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ALLE ORIGINI DEL CARISMA Padre Agostino Gemelli e Armida Barelli

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ALLE ORIGINI DEL CARISMA

Padre Agostino Gemelli

e

Armida Barelli

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La prima edizione di questo testo è stata pubblicata nel 1985 in risposta alla mozione 5

dell'assemblea generale del 1980 che chiedeva di "preparare una breve storia dell'Istituto da

tradurre nelle varie lingue per far conoscere le origini dell'Istituto e i suoi fondatori". Poiché il

desiderio di conoscere i fondatori continua ad essere espresso dalle Missionarie e dalle

Aspiranti dei diversi paesi in numerose occasioni, il Consiglio Centrale ne ha curato una

seconda edizione.

a cura del Consiglio centrale dell‟I.S.M.

I ed. giugno 1985

II ed. febbraio 1998

Pro manoscritto

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Indice

Parte prima: CONOSCERE I FONDATORI

1. Padre Gemelli - cenni biografici 7

2. La personalità di padre Gemelli e il suo incontro con

san Francesco (Mina Poma) 13

3. Armida Barelli - cenni biografici 17

4. Spiritualità e missione di Armida Barelli (Mina Poma) 24

Parte seconda: GLI SCRITTI

Nota introduttiva 29

1. L‟Istituto Secolare delle Missionarie 31

2. La spiritualità francescana 35

3. La missione 38

4. La consacrazione 41

5. La preghiera 46

6. La comunità fraterna 52

7. La formazione 53

8. Altri scritti 55

APPENDICI

Cronologia di padre Gemelli 63

Cronologia di Armida Barelli 64

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Parte prima

CONOSCERE I FONDATORI

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1. Padre Gemelli - cenni biografici

La famiglia

Milano è la più europea fra le città italiane. Collocata a nord della penisola, per storia e per

cultura somiglia, più delle altre città italiane, alle città del centro Europa. Questo è in parte

dovuto alla presenza asburgica (la Lombardia quasi per due secoli è stata una provincia

dell‟Impero Austriaco) ma anche ai contatti con la Francia, con l‟Inghilterra, e con altri paesi

del nord Europa. Milano si è trovata così ad essere un crogiolo di stimoli culturali. Sede di

grandi industrie tra la fine dell‟800 e i primi del „900, la città lombarda divenne anche il

centro propulsore di grandi lotte operaie.

In questa città, il 18 gennaio 1878, nacque uno dei protagonisti della vita culturale, sociale,

ecclesiale milanese ed italiana: Edoardo Gemelli.

Il papà, Innocente Gemelli, era figlio di piccoli proprietari terrieri. I nonni vivevano a

Bescapé, un paese quasi alle porte della città. Alla casa dei vecchi Gemelli, nessun povero

batteva alla porta senza ricevere qualcosa e vicino all‟ingresso c‟era una vaschetta in cui

venivano depositate le monete che servivano per le elemosine.

Innocente Gemelli, che aveva combattuto per rendere l‟Italia unita e indipendente, era iscritto

alla massoneria. Non era certamente un credente. La mamma di Edoardo si chiamava Caterina

Bertani. Anche essa aveva le sue radici nel Risorgimento italiano, essendo nipote di un

medico molto noto nelle battaglie politiche dei suoi tempi. In famiglia c‟era anche un altro

figlio, Luigi. Edoardo da piccolo era gracile e malaticcio, di carattere timido e sensibile. Da

adolescente si mostrò impetuoso, aggressivo. Tutto ciò nascondeva sensibilità, voglia di

tenerezza, di affetto, generosità.

Anche se Innocente e Caterina non erano credenti, fecero battezzare, comunicare e cresimare i

figli. Edoardo imparò i primi rudimenti del Vangelo in parte dalla nonna paterna e in parte

dalla maestra delle scuole elementari. Questi semplici insegnamenti rimasero scolpiti nel

profondo del suo cuore e riaffiorarono poi nell‟età adulta.

La giovinezza inquieta

Finite le elementari, Edoardo fu mandato a studiare nel collegio militare Longoni, uno dei più

noti collegi milanesi gestiti da laici. Forse i genitori avevano iscritto il figlio a questa scuola

per allontanarlo da eventuali influssi clericali.

Edoardo non frequentò volentieri il collegio. Abituato al calore della famiglia, si sentiva un

po‟ sperduto, e all‟inizio ebbe difficoltà a fare amicizia con i compagni. Era chiuso in se

stesso al punto da dare l‟impressione ai professori di non essere particolarmente brillante.

Nella sua stessa classe c‟era un altro ragazzo. Si chiamava Ludovico Necchi. Era l‟esatto

contrario di Edoardo. Aperto, simpatico, gioviale, attraeva spontaneamente la simpatia. In

classe dimostrava senza fatica la vivacità della sua intelligenza. Di famiglia cattolica,

Ludovico (che tutti chiamavano Vico) non faceva mistero della sua fede anche nell‟ambiente

anticlericale in cui viveva e studiava. Anzi difendeva le sue idee con molto calore e proprietà.

Anche Edoardo Gemelli si sentì affascinato dal coetaneo che sembrava aver raggiunto

quell‟armonia che lui non riusciva a trovare. Sui banchi del ginnasio mise così le sue prime

radici un‟amicizia che avrà un grande ruolo nella formazione di Gemelli. Questi intanto

andava maturando idee politiche che oggi definiremmo di sinistra e che allora si chiamavano

“repubblicane, anticlericali, rivoluzionarie”. La scuola non era certamente un luogo di delizie

per lui che la ricorderà così: “Metodi pesanti, inceppanti, che rendono odioso lo studio.

Maestri noiosi, pedanti, stucchevoli. Scuola tortura”1. Una tortura specialmente per un

ingegno vivo, rapido, intuitivo come quello di Gemelli che sfogava il suo temperamento

1 Maria Sticco, Padre Gemelli, Appunti per la biografia di un uomo difficile, Ed. OR, 1991, p. 9.

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vulcanico con “imprese” come scendere in bicicletta la scala del liceo, cosa che gli procurò

molteplici fratture alle gambe e lunghi mesi di immobilità.

Vico Necchi uscì dal liceo con una fede forte, limpida, generosa. Edoardo, irritato dalla

disciplina inconcludente, ne uscì ancora più ribelle. Dopo il collegio, entrambi si iscrissero

alla facoltà di Medicina a Pavia. Gemelli aveva una predisposizione allo studio dell‟uomo e a

tutto quanto poteva portare sollievo alla sofferenza umana.

In quel periodo, il mondo della scienza era pervaso dalle teorie positivistiche. Nel desiderio di

affrancarsi dalle antiche superstizioni, di dichiarare la propria autonomia, le scienze (e tra

queste quelle collegate direttamente allo studio della medicina) volevano cancellare il

sentimento religioso dalla vita dell‟uomo, ritenendolo non razionale. Dio era inutile, buono

soltanto per le donne, i vecchi e le persone deboli. Tutto appariva chiuso nel cerchio della

materia e delle leggi fisiche dell‟universo. Ma questo non bastava ad Edoardo che forse

cominciava a sentire una sorta di nostalgia per quel Dio che aveva incontrato da bambino. Il

suo desiderio di non restare alla superficie dei problemi lo condusse anche allo studio della

filosofia.

Ma l‟animo esuberante del giovane Edoardo non poteva contentarsi di rimanere confinato

nello studio. Gli anni della fine del diciannovesimo secolo erano anche anni dell‟affermarsi

delle idee socialiste ed egli, innamorato della giustizia, non restò insensibile alla sorte

tristissima dei lavoratori e alle loro condizioni. Durante gli studi di medicina conobbe uomini

politici tra i quali Filippo Turati, uno dei padri del socialismo rivoluzionario italiano. E fu lo

stesso Turati a mettere gli occhi sul giovane studente, intuendone le capacità intellettuali e il

potenziale rivoluzionario.

In breve, Gemelli divenne fervente socialista tanto che Turati gli affidò la direzione di un

periodico. Nonostante avesse solo diciannove anni, si gettò in questo lavoro con serietà

professionale oltre che con grande entusiasmo. Inoltre andava in giro per le campagne a tenere

comizi: sapeva parlare, affascinava la gente.

Sull‟altra sponda, quella cattolica, militava l‟amico Vico Necchi. Coerente con le sue idee, si

era subito iscritto al locale circolo studentesco cattolico. Sempre calmo, riflessivo, rigoroso,

anche Vico Necchi aveva la stoffa del capo o, più precisamente, del punto di riferimento. E

tale divenne subito per i suoi compagni del circolo giovanile. Nonostante le idee contrastanti,

Gemelli e Necchi rimanevano amici. Anzi, discutevano sempre a lungo partendo ciascuno dai

propri principi, con enorme rispetto. Edoardo era attratto dalla coerenza fra idee e vita

quotidiana che Vico esprimeva. Vico ammirava in Gemelli la forza, l‟energia formidabile, il

temperamento leale.

Intanto gli anni passavano. Edoardo Gemelli era ora uno studente brillante, cui i professori

davano stima. Si dedicava molto tenacemente allo studio, anche se la vita politica lo attraeva.

La famiglia aveva subito un dissesto finanziario e lui non poteva permettersi di allungare i

tempi per conseguire la laurea.

L‟amicizia con Vico Necchi continuava e continuavano le discussioni. Necchi lo indusse ad

andare ad ascoltare una conferenza di un giovane teologo molto preparato e Gemelli, dopo

aver ascoltato, iniziò una lunghissima discussione con il prete. Una discussione che lo

condusse, per mancanza di argomenti, alla satira. Necchi si indignò. Ma capì anche che

l‟amico era alla ricerca di qualcosa che ancora non sapeva chiaramente vedere. “Tu non sei

incredulo. Sei solo ignorante” gli dirà con viva forza. Con altrettanta violenza gli risponderà

Gemelli “Se io avessi la fede che dici di avere tu, andrei frate”2. Il teologo che aveva assistito

alla scena, diede a Gemelli alcuni libri: il suo desiderio di stabilire una assoluta coerenza fra

pensiero e vita era più che evidente. Studiasse, dunque, Gemelli le radici della religione, le

capisse. Poi avrebbe potuto decidere in piena coscienza.

E nel frattempo Gemelli aveva iniziato ad allontanarsi dal partito socialista di cui non

sopportava l‟intransigenza e il settarismo. Nel 1900 non rinnovò la tessera di iscrizione al

2 Op. cit., p. 20.

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partito.

Continuò i suoi studi e il 9 luglio del 1902 si laureò col massimo dei voti, pubblicazione della

tesi, un premio accademico.

Lo scienziato Camillo Golgi che era stato il suo professore lo voleva subito come suo

assistente all‟università. Gemelli andò come medico condotto supplente a Mariano Comense,

un paesetto della Brianza.

La carriera fu però interrotta dal servizio militare di leva. Con l‟inseparabile Necchi, Gemelli

rinunciò alla possibilità di essere ufficiale. Necchi perché da cristiano voleva stare accanto ai

più poveri, Gemelli perché voleva esservi da socialista: tutti e due, come soldati semplici,

entrarono nell‟ospedale militare di Milano, piazza S. Ambrogio, nel cuore della città.

Entrambi dovettero iscriversi ad un corso per infermieri, nonostante la laurea in medicina.

All‟ospedale militare Gemelli fece un‟altra conoscenza decisiva per la sua vita: quella con

Andrea Mazzotti, frate francescano di Brescia.

L’incontro

Alto, biondo, atletico, lo sguardo penetrante dietro gli spessi occhiali da miope, Edoardo

Gemelli, anzi il dottor Gemelli, era sempre lo stesso degli anni studenteschi. Stesso

entusiasmo, stessa irruenza, stesso temperamento, stesse vivaci discussioni con l‟amico

Necchi e altri giovani credenti.

Gemelli cercava qualcosa che era nel Vangelo, ma ancora non trovava il coraggio di riandare

a quelle pagine che da bambino aveva appena intravisto.

È a questo punto che avvenne un incontro determinante per la sua conversione. Gemelli,

volontario, prestava servizio nel reparto infettivi dell‟ospedale. Un giorno fu condotto nel

reparto un soldatino devastato dalla tubercolosi. Il giovane militare sapeva di essere sul punto

di morire. Il suo corpo era un ammasso ributtante di piaghe. Rivolse a Gemelli una domanda

strana. Gli disse: “Senti, volontario, io muoio lontano da tutti i miei. Se fosse qui, la mia

mamma mi darebbe un bacio. Me lo vuoi dare tu?”. Vincendo il ribrezzo, ricordando

inaspettatamente ciò che avrebbe fatto Gesù, Gemelli baciò il malato sul cui volto apparve un

sorriso come un raggio di sole3.

Il soldatino morente allora lo ringraziò e gli fece un‟altra richiesta sconvolgente: “Va a

chiamarmi il cappellano perché mi porti la Comunione”. Era la prima volta che Gemelli

chiedeva a un sacerdote l‟opera del suo ministero. E fu anche la prima volta in cui Gemelli

fece da chierichetto, senza volerlo e senza saper rispondere alle parole del celebrante.

L‟incontro con il Vangelo vivo, con un Dio che gli poneva una domanda fondamentale

attraverso il povero malato, furono decisivi. Ancora una volta Vico Necchi, che in parte

sapeva e in parte intuiva, fu testimone del travaglio interiore dell‟amico.

Il 9 aprile 1903, giovedì santo, Edoardo Gemelli ricevette la Comunione. Anche lui, come

altri convertiti, potrà dire “Non so come sia andata. Mi sono ritrovato a credere in Dio”.

Da quel giorno la sua strada fu segnata chiaramente. Per temperamento non era uomo da

mezze misure. La sua vita doveva essere d‟ora in poi tutta di Dio, tutta del Vangelo.

Se ne accorse subito l‟amico Necchi che gli consigliò la Compagnia di Gesù, persuaso che

Edoardo vi avrebbe trovato tutti i mezzi per la ricerca scientifica. Altri amici gli consigliarono

l‟Ordine domenicano, data la sua inclinazione allo studio e all‟approfondimento.

Ma la scelta di Gemelli fu diversa, inaspettata. Dopo una lunga conversazione su san

Francesco con un francescano, dopo un approfondito studio sulla spiritualità del Poverello,

decise di farsi francescano.

Il 16 novembre del 1903 a meno di un anno dalla conversione, entrò come novizio nel

convento dei minori di Rezzato, un paese vicino a Brescia. Accettò con umiltà la disciplina

del noviziato. Il brillante dottor Gemelli, divenuto fra Agostino, come tutti gli altri novizi, fu

3 Op. cit., pp. 28-29.

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incaricato anche delle pulizie.

Per gli amici di un tempo e per gli stessi genitori, l‟entrata in convento fu uno scandalo. Turati

pubblicò sul Tempo, un quotidiano socialista d‟allora, un articolo dal titolo significativo Il

suicidio di un’intelligenza. I genitori dubitarono addirittura dell‟integrità mentale del figlio.

Con alcuni parenti andarono perfino al convento e cercarono di riportarlo a casa anche con

mezzi violenti. Gemelli resistette.

Dopo questa tempesta fu tormentato da dubbi sulla sua vocazione e da dubbi sulla fede. Li

superò con il consiglio di don Guanella, sacerdote noto per la sua carità che gli propose il

rimedio migliore contro la superbia intellettuale: tanta, umile, profonda preghiera.

Nel 1907 il novizio Gemelli emise i voti solenni come francescano e il 14 marzo 1908 fu

ordinato sacerdote dall‟arcivescovo di Milano, il card. Andrea Ferrari. Il 18 marzo celebrò la

prima Messa nella chiesa francescana di S. Antonio, alla periferia di Milano. Fu un momento

di grande emozione. Ancora accanto a lui l‟amico Necchi, ma nessuno della sua famiglia.

Il “Padre”

Iniziò così il ministero di padre Gemelli. Un‟avventura fuori dall‟ordinario, così come

straordinaria era stata la sua vita fino ad allora. Come frate non poté esercitare la medicina.

Cosa che lo addolorava molto. Ma poteva spendere il suo fine intelletto, le sue doti di

profondo ricercatore dedicandosi alla teologia, alla filosofia, alla psicologia. Scelse di

specializzarsi in psicologia e portò il metodo sperimentale della scuola di Lipsia nella

medicina, dando alla psicologia il fondamento della biologia, della fisiologia, della

neurologia. E così, con il permesso di superiori intelligenti, poté tornare a dedicarsi anche alla

scienza che era stato il suo primo interesse.

Oltre ad essere uomo di pensiero e di ricerca, padre Agostino fu un potente realizzatore di

iniziative.

Si era accorto dell‟impreparazione dei cattolici italiani di fronte all‟evolversi del pensiero

filosofico. Dall‟analoga esperienza belga, gli venne un‟ispirazione: perché non fondare anche

in Italia un Istituto superiore di filosofia?

Gemelli riunì allora intorno a sé altri amici, altri studiosi, vecchi e nuovi. Il 13 gennaio 1909

fondò la Rivista di filosofia neoscolastica. C‟era Vico Necchi, che ormai da guida si era fatto

discepolo del suo amico, c‟era padre Mattiussi e altri.

Nel 1909 si rivelò un‟altra caratteristica della spiritualità francescana di Gemelli, l‟amore per

Maria, madre di Gesù, venerata come l‟Immacolata Concezione, lo stesso titolo di

presentazione che Maria stessa comunicò a Bernadette a Lourdes. Qualcuno osò mettere in

dubbio i miracoli accaduti alla grotta di Massabielle per intercessione della Madonna.

Gemelli si gettò nella mischia con entusiasmo, ma anche con la chiarezza scientifica di

sempre. Si documentò, scrisse, tenne conferenze e gli stessi avversari dovettero ricredersi.

Nel 1910 avvenne per lui un altro incontro decisivo.

L‟11 febbraio andò da lui per esporgli un suo problema una giovane milanese. Si chiamava

Armida Barelli, aveva 28 anni, non era sposata, apparteneva ad una ricca famiglia. La

signorina Barelli voleva consigli sul come comportarsi con un suo fratello in difficoltà con la

fede. Gemelli le promise un aiuto. Andò a trovare la famiglia Barelli e ne divenne amico.

Nacque così una collaborazione dalla quale scaturiranno tante opere importanti, non solo per

la vita ecclesiale, ma anche sociale, politica, culturale dell‟Italia.

Padre Gemelli intuì la semplicità, la finezza, l‟intelligenza e soprattutto l‟ardore di fede della

signorina Barelli.

Passo passo la aiutò a trovare una strada a lungo cercata: quella di una consacrazione secolare,

di un dono perpetuo e incondizionato di sé a Dio nel mondo. Armida Barelli che conosceva

bene francese, inglese, tedesco fu subito ingaggiata a far traduzioni per la Rivista di filosofia

neoscolastica. Entrò nel sodalizio Gemelli-Necchi-Olgiati (don Francesco Olgiati era un

sacerdote colto, aperto, che Gemelli aveva strappato alla morte per tubercolosi e coinvolto

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nelle sue attività).

Negli anni che precedevano la prima guerra mondiale, si poneva in Italia il problema di un

approfondimento e di una maggiore diffusione della cultura cattolica. Nacque così l‟idea di

una rivista. Sarà Vita e Pensiero, titolo in seguito assunto anche dall‟editrice dell‟Università

Cattolica.

Ormai sono delineate l‟azione e la personalità di padre Gemelli: un francescano autentico,

innamorato di Dio e di Cristo e, quindi, impegnato al massimo nella realizzazione di ogni

opera che potesse permettere la diffusione del Suo Regno. E‟ in questa fecondità di opere, è in

questa equazione pensiero-azione che va vista l‟opera del Padre.

Intanto scoppiò la prima guerra mondiale. Padre Gemelli fu richiamato come capitano

medico, perché anche l‟Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915.

Proprio in questi anni di tragedia, maturò in lui l‟idea di una Università Cattolica.

Armida Barelli, intanto, aveva consacrato, sia pure privatamente, la sua vita interamente a Dio

pur rimanendo laica e aveva promesso a padre Gemelli di aiutare lui, don Olgiati e Necchi a

fare l‟Istituto superiore di filosofia, Maria Immacolata, primo gradino dell‟Università

Cattolica.

Nel 1918 la guerra era finita, ma le macerie erano ancora lì, a testimoniarne il passaggio. Uno

sfascio soprattutto morale e culturale. Si faceva quindi sempre più chiara la necessità di un

ateneo cattolico. All‟inizio fu pensato come difesa del cattolicesimo contro l‟attacco da parte

di concezioni materialistiche, ma gli orizzonti si allargarono ad una concezione della cultura

come servizio all‟uomo.

