ambrogio dei doveri

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    DE OFFICIIS MINISTRORUM

    LIBRO I

    CAPITOLO I

    1. Io non ritengo di poter essere da alcuno ritenuto presuntuoso, se spontaneamente assumo l'ufficio diinsegnare ai miei figli, dal momento che il maestro dell'umilt ha detto: Venite, figlioli, ascoltatemi, ed iovi insegner il timore del Signore (Sal 33, 12): nelle quali parole possiamo scorgere sia l'umilt del suodecoro, sia la sua grazia. Pere questo motivo dicendo, timore del Signore, timore che sembra sia comune atutti, espresse un notabile insegnamento di modestia; e essendo tal timore anche principio di sapienza emotivo della beatitudine, perci quelli che temono Dio, sono beati, evidentemente si mostr insegnare lasapienza, e dimostrarne il modo di acquistare la beatitudine.

    2. Anche noi dunque, diligenti ad imitare la modestia, non ci usurpiamo la grazia conferita; cose concesse

    a lui dallo spirito della sapienza diamo a voi come a figliuoli quelle cose che egli ha manifesto da noi sonostate ritrovate vere mediante l'esperienza e l'esempio; non potendo ormai pi schivare l'ufficiodell'insegnare impostoci ( quando lo fuggivamo) dall'ordine del Sacerdozio. Poich (Ef 4, 11) Il SignorIddio ha instituito alcuni Apostoli, alcuni altri Profeti, alcuni Evangelisti, finalmente certi altri P astori, eDottori.

    3. Io dunque non mi attribuisco la gloria degli Apostoli, perch chi lo potrebbe, eccetto coloro che dalFigliuol di Dio furono eletti ? Non mi usurpo la grazia dei Profeti, non la virt degli Evangelisti, non lavigilanza dei Pastori, ma solamente desidero di conseguire l'intelligenza e diligenza circa le ScrittureDivine, la quale tra gli altri uffici dei Santi fu posta dall'Apostolo nell'ultimo luogo; appunto per poterimparare allo scopo d'insegnare agli altri. Perch un solo fu quel vero Maestro, che non ebbe bisognod'imparare quello, che egli a tutti gli uomini insegn. Ma gli uomini prima imparano quel, che hanno dainsegnare, e da lui prima apprendono quello che poi agli altri devono insegnare.

    4. A me, poi, non capit neppure questo. Poich rapito al Sacerdozio dai Tribunali, e dall'insegne dellacorte ho cominciato ad insegnare a voi quello, che io non ho fino a qui da me imparato. Pertantocomincer prima ad insegnare, che ad imparare. Mi bisogna dunque in un medesimo tempo imparare, einsegnare perch non ho avuto, tempo d'imparare, prima. E per profitto grande che si sia fatto, che nonabbia bisogno di imparare mentre ch' vive.

    CAPITOLO II

    5. Ma che ? abbiamo noi sopra tutte le cose ad imparare altro che il tacere per poter parlare, a questo nonmi condanni prima la mia voce, che l'altrui mi assolva? Poich egli scritto; (Mat, 11, 37) Dalle tueparole sarai condannato, Che bisogno c' dunque, che tu ti affretti di sottometterti al pericolo d'essercondannato col parlare, potendo star molto pi sicuro col tacere ? Ho veduto molti parlando incorrere inerrore; tacendo appena alcuno vi incorse. Pertanto pi difficile il saper tacere, che il parlare. Io so chemolti parlano, e non sanno star cheti. (S'. Ambr. ipso de Virginis. Lib. I. c. i.) cosa rara che uno taccia,quando non gli giova affatto il parlare. dunque savio chi sa tacere. Infatti la sapienza di Dio ha detto (Is50, 4.): II Signor mi ha concesso la lingua erudita, affinch io sappia parlare, quando sia opportuno.Meritamente dunque savio quello, che dal Signor Dio ha ricevuto il lume per discernere in qual tempo

    gli si convenga parlare. Poich dice bene la Scrittura (Eccli. 20. 7.) : L'uomo savio tacer fino che siatempo.

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    6. E per i Santi del Signore, che sapevano che la voce dell'uomo per lo pi messaggera del peccato, eche il principio dell'errore umano il parlare dell'uomo, amavano il silenzio. Finalmente il Santo delSignore diceva (Sal 38, 1.): Ho detto, io custodir le mie vie, affinch non pecchi con la lingua mia.Perch sapeva, ed aveva letto che dipende dalla protezione divina, far, che l'uomo si sottragga dal flagellodella sua lingua, e dal testimonio di sua coscienza. Poich noi siamo tormentati dal tacito obbrobrio deinostri pensieri, e dal giudizio della coscienza; siamo ancora percossi dal suono della nostra voce, quandoparliamo quelle cose, col suono delle quali si percuote l'animo nostro, e s'impiaga la mente. E chi quelli

    che abbia il cuore mondo dalla bruttura dei peccati, o non erri per mezzo della tua lingua? Per questaragione dunque perch sapeva, che nessuno pu conservare casta la bocca dalla sozzura del parlare, siimpose col silenzio legge d'innocenza, affinch tacendo potesse schivare quel vizio, nel quale, parlando,facilmente sarebbe incorso.

    7. Udiamo dunque il Maestro, che insegna dal guardarcene. Ho detto: io custodir le mie vie, cio io misono imposto un tacito comandamento col pensiero di conservare le mie vie. Altre sono le vie, che noidobbiamo seguire, altre quelle, che noi dobbiamo custodire. Seguire dobbiamo le vie dei Signore;custodite le nostre, perci non s'incamminino verso il peccato. E quelle puoi custodire, se tu non faraipresto nel parlare. La Legge dice: (Deut 6. 3.) Ascolta Israele il tuo Signore Iddio. Non dice, parla, ma

    ascolta. Per cadde Eva, perch ella parl al marito quel, che non aveva udito dal suo Signor Dio. Laprima voce di Dio ti dice: Od ; se tu udirai, custodirai le tue vie, e cadendo, correggiti presto. ( Sal 118. 9.) E come corregge il giovanetto la sua via, se non coll'osservare le parole del Signore? Taci dunque prima,e ascolta, affinch non erri con la tua lingua.

    8. O grave danno, che si debba esser condannato per la propria bocca. E se egli si deve rendere ragione(Mat 12, 36) delle parole oziose, quanto maggiormente delle sporche e brutte? Poich quelle sono moltopi gravi, che le oziose. Se dunque della parola oziosa ne domandato conto, quanto maggiormente sipagher la pena dell'empio parlare?

    CAPITOLO III

    9. Che dobbiamo dunque fare! forse di mestieri che noi siamo in silenzio? Non gi; poich (Eccle. 3, 7)c' tempo per tacere, e un tempo per parlare. Inoltre se noi abbiamo a render ragione delle parole oziose,facciamo di non avere a render conto dell'ozioso silenzio. Perch egli si trova una taciturnit di tal sorta,che grande, e che opera pur assai, come era quella (Dan, 13, 3) di Susanna, la quale col tacere opermolto pi che se ella avesse parlato; perch col tacere davanti agli uomini parl con Dio, n trov maggiortestimonio della sua castit, che il silenzio. Parlava la coscienza l, dove non si udiva la voce, n cercavain suo favore il giudizio degli uomini, avendo la testimonianza di Dio. Da quello dunque voleva esserassolta, il quale ella sapeva in nessun modo poter esser ingannato. Lo stesso Salvatore nostro ( Mat, 26, 63) nel Vangelo altres tacendo operava la, salute di tutti gli uomini. Ben dunque Davide non s'impose

    silenzio perpetuo, ma una guardia del parlare.10. Abbiamo pertanto cura del nostro cuore, custodiamo la nostra bocca. Perch l'uno, e l'altro scritto:qui, che noi custodiamo la bocca; ed altrove (Prov 4, 23) ti detto; Con ogni custodia abbi cura del tuocuore. Se Davide ne aveva custodia, tu non ne avrai? Se Isaia aveva le labbra immonde, che disse (Is 6, 5): O misero me, che son macchiato, ed ho i labbri immondi. Se il Profeta del Signore aveva le labbraimmonde, in che modo l'avremo pure noi ?

    11. Ed a chi ha egli scritto, se non a ciascuno di noi: (Eccli, 28, 29) Circonda con spinose siepi il tuopodere; lega l'oro, e l'argento tuo, chiudi la tua bocca con una porta e un catenaccio e pesa le tue parolesulla stadera. Il tuo podere non altro, che la tua mente: il tuo oro il tuo cuore; il tuo argento significa il

    tuo parlare. (Sal 11, 7) I detti del Signore son detti mondi, argento purgato col fuoco. Inoltre il buonpodere non altro che la buona mente; e

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    finalmente il prezioso podere non altro, che l'uomo puro. Circonda dunque di siepi quel podere, ecircondalo de tuoi pensieri come d'un vallo, fortificalo di spinose ansiet, affinch non facciano impeto inlei, e lo soggioghino le irragionevoli passioni del corpo, n vi scorrano i movimenti gravi, n finalmenteportino via la sua vendemmia tutti quelli, che passano per la strada. Conserva il tuo uomo interno, non lodispregiare, non lo avere in fastidio come cosa vile; che egli un prezioso possedimento, e mestamentepreziosa, per esser i suoi frutti, non caduchi e temporali, ma stabili e di eterna salute. Coltiva dunque il tuopossedimento, affinch tu lo mantenga.

    12. Contieni il tuo parlare, che non sia soverchio o lascivo, e col troppo eccedere non si accumulinopeccati. Sia ristretto e chiuso dentro alle sue rive; perch il fiume che trabocca, presto raccoglie il fango.Raffrena il tuo senso, che non sia troppo libero e sciolto, affinch non si possa dire di te (Is 6, iuxtaversionem LXX. Interpretum): Non vi si pu porre impiastro, n olio, n falciatura, La sobriet dellamente ha i suoi freni, coi quali si regge, e si governa.

    13. Sia sulla tua bocca una porta, affinch si chiuda dove bisogna, e si serri pi diligentemente, affinchnessuno ecciti la voce tua ad ira; n tu renda villania per villania. Avete oggi udito leggere (Sal 4, 5):Adiratevi, e non vogliate peccare. Dunque se non ci adiriamo per esser l'ira affezione della natura, e non

    in nostro potere, non ci lasciamo uscir di bocca alcuna parola mala, per non incorrere nel peccato. Matieni alle tue parole il giogo, e la stadera; cio l'umilt, e la misura; che la tua lingua sia sottoposta allamente. Sia trattenuta con la briglia: abbia i suoi freni, coi quali si possa limitare. Escano da lei parole amisura pesate con la bilancia della giustizia, affinch sia gravit nel senso, peso nel parlare, e modestianelle parole.

    CAPITOLO IV

    14. Chi osserva queste cose, diventa benigno, mansueto, e modesto, perch col custodire la sua bocca, colraffrenare la sua lingua, n parlando prima, da altri sia domandato; e che si siano esaminate, considerate, epesate le parole: se questo si deve dire o no; se si deve dire contro a costui; quando tempo di dirlo;

    questi certamente esercita la modestia, la mansuetudine, e la pazienza: sicch non parli mosso da sdegno eda ira; non, dia segno ancora nelle sue parole di passione alcuna; non manifesti col suo parlare ardore dilibidine, e nel suo parlare non agisca l'impulso della collera. Eviti insomma che il suo discorso chedovrebbe offrire una favorevole immagine del suo animo, manifesti apertamente qualche difetto nel suocarattere.

