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La facciata dell’ospedale di San Michele, caratte-rizzata da cinque archi a tutto sesto su colonne e plinti, richiama immediatamente il fronte prin-cipale dell’ospedale degli Innocenti di Firenze, una fabbrica progettata da Filippo Brunelleschi e aperta nel 1445. Gli Innocenti inoltre rivesti-vano la stessa destinazione d’uso del San Mi-chele di Fano: raccogliere ed educare i fanciulli abbandonati1. Il confronto delle due planimetrie mostra però il diverso percorso che ha contrad-distinto i due ospedali: a Firenze l’organizzazio-ne regolare degli spazi richiama la ripartizione conventuale ad aula unica con ampi cortili in-terni e il rispetto delle regole di simmetria e geo-metria dell’Umanesimo mentre a Fano l’ospeda-le di San Michele presenta al piano terra l’atrio seguito dallo scalone, un salone al piano nobile, ricordando così direttamente l’organizzazione planimetrica longitudinale dei palazzi di città del Rinascimento2. Gli esempi che si diff usero maggiormente nel Quattrocento furono quelli a crociera, utilizzati sin dal Trecento a Firenze in Santa Maria Nuova e portati a modello da Antonio Averlino detto il Filarete alla Ca’ Gran-da di Milano3 . Nel Quattrocento la volontà di reformatione animava le signorie regnanti, i con-sigli cittadini e i vescovi, i quali, spesso con il beneplacito del papa, avviarono la costruzione di “ospedali grandi” nei maggiori centri urbani. Attraverso gli statuti si defi niva l’inquadramento organizzativo e si cercava di evitare i soprusi dei vescovi ribadendo il carattere misto, clericale e laico degli istituti4. L’evoluzione architettonica dell’ospedale San Michele di Fano è stata indagata attraverso lo studio dei verbali delle Congregazioni e le spese di Entrata-Uscita; ricerca che ha evidenziato una lunga serie di interventi, manutenzioni più o meno rilevanti e riguardanti la facciata dell’ospe-dale, la chiesa e le fabbriche adiacenti, sino dal 14385. Non è stato possibile individuare però il riferimento ad un progetto globale, ex novo, e nemmeno il nome o semplicemente un riferi-mento ad un architetto progettista.

Quello che i documenti fanesi non rivelano con chiarezza è il fatto che un palazzo privato ed alcune abitazioni civili collocate a fi anco alla principale porta cittadina, chiamata Arco d’Au-gusto, da un certo momento in poi, ossia circa alla metà del Quattrocento, venisse destinato a brefotrofi o, retto poi da una confraternita, quel-la di San Michele, a cui aderivano numerosi consiglieri cittadini. Osservando però attenta-mente la pianta dell’ospedale, l’ipotesi che il San Michele fosse nato come palazzo poi adattato a brefotrofi o e non come ospedale vero e proprio resta comunque la più credibile. Nonostante l’ospedale di San Michele non ri-fl etta un progetto organico, i maestri comacini che intervennero in maniera estesa nel fronte e nel cortile e gli stessi confrati che seguivano e fi nanziavano i lavori, furono senz’altro infl uen-zati dalla trattatistica e dai numerosi esempi di ospedali che sorsero nella penisola tra Quattro-Cinquecento. A testimonianza della disorgani-cità dell’abitato occupato dall’ospedale infatti, i documenti parlano delle “case de lo hospitale”6. Inoltre i cantieri descritti nelle congregazioni sono diversi e risultano attivi in un arco tem-porale molto lungo riferibile in particolar modo al Quattro-Cinquecento. La “tragiana” o loggia in legname del fronte dell’ospedale, elemento caratterizzante del brefotrofi o, venne collocata

Francesco MenchettiDall’architettura dell’ospedale alla trattatistica: continuità e variazione nei modelli ospitalieri quattrocenteschi

Pianta dell’ospedale di San Michele (Rilievo dello studio Simoncini-Landi di Fano)

A fronteLa facciata di Palazzo San Michele e l’Arco d’Augu-sto in una foto del primo Novecento (Biblioteca Federiciana di Fano)