Nel 1919 padre Gemelli diede inizio ad una famiglia spirituale di persone consacrate nel

mondo per l‟apostolato, secondo la spiritualità francescana. Da questa intuizione nacque poi

l‟Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Anche

l‟Istituto secolare delle Missionarie (cui seguirà quello maschile e poi quello sacerdotale)

nacque proprio come servizio al Vangelo, alla missione, anche attraverso il servizio alle opere

volute da padre Gemelli. Il 9 febbraio 1921 papa Benedetto XV con un suo breve apostolico

(Cum semper) approvò l‟erezione dell‟Università, che si intitolerà al Sacro Cuore secondo il

desiderio di Armida Barelli.

La fecondità delle opere

Padre Agostino Gemelli fu il primo rettore del nuovo ateneo, ma ne fu anche il costruttore:

persino dei muri. Curò infatti personalmente i lavori, li sorvegliò. La sede prima fu a Milano,

via S. Agnese in un piccolo palazzo donato da un munifico signore, il conte Lombardo. I

primi studenti furono 67, ma aumentarono a macchia d‟olio.

Gemelli sapeva che l‟Università privata non avrebbe potuto sostenersi senza avere intorno a

sé amici: fondò così, sempre con l‟aiuto di Barelli, Necchi e Olgiati, l‟associazione degli

Amici dell‟Università Cattolica. Armida Barelli, di cui conosceva l‟ingegno finanziario, fu

nominata cassiera. In realtà fu ben di più, fu anche consigliera e animatrice instancabile di

iniziative per sostenerla tra cui “la Giornata Universitaria” celebrata in quasi tutte le

parrocchie d‟Italia. Nel 1925 Pio XI istituì la festa della “Regalità di Nostro Signore Gesù

Cristo” (Enciclica Quas Primas). Dalla dottrina della Regalità di Cristo, Gemelli e i suoi

collaboratori trassero ispirazione e incoraggiamento per la vita spirituale e l‟azione apostolica.

Nacque così, dall‟iniziativa del Padre e di Armida Barelli, L’Opera della Regalità di Nostro

Signore Gesù Cristo con lo scopo di diffondere la vita liturgica fra i fedeli di ogni ceto: questo

quarant‟anni prima del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Gli anni del dolore

Giungiamo così agli anni Trenta. Stava per aprirsi nella vita del Padre un periodo segnato dal

dolore fisico e morale.

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Dal punto di vista sociale, il quadro italiano ed europeo si presentava quanto mai fosco. Dal

1921 in Italia era al governo una dittatura fascista.

Il 10 gennaio dell‟anno 1930 stroncato da un cancro sopportato con una fede senza limiti,

morì Vico Necchi. Padre Gemelli superò a stento il dolore per la morte dell‟amico che l‟aveva

aiutato a ritrovare Dio. Nello stesso anno l‟Università si trasferì dalla sua prima sede ormai

troppo piccola, in piazza S. Ambrogio, proprio in quell‟ex ospedale militare che aveva visto i

primi passi di Edoardo Gemelli nella fede ritrovata.

Padre Gemelli intanto pensava con insistenza ad un altro “sogno”: la facoltà di medicina. Per

lui, medico, la mancanza di questa facoltà in un ateneo cattolico era grave. Nel 1934 Pio XI

regalò all‟Università una villa sul Monte Mario, una collina intorno a Roma, affinché fosse

l‟inizio della costruzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Nel 1936 il Padre fu chiamato a presiedere la Pontificia Accademia delle Scienze. È

significativo che proprio colui che aveva tanto sofferto per tentare di conciliare scienza e fede

sia stato chiamato a questa importante carica. Padre Gemelli era un convinto assertore della

possibilità di conciliare fede e scienza salvando le rispettive autonomie.

Nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale. Il contributo tecnico e le scoperte scientifiche

che si erano intensificate nel ventesimo secolo resero ancora più disastrose le conseguenze

della guerra.

Nel 1940 anche l‟Italia era in guerra. E proprio il momento in cui la “sua” università avrebbe

avuto più bisogno del Magnifico Rettore, egli rimase vittima di uno spaventoso incidente

d‟auto che lo costrinse ad una carrozzella per molti anni. Questa lunga sofferenza segnò il

Padre nello spirito oltre che nel fisico.

L‟Università continuò la sua attività in tempo di guerra, dando riparo - fra l‟altro - a militanti

della Resistenza. Infatti, proprio dagli allievi dell‟ateneo cattolico uscirono poi le nuove leve

dirigenti dell‟Italia. Le prove fisiche e morali di questi anni contribuirono ad affinare la

spiritualità del Padre che trovava nella preghiera la forza per accettare la sofferenza e

continuare a lavorare.

Al termine della guerra, nel 1945, rientrò a Milano e si dedicò alla ricostruzione anche degli

edifici universitari danneggiati gravemente dai bombardamenti. Nel 1946 ebbe un altro

incidente automobilistico: questa volta meno grave, ma debilitante. Gemelli è ancora il

Magnifico Rettore, o il Magnifico Terrore come qualcuno tra docenti e studenti lo chiamava

scherzosamente. Aveva infatti fama di essere burbero, scontroso, violento a volte. Era il suo

carattere che emergeva nonostante gli sforzi di mutarlo.

Nel 1949 Armida Barelli avvertì i primi sintomi del male che la porterà alla tomba. Fu un

altro colpo per il Padre che la seguì spiritualmente nei tre anni di sofferenza. Nel 1952 Armida

Barelli morì. Anche la salute di padre Gemelli continuava a declinare, tuttavia egli era ancora

instancabile al lavoro, nonostante avesse ormai superato i settantacinque anni. Il corpo

accademico lo confermò ancora una volta rettore dell‟Università. Una era allora, soprattutto,

la preoccupazione di padre Gemelli: la Facoltà di Medicina. Vi lavora instancabilmente: la

desiderava, la sentiva necessaria. Ma non la vedrà, perché sarà inaugurata solo nel 1961.

L‟8 dicembre del 1958 presiedette per l‟ultima volta l‟inaugurazione dell‟anno accademico.

Commosse i presenti, abituati a vederlo giganteggiare, arrivando sulla carrozzella. Ormai la

sua forte fibra stava per cedere. Il 1959 lo vide andare verso la morte, che arrivò soltanto dopo

un lungo, difficile periodo di crisi e di miglioramenti. Padre Agostino Gemelli si spense

serenamente, guardando con lucidità in faccia sorella morte, il 15 luglio 1959.

Il cavaliere della Vergine, il violento, dolcissimo, delicato e scontroso frate francescano

lascerà un vuoto profondo nella cultura e soprattutto nella Chiesa. La sua personalità, il suo

intelletto, soprattutto la sua fede senza limiti e senza orgogli, gli avevano consentito di intuire

e realizzare alcune opere autenticamente profetiche non soltanto per la cultura e la Chiesa

italiana, ma per la cultura e la Chiesa universale.

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2. La personalità di padre Gemelli e il suo incontro

con san Francesco

La prima richiesta delle nostre Costituzioni, in ordine alla formazione, è la presa di coscienza

di sé per “realizzarsi pienamente secondo il disegno di Dio” (art. 20). Per questo mi pare

opportuno presentarvi padre Gemelli nella sua ricca personalità. Costruita gradualmente sul

fondamento di qualità naturali intrecciate con doni di grazia, è frutto dell‟opera di un Dio che

ama e della risposta d‟amore da parte di un uomo fedele. Una presentazione globale e

significativa della figura di padre Gemelli è quella offerta da uno psicologo, suo discepolo.

Ricordando con commozione il maestro, così lo definisce: “Una personalità forte, volitiva,

talvolta prepotente, che ispirava timore reverenziale, ma che era rispettosa della libertà altrui.

Un uomo diritto che non tollerava meschinità, ambiguità, sotterfugi; un costruttore intrepido,

animato da convinzioni profonde e, nello stesso tempo, uno scienziato aperto alla ricerca della

verità, affascinato dal mistero dell‟uomo e dalla grandezza del suo destino. Un maestro

esigente e severo, ma anche affettuosamente sollecito e premuroso; una guida sagace che

sapeva leggere il proprio tempo e guardare al futuro” Testimoni nel mondo, n. 61, p. 14). Sono

espressioni molto intense, che potrebbero portarci a riflessioni e ad applicazioni concrete, ma

anche nel suo insieme la personalità di padre Gemelli ci offre motivi di orientamento per la

nostra vita.

* * *

Come già sapete padre Gemelli non ebbe una natura facile e neppure un ambiente familiare e

scolastico che favorisse molto la sua formazione. Timido e scontroso durante l‟adolescenza

non si trovò a suo agio a scuola e neppure manifestò la sua robusta intelligenza. Giovane

universitario nella Facoltà di Medicina a Pavia si appassionò agli studi scientifici e si

interessò ai problemi sociali, militando nel partito socialista. Le sue doti d‟intelligenza e di

sensibilità cominciarono ad esplodere, ma accanto ad esse si rivelarono anche certe

impulsività aggressive e un “segreto gusto di dominare la folla con le sue parole” come scrive

la Sticco, che lo definisce “un uomo difficile” e un “eroe imperfetto”.

Nella realizzazione della sua personalità, padre Gemelli non partì dunque con un bagaglio del

tutto positivo: umanamente si scontrarono dentro di lui virtù e difetti, aspirazioni buone e

tendenze negative.

Se poi passiamo dal piano naturale a quello soprannaturale, la fede risulta assente, tranne che

per il ricordo dei nonni e l‟esempio dell‟amico Necchi.

Ma dal positivismo ateo, con una forte venatura di anticlericalismo, il cammino di padre

Gemelli sfociò in una conversione straordinaria, che diventò cambiamento di vita a tutti i

livelli. La grazia operò in lui direttamente e attraverso strumenti umani e la risposta del

giovane medico fu pronta e capace delle più grandi rinunce: la carriera, con la gloria che

lasciava presagire; l‟impegno politico con le soddisfazioni che poteva portare con sé; la

famiglia con la sicurezza del benessere.

Di fronte all‟appello del Signore, che gli chiese non solo la fedeltà al battesimo, ma anche la

consacrazione in un convento francescano, padre Gemelli lasciò tutto e cominciò una vita di

penitenza, che l‟opinione pubblica giudicò una manifestazione di pazzia. Di fatto invece si

avverò per lui la promessa del Vangelo: la ricerca del Regno di Dio che non gli precluse lo

studio scientifico, anzi lo rese fondatore di un‟Università Cattolica e di altre opere importanti

sul piano culturale e religioso.

La sua serietà professionale e il suo forte impegno in ogni campo furono veramente esemplari

e finalizzati al bene. In un periodo dominato dalla scienza e dalle sue scoperte, “fu anzitutto

uno scienziato, con la mente aperta ad ogni verità e con sicura fede nella possibilità della

ragione umana sulle vie dell‟indagine e dello studio”. Ma la scienza che egli perseguiva non

era fine a se stessa, ma orientata all‟uomo e alle sue necessità. Per questo le sue ricerche

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psicologiche puntavano su applicazioni concrete a vantaggio degli anormali, dei minorati

psichici, dei ciechi, dei sordi, dei piloti, degli operai.

Per padre Gemelli «il primo dovere umano e cristiano è la serietà del lavoro, dello studio,

della preparazione professionale: e nessuna opera uscì dalle sue mani, che non fosse stata

preparata in tutti i particolari»4.

Ma tutta questa concentrazione sull‟umano era sostenuta, era rafforzata dalla profonda fede

del convertito. È lo stesso prof. Franceschini, vissuto accanto a lui per decenni, a riconoscerlo:

“Aveva una fede umile e gigantesca, assai più grande delle sue opere, e una visione

soprannaturale della vita a cui si ancorava e da cui traevano forza e luce le sue doti e le sue

capacità naturali. Era solito dire che ogni opera è feconda di bene, in proporzione del grado di

unione con Dio di chi la compie”.

Che cosa possiamo ricavare noi da tale esempio luminoso?

1. Possiamo anzitutto prendere atto di quello che siamo, dei limiti della nostra natura,

dell‟educazione che abbiamo ricevuto, senza perdere la speranza in ciò che possiamo

raggiungere con la grazia di Dio, la buona volontà, l‟aiuto degli altri. La consapevolezza di

ciò che ci manca ci libera dalla presunzione e la speranza delle realizzazioni future ci distoglie

dallo scoraggiamento improduttivo che ci fa ripiegare su noi stessi, invece di allargare i nostri

orizzonti e spingerci alla donazione verso i fratelli.

2. Siamo invitate a valorizzare al massimo le nostre capacità naturali non per un‟ambiziosa

affermazione, ma per “realizzare in noi pienamente il disegno di Dio”.

Le caratteristiche umane, che dobbiamo potenziare sono già un dono di Dio e creano le

condizioni favorevoli al nostro cammino spirituale e vocazionale. In quanto donne, le

Costituzioni ci chiedono di “sviluppare la nostra personalità femminile per raggiungere una

piena maturità che ci renda autenticamente libere” (art. 20). E in quanto secolari, siamo tenute

a riconoscere i valori umani in noi e negli altri, ad essere aperte ai problemi della cultura e

della storia in genere, a operare per la promozione dei popoli. Giovanni Paolo II nei discorsi

rivolti agli Istituti secolari ha ribadito la necessità della competenza nel proprio campo di

lavoro per poter trasformare il mondo dall‟interno e collaborare con gli altri uomini per il

progresso della civiltà.

3. Siamo stimolate a vivere di fede, a chiederla come dono e ad alimentarla con la preghiera

perché solo alla luce della fede acquistano significato tutti gli altri aspetti della nostra vita e

può rimanere saldo il fondamento di una vocazione, come la nostra.

Padre Gemelli ci è di orientamento proprio nella nostra vita secolare perché è riuscito a

conciliare dentro di sé e ad unificare nelle sue opere il piano della fede con quello della

scienza, la cultura umana con la trascendenza, la tradizione con il progresso. E a livello

pratico, ha intrecciato preghiera e azione, ha potenziato tutte le sue forze umane,

abbandonandosi con fiducia al progetto di Dio.

La personalità di padre Gemelli, poliedrica già a livello umano e cristiano, acquista una

coloritura speciale al contatto con san Francesco, di cui il nostro Fondatore fu non solo fedele

seguace, ma discepolo innamorato. La sua conversione alla fede s‟intreccia subito con

l‟appello ad una donazione totale a Dio nella vita religiosa. E la scelta cadde sull‟Ordine

francescano, con sorpresa di coloro che lo conoscevano da vicino e pensavano che la sua

preparazione culturale lo orientasse verso un altro Ordine, come quello domenicano o gesuita.

Invece padre Gemelli sentì irresistibile la chiamata a diventare figlio di san Francesco. Il

perché non lo sa spiegare nemmeno lui, convinto com‟è che “francescani si nasce” ma, di

fatto, le sintonie fra il poverello di Assisi e padre Gemelli, fra la spiritualità di san Francesco e

4 E. Franceschini, Padre Agostino Gemelli nel primo centenario della nascita, 1978.

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quella del nostro Fondatore, si faranno sempre più evidenti. A questo proposito è stato scritto:

“Francescana era la sua umiltà, resa più visibile dalla reale grandezza dei suoi meriti;

francescana la sua povertà, tanto lieta e serenatrice quanto assoluta; francescana la sua

semplicità, singolare e talora ingenua, come quella di un bambino; francescana la sua pietà,

basata sulla concezione cristocentrica di san Bonaventura e di Scoto e su una devozione

mariana profondissima”. Un‟altra annotazione significativa è la seguente: “Padre Gemelli si

affida al progetto di Dio nell‟obbedienza alla fede. Quest‟uomo di studio e di lotta,

dall‟attività frenetica e prodigiosa, dalla volontà indomita, abbandona le proprie ambizioni

umane ed accetta il progetto di Dio: il noviziato nel convento di Rezzato e 56 anni di fedeltà a

un‟obbedienza difficile: quella ai Superiori dell‟Ordine e alla Chiesa ... Come Francesco,

padre Gemelli si sottomette umilmente alla volontà di Dio: si lascia cadere nelle sue mani”5.

Tanti nella sua vita sono i momenti in cui l‟obbedienza della fede gli richiese sforzi notevoli.

Durante il noviziato, di fronte ad una disciplina non sempre accettabile e ad un tipo di vita

così diverso dalle abitudini precedenti, ebbe dubbi e tentazioni di fuga, ma la fedeltà prevalse

su tutte le altre esigenze. Così durante i lunghi anni di vita religiosa, non gli fu facile

conciliare l‟autonomia richiesta dai suoi gravi impegni di responsabilità con l‟obbedienza ai

superiori dell‟Ordine, ma non ritenne mai di farsi esentare da tale vincolo, che lo teneva

legato alla sua comunità. La Sticco infatti scrive che padre Gemelli “non solo amava san

Francesco e la sua spiritualità, ma amava il suo Ordine, cosa più difficile, perché l‟Ordine è

fatto di uomini e gli uomini viventi sono quelli che sono. Dall‟amore all‟Ordine derivano il

rispetto per i superiori, la fedeltà alla regola ed anche il suo rifiuto di alte cariche”6.

Pure nell‟ambito più vasto della Chiesa, le difficoltà non mancarono, anche se abitualmente la

sua dedizione nella costruzione e nel sostegno di opere di Chiesa, trovava consensi e

riconoscimenti da parte degli stessi Pontefici. Ricordiamo un avvenimento, che ci interessa da

vicino: quando padre Gemelli, avendo preso contatto con altri Istituti secolari preparò una

Memoria scritta sulla fisionomia delle Associazioni di laici consacrati, con l‟intenzione di

favorire un riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, ebbe la delusione di sentirsi

imporre di ritirare tale Memoria. Non fece commenti e obbedì, lasciando al Signore di trovare

il tempo opportuno perché l‟intuizione dello Spirito si facesse strada. Il che avvenne dopo

qualche tempo, quando non solo la sostanza ma anche le stesse espressioni di padre Gemelli

entrarono a far parte dei documenti del Magistero.

L‟adesione alla volontà di Dio fu sempre espressione della sua fede sia nell‟attività che nella

sofferenza.

La prima non sempre poteva seguire i ritmi del suo impulso e perciò richiedeva attese fatte di

pazienza, di accettazione delle situazioni e dell‟incomprensione degli uomini. La sofferenza

fisica lo accompagnò per 20 anni, dal primo incidente automobilistico del 1940 fino alla

morte e non fu certo priva di dolori morali. Sempre fu accettata con lo spirito di san

Francesco, che si conformò a Cristo, rivivendo in se stesso la Passione del Redentore. Fu una

sofferenza pesante, che ridusse le sue forze, ma non il suo lavoro, naturalmente più faticoso;

fu una sofferenza di corpo e di spirito, che non gli tolse però la serenità e la fiducia nella

Provvidenza.

Oltre la conformità a Cristo, nell‟adesione alla volontà del Padre, considerata da padre

Gemelli il cuore del francescanesimo, un altro aspetto di questa spiritualità che gli fu

congeniale fu l‟interpretazione del lavoro. Quindi anche il suo muoversi intensamente, il suo

operare senza soste e senza cedimenti, trova la sua radice in un‟ispirazione francescana.

Egli infatti scrive: “San Francesco ha insegnato il valore religioso della vita attiva, il che

conferisce al suo insegnamento un‟efficace modernità. Quel lavorare e volere che i suoi frati

lavorino a contatto di tutti, uomini tra gli uomini, quel non volere che essi abbiano luogo

alcuno, ma eleggano dimora ove c‟è da lavorare, da faticare per gli altri, sono per san

Francesco niente altro che imitare la vita degli Apostoli: attiva, operosa, instancabile, mai

5 M. Sticco, Padre Gemelli. Appunti per la biografia di un uomo difficile, Ed. OR, 1991, p. 338.

6 Op. cit., p. 341.

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sazia di fare”. E in tale prospettiva di lavoro, s‟intreccia il rapporto con i fratelli, che così

viene presentato: “La meta a cui deve mirare il francescano è infatti ben chiara: che Dio regni

... ma il punto di partenza dell‟azione di apostolato francescano è la compenetrazione dei

bisogni altrui e del momento psicologico in cui gli altri vivono. Questa simpatia per gli altri

non è in fondo che il massimo della concretezza, unito con la più spirituale povertà, quella che

si spoglia del proprio io e persino dei propri carezzati sentimenti, per immedesimarsi nei

sentimenti degli altri, per condurre gli altri alla pace di Cristo”7.

Che cosa ci insegna padre Gemelli con il suo amore a san Francesco?

1. Ci propone l‟ideale di una spiritualità ben definita, che non deve rappresentare una

sovrapposizione, ma deve permeare tutte le espressioni della nostra vita. E per esemplificare

questo progetto, le Costituzioni ci presentano lo spirito di san Francesco come un‟espressione

autentica del Vangelo, che risponde alle esigenze di chi vive la consacrazione nel mondo.

Così ci indicano pure in modo specifico di rapportarci al Cristo, Signore dell‟universo e della

storia, nella conformità a Lui, povero e crocifisso; di rispettare ogni uomo nella sua libertà,

con atteggiamento di servizio, di contemplare Dio nella creazione, collaborando alla sua

attività creatrice con il lavoro e rendendo lode al Padre con tutte le creature; di amare la

Chiesa e accettare le indicazioni del Magistero (art. 4).