    15. Perch allora principalmente tende agguati l'avversario, quando egli vede generarsi in noi qualchepassione: allora muove l'inclinazione, e prepara i suoi lacci. Poich meritamente ( siccome voi avete oggiudito leggere ) dice il Profeta ( Sal. 90, 3.): Che egli mi ha liberato dal laccio del cacciatore, e dall'aspraparola. Simmaco disse, una parola da aizzare; altri parola che sconvolge. Il nostro parlare un laccio del

    nostro avversario, ma egli stesso non ci meno nemico. Spesse volte diciamo quello, che dal nostronemico viene raccolto, e ci ferisce quasi col nostro stesso coltello. Quanto sarebbe pi facilmente datollerare perir piuttosto con l'altrui spada, che con la nostra.

    16. Spia dunque l'avversario le nostre armi, e brandisce le Tue. Se egli mi vedr muovere, getta i suoiaculei per destare i semi delle discordie. Se io dir una parola meno che onesta, tira il suo laccio. Allevolte mi adesca con la possibilit della vendetta, affinch mentre desidero di vendicarmi, da me medesimoentri nel laccio, e mi leghi col nodo della morte. Se qualcuno sente questo tal nemico esser presente, alloramolta pi cura deve avere alla sua bocca per non dargli occasioni. Ma non sono molti quelli che lovedono.

    CAPITOLO V

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    17. Ma ancora da quel nemico che si pu vedere bisogna guardarsi, chiunque egli sia che ci aizza, e ciincita, ci esasperi, o ci pone avanti agli occhi desideri di lussuria o di libidine. Quando dunque alcuno dicea noi villania, ci ingiuria, ci provoca alla violenza, ci chiama a parole ingiuriose; allora conserviamo ilsilenzio: allora bisogna che non ci vergogniamo di diventar muti, perch chi ci provoca, che ci fa ingiuria, peccatore, e desidera che diventiamo simili a lui.

    18. E per se tu stai cheto, se tu fingi di non vedere, o di non udire, dice solitamente: Perch non parli?

    Parla, se ne hai il coraggio; ma tu non l'hai, sei muto, ti ho fatto chetare? Se taci, scoppia ancor pi dirabbia, si ritiene vinto, deriso, trascurato, beffato. Se tu rispondi, gli pare di essere al di sopra, avendotrovato un suo pari. Perch se tu non gli risponderai, si dir: A costui stata detta una villania; ma eglinon l'ha stimata. Se tu gli rispondi per le rime, si dir: si sono oltraggiati l'un l'altro. Ambedue ritraggonobiasimo, nessuno assolto. Quello dunque si sforza di stuzzicarmi perch io parli simili a lui. Ma l'ufficiodi un giusto fingere di non udire, non rispondere cosa alcuna, tener buon frutto della sua coscienza,rimettere pi al giudizio dei buoni, che all'insolenza di un ghiotto, contentarsi della gravit dei suoicostumi. Che questo ( Sal. 38, 3. ) tacere i suoi beni, perch colui che consapevole di non aver errato,non si deve muovere per le cose false, n stimare che valga pi un mal detto di un altro, che il suo propriotestimonio.

    19. Cos facendo viene ancora a conservare in un medesimo tempo l'umilt. Ma se non vuol sembrareumile, si rivolge per la fantasia tali parole, e dice a se stesso: dunque questi mi disprezza e sfacciatamentemi dice contro tali parole, come se io non potessi aprir bocca. Perch non dico anch'io di quelle cosespiacevoli? Costui dunque ha ardire di inguaiarmi, come se io non fossi altres uomo, come se io non mene potessi vendicare? Questi dice verso me parole tanto brutte, come, se io non potessi dirne delle pivituperevoli contro di lui.

    20. Chi dice, o pensa tali cose non mansueto, non umile, non senza tentazione. Il tentatore lotravaglia. Egli gli mette innanzi simili tentazioni. Il pi delle volte piglia un uomo, e gli pone innanzi unospirito maligno, che gli dica quelle cose. Ma tu hai a tenere il piede fermo sulla pietra E se un servo dice

    villania, il giusto tace. E se un infermo gli fa qualche stranezza, il giusto non parla: se un povero gli dicevituperio, il giusto non risponde. Queste sono le armi del giusto, vincere col cedere: siccome gli arcieriesperti nel saettare sogliono vincere cedendo, e fuggendo ferir con pi gravi percosse chi gli seguita.

    CAPITOLO VI

    21. Che? Bisogna dunque commuoversi, quando ci detta villania? Perch non imitiamo quello chediceva ( Sal. 38, 3): Io ammutolii per lo silenzio, e mi sono umiliato, e tacqui i miei pregi. Forse Davide silimit a dire queste parole senza metterle in atto? No, al contrario, ag in modo conforme alle sue parole.Infatti dicendogli villania Semei ( 2. Reg. 16, 7 ss.) figliuolo di Gemini, taceva Davide e bench si

    trovasse allora accerchiato dalle sue proprie guardie armate non gli rispondeva, non cercava di vendicarsi;anzi al figlio di Saruja, che voleva vendicarlo, non lo permise. Andava dunque come muto e umiliato;andava in silenzio, n si commuoveva, quando era chiamato uomo micidiale, come chi era benconsapevole della sua mansuetudine. Non si turbava dunque per le villanie, essendo certo dellamoltitudine delle sue buone opere.

    22. Pertanto chi si commuove presto per una ingiuria, si mostra degno di essa mentre si ingegna diprovare il contrario. Meglio dunque fa chi non cura d'esser ingiuriato, che chi se ne duole, perch chi nonne tiene conto, non ne fa altra stima che se egli non sentisse; ma chi se ne duole, tormentato come colui,che ha sentito.

    CAPITOLO VII

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    23. Non senza considerazione, scrivendo a voi miei figliuoli, mi son servito del proemio di questo Salmo(Sal 38,1 ), che il Profeta David diede a cantare al Santo Iditum. Io vi conforto ad attenderlo, dilettatominel profondo senso di quello, ed altres nella virt delle sentenze che vi sono dentro poich tra quelle cose,che noi brevemente fino a qui abbiamo toccato, si considerato insegnarvi in questo Salmo e la pazienzadel tacere, e l'opportunit del parlare, e nel rimanente poi il disprezzo delle ricchezze; le quali cose sonograndissimi fondamenti delle virt. Mentre dunque che io considero questo Salmo, m' venuto nell'animodi scrivere degli Uffici.

    24. Sebbene certi filosofi ne abbiano scritto, siccome Panezio, ed il suo figliuolo tra Greci e Cicerone traLatini; non mi pare sconvenevole al grado nostro altres scriverne, e siccome Tullio per ammaestrare ilfigliuolo, io ancora per erudir voi miei figliuoli; perch io non v'amo punto meno, avendovi generati nelVangelo, che se io vi avessi acquistati col matrimonio. N pi veemente la natura ad amare, che lagrazia. Certamente noi dobbiamo amar molto pi quelli, coi quali noi pentiamo d'aver a star in perpetuo,che coloro, coi quali abbiamo a conversar solamente, in questo secolo. Quelli degenerati nei modi, che efanno vergogna al padre; e voi siete da noi eletti per esser amati. Quelli sono finalmente sono amati pernecessit, la quale none maestra molto a proposito, n molto durabile a far amare in perpetuo. Voi perelezione, per la quale s'aggiunge alla carit grave peso a fortificar tal amore; approvar, cio quelli, che tu

    ami, ed amar quelli, che tu hai eletti.CAPITOLO VIII

    25. Poich egli convenevole quanto alle persone, ed a me scrivere, ed a voi udire, veggiamo al presentese la cosa stessa, cio scriver degli uffici sia ella a proposto, e se questo nome atto solamente allefilosofiche scuole, o si ritrovi ancora nelle Scritture divine. Pertanto oggi mentre che da noi si lesse ilVangelo, a proposito (quasi confortandoci a scrivere) ci offr lo Spirito Santo un luogo, col quale ciconfermassimo, che ancora tra noi si convenga questa parola ufficio. Poich essendo ammutolito ilSacerdote Zaccaria nel Tempio, n potendo parlare dice il Vangelo ( Lc 1,23), che adempiendosi i giornidel suo ufficio, se ne and a casa sua. Leggiamo dunque che da noi si pu convenevolmente dire ufficio.

    26. N la ragione l'abborrisce, per questo noi pensiamo ufficio esser detto ab efficiendo, cio dal farequasi efficium; ma poi per ornamento del parlare, mutata una lettera, chiamarsi officium, o veramente,perch, quelli si devono fare quelle cose, che non danneggino alcuno, e giovino a tutti.

    CAPITOLO IX

    27. Giudicarono che (Cic. lib. I, Offic ) gli uffici derivassero dall'onesto, e dall'utile, e di questi due sieleggesse quel che migliore. In oltre che se egli accadesse talora che concorrano due cose oneste, e dueutili, allora si cerchi qual delle due pi onesta, e qual pi utile. Primariamente dunque l'ufficio si

    divide in tre parti: nell'onesto, e nell'utile, ed in quel che dei due migliore. Di poi questi tre si dividonoin cinque aspetti: in due onesti, in due utili, e nel giudizio dell'eleggere. Le prime dunque diconoappartenersi all'onore, e all'onest della vita; le seconde i beni della vita, alla potenza, alla roba, allericchezze, alle facolt; ed esser ancora il giudizio dell'eleggere: e questo secondo la divisione loro.

    28. Ma noi non misuriamo l'onesto, e quel che convenevole se non con la regola pi delle cose future,che delle presenti, e nulla definiamo utile se non ci che ci giovi alla grazia per la vita eterna, non quelloche serva a comodi, e diletti della presente. N vediamo alcun vantaggio nelle facolt, e nell'abbondanzadelle ricchezze; anzi le reputiamo incomodi se non vengono disprezzati, e le giudichiamo pi di pesoquando si hanno, che di danno quando si spendono.

    29. Non dunque superfluo questo nostro scrivere, perch noi misuriamo l'ufficio con norma moltodiversa dalla loro. Quelli pongono tra beni le comodit di questo secolo, laddove noi anzi li reputiamo

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    danni: perch chi riceve quaggi beni, come quel ricco, di l tormentato, e (Lc 16,25) Lazzaro chesopport qui molte avversit, trov di l grandissimi conforti. Inoltre quelli che non leggono i loro scritti,leggeranno i nostri, se vorranno: quelli, dico, che non cercano la copia delle parole, n l'arte del dire, masolamente la semplice grazia delle cose.

    CAPITOLO X

    30. Nelle nostre Scritture siamo istruiti ed educati, esser posto nel primo luogo il decoro, leggendo: ( Sal64,2) A te, 0 Dio, si conviene la lode in Sion. E l'Apostolo dice: (Ad Titum 2, 1) Parla quelle cose, checonvengono alla sana dottrina, ed altrove: (Ad Hebr. 2. 12) Era cosa convenevole, che quello, per mezzodel quale son tutte le cose, e in grazia del quale son tutte le cose; avendo egli condotti molti figlioli nellagloria, come autore della salute loro fosse mediante la Passione perfettamente esaltato.

    31. Fu egli forse Panezio, o Aristotele, che ancora egli disput dell'ufficio, prima di Davide, quando ePitagora stesso che si legge essere stato pi antico, che Socrate, ad imitazione del Profeta(Sal 38, 2)Davide impose legge di silenzio ai suoi? Ma egli per proibire ai suoi scolari l'uso del parlare per cinqueanni; e Davide non per diminuire il debito della natura, ma per insegnare il tempo e il modo del parlare. EPitagora per insegnar loro parlare col silenzio; Davide per insegnarci meglio a parlare col parlare a tempo.Perch in qual modo si pu egli acquistare la Dottrina senza esercizio? E che progresso si pu egli faresenza esperienza?

