zaino, il mio è perso chissà dove. Tardi per il treno prendiamo un'auto per Samarcan-da, il prezzo è ragionevole e vogliamo andare via da Tashkent il prima possibile, troppa la curiosità di raggiungere il luogo che è il vero punto di partenza di questo viaggio. L’autista, un simpatico baffone brizzolato, guida a rotta di collo per queste strade piene di buche e nonostante la polizia ci fermi in continuazione contestandogli l'eccesso di velocità e chiedendogli soldi per lasciarci andare senza conse-guenze, lui non paga mai, un’omonimia con un mi-nistro uzbeko gli ha infatti dato l’idea di crearsi una sorta di lasciapassare di plastica con certificata una falsa parentela e basta mostrarlo agli agenti che quelli alla vista del tagliandino magico, per non cor-rere rischi, salutano e se ne vanno immediatamente. Solo una volta un poliziotto sembra non lasciarsi intimidire, ma il nostro conducente esce di macchi-na urlando, prende il telefono e finge di chiamare l’importante uomo politico, e in un attimo arrivano le scuse e il via libera. Ripartiamo trattenendo a fa-tica le risate che esplodono appena lontani. Per fe-steggiare lo scampato pericolo ci propone una sosta per un tè, il primo di molti, ce lo offre e ci spiega che il tè fa parte della cultura uzbeka e va versato e bevuto secondo regole ben precise.

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Samarcanda affascina perché piena di vita, adoro camminare per i vicoli secondari con i ragazzini che giocano e le persone che ti guardano curiose, vagare nei mercati tra signore vestite di seta e magari tro-varsi d’improvviso di fronte a un palazzo o una mo-schea mozzafiato. Vediamo il Registan di mattino, pomeriggio e sera, apprezzandone le nuove sfuma-ture date dalle diverse angolazioni di luce. Ancora nessuna notizia del mio zaino, ma complice il caldo il viaggiare leggero non mi dispiace, mi so-no anche comprato una bellissima camicia Uzbeka. Il treno per Bukhara ha l'aria condizionata ferma, pare che si blocchi quando si superano i quaranta-due gradi Celsius e oggi siamo sui quarantacinque. Viaggiamo con tutti i finestrini aperti e mi godo il vento caldo secco sulla faccia. Un’esplosione ha coinvolto una fabbrica di armi nei pressi della stazione, attentato o incidente la causa non è chiara, in ogni caso le autorità hanno chiuso la strada che porta in città lasciando solo un bus navet-ta. E’ stipato di gente e va a passo d’uomo, pure gli Uzbeki soffrono, imprecano e gridano di andare ve-loce. Il centro storico di Bukhara è carino ma troppo per-fetto, come confezionato a uso dei turisti, e solo in periferia recuperiamo il gusto nello stare qua tra-scorrendo quasi due ore a fotografare dei bambini e le loro mamme, con le donne che accorrono per ave-re la foto dei loro figli e per fare due chiacchiere con noi. Raccogliamo gli indirizzi, avremo un bel po' di ritratti da spedire per posta. Il padre di Nadia conosce il direttore dei beni cultu-rali di Bukhara, andiamo a salutarlo in un piacevole incontro che ci fa ottenere una tessera con cui entra-re gratis dappertutto. Troviamo anche il tempo per una insolita degustazione di nove non indimentica-bili vini uzbeki in quella che, a detta del proprieta-rio, è l’unica vera enoteca di tutta l’Asia Centrale. Il mio zaino è stato finalmente rintracciato, lo spedi-ranno a Tashkent.