2. Ci offre l‟esempio di una profonda conformità a Cristo. Fra i vari aspetti della spiritualità

francescana presenti nella personalità di padre Gemelli, ho voluto sottolineare l‟obbedienza

nella fede come espressione della vera conformità a Cristo, come il cammino di ogni giorno

alla sua sequela, secondo il progetto di Dio, a cui siamo state chiamate.

L‟obbedienza alla fede comporta un itinerario di fedeltà, senza cedimenti, anche quando la

fatica si fa più aspra, la visione delle cose sembra oscurarsi e la sofferenza appare in tutta la

sua difficoltà. L‟accettazione di tutto ciò che la vita personale, familiare, sociale, ecclesiale

porta con sé, l‟adesione ad una norma, vivificata dallo spirito, frutto di una scelta di vita; la

verifica all‟interno di una comunità, accettata nella sua concretezza e nei suoi limiti: tutto

questo rientra nell‟obbedienza alla fede.

3. Ci è modello di vita attiva, alimentata dalla preghiera, spesa per il Regno di Cristo. Accanto

alla sua disponibilità all‟amore di Dio, che costruisce la nostra vita, talvolta a nostra insaputa,

ho voluto sottolineare in padre Gemelli l‟impegno attivo, che assunse delle proporzioni

formidabili in molte direzioni.

È un invito per noi a vivere la nostra missione secolare senza pigrizia, con lo sguardo attento

alle vicende del mondo, con la volontà di cambiarlo là dove è possibile, con un impegno forte

perché le strutture siano sempre più a misura d‟uomo, secondo un progetto rinnovato nel

tempo e nello spazio, in base alle esigenze che man mano si presentano. E le esigenze si

esprimono attraverso i fratelli, che sono alla ricerca di un amore concreto.

Il nostro impegno deve avere come quello di padre Gemelli, le caratteristiche dell‟azione

francescana: la concretezza, la soprannaturalità, la povertà. Quella povertà che rende l‟azione

francescana “leale, audace, infaticabile, lieta, liberandola da tutte le preoccupazioni di

successo o di insuccesso ed insegnandole a redimere l‟amor proprio e l‟ambizione”8.

Mina Poma

7 A. Gemelli, San Francesco e la sua gente poverella, Ed. OR, 1984, pp. 151-155.

8 A. Gemelli, Il Francescanesimo, Ed. OR, 1979, p. 520.

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3. Armida Barelli - cenni biografici

I primi anni

Armida Barelli nacque a Milano il 1 dicembre 1882 e fu battezzata il 10 dello stesso mese. In

un diario trovato fra le carte di Armida si legge: “Non ho santa patrona. In collegio padre

Wilhelm mi disse che devo farmi santa io”9..

Suo padre era un ricco industriale e sua madre aveva frequentato l‟università, cosa rara per

quei tempi. Armida era la secondogenita. Visse gli anni dell‟infanzia e della fanciullezza in un

clima sereno e ricco di affetti. In famiglia non ebbe una formazione particolarmente religiosa

ma fu comunque educata al senso del dovere e, a dodici anni, fece la prima comunione.

Il collegio

A tredici anni fu mandata nel collegio svizzero delle suore francescane della Santa Croce di

Menzingen dove studiarono anche le sue sorelle. All‟inizio ebbe molta nostalgia della

famiglia e accettò con difficoltà l‟austera disciplina del collegio. Dopo un po‟ di tempo la sua

naturale cordialità le guadagnò però la simpatia delle compagne e anche delle suore.

Quando sentì che un‟amica voleva farsi suora, decise di seguire il suo esempio. I genitori,

venuti a saperlo, la riportarono a Milano e fecero di tutto per distrarla dal suo proposito. Il

padre la portò nei suoi viaggi di lavoro e le fece conoscere molte persone. Quando sembrò

chiaro che Armida avesse abbandonato l‟idea del convento, i genitori la rimandarono al

collegio a completare gli studi fino al raggiungimento del diploma.

Al termine degli studi, Armida aveva una ottima conoscenza del tedesco, del francese e

dell‟inglese. L‟esperienza del collegio però non le diede solo una buona istruzione ma servì

anche ad aprirla alla dimensione religiosa della vita che sarà la premessa delle sue scelte

future.

Il ritorno a casa

Tornata a casa al termine degli studi, Armida aiutò il padre negli affari e insieme alle sorelle e

ai fratelli partecipò con entusiasmo alla vita della famiglia che includeva molti rapporti

sociali, feste, periodi di villeggiatura al mare e ai monti.

Dopo il matrimonio di Vittoria, la sorella primogenita, i genitori insistettero affinché Armida

si fidanzasse con un giovane colto e ricco che aveva chiesto di sposarla. Per la mentalità del

tempo sarebbe stato inopportuno un fidanzamento delle sorelle minori prima del suo. Armida

non si sentiva attratta dal matrimonio ma, dopo una certa insistenza, acconsentì. Tutta la

famiglia ne fu felice eccetto lei. I mesi che seguirono furono per lei di grande disorientamento

e sofferenza finché trovò il coraggio di dichiarare alla famiglia e al fidanzato il suo proposito

di rompere il fidanzamento. Questa volta i genitori, anche se addolorati, rispettarono la sua

decisione e Armida si trovò libera di seguire la strada per cui si sentiva chiamata. La decisione

di non sposarsi fu il punto di partenza di una ulteriore lunga ricerca vocazionale che la portò a

realizzare una vocazione nuova nella Chiesa: la laicità consacrata per una missione nel

mondo.

Nel 1906 morì il padre. Per Armida fu un grandissimo dolore.

Dopo la morte del padre circondò di maggiore affetto la madre e divenne il sostegno morale

della famiglia. Un grande affetto espresso con concrete premure verso i membri della sua

famiglia, gli amici, le collaboratrici e la capacità di intessere rapporti personali con le persone

con cui veniva in contatto, furono infatti una sua caratteristica anche negli anni di più intensa

attività.

9 Da Armida Barelli nella società italiana, Ed. OR, p. 75.

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Il primo impegno apostolico

Dopo questi avvenimenti la vita di Armida cambiò. Ella poteva disporre del suo tempo libero

come voleva. Passando molte ore in chiesa a pregare le si dischiusero orizzonti nuovi.

Cominciò a frequentare un corso di cultura religiosa organizzato dall‟arcivescovado milanese.

Al corso divenne amica di Rita Tonoli, una maestra che aveva fondato la Piccola Opera per la

salvezza del fanciullo, per l‟educazione e la salute dei bambini dei quartieri poveri della

periferia. Armida comprese il valore dell‟opera e iniziò a collaborare con grande generosità,

vincendo le difficoltà psicologiche, familiari e sociali che tendevano ad ostacolare questa sua

nuova apertura sociale. In questo periodo, vedendo l‟esempio di Rita Tonoli e con l‟aiuto di

un sacerdote, comprese che la sua strada era quella di una consacrazione nel mondo per

l‟apostolato. Rimanevano però ancora dubbi e incertezze sul modo di attuarla.

L’incontro con padre Gemelli

L‟11 febbraio del 1910 Armida chiese un colloquio a padre Gemelli, del quale aveva sentito

parlare. Armida sperava che padre Gemelli, ateo convertito potesse aiutarla a far ritrovare la

fede ad un suo fratello.

Padre Gemelli intuì le doti di Armida e il suo desiderio di bene.

La invitò a collaborare con lui con traduzioni dal francese e dal tedesco per la Rivista di

filosofia neoscolastica. Lo spirito pratico e realizzatore di padre Gemelli andava d‟accordo

con quello altrettanto pratico di Armida e padre Gemelli la volle tra i suoi collaboratori più

stretti.

Padre Gemelli rivelò ad Armida lo spirito francescano e Armida, che lo trovò in sintonia con

le sue aspirazioni, divenne Terziaria francescana. Armida Barelli e Agostino Gemelli avevano

il medesimo direttore spirituale, il francescano padre Arcangelo Mazzotti che intuendo le

capacità d‟azione dei due e nel contempo il loro desiderio di unione con Dio, li guidò con

saggezza ed equilibrio.

La guerra

Nel 1914 iniziò per Armida un periodo buio. L‟azienda paterna subì un tracollo finanziario.

Armida si trovò quindi a dover sostenere tutto il peso del dissesto e del riassetto dell‟azienda,

dell‟educazione dei fratelli più giovani e del sostegno alla mamma indebolita dalle disgrazie.

“Anno di croci” chiamerà lei stessa questo periodo. Anno di croci pure il seguente, 1915.

L‟Italia entrò in guerra, la prima guerra mondiale, una tragedia immane, che scardinò le

coscienze prima ancora delle case.

I fratelli di Armida partirono per il fronte. Furono richiamati al servizio militare anche

Gemelli e gli altri amici con i quali il dinamico francescano aveva fondato una rivista e una

casa editrice «Vita e Pensiero» alla quale anche Armida collaborava.

“Cosa posso offrire al Signore perché salvi i miei fratelli e perché, se dovessero perire, li

faccia morire da buoni cristiani?” chiese Armida a Gemelli. “Prometta di aiutare me, don

Olgiati e Necchi a fare l‟Istituto superiore di filosofia - le rispose il padre - primo gradino

dell‟Università Cattolica. Anzi, facciamo insieme tale voto se torneremo tutti”10

.

La guerra preoccupava Armida per la sua violenza devastatrice di città e villaggi e soprattutto

di animi. “Durante una gita a Salò accadde qualcosa di inaspettato. Per ripararsi da un

acquazzone, Armida si era rifugiata in un convento della Visitazione e qui una suora, saputo

che la giovane signorina era di Milano, le disse: “Il Sacro Cuore l‟ha mandata. Gesù vuole la

consacrazione dell‟esercito al Sacro Cuore. E vorrei far giungere a padre Gemelli il

messaggio ... perché è lui che deve realizzarlo. Lei, milanese, conosce qualcuno che possa

10

M. Sticco, Una donna fra due secoli, Ed. OR, p. 75.

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trasmettere il messaggio a padre Gemelli?"11

. La parola della piccola sconosciuta suora

divenne subito un fatto. Il messaggio giunse al destinatario e padre Gemelli con la

collaborazione instancabile di Armida e di altre persone a lui vicine mise in atto un

programma capillare per permettere ai soldati che lo desideravano di confessarsi, comunicarsi

e fare la consacrazione al Sacro Cuore.

Le capacità apostoliche e organizzative di Armida emersero in questa occasione in modo

mirabile.

La gioventù femminile

Nel 1917 il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano convocò la Barelli in

arcivescovado. Così ella stessa descrisse l‟incontro: «Recandomi un giorno dal Cardinale egli,

che aveva saputo della mia disponibilità e della nuova carica, mi chiese: “Vuol aiutare il suo

Arcivescovo per un nuovo movimento di gioventù femminile?”. “Volentieri, Eminenza, se si

tratta di un lavoro di tavolino o di beneficenza”.

“No, si tratta di diventare propagandista, di andare nelle parrocchie delle diocesi per chiamare

a raccolta la gioventù femminile e controbattere così, per la difesa e la diffusione dell‟idea

cristiana, la propaganda marxista”.

“Andar fuori di Milano? Parlare in pubblico? No, no, Eminenza, qualunque cosa ma questa

no; questo non è per me ...”. E andai via salutando in fretta e furia per timore di dover fare

quella cosa impossibile di girare per i paesi e parlare in pubblico.

Vidi solo l‟Arcivescovo scuotere il capo e lo udii mormorare amare parole.

Col cuore in tumulto entrai in Duomo: “Sacro Cuore di Gesù, tu sai che io ti amo e vorrei farti

amare, ma quel che mi chiede il Cardinale Arcivescovo è impossibile. Ecco, per mostrarti il

mio amore, appena finita la guerra e tornati i miei fratelli, andrò in convento nelle lontane

missioni: là ti farò amare ...”»12

.

Quando però Armida seppe che in una classe di una scuola milanese, nessuna studentessa

aveva osato testimoniare la propria fede dinanzi ad un insegnante ateo, nonostante la maggior

parte fosse credente e praticante, abbandonò ogni resistenza.

«Quella notte non dormii. Un pensiero mi tormentava: Che sarà delle madri di domani se le

giovani d‟oggi adorano il Signore nella penombra del tempio e lo rinnegano alla luce del sole?

Ha ragione l‟Arcivescovo: bisogna riunirle, istruirle, dare loro la fierezza della fede, per farne

domani delle madri capaci di educare cristianamente i figliuoli.

Tornai dal Cardinale Arcivescovo: “Eminenza, eccomi. Sono pentita di averle detto di no.

Sono pronta a fare tutto quello che lei vuole”»13

.

Armida si mise al lavoro riunendo le giovani delle parrocchie di Milano, organizzando per

loro corsi di cultura religiosa e di dottrina sociale, e impegnandole ad una intensa vita

spirituale e ad un apostolato attivo e di testimonianza nel loro ambiente e nelle loro

parrocchie.

La Gioventù Femminile fiorita a Milano diede a papa Benedetto XV l‟idea di estendere

l‟organizzazione in tutta Italia. Fu abbastanza naturale che a fare ciò fosse chiamata Armida

Barelli. Ancora una volta Armida cercò di sottrarsi ad un compito per il quale si sentiva

incapace. Benedetto XV, che l‟aveva ricevuta in udienza privata, trovò le note giuste per

convincerla. «Non crede che il Signore le darà la grazia di compiere ciò che Egli vuole? - le

dice - e se fosse necessario un miracolo, non crede che il Signore lo farebbe per renderla

adatta alla grande missione alla quale la chiama? Abbia fede, obbedisca, Dio l‟aiuterà, glielo

promettiamo. E non mancheranno aiuti e benedizioni». Armida annoterà in seguito:

11

A. Barelli, La nostra storia, p. 17.> 12

A. Barelli, Ho scritto per voi, Ed. Gioventù, p. 13. 13

A. Barelli, Ho scritto per voi, Ed. Gioventù, p. 14.

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«Scendendo gli scaloni del Vaticano, ebbi la strana impressione di non appartenermi più»14

.

Rivelerà anche che per giustificare il suo diniego aveva espresso al Papa il desiderio di entrare

tra le Missionarie Francescane di Maria. Al che il Santo Padre aveva replicato: «La sua

missione è l‟Italia. Rispondiamo noi a Dio della sua vocazione»15

. Armida che già era cassiera

di Vita e Pensiero, la rivista fondata da Gemelli, e che in questo compito riversava grandi

energie, si buttò a corpo morto nell‟organizzare la Gioventù Femminile in Italia. Lavorò tanto

da cadere seriamente ammalata di tubercolosi. La mamma e le collaboratrici più vicine erano

addolorate e preoccupate.

Armida non voleva interrompere il lavoro per la nascente Gioventù Femminile e chiese al

medico di poter dilazionare di alcune settimane l‟inizio di un periodo di riposo in modo da

poter portare a termine alcune iniziative già programmate. Il medico fu irremovibile e Armida

comprese che doveva obbedire e curarsi. Facendo appello a tutta la sua fede anche in questa

occasione ripetè: “Mi fido di te Signore” e partì per Marzio ove trascorse alcuni mesi di

riposo e raccoglimento. Appena guarita, ritornò a Milano e si dedicò nuovamente all‟azione

apostolica senza risparmiarsi.

La consacrazione a Dio per l’apostolato nel mondo

Nel 1919 Armida Barelli mise un‟altra pietra miliare sul cammino della sua vita. Con altre

undici giovani, costituì il primo nucleo dell‟Istituto secolare delle Missionarie della Regalità

di Cristo. Veniva così a prendere corpo l‟ideale di vita, consacrata totalmente e perpetuamente

a Dio per l‟apostolato nel mondo mantenendo la condizione laicale, secondo la spiritualità

francescana.

Per noi, ora, tutto ciò sembra naturale, ma nei primi anni di questo secolo tale strada era

ancora sconosciuta e incontrava opposizioni nella Chiesa stessa. Consacrazione e laicità

apparivano inconciliabili. L‟accettazione di questa vocazione nuova sconosciuta a lei e alla

Chiesa del suo tempo è segno della sua fede e della sua disponibilità a lasciarsi condurre dal

Signore.16

Con l‟aiuto di padre Gemelli e il consiglio di altri padri francescani, Armida tracciò la prima

“regola” e il gruppo delle “prime dodici” fece la prima professione a San Damiano ad Assisi

nel 1920.

Ecco come lei stessa narrò gli inizi dell‟istituto:

«Durante il mio primo giro in Italia per la fondazione della GF, nel marzo 1919, come già nel

1918 a Milano, spesso qualche anima giovanile mi poneva il problema: “Ci ha talmente presa

l‟anima la GF che vorremmo dedicare tutta la nostra vita all‟apostolato. Non c‟è modo di

consacrarsi a Dio per fare l‟apostolato, restando nel mondo invece di andare in convento?”.

La domanda era così insistente e ripetuta in tutte le regioni d‟Italia, e perciò pensai bene di

sottoporla al giudizio di Sua Santità Benedetto XV.

“Non create monache nella GF; siete laiche e restate tali”, fu la risposta.

“Allora devo dire a quelle che vogliono consacrarsi a Dio che vadano in convento e rinunzino

all‟apostolato nel mondo?” mi permisi chiedere io.

“No, dica di appoggiarsi ai vari Terz‟Ordini ai quali possono appartenere, e formino in essi i

gruppi delle anime che si consacrano a Dio per l‟apostolato nel mondo. Se saranno rose

fioriranno”.

Sorse così il nostro gruppo francescano per l‟apostolato laico con la consacrazione a Dio e

rimase sempre laico. Padre Gemelli ed io nel maggio 1919 ci recammo dal Generale dei

14

Da La sorella Maggiore racconta, Ed. OR, 1981, pp. 14-15. 15

M. Sticco, Una donna fra due secoli, Ed. OR, p. 112. 16

cfr. Armida Barelli nella società italiana, p. 70.

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Minori padre Cimino e gli esponemmo il nostro progetto. Accettò l‟esperimento sotto la sua

guida personale e ci disse di preparare una Regola. Non vi so dire la mia gioia!17

.

Il programma di vita delle missionarie era arduo. Come aveva detto padre Mazzotti, non si

trattava di un francescanesimo letterario. Avrebbero dovuto essere pure come Chiara senza

avere il sostegno e la difesa del convento, distaccate dai beni materiali pur continuando ad

usarli, obbedienti a Dio e alla vita. Nella vecchiaia sarebbero state sole. Queste prospettive

non spensero l‟entusiasmo di Armida che era felice di aver trovato la sua strada dopo tanta

sofferta ricerca.

Le altre attività

Nel 1921 nasceva dopo lungo, intenso lavoro, l‟Università Cattolica, pensata e voluta da

padre Gemelli e sostenuta da Pio XI. Armida Barelli ne era la cassiera. Proprio alla Signorina

Barelli, come tutti ormai la chiamavano, si deve l‟intitolazione al Sacro Cuore. “Deve

chiamarsi Università Cattolica del Sacro Cuore” aveva sostenuto davanti ai fondatori. I tempi

non avrebbero consigliato un simile titolo. Ma lei insistette e fu così.

Dopo l‟Università si moltiplicarono le opere: nacquero i Pensionati universitari nei quali

raccogliere gli studenti e le studentesse venuti da lontano; nasceva l‟Opera della Regalità di

Nostro Signore Gesù Cristo per la diffusione dell‟apostolato liturgico tra il popolo.

Nel frattempo Armida continuava il suo servizio come presidente della Gioventù Femminile

di cui facevano parte migliaia di giovani di tutta Italia. I circoli (così si chiamavano i gruppi

parrocchiali) erano presenti nelle grandi città e nei paesi più piccoli e sperduti. Alcune socie

erano laureate, molte maestre, altre impiegate, sarte, operaie di fabbrica, contadine,

domestiche. Tra di loro crollavano le barriere del classismo, ancora abbastanza forti nell‟Italia

di quel tempo, e c‟era grande spirito di fraternità e di collaborazione.

Armida visitava le socie di tutte le regioni, teneva conferenze, scriveva articoli, organizzava

corsi di esercizi e di studio. Incoraggiava ognuna a dare il meglio di sé apprezzandone le doti

e avendo pazienza con le persone più limitate.

La Gioventù Femminile formò migliaia di giovani a prendere coscienza del loro Battesimo e

ad inserirsi nella Chiesa e nella società come persone responsabili. Migliaia di giovani e, più

tardi, anche di adolescenti e di bambine, furono educate alla fede e alla testimonianza

cristiana; da sole, avrebbero trovato difficilmente la strada di una fedeltà personale e di un

impegno alla causa di Cristo. La Gioventù Femminile le educò ad affrontare cristianamente le

scelte della vita preparandole al matrimonio o alla consacrazione, secondo la chiamata di

ciascuna, e a svolgere il lavoro professionale con competenza e spirito di servizio. Le socie

della Gioventù Femminile non erano aperte solo ai problemi religiosi ma anche a quelli

sociali e politici e vissero consapevolmente le trasformazioni culturali del loro tempo.