    32. Chi vuol ben possedere l'arte militare, continuamente si esercita alle armi, e quasi che allora sia pervenire alle mani, sa quasi un principio alla battaglia, e come se egli avesse avanti agli occhi il nemico, simette innanzi, e fa prova delle sue braccia: e come le trova atte alla maestria, ed alla forza del lanciareun'asta, o sfugge i colpi dell'avversario, o con vigilante occhio li schiva. Chi d opera a guidar col timoneuna nave in mare, o condurla coi remi, prima anticipa d'esercitarsi nei fiumi. Quelli che studiosamentecercano la soavit del cantare e l'eccellenza della voce, prima a poco a poco eccitano la voce col canto. Equelli che con le forze del corpo, e legittima lotta cercano d'essere coronati; indurando le membra col

    quotidiano esercizio della palestra; nutrendo la pazienza si avvezzano alla fatica.

    33. E la natura stessa ce lo insegna a proposito dei piccoli fanciulli che prima vanno ritrovando i suonidelle parole per imparare a parlare. Pertanto il suono un certo esercizio, e una palestra della voce. Cosdunque quelli, che vogliono imparare a parlar cauti, non neghino quello che naturale, ed esercitinoquello, che all'accorgimento appartiene, come quelli che essendo di vedetta, bisogna che si impegnino adosservare attentamente, non a dormire. Perch ciascuna cosa, infatti, si accresce mediante eserciziappropriati.

    34. Davide dunque taceva: non sempre, ma a tempo; non stava dunque continuamente, e con ogni persona

    senza rispondere; ma al nemico, che l'aizzava, al peccatore, che lo provocava, non rispondeva. E comeegli in un altro luogo dice (Sal 37,13-14): Come sordo non udiva quei, che dicevano cose vane, epensavano ad inganni; ed a questi tali a guisa di muto non rispondeva. Perch tu hai in un altro luogo(Prov. 16,4.) : Non rispondere all'imprudente secondo la sua imprudenza, per non diventar simile a lui.

    35. Il primo ufficio dunque il modo del parlare. Per mezzo di questo a Dio si rende il sacrificio dellalode; con questo si onora, quando si leggono le divine Scritture; con questo si onorano i parenti. So chemolti sogliono parlare, non sapendo tacere. cosa rara a ciascuno il tacere, quando il parlare non gligiova. Il savio dunque quando egli ha a parlare, considera prima molte cose: quel che egli ha da dire, achi, in che luogo, e a che tempo. dunque un certo termine nel tacere, e nel parlare. Ed ancora iltermine nei fatti. E conseguentemente cosa bella mantener la misura dell'ufficio.

    CAPITOLO XI

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    36. Ogni (Cic.lib.I.Offic.c. i.) ufficio dunque o medio, o perfetto; lo che parimente possiamo provarecoll'autorit delle Scritture. Perch noi abbiamo nel Vangelo (Mat 19, 17-19 ), il nostro

    Signore aver detto ad un giovine: Se tu vuoi venir nell'eterna vita, osserva i Comandamenti. E quali glichiese? Gli rispose Ges Cristo: Non far omicidio, non adulterare, non rubare, non far falsa testimonianza.Onora il padre e la madre: ed ama il prossimo tuo tome te medesimo. Questi sono gli uffici medi, ai qualimanca qualche cosa.

    37. Finalmente gli dice quel giovane: ( Ibidem 20. 21.) Io ho dalla fanciullezza osservato tutte questecose; che mi manca egli ancora? Gli disse, Cristo: Se tu vuoi esser perfetto, va, vendi le tue facolt, e dalleai poveri, ed acquisterai tesori in cielo, e vieni, e seguimi. E cos sta scritto pi sopra la dove dice (Mt5,44-45), che noi dobbiamo amare i nemici, e pregare per quelli che ci calunniano, e ci perseguitano, ebenedire quelli che ci maledicono: noi dobbiamo far questo se vogliamo esser perfetti, come il Padrenostro che in cielo, il quale fa che il sole spanda i suoi raggi sopra i buoni, e sopra i cattivi, e cheingrassino tutte le terre di pioggia, e di rugiada senza distinzione di persona. Questo dunque il perfetto(Cic. loc. cit.) ufficio, chiamato dai Greci ?????q??? col quale si correggono tutte le cose che hanno potutoaver mancamento alcuno.

    38. Buona ancora la misericordia, la quale rende perfetti, perch ella imita il perfetto Padre. Per nessunacosa tanto lodata l'anima cristiana, quanto per la misericordia. Anzitutto (Cic. De Offic. I,3, 8) verso ipoveri, che tu giudichi i prodotti della natura esser comuni, la quale genera i frutti della terra ad utilit ditutti, affinch tu doni al povero quel che tu hai, e aiuti chi, simile a te, condivide la tua sorte. Tu gli daiuna piccola cosa, ed egli riceve la vita. Tu gli dai denari, ed egli lo considera tutta la sua sostanza, e cosquella tua moneta diventata tutta la sua rendita.

    39. In cambio di quelle cose egli molto pi ti conferisce, riconoscendosi tuo debitore della sua salute. Setu vesti l'ignudo, tu vesti te stesso di giustizia. Se tu alloggerai un pellegrino sotto il tuo tetto, se tuaccoglierai un bisognoso, egli ti acquister l'amicizia dei santi, e i tabernacoli eterni. Non poca questa

    grazia, (I Corinth. 9) Tu semini cose corporali, e raccogli cose spirituali. Ti meravigli del giudizio delSignore circa il (Iob. 29,15-16) Santo Giobbe! meravigliati della sua virt, che poteva dire: Ero l'occhiodei ciechi, il piede degli zoppi. Ero il padre degli infermi, le loro spalle furono riscaldate dal vello dei mieiagnelli. Il forestiero non rimaneva all'aperto; ma la mia porta era aperta a chiunque si presentasse. Beatocertamente, della cui casa non usc mai povero alcuno a mani vuote. Perch nessuno pi beato di quelloche comprende (Sal. 40) alle necessit del povero, e al danno dell'infermo, e del bisognoso. Nel giorno delgiudizio avr la salute dal Signore, che, gli sar debitore per la sua misericordia.

    CAPITOLO XII

    40.Ma molti sono ritratti dall'ufficio della misericordia dispensatrice, pensando che Iddio non di curil'azioni, o che non sappia quel che noi facciamo segretamente, quel che tenga la nostra coscienza: o che ilgiudizio suo non sia giusto, vedendo i peccatori abbondare di ricchezze, essere onorati, sani, avere figli; edall'altra parte i giusti essere poveri, senza onori, senza figli, infermi nel corpo, ed in continue fatiche.

    41. N piccola tal questione, poich (Gb 4.8,3 e seg.) quei tre Re amici di Giobbe giudicavano lui esserepeccatore, poich lo vedevano da ricco fatto povero, privato dei molti figli, che egli aveva, pieno dipiaghe, trasfigurato per le lividure, coperto di ferite dal capo sino ai piedi (Ibid. 11, 14 e seg.): ai quali ilsanto Giobbe propone questa conclusione: (Ibid. 21,7 e seg.) se io patisco queste cose per i miei peccati,perch vivono tanto gli empi? Ed essi non sono invecchiati, e le loro case abbondano di ricchezze, vedonomoltiplicare la loro prole secondo la loro voglia; hanno i figli davanti agli occhi; non hanno timore alcuno

    di Dio, e Iddio non li castiga.

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    42. Vedendo queste cose un debole di cuore, fortemente si turba, e leva dalla misericordia la suaaffezione, le parole dal quale volendo riferire il santo Giobbe, disse innanzi per scusarsi (Ibid. 21, 1 eseg.): sopportatemi alquanto, ed io parler, di poi ridetevi di me. Perch se io son castigato, sono castigatocome uomo. Sopportate dunque il peso delle mie parole, perch io sto per dire cose ingiuste, al tutto fuoridi mia opinione, ma le dir per riprendere voi. O certamente perch sia cos: ditemi di grazia: sono forsepunito da un uomo? Cio l'uomo non mi pu punire per un peccato ch'io abbia fatto, sebbene io meritid'essere castigato; perch voi non mi riprendete di vizio alcuno evidente, ma giudicate i meriti dei peccati

    secondo le pene che voi vedete. Vedendo dunque il debole che agli ingiusti succede ogni cosaprosperamente, e lui stesso punito, dice a Dio: (Ibid. 14) Allontanati da me, io non voglio conoscere letue strade. Che ci giova il servirlo? Che utilit caviamo noi dall'ubbidire a lui? Nelle loro mani vengonotutte le bonacce, ed egli non vede le operazioni degli empi.

    43. Platone lodato per avere introdotto nella sua Politica uno, che volendo disputare difendendol'ingiustizia, chiede scusa delle cose dette da lui: non che cos pensasse, ma per trovare il vero, e perdisputare aveva accettato il compito che gli era stato imposto. Questo piacque tanto a M. Tullio, che neilibri che egli scrisse delle Repubblica, giudic di fare allo stesso modo.

    44. Quanto pi antico di loro Giobbe, che innanzi a loro scopr questo modo di fare? N giudic fare taleproemio per ornamento di eloquenza, ma per provare la verit, e subito sciolse il nodo di tal questione,dicendo che (Gb 21, 17) la lucerna degli empi si spegne, e che avverr la loro distruzione. Dice poi cheIddio, maestro della sapienza e della disciplina, non ingannato, ma che (Ibid. 22) giudice della verit;per non si deve giudicare la beatitudine di ciascuno secondo l'abbondanza comune e volgare dei beni, masecondo l'interna coscienza, la quale discerne i meriti degli innocenti e degli scellerati, a come unincorrotto giudice delle pene, e dei premi. Muore l'innocente (Ibid. 23 e seg.) nel potere della suasemplicit, nell'abbondanza della propria volont, avendo l'anima come ripiena di abbondanza. Ma ilpeccatore, bench abbondi di fuori, e galleggi nelle delicatezze, e emani fortissimi odori, finisce la vitacon l'amarezza dell'anima, e chiude l'ultimo giorno, non portando con se alcuna di quelle cose che egliaveva godute, non portando con se altro che il pregio delle sue scelleratezze.

    45. Pensando queste cose nega se puoi, che vi sia la rimunerazione da parte del Giudizio divino. Beatoquegli conoscendo la sua affezione, questi meschino. Quegli assolto dal suo giudizio, questi condannato;quegli allegro alla fine, quegli sofferente. Da chi pu essere assolto quello che neppure con se stesso innocente. Ditemi, dice egli, (Gb 21, 28) dov' la dimora degli empi? Non se ne trova segno alcuno.Perch la vita di uno scellerato come un sogno. Apr gli occhi, ed era passato il suo riposo, ed il piacerefinito: il piacere che negli empi si vede, anche mentre che essi vivono, nell'inferno. Perci essi stessimentre ancora vivono scendono nell'inferno.

    46. Tu vedi il banchetto del peccatore, esamini un poco la sua coscienza; non ella pi puzzolente che

    tutti i sepolcri? Tu vedi la sua allegria, ed il benessere del suo corpo, e l'abbondanza dei figli, e dellericchezze! Guarda dentro le piaghe, e le lividure della sua anima, e la tristezza del suo cuore. E che cosadir io delle ricchezze, avendo tu letto (Lc 12,15) che la sua vita nell'abbondanza, anche se tu sai cheanche se egli ti sembra ricco, a lui sembra di essere povero, e col suo parere smentisce il tuo stessoparere? Che dir io anche della moltitudine dei figli, e del non avere mai avuto alcun dispiacere, motivoper il quale egli si angustia, e pensa di morire per avere eredi, non volendo essere imitato dai suoisuccessori? Perch niente l'eredit del peccatore. L'empio dunque a s medesimo pena, ed il giusto ase stesso gloria, e ciascuno di loro da solo si retribuisce delle buone, o delle cattive azioni.