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Il doganiere Kyrgyzo Il trasferimento da Tashkent a Osh avviene per mezzo di un taxi condiviso che ci ha organizzato Danyar della Osh Guesthouse, con noi un ragazzino e un corpulento signore kyrgyzo di ritorno dal Ka-zakhstan. Il tragitto è lungo e abbastanza noioso, ma la polizia lo ravviva trovando un problema nel pas-saporto del nostro giovane compagno di viaggio e fermandoci a un posto di blocco per oltre un'ora. La valle Fergana è molto verde, ricca di piante di ogni tipo, e questo, vista l'aridità delle zone circo-stanti, spiega perché sia così contesa e turbolenta. Superiamo Andjon e arriviamo alla frontiera kyrgyza. Io sono un po' timoroso per il mio visto, rilasciato dall'ambasciata kazaka di Roma, un visto del Kazakhstan con il nome del paese cancellato a penna e sostituito da un timbro con scritto "Kyrgyzstan" in maniera quasi illeggibile. In effetti fanno un po' di storie ma si convincono presto che va bene facendomi passare oltre, sennonché mi vie-ne in mente di chiedere se devo riempire la carta di immigrazione, 'Ecco il pollo!' pensa certo il doga-niere appena mi sente e mi indica un suo collega con una gran faccia da bastardo che ci fa cenno di attendere. Aspettiamo più di mezz'ora con lui che ci ignora, passandoci davanti come se fossimo invisi-bili e non rispondendo alle nostre domande, poi ci porta in uno sgabuzzino e ci chiede di mostrare tutti i soldi e gli oggetti di valore, conta e riconta le ban-conote e stima a occhio il resto, infine scrive delle cifre e dei nomi su un fogliaccio dicendo che dob-biamo pagare cinque euro in valuta kyrgyza per una tassa doganale sicuramente inventata in quel preciso istante, e visto che non abbiamo in mano SOM e

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che lui rifiuta tassativamente qualunque banconota estera che copra l’importo richiesto, è fin troppo e-vidente la sua intenzione di monetizzare il più pos-sibile la mia leggerezza. Discutiamo a lungo sul da farsi senza giungere a soluzioni accettabili, alla fine propone di trattenere me nello stanzino, mandare Nadia oltre frontiera a cambiare e poi farla tornare per pagare. Stremato e dichiaratomi vinto da tanta tenacia, faccio allora uscire venti dollari dal porta-foglio, occhi rivolti in basso dice semplicemente di posarli sul tavolo e andare.

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La Lada Niva Danyar è un tipo sveglio, ha circa trent'anni, possie-de un appartamento a Osh che sfrutta come ostello e pare in grado di aiutarti a organizzare qualsiasi cosa. Gli dico che vogliamo andare fino a Naryn via Ka-zarman, lui è dubbioso, la strada è insidiosa e lunga, circa quattrocento chilometri, ci vorranno quattordi-ci ore per percorrerla tutta, ma aggiunge anche che il percorso è davvero bello e poco battuto. Il mattino seguente alle cinque in punto una vecchia Lada Niva ci attende, sul parabrezza un buco e di-versi squarci, alla guida un conducente un po' at-tempato con un vice sulla trentina. Sono in coppia perché il tragitto è troppo impegnativo per una per-sona sola, è la prima volta per entrambi, sbagliano e chiedono ripetutamente per trovare la giusta dire-zione. Cominciamo a salire, il paesaggio cambia, da rurale diventa desertico, foresta, quindi erboso e roccioso, vediamo le prime yurte. I due ci spiegano che i Kyrgyzi vivono nei villaggi e nelle città, ma d'estate, da maggio a ottobre, si spostano con le loro yurte quassù, dove hanno in affitto, per novantanove anni, degli appezzamenti di terreno da usare come pasture per gli animali. La strada sale sempre più ripida e la Lada Niva sof-fre, inizia e 'tossire' e poi si ferma, il motore si è sur-riscaldato troppo e l'autista deve mettere in atto una procedura complessa per farla ripartire, gira la mac-china controvento e inizia e buttare acqua sul radia-tore. Sembra funzionare e dopo circa venti minuti siamo di nuovo in marcia. Ma per poco, perché do-po un paio di chilometri la storia si ripete e così via fino al passo, a circa tremila metri, dove davvero dubitavo di arrivare. Il paesaggio è in stile alpino,

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con vette rocciose e ghiacciate con attorno belle di-stese verdeggianti. I due sono affamati, vedono delle persone e si fer-mano per chiedere se possono mangiare qualcosa. Per la prima volta entriamo in una yurta. Ci abitano in sei, due adulti, tre figli e una cugina. La yurta (o gher) è una sorta di tenda circolare con una struttura in legno ricoperta da pelli di montone e poggiata sull'erba, per non sedere in terra vengono posti tap-peti e coperte, anch'essi provenienti dallo stesso o-vino, e impossibile è descrivere l'odore penetrante all’interno. Ci offrono pane e koumiss, latte di cavalla legger-mente alcolico. Il pane avrà un mese ma è stato ba-gnato per ammorbidirlo: lo mangio. Il koumiss in-vece lo porto alla bocca senza riuscire a ingerirlo, non tanto per il sapore, acido e pessimo, quanto per-ché nel secchio dove lo tengono a fermentare e dal quale è stato versato nelle nostre tazze, accurata-mente strofinate e spolverate di fronte ai nostri oc-chi con la sporca e unta gonna della padrona di casa, ci galleggia di tutto, mosche e insetti vari, terra e peli di animali, grumi gialli non ben definiti e ulte-riori minuscoli oggetti che non sono riuscito a rico-noscere. Anche Nadia fa solo finta di bere, gli auti-sti invece gradiscono e si servono più volte. Chie-diamo quanto manca a Naryn visto che arrivare fino a qui è stata davvero dura, ‘Otto ore!’ è la risposta. La strada scivola tra ampie valli erbose che presto diventano scoscese e aride. Finalmente siamo a Ka-zarman e mi rendo conto di come sia sperduta que-sta cittadina, soprattutto d'inverno, con temperature che scendono a meno quaranta e con le uniche due vie di accesso bloccate dalla neve. Per Naryn sono ancora duecentoventi chilometri e torniamo a salire, inevitabilmente la macchina si ferma, una, due, tre volte, sempre con maggiore frequenza e ogni volta aumenta il tempo necessario per farla ripartire. Co-mincia a insinuarsi in me il timore di dovere trascor-rere la notte all’aperto, in attesa che qualcuno passi.

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Ma chi? Abbiamo incontrato solo un altro paio di veicoli, entrambi guasti e con i conducenti chini sul motore a fare da meccanici. Superiamo anche il secondo passo e alla nostra vi-sta, mille metri sotto, si apre una selvaggia spianata desertica dipinta con tonalità gialle, marroni, rosse, bianche, e in lontananza le cime innevate del Pamir e del Tian Shan. Andiamo giù lungo lo sterrato ripi-do e insidioso, ma il nostro autista è prudente, scen-de piano senza rischiare. Ancora quasi cento chilo-metri a Naryn, ma adesso il percorso è facile e pia-neggiante. Vediamo una sorta di casetta e i due op-tano per una sosta gastronomica. Sembra che qua funzioni così, quando hai fame bussi alla prima yur-ta o casa e chiedi che ti preparino qualcosa. Guar-diamo cucinare le donne, i bambini si divertono con noi. D’improvviso arriva un tizio in auto, vede che siamo stranieri e si avvicina, mi stringe vigorosa-mente la mano con entrambe le sue e mi dice in rus-so 'Benvenuto in Kyrgyzstan! E se qualcuno vi fa del male venite da me che ci penso io!'.

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Parlaccione Per visitare il Kyrgyzstan ci affidiamo alla CBT di Naryn che organizza soggiorni tra le comunità loca-li, turismo sostenibile in famiglia. Parlaccione è il nostro autista, questo nome gliel'ha dato Nadia per-ché ogni qualvolta c'è segnale si attacca al cellulare e parla senza sosta finché non cade la linea. Talvolta capita che fermi l'auto al bordo della strada e vaghi, salendo su ogni sasso, con il telefonino in mano e il braccio più in alto possibile, in cerca di quella mi-nima tacca sul display che gli consenta di finire la conversazione interrotta da qualche malefico monte. Ma il Kyrgyzstan è pieno di montagne, spesso è im-possibile telefonare, e allora si consola con noi rac-contandoci la sua vita. Ha trent'anni, è fidanzato e presto si sposerà, quando però scopre che Nadia abi-ta in Svizzera ci confida di essere segretamente in-namorato con una ragazza di Zurigo che aveva scar-rozzato per il paese due anni addietro, e mentre par-la trasognato con gli occhi persi, cerco di immagi-narmi i loro dialoghi, con lei che non parlava russo né kyrgyzo e lui che tra inglese e tedesco conosce solo la parola 'Ok'! Naryn è una cittadina anonima, grigia e deprimente e si sviluppa tutta intorno alla via principale, ma la bellezza che le manca è compensata dal meraviglio-so paesaggio circostante. La strada per Son Kul si incunea tra strette gole di stile dolomitico, aspre e rocciose, poi sale, incontrando ripidi pendii pieni di abeti, e spiana, fino ad arrivare in uno dei posti più belli che mi sia mai capitato di vedere. Son Kul è un grande lago posto su un altopiano er-boso a tremila metri incorniciato da verdi montagne che digradano dolci verso il centro e cadono a picco

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per oltre un chilometro ai bordi, sulle brulle valli circostanti. Son Kul è uno specchio azzurro incasto-nato in questo verde, un verde intenso che non ti a-spetti visto che in basso, a pochi chilometri, tutto è deserto. Attorno al lago migliaia di animali a pasco-lare, liberi e tranquilli, cavalli in maggioranza, ma anche ovini e bovini, e di tanto in tanto il bianco di una yurta a segnalare la presenza umana. Giunti a destinazione ci accoglie una famiglia com-posta dal padre, due donne, tre ragazze e due ma-schietti. L’uomo ha un bel paio di baffi e il tipico cappello kyrgyzo che ci mostra con fierezza, una delle donne è sua moglie, l'altra è una parente lì per aiutare. Due delle tre fanciulle sono nipoti in vacan-za dalla scuola, quassù un po' per relax, un po' per lavoro. La più grande ha diciannove anni e studia turismo all'università di Biskek, la sua faccia, pur leggermente rovinata dal sole, è bella e racchiude occhi dolci e profondi. L'altra, soprannominata Ro-setta per un buffo cappello rosa che indossa in ogni momento, ha quindici anni e va alle superiori. La terza è la figlia, ha circa tredici anni e un volto rude e deciso, non la vedremo quasi mai perché sempre impegnata con le altre due donne. I ragazzini, di cir-ca dieci e dodici anni, giocano senza sosta correndo e cavalcando un povero asino, passeranno tutto il tempo a cercare di farsi notare. La yurta è grande e addobbata con tappeti e arazzi dai colori accesi, in alto c’è un'apertura circolare ampia un metro, una sorta di finestra, che può essere chiusa con un telo tirando una corda dall'esterno. Siedo al centro e alzo gli occhi, le nuvole bianche si rincorrono sopra il blu del cielo, respiro e le mie na-rici ormai assuefatte trovano quasi gradevole l’intenso odore di pecora che mi avvolge. In mezzo alla yurta c'è un tavolo basso circondato da cuscini, ci portano da mangiare plov, riso con agnello e carote, e anche se non è una gran bontà lo mangiamo volentieri.

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Al variare delle ore il paesaggio muta senza sosta con vento, sole e pioggia che si alternano caotica-mente stordendo quasi i sensi. Assistiamo attenti alla mungitura per l'ottenimento del koumiss. Va fatto in due, il padre (l'unica volta che si è alzato dalla sedia per fare qualcosa) prende un puledro e lo porta dalla cavalla per fargli succhiare il latte, appe-na questo inizia a bere gli scosta via rapidamente la testa mantenendolo vicino con il corpo e il suo po-sto è preso dalle mani della donna. Premesso questo ancora mi chiedo perché con tutte le mucche e le pecore che hanno (e questo vale anche per la Mon-golia) si ostinino a mungere i cavalli. Forse per far lavorare un po’ gli uomini? Per cena si replica con il plov. Io mi faccio attende-re, siamo al tramonto e non voglio perdermi la ma-gia che la luce calda della nostra stella diffonde tut-to attorno. Finito il banchetto le ragazze spostano il tavolo e preparano i 'letti' ammassando tappeti su tappeti e dandocene altri da usare come coperte, e nonostante il sacco a pelo e tutte queste pelli di montone la notte sarà davvero fredda. Dopo avere preso confidenza con il bagno, un buco in terra riparato da tre tavole di legno messe in ver-ticale per darti una privacy immaginaria, essermi lavato la faccia e le mani nel grande lavandino a di-sposizione, il lago, e avere fatto colazione a base di plov, visto il tempo piovoso, decidiamo di cambiare zona e andare verso nord, destinazione Issy Kul. Parlaccione è contento, a Son Kul non c'è segnale per il telefono, è in astinenza e non gli pare vero po-tere andare via. Guida con un occhio alla strada e uno al cellulare, è pensoso e in attesa, poi la sua faccia si illumina, sul display è comparso il sospira-to marchio, inchioda, esce dall’auto e parla. Issy Kul è un enorme lago circondato da cime inne-vate, una vista più simile a quelle cui sono abituato sulle nostre Alpi. Stiamo circa quattro giorni in que-sta zona, da menzionare il tempo trascorso a Jety