La Gioventù Femminile ebbe un enorme impatto sul costume e sulla vita sociale. Seguendo

l‟esempio di Armida, le giovani si rendevano indipendenti dalle famiglie e dalla tradizione per

seguire l‟ideale dell‟Azione Cattolica; imparavano ad organizzarsi e diventavano protagoniste

della loro stessa formazione; anche ragazze di modestissima cultura, imparavano ad assumere

ruoli educativi e di responsabilità; non erano rari i casi di ragazze analfabete che imparavano a

leggere per seguire la stampa dell‟associazione e partecipare con maggior frutto ai suoi corsi

di cultura religiosa e di dottrina sociale; alcune socie lasciarono le loro famiglie, il che per i

tempi era rivoluzionario, per trasferirsi a Milano e dedicare tutto il loro tempo

all‟associazione; spesso lasciarono gli agi e le sicurezze di una casa ricca per vivere in grande

semplicità.

L‟attività dell‟associazione continuò anche in tempo di grande difficoltà nonostante i divieti

del regime fascista e la seconda guerra mondiale. Armida si fidò del Sacro Cuore anche nei

momenti più duri come quando la Gioventù Femminile fu sciolta dal governo fascista e

17

A. Barelli, La nostra storia, Ed. OR, 1972, pp. 30-31.

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quando i bombardamenti rasero al suolo gli edifici dell‟Università Cattolica, la sede della

Gioventù Femminile e la sua casa.

Il fascino della povertà

Armida aveva trascorso la fanciullezza e la giovinezza in un ambiente agiato e pieno di

comodità. Appena intuì la chiamata al servizio della Chiesa e fu attratta dall‟ideale

francescano accettò innumerevoli disagi per adempiere ai suoi doveri di presidente della

Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Viaggiò da sola e sempre in terza classe, attendendo

le coincidenze dei treni nelle sale di aspetto delle stazioni, dormendo in alloggi estremamente

modesti.

Anche il suo appartamento di Milano non aveva nulla di superfluo, pur essendo ordinato e

accogliente.

Armida fu generosa con i poveri e severa con le sue esigenze.

Verso la meta

Nel 1948 dopo tante attese e trepidazioni l‟Istituto delle Missionarie della Regalità di Nostro

Signore Gesù Cristo ricevette il riconoscimento definitivo come Istituto secolare. Fu l‟ultima

grande gioia per Armida.

Nel 1949 cominciò a sentire i primi sintomi del male che l‟avrebbe portata alla morte. Era la

paralisi bulbare progressiva che le tolse la voce. Accettò in francescana povertà questa

menomazione molto umiliante per lei che aveva fatto della comunicazione verbale uno degli

strumenti preponderanti del suo servizio alla Parola di Dio.

Soltanto brevi soggiorni nella casa di Marzio, riuscirono a darle un po‟ di sollievo. Ancora

una volta accanto ad Armida c‟era padre Gemelli con la sua amicizia ruvida. Verso la fine

dell‟estate del 1950 ebbero un incontro; Armida non può parlare, perciò scrive. Armida chiese

al fratello nella fede ma anche allo scienziato insigne: «La mia malattia può guarire

naturalmente o no?». «Nessun medico può dirlo» fu la risposta sincera del Padre.

Nei limiti delle sue forze Armida continuava a lavorare e partecipava alle riunioni della

Giunta amministrativa dell‟Università Cattolica scrivendo i suoi interventi su minuscoli

foglietti di carta.

Con padre Gemelli condivise un ultimo sogno: la facoltà di Medicina, un policlinico nel quale

il rigore della scienza si unisse alla passione cristiana per la persona del malato.

Durante una delle sedute della Giunta, il discorso andò alla facoltà di Medicina:

«Promettiamo al Sacro Cuore - propone un componente della Giunta - che istituiremo la

facoltà di Medicina se la Signorina Barelli riacquisterà la voce». Armida ringrazia,

accompagnando come sempre il ringraziamento con un sorriso; e capovolge la proposta

scrivendo su un foglietto che fa circolare fra i presenti: «Io voglio la facoltà di Medicina e

rinuncio alla voce!»18

.

Il lavoro per l‟Università, per le Opere continuò fino alla fine, fino a poche ore dalla morte. Il

suo interesse, i suoi contatti con i collaboratori erano intanto tenuti vivi attraverso le amiche

più intime.

Durò così fino all‟agosto 1952. Ancora una volta la casa di Marzio l‟accolse. Lì trovò anche

due suore di Maria Bambina. Una era esperta nel massaggio e diede qualche sollievo alla

malata. La fine era però ormai prossima.

Quando Armida comprese di essere giunta alla fine chiese l‟estrema Unzione scrivendo su

uno dei suoi soliti foglietti. Seguì le preghiere con devozione e piena coscienza.

«Con la stessa lucidità ricevette la benedizione papale, offrì la sua vita per la Chiesa e per le

Opere care, salutò i parenti accorsi, ma serenamente “come se avesse dovuto rivederli

18

I. Corsaro, Armida Barelli, Milano 1955, p. 152.

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l‟indomani”, ascoltò la lettura del Passio. In serata arrivò padre Gemelli. Sedette davanti alla

sponda del letto della morente, ma non le parlò di morte.

“Stia tranquilla - le disse - ha superato la crisi di cuore. Forse le rimane ancora molto da

soffrire”. Come d‟ordinario la intrattenne sulle cose dell‟Università e delle altre opere, le pose

questioni su cui gli premeva il suo parere ultimo. Armida rispondeva scrivendo sulla

lavagnetta, senza alcun segno di debolezza o di dolore.

Seguì un lungo silenzio, assorto nel mistero di quell‟ora suprema. Padre Gemelli, sapendo che

la morte era in agguato, non avrebbe voluto lasciare Marzio, ma quando furono le 22, Armida,

sempre pensosa degli altri, fece cenno con la mano che partisse, perché quell‟aria alta poteva

nuocergli al cuore, ed anche perché non doveva tornare troppo tardi a Milano.

“Signorina - disse padre Gemelli alzandosi - io verrò domani alle 7 e celebrerò la Messa qui

nella sua cappella. Se lei sarà ancora viva, - aggiunse con un suo accento scherzoso - sarà la

Messa dell‟Assunta; se no, celebrerò per lei la prima Messa di suffragio”.

Sorridendo Armida accennò di sì col piccolo dito.

L‟alleanza d‟anime cominciata 42 anni prima nel nome della Madonna di Lourdes non

terminò con l‟Assunta: il colloquio sarebbe passato dal tempo all‟eternità»19

.

La Sorella Maggiore si spense nel sonno nella notte del 15 agosto 1952.

Nove mesi dopo, la sua salma fu trasferita dal piccolo cimitero di Marzio a Milano per essere

tumulata nella cripta sottostante la Cappella del Sacro Cuore nella Università Cattolica. La

accompagnarono dodicimila ragazze venute un po‟ da tutte le parti d‟Italia e le note del

Miserere frammiste a quelle del Magnificat.

L‟8 marzo 1960 veniva introdotta, presso la Curia arcivescovile di Milano, la causa di

beatificazione della serva di Dio Armida Barelli.

19

Sticco, Una donna fra due secoli, Ed. OR, pp. 844-845.

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4. Spiritualità e missione di Armida Barelli

Messaggio di vita

La vita e l‟attività della Sorella Maggiore costituiscono un messaggio per noi che abbiamo

seguito la via da lei aperta e vogliamo vivere nel mondo una piena consacrazione a Dio per

una specifica partecipazione alla missione della Chiesa.

Che cosa ci insegna Armida Barelli?

Una vita di fede

La forza con cui andò incontro alle situazioni più difficili, credendo possibile anche ciò che

gli altri ritenevano irrealizzabile, continuando a confidare, anche quando la realtà sembrava

smentire le sue aspettative, non è spiegabile soltanto col suo ottimismo di natura, ma trova la

sua radice nella sua grande fede. Padre Gemelli, nella prefazione alla vita di Armida Barelli,

scritta da Irma Corsaro, sostiene che «se si vuol capire la sua molteplice attività, se ci si vuole

rendere conto della sua fermezza nel perseguire gli ideali, che si era proposta, se si vuol

cogliere il significato dello spirito di sacrificio, con cui si dava generosamente e senza riserve

alle opere amate, è necessario riconoscere che in lei la virtù fondamentale fu la fede». Una

fede illuminata «riscaldata da caldo sentimento» una fede «con solidi fondamenti dottrinali».

Una fede, accolta come dono, ma sostenuta dalla preghiera. L‟ansia dell‟unione con Dio

l‟accompagnò sempre, soprattutto quando gli impegni apostolici assorbivano gran parte del

suo tempo. Di fatto, la Barelli cercò sempre di fare unità fra la preghiera e l‟impegno

apostolico e non pensò mai di poter sostenere la sua attività, senza l‟apporto della grazia da

invocare in spazi di tempo riservati alla preghiera. Certo che il suo spirito di fede l‟aiutò a

vivere in unione con Dio anche in mezzo alle attività, durante i lunghi e faticosi viaggi,

orientando verso di Lui tutto quello che faceva. La gloria del Padre e l‟avvento del regno

sociale di Cristo erano gli obiettivi sempre presenti, così il suo apostolato diventava offerta e

le sue preghiere preannunciavano nel desiderio ciò che avrebbe operato nella concretezza.

Il centro della sua vita spirituale fu Cristo, la via sicura al Padre, ma non tanto il Cristo della

Passione, quanto piuttosto il Sacro Cuore, la fonte dell‟amore e della misericordia. Al Sacro

Cuore si sente di parlare a tu per tu, di esprimere tutta la confidenza e l‟amore, di cui il suo

animo è pieno, di chiedere qualunque cosa con immediatezza. È lei stessa che spiega il suo

orientamento: «noi uomini abbiamo bisogno di parlare al Dio fatto uomo, di stringerci a Lui,

di faticare sotto il suo sguardo, di riposare sul suo cuore. Dio è sì grande che dinnanzi a Lui

nella nostra povera anima il timore potrebbe avere il sopravvento; invece, davanti a Gesù

l‟anima si apre alla confidenza e all‟amore»20

.

Potremmo estendere il discorso sulla centralità del Cristo nella vita della Sorella Maggiore,

parlando del posto che ebbe l‟Eucarestia nella sua esistenza, della gioia che provò quando,

durante la malattia, poté avere la cappella in casa con il Santissimo Sacramento e delle ore che

vi passò in adorazione; o della devozione che coltivò per la Madonna, madre del Cristo,

visitandola nei santuari più famosi. Sarebbe interessante anche seguire ciò che maturò nella

Barelli, quando conobbe l‟enciclica Quas primas e si entusiasmò per il culto del Cristo Re e

diede vita all‟Opera della Regalità. In una commemorazione della Sorella Maggiore, fatta in

anni precedenti, era stato detto che «con la maggior comprensione di Cristo Re dell‟universo,

entrò più decisamente nella teologia francescana il primato del Cristo nella cultura e nella vita

sociale: questo ella volle affermare e a questo dedicò tutta la vita».

20

Voto, p. 139.

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In questo cammino di perfezione le fu da guida sicura padre Arcangelo Mazzotti, che incise

profondamente sulla spiritualità della Barelli, dandole un timbro chiaramente francescano. Il

temperamento di questa donna semplice, lineare, radicale, poteva favorire l‟accoglienza del

messaggio di san Francesco, ma è certo, come risulta dal Processo informativo milanese per la

causa di beatificazione che «le tendenze naturali verso una concezione francescana della vita

spirituale presero forma maggiormente precisa e concreta dal giorno in cui la Serva di Dio

incominciò a lavorare in favore delle opere di padre Agostino Gemelli ed ebbe quale direttore

spirituale padre Arcangelo Mazzotti. La grande fede e il desiderio di conformarsi a Cristo,

secondo l‟esempio di san Francesco, le resero possibile affrontare le sofferenze di tutta la vita

e soprattutto la croce dell‟ultima malattia. Sofferenze personali e familiari non erano mai

mancate nella sua vita, difficoltà di ogni genere si erano susseguite nell‟affrontare gli impegni

poderosi delle opere, ma finché il lavoro sciupava le sue energie ed era sostenuto da una forte

carica di amore e di entusiasmo, pareva che l‟ottimismo potesse prevalere, tanto più che 'la

spiritualità francescana aveva educato la disposizione alla gioia che era in lei'. Ma il Signore

aveva disposto, nel suo disegno di amore, di coronare una vita donata all‟avvento del Regno

con lo spogliamento totale. I viaggi e l‟attività a cui si era dedicata senza sosta, dovettero

cessare; la voce che si era diffusa in tutta Italia per chiamare le giovani ai più grandi ideali,

dovette tacere, mentre la prospettiva del soffocamento e della morte si faceva avanti in modo

sempre più chiaro». Come affrontò la sofferenza questa donna che sembrava destinata solo ad

agire, a costruire, a comunicare? La Sticco ce la presenta come una persona normale che

«aveva paura della croce». Ma ancora una volta la fede trionfò: «il suo abbandono in Dio era

sempre carico di energia volitiva. Provò a misurarsi perfino con la paralisi, ma quando

Armida capì che era inutile, specchiò nel Crocifisso il suo dolore e subito lo sentì

sopportabile, guardò dal suo letto d‟inferma il tabernacolo e le parve che una mano divina la

sostenesse»21

.

Una vita d’amore ai fratelli

La fede e l‟amore per Dio che indusse la Barelli a lasciarsi condurre per strade non sempre

chiare neppure a lei, si trasformò in amore concreto per i fratelli. La sua dedizione all‟avvento

del Regno divenne opera di rinnovamento sociale e di promozione della donna. Infatti la

Sorella Maggiore non si è limitata a realizzare se stessa, al di fuori degli schemi del suo

tempo, ma creò nuove possibilità per le giovani di tutta Italia, liberandole da difficili

situazioni ambientali e immettendole nel vivo dei problemi della Chiesa e della società. Seppe

lavorare in collaborazione con le persone più intime e le masse più estese, con la capacità di

intrecciare la sua creatività con quella di tante amiche e discepole. Il suo fu un cammino

quotidiano dentro le cose della vita comune, di tanta gente, di tante donne, vissuto sempre in

rapporto con Dio, senza mai estraniarsi dalla realtà del mondo. Il suo fu un cammino percorso

con gli altri, a servizio degli altri. Sorelle considerava le collaboratrici, partite spesso dalla

propria casa, dove non mancavano le agiatezze, per dedicare il loro tempo e le loro energie ai

grandi ideali che la Barelli aveva loro presentato. Sorelle erano le responsabili della Gioventù

Femminile e tutte le socie sparse in tutta Italia, legate da una fraternità che superava ogni

divisione di classe, ogni frattura tra nord e sud. E all‟interno dell‟Istituto, il legame di affetto,

che univa la Sorella Maggiore alle sorelle d‟ideale, fu particolarmente forte ed ebbe il timbro

della fraternità francescana.

Tale orizzonte così vasto potrebbe far pensare che la Barelli, immersa in questa molteplicità di

rapporti, avesse acquistato un modo di amare vero, ma poco personalizzato, un‟esperienza di

carità, fondata sulla fede, ma spoglia di quell‟immediata spontaneità che dà calore. In realtà

Armida Barelli, nell‟estensione non perdette l‟intensità, nel sopranaturalizzare tutto, non

21

M. Sticco, Una donna fra due secoli, Vita e Pensiero, 1967, pp. 879-881.

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distrusse nulla di quello che era in lei genuinamente umano. Lo provano tanti aspetti della sua

vita, ma in particolare gli intensi rapporti con i numerosi familiari e le forti amicizie.

Mi riferisco in modo specialissimo all‟amicizia che ebbe con la marchesina Teresa

Pallavicino e a quella con padre Gemelli. La prima è la testimonianza di un rapporto fraterno,

vissuto con tutta la spontaneità del sentimento, ma inserito in una cerchia vastissima di altri

rapporti e orientato continuamente verso l‟amore di Cristo e l‟avvento del suo Regno. Quanto

all‟amicizia eccezionale con padre Gemelli, documentata dall‟intensità e dalla continuità del

lavoro portato avanti insieme per 42 anni e dall‟influenza spirituale reciproca, è stata così

definita dal Cardinale Piazza: «esempio magnifico di collaborazione fra la donna di spirito

apostolico e il sacerdote maestro e guida sapiente, nell‟attualità complessa del nostro secolo,

tale da ricordare altre collaborazioni storiche da cui nacquero nella Chiesa opere di istituzioni

mirabili a gloria di Dio e a bene di innumerevoli anime»22

.

Mina Poma

22

A. Barelli, La nostra storia, prefazione, Ed. OR, 1972.

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Parte seconda

GLI SCRITTI

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Nota introduttiva

La maggior parte dei testi di questa sezione sono stati scelti da quelli di padre Gemelli per

l‟Istituto. Nella prefazione a Il Padre ha detto troviamo come nacquero queste raccolte di

scritti.

«In quel tempo la Sorella Maggiore diceva a padre Gemelli:

“Bisogna che lei raccolga le sue circolari alle Missionarie e le pubblichi in un volume”.

“Si fa presto a dire! - rispondeva il Padre - Non è un lavoro semplice come lei crede!

Scegliere, ordinare, sfrondare, correggere ... Lo farò, quando avrò tempo”.

Ma il tempo non l‟aveva mai, e la Sorella Maggiore insisteva:

“Assolutamente bisogna pubblicare questa raccolta per le Missionarie di domani”.

“Non ho tempo”.

“Si decida. Il tempo lo troverà. Lei dice sempre che il tempo si trova, quando si vuole”.

“Ma non vede quanto lavoro ho?”.

“Vuole l‟aiuto di una Missionaria?”.

“Intelligente, però, e svelta”.

“Irma Corsaro: le va?”.

Padre Gemelli acconsentì e Irma, seguendo le sue direttive, ricavò dalle circolari indirizzate

alle Missionarie della Regalità una specie di antologia, che uscì nel 1944 con il titolo Gli

insegnamenti del Padre.

Intanto la nostra famiglia spirituale si era accresciuta e articolata anche nei due rami maschili,

e padre Gemelli verso il 1948 cominciò a scrivere circolari valevoli per Missionari e

Missionarie. Due anni prima di morire, le scelse e le ordinò personalmente in un volume che

porta lo stesso titolo del primo, ma che ha ben altro spessore, in quanto risponde ad un suo

disegno storico, teologico, ascetico. Il Padre ne corresse le bozze fra il maggio e il giugno

1959, fino si può dire, alla vigilia della morte, come se avesse voluto lasciarci la formulazione

compiuta ed autentica del suo ideale.

Quelle pagine, corrette in una stagione di lunga agonia e sigillate dalla morte, hanno un

carattere sacro e rimarranno fondamentali per i tre istituti dei Missionari della Regalità di

Cristo».

Per quanto riguarda Armida Barelli, la maggior parte dei brani riportati è tratta da una raccolta

di brani delle sue lettere intitolata La sua voce pubblicata nel 1978.

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1. L’Istituto Secolare delle Missionarie

Dagli scritti di padre Gemelli

È utile dire una parola su quelle che sono state le origini dei nostri istituti. Rievoco alcuni

fatti, non per fare della storia, ma perché ne potrete cavare alcuni insegnamenti fondamentali

per la vostra vita.

Terminata la prima guerra mondiale, fu imposto ai Religiosi di trascorrere quindici giorni in

sacro ritiro per rimettersi nella condizione di vivere la loro vita religiosa, che è vita di distacco

totale dal mondo per attendere alla perfezione interiore. Io chiesi ed ottenni di trascorrere

questo periodo ad Assisi, nel convento di San Damiano e mi fu concesso anche di allungare

quel periodo di tempo quanto lo avessi ritenuto necessario. Furono circa tre mesi, i mesi più

belli della mia vita di religioso, paragonabili a quelli del Noviziato ...

Ad Assisi il mattino era dedicato alla preghiera e alla lettura delle opere dei santi francescani;

il pomeriggio, mi recavo nell‟uno o nell‟altro Santuario e vi passavo il tempo, sia pregando,

sia leggendo autori francescani.

Incominciai ad amare quei santuari, ove la povertà regna signora, ove il ricordo dei primi

compagni di san Francesco è vivo; imparai ad approfondire la mia conoscenza della storia

francescana dei primi secoli. Era logico che nel mio animo fossero presenti le condizioni del

mondo del nostro tempo e si ponessero i problemi dell‟apostolato. Le condizioni particolari

nelle quali vissi la prima guerra mondiale, grazie all‟aver appartenuto al Comando Supremo,

mi hanno dato modo di conoscere un mondo religioso, politico, sociale italiano, che prima

non conoscevo. I viaggi nei Paesi alleati mi permisero di estendere le mie conoscenze di

uomini e di istituzioni. Nel raccoglimento di San Damiano, in quel coretto, così ricco di

memorie di san Francesco e di santa Chiara e dei primi loro compagni, era facile il riflettere.