    CAPITOLO XIII

    47. Ma torniamo al nostro proposito, per non sembrare d'avere lasciato indietro la divisione fatta, perchnoi abbiamo voluto rispondere all'opinione di quelli che, vedendo molti uomini scellerati essere ricchi,

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    allegri, onorati, potenti, ed essendoci dall'altra parte molti giusti che patiscono sia la povert, chel'infermit, pensano che Iddio o non curi dei nostri fatti, come dicono gli Epicurei, o che egli non conoscale vicissitudini degli uomini, come pensano gli empi, o se pure le fa, che egli sia un giudice ingiusto, chesopporta il venire meno dei buoni, o per lo contrario l'avanzare dei cattivi. Tal digressione non statasuperflua, perch ha fatto s che il sentimento di coloro i quali essi giudicano che siano beati, mentre essireputano se stessi meschini. Dico ci perch io mi sono immaginato, che egli abbiano creduto pi a semedesimi, che a me.

    48. Fatto questo discorso penso di confutare le altre cose facilmente, e in primo luogo la posizione diquelli, che ritengono che Iddio non abbia cura del mondo, come Aristotele, che disse che la suaprovvidenza non s'estende alle cose che sono al di sotto della Luna. E qual creatore quello che non sicuri della sua opera? Chi abbandonerebbe e trascurerebbe quelle cose, che egli prima avesse giudicato didovere fare? Se non degno di lui reggere il mondo, non egli neanche degno di averlo fatto, non farebbeingiustizia alcuna, mentre il disprezzare quel che tu hai fatto sarebbe somma empiet.

    49. E se negano che Iddio loro Creatore, o giudicano di far parte delle fiere e delle bestie, che diremonoi di quelli, che si condannano con questa accusa? Dicono che Iddio in tutte le cose, e che tutte le cose

    sussistono in virt di quello; dicono poi che la forza, e la sua maest penetra per tutti gli elementi: la terra,il cielo, il mare, e giudicano una sua bassezza, se egli penetrasse la mente dell'uomo, della quale non ci hadato cosa pi perfetta, e vi entrasse con la scienza della Maest divina.

    50. Ma quei Filosofi, che tra tutti sono ritenuti i pi sobri e modesti, deridono l'autore di questi talidiscorsi, come ubriaco e troppo amico dei piaceri. E che dir io dell'opinione di Aristotele, che pensa cheIddio s'accontenti dei suoi confini, e stia nel regno a cui si limitato, come dicono le favole dei Poeti, chescrivono che il mondo fu diviso in tre parti, e che per il caso toccasse ad alcuni il governo del cielo, adaltri del mare, ad altri ancora quello dell'inferno, e che stanno attenti a non fare guerra tra di loro, poichdesiderano troppo la parte degli altri? E similmente dice che non ha cura della terra, come non l'ha delmare, n nell'inferno. Ed in che modo non tengono essi conto dei Poeti, dei quali accolgono i miti?

    CAPITOLO XIV

    51. Si continua rispondendo a quella domanda, secondo cui in Dio ci sia scienza, dato che egli abbia curadelle cose che egli ha fatte. Dunque colui, che ha formate le orecchie, non ode? Chi ha fabbricato l'occhio,non vede, non osserva?

    52. Non pass questa vana opinione, senz'essere conosciuta dai santi Profeti. Infatti Davide fa parlarequelli, che gli parevano pieni di superbia. Difatti, quale cosa si pu immaginare di pi superba, di quellache essi, essendo sotto il peccato, si dispiacciano che i peccatori vivano dicendo: (Sal 93, 3) e fino a

    quando o Signore, fino a quando si vanteranno i peccatori? E poco di sotto: ( Ibid.7 e seg.) Essi dissero: ilSignore non vedr n il Dio di Giacobbe comprender. Ai quali risponde il Profeta, dicendo: comprendeteormai insensati tra i popoli, e voi stolti rinsavite. Colui che ha fatto le orecchie non ode? Quello che hafabbricato l'occhio, non osserva? Colui che corregge le genti, non riprender? Quello che insegna agliuomini la scienza? Il Signore Dio sa che i pensieri degli uomini sono vani. Quello che ha trovato le cose,che sono vane, non conosce le cose sante, e quelle cose che egli ha fatto? Pu un Artefice non conoscerel'opera sua? Egli uomo, e nei suoi lavori conosce tutti i segreti; e Iddio non conosce l'opera sua? Ci sardunque pi perfetta conoscenza nell'opera, che nell'Autore? Ha creato allora qualche cosa superiore a s,della quale, bench autore, ignora i meriti, e, bench signore non conosce i sentimenti? E questo sia perloro una risposta sufficiente.

    53. Del resto a noi basta la testimonianza di colui, che disse (Ger 17,10): Io sono colui che penetra i cuori,e i reni. E quel che disse nel Vangelo Ges Cristo ( Lc 5,22): Perch pensate male nei vostri cuori? Perch

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    egli sapeva che essi pensavano male. Di questo infatti ne rende testimonianza l'Evangelista, quando dice (Lc 6, 8): Infatti Ges conosceva i loro pensieri .

    54. L'opinione di costoro, dunque, non sar sufficiente a convincerci, se noi considereremo le loro azioni.Non vogliono avere come superiore un giudice che sappia ogni cosa, e per tal motivo non pu essereingannato. Non gli vogliono concedere la conoscenza delle cose nascoste, temendo che i loro segreti siscoprano. Ma il Signore anche sapendo le loro operazioni, li pose nelle tenebre. Di notte, disse,(Gb 24,

    14-15) si aggirer il ladro. E l'occhio dell'adulter scruter le tenebre dicendo, io non sar visto ecercher di nascondersi. Perch chiunque fugge dalla luce, ama le tenebre, cercando di nascondersi, e pernon si pu nascondere dalla faccia di Dio, il quale conosce dentro al profondo dell'abisso, e dentro lementi degli uomini, non solamente le cose, che si sono fatte, ma anche quelle, che si vogliono fare. Infinequello che dice nel Siracide (Sir 23, 25-26): chi mi vede ora? Sono coperto dalle mura e dalle tenebre, diche ho paura? Bench egli pensi a quelle cose mentre che egli nel letto, visto nientedimeno quandonon se l'aspetta. E sar, dice, vergogna che egli non avr conosciuto il timor di Dio.

    55.E che cosa pu egli pensare pi sciocca, che credere che a Dio non sia chiara e manifesta ogni cosa?Poich il Sole che strumento della luce, penetra anche le cose nascoste, e la forza del suo calore arriva

    nelle fondamenta della casa, e nelle pi chiuse e segrete stanze? Chi negher che le viscere della terraindurite prima dal freddo dell'inverno, non s'intiepidiscano per il temperato caldo della Primavera?Dunque le parti nascoste degli alberi sentono sia la forza del caldo che del freddo, perch le loro radici osi bruciano, per il freddo, o rinverdiscono per il caldo del Sole; e la terra finalmente fiorisce in vari ediversi frutti, appena che la benignit del Cielo vi arride.

    56. Pertanto se il raggio del Sole diffonde la sua luce su tutta la terra, ed entra in tutte quante le cosenascoste, e non gli pu essere impedito di trapassare n da oggetti di ferro, n da porte anche se grosse,come non potr penetrare l'intelligibile splendore di Dio nei pensieri degli uomini, e nei cuori, che eglistesso ha creati? Ma non vedrebbe egli le cose da lui fatte, ed avrebbe egli ordinato che quelle cheesistano, siano migliori e pi potenti di lui che le ha fatte, cos da potersi nascondere dalla conoscenza del

    loro creatore? Ha egli concesso dunque tanta virt e tanta potenza alle nostre menti, che egli medesimonon la possa comprendere, quando egli volesse?

    CAPITOLO XV

    57. Abbiamo parlato di due cose, n sconvenevolmente, come sembra, ci capitata tale disputa. Ci restapertanto una terza questione, che questa: Per qual motivo i peccatori abbondino di mezzi e di ricchezze,stiano in continui conviti e feste, senza alcun dispiacere, affanno, o noia; ed ai buoni manchi qualunquecosa, e tutto il giorno si dolgano o per la perdita delle mogli o dei figli. Ai quali dovrebbe bastare quellaparabola del Vangelo(Lc. 16,25) secondo cui il ricco si vestiva di bisso e di porpora, ed ogni giorno

    faceva banchetti, e dall'altra parte il povero pieno di piaghe raccoglieva le briciole che cadevano dalla suamensa. E dopo la morte d'ambedue il povero riposava nel seno di Abramo, e il ricco si trovava neitormenti. Non manifesto che i premi o le pene dei nostri meriti ci attendono dopo la morte?

    58. E ben a ragione, perch nella lotta viene prima la fatica, e dopo quella alcuni ottengono la vittoria, altrine riportano vergogna. Si d forse la palma, o si concede la corona ad alcuno, prima che egli abbia finitala carriera? Giustamente dunque disse Paolo (Tm 4, 7-8 ): Ho combattuto la buona battaglia, ho terminatola corsa, ho conservato la fede; quanto al resto m attende la corona che il Signore giusto giudice mi dar inquel giorno; e non solamente a me, ma anche tutti quelli, che attendono con amore la sua venuta. Renderin quel giorno, dice, non qui. E qui s'affaticava come buon guerriero in fatiche, in pericoli, in naufragi,perch egli sapeva che bisogna per mezzo di molte tribolazioni entrare nel regno di Dio. Non pu dunque

    nessuno ricevere il premio, se prima non avr legittimamente combattuto. N si pu chiamare vittoriagloriosa, se non dove siano state battaglie faticose.

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    CAPITOLO XVI

    59.Non diremo noi che sia ingiusto colui che domanda il premio prima che la gara sia terminata? Perquesto diceva il nostro Signore nel Vangelo ( Mt 5, 3 ): Beati sono i poveri di spirito, perch di essi ilregno dei cieli. Non disse beati i ricchi, ma i poveri. Quindi comincia la beatitudine appunto al giudiziodivino, dove comincia la calamit secondo il parere umano (Ibid., 5 seg. ). Beati quelli che hanno fame,perch saranno saziati. Beati quelli che piangono, perch saranno consolati. Beati i misericordiosi, perch

    Iddio avr misericordia di loro. Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio. Beati quelli che sonoperseguitati a causa della giustizia, perch, di essi il regno dei Cieli. Beati siete tutte le volte che gliuomini vi bestemmiano e perseguitano, e dicono ogni male di voi, per la giustizia: Rallegratevi, e siatelieti, perch grande il vostro premio nel regno dei Cieli. Non ha promesso che il premio si d nelpresente, ma in futuro; non in terra, ma in cielo. Perch dunque domandi quelle cose in un luogo, che tisono dovute in un altro? Perch domandi troppo frettolosamente la corona, prima di vincere? Perchcerchi di scuotere la polvere? Perch vuoi riposarti? Perch brami di banchettare prima che le gare sianofinite? Ci sono ancora gli spettatori, ancora i combattenti sono in lizza, e tu cerchi gi di riposarti?