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO

nel 1460-61 per essere sostituita poi ottant’an-ni più tardi nel 1543 dalle colonne in pietra bianca d’Istria, di Giovanni Bosso da Milano, maestro comacino. Il salone al primo piano, in cui la confraternita teneva le proprie riunioni, fu iniziato nel 1469 e anch’esso completato e uniformato alle altre stanze dell’ospedale sola-mente nel 1557-58 dall’opera degli scalpellini di Sant’Ippolito. Questi ultimi si occuparono anche delle riquadrature delle tre porte al piano terre-no disposte intorno al cortile. La medesima mo-danatura la ritroviamo al primo piano sia lungo gli stipiti e l’architrave sia nella parte bassa delle porte sotto forma di plinto; alla sommità scorre una cornice, separata dalla riquadratura, ornata con una serie di triglifi alternati, diff erente dal-la decorazione ad ovoli dei capitelli del portico, opera dei comacini. Gli scultori di Sant’Ippolito realizzarono anche gli stemmi al centro degli ar-chitravi delle porte: una mano tesa che sostiene una bilancia simbolo di San Michele, lo scudo del comune di Fano e l’arco d’Augusto. Un ruolo di primo piano fu ricoperto da Giovanni Bosso da Milano, il maestro comacino che nel 1543 stipulò un contratto con Camillo Gabuccini, notaio fanese, per la fornitura di 8 colonne da mettere in opera nel cortile7. Alcuni lavori al cortile, ma di minore entità, sono documentati già nel 1459 con Bernabeo da Como e il suo capomastro i quali si occuparono di togliere la terra dalla porta del cortile, sistemare la porta dello stesso, riparare un solaio di una stanza e di “conciare”, ossia provvedere di “conci” cioè mattoni nuovi il cortile dello “spedanerj”8. Un discorso a parte si può fare per la chiesa la quale sembra abbia avuto un evoluzione più rapida, concentrata tra il 1493 e il 1513, con il rive-stimento marmoreo della facciata e il portale a candelabre caratterizzato nel timpano dal grup-po scultoreo di San Michele opera di Bernardino di Carona, maestro comacino anch’egli attivo a Fano nel 1508-1513. Non è noto l’anno di fon-dazione della chiesa ma gli storici datano la sua ubicazione “foris portam” a partire dal Trecento

e questo troverebbe conferma nei resti dei costo-loni gotici, ancora oggi visibili, che delimitano le mura laterali. I costoloni reggevano le volte a crociera della copertura, tetto che è andato però perduto9. I lavori venivano fi nanziati soprattutto grazie ai lasciti testamentari come ad esempio quel-lo sostanzioso del Conte Monaldino di Pesaro del 1481, anno in cui i confrati infatti diedero particolare impulso ai lavori alla facciata e alla sala delle adunanze. Le descrizioni, seppure suc-cinte, permettono di dare una descrizione degli ambienti dell’ospedale e delle sue funzioni ri-cordando anche che occasionalmente i confrati affi ttavano alcune stanze ad artigiani come ad esempio a calzolai (“calegaria”) o a conciatori di pellami (“pelacani”), off rendo anche a volte i loro spazi in comodato d’uso ad altre confraternite (Confraternita di San Girolamo). Nelle stanze dislocate attorno al cortile rettangolare e ai lati dell’atrio, sistemato in perfetto asse rispetto alla loggia, si trovavano la cucina, una legnaia, un magazzino, alcune stanze di forma regolare per i fanciulli con dieci lettiere e undici “schiavine”10, un magazzino interrato o “canova”, i “nicisari”, ovvero i sevizi igienici presenti almeno dalla metà del Cinquecento dal momento in cui venne sca-vato un nuovo pozzo per fare defl uire le acque; al primo piano, oltre alla grande sala che si af-facciava sulla strada pubblica, vi era una camera collocata a fi anco del torrione destro della Porta d’Augusto, dove nel 1566 venne costruito un ca-mino. Una stanza al piano terreno, collocata tra il cortile e il giardino retrostante nell’area detta “delle donne”, era occupata da telai per fi lare, principale occupazione delle orfane. Al di sopra di questo luogo di lavoro vi era un’altra stanza che dal 1520 fu concessa alla Confraternita di San Girolamo per farne un oratorio, a patto che venisse completamente restaurata. A causa del suo cattivo stato l’oratorio fu poi completamen-te demolito durante la metà del Settecento. Nella città di Fano, dentro le mura, oltre a San Michele sorgevano gli ospedali e le chiese

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Pianta dell’ospedale e della chiesa di San Giuliano, indicata dalla lettera K(Biblioteca Federiciana Fano)

di Santa Croce e di San Giuliano, attualmen-te integrati nelle nuove costruzioni sorte su via Nolfi . La chiesa di Santa Croce aveva il portico in facciata, spazio che, come nell’ospedale di San Michele, off riva ospitalità e riparo ai pellegrini e ai viandanti. Questa caratteristica verrà ripresa nel Cinquecento e prescritta nelle Ordinationi Generali per il buon Governo di tutti gli Hospitali della città11 stilate a Bologna nel 1595, in pie-no spirito tridentino, dal Cardinal Gabriele Paleotti (1522-1597). Per il solo complesso di San Giuliano è giunta fi no ai nostri giorni una planimetria che rappresenta una fabbrica cara-terrizzata da due cortili porticati, da collegare alla tipologia conventuale che ritroveremo in numerosi hospitali quattrocenteschi.Il percorso che si vuole tracciare è quello dei mo-delli e delle tipologie architettoniche che hanno contraddistinto il genere ospitaliero tra Quattro e Cinquecento e che hanno infl uenzato lo svilup-po del San Michele. Come scrisse Quatremere de Quincy il tipo è “l’idea di un elemento […], è un oggetto secondo il quale ognuno può concepire delle opere che non si assomiglieranno punto fra loro. Tutto è preciso e dato nel modello, tutto è più o meno vago nel tipo […]”12 come una sor-te di nucleo attorno al quale, in seguito, si sono stratifi cate delle variazioni.La tipologia ospitaliera che per secoli è stata uti-lizzata nell’architettura italiana, ma non solo, è quella che vede lo sfruttamento di una corsia co-mune dove ospitare pellegrini poveri e malati di cui l’esempio più calzante è quello del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala a Siena, del 109013. Gli ospedali religiosi si dotarono di una sala co-mune (talvolta più di una), solitamente a pianta rettangolare, disposta perpendicolarmente agli edifi ci religiosi e caratterizzata da un’architettura monumentale. La vasta sala è talvolta dotata di un altare collocato ad una delle estremità affi n-chè i malati potessero assistere alla funzione re-ligiosa dal loro letto; molto famoso è l’Hotel de Dieu di Beaune (1443) in Francia, uno dei pochi ospedali sopravissuti integralmente14.

Nel Quattrocento la rivisitazione del testo vi-truviano e la diff uzione dei trattati favorirono la sperimentazione di nuove proposte. I trattatisti si rifacevano agli esempi della cultura classica greca e romana, che proponevano nelle abitazio-ni antiche gli spazi per gli ospiti, chiamati xenia o ospitalia, ogni volta riletti in contesti diff eren-ti. Come anticipato, durante il Quattrocento quello a crociera divenne un modello sfruttatis-simo per le sue molteplici possibilità combina-torie, superato solamente nell’epoca dei Lumi dal tipo più funzionale a padiglioni, suggerito peraltro già dagli ospedali degli antichi romani. L’ospedale a crociera o “classico”, giustapponen-do le sale comuni di origine medievale attorno ad un’unica cappella, adottava nuove forme le cui caratteristiche erano quelle di edifi ci forman-ti una croce, a simmetria ricorrente e spesso ad organizzazione ortogonale.Le prime forme architettoniche indagate dai fi -lologi riceveranno vasta eco durante l’Umanesi-mo e nel tardo Rinascimento. I teorici e i pro-gettisti che si sono occupati di ospedali, luoghi

DALL’ARCHITETTURA DELL’OSPEDALE ALLA TRATTATISTICA

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO

fortemente simbolici, hanno indagato non solo le tecniche di costruzione ma anche l’effi cacia in materia di organizzazione. Essi hanno prestato particolare attenzione al ruolo dell’acqua (boni-fi ca del territorio adiacente l’ospedale), dell’aria (aerazione-ventilazione) e della luce (illumina-zione, orientamento) nell’architettura a benefi -cio dei malati, adempiendo così pienamente alla missione sociale e umanitaria dell’ospedale. Ippocrate, seduto all’ombra del grande platano della piazza di Kos, riuniva ogni giorno i suoi discepoli attorno a sé per istruirli nella profes-sione medica e nell’arte del guarire mediante “la mano, l’occhio, il naso, il fuoco ed il coltello”15. Ai tempi di Ippocrate e Socrate, nel V secolo a.C., esistevano in Grecia strutture paragonabili funzionalmente agli ospedali. Essi assomiglia-vano al portico attico e le cure che vi si prati-cavano consistevano prevalentemente in sogni terapeutici; ciononostante i luoghi di cura greci, gli Asklepeion, possono essere considerati degli ospedali. In essi, infatti, le persone venivano ac-cudite, medicate, lavate, nutrite e fatte riposare in un letto. Negli Asklepeion, non mancavano il tempio, la biblioteca, le latrine e le piscine per i bagni medicati. A fi anco agli Asklepeion si collo-cavano i palazzi civili che riservavano ampi spazi per gli ospiti nei cosiddetti ospitalia e che come vedremo in seguito saranno presi in considera-zione, in modo particolare nel Cinquecento, da Giovan Battista da Sangallo. La planimetria degli ospitalia, con il fronte rivolto in direzione dei venti di tramontana e l’aff accio sui giardini esposti ai venti di scirocco e di libeccio, presenta lo stesso orientamento riscontrabile nell’ospeda-le di San Michele. Nel I secolo d.C. alla stoa attica si sostituirono le tende e le baracche militari adattate a luogo di ricovero per gli infermi dell’ospedale romano di Vindonissa, l’odierna Windisch, in Svizzera. Le tende e le baracche militari rispondevano bene alle funzioni specifi che del ricovero e dell’as-sistenza, garantivano una buona ventilazione e isolamento, tanto che nel XIX secolo questo

modello venne ripreso per combattere la tuber-colosi in ospedali a padiglioni come il Policlinico Sant’Orsola di Bologna16.Leon Battista Alberti nel suo quinto libro suddi-vide le fabbriche a seconda della diversa destina-zione o utilitas17. Per i locali con una funzione as-sistenziale l’Alberti descrive una diff erenziazione e un’articolazione degli spazi “da apprestare con la massima cura” per dividere i maschi dalle fem-mine e i trovatelli dagli ammalati e per distingue-re tra questi ultimi chi sia veramente bisognoso e chi invece ne approfi ttasse. L’esempio più vicino allo scrittore era quello della “Toscana, terra di antichissime tradizioni di pietà religiosa, in cui sempre si distinse, si trovano splendide case di cura, approntate con spese ingentissime, dove qualsiasi cittadino o straniero trova qualunque cosa possa servire alla sua salute”18. Non man-cano riferimenti a Vitruvio e la citazione degli antichi templi greci di Esculapio e Apollo. La condizione fondamentale per la costruzione di questi templi era che fossero situati in luoghi il più possibile salubri per agevolare l’eff etto tera-peutico. Alberti raccomanda “le zone asciutte, rocciose e continuamente battute dal vento: non bruciate dal sole, ma favorite da un clima mite” che favorisse l’aurea mediocritas, cioè l’equilibrio degli umori. Lo spazio dedicato agli assistiti sa-rebbe stato da affi ancare a quello destinato alle abitazioni familiari, dove si sarebbero costruiti “degli appartamenti riservati, distinti da quelli comuni, nello stesso edifi cio, secondo che lo esi-ga il tipo della cura e il modo della cura”. Su questi “appartamenti” l’umanista non si dilunga oltre, ricordando però che avrebbero dovuto se-guire gli stessi accorgimenti delle abitazioni pri-vate. Anche i monasteri con il porticato, le celle e il refettorio avrebbero dovuto essere dislocati “opportunamente secondo gli stessi criteri delle abitazioni private”19.Francesco di Giorgio Martini, architetto e trat-tatista, sottolinea l’importanza dei luoghi per gli infermi descrivendoli però nell’ambito di un progetto per un complesso conventuale e

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nella fattispecie di quello di San Bernardino a Urbino20. Come anticipato i portici simmetri-ci dell’ospedale a crociera quattrocentesco, con modello la Ca’ Granda di Milano del Filarete, riprendono il tipo architettonico dei cortili con-ventuali. Il convento di San Bernardino, attiguo alla chiesa in cui si conservano le tombe mon-tefeltresche, è da mettere in relazione con il più ricco e grande complesso di Santa Chiara. La co-struzione di questo convento francescano venne avviata accanto alla chiesina di San Donato del XIII secolo ma fu ultimata solo dopo la morte di Federico da Montefeltro (1482), sotto la di-rezione di Ottaviano degli Ubaldini, tutore del piccolo Guidobaldo. Alcuni disegni del Codice Ashburnham, che si trovano alla Biblioteca Laurenziana, sono da mettere in relazione alla progettazione del monastero. Il chiostro qua-drangolare della seconda metà dell’ottavo de-cennio, “riferito alla prima attività architettoni-ca” dell’artista, precede l’incontro milanese del

Martini con il Bramante avvenuto negli anni novanta. Il progetto in pianta per il convento, realizzato a penna, tra i diversi ambienti di culto e di servizio prevede “l’infermaria”. La chiesa al centro instaura un rapporto proporzionale con i due cortili quadrati porticati per il passeggio (dal termine latino ambulatio che signifi ca passeggia-ta, ma anche portico o quello che i romani chia-mano xystum)21. Adiacente alla navata dal lato sinistro era previsto un appartamento completo, molto probabilmente una foresteria per i visita-tori di riguardo, che comprendeva un “salotto”, due camere di cui una fornita di un gabinetto che dava sull’esterno, una piccola corte (“piaza”) e un cucinino. “L’infermaria” è disposta longitu-dinalmente e occupa un intero lato del chiostro, lontano dall’ingresso, mentre sugli altri tre lati si aff acciano il refettorio, la cucina con il parlatorio e la sagrestia. Dal pozzo di luce del chiostro, su colonne con pilastri a L, prendono luce cinque delle dieci camere dell’infermeria mentre le altre,

DALL’ARCHITETTURA DELL’OSPEDALE ALLA TRATTATISTICA

Francesco di Giorgio Martini, Progetto per la chiesa e il convento di San Bernardino a Urbino, pianta(Firenze, Biblioteca Laurenziana, codice Ashburnham, 1828, app., ff . 63v-64r)

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO

divise da un corridoio, si aff acciano verso le col-line urbinati. In totale le camere per gli ammala-ti sono undici e disposte simmetricamente lungo un corridoio che costituisce l’asse centrale. Ad una estremità si trovano le latrine e un ambiente destinato alla “lavatione per lo corpo” e all’altra analoghi spazi. Dietro alla chiesa c’è la “stanzia per i requisiti necessari” ai conventi di osservan-ti costituita da uno spazio da adibire ad attività pratiche come la falegnameria: “similmente gli osservanti deno avere […] alcuni luoghi dallo esercizio come di legnami simili”. Nel suo tratta-to l’architetto dimostra di conoscere molto bene le esigenze degli ordini religiosi, conventuali os-servanti, certosini o eremitani che fossero: tutti i conventi avevano l’infermeria e “due o tre ca-mare con destro, uno salotto e altro loco dove el corpo dopo la morte posare si debba”22 sopra una pietra. Le camere andavano separate e con-nesse alle infermerie, come nel suddetto proget-to, dove la divisione e la distribuzione dei diversi ambienti avveniva a seconda delle funzioni, po-nendo in spazi separati gli ospiti che fossero ma-lati oppure pellegrini. Nella parte mancante del foglio a sinistra quasi sicuramente si trovavano disegnati altri ambienti diff erenziati nella stessa disposizione di quelli già descritti, compresa una loggia solarium: “siavi una spaziosa loggia dove al tempo d’inverno gli antichi vecchi o altri frati al sole posare possino”23. Non bisogna tralasciare di sottolineare che il disegno fornito di misure è da correlare a un progetto da mettere in ese-cuzione non trattandosi quindi soltanto di uno studio per il trattato. Il Dell’architettura di Vitruvio è il testo che tutti i trattatisti del Rinascimento cercano di emula-re più o meno tacitamente, con o senza disegni, seppure fosse già noto nel Medioevo a studiosi come Eginardo e la storiografi a umanistica ab-bia voluto fare pensare ad una sua riscoperta a Montecassino nel 1414. Alla editio princeps vo-luta nel 1486 dall’Accademia Pomponiana di Raff aele Riario, seguì una lunga serie di riedizio-ni con Fra Giocondo nel 1511 e 1513, Cesariano

nel 1521, Caporali nel 1536, Rivius nel 1548 e Barbaro nel 1556. Naturalmente prima di tale data il testo era già stato letto da studiosi come Leon Battista Alberti in forma manoscritta. Dopo Fra Giocondo anche Cesare Cesariano tenterà di affi ancare al testo le rappresenta-zioni iconografi che delle fabbriche descritte. Cesariano, in particolare, mentre opera una digressione sugli Oeci descritti da Strabone e Plinio, fa un richiamo all’antica architettura degli ospedali. Scrive che tale genere di domus, destinate a ricevere molte persone, non si sareb-bero dovute realizzare alla maniera Italica, cioè secondo un progetto unico, ma come suggeri-va Vitruvio, alla maniera greca, tenendo conto delle caratteristiche del sito. Cesariano traduce il termine Oecus in hospes, quindi “hospitalia ipsa Xenodochia”24. Il vocabolo greco fi ltrato at-traverso la versione di Pontico si riferirebbe “a tali hospitali como a casa sua chi va e chi vene […]”25. Cesariano, anche se con qualche incer-tezza, associa gli xenia, ossia gli appartamenti per i forestieri, all’impianto dei moderni ospe-dali, operando quindi una forzatura nell’inter-pretazione del testo vitruviano, seppure esista una certa affi liazione tra i due generi. L’autore introducendo gli esempi dell’ospedale maggiore di Santo Spirito di Roma, di quello della Scala di Siena, di Santa Maria Nuova di Firenze e di quello del Filarete di Milano, spiega che Vitruvio aveva pensato ad una “casa magna composita in siema como due triclinii […] spectanti […]”26, quindi ad una grande fabbrica composita con due triclini speculari. I succitati ospedali, come quello di San Michele a Fano, erano inoltre af-facciati con un portico a settentrione, “l’occaso”, nella direzione in cui spirano i venti estivi di tra-montana. Cesariano sottolinea l’importanza dei giardini collocati al centro di “quatro pistilli”, cioè quattro peristili, giardini visibili dai pas-saggi coperti e dalle fi nestre. I peristili ricordano lo schema proposto dall’Averlino a Milano: un rettangolo formato da dieci quadrati uguali tra i quali venne collocata in posizione centrale la

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chiesa e nelle parti laterali, i chiostri e le aule uniche con pianta a croce (“crociera”). Come nei progetti di Francesco di Giorgio Martini per San Bernardino e di Averlino per la Ca’ Granda anche Cesariano ribadisce la necessità di affi ancare una chiesa all’ospedale, per permettere agli ospiti e agli ammalati di accedere con facilità alle funzio-ni religiose; una peculiarità presente anche nel

San Michele e ribadita a più riprese dai confra-ti27. Secondo Cesariano le pareti, i letti, gli spazi per gli uomini e le donne erano disposti tutti con ordine, secondo la maestà dei committenti, Francesco Sforza e sua moglie Bianca Maria. Al centro della crociera quattrocentesca, i cui brac-ci misurano 90 metri di lunghezza, 9 metri di larghezza e 9 metri in altezza, in corrispondenza

DALL’ARCHITETTURA DELL’OSPEDALE ALLA TRATTATISTICA

Giovan Battista da Sangallo, Pianta del Palazzo Greco con gli “ospitalia” (Biblioteca dell’Accade-mia Nazionale dei Lincei, Fondo Corsini, 50 F 1, particolare)

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IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SAN MICHELE A FANO

del centro si trovava un tiburio che poteva esse-re visto da tutti. A ogni letto corrispondeva un piccolo armadio a muro con ribaltina, che faceva da tavolo; inoltre per tutta la lunghezza dei brac-ci della crociera furono creati corridoi nei quali erano collocati i servizi igienici, detti “destri”28. Il palazzo greco di Cesariano con gli “ospitalia”, i giardini, i quattro peristili e le indicazioni del sito, costituisce un modello di architettura civile con destinazione ospitaliera senz’altro vicino an-che agli esempi fanesi sopracitati.Un esempio grafi co chiaro di quello che pote-va essere il palazzo greco con gli “ospitalia” si può trarre dai disegni con didascalie di Giovan Battista da Sangallo, fratello di Antonio da Sangallo il Giovane29. Giovan Battista lasciò infatti tracciati i disegni sui margini e in carte interfoliate di una edizione sulpiciana del tratta-to medesimo, il codice 50 F 1, conservato nella Biblioteca romana dell’Accademia dei Lincei30. Giovan Battista traccia chiaramente il disegno delle diverse abitazioni degli uomini e delle don-ne con ambienti dislocati attorno ad un peristi-lio centrale e l’appartamento degli uomini che sovrasta l’altro per ampiezza. Mutatis mutandis ricordiamo che anche a Fano si prestava atten-zione alla diff erenziazione dei locali tra uomini e donne. All’interno dell’ospedale gli ospiti di ambo i sessi dovevano essere ricoverati in corpi di fabbrica separati tenuti in comunicazione dal cortile, come si comprende dalla registrazione di un lavoro eseguito nel 1459 da un “Maestro” che rifece un pezzo di muro e “mutò la scala” della casa di Giorgio ischiavo, la quale si trovava di fronte allo “spedale de le donne”. Per questo reparto dedicato alla donne, l’anno prima, nel novembre del 1460, Giovanni da Casteldurante aveva acquistato delle tegole o “coppe”31. Nella planimetria del Sangallo gli appartamenti dei forestieri vengono chiamati “ospitalia” e sono disposti a pettine sul lato destro della grande sala coperta, chiamata “oeco cioè sala”, con accessi al giardino, alla libreria, alle esedre, alle stufe o bagni e al peristilio centrale. Come anticipa-

to il termine “Oecus” per il Cesariano rivestiva un altro signifi cato, cioè “xenos” appartamenti per forestieri, mentre per Sangallo il vocabolo signifi ca sala. Il lessico archittettonico appartie-ne all’ars meccanica, perciò fa parte del mondo parlato delle botteghe artigiane che si esprime in lingua volgare, diversa da regione a regione: è per questo motivo che i trattatisti non ricono-scono un signifi cato univoco ai singoli termini vitruviani32. La disposizione degli “ospitalia” prevede le ca-mere tutte regolari disposte a pettine lungo un asse centrale rappresentato dal corridoio. Gli “ospitalia” del Sangallo dislocati sul lato oppo-sto dell’ingresso, ricordano il genere di orga-nizzazione spaziale già prevista nei progetti di Francesco di Giorgio Martini e di Baldassarre Peruzzi. Sangallo, come Cesariano, presta parti-colare attenzione alla scelta del sito e orienta la fabbrica con il fronte rivolto a nord verso i venti di tramontana collocando gli “ospitalia” disposti sul retro e esposti ai venti di scirocco e libec-cio provenienti da sud-est e sud-ovest. I giardini circondano l’intero lato meridionale del palazzo greco, sia l’ala delle donne che quella degli uom-ni, fi ancheggiando gli “ospitalia” e aprendosi verso l’esterno.In conclusione, al San Michele, nonostante l’as-senza di un artefi ce unico, si possono identifi -care insieme le citazioni dei principali modelli ospitalieri quattrocenteschi: dal cortile conven-tuale attorno al quale si distribuivano gli spazi funzionali del brefotrofi o al portico in facciata orientato verso nord. In area adriatica gli esempi di ospedali ad aula unica e a crocera giunsero in particolare grazie alla diff usione della trattatisti-ca e mediante lo studio e la ripresa dell’Antico.

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Note

1. L’ospedale fi orentino era stato affi dato con provvisione comu-nale del 20 febbraio 1421 alla gestione dell’Arte della Seta, detta di Por Santa Maria, nel rispetto della tradizione instauratasi a Firenze nel corso del ‘300 dell’affi damento cioè della gestione dei grandi enti ospedalieri alle arti maggiori. Cfr. G. Bruscoli, Lo spedale di Santa Maria degli Innocenti di Firenze dalla sua fon-dazione ai giorni nostri, Firenze 1900; Gli Innocenti e Firenze nei secoli: un ospedale, un archivio, una città, a cura di L. Sandri, Firenze 1996; R. Perella, Gli spazi aperti in un’architettura di Filippo Brunelleschi: lo “Spedale degli Innocenti”, Firenze 19992. Si vedano la piante dell’ospedale di San Michele conservate presso l’Uffi cio Tecnico Erariale di Pesaro pubblicata nella tesi di laurea dello scrivente, F. Menchetti, L’architettura assistenziale a Fano e la tipologia ospitaliera nella trattatistica tra XV e XVIII secolo, Facoltà di Lettere e Filosofi a, Università di Bologna, a.a. 1994-1995, relatrice prof. M. Pigozzi, p. 158.3. Per Santa Maria Nuova si veda J. Henderson, ‘Splendide case di cura’ Spedali, medicina ed assistenza a Firenze nel Trecento, in A.J. Grieco, L. Sandri (a cura di), Ospedali e città. L’Italia del Centro-Nord, XIII-XVI secolo, Firenze 1997, pp. 27-32.4. Sul Concilio di Ravenna tenutosi nel 1311 si veda V. Ottazzi, Le principali fondazioni ospitaliere d’Italia nei loro statuti dal se-colo XI fi no al secolo XIV, in Atti del I Congresso di storia ospita-liera, Reggio Emilia 1957; M. Mollat, Complexité et ambiguité des institutions hospitaliéres: les status d’hôpitaux (les modèles, leur diff usion et leur fi liation), in G. Politi, M. Rosa, F. Della Peruta, (a cura di), Timore e carità. I poveri nell’Italia moderna, Cremona 1982, pp. 3-12.5. F. Menchetti, La chiesa e l’ospedale di San Michele a Fano: sto-ria e architettura dal Quattrocento al Novecento, in “Nuovi studi fanesi”, 19, (2005), pp. 7-45.6. ASP-SASF, AAC, San Michele, Congregazioni, 2, c. 93 r.7. F. Battistelli, Note su M° Giovanni Bosso da Milano scalpellino a Fano nel secolo XVI, in “Fano, supplemento al Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, 1979, p. 83.8. ASP-SASF, AAC, San Michele, Entrate-Uscite, 2, c.n.n.9. Nel 1323 è documentato un lascito di “dieci soldi alla Scuola di S. Michele Conservatorio attualmente [1751 per l’Amiani] degl’Esposti”, P. M. Amiani, Memorie istoriche della città di Fano, 2 voll., Fano 1751, I, p. 254. 10. ASP-SASF, AAC, San Michele, Congregazioni, 1, c. 43 r.11. P. Prodi, L’organizzazione diocesana in Bologna, in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Atti del Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Bologna 2-6 settembre 1958), Padova 1960, pp. 355 e segg.12. A.C. Quatremere de Quincy, Dictionnaire historique d’archi-tecture, Parigi 1788, trad. it. Mantova 1842-1844, p. 473.13. G. Bellucci, P. Torriti, Il Santa Maria della Scala in Siena: l’ospedale dei mille anni, Genova 1991.14. Per la suddivisione in tipi edilizi dal medioevo all’epoca con-temporanea, dall’ospedale ad aula unica al “monoblocco” fi no alla “torre su zoccolo” si veda A. Pétillot, Breve storia delle for-me ospedaliere, in Patrimonio ospedaliero. Un percorso attraverso l’Europa, Parigi 2001, pp. 5-15, un progetto europeo elaborato nell’ambito del Programma Cultura 2000, http://europaphe.aphp.org/en/home.html. 15. F. Prodi Rossi, A. Stocchetti, L’architettura dell’ospedale,

Firenze 1990, p. 26.16. G. Marcon, Ippocrate e il Direttore. Elementi di storia della gestione negli ospedali, “Annali Italiani di Medicina Interna”, 12, (1997), pp. 24-38; G. Marcovigi, Le ambulanze chirurgiche d’Ar-mata dell’Esercito italiano, in “Rivista di ingegneria sanitaria e di edilizia moderna”, XIII, nn. 7-8-9-10, (1917), pp. 1 e sgg.; F. Menchetti, Architetti, progetti e committenza, in G. Campanini, M. Guarino, G. Lippi, (a cura di) Le arti della salute. Il patrimo-nio culturale e scientifi co della sanità pubblica in Emilia-Romagna, Bologna 2005, p. 159, n. 43.17. L. B. Alberti, L’architettura [De Re Aedifi catoria], a cura di G. Orlandi, P. Portoghesi, Milano 1966, I, pp. 366-370.18. Ibidem, pp. 367-368.19. Ibidem, p. 362.20. F.P. Fiore, M. Tafuri, (a cura di), Francesco di Giorgio architet-to, Milano 1993, pp. 260-273.21. L. B. Alberti, op. cit., p. 264.22. Francesco di Giorgio Martini, Trattati di architettura inge-gneria e arte militare, a cura di C. Maltese e L. Maltese Degrassi, 2 voll., Milano 1967, I, p. 237. 23. Ibidem, I, p. 238.24. C. Cesariano, Commento a Vitruvio, Como 1521, cc. 99v-100 r.25. Ibidem.26. Ibidem, c. 100 r.27. Il 28 luglio 1493 il segretario della Congregazione annotava la necessità di “resarcire la chiesa de San Michele et quella ocn-ciare et farla bella”, ASP-SASF, AAC, San Michele, Congregazioni, 1, cc. 59 r-59v.28. Cfr. Fonti per la storia dell’arte del Rinascimento: itinerario critico, a cura di M. Pigozzi, Bologna 1993, p. 16.29. Per l’attività di Antonio da Sangallo il Giovane, nell’ambito dell’architettura militare a Fano, si veda il saggio dedicato alle mura cinquecentesche pubblicato in occasione dei restauri del Bastione del Sangallo, del 2000. Come documentato, l’archi-tetto toscano rimase pochi giorni a Fano senza lasciare un pro-getto defi nitivo del bastione. Fu invece Giovambattista Pelori, architetto senese, a seguire i lavori per un decennio e a occuparsi della fondazione, del disegno e dell’esecuzione dell’opera. Cfr. F. Menchetti, Le mura di Fano: da Antonio da Sangallo il Giovane a Giovanbattista Pelori, in “Castella Marchiae”, 6/7 (2003/2004), pp. 108-124.30. G. Morolli, L’architettura di Vitruvio, Firenze 1988, pp. 87-140; I. D. Rowland (a cura di), Ten books on architecture: Th e Corsini incunabulum. Vitruvius. With the annotations and auto-graph of Giovanni Battista da Sangallo, Roma 2003.31. ASP-SASF, AAC, III, Depositaria, vol. 92, c. 145 v.32. Giovanni Nencioni è stato uno dei primi studiosi italiani ad iniziare il lavoro sul lessico tecnico proseguito poi, in tempi re-centi, da Marco Biffi . Quest’ultimo, attraverso gli studi sull’Ac-cademia di Cosimo I de Medici (con la traduzione di Cosimo Bartoli del De re Aedifi catoria e il trattato del Cataneo, 1564 I° ed., 1567 II° ed.), ha chiarito che la lingua uffi ciale scelse il fi orentino del Trecento. Cfr. G. Nencioni, Saggi e memorie, Pisa 2000; M. Biffi , La formazione di un lessico tecnico nazionale tra Siena e Firenze, in F. P. di Teodoro (a cura di), Letteratura ar-chitettonica (secoli XV-XVIII) illustrazioni, lingua, traduzione, edizione critica, Torino 2008, in corso di stampa; cfr. P. Gros (a cura di) De architectura, trad. it. a cura di A. Corso, E. Romano, Torino 1997.

DALL’ARCHITETTURA DELL’OSPEDALE ALLA TRATTATISTICA