Fu così che sorse nell‟animo il pensiero di costituire un gruppo di Terziarie, consacrate a Dio,

e preparate in modo di andare per il mondo a portare l‟esempio di una vita vissuta secondo la

regola primitiva dei Terziari.

Ad un certo momento - dopo i primi due mesi del mio ritiro - mi fu di grande aiuto Armida

Barelli.

Alcune conversazioni nel coretto di santa Chiara ci persuasero della necessità di un apostolato

soprannaturale per ricondurre gli uomini a Gesù Cristo. È questo il periodo, nel quale

incominciò a concretizzarsi l‟idea della Università Cattolica ed il proposito di fondare la

Gioventù Femminile di Azione Cattolica; mentre a Milano, grazie alla protezione del Cardinal

Ferrari, si inserì l‟idea di quel primo gruppo di Terziarie della Regalità di Cristo. Un anno

dopo, le prime dodici erano riunite nel coretto, profumato dalle fronde con le quali era stato

ornato, e consacravano la propria giovinezza a questo ideale. Ne è ricordo il plinto dell‟altare

maggiore della chiesetta di san Damiano, che reca una iscrizione che ricorda il dono fatto da

queste Terziarie in quella data per loro memorabile. Ci vollero anni numerosi, dolori non

piccoli, delusioni amare per giungere al 1945, quando la nuova fondazione ebbe la prima

approvazione da parte della S. Congregazione del Concilio e poscia alla erezione dell‟Istituto

delle Missionarie della Regalità di N.S. Gesù Cristo, secondo le norme della Costituzione

Provida Mater Ecclesia emanata nel 1947. Ma le prime Missionarie ed io non dimentichiamo

quei giorni, quel programma, (quella decisa volontà), ossia il germe di un‟opera che Iddio in

modo evidente benedì (Gli insegnamenti del Padre, pp. 62-64).

Si tratta infatti di porre a servizio della Chiesa uomini e donne che non hanno convento, non

cella, non casa, non difesa di abito, non tutele di comunità; che continuano a vivere nella

famiglia naturale e nel loro ambiente sociale.

Si noti: la famiglia e l‟ambiente sociale per costoro possono diventare occasione di sofferenza

più che di conforto, poiché dando se stessi al servizio di un ideale vengono talvolta allontanati

spiritualmente dai loro cari, dal loro mondo, anche perché le rinunzie alle quali si obbligano

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per desiderio di perfezione riescono incomprensibili agli uomini del mondo. Essi possono

anche venire esposti al disprezzo di chi non sa il segreto della loro dolce ed ineffabile

consacrazione a Dio.

Debbono costoro vivere nel mondo, accanto a tutto ciò che è legittimamente desiderabile:

famiglia, lavoro libero, ricchezze oneste, posizione conquistata a prezzo di fatica, ma non

possono nulla desiderare e nulla fare per il proprio vantaggio. Debbono difendersi da tutte le

seduzioni e da tutte le avversioni vivendo nel mondo; nella lotta contro il mondo e contro le

passioni hanno solo l‟aiuto della propria vocazione di apostolo e di quanto la loro vocazione

dà diritto ad avere. Si trovano soli tra i pericoli che il mondo presenta, molte volte soli anche

nel lavoro, ciascuno svolgendo un compito che, con iniziative proprie e forze proprie, deve

essere portato al massimo svolgimento. E ne deve essere ciascuno responsabile. Ciascuno di

costoro è tanto più responsabile, quanto più solo, non sorvegliato, libero. Il compito che

ciascuno ha non è collettivo, né sussidiato, né riparato dalla collettività. È evidente che questa

quasi incontrollata libertà esige il perfetto dominio di sé, la più ferma virtù, la più alta e

fervente fedeltà all‟ideale ...

È questa forma di vita, in apparenza più facile, ma in sostanza difficilissima, possibile? Da

sottolinearsi che la responsabilità che i membri degli istituti secolari assumono di fronte a

Dio, alla Chiesa e alla loro stessa coscienza implica una fedeltà libera, ma costante,

l‟obbedienza di costoro ad una regola o ad una norma di vita senza il controllo continuo di un

superiore, richiede una fermezza d‟animo a tutta prova; la necessità di trovare in ogni

circostanza della vita, la soluzione migliore di un problema o di una situazione senza ricorrere

alla parola incitatrice di un superiore che assuma il peso di una decisione, richiede una tale

fermezza d‟animo, una tale intelligenza, una tale preparazione da far pensare che questa forma

di vita pure bellissima, è però, come dicevo dianzi, un sogno, nient‟altro che un sogno (Gli

insegnamenti del Padre, pp. 34-36).

Ricordate che il Sodalizio non è un comodo rifugio spirituale creato per i nostri bisogni

materiali e spirituali; non è nemmeno il sostituto di una Congregazione o di un Ordine

religioso con il duplice vantaggio di non esigere la vita conventuale e di non mettere i sudditi

a portata di mano dei Superiori, non è una difesa per le anime paurose e deboli (Il Padre ha

detto, p. 26).

I nostri tre Istituti devono avere una fisionomia, anzi debbono conservare, per opera di

ciascuno dei suoi Sodali, quella fisionomia che, attraverso numerosi anni di vita e di

esperienze, si è andata di mano in mano formando. Essa è frutto della Grazia e dell‟opera di

Dio, che si è servito anche di uomini, ma soprattutto ci ha fatto comprendere la Sua volontà

attraverso gli eventi. Tutta questa somma di esperienze costituisce una tradizione preziosa.

Noi ne abbiamo una che si è lentamente formata dal 1919 in modo progressivo. Vi è però il

pericolo che, pur avendo i primi Sodali conservato per voi tutta questa spiritualità

dell‟Istituto, le nuove reclute, per non aver vissuto, come i primi, i dolori e le prove attraverso

i quali l‟Istituto ha acquistato la sua fisionomia, a poco a poco lascino perdere questa

fisionomia o almeno lascino attenuare e svisare alcuni particolari. Sarebbe un vero danno;

sarebbe perdere il carattere nostro specifico e confondersi con altri organismi più o meno

simili. E poiché il pericolo sta dalla parte dei più giovani sodali, raccomando a questi di

seguire l‟esempio dei sodali anziani e di imparare da loro ciò che è la vita del loro Istituto.

In conformità ai concetti fondamentali dei documenti pontifici che hanno istituito gli Istituti

secolari, i nostri Istituti non sono un ordine, non sono una congregazione, non sono una

confraternita. Sono una unione di uomini e di donne che vogliono penetrare negli strati vari

della società contemporanea per portarvi Gesù Cristo, vivendo la vita della società alla quale

appartengono. Poiché la società rigetta coloro che essa conosce come apostoli, in quanto la

loro voce suona richiamo alla partecipazione al sacrificio, così si è resa evidente la necessità

che coloro i quali penetrano nella società per portarvi la parola di Dio e i suoi insegnamenti si

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pongano nelle condizioni sociali stesse di coloro ai quali vogliono far arrivare la loro parola; è

necessario perciò che si facciano operai con gli operai, maestri con i maestri, professionisti

con i professionisti, signorine con le signorine, sacerdoti fra gli altri sacerdoti, ecc. Questa

non deve essere però una camuffatura esterna; deve essere un accettare quella determinata

condizione sociale, nella quale Iddio ha collocato ciascuno, come mezzo e strumento di

apostolato, così da poter parlare a coloro che Iddio pone sulla nostra via un linguaggio che

essi comprendano, e da essere loro di esempio nella vita che debbono condurre mostrando con

i fatti che nella loro condizione sociale è possibile ciò che si chiede loro, cioè una vita

cristiana.

L‟Istituto è unione di sodali che non hanno vita comune, ma che vivono dove l‟apostolato lo

richiede, accettando la responsabilità di essere soli in mezzo ai pericoli, come apostoli del

Vangelo.

La dottrina della Regalità di Cristo, non è per il nostro Istituto una appiccicatura, un titolo, un

nome. Essa ci insegna che Cristo è il centro di tutto l‟universo e che noi dobbiamo operare per

condurre tutti a Gesù Cristo Re, legislatore, giudice, maestro, principio e fine della nostra vita

(Gli insegnamenti del Padre, pp. 66-68).

La società contemporanea è malata di mancanza di vita soprannaturale; ci vogliono anime che

la salvino buttandosi in mezzo ad essa, vivendo la vita che vivono tutti gli uomini di questo

mondo, lavorando con essi, come essi, con essi soffrendo e facendo la strada con essi, così da

penetrare in ogni condizione sociale, in ogni ambiente, in ogni forma di attività, in ogni

condizione di vita, dappertutto per portare a tutti l‟esempio dimostrativo di che cosa è la vita

soprannaturale, per recare e donare la vita soprannaturale a chi muore di inedia per mancanza

di essa. In una parola, i Missionari debbono essere gli strumenti per rendere di nuovo

soprannaturale la vita della società moderna e debbono far questo con l‟esempio, con la

parola, con l‟aiuto, con il mettersi a fare al posto di chi dovrebbe fare e non fa, aiutando chi

non sa fare, spingendo i pigri, illuminando chi non vede, in una parola facendo tutto quello

che è possibile e anche quello che è impossibile perché Gesù Cristo sia maggiormente amato

in ogni casa, in ogni officina, in ogni scuola, in ogni stato sociale, in ogni ambiente, e per

mezzo vostro parli a tutti: a chi lo vuole ascoltare e a chi lo rigetta, a chi crede che Egli è il

Figlio di Dio venuto in terra per salvare gli uomini e a chi non lo crede (Gli insegnamenti del

Padre, pp. 75-76).

Caratteristica dei nostri tre Istituti è che non hanno, a differenza di altri Istituti religiosi o

secolari, una o più Opere da servire. Coloro che si prefiggono di servire una o più Opere ben

determinate fanno bene, perché attuano un loro programma o di insegnamento o di carità

materiale, o di altra forma, nella quale si è realizzata l‟attività di questi organismi.

I nostri tre Istituti invece non hanno un proprio specifico compito da assolvere, non hanno

un‟opera comune da promuovere; essi sono stati concepiti per elevare, aiutando i singoli

sodali nella loro vita spirituale, e per metterne l‟attività al servizio della Chiesa in tutte quelle

attività che essa promuove (Gli insegnamenti del Padre, p. 277).

Dagli scritti di Armida Barelli

La nostra vocazione è quanto mai ardua: siamo nel mondo senza essere del mondo: vivere nel

secolo ed essere anime consacrate a Dio (La sua voce, p. 55).

Il Regno di Dio deve essere per tutte noi, la nostra passione e lo scopo di tutti i nostri sforzi ...

Le Missionarie devono volere e amare il Regno di Dio (La sua voce, p. 64).

Non saremo vere Missionarie della Regalità di Cristo se non stabiliremo il suo Regno in noi

(La sua voce, p. 56).

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Con Maria vivere nella verità, camminare nella bontà, consumarci nella carità.

La Missionaria della Regalità non può non avere una devozione ardentissima per Colei che la

Chiesa onora quale regina del cielo e della terra. Ella ci ha portate nella vocazione particolare

alla quale siamo chiamate e ci insegna in qual modo dobbiamo estendere in noi e fuori di noi

il Regno del suo Figlio divino (La sua voce, pp. 46-47).

Se non posso più parlare, posso però pregare, pensare, amare, scrivere e dirigere le opere. E

ringrazio Dio (La sua voce, p. 71).

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2. La spiritualità francescana

Dagli scritti di padre Gemelli

Cosa può darci il francescanesimo?

Quello che ci manca e che il progresso meccanico esteriore dei nostri giorni è incapace di

creare, ossia il mezzo per guarire dal male che il veleno del nostro tempo ci ha posto nelle

vene. La fede assoluta nelle nostre forze, la febbre del lavoro, l‟appagamento del presente, il

disprezzo del dolore e della morte, che sono la conquista delle anime moderne, celano

un‟insoddisfazione profonda che tutto il comfort non vale a distruggere. Questa

insoddisfazione non è certo una novità del tempo nostro, ma nel nostro tempo è più

impressionante, perché in contrasto con le conquiste che il progresso attuale vanta (A.

Gemelli, Il francescanesimo, p. 399).

San Francesco può ricondurre anche oggi gli uomini a Cristo, perché la sua spiritualità offre

una speciale, diretta risposta ad alcuni problemi della coscienza moderna, i quali sono:

l‟inquietudine interiore, la crisi della libertà, la tendenza all‟azione, l‟inseguimento della

felicità (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 401).

A comprendere questa spiritualità, sono necessari due mezzi: primo, porsi da quel punto di

vista soprannaturale dal quale si è posto san Francesco; secondo mettersi a meditare gli scritti

di san Francesco (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 403).

Ricca dunque da abbracciare le tendenze più diverse, la spiritualità francescana è però

semplicissima. È il Vangelo in atto. Non è una pagina più che un‟altra del Vangelo; non

Maria più che Marta; non il Maestro più che l‟operaio; non il solitario più che l‟apostolo, ma

tutto il Vangelo, secondo tutte le manifestazioni della vita (A. Gemelli, Il francescanesimo p.

423).

Così la spiritualità francescana si compendia in una estrema, totale imitazione di Cristo; il

Francescano non si dovrebbe distinguere dagli altri Cristiani se non per una maggiore

aderenza alla vita del Signore; tanto che non si parla d‟imitazione, ma di conformità. Se di

fatto l‟ideale non si raggiunge mai, esso alimenta la disposizione dell‟anima a conformarsi a

Cristo non in una parte piuttosto che in un‟altra della Sua vita, ma in tutte; non un pensiero,

non un atto possono sfuggire a questa imitazione, che del resto deriva spontaneamente dalla

preghiera e dal desiderio di Dio (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 406).

L‟anima della spiritualità francescana è sicuramente l‟amore penitente e concretamente

operoso, ma la sua manifestazione più originale è questo amore di povertà, questa povertà

innamorata, allegra, da poeta, che non ha pari nella storia della civiltà (A. Gemelli, Il

francescanesimo, p. 440).

Uno spirito francescano custodisce in sé l‟atteggiamento del mendicante con il ricordarsi che

è minore di tutti, ha bisogno di tutti, deve essere riconoscente a tutti. Ma non in astratto; egli

chiede sempre qualche cosa, un consiglio, un‟idea, un aiuto, un sorriso, una preghiera,

ricordando che anche i meno dotati dalla natura o dalla fortuna possono avere alcunché che a

lui manca; anche i cattivi sono, per qualche aspetto, migliori di lui; egli si compiace con

infinita dolcezza di sentirsi minore (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 444).

Come vi ho ricordato l‟Istituto è nato nel coretto di San Damiano ad Assisi, ove sono nate le

più grandi opere francescane... Dobbiamo aggiungere che, data la fisionomia dell‟Istituto, la

spiritualità francescana le è particolarmente adatta, poiché nulla vi è di più francescano di

questo penetrare nella società stessa nei suoi vari strati ponendosi al livello della condizione

di altri uomini per dire la parola di Dio. Questo fu l‟ideale al quale obbedì san Francesco,

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mentre prima di san Francesco i Religiosi si erano chiusi nei monasteri per difendervi i tesori

di fede e di scienza, all‟aprirsi dei tempi nuovi san Francesco, con cui ha inizio il

Rinascimento, uscì coi suoi figli dai conventi, anzi non volle nemmeno i conventi, andò in

mezzo al mondo; andò ad abitare negli ospedali, nei lebbrosari, nei tuguri dei poveri, chiese

ospitalità ai ricchi, ai prelati, sedette alla mensa dei potenti e sedette sui gradini di una chiesa

con il povero che viveva di elemosina, e fece così per dire a tutti la parola che Egli, come

Araldo del Gran Re, doveva dire a tutti. Questo che fu l‟ideale di san Francesco è pure l‟ideale

al quale dovete attendere voi (Gli insegnamenti del Padre, pp. 68-70).

La passione, la croce, la morte di Gesù Cristo ci insegnano che noi non possiamo imitarlo se

non ci mettiamo per la stessa via, ossia se non prendiamo in spalla la nostra croce e se non

accettiamo i dolori che Dio permette per il nostro bene. I dolori, accettati serenamente,

purificano l‟anima; la croce portata per seguire Gesù Cristo ci ottiene il perdono dei peccati.

Per vincere il nostro io, le nostre passioni, le nostre debolezze morali, occorre la sofferenza (Il

Padre ha detto, pp. 90-91).

San Francesco ha introdotto nel mondo una maniera di vivere la vita cristiana che ha alcuni

caratteri inconfondibili ...

A mio modo di vedere, san Francesco è riuscito a mostrare che la vita soprannaturale alla

quale siamo stati ricondotti per virtù del Battesimo non è qualche cosa di aggiunto o di

sovrapposto alla vita naturale o, peggio ancora, non è una vita che distrugge o nega questa ...

San Francesco ha insegnato a vivere in modo da elevare al fine soprannaturale la vita naturale

e i doni naturali. Perciò san Francesco non ha scritto nessun trattato; chi volesse conoscere san

Francesco attraverso i suoi scritti resterebbe deluso. Egli ha vissuto il Vangelo alla lettera ed

ha insegnato molto più con l‟esempio che con la parola. Perciò è importantissimo conoscere la

vita di san Francesco dai suoi primi figli; dai loro atteggiamenti, dalle loro azioni, è facile

ricavare come deve essere la nostra vita nelle varie circostanze ...

Leggendo i Fioretti ci si accorge che la compassione per gli umili, la bontà per i peccatori, la

carità per i sofferenti, la dolcezza con tutti, l‟asprezza del giudizio sui superbi e i prepotenti,

mostrano in san Francesco un uomo, che, benché elevato allo stato soprannaturale, è uomo,

sempre uomo, e adopera le sue qualità ed attitudini naturali per attuare il disegno

soprannaturale che Iddio ha concepito su di lui (Il Padre ha detto, pp. 187-188).

La carità ha un doppio oggetto: Dio e il prossimo, per quanto questi due oggetti non ne

formino che uno solo, poiché noi dobbiamo amare le creature in quanto sono un‟espressione,

un riflesso della perfezione divina ...

Ma con la carità, per la virtù dell‟amore del prossimo, noi dobbiamo trasformare il vincolo

dell‟amore in azione; perciò dobbiamo confortare tutti gli uomini, medicare le loro ferite,

partecipare ai loro dolori, aiutarli a portare il fardello dei pesi della vita, sospingerli a mirare

al fine soprannaturale della vita umana. Questa azione si estende a tutti gli uomini, senza

accettazione o discriminazione di alcuni, senza guardare a ciò che gli uomini sono o fanno

nella vita ed anche quando in essi vi sono atteggiamenti o parole che sembrano dover arrestare

o soffocare l‟amore per il prossimo (Gli insegnamenti del Padre, pp. 269-270).

Per le anime che vivono negli Istituti secolari, qualunque sia la spiritualità che essi scelgono,

penso che la norma francescana sia la più idonea. Ricordate che Pio XII ha insegnato che i

membri degli Istituti secolari debbono vivere nel mondo, al quale non appartengono, per

esservi fermento di vita nuova e lume che irradia luce. La dottrina francescana, ponendo al

centro di tutto Gesù Cristo, insegna a coloro che vogliono seguire il cammino della perfezione

a porsi Gesù Cristo come modello ...

L‟uomo che vuole essere perfetto, deve fare quello che deve fare ogni cristiano, cioè vivere in

Gesù Cristo, con Gesù Cristo, per Gesù Cristo. State attenti alla precisazione: questo vivere in

Gesù Cristo, con Gesù Cristo, per Gesù Cristo che ciascun cristiano deve realizzare, ciascuno

lo deve realizzare secondo il modo nel quale Iddio l‟ha posto nel mondo a vivere e ad operare

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per esservi modello; ciascuno lo deve realizzare secondo la propria misura, ossia secondo i

doni avuti da Dio, secondo la chiamata di Dio. Ma non lasciatevi illudere da false immagini,

da sogni senza concreto contenuto; non cercate Gesù dove non c‟è; ricordate il tipico episodio

di san Bernardino, francescano perfetto, che prima di cominciare la vita di perfezione si illuse

di trovarla nel digiuno e nel mangiare un‟erba amara. Non illudetevi. Nell‟Istituto secolare nel

quale siete entrati per vocazione, vivete la vita di perfezione, ossia in castità, in povertà, in

obbedienza nel modo che per voi è quello assegnatovi da Dio, ossia il maggiore secondo la

vostra statura spirituale. Ancora: poiché il Cristo è il primo predestinato, ha su tutte le creature

un primato universale; ne segue che tutte le creature debbono appartenere a Lui ed essere

orientate a Lui. Nulla vi può essere al mondo di sottratto a Gesù Cristo; non lo è nemmeno il

mondo pagano; non lo è nemmeno il mondo che si ribella a Lui, che Lo bestemmia, che Lo

nega. Gesù è re universale. Tutto è nel Cristo e per mezzo del Cristo, tutto è in Lui unificato e

convergente nella carità, amore di Dio per gli uomini e degli uomini per Iddio (Gli

insegnamenti del Padre, pp. 387-389).