    60. Ma forse mi dirai: Perch se ne stanno allegri gli empi? Perch attendono alle dissolutezze? Per quale

    motivo non s'affaticano anche essi con me? Perch quelli che non si sono messi in lista per acquistare lacorona, non son tenuti alla fatica della lotta. Quelli che non si vogliono presentare al campo, non s'ungonocoll'olio, ne si stropicciano con la polvere. A quelli aspetta il disagio, per cui preparato l'onore. Iprofumati sogliono stare a vedere, non a combattere, non sopportare sole, caldo, polvere, o acqua. Dicanodunque loro i lottatori: Venite, affaticatevi con noi. Ma gli spettatori risponderanno: noi stiamo qui inmezzo a giudicare di voi; e se vincerete, conseguirete l'onore senza noi.

    61. Costoro dunque che hanno posto i loro studi nelle delicatezze, nella lussuria, nel derubare gli altri, onei guadagni, o negli onori, sono piuttosto spettatori, che combattenti: ottengono il profitto della lorofatica, non hanno il frutto della virt; si ne stanno nell'ozio, accumulano con astuzie e scelleratezzericchezze in gran quantit; ma finalmente ricevono, bench alle volte tardi, la pena delle loro ribalderie. Il

    riposo di quei tali nell'inferno, ed il tuo in Cielo. La Casa di questi tali sottoterra, la tua in Paradiso. Ilperch di ci, molto elegantemente lo diceva Giobbe (Gb 21,32): che essi vegliano nelle sepolture, perchessi non possono dormire quel sonno di quiete, che ( 1Cor 13) dorm colui che risuscit.

    62. Non pensare dunque come un piccolo bambino, parlare come un fanciullino, avere i pensieri d'unfanciullino; non attribuirti come un fanciullino quello che appartiene all'ultima et. La corona deiperfetti. Aspetta che venga colui, che perfetto: quando tu non per somiglianza, n sotto parlare oscuro,ma a faccia a faccia possa conoscere la nuda verit. Allora si manifester per quale motivo quello statoricco, che era scellerato, e ladro della roba altrui; e il motivo per cui quell'altro fosse potente, e perchquell'altro fosse copioso di figli, un altro pieno di onori.

    63. Forse per poter dire al ladro, tu eri ricco, per quale motivo prendevi la roba d'altri? Non ti spinse certola povert, n la necessit. E non ti feci io ricco, perch tu non potessi avere alcuna scusa? Per poter direanche al potente, perch non aiutasti la vedova, e gli orfani che subivano ingiustizia? Ti mancavano imezzi ? Non potevi tu aiutarli? Io non ti feci patente per altro motivo se non perch tu non usassi violenzacon persona alcuna; anzi la allontanassi del tutto. Non ho scritto per te (Qo 4. 9. ): Difendi chi ingiuriato? Non ho scritto parimenti per te ( Sal 81,4): Traete il povero e liberate il meschino delle manidel peccatore? Per poter dire anche a quello che ebbe molti figli: lo ti moltiplicai gli onori, ti concessi lasanit del corpo, perch non seguisti i miei comandamenti? Servo mio, che ti feci io, (Mic 6, 3. seg.) inche ti contristai? Non ti detti io figli, non ti concessi onori, non ti donai la salute, perch mi rinnegasti?Perch giudicavi ch'io non conoscesse le tue azioni? Per quale motivo tenevi tu i miei doni, e disprezzavi imiei comandamenti?

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    64. Queste cose finalmente possiamo concludere dalla condotta di Giuda traditore, il quale fu elettoApostolo tra dodici, ed aveva in custodia i danari, i quali doveva dispensare ai poveri, affinch non sipensasse che egli avesse tradito il Signore per essere da lui poco stimato, oppure per povert. Per ilSignore gli concesse queste cose, per potersi in lui giustificare, che egli non come provocato ad ingiuria,ma come contrappostosi alla grazia meritasse pi crudeli, e maggiori tormenti.

    CAPITOLO XVII

    65.Perch dunque per le cose dette sin qui assai chiaro che debbano essere puniti i vizi, e premiate levirt, cominceremo a parlate dei doveri, i quali (Cic. Offic. Libro I ) da piccoli bisogna coltivare, affinchinsieme coll'et crescano gli studi delle buone azioni. Appartiene dunque ai buoni giovani avere il timoredi Dio, onorare i parenti, riverire i pi attempati, conservare la castit, non disprezzare l'umilt, amare laclemenza, e la modestia: le quali cose tutte sono ornamenti della tenera et. Perch siccome daapprezzare la seriet nei vecchi, e nei giovani la vivacit cosi anche nei fanciulli si deve lodare lamodestia, quasi come una dote di natura.

    66. Temeva Iddio Isacco, come conveniva a quegli che era figlio d'Abramo, e tanto onore e riverenzaportava al padre, che per non opporsi al suo volere (Gn 22, 9 e seg.) non rifiutava la morte. Giuseppeanche (lbid. 37,6 e seg.) contuttoch avesse sognato nientedimeno che il sole, la luna, e le stellel'adorassero, manteneva una continua ubbidienza al padre. Tanto casto (Ibid. 39,8 e seg.), che egli nonvoleva udire alcun parlare se non pudico; umile sino alla servit, vergognoso sino alla fuga, paziente, sinoal carcere, perdonatore d'ingiurie sino a rendere bene per male. La cui modestia fu tanta, che preso da unadonna volle pi fuggendo lasciare la propria veste nelle mani, che menomare la sua modestia. Mos anchee Geremia (Ger 1,6) eletti dal Signore per predicare al Popolo gli oracoli Divini, ricusavano per vergognae modestia di fare molte cose che essi potevano fare per mezzo della grazia.

    CAPITOLO XVIII

    67. La virt dunque della modestia (Cic. Offic. Libro I) bella, soave la grazia, la quale si vede nonsolamente dai fatti, ma anche dalle parole, perch fa s che di bocca tua non esca parola alcunadisconveniente. Perch infatti le parole rispecchiano l'animo. La modestia tempri il suono della voce,affinch essa usata in modo troppa forte non offenda le orecchie di alcuno. Infine nel modo del cantare laprima regola la modestia, anzi in ogni uso di parlare. Perci a poco a poco si comincer a salmeggiare, ocantare, o finalmente parlare, in modo che la discrezione iniziale faccia apprezzare ci che seguir.

    68. Anche lo stesso silenzio, che il riposo di tutte le altre virt, un grandissimo atto di modestia. Infattise procede da fanciullezza o da superbia, si biasima assai; se procede da rossore, si attribuisce a lode.Susanna (Dn 13,35) nei pericoli taceva, e pensando che fosse pi grave danno il perdere la modestia che

    la vita, non giudic che si dovesse, per salvare la vita, mettere l'onore a repentaglio. Parlava solamentecon Dio, al quale poteva parlare con casta delicatezza. Evitava di guardare in faccia degli uomini; infatti anche negli occhi un certo rossore, che la donna non pu sopportare di vedere uomini, n da quelli essereveduta.

    69. Ma nessuno, pensi che questa lode sia solamente della castit; perch la modestia compagna dellapudicizia, in unione con la quale, la castit pi sicura. Perci il pudore un ottimo aiuto a reggere lacarit; che se essa fa innanzi ai primi pericoli, non lascia violare la pudicizia. Il pudore la prima virtche rende ammirevole ai lettori del Vangelo ( Lc 1,19 e seg.) la Madre di Dio, e come grandetestimonianza assicura che lei degna d'esser eletta ad un cos grande ufficio. Poich in camera, sola,salutata dall'Angelo tace e si commuove nell'entrare di quello, e si turba il suo l'aspetto per la viso di un

    uomo estraneo. Pertanto bench ella fosse umile, nientedimeno per modestia non gli restitu il saluto, ngli dette risposta alcuna, se non quando intese d'avere a generare il Figlio di Dio. E quando parl, fu

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    soltanto per conoscere la natura di ci che sarebbe capitato in lei, non per confutarne il parlare.

    70. Nella nostra orazione anche molto piace a Dio la modestia, e molta grazia ci acquista presso il nostroDio. E non fece ella preferire il Pubblicano(Lc 18,13-14), e lo raccomand, lui che non ardiva di levar gliocchi al Cielo? Per fu giustificato pi appresso al Signore, che quel Fariseo, il quale per la presunzionefu rifiutato. Pertanto preghiamo conservando incorrotto lo spirito della mitezza e della modestia, che gradito a Dio, come dice S. Pietro (1 Pt 3,4). Grande quindi la modestia, anche se sia di sua natura molto

    nascosta, e niente usurpa, niente si attribuisca, ed in un certo modo stando al di sotto delle sue capacit, non per questo grande presso a Dio, presso al quale nessuno ricco. Ricca la modestia, perch ella porzione di Dio. S. Paolo anche ( 1 Tm 2, 9 ) comanda di pregare con rispettosa modestia e sobriet.Vuole che questa virt preceda e faccia una strada all'orazione futura, perch non sia orgogliosa l'orazionedel peccatore, ma quasi guidata dal rossore, quanto pi si vergogna al ricordo dei peccati commessi, tantomaggiore grazia meriti e riceva.

    71. Si deve anche (Cic. Offic. libro I )conservare la modestia anche nei movimenti, nei gesti, e nelportamento, perch la virt della mente si deduce dall'atteggiamento e dalla disposizione del corpo.Quindi si conoscono i segreti affetti dell'animo, e si giudica l'uomo essere leggero, o vanitoso, o stupido; o

    al contrario riputato serio, costante, puro, e maturo. Pertanto il movi-mento del corpo una certa vocedell'animo.

    72. Ricordatevi figlioli che un certo amico, bench egli paresse lodevole per molte sue azioni,nientedimeno non fu da me ricevuto nel Clero, solo perch i suoi gesti erano molto sconvenevoli. Edavendone anche trovato un altro nel Clero, gli comandai che non mi si presentasse pi d'avanti, perchegli con il suo insolente andare feriva con i miei occhi, lo stesso mio animo: ci lo dissi mentre egli,poich mi aveva in tale modo offeso, si riprendeva ad attendere ai suoi doveri. Quello solo mi fece darloro eccezione, n m'ingannai nel mio parere; per questo ambedue si sono allontanati dalla Chiesa, perchsi manifestasse la perfidia dell'animo loro, il quale nel loro portamento si poteva comprendere. Perch unonel tempo che seguiva la setta d'Ario abbandon la Fede; l'altro desideroso di danari, per non essere

    giudicato, neg d'essere nostro Sacerdote. Si scorgeva nel loro portamento il ritratto della leggerezza edun certo atteggiamento da buffoni.

    73.Ci sono anche (Cic. Offic. Libro I) alcuni che coll'andar adagio imitano i gesti degli istrioni, e qualisimili ai portatori di vasi nei pomposi spettacoli imitano i movimenti delle statue, sicch, ogni voltach'essi muovono il passo, pare che essi osservino certe determinate misure.

    74. Non giudico convenevole l'andare molto frettolosamente, a meno che qualche pericolo, o una giustanecessit non lo richiedesse. Perch il pi delle volte noi vediamo alcuni correre in modo che, che oltre alnon poter respirare, deformano in tal modo la faccia, che se manca loro il necessario motivo di tanta fretta,

    si ha in essi ragionevole motivo di offenderli. Non parlo gi di quelli che di rado, e con qualche cagioneaffrettano tanto il passo, ma di quelli ai quali un tal passo veloce e continuo si converte in natura. Nonlodo dunque in quelli l'andare in modo che essi sembrino pitture, n in quegli altri la stessa velocit dellefrecce lanciate dagli arcieri.

    75. Perch solo quell'andare lodevole, in cui ci sia forma d'autorit, peso di gravit, e vestigio ditranquillit; purch tutto sia lontano da ogni studio ed affettazione, ma sia movimento puro e semplice,perch nessuna cosa finta piace. La natura dia forma ai moti. E se si ritrova qualche cosa di vizioso nellanatura, l'industria la purifichi, di maniera che vi manchi l'arte, ma non gi la correzione.

    76. Che se anche a queste cose si pensa tanto, quanto pi bisogna che l'uomo sia attento, che non gli esca

    di bocca parola alcuna turpe; perch questo grandemente macchia l'uomo, perch non il cibo guastal'uomo, ma bens il calunniare, e il parlar volgare. Queste cose anche presso il popolino sono di vergogna;

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    ma nel nostro stato ogni parola meno che onesta, che ci cade di bocca, cagione di vergogna. E non solonon dobbiamo noi proferire cosa alcuna disdicevole, ma neanche prestare orecchi a simili discorsi, comeGiuseppe (Gn 39,12) che per non udire cosa meno che convenevole alla sua modestia, scapp, e lasci laveste: perch chi si rallegra d'udire, provoca gli altri a parlare.

    77. L'ascoltare anche qualche cosa volgare di somma vergogna ; ma quanto abominevole il vederesimili cose, se per caso uno vi si abbattesse! Quelle cose dunque che ci dispiacciono in altri, come

    possono piacere in noi stessi? La stessa natura c'insegna queste cose, la quale distinse perfettamente tuttele parti del nostro corpo provvedendo alle necessit, ed ornando la bellezza; tuttavia lasci aperte quelle,che fossero gradite all'occhio, perch in esse risaltassero il culmine della bellezza posta quasi in cima, el'eleganza della figura, e la grazia del volto stesse in alto, e fosse pronta al continuo servizio. E di quelleche sono fatte per le naturali occorrenze e necessit, perch non offrissero di s indecoroso spettacolo, inparte le nascose dentro nel corpo, e in parte insegn e persuase di doverli coprire.

    78. Non dunque la natura stessa maestra della modestia? Dal cui esempio mossa la modestia degliuomini ( la quale penso essere cosiddetta dal modo e misura di sapere quel che sia conveniente) vel ecopr quelle parti che trov nascoste nella struttura del nostro corpo, come si copriva quell'uscio, che fu

    ordinato al giusto No (Gn 6,16) che facesse attraverso all'arca, nella quale era la figura o della Chiesa, odel nostro corpo, per lo qual uscio si smaltiscono le superfluit d cibi . Il Fattore dunque della naturaebbe tal riguardo della nostra modestia, e in tal modo osserv nel nostro corpo il decoro e l'onesto, cheegli pose in quei condotti della parte posteriore del corpo l'uscita delle nostre superfluit, togliendole dallanostra vista, affinch la purgazione del ventre non offendesse la vista degli occhi nostri (Cic. Offic. LibroI). Di questo diceva ottimamente l'Apostolo S. Paolo (1 Cor 12,23) che quelle membra del corpo che cipaiono pi deboli, sono pi necessarie, ed a quelle parti che sono pi vili riputate, rendiamo maggioreonore: e quelle che sono pi sporche, hanno in loro maggiore onest . Imitando la natura, la nostrainiziativa ha accresciuto la nostra bellezza. La qual cosa noi abbiamo altrove (libro I De Arca e No cap. 8) pi a lungo espressa; che quelle parti che sono da coprire, noi non solamente le nascondiamo agli occhinostri, ma anche pensiamo che sia cosa brutta e sconvenevole chiamare con i propri nomi le tracce, e gliusi di quelle membra.

    79. E finalmente se queste parti ci vengono per caso scoperte, la modestia se ne offende, e se le scopriamoapposta, ci ritenuto spudoratezza. Per la qual cosa Cam, figlio di No ( Gn 9, 22 e seg.) fu punito,perch rise vedendo suo Padre in tali parti scoperto, e quelli che lo coprirono, conseguirono la grazia dellabenedizione. Da qui venne anticamente in uso si nella Citt di Roma, e anche in molte altre Citt, che ifigli giovani non si lavassero insieme con i padri, n i generi coi suoceri, affinch non diminuissel'autorit paterna, bench molti ne bagni si coprono quanto possono, affinch anche quivi, dove sta nudo ilrimanente del corpo, non stia scoperta quella parte.

    80. I Sacerdoti anche anticamente portavano le mutande come noi leggiamo nell'Esodo (28, 42-43),siccome il Signore Iddio disse a Mos: Ordina loro mutande di pannolino per coprire le parti vergognose,le quali saranno dai lombi sino alle cosce, e le porti Aronne, ed i suoi figli, quando entreranno nelTabernacolo della testimonianza, e quando saranno a sacrificare all'Altare del Santo, e non indurranno ilpeccato sopra di loro per non morire. Ci osservato da molti di noi, e molti anche pensano ci doversiintendere spiritualmente per conservar la modestia, e per mantener la castit.

    CAPITOLO XIX

    81. Ho avuto non piccolo piacere di parlare di ci che attinente alla modestia, perch parlavo a voi, iquali o in voi stessi conoscete i suoi beni, o non sapete il danno di esserne privi, la quale sebbene

    opportuna per tutte le et, per tutte le persone, e tempi, e luoghi, nientedimeno conviene primariamenteall'et giovanile.

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    82. Ed in qualunque et bisogna che quello che tu fai, sia dicevole, e conveniente, e corrisponda a sestesso l'ordine della tua vita. Per la qual cosa anche Tullio (Libro I De Officiis) ritiene che si debbaosservare l'ordine in tale convenienza, e dice che essa consiste nella bellezza, nell'ordine, nel vestireadattato alle situazioni: le quali cose, dice egli, difficilmente si possono esprimere con parole, ma bastach'esse stesse s'intendano.

    83. Ma non so a che fine egli vi abbia posta la bellezza; bench egli anche lodi le forze del corpo, noi non

    poniamo il luogo della virt nella bellezza del corpo, non escludiamo per la grazia, perch la modestia,suole spargere nei volti un certo rossore, e renderli pi graziosi. Perch come un artefice suole moltomeglio operare in una materia pi comoda, cos la modestia sta molto meglio nella pi bella parte delcorpo, in modo per che questa bellezza del corpo non sia finta, ma naturale, semplice e pi trascurata,che desiderata; non aiutata da preziosi e vani vestiti, ma comuni ed ordinari, affinch non manchi cosaalcuna di quello che onesto, e necessario, e niente vi si aggiunga che accresca lo splendore.

    84. La voce anche non sia bassa n fievole: niente suoni di femminile, come sogliono fingere molti peressere ritenuti gravi, ma riservi un'impronta, una certa regola,e sapore virile. Questo il tenere la bellezzadel vivere, operare dipendentemente dal modo in cui si conviene a ciascun sesso, ed a qualunque persona.

    Questo il miglior ordine per le azioni, questo l'abbigliamento adatto a tutte quante le attivit. Ma comenon mi piace o il suono della voce, i gesti del corpo fuor di misura delicati o deboli, cos anche biasimo iruvidi, e i villani. Imitiamo la natura. La sua forma forma di disciplina, forma d'onest.

    CAPITOLO XX

    85. La modestia ha certamente i suoi scogli: non che essa li porti con s, ma spesse volte incappa in essi,quando per esempio ci imbattiamo in compagnie di dissoluti, i quali sotto l'apparenza di volere star allegrie di passare il tempo, corrompono i buoni. Costoro se continuamente ci stanno d'intorno, e in particolarenei conviti, ai giochi e ai passatempi, indeboliscono quella gravit virile. Stiamo attenti, dunque, chequando noi vogliamo un po'alleviar l'animo nostro, a non guastare tutta l'armonia, per cos dire, il

    melodioso accordo delle buone opere. Infatti l'abitudine altera presto la natura.

    86. Perci io giudico molto conveniente ad una prudente condotta ecclesiastica, e soprattutto al ministerosacerdotale, evitare i conviti degli estranei, o affinch voi ospitiate i pellegrini, o affinch con lasopraddetta cautela voi allontaniate ogni occasione a chi volesse dire male di voi. I conviti con gli estraneitengono impegnati a lungo, e manifestano anche la cupidigia di mangiare. Di frequente sinsinuano anchediscorsi mondani e lascivi: non puoi chiudere le orecchie, e l'impedirlo sembra arroganza. Senzaaccorgersene si beve anche oltremisura. Meglio scusarti in casa tua una sol volta, che molte a quelled'altri : e bench ti alzi sobrio, non deve nientedimeno essere criticata la tua presenza per colpa dell'altruiindolenza.

    87. Non opportuno che i giovani vadano nelle case delle vedove, n delle vergini, eccetto che per unavisita e in compagnia di anziani, cio con dei sacerdoti, o se il motivo pi importante, col Vescovo. Chebisogno c' che noi diamo motivo ai laici di mormorare? Che bisogno c' che quelle frequenti e visite netolgano l'autorit? Se per caso, qualcuna di loro cadesse in qualche errore, perch devi caricare su di te laresponsabilit dell'altrui peccato? Quanti anche se forti, sono stati ingannati dalle lusinghe? Quanti sonoquelli che non hanno errato, e ne hanno dato sospetto !

    88.Perch non utilizzi nel leggere quel tempo, che il ministero ti lascia libero? Perch non vai visitareCristo, a parlare con Cristo, ad ascoltare Cristo? Noi parliamo con Cristo, quando facciamo orazione, el'udiamo, quando noi leggiamo le scritture sacre. Che abbiamo in comune con l'altrui case? Una la casa

    che tutti accoglie. Vengano piuttosto trovarci, quelli che ci cercano. Che abbiamo noi a fare con i vaniracconti? Dobbiamo servire gli altari di Cristo e non intrattenere gli uomini.

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    89. Si addice a noi anche essere umili, benigni, mansueti, seri, pazienti, misurati in tutte le cose, cosicchn il parlare, n il volto mostri che ci sia vizio alcuno nella nostra condotta nostra.

    CAPITOLO XXI

    90. Guardiamoci dall'ira, oppure se non possiamo difenderci col prevenirla, cerchiamo di placarla, perchl'ira una cattiva conseguenza che in noi a causa del peccato, che talmente perturba il nostro animo, che

    non lascia alcuno spazio alla ragione. La prima cosa da fare d'ingegnarsi di abituarsi in modo che, se ci possibile, la tranquillit del carattere diventi in noi qualcosa di naturale mediante l'esercizio. Inoltreperch il moto d'ira, il pi delle volte in cero modo radicato nella natura, e nelle abitudini, che esso nonsi pu sradicare n evitare; se si pu prevedere, bisogna sopprimerlo con la ragione. Oppure se l'animofosse assalito dallo sdegno, prima che egli con la ragione l'avesse potuto prevedere, occorre preoccuparsidi non essere in tale modo occupato, e pensa in che modo abbia a vincere i movimenti dell'animo tuo, etemperare gli sdegni. Fa resistenza all'ira se puoi; se non puoi cedi, perch scritto (Rm 12, 19): Cedeteall'ira.

    91. Giacobbe (Gn 27, 42 e seg.) cedette con bont al suo fratello irato, ed ammaestrato dai consigli diRebecca, cio della pazienza, prefer andarsene e soggiornare in terra straniera, che eccitare gli sdegni delfratello, e ritornare poi quando egli pensasse che il fratello si fosse calmato; e per quel motivo trovo tantagrazia presso Dio. Inoltre con quante riverenze, con quanti doni con se riconcili egli (Ibid. 32 e seg. ) ilsuo fratello, affinch egli si dimenticasse che gli aveva carpita la benedizione, e si ricordasse lasoddisfazione accordatagli.

    92. Se l'ira dunque sopravverr e dominer la tua mente, non lasciare il tuo posto. II tuo posto lapazienza, la sapienza, la ragione, ed il calmare l'ira. Oppure, se la presunzione di chi ti risponder, tiirriter, e la perversit ti spinger allo sdegno; se non potrai mitigare la mente, frena la lingua; perch cos scritto (Sal 33, 14-15): frena la tua lingua dal male e le tue labbra, dal parlare con inganno. Inoltre:Cerca la pace, e seguila. Considera la pace del santo Giacobbe, con la quale in primo luogo pacificherai il

    tuo animo. Se non avrai potuto renderti superiore a te stesso, poni il freno alla tua lingua e poi nontralasciare il cercare di riconciliarti. Gli Oratori profani hanno posto nei loro libri queste cose dopo averleattinte dai nostri; ma chi le pronunci per primo ha il merito di un tale modo di sentire.

    93. Schiviamo dunque, o freniamo l'ira, affinch non si faccia un'eccezione per essa nelle nostre lodi, nsia artificiosamente esagerata nei nostri difetti. Non cosa facile mitigare l'ira: non inferiore chearrabbiarsi affatto. Questo nostro compito, l'altro della natura. Infine quegli impeti d'ira nei fanciulli nonsono rimproverare, perch essi hanno pi grazia, che asprezza. E se i fanciulli presto si arrabbiano tra loro,facilmente si pacificano, e ritornano pi amici di prima, perch non si trattano cos per malizia o peringanno. Non disprezzate tali fanciulli, dei quali disse il Signore ( Mt 18, 3): Se non diventerete come

    questi fanciulli non entrerete nel regno dei Cieli. Pertanto lo stesso Signore, cio la virt di Dio, come unfanciullo, quando era offeso, taceva; quando era percosso, non percuoteva chi lo (1Pt 2,23) batteva.Disponiti dunque in tal modo che, come un fanciullo tu non ricordi le ingiurie, e non agisci con malizia;tutte le cose procedano da te innocentemente. Non considerare come tu sia trattato dagli altri, compi il tuodovere, mantieni la semplicit e la purezza del tuo cuore. Non rispondere ad un irato secondo la sua ira, nad un imprudente secondo la sua imprudenza. Spesso un peccato tira l'altro. Se tu sfreghi le pietre, non nescaturisce una scintilla?

    94. Esaltano i pagani, soliti come sono d'ingrandire ogni cosa, un certo Archita Tarentino Filosofo, chedisse ad un suo fattore: Disgraziato, quanto ti picchierei, se non fossi adirato. Ma anche David (1 Re25,32) fren nel suo sdegno l'armata mano. Quanto maggior merito deriva dal non rispondere alle offese,

    che dal vendicarsi? Alle preghiere di Abigail i combattenti pronti a vendicarsi contro Nabal, si fermarono.Con questo abbiamo fatto vedere che bisogna che non solamente dobbiamo cedere alle preghiere fatte in

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    proposito, ma anche rallegrarci. Egli si compiacque tanto, che ringrazi chi fece da mediatore perdistoglierlo dal vendicarsi.

    95. Aveva gi detto dei suoi nemici ( Sal 34, 4 ): Perch essi precipitarono sopra di me le loro iniquit, enel loro sdegno mi furono molesti. Ascoltiamo ora quello ch'gli disse turbato nell'ira: (Ibid., 7) Chi midar ali come di colomba, e voler, e mi riposer? Quelli dunque lo provocavano allo sdegno, ed eglisceglieva la tranquillit.

    96. Gi aveva detto: (Sal 4,5) Adiratevi, ma non peccate. Questo maestro di morale, che sapeva benissimoche l'impulso naturale piuttosto si doveva calmare con l'insegnamento fondato sulla ragione, piuttosto chesradicandolo, ci d precetti per agire rettamente cio: adiratevi quando c' un motivo, per il quale vidovete adirare; perch non accada che noi non ci arrabbiamo per delle cose indegne, altrimenti nonsarebbe virt, ma anzi si giudicherebbe insensibilit, o un atto da persona indolente. Adiratevi dunque inmodo tale, che non abbiate colpa. Oppure : se vi adirate, non peccate, ma vincete lo sdegno con laragione. Oppure infine si pu intendere: se voi v'adirate, adiratevi con di voi stessi perch vi siete turbati,e cos non peccherete. Perch chi si sdegna con se stesso per essersi cos velocemente turbato, cessa diadirarsi con chi adirato. Ma chi vuol giustificarsi d'essersi adirato a ragione, s'infiamma maggiormente, e

    presto cade nella colpa. Per secondo Salomone ( Prv 16, 32 ) val di pi colui che frena l'ira, che chiconquista una Citt: perch l'ira acceca anche i forti.

    97. Dobbiamo dunque stare attenti non incorrere nelle passioni, prima che la ragione dispongaconvenientemente gli animi nostri. Infatti lo sdegno, o il dolore, o la paura della morte il pi delle voltecolpisce la ragione, e la percuote con un colpo inaspettato. Conviene quindi prevenire l'ira ragionando,affinch non sia colpita improvvisamente dalla passione, ma invece si domi, frenata dal giogo e dallebriglie della ragione.

    CAPITOLO XXII

    98.Ora i movimenti sono di due tipi: cio dei pensieri, e dell'appetito; altri sono quelli dei pensieri, altriquelli dell'appetito: non sono gi mescolati, ma separati e diversi. L'ufficio dei pensieri cercare il vero, equasi tritarlo; l'appetito dall'altra parte respinge e decide di operare qualche cosa. Pertanto nella loropropria natura i pensieri devono infondere la tranquillit, laddove l'appetito detrae il moto dell'operare.Bisogna dunque che noi in questo modo stiamo disposti che non cada nell'animo vostro pensiero alcuno senon di cose buone. E che l'appetito ubbidisca alla ragione e che la frizione di qualche cosa non escluda laragione, ma la ragione stessa esamini diligentemente quello che conviene all'onest.

    99. E perch noi abbiamo detto che vogliamo conservare il decoro, bisogna che noi sappiamo in qualemodo dobbiamo agire sia nei fatti sia delle parole: l'ordine delle parole viene prima, di quello dell'operare:

    il parlare si divide in due parti; nel ragionamento familiare, e nel trattato, e nella disputa azione della fedee della giustizia. Bisogna osservare e dell'uno, e nell'altro, che non sia perturbato niente. Ma sia mansueto,piacevole, pieno di grazia e benevolenza, ma si parli finalmente senza ingiuriare alcuno. Sia discosta nelparlare familiare la pertinace contenzione; perch ella suole pi presto destare vane questioni, piuttostoche arrecare utilit alcuna. La disputa azione sia senza ira, la sua vita priva di ogni amarezza,l'ammonizione senza asprezza, il conforto senza offesa. E siccome in qualunque operazione della nostravita dobbiamo guardare che il movimento dell'animo troppo gagliardo non escluda la ragione, convieneche teniamo conto del consiglio; cos anche nel parlare bisogna che manteniamo una certa forma affinchnon si desti o ira o odio o che non si scoprono in noi segni veri di ingordigia o di pigrizia.

    100. Questo primo modo dunque di parlare perlopi riguardo le scritture divine. Perch di quale cosa

    dovere che noi ne parliamo pi che dell'ottima conversazione, dei conforti ad osservare, e custodiredisciplina? Il suo principio sia con ragione e il suo fine con misura; perch colui che pigro nel parlare

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    accende ire.

    101. Il trattare ancora della dottrina della fede, del magistero della continenza, del disputare dellagiustizia, del comportare alla diligenza, non sia sempre una medesima cosa; ma l'abbiamo a cominciare, ea finire e definire nel modo che noi possiamo, fino a che ci si offrir la lezione (che si far intendere nelladanza della Chiesa) ne sia troppo lungo, n troppo breve, o non lasci fastidio, o non dimostri alcunatrascuratezza. Il parlare sia puro, chiaro, semplice, ed aperto, pieno di carit e di peso, non affrettato di

    eleganze, ma tale che non sia privo di grazia.

    CAPITOLO XXIII

    102. Gli uomini secolari oltre a questo danno molti precetti circa il modo di parlare, i motti e le facezie, lequali giudico introdotto da lui doversi tralasciare. Perch sebbene talvolta i motti sono onesti, e soavi,niente di meno la regola ecclesiastica li aborrisce. Perch in qualche modo possiamo noi usurpare quellecose, le quali non abbiamo trovate nelle sante scritture?

    103. Bisogna ancora guardarsi nelle recare novelle, che elle non cambino la gravit dei pi severiproponimenti. Male per voi che ora ridete, dice il Signore, perch piangerete (Lc 6.21): e noi cerchiamomateria da ridere,sapendo che qui rideremo ma nell'aldil piangeremo? Gi dicono ancora che noi nonsolamente dobbiamo schifare quelle risate troppo dissolute; ma ancora tutte le parole. Ho gi detto che ilparlare sia pieno di sua vita e di grazia.

    104. Ma che cosa dir io della voce, la quale giudico che basti, che sia semplice. Perch avere la vocesonora e dono della natura, non viene dall'ingegno: sia pure nel pronunziare distinta, e piena di spiritovirile, talch ella fa Luca un certo suono rozzo e villano; non sia gi artificiosamente affrettata a guisa diquelli che parlano in scena. Ma sia adatta alla santit dei misteri.

    CAPITOLO XXIV

    105. Penso di aver detto abbastanza circa il modo di parlare, ora considereremo quello che siaconvenevole comperare circa le azioni della vita. Attorno a questo dobbiamo vedere tre cose la prima, chel'appetito non sia ripugnante alla ragione. Per questo modo solamente possono, tra gli uffici nostri,convenire con quel decoro. Perch se l'appetito ubbidir alla ragione, si potr in tutti gli uffici facilmenteconservare quello che sia conveniente. Poi, che noi non iniziamo a fare una cosa con maggior diligenza, ocon minore di quella che ella ricerca, o che noi non iniziamo a farne una piccola con grande apparato, mauna grande con apparato piccolo. La terza circa il moderare i nostri studi, e le operazioni. Non pensoancora che si debba lasciare indietro l'ordine delle cose, e l'opportunit dei tempi.

    106. Ma quella prima e quasi il fondamento di tutte le altre, che l'appetito ubbidisca alla ragione. Laseconda, e la terza riguardano la stessa cosa; cio luna, e l'altra Il moderare. Per questo attorno a noi nonsi tiene conto della trinit, e della forma liberale, che tenuta come bellezza, seguita dall'ordine dellecose, e dell'opportunit dei tempi. E per questo tre sono quelle cose, che dobbiamo vedere, se possiamoinsegnare che esse siano le impronte in qualche santo.

    107. Primariamente dunque il padre Abramo, che fu informato, e istruito nell'insegnare alla futurasuccessione, gli fu ordinato di uscire dalla sua terra e dal suo parentado, e dalla casa di suo padre, benchlegata da molta flessione di parentele non fece in modo che l'appetito ubbidisse alla ragione? Perch chinon si diletterebbe di stare nella sua terra, nel suo parentado, e infine nella sua propria casa? Ed eglidunque ancora, come gli altri si trovava dolcemente felice tra i suoi, ma era mosso dal comando celeste, e

    dall'eterna remunerazione. Non considerava forse, che senza un grande pericolo non si poteva condurre lamoglie, debole alle fatiche, tenera alle ingiurie, bella, tanto da accendere gli insolenti? E nientedimeno

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    giudic essere molto meglio sottentrare a tutte quelle cose, che scusarsi. Di poi andando in Egitto,l'avvert che dicesse di essere sua sorella, non sua moglie.

    108. Bisogna notare da quanti appetiti egli era combattuto. Temeva riguardo l'onore della moglie, temevariguardo la salute, aveva sospetto le libidini degli egizi; e niente di meno in lui la ragione pot fare altroche eseguire la devozione; perch considero, che col favore di Dio poteva star sicuro per tutto; ma offesoch'egli avesse il Signore, non avrebbe potuto star sicuro neppure in casa sua. La ragione dunque vinse

    l'appetito e lo rese ubbidiente.

    109. Preso il nipote, non spaventato, n sbigottito dai popoli di tanti re mosse guerra, e vittorioso rifiutuna parte della preda, che per opera sua si era guadagnata. Oltre a questo, quando gli fu promesso unfiglio; bench egli considerasse le forze estenuate del suo corpo, come morto, e la sterilit della donna, el'ultima vecchiezza, contro ancora l'uso della natura, credette a Dio.

    110. Notiamo come tutte le cose e lui convennero. L'appetito non manc, ma fu represso; l'animoparimenti delle sue operazioni si govern, che non intim le cose grandi per i vili, n le piccole per igrandi. Osserv moderazione delle faccende, l'ordine delle cose, l'opportunit dei tempi, e la misura nelleparole. Nella fede non fu secondo a nessuno, nella giustizia fu eccellentissimo, prode nella guerra, nellavittoria liberale, e accertatore in casa sua dei forestieri, verso la moglie ufficioso.

    111. Mentre il suo nipote Giacobbe si dilettava di stare in casa sua sicuro, sua madre volle che egli siallontanasse e desse luogo all'ira del fratello. Questo salutevole consiglio vinse l'appetito. Fuori di casalontano dei parenti, per tutto nientedimeno tenne convenevole misura alle faccende, e conserv i tempi ele occasioni. Grato in casa ai parenti, tanto che il padre provocato dalla premura del servizio gli diede labenedizione, la madre con pietoso amore vi prese parte. Posto avanti ancora al giudizio del fratello,quando egli pens di concedere il cibo, si dilettava certo di un nutrimento che fosse secondo natura, esecondo la qualit cedette alla richiesta. Fu fedele pastore del gregge del Signore, al suocero fu ufficiosogenero; sollecito nelle faccende, moderato nel mangiare, preveniva nel soddisfare, e largamente

    remunerava. Infine mitig in questa maniera l'ira del fratello, che egli si acquist la grazia sua, laddoveegli temeva la sua inimicizia.

    112. Che cosa dir ora video di Giuseppe, il quale grandemente desiderava la libert, e prese la necessitdella servit? Quanto era egli subito nella servit, quanto nella virt era costante, quanto era benigno nelcarcere, saggio nell'interpretare, moderato nella potenza, provvido nell'abbondanza, giusto nella carestia,aggiungendo ordine lodevole alle cose, e l'opportunit ai tempi, dispensando ugualmente ai popoli con lamoderazione del suo ufficio?

    113. Giobbe ugualmente irreprensibile nelle prosperit, e nelle avversit paziente, grato ed accetto a Dio,

    era continuamente tormentato dai dolori, ma consolava se stesso.114. David ancora forte della guerra, paziente nelle avversit, in Gerusalemme Pacifico, mansueto nellavittoria, doloroso nei peccati, il provvido nella vecchiezza, fervente per tutte le et tanto nei modi dellecose, e negli ordini dei tempi, che mi pare che egli componesse un immortale cantico al Signore Dio delsuo merito, non punto minore nel modo del vivere, che con la soavit per cantare.

    115. In quale parte delle principali virt manc egli a questi uomini? Nel primo luogo delle qualicostituirono la potenza, la quale si occupa nel cercare la verit, e infonde desiderio di maggiore scienza.Nel secondo la giustizia, la quale distribuisce a ciascuno il suo non soltanto quello degli altri: dispregiareutilit propria per mantenere la comune equit. In terzo luogo la fortezza, la quale consiste nell'avere

    animo grande e invincibile, non solamente fuori nel mestiere della guerra, ma ancora dentro in casa, enelle forze del corpo. Nel quarto ed ultimo luogo posero la temperanza, la quale conserva la misura e

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    l'ordine di tutte quante le cose, che noi giudichiamo di dover fare o di dire.

    CAPITOLO XXV

    116. Forse qualcuno dir che bisognava porre queste cose all'inizio; perch da queste quattro virtderivano tutte le sorte degli uffici. Ma questa una cosa che appartiene all'arte, di definire prima che cosasia ufficio, e poi dividerlo in pi parti. E noi fuggiamo l'arte, proponiamo gli esempi dei maggiori, che non

    ci sono difficili da capire, n ci portano in difficili problemi. Serva dunque la vita dei maggiori perspecchio di ammaestramenti, non gi per sorgente di inganni.: Ci sia cagione di irriverente imitazione, enon gi di fraudolenta disputazione.

    117. Fu dunque nel santo Abramo primariamente la prudenza, del quale dice la scrittura (Gen 15.6.):credette Abramo a Dio, e fu reputato a giustizia: per questo non si pu chiamare prudente chi non consolaDio. Finalmente fu lo stolto quello che disse (Psal. 13.1): Dio non ; perch un saggio non lo direbbe. E inche modo chiameremo noi saggio quello che non ricerca il suo creatore, che dice ad una pietra: tu seimio padre ; che dice al diavolo, come Manicheo: tu sei il mio creatore? Come chiameremo noi saggiocolui che vuole presto, come Ario, avere un creatore imperfetto e erroneo, che vero e perfetto? Comesaranno nominati saggi quelli che reputano che ci sia un Dio ribaldo piuttosto che buono? Come si dirche sia saggio colui, che non teme il suo Dio? Con questo si d che (Psal 110.9.) il principio dellasapienza temere il Signore. E altrove si legge (Prov. 24.7.) : che i saggi non si partono dalla bocca delSignore, ma ne estrapolano le loro confessioni e leggendo la scrittura ancora: egli fu reputato a giustizia;manifest che l'altra virt era anche in lui.

    118. Primariamente dunque i nostri definirono che la prudenza consisteva nel conoscere il vero. E chi diloro scrisse innanzi ad Abramo, a Davide, a Salomone? Di poi dissero che la giustizia era necessaria per lasociet della generazione umana. Finalmente disse Davide (Psal. 111.9.): egli ha distribuito e dato aipoveri; la sua giustizia dura in eterno. Il giusto ha misericordia, il giusto dona. Per il giusto e il saggiotutto il mondo pieno di ricchezze. Il giusto reputa le cose comuni sue proprie, e le sue comuni. Il giusto

    accusa prima se stesso che gli altri; perch veramente giusto colui che non risparmia se medesimo e nonsopporta che i suoi fatti stiano nascosti. Vedete quanto fu giusto Abramo. Aveva ricevuto secondo lapromessa divina un figlio nella sua vecchiezza; e bench fosse unico, quando il Signore Dio lo richieseperch lo sacrificasse, non pens di negarglielo (Gen. 22.3.).

    Vedete che in questo solo atto concorsero tutte quattro le virt. La sapienza fu non credere a Dio e nonriporre l'amore del figlio al di sopra del comandamento del creatore. Fu la giustizia a renderlo poi giustodopo che lo ebbe ricevuto. Fu la fortezza a frenare l'appetito con la ragione. Il padre lo conduceva persacrificarlo; il figlio domandava, l'affezione paterna era tentata, ma non vinta; pi e pi volte ripeteva ilfigliolo questo nome: padre. E questo lo rattristava, ma non li diminuiva la devozione. Si aggiunge la

    quarta virt, cio la temperanza. Manteneva con giustizia la misura della piet, e l'ordine dell'esecuzione.Infine mentre portava le cose necessarie al sacrificio, mentre egli accendeva il fuoco, legava il figliolo,alzava il coltello, merito con l'ordinare in tal modo il sacrificio di salvare il figliolo.

    120. Che cosa si pu immaginare pi saggio di Giacobbe, che vide Dio faccia a faccia e merit di essereda lui benedetto? Che cosa di pi giusto, che divise col fratello, e gli don quelle cose che egli stessoaveva acquistate? Che pi forte di lui, che fece la lotta con Dio? Chi pi modesto, che conservava tanto lamodestia ai luoghi e ai tempi, che volle piuttosto coprire con le nozze l'ingiuria, che gli fu fatta nellafigliola, che vendicarsi, giudicando per essere in forestieri paesi, che fosse meglio farsi ben volere, che iltirarsi l'odio addosso?

    121. Quanto pi saggio No che fabbric una grande arca? Quanto a quelli giusto, che riservato per laconservazione universale, solo fra tutti divenne l'avanzo della passata generazione, ed autore della futura;

  • 7/24/2019 Ambrogio Dei Doveri

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    26/02/16 09:45DE OFFICIIS MINISTRORUM

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    nato veramente per il mondo tutto che per se stesso. Quanto forte, che vinse il diluvio? Quanto egli fuancora temperato, che lo toller? Che conobbe quando egli aveva ad entrare nell'arca, ed in che modo eglil dentro governava: e quando egli aveva a mandar fuori il corvo che quando la colomba e quandotornando essi li doveva ricevere, e che sette ancora benissimo, quando doveva prendere l'occasione diuscire.

    CAPITOLO XXVI

    122. Pertanto dicono che nel cercare la verit si deve conservare quel decoro che faccia in modo che conogni diligenza si ricerchi quello che sia il vero: non prendere cose false per vere, non inviluppare ancora lecose scure con le vere, non occupare infine l'animo in cose superflue, implicate, e dubbiose. Che cosa sipu immaginare pi convenevole che lavorare le statue, che essi medesimi fanno? Che cosa pi oscuro,che voler trattare dell'astrologia e della geometria: che egli lodano assai; e misurare gli spazi del profondoe la larghezza delle aree e rinchiudere in numeri il cielo, e il mare; lasciare a parte le cagioni della salute, ecercare quelle degli errori?

    123. O non seppe queste cose quel Mos erudito in qualunque scienza degli egizi? Ma egli giudic talsapienza non essere altro che danno e pazzia, e levatosi da quelle cerco Dio con tutto l'intrinseco del suocuore: tanto che egli lo vide, gli domand, e lo ud parlare. Chi fu pi saggio di lui, il quale haammaestrato da Dio, con la virt della sua opera fece divenire vana tutta la sapienza degli egizi, e lepotenze di tutte le arti? Questi non teneva le cose incognite per notte, n a quelle a caso aderiva. Le qualidue cose primariamente dicono di schivare in questo naturale e codesto luogo coloro che non giudicanoessere cosa contro natura, n brutta, adorare i sassi e domandare aiuto alle statue, che non hannosentimento alcuno.

    124. Quanto dunque la sapienza pi eccelsa virt, tanto non giudico che noi ci dobbiamo sforzare diottenerla. Pertanto per non aver a fare cosa alcuna che sia contro natura, o brutta, o senza decoro, bisognache consideriamo queste due cose; cio il tempo, e la diligenza per poter considerare ed esaminare le cose.

    Per questo non c' nessuna cosa che faccia l'uomo pi eccellente degli altri animali se non l'essere capaceanche di ragione: egli ricerca le cagioni delle cose, pensa che sia da investigare il creatore della suagenerazione, che regge e governa il mondo con un solo cenno, al quale noi sappiamo di avere a rendereragione di tutte quante le nostre operazioni. Perch nessuna cosa ci aiuta tanto a vivere onestamente,quanto il credere di dover avere un giudice, al quale nessuna cosa si occulta: le cose di sconvenientirechino ingiuria, e le oneste di letto e compiacimento.

    125. Tutti gli uo