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Post on 15-Feb-2019

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Milano. Una borsa di studio per ricordare la mamma filippina impegnata

in parrocchia

Così San Giovanni Evangelista rende omaggio a Vicky Marivic Maderazo, stimata da

italiani e immigrati, morta prematuramente. Un modo per aiutare le sue figlie. E i ragazzi

del quartiere in difficoltà.

C’è una Milano che sa riconoscere i suoi figli migliori. Anche quelli nati a diecimila

chilometri di distanza. E che di fronte alla morte e al lutto, sa fare rete. Perché chi è nella

prova non rimanga solo. Perché dal dolore possa nascere una speranza nuova. Per sé.

Per gli altri. In San Giovanni Evangelista, via Pavoni, decanato Zara, quella speranza ha il

volto e il nome di Vicky Marivic Maderazo e della borsa di studio che la parrocchia ha

deciso di dedicare a questa donna generosa e gioiosa, nata nelle Filippine e approdata a

Milano dove si è sposata, ha avuto due figlie, ha dedicato ogni energia alla famiglia, al

lavoro, agli amici, alla comunità, finché la morte se l’è portata via, all’improvviso, lo scorso

settembre.

«Di lì a poco avrebbe compiuto 51 anni – racconta il parroco, padre Giorgio Tarter,

pavoniano –. L’ho conosciuta andando a benedire le famiglie per Natale. Erano i primi anni

Duemila. Presto è diventata punto di riferimento dei filippini in parrocchia, sempre più

numerosi grazie a lei: un leader, ma di quelli che si rimboccano le maniche per gli altri.

Preparata, intelligente, sempre pronta ad aiutare. È stata il primo fedele delle Filippine a

far parte del consiglio pastorale. Era anche nel coro, come le figlie. E teneva moltissimo al

loro percorso scolastico».

Nell’estate del 2017 Vicky e il marito Jesrael Servanez, con le figlie Erika e Alyssia,

adolescenti, vanno nelle Filippine. Riunione di famiglia. Hanno fratelli e sorelle

letteralmente sparsi per il mondo. «Il giorno dopo il rientro in Italia, sono già al lavoro. È il

primo settembre – ricorda padre Tarter –. Il due, mentre è in strada, in via Imbonati, è

colpita da aneurisma cerebrale. La portano in ospedale. La situazione è disperata. La

domenica vado al suo capezzale per l’unzione degli infermi. Assisto all’ultimo, straziante

saluto delle figlie e del marito a Vicky – la voce del parroco s’incrina per la commozione –.

Quella stessa domenica, 3 settembre, muore. E subito, spontaneamente, la comunità si

mobilita: con la preghiera. E con la solidarietà materiale. Non solo al funerale ma al

Rosario in chiesa e alla novena in casa di Vicky, è sempre pieno di gente, filippini e

italiani, segno visibile della stima e dell’affetto che tanti hanno per lei. Fra i parrocchiani,

intanto, ci si chiede come aiutare il papà e le ragazze. Aiutarli davvero. E rispettando la

loro dignità. Così – ricordando quanta importanza attribuisse alla scuola la nostra Vicky

che, posso dirlo, si è consumata di lavoro per le figlie – nasce l’idea di una borsa di studio

per Erika e Alyssia. L’idea trova consenso tra i fedeli, come dimostrano le offerte raccolte

dall’autunno ad oggi. Queste offerte – con quelle che, auspichiamo, arriveranno in futuro –

ci sollecitano a proseguire e ampliare l’iniziativa, aprendo la borsa di studio intitolata a

Vicky anche ad altri studenti della nostra parrocchia che vogliono continuare oltre la scuola

dell’obbligo ma vivono in famiglie prive di mezzi economici adeguati» (per sostenere o

accedere alla borsa www.sangiovannievangelista.org). «Vicky – riflette infine il parroco – è

volto di quella Chiesa dalle genti al cuore del cammino sinodale della diocesi di Milano e

che la nostra parrocchia vive da tanti anni. La famiglia, l’educazione, la fede genuina e

partecipata, il senso d’appartenenza alla comunità: sono tutti valori che Vicky e i fedeli

filippini ci aiutano, giorno dopo giorno, a riscoprire».

Le figlie e il marito: ci ha insegnato a essere felici aiutando gli altri

«Continua a credere in Dio. A fidarti di lui. Anche quando fai fatica a capire quello che ti

accade, cerca la volontà di Dio. Ecco cosa mi ha insegnato mia mamma. Ecco la perla che

non mi porterà via nessuno». Erika Servanez ha 18 anni, fa il liceo scientifico e si sta

preparando all’esame di maturità. Ma le sue parole, lo sguardo, il tratto dolce e insieme

risoluto, suggeriscono una maturità che va oltre ogni diploma. Lo stesso si intuisce nella

sorella Alyssia, 14 anni, al primo anno di liceo classico, che alla stessa domanda risponde:

«Non fermarti davanti agli ostacoli. Affronta tutto in modo positivo. Questa mi ha insegnato

la mamma. Che prima di pensare a se stessa, pensava agli altri, li aiutava, e la vedevi

felice così».

Erika e Alyssia, nate e cresciute a Milano, sono le figlie di Vicky Marivic Maderazo, la

donna filippina impegnata nella parrocchia di San Giovanni Evangelista alla quale la

comunità ha intitolato una borsa di studio. Ora aperta ai ragazzi «capaci e meritevoli» della

parrocchia, privi di mezzi. Ma ideata da alcuni parrocchiani, nel settembre scorso, e fatta

propria dalla comunità, nella sua prima fase, proprio per aiutare negli studi le due ragazze

rimaste senza mamma. «Questa borsa di studio è una benedizione, ringrazio il parroco e

la comunità per questo aiuto prezioso», dice Jesrael, il marito di Vicky, papà delle due

ragazze. Una vita piena di lavoro e di lavori, quella di Jesrael e Vicky, che si sono

conosciuti e sposati in Italia. Una vita piena di sacrifici. Per dare un futuro a Erika e

Alyssia. Un futuro da costruire con lo studio, era la grande convinzione di Vicky. Così la

pensa anche Jesrael. Che al lavoro (nella logistica) ora aggiunge le faccende domestiche:

lavare, stendere, stirare, «non voglio che tolgano tempo allo studio di Erika e Alyssia».

Attorno a loro c’è una comunità che ha saputo esprimere solidarietà nella prova. E ha

saputo trasformare un’iniziativa ad personam in opportunità per un intero territorio. Alla

radice di tutto c’è Vicky. C’è il bene che ha fatto in questa comunità. E c’è la stima che

tanti parrocchiani, filippini e italiani, hanno per lei. E che ha preso forma nella borsa di

studio che porta il suo nome. Chi meglio di Erika, Alyssia e Jesrael, per accostarsi a quella

"radice"? «La mamma dava, sempre, senza pretendere nulla in cambio – riprende Erika –.

Quando stava male o aveva problemi, sapeva nasconderlo col sorriso. E nelle sue

giornate riusciva a trovare il tempo per il lavoro di badante e per la parrocchia senza

toglierlo alla famiglia. Il suo senso di appartenenza alla Chiesa si è formato in Italia, nei

primi anni. Me l’hanno raccontato al funerale. Quando arrivò a Milano, rimasta sola, senza

soldi, senza casa, non volle chiedere aiuto ai suoi, nelle Filippine, perché era stata lei a

decidere di emigrare. Trovò sostegno e ospitalità in una parrocchia di Milano, dove in

cambio faceva le pulizie». Un altro ricordo del funerale: «Le sorelle della mamma, arrivate

dagli Stati Uniti e dal Canada. Erano stupite di quanta gente la conoscesse e le volesse

bene. Stupite di quanta gente la mamma potesse portare nel cuore». Il papà, asciugandosi

una lacrima: «Sono orgoglioso delle nostre figlie, come sono sempre stato orgoglioso di

Vicky. La parrocchia, l’oratorio, le vie del quartiere: tutto mi parla di lei. La sua morte

improvvisa è difficile da accettare e spiegare. Ma le ho promesso che, se le fosse

successo qualcosa, le nostre figlie avrebbero finito gli studi qui».

Lorenzo Rosoli

Avvenire.it, 28 aprile 2018

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