Il francescano è lieto, sempre: non mette il viso a lutto e non piglia atteggiamenti da funerale.

Non che non soffra, anzi soffre e soffre molto per sé e per gli altri, ma innanzi tutto ha il

pudore di non mettere fuori ciò che deve stare dentro; poi attinge da san Francesco una grande

sapienza: una fiducia illimitata nella Provvidenza, fiducia che fa mutare le lacrime in sorriso,

talvolta anche in riso dolce, venato un poco di melanconia; ma in fondo sorride sempre ed è

sempre lieto; ha sempre la letizia nel cuore perché è fiducioso in Dio; il francescano è sereno

perché, da tutto, anche dal male, cava il bene; è sereno perché è ottimista sempre, in ogni

circostanza, contro tutti i profeti del malaugurio; è ottimista saggio, temperato ed intelligente

(Il Padre ha detto, pp. 193-194).

Dagli scritti di Armida Barelli

Nell‟imminenza della festa del nostro Serafico Padre non posso fare a meno di chiedere ad

ognuna: «Lo conoscete? Lo amate? Lo imitate? Lo invocate?». La nostra bella spirituale

famiglia è nata a San Damiano dove sbocciò il francescanesimo. Siamo vere Missionarie della

Regalità di Cristo in proporzione al nostro spirito francescano.

«Di san Francesco - dice Maria Sticco - si parla molto, si conosce poco, si imita meno. Ma

avvicinarlo in spirito di fede è sempre salire verso Dio». Io aggiungo che ciò si deve fare

seguendo la via dell‟amore e del sacrificio. La sua preghiera alla Verna: «Dammi di amare

come Tu amasti e di soffrire come Tu soffristi» riesce forse difficile. Noi vorremmo amare

nella gioia dell‟amore; quaggiù bisogna amare sino a rendersi simili a Gesù Crocifisso come

ha fatto san Francesco.

Chiediamogli di ottenerci il suo amore per Gesù, allora non temeremo le croci e aiuteremo i

nostri fratelli a portare la loro.

Ricordate che l‟amore serafico non è sentimentalismo, ma concretezza; esclude gli interessi

personali per abbracciare quelli di Gesù; lotta per estinguere il male fino alla radice; purifica

con dura penitenza l‟anima da tutti i suoi difetti; si sforza di camminare con rettitudine e

semplicità sotto lo sguardo di Dio; tiene sempre accesa la lampada della fede e dell‟amore per

presentarsi allo Sposo, quando verrà.

Non si può essere francescani senza una vera devozione alla Vergine. I francescani hanno

sempre amato Maria con tenerezza profonda e con piena fiducia. Noi dobbiamo riconoscere,

come veri figlioli di san Francesco, che tutte le grazie ci sono venute tramite la Madonna (La

sua voce, pp. 49-50; 47).

Unire la vita contemplativa (amore di Dio) alla vita attiva (amore del prossimo): ecco la

vocazione francescana che ripete quella di Cristo che è glorificare il Padre e salvare le anime

(La sua voce, p. 54).

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3. La missione

Dagli scritti di padre Gemelli

Il lavoro, per un cristiano che voglia seguire Gesù secondo lo spirito francescano, assume una

grande importanza. Non solo il lavoro ha di per sé uno scopo, ma assume valore e significato

dallo spirito con cui viene eseguito.

Innanzi tutto esso è un mezzo per cooperare, per quanto indegnamente, ai disegni

provvidenziali del mondo.

In secondo luogo è un mezzo per l‟esercizio delle virtù, in quanto il lavoro, creando

particolari difficoltà, ci pone in condizioni di esercitare le singole virtù.

In terzo luogo la parola lavoro, dovendo essere assunta in senso amplissimo, ossia di esercizio

dell‟attività umana in tutte le sue forme, sintetizza un aspetto dello spirito francescano, che è

spirito di attività spirituale ...

Dobbiamo lavorare negli svariati campi nei quali la Provvidenza ci ha collocati per cooperare

alle sue manifestazioni nel mondo. Come creature dobbiamo rivelare agli uomini le

meraviglie e le misericordie del Signore, e per questo niente è più efficace che lavorare come

gli altri, ma per uno spirito e per una ragione tanto diversi, da lasciar scorgere in noi un

movente soprannaturale che ci anima e ci sospinge ...

Infine lavoriamo per unire il canto della nostra operosità a quello di tutte le creature

dell‟universo, e in questa guisa lodare il Signore nella sua magnificenza e nella sua

misericordia (Il Padre ha detto, pp. 15-16).

Nessuna di voi è entrata nell‟Istituto per la ragione che non è potuta entrare in convento; il

Sodalizio non è un sostituto del convento; certe vaghe e irreali aspirazioni alla quiete della

vita del convento o alla immolazione nei paesi di missione, sono sterili fantasie. Ciascuna di

voi è una laica che il Signore ha chiamato con altri laici a collaborare con i Sacerdoti per

estendere il Regno di Cristo in questo mondo moderno civile, che è il nostro tormento e la

nostra gioia; il nostro tormento, perché tanto lontano da Gesù Cristo, nostro Re; la nostra

gioia, perché è il campo ove possiamo fare conquiste per il suo Regno (Il Padre ha detto, p.

149).

I primi francescani non salivano in cattedra ma si mettevano alla pari, meglio, un gradino più

giù degli uomini che volevano convertire. Essi raggiungevano il loro scopo non con un

deliberato dominio sociale o intellettuale sugli altri, ma come i bambini, con una completa

dipendenza; prendevano parte al lavoro giornaliero con i contadini, o nelle case dei contadini,

e dipendevano da loro per il pane quotidiano. Si facevano figli del popolo, mentre erano gli

apostoli di una nuova vita religiosa, e la loro presenza permeava il territorio e portava un

nuovo elemento nella vita della comunità e di ogni focolare. Edificare servendo, convertire

ubbidendo, predicare tacendo, se non è tutto il metodo dell‟apostolato francescano, certo ne è

il sostrato indispensabile praticabile da ognuno in qualunque luogo. (Il Francescanesimo, p.

521).

Insegna Pio XII: «... Tutta la vita dei membri degli Istituti secolari, che è consacrata a Dio per

la professione della perfezione, deve tradursi in apostolato, e questo apostolato per purezza di

intenzione, per l‟interiore unione con Dio, per la generosa dimenticanza e la forte abnegazione

di sé, e per l‟amore alle anime, deve essere esercitato sempre e santamente, in modo tale che

esso scaturisca dallo spirito interiore che lo informa, e nel medesimo tempo continuamente

alimenti e rinnovi questo stesso spirito».

Questo passo merita un commento; prima però è necessario ricordare un altro passo, che sotto

altro aspetto richiama la secolarità. Pio XII insegna: «... Questo apostolato degli Istituti

secolari deve essere esercitato fedelmente non solo nel mondo, ma anche, per così dire, coi

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mezzi del mondo, e perciò valendosi delle professioni, delle attività, delle forme, dei luoghi e

delle circostanze che rispondono alla condizione secolare ...»

Gli Istituti secolari sono costituiti per servire la Chiesa, nel mondo, in tutte le forme che le

vicende del mondo rendono attuali, a seconda delle circostanze.

Perciò raccomando a tutti voi di non volervi fissare su un‟opera, ma di avere sempre il cuore e

la mente, soprattutto la vostra attività, aperti su tutto il mondo, a tutti gli uomini, per agire là

dove è necessario che un‟anima consacrata a Dio abbia a esercitare il suo apostolato. Non vi è

pericolo di dispersione delle forze, perché i Superiori debbono vigilare sull‟attività di tutti i

sodali, sia come individui, sia come comunità ideale, guidandoli, spronandoli, temperandone

l‟attività, ammonendoli, e ciò a seconda dei casi (Gli insegnamenti del Padre, pp. 106-108).

Quando diamo l‟esempio di una vita in Cristo, quando suggeriamo i pensieri di pace e di

giustizia, quando abbattiamo i pregiudizi che si oppongono al vivere in Cristo, quando

illustriamo la bellezza della vita che Gesù insegna, quando mostriamo come si debbono

vincere le difficoltà per seguire gli insegnamenti di Cristo, quando, in un una parola,

mostriamo, con la nostra vita e il nostro insegnamento, che Gesù è ciò che di più amabile, di

più desiderabile, di più giusto esista e quindi lo facciamo conoscere e spingiamo le anime ad

amarLo, a seguirLo, a servirLo, quando tutto questo facciamo, noi contribuiamo ad edificare

il tempio di Dio.

Ed è un dovere ...

La seconda azione caritatevole, che si richiede a noi per essere a servizio del prossimo è la

preghiera.

Nella preghiera per il prossimo vi è un grande vantaggio: non chiediamo niente per noi; la

nostra preghiera diventa simile a quella di Gesù Cristo, che passò la sua vita terrena

soprattutto pregando (Gli insegnamenti del Padre, pp. 272-273).

Per fare l‟apostolato occorre pregare e studiare: dico l‟uno e l‟altro, ché il Missionario

ignorante delle cose di Dio, o freddo nella preghiera per le anime è un Missionario che non ha

gli strumenti del suo lavoro: egli lavora con strumenti inadatti (Gli insegnamenti del Padre, p.

298).

Bisogna oggi essere operai con gli operai, maestri con i maestri, impiegati con gli impiegati,

professori con i professori, poveri con i poveri, ricchi con i ricchi, malati con i malati; bisogna

che l‟apostolo lavori e viva nella condizione in cui lavorano e vivono tutti gli uomini di

questo mondo e sappia costituire della vita dell‟officina, di quella della scuola, dell‟impiego,

dei campi, di ogni attività sociale, lo strumento e l‟occasione per fare dell‟apostolato; tutti gli

ambienti di attività e di lavoro sono il convento dell‟apostolo dei nostri tempi. Egli deve

quindi parlare il linguaggio che tutti comprendono e che tutti usano; non deve aver timore di

penetrare in alcuna casa, in alcun ambiente. Dove c‟è un‟anima da salvare, bisogna che egli

vada; deve imparare a vivere con lei, per parlare con lei e arrivare a farle conoscere Gesù

Cristo e la sua vocazione cristiana; deve soffrire con lei per giungere a farle conoscere che

Gesù Cristo nostro Salvatore e Redentore è morto in Croce per noi (Gli insegnamenti del

Padre, pp. 300-301).

La vita dei sodali degli Istituti secolari, che vivono una vita di consacrazione a Dio, mirante

alla perfezione con l‟esercizio della castità, della povertà e dell‟obbedienza, con lo scopo di

portare tra gli uomini, umilmente vivendo la vita di lavoro che è stata loro assegnata dalla

Provvidenza, il Regno di Cristo, è destinata a dare grandi frutti in questa società moderna.

Proprio perché gli uomini di questa società moderna mancano di umiltà, perché imbaldanziti

dai successi umani, abbacinati dalle loro vanità ed incapaci di arrestarsi sulla via errata sulla

quale si sono messi, corrono alla rovina perché distruggono i veri tesori della vita umana,

ossia i valori spirituali, i valori morali, annientano la vera libertà. In questa società moderna,

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in cui gli uomini sono nemici degli uomini, perché veduti e considerati solo come concorrenti

che impediscono il successo loro, in questa società in cui la regola è quella, come si suol dire,

della jungla d’asfalto e non quella della dolcezza che proviene dall‟amore e che permette la

mutua comprensione ed il mutuo aiuto, i Missionari della Regalità possono portare una parola

nuova di pace e di giustizia. Ma questo risultato sarà ottenuto se essi saranno sempre e

ovunque e in ogni circostanza e con tutti umili e dolci di cuore come il Padre nostro e come

Gesù ci ha insegnato, umili e dolci soprattutto con l‟esempio di una vita che dell‟umiltà e

della dolcezza deve essere efficace espressione (Gli insegnamenti del Padre, pp. 321-322).

Dagli scritti di Armida Barelli

Non accontentatevi di essere „buone alla buona‟. Apostole, vi voglio apostole che amano e

che fanno amare il Signore.

Vivete nel mondo senza nulla concedere al mondo, lavorate senza posa, ma soprattutto amate,

amate, amate.

Amare e far amare Gesù e il Padre suo e nostro nell‟amore dello Spirito Santo, ecco un bel

programma per la Missionaria.

Chiedere la purezza d‟intenzione per perdere le nostre vedute umane e lavorare solo per Gesù,

per la sua gloria.

Lasciate al Signore la cura del vostro avvenire ed occupatevi dei suoi grandi interessi. Vedrete

come provvederà bene a voi il Padre che sta nei cieli, se voi con zelo e con amore lavorerete

per Lui.

Per noi Missionarie non basta l‟accettazione della nostra croce, dobbiamo andare a consolare

ed aiutare chi soffre: bisogna illuminare le menti, fortificare le volontà, condurre anime alla

Chiesa e beneficare anche i corpi con tutte le nostre forze.

Il Regno di Dio deve essere, per tutte noi, la nostra passione e lo scopo di tutti i nostri sforzi

... Le Missionarie devono volere e amare il Regno di Dio nella propria coscienza, in terra e in

cielo, con lo stesso ardore con cui un ambizioso politico ama il potere, un artista la gloria, un

avaro i milioni. Dovrebbe essere la nostra prima preoccupazione, come era per l‟araldo del Re

...

Occorre avere, per assumere posti di responsabilità, cultura specializzata, attitudini particolari

e soprattutto una grande fortezza morale e spirituale in modo da non lasciarsi trascinare e

disorientare nell‟ambiente dove si dovrà svolgere la propria attività, senza lasciarsi

scoraggiare da chi lavora nello stesso campo per ambizione ed interessi personali (La sua

voce, pp. 63- 65).

Lasciare indebolire la vita interiore o rinunciare all‟apostolato vuol dire mettersi in condizione

di perdere la vocazione, il dono preziosissimo che il Signore ci ha fatto perché lo

custodissimo fino alla vita eterna (La sua voce, p. 60).

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4. La consacrazione

Dagli scritti di padre Gemelli

Noi possiamo diventare, se saremo sempre fedeli alla divina “chiamata” strumenti della più

grande opera che un uomo possa compiere a questo mondo, ossia far conoscere, far amare e

far servire Nostro Signore. Per renderci strumenti adatti, Iddio ci ha chiesto che

consacrassimo la nostra vita a questo servizio, onde ciò che a taluno può sembrare un‟offerta

fatta a Dio della propria vita, in realtà è un dono di Dio; infatti questa consacrazione è

possibile solo mediante speciali doni di Grazia.

In una parola noi siamo strumenti dell‟opera di Dio solo perché Iddio ci foggia come Lui

vuole e ci indirizza nel nostro lavoro per quelle vie che egli stesso sceglie.

Di qui segue che a noi è chiesto di realizzare l‟unione con Dio. Due condizioni

importantissime per corrispondere al dono divino sono: la fedeltà alla volontà di Dio e la

corrispondenza all‟opera della grazia. Non si tratta di una fedeltà generica e di principio,

nemmeno della fedeltà di un momento felice, di una elevazione comune o di un atto generoso;

si tratta di una fedeltà costante per tutta la vita, fedeltà di ogni ora e di ogni circostanza,

fedeltà di tutti i pensieri, di tutti gli affetti, di tutte le azioni; l‟anima consacrata al servizio di

Dio non si appartiene più; tutta la sua vita è di Dio; i suoi desideri, le sue aspirazioni, le sue

speranze sono quelle di Dio; i suoi pensieri sono i pensieri di Dio; la sua volontà si identifica

con quella di Dio, è una fedeltà che si misura dalla sua continuità.

Una seconda caratteristica rivela l‟anima che ha fatto della consacrazione a Dio la ragione

della sua vita: la corrispondenza alla Grazia divina. Questa opera continuamente in noi. Iddio,

dopo averci introdotti nella vita della Grazia con il santo Battesimo, continuamente ci

comunica i doni di Grazia: lo fa per mezzo dei mille modi con i quali in ogni istante ed in

ogni circostanza sovviene alla nostra debolezza ed eleva la nostra forza, affinché possiamo

operare in guisa da attuare la volontà di Dio. Ma Dio, che dà tutto il necessario perché noi

attuiamo la sua volontà, vuole che cooperiamo a questa sua misteriosa azione in noi; e non si

accontenta di una cooperazione generica e vaga ma vuole una corrispondenza che si riveli in

ogni atto, in ogni pensiero, in ogni affetto.

Voi che siete abituate a meditare queste verità ne concluderete che fedeltà totale nel servizio

di Dio e corrispondenza piena all‟azione della Grazia si possono avere solo se l‟anima nutre

amore per Iddio. Possiamo dire perciò che Iddio ha messo nel nostro cuore il germe della

vocazione perché vuole il nostro amore (Il Padre ha detto, pp. 29-31).

Voi, per la spiritualità francescana che avete scelto come norma di vita interiore, amate la

povertà; voi riconoscete che questa virtù vi fa un poco simili a Gesù che per amore degli

uomini si è fatto uomo, è vissuto povero ed è morto ignudo sulla croce, Egli che era il Re del

cielo e della terra ...

Quali sono gli impegni che voi assumete con la vostra promessa è detto nel vostro

Regolamento, il quale stabilisce che le Missionarie, pur ritenendo il dominio e l‟uso del

denaro e degli altri beni che possiedono e di quelli che legittimamente acquisteranno per

donazione, per eredità, ecc., debbono osservare le seguenti norme, al fine di tenere il proprio

cuore distaccato dai beni terreni e per osservare lo spirito di povertà:

a. evitare le spese superflue;

b. procurare di essere parsimoniose nelle spese personali;

c. cercare di essere larghe nel beneficare il prossimo;

d. redigere il proprio testamento secondo giustizia e carità e ricordando nelle loro

disposizioni le Opere della Chiesa ...

Innanzitutto l‟esercizio della virtù della povertà vi conduce a rinunciare al superfluo.

Superfluo è ciò che non è strettamente necessario. Se si trattasse di Religiose che vivono nella

stessa comunità, sarebbe facile determinare ciò che è superfluo. Ma ciascuna di voi vive in

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condizioni sociali profondamente diverse da quelle nelle quali vivono altre Missionarie. Così

pure darsi che ciò che è necessario per taluno sia superfluo per altre. Occorre quindi, nel

determinare ciò che è superfluo, avere presente la propria condizione di vita, la condizione

sociale in cui si svolge il proprio apostolato ...

Vi è dunque una sapienza della povertà. La ragione si è che, per un verso, dovete essere

spiritualmente distaccate dai beni di questo mondo, e per l‟altro, dovete essere generose con il

prossimo. Il rigore con voi stesse va sempre congiunto con la generosità verso gli altri.

Lo spirito di povertà si misura anche dalla fiducia nella Provvidenza di Dio; coloro che sono

ansiose del domani, preoccupate di quello che potrà loro accadere e di quello che potrà loro

mancare, non sanno praticare la virtù della povertà, perché non hanno reale e positiva fiducia

nella Provvidenza, quindi, tentano di indovinare come sarà l‟avvenire accumulando e

cercando di provvedere per ogni possibile ed eventuale circostanza.

Dimostra poi di non praticare la virtù della povertà chi dissipa i beni che Iddio le ha dato e chi

li amministra male. Vi sono alcune disordinatone che spendono a casaccio; vi sono irriflessive

che non tengono conto di ciò che spendono e quindi si trovano in determinate circostanze di

imbarazzo; vi sono alcune che, prese da irriflessivi impeti di generosità, dimenticano che

anche la prudenza è virtù da praticare ed è virtù regolatrice di tutta la nostra vita.

Per ovviare a questi difetti c‟è un rimedio efficace: ricordarci che siamo in questo mondo

amministratori dei beni che Iddio ci ha dati non per noi, ma perché servano per assolvere i

compiti della nostra vita. Dunque a Dio dobbiamo rendere conto del come amministriamo

questi beni; per amministrarli equamente, in Suo nome, dobbiamo far sempre la debita parte

ai doveri di giustizia, di carità, di prudenza. La vita cristiana risulta dall‟armonico cooperare

dell‟esercizio di varie virtù ... (Il Padre ha detto, pp. 119-123).

È necessario che ciascuna Missionaria abbia ad imbeversi di quello spirito di povertà che

caratterizza l‟anima francescana. Dico “spirito”, la “pratica” sarà un effetto dell‟acquistata

virtù ... Siate dunque povere per imitare Gesù Cristo; povere per essere ricche di letizia;

povere di spirito per essere ricche di santità, povere per essere umili. E poiché taluna di voi mi

ha mosso qualche difficoltà, ricordo che essere poveri vuol dire per una Missionaria

nascondere le privazioni che fa e nasconderle agli occhi di tutti. Chi ama la povertà trova

mille occasioni per offrire a Gesù le privazioni che tornano gradite al suo Cuore perché

ignorate dagli uomini, anche dagli intimi, anche dai familiari. Ne ricaverete irrobustimento nel

fare e nell‟amare i sacrifici che la virtù esige da anime consacrate al servizio di Dio. (Il Padre

ha detto, pp. 127-128).

Scendiamo al concreto e prendiamo un esempio. Voi dovete essere parchi con voi stessi e

generosi con i poveri; parchi, quindi evitate il superfluo. Ma che cosa è superfluo per me? È

superfluo ciò che non è richiesto per non morire di fame, di sete, di freddo? No; si intende il

superfluo, dato il mio stato, la mia condizione sociale. D‟accordo; è difficile in molti casi

giudicare ma è evidente che è superfluo il più comodo, quando il meno comodo basta; il

nuovo è superfluo quando il vecchio può essere ancora ben usato; ciò che deve servire

dopodomani è superfluo oggi; quando con un po‟ di coraggio si può sopportare la propria

situazione è superfluo il conforto che viene dall‟uso di un determinato bene...

È da aggiungere che basta a risolvere le varie situazioni un poco di semplicità: nulla cercate di

ciò che vi fa comparire diversi dagli altri per la vostra condizione; vivete la vita di tutti gli

altri; e poi, coraggio nell‟accettare i mille incomodi che la vita moderna, con la sua mai

soddisfatta ricerca di comodità, determina. Ricordiamoci che il vero povero non sceglie mai,

perché non può scegliere; se noi impariamo a non scegliere bensì ad accettare ciò che le

occasioni, gli uomini, il mondo ci mandano, considerando tutto questo come dono di Dio, ce

ne staremo in pace. E per stare in pace non bisogna passare all‟estremo opposto, torturandosi

con quesiti vari e ipotizzando situazioni varie. Accettiamo la condizione di vita come ci è

offerta; è un dono di Dio; ringraziamolo con semplicità ed andiamo avanti...

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Certo, a volte avviene che qualche cosa di necessario ci venga a mancare. E Iddio in taluni

casi è sembrato anche sordo alle nostre preghiere e non si vede quando si potrà uscire da una

stretta. È questo il caso di avere coraggio. E chi lo ha, poiché ha fiducia in Dio, finisce per

constatare che una grande pace gli inonda il cuore. Ciò avviene perché al vero povero tutto

serve ma nulla gli è indispensabile; soprattutto non è schiavo di alcun bene terreno...

Un altro aspetto del povero vero: egli è laborioso, non sciupa il tempo (che è breve, e presto

viene la morte); lavorare bisogna perché siamo poveri e ciò senza lagnarci con Dio e con gli

uomini e senza far vedere agli altri che fatichiamo...

Una raccomandazione: nell‟esercizio della virtù occorre continuità e costanza. Vi sono alcuni

che passano da un eccesso generoso dell‟operare il bene ad uno stato di abbattimento e di

sconforto. Costoro non sono virtuosi e ciò che fanno non fanno per amore di Dio. Chi è

povero per amore di Dio, lo è tutti i giorni; e tutti i giorni con la sua povertà loda Iddio e gli

rende onore; tutti i giorni trova i suoi migliori amici nei poveri. Questo non dico solo di

questa virtù; si deve dire di tutte le virtù. Chi non è costante, chi è ineguale, vuol dire che non

ha scavato profondo nella sua anima nell‟esercizio della perfezione.

La nostra linea, che dobbiamo seguire noi che siamo consacrati a Dio, non è una curva

sinuosa; bensì una linea continua che lentamente ascende fino ad arrivare (ma non arriveremo

mai, purtroppo!) alla perfezione. Arrivati a raggiungere quella statura spirituale che Iddio

dall‟eternità ha prefissata per ciascuno di noi, e per raggiungere la quale ci ha dato la sua

grazia, Egli stesso taglia il filo della vita e ci chiama a rendere conto dei talenti che ci ha dati.

Uno dei talenti è l‟amore alla povertà. Un punto fondamentale sul quale mi preme richiamare

l‟attenzione vostra è il seguente. Voi non appartenete ad una comunità reale ma ad una

comunità ideale; perciò i vostri voti sono detti “sociali”. Anche l‟esercizio del voto e della

promessa di povertà ha questo carattere sociale. Che vuol dire? Tutti voi avete verso gli altri

sodali il dovere dell‟esempio e l‟esempio deve aiutare tutti ed aiuta anche voi, nella fedeltà

alle Costituzioni, ossia ad una norma di vita che ha per fine l‟esercizio della perfezione. Da

qui viene l‟obbligo dell‟aiuto vicendevole. C‟è tra i sodali uno che è più povero e che nulla

dice dei suoi bisogni? Tutti devono vedere, comprendere questi bisogni e devono aiutarlo, non

direttamente ma per mezzo della mano dei Superiori. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 258-

263).

La Missionaria che rimane in famiglia, non vi deve vivere come un‟estranea, assente ai dolori

e alle prove comuni, anzi deve amarla e considerarla come un campo di apostolato in cui Dio

fa lavorare ma, evidentemente, esce dalla strada retta la Missionaria che alla famiglia sacrifica

la propria vocazione, quella che, per accontentare i parenti, si pone nella condizione di non

osservare i propri doveri di Missionaria, quella che non... conquista la libertà per essere

Missionaria e apostola; quella che si fa schiava dei riguardi o di esigenze ingiuste, quella che

sacrifica il proprio lavoro di apostolato, la propria libertà alla famiglia (Il Padre ha detto, pp.

128-129).

Soprattutto bisogna vedere la povertà di Gesù Cristo. Ci mettiamo allora a praticare la povertà

come san Francesco? No, ve l‟ho detto, non è affare vostro. Ma vostro deve essere lo spirito

di povertà. È più difficile avere lo spirito di povertà vivendo in società, in famiglia, che

praticare la povertà in un convento. Il frate non possiede nulla, ma ha tutto, non gli manca mai

il necessario. Invece alle Missionarie tocca provvedere alla casa, al vitto, al vestito, per sé e

talvolta per gli altri; devono saper stare nel proprio ambiente con la necessaria eleganza, non

vanno bene le troppo ricercate e neppure le trasandate. (Il Padre ha detto, pp. 130-131).

Le caratteristiche dell‟amore verso Dio sono tre: amore fattivo, amore fedele, amore che

libera.

Amore fattivo - Bisogna diffidare degli stati d‟animo contemplativi che troppe volte sono

invece fantasie e illusioni. Noi siamo sicurissimi di essere uniti a Nostro Signore quando

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facciamo il nostro dovere, cioè la Sua Volontà, nelle umili circostanze d‟ogni giorno, e non

già quando ci crediamo al terzo cielo; e ciò perché possiamo sì illuderci di salire al terzo cielo

e invece commettere dei peccati, ma non possiamo ingannarci quando facciamo (rinunciando

alla nostra) la Sua volontà. Chi fa sempre e costantemente la Volontà di Dio è certo di amare

Dio e di unirsi a Lui in tutte le azioni della vita, anche le piccole. L‟atto eroico può essere

fatto una volta nella vita; può anche avvenire che non ve ne sia mai la necessità, ma il piccolo

dovere quotidiano capita tutti i momenti ed attraverso il compimento di questo dovere si fa la

volontà di Dio, ci si unisce a Lui. Perciò chiunque può realizzare l‟unione con Dio senza

compiere grandi cose, perché Dio non esige abitualmente da noi atti eccezionali o eroici, ma

unicamente la buona volontà, ossia la volontà di far bene ogni atto sempre...

C‟è un mezzo semplice alla portata di tutti, possibile in ogni momento per realizzare l‟unione

con Dio: fare in ogni minimo atto tutta e solo la volontà di Dio.

Ecco un criterio infallibile di vita interiore: nelle cose minute osservare con fedeltà e amore i

Comandamenti di Dio, seguire gli esempi di Gesù Cristo, unirsi a Lui e tendere alla gloria di

Dio per mezzo Suo.

Amore filiale - L‟amore divino richiede una fedeltà assoluta che prende tutte le nostre forze...

Amore che libera - L‟amore di Dio, per quanto assoluto ed esclusivo non rinnega gli affetti

umani, ma li libera dalle impurità e dagli eccessi...

L‟amore di Dio libera dalle tentazioni, dagli scrupoli, dall‟aridità, da ogni angustia di spirito.

Libera dalle tentazioni perché addita chiaramente all‟anima la volontà divina...

L‟amore di Dio libera dagli scrupoli. Certe anime si vivisezionano inutilmente, si tagliuzzano

in mille modi, si rendono schiave di pratiche minute, mentre una sola cosa è necessaria: amare

Iddio. Le anime che hanno capito questa idea fondamentale divengono libere...

Concludendo dunque: l‟unione con Dio si attua per mezzo dell‟amore; l‟amore si manifesta

con l‟adesione generosamente fedele della nostra volontà alla volontà di Dio, insegnata a noi

da Gesù Cristo e attuata sul Suo esempio. Molti ritengono che l‟unione con Dio sia un

privilegio concesso solo a pochi eletti. Mi pare di avervi dimostrato che nulla vi è di più falso.

L‟unione con Dio è possibile a tutti i redenti. Il cristiano, per il solo fatto di essere cristiano, è

figlio adottivo di Dio, deve perciò fare la volontà del Padre, e per questa via attua l‟unione

con Lui. Se non fa la volontà di Dio non si salva...

L‟unione con Dio è il fine di tutti i cristiani: anime che si consacrano a Dio, come fate voi, lo

fanno per raggiungere meglio questo fine, cioè con più perfetta adesione, per raggiungerlo con

più alto amore, per raggiungerlo con maggior sicurezza.

Nulla impedisce il progresso spirituale più di quella falsa pietà che insegna grandi penitenze,

sacrifici, preghiere, eroismi, mentre non insegna ad assolvere il dovere umile e semplice di

fare sempre, solo, tutta la volontà di Dio. Anche le anime che tendono alla perfezione devono

fare ciò che è compito comune di tutti i cristiani, ma lo devono fare bene, con totale

dedizione, con totale rinuncia, senza cullarsi nell‟illusione di essere migliori degli altri e

questo compito è la volontà di Dio come mezzo di unione con Lui. Non cerchino perciò forme

speciali di preghiere, gravi penitenze, particolari sacrifici; non si aspettino da Dio doni

singolari di mistica unione e visioni, non vadano cercando gradi di contemplazione, vette di

unione, castelli dell‟anima; non pretendano insomma di andare per vie appartate e difficili. In

modo particolare tutto questo non è per i Missionari della Regalità di Cristo che debbono fare

il comune dovere di ogni cristiano. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 165-171).

Vi è una espressione del Vangelo di san Giovanni che è necessario porre in testa alle

considerazioni che seguono: Chi poi opera secondo la verità, si accosta alla luce, affinché si

rendano manifeste le opere sue che sono fatte secondo Dio (Gv, 3,21). Queste parole di nostro

Signore ci ammoniscono di fare in Dio tutto quello che dobbiamo fare, cioè partendo da Dio

come nostro principio, mirando a Dio come nostro fine e mantenendoci nei pensieri e nella

volontà di Dio come nostra legge e nostro esempio. Questo stato di vita è lo stato di castità

perfetta...

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Ecco che cos‟è la castità: è un liberarsi da ogni vincolo che non permetta di amare Iddio; è un

amare Iddio perché è il solo che può essere amato senza freni e senza timori in un pieno

abbandono di noi stessi. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 209; 211).

Per quanto diversa la materia del voto di ubbidienza di un religioso da quella del voto (o della

promessa) di un sodale di Istituto secolare..., tuttavia la radice è una sola: rinunciare alla

propria libertà per fare la volontà di Dio, il che vuol dire dare la propria anima a Dio... Invece

di governare la propria anima con la propria volontà, noi vogliamo governarla con la volontà

di Dio, manifestata attraverso una Regola ed i Superiori che la fanno osservare...

C‟è caso ed è molto facile e frequente, di scambiare la nostra fantasia con la volontà di Dio e,

peggio, la voce dei nostri istinti con la voce di Dio. Non c‟è che un mezzo, e la preghiera ve

l‟avrà fatto chiaramente vedere: fiducia piena in Dio e perciò fiducia piena, di carattere

soprannaturale, nel Superiore. Esporre al Superiore i nostri problemi non è sempre facile; ma

vincere il nostro orgoglio per esporli è già un predisporre l‟anima all‟obbedienza. (Gli

insegnamenti del Padre, pp. 233; 236-237).

Dagli scritti di Armida Barelli

L‟amore alla povertà francescana. Beati i poveri, tutto è vanità fuorché amare Dio e servire

Lui solo. L‟amore alla purezza. Beati i puri di cuore. L‟anima veramente casta guarda senza

posa il suo Dio. L‟amore all‟obbedienza. Beati i cuori dolci, umili, obbedienti. Gesù è stato

obbediente sino alla morte di croce. Solo chi custodisce i comandamenti e i precetti di Dio

può dire veramente di amarlo.

L‟amore all‟apostolato. “Riterrò fatto a me tutto quello che avrai fatto al più piccolo dei miei

fratelli”. L‟apostolato è l‟immancabile frutto dell‟unione di Dio. (La sua voce, pp. 39-40).

Un‟anima consacrata a Dio deve avere sempre presente in ogni azione l‟obbligo che ha di

conseguire la perfezione, cioè di volere operare e soffrire ad ogni istante per amore di Dio,

tutto ciò che Egli vuole e perché è volontà di Dio; e di fuggire ciò che è contrario alla santa

volontà di Dio. (La sua voce, p. 41).

La nostra vocazione è quanto mai ardua: siamo nel mondo senza essere del mondo: vivere nel

secolo ed essere anime consacrate a Dio. Non vinceremo il mondo se prima non abbiamo

vinto noi stesse; fatte libere dal nostro io potremo combattere le battaglie per il trionfo di

Dio...

Siate generose nel prepararvi alla prima professione... Solo del Signore dovete essere, senza

nessuna concessione al mondo. Ricordate che non basta la fedeltà, ma ci vuole anche la

fecondità... (La sua voce, pp. 55-56).

Il nostro voto di verginità non è altro che voto di amore che ci obbliga ad amare per

vocazione. Non dimentichiamo che il concetto fondamentale della nostra consacrazione è

l‟imitazione di Cristo. Impetriamo spirito di orazione, penitenza, apostolato. Breve tanto è la

vita, sorelle dilette; possiamo noi, soccorse da Maria e imitando san Francesco, spenderla tutta

per il Signore. Amarlo, vederlo amato, farlo amare: ecco tutto il nostro programma.

Rinnovate la perenne donazione, ricordando che dalla vostra fedeltà dipenderà la fecondità

della vita: fedeltà vigile ed amante, fedeltà costante e fine... (La sua voce, pp. 56-57).

La missione di Gesù fu tutta qui: rinunciare a sé e fare la volontà del Padre. Il concetto

fondamentale della consacrazione a Dio è l‟imitazione di Gesù: come Lui devo rinunciare a

me e fare la volontà di Dio... L‟efficacia delle mie azioni sarà in proporzione diretta della mia

umiltà e dipendenza dal Signore e dalla Sua grazia. (La sua voce, pp. 54-55).

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5. La preghiera

Dagli scritti di padre Gemelli

Nelle relazioni con Dio san Francesco rispetta ed anche ammira il cerimoniale, ma non si

obbliga al cerimoniale. Ama la preghiera, ma non la vincola ad un luogo, fosse pure una

chiesa; dovunque l‟ora dell‟ufficio divino lo sorprenda, in una grotta, in una selva, per la

strada, al solleone, alla pioggia, alla neve, egli recita le sue orazioni, simile in questo più agli

anacoreti, che ai Benedettini; ma a differenza degli anacoreti, non si segna e non si tappa le

orecchie come se udisse il maligno, quando una cicala o una famiglia di passeri canta con lui;

anzi ne fa il suo coro, perché gode d‟interpretare e di raccogliere tutte le voci dell‟universo e

comporre con esse il suo inno alla Divinità.

La preghiera personale di san Francesco è, innanzi tutto, lode e ringraziamento...

La sua fede nella bontà di Dio si comunica agli altri, perché concreta, come se trovasse

conferma palpabile in tutto l‟universo, come se Dio si rivelasse a lui sensibilmente e

l‟accertasse che è l‟Ottimo. La sua preghiera presuppone che Dio è il sommo bene...

Le preghiere dettate o scritte da san Francesco hanno solo il tono della laude gaudiosa e

fidente, ma quelle che egli elevava in solitudine piangendo e gemendo erano anche esame di

sé al cospetto di Dio, frantumazione del cuore nel pentimento, meditazione della vita e

specialmente dei dolori di Gesù Cristo. (Il Francescanesimo, pp. 18-19).

Il Francescano ama la preghiera liturgica che confonde la sua voce con le mille e mille voci

della Chiesa; imita san Francesco, che anche nel folto delle selve, pure allontanandosi dagli

uomini che lo potevano distrarre, invita le cicale e gli uccelli, come gli angeli e i santi, alle

lodi di Dio.

La vita di una Missionaria della Regalità è innanzi tutto una vita di preghiera, senza la quale

l‟azione si isterilisce. Un‟anima che non prega si pone a rischio di perdere la vocazione. Lo

insegna l‟esperienza; lo insegnano i maestri di spirito. E non voglio intendere che non

preghiate affatto; ma voglio dire che è necessario pregare nella forma, nei modi, nella durata

prescritti a un‟anima che si consacra al servizio di Dio.

Ma, più che di quantità, si tratta di spirito di preghiera. L‟attività delle Missionarie che hanno

questo spirito di preghiera si svolge sempre in unione con Dio; esse operano alla sua presenza,

così che rivolgere il pensiero a Dio, invocare Iddio, è quasi connaturale alla loro anima come

fosse il loro respiro.

Per progredire nella vita spirituale (e il progresso per un‟anima consacrata a Dio è un dovere),

per operare in guisa che l‟attività sia rivolta a gloria di Dio e non si infiltrino nell‟anima

sentimenti umani, per impedire che le passioni si facciano gioco della volontà, per cacciare i

fantasmi che vengono a turbare l‟anima nella sua attività, bisogna pregare intensamente,

bisogna rivolgersi a Dio in ogni atto, bisogna che ogni pensiero, ogni affetto, ogni decisione

volontaria sia un atto compiuto sotto lo sguardo di Dio, sia conforme alla sua volontà.

Occorre pensare e operare sempre alla Sua presenza, affinché ciò che noi siamo e facciamo

abbia Dio per origine e per fine. In una parola: bisogna essere anime di preghiera. (Il Padre ha

detto, pp. 55-56).

È necessario che la Missionaria sia creatura d‟intensa, approfondita vita interiore. Quale vita

interiore? Niente pseudospiritualismi. Niente di artificioso. Niente penitenze speciali. Niente

voto di vittima. Ma vivere la vita che Dio ci ha dato con semplicità, sincerità piena, studio di

progredire...

Siate semplici, oneste, chiare, senza complicazioni. Fate quello che il vostro regolamento

prescrive: meditazione, esame di coscienza, lettura spirituale. Al centro la S. Messa, la

Comunione, il culto eucaristico. La vita porta dolori, prove, tentazioni, dubbi, scrupoli,

incertezze. Sono questi i momenti in cui bisogna applicare ciò che si è imparato. Se la

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spiritualità non è solida, fallisce, e le anime, che si credono arrivate in su, cadono prima.

Accontentatevi di forme semplici di vita interiore, rifuggite da ascese temerarie.

Siate solide, siate francescane ...

Non è possibile essere buone Missionarie senza vivere una vita di preghiera, senza

un‟atmosfera di preghiera. E perché? Perché sia la vostra consacrazione personale, sia quella

di tutte le altre si attua su un piano soprannaturale. Pretendere vita soprannaturale senza

preghiera è pretendere l‟assurdo. Non valgono ragioni di sorta: lavoro, apostolato, famiglia,

occupazioni; sono tutte pessime ragioni, che viceversa dovrebbero servire a far pregare di più.

Senza spirito di preghiera è impossibile tendere alla perfezione, dico spirito, atmosfera di

preghiera, non obbligo a certe preghiere e ad un certo tempo di preghiera. Si può osservare

zelantemente le due ore prescritte, recitare tutte le preghiere d‟obbligo, dire l‟Ufficio, ma non

avere lo spirito di preghiera, che è unione con Dio, Dio in noi, noi in Lui.

La forma più semplice e breve di preghiera è la giaculatoria...

La giaculatoria è fecondissima, purché non sia recitata come fanno le vecchiette, che

biascicano preghiere. Una giaculatoria può essere compendio di una giornata, può essere un

programma, può essere un conforto, un soffio che orienta verso Dio. Una persona

abitualmente distratta non dice giaculatorie. Solo le anime preparate le recitano bene: per esse

la giaculatoria è l‟espressione della loro vita di unione, del loro volgersi a Dio.

Siete fedeli alla meditazione? Avete imparato a farla? Essa è il perno della giornata, come

l‟Eucaristia ne è il sostegno. Il termometro della vita spirituale segue quello della

meditazione.

Non è facile trovare buoni libri di meditazione, ma voi non preoccupatevi di libri piacevoli,

graziosi, nuovi. La meditazione non sta in ciò che leggete. L‟elaborazione personale

costituisce la fecondità della meditazione. Il libro non è che un bastoncello ...

Qualche giorno l‟anima non è disposta ad elaborare nulla, e allora bisogna che segua lo

schema aridamente, ma se ha un‟abituale unione con Dio, anche la meditazione arida riesce

efficace.

Le „pratiche‟ punteggiano la giornata. Bisogna essere fedeli anche ai piccoli impegni di pietà.

La punteggiatura della preghiera caratterizza la giornata. I tempi duri, anormali, dolorosi

esigono di più la preghiera. (Il Padre ha detto, pp. 57- 61).

Anche la preghiera comune è un dono di Dio e spesso costa uno sforzo di concentrazione, una

fatica. Questo dono si sente in circostanze eccezionali, come la malattia. Ci sono, è vero,

malattie e malattie e alcune si conciliano con la preghiera, altre no. Ogni volta che ho un

attacco di cuore, non riesco a dire un Pater. Quando la malattia non ci permette di pregare, la

migliore preghiera è l‟offerta a Dio dei propri dolori, il ringraziamento per i propri dolori.

Quando la morte si avvicina, allora l‟offerta di sé e delle proprie sofferenze è la preghiera più

alta. E chi ha spirito di preghiera durante la vita, lo ha anche nella morte. Invocate molto la

Vergine santa. Quando la forza di pregare manca, la preghiera alla Madonna riesce. (Il Padre

ha detto, p. 63).

Molte anime, dopo lungo corso di anni, rimangono come all‟inizio e non raggiungono l‟ideale

di fondere preghiera e azione, cioè di vivere nel mondo, fra gli uomini, nelle stesse condizioni

di lavoro, e tuttavia avere la mente, la volontà, tutto se stesso in Dio, con Gesù Cristo in Dio:

cosa difficile. Chi non ci è ancora arrivato non si amareggi l‟anima, ma chieda al Signore la

grazia di arrivarci...

Causa principale della dissipazione non è fuori, ma dentro di noi. Solo che lo vogliamo, anche

noi, pur non avendo la solitudine e la pace fisica del monastero, possiamo realizzare nel

tumulto del mondo l‟unione con Dio, in un‟atmosfera di silenzio interiore.

Chi vive in famiglia, chi vive in mezzo agli interessi sociali non può estraniarsi dai dolori,

dalle gioie, dalle noie comuni a tutti, però non deve perdere l‟essenziale: l‟unione con Dio, il

colloquio con Dio.

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L‟anima che vive nel colloquio interiore è quella che fa sempre capo a Dio, e cerca la sua

volontà e la immedesima nella propria. Ci vuole esercizio lungo per imparare ad unificare la

nostra volontà a quella di Gesù Cristo, a vederla in tutte le cose ...

Il rinnegamento delle passioni è necessario, ma appartiene alla fase negativa. La fase positiva

è l‟adorazione interiore. E come si perviene a questa fase, se si ha tanto da lavorare, tanto da

fare e tutto bisogna far bene, soprattutto se serve agli altri?

E come si può stare in ginocchio davanti a Gesù Cristo e accudire alle faccende? Ma il

Signore a voi non manda angeli di servizio. Bisogna dunque che l‟anima si rivolga sempre al

Signore, sempre e non solo quando deve compiere opere nuove e difficili, ma anche nelle

opere ordinarie.

... Nel pigia pigia dell‟autobus, nell‟affollamento delle vie e degli uffici, nei luoghi di lavoro o

di svago, posso elevare il pensiero a Dio; nello stesso lavoro che m‟impegna e che devo far

bene posso tendere a Dio, perché la tensione della nostra intelligenza non è rigida, è ondulata.

Senza distrarci dal lavoro, anzi proprio perché lavoro impegnativo, si può pensare a Dio.

Gli uomini, anche se ci amano, ci danno dispiaceri, sono chiusi nel loro mondo, nei loro

interessi, ci capiscono poco. Se io ho spirito di preghiera vedo negli altri Gesù Cristo che mi

chiede aiuto, pazienza, dolcezza, e anche me ne dà.

Nei rapporti umani la preghiera ha mille modi di penetrare: un lampo, un attimo, basta una

giaculatoria.

Tutta la nostra mente deve essere orientata a Nostro Signore. Come i matti. Il paranoico ha

una certa idea fissa, a cui si rivolge sempre. E noi siamo matti di Gesù Cristo, l‟abbiamo

sempre nel cuore e nella volontà. Certo non s‟improvvisa questo stato d‟animo: bisogna fare

esercizio, ma senza alienarci dal mondo in cui viviamo, anzi partecipando al lavoro comune,

alle gioie e alle sofferenze comuni.

Altri mezzi: chiedere questo spirito di adorazione interiore. Pensare a Maria SS. che rimase

sempre nella vita comune e sempre in adorazione, da quando si vide Gesù Bambino fra le

braccia a quando ebbe Gesù morto sulle ginocchia. Importa sopra tutto lo sforzo di riuscire,

anche se non si riesce. Il Signore premia lo sforzo.

Per progredire bisogna puntare su un proposito solo; non farne molti, uno solo, piccolo, anche

piccolissimo, ma fermo. Chi non è riuscito ad avere finora spirito di preghiera, faccia questo

proposito. (Il Padre ha detto, pp. 64-67).

Ci vuole costanza e uniformità: ci sono anime che oggi si scaldano, salgono al terzo cielo,

domani sono depresse, abbattute, vanno a scatti, rompono le stanghe del carro. Ci vuole

costanza di applicazione. Non bisogna esagerare col fare indigestione di preghiere. Non va

bene voler fare ad ogni momento un ritiro, basta farne uno al mese in profondità...

Bisogna curare le malattie ed occorrono certe volte i digiuni. Quando si è stanchi bisogna

continuare ad osservare esteriormente le norme e le pratiche come quando si è ferventi

(mezz‟ora di meditazione nell‟aridità, nella nausea). I Sacramenti operano, anche se si ha

l‟impressione di non fare le cose bene, accostandosi ad essi con umiltà d‟animo, le crisi

passano... (Il Padre ha detto, p. 70).

Piuttosto che sui propri difetti: l‟esame di coscienza va fatto sulla carità.

1. Rispetto a Dio: lo amate come principio, come ragione della vita come Re che vi ha dato

tanti doni, tra cui quello della vocazione? Questo amore è stato attivo, fecondo, ha dato

risultati positivi? Avete amato costantemente? Avete agito per amore di Dio, o per altri motivi

che vi hanno fatto deviare?

2. Rispetto al prossimo: consacrazione a Dio vuol dire servizio degli uomini, l‟apostolato è

azione meritoria, volontaria perché il prossimo raggiunga la vita eterna.

Il Papa... come l‟avete amato? Tutti i Superiori li avete sempre obbediti?

Si sono introdotti nel pensare o nell‟agire altri sentimenti, alcuni buoni, altri no: simpatia,

antipatia, egoismo? ...

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Quale interesse personale ha sciupato la natura del rapporto con gli altri?

Conviene pensare non solo a ciò che volontariamente abbiamo fatto, ma a ciò che

involontariamente è accaduto, per mancanza di vigilanza, di richiamo al soprannaturale.

3. Rispetto a noi stessi: è l‟amore più arduo. Amare Dio dopo averlo conosciuto è facile. E

non è difficile amare il prossimo anche se ci combina dei guai, perché ci rendiamo conto che

molti non hanno avuto le grazie date a noi...

Ma amare rettamente noi stessi è difficile perché il vero amore di sé consiste nel rinnegarsi. Il

nostro Io è scaltro, cerca la propria soddisfazione anche quando sembra disinteressato; chiede

ciò che spiritualmente gli nuoce. Anche giunti ai gradi supremi della santità c‟è il pericolo

dell‟Io... (Il Padre ha detto, pp. 80-81).

La croce porta una conseguenza: a che mezzo ricorrere per portarla bene? Alla preghiera.

Tutti gli altri mezzi sono insignificanti.

Se sarete donne di preghiera, dalla croce potrete ricavare tutto il frutto necessario per

raggiungere il fine della vita di consacrazione. Quale preghiera? E come attuarla? Non parlo

di quelle a cui siete tenute, ma dello spirito di preghiera, che tende a Dio e lo invoca, anche

con una semplice giaculatoria, in ogni momento della giornata... (Il Padre ha detto, p. 82-83).

Dai vostri colloqui deduco che, poiché la giornata ha ventiquattro ore e gli impegni sono

molti, voi tagliate nella preghiera. E si capisce. Gli uomini strillano, Dio tace. Tace, vede e

subisce. Ora io vi dico chiaro e tondo: quando il tempo manca, toglietelo a tutto, fuori che alla

preghiera. (E al sonno). Lasciate strillare gli uomini. Meglio loro che Domineddio. Non si

può, non si deve togliere il tempo alla preghiera. Obbligo chiaro: non dovete dire “spero di

riuscire”. No. Voglio essere sicuro. (Il Padre ha detto, p. 86).

Preghiera, preghiera, sempre e soprattutto preghiera. Preghiamo molto ed avremo tutto,

perché la nostra preghiera dirà al Signore che se operiamo come se tutto dovesse dipendere

dal nostro lavoro, tutto ci attendiamo da Lui solo. Preghiamo molto e non solo per noi, ma per

le anime, sia per quelle alle quali ci rivolgiamo nel nostro apostolato, sia per quelle con le

quali lavoriamo, sia per quelle con le quali non avremo mai contatto. E come preghiera, il

primo posto è tenuto dalla meditazione. In fatto di preghiera mi permetto dirvi una parola che

mi ha detto proprio per voi il Santo Padre Pio XII di v.m. Coloro che lavorano non debbono

pregare abitualmente di notte, ma di giorno, e lasciare la notte al sonno. Ciò che è efficace

non è la preghiera straordinaria, ma la preghiera assidua, continua e metodica. Vale più un

anno intero di fedeltà quotidiana nelle proprie preghiere consuete prescritte che molte e molte

notti passate in adorazione. (Gli insegnamenti del Padre, p. 127).

L‟anima è consacrata a Dio per rendergli onore e per estendere il Suo Regno. Ora, il mezzo

migliore per rendere onore a Dio e per estendere il Suo Regno è la preghiera. È lecito

rimetterla all‟ora meno propizia? Quando le forze sono meno pronte? (Gli insegnamenti del

Padre, p. 131).

Perché la vostra preghiera sia intelligente non deve essere un atto avulso della vostra vita

quotidiana. La nostra attività, i nostri dolori, le nostre prove, le nostre gioie debbono essere

così intimamente legati con la preghiera da fare con essa un tutt‟uno; per questa via si riesce a

dare a tutta la giornata lo spirito di preghiera. Questo è molto importante per voi perché la

vostra giornata è tutta consumata nel lavoro e perché, come so bene, molti di voi sono così

oppressi dagli impegni, dalle responsabilità, dalle fatiche che poco tempo, relativamente,

possono dare alla preghiera. Non occorre moltiplicare le pratiche; occorre pregare bene; per

far questo, giova molto legare insieme le varie preghiere. Ad esempio: l‟esame di coscienza

della sera sia una preparazione alla giornata dell‟indomani; la preghiera del mattino sia una

preparazione alla Comunione e alla meditazione; quest‟ultima ispiri tutta la giornata con i suoi

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pensieri con i propositi con cui si chiude, ad essi si riattacchi l‟esame di coscienza del

mezzodì e della sera; ad essa prenda ispirazione la visita al SS. Sacramento; soprattutto essa

comunichi a tutti gli atti, a tutti i pensieri, a tutti gli affetti, la sua mistica ed eucaristica

bellezza; in una parola, legate la giornata vostra come un solo tutto; poi la settimana

costituisca un‟altra unità di ordine superiore e così pure il periodo tra un ritiro e l‟altro, tra un

corso di Esercizi annuali e l‟altro.

In una parola la preghiera conferisca unificazione interiore alla vostra vita, legando insieme

pensiero ed azione, orazione ed amore, penitenze e consolazioni; questa unificazione poi,

arreca alla fine una grata sorpresa: ci si accorge un giorno di essere arrivati a realizzare la

presenza costante di Dio che ci sembra compito tanto arduo e troppo alto per le nostre forze.

Soprattutto bisogna che preghiate con spirito di fede. Quando l‟animo è aperto alle gioie,

oppure quando esso è chiuso alle consolazioni, ovvero quando è inasprito dalle prove e come

insecchito dalle aridità pregate sempre allo stesso modo, ossia con pieno abbandono alla

misericordia divina; pregate come fanciulli che si rivolgono al Padre, ossia con confidenza,

con abbandono, con sicurezza. Allora la speranza cristiana rinverdirà i vostri pensieri e darà

alle vostre azioni calore di vita.

Pregate per tutti. In primo luogo, bisogna pregare per il Papa, per la Chiesa, per la gerarchia

ecclesiastica. Assolti questi doveri, pregate per i nostri istituti. Essi fioriscono se i Missionari

sono attivi e si santificano; illanguidiscono ed inaridiscono con lo spegnersi in essi dello

spirito di fede e della vita della grazia. Dunque pregare per i nostri istituti vuol dire pregare

per i Missionari. Sparsi in ogni luogo, lontano gli uni dagli altri, privi del conforto e dell‟aiuto

dei fratelli e delle sorelle, i Missionari attendono ai loro compiti, nel campo del loro

apostolato, cooperando tutti allo stesso scopo, costruendo tutti lo stesso edificio. Nelle ore di

preghiera dovete sentirvi l‟uno all‟altro spiritualmente vicini: sodali anche se non vi conoscete

di persona; uniti nella bellezza di un ideale comune da servire... (Gli insegnamenti del Padre,

pp. 178-181).

Dagli scritti di Armida Barelli

«Vita interiore e apostolato». Ricordate: se una delle due cose viene a mancare si perde la

vocazione. Difendete il tesoro della vocazione con una vita interiore intensa, con un

apostolato attivo. (La sua voce, pp. 60-61).

Siate fedeli alla preghiera, sorelle mie, non solo alle pratiche obbligatorie, non solo alla vita

liturgica, ma alla preghiera personale, a cuore a cuore con Dio, con la Vergine Santa, con san

Francesco nostro e le nostre sante Patrone, con l‟Angelo che ci custodisce con tanto amore.

(A. Barelli, lettera del 4.10.1951).

Vi scongiuro, sorelle mie, per il bene dell‟anima vostra, per la salvezza della vostra

vocazione, per la perfezione vostra spirituale, di avere il fermo proposito, e mantenerlo, di

fare ogni mese il vostro giorno di ritiro: liberatevi a ogni costo da ogni impegno. Pregate il

Signore che vi dia la grazia di essere fedeli a questo proposito perché è Lui che dà, come dice

san Paolo «il volere e il fare». (La sua voce, p. 67).

La preghiera deve essere la catena d‟oro che mi lega al Sacro Cuore tutta la giornata. Pregare

adagio, tranquillamente, lietamente, dal profondo.

Preghiamo di più e preghiamo meglio; solo così possiamo rispondere alla chiamata della

vocazione così opportuna, solo così possiamo riparare alle inevitabili deficienze del nostro

lavoro. Viviamo con la Chiesa la vita liturgica e ne trarremo tanto nutrimento all‟anima, tanta

pace e tanta gioia per lo spirito, tanta grazia per noi e per gli altri.

Chiediamo a Gesù che ci conceda il dono della preghiera. Occorre saper pregare; preghiera

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semplice, pura, ardente, fatta con incondizionata fede. Preghiera che fa realizzare le promesse

di Gesù: «Domandate e riceverete, bussate e vi sarà aperto, cercate e troverete».

Attraversiamo momenti tristi e difficili per l‟umanità e per la Chiesa, occorrono anime che

sappiano pregare e sappiano amare.

Tutte le mie lettere invocano preghiere. Si, sono convinta che la preghiera è la nostra forza, è

la ragione di ogni nostra speranza. Approfittiamo dunque del maggior tempo a nostra

disposizione nelle vacanze per un cuore a cuore con Dio, sia in preparazione, sia in

continuazione dei santi Esercizi. (La sua voce, pp. 51- 52).

Viviamo una vita troppo assillante: bisogna pregare di più, meditare di più, vivere più

intensamente. A contatto con Gesù si perdona, si compatisce, ci si umilia, si usa carità.

Rimaniamo nascoste in Gesù Cristo, dimora conosciuta alle sole anime interiori, dove si è

svolto il dramma della Redenzione. Lì ascoltiamo con maggior prontezza, la “Parola” col

desiderio di essere la sua consolazione. (La sua voce, pp. 61-62).

La devozione, il culto alla Madonna è cosa necessaria, non facoltativa, perché senza tale

devozione la nostra somiglianza con Cristo non è completa. (La sua voce, p. 46).

Sarà necessaria la vita interiore sempre più intensa per essere all‟altezza della vostra grande

missione. Una profonda devozione alla Vergine, madre della vita interiore, vi aiuterà

nell‟ascesa indispensabile. Vi raccomando di amare la Madonna e di farla amare; allora sarà

facile farla onorare, imitare, invocare.

Da Lei ci è venuto il Bene, perché è la Madre di Gesù, da Lei attendiamo ogni grazia perché

essa è l‟onnipotenza supplice al cuore di Dio. (La sua voce, p. 48).

La Chiesa ci insegna: preghiera, penitenza e carità! Forse voi direte: ma noi facciamo già tutto

questo. E allora la Chiesa a noi, spose del Crocifisso dice: maggior preghiera, maggior

penitenza, maggior carità. (A. Barelli, lettera della Quaresima 1952).

Le attuali circostanze (tempo di guerra n.d.r.) non dispensano le Missionarie dal ritiro

mensile. Quante possono intervenire ai ritiri collettivi, devono fare ogni sacrificio per

parteciparvi: è loro dovere. E ognuna sa dove si tiene il ritiro predicato per Missionarie di

quella diocesi, anche se ora viene fatto in centri di sfollamento... Ma anche tutte quelle che

non possono intervenire al giorno del ritiro predicato, ricordino lo stretto obbligo di fare il

ritiro mensile individualmente (A. Barelli, lettera del gennaio 1944).

... Durante il ritiro stiamo raccolte in silenzio e possibilmente anche durante il viaggio ... (A.

Barelli, lettera dell‟ottobre 1947).

Nei santi Esercizi ognuna:

1. Entri tutta (lasciando fuori ogni altro pensiero)

2. Resti sola (Con Gesù e Maria)

3. Esca altra (rinnovata nei propositi).

Dopo gli Esercizi:

1. Riprenda più fervida la vita interiore nello spirito francescano

a. aderendo alla volontà di Dio

b. prendendo Gesù come modello

c. ricorrendo a Maria Santissima

2. Riprenda l’apostolato in famiglia, nella professione, nell‟Azione Cattolica con

rinnovato spirito soprannaturale.

(A. Barelli, lettera alle Missionarie, luglio 1951)

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6. La comunità fraterna

Dagli scritti di padre Gemelli

Il regolamento di vita vi lascia nel vostro stato, nel vostro posto per esplicare secondo le

proprie attitudini, in libertà francescana, la missione che il Signore a ciascuna di voi affida.

Isolate nel mondo, vere missionarie del Sacro Cuore e del suo amore ma non sperdute nel

mondo voi siete unite con le sorelle nel seno spirituale di questa famiglia ideale che afferma i

propositi di tutte e che a ciascuna traccia la via. Il lavoro, diretto a comune scopo, è uno dei

fili ideali che tiene unite le sorelle.

Tutte occupate nello stesso servizio di Dio, così sapete di tessere insieme una sola tela, quella

della lode e della gloria di Dio. Di guisa che se taluna è presa dalla stanchezza o dalla noia,

troverà conforto nel pensare che altre lavorano allo stesso compito, e sentirà di poter vincere

per questa solidarietà spirituale e reale le proprie debolezze; così come se una si sentirà più

animata, avrà la gioia di dire a sé stessa che lavora anche per le sorelle stanche ed indebolite.

Ecco la meravigliosa solidarietà che il lavoro ci offre: esso ci dà modo di rinsaldare i vincoli

spirituali della nostra famiglia. (Il Padre ha detto, pp. 16-17).

Il legame tra le varie sorelle non consiste solo nel trovarsi insieme, nel pregare insieme,

nell‟amarsi, ecc. ma particolarmente nel cooperare insieme a scopi comuni. (Il Padre ha detto,

p. 19).

La partecipazione alla famiglia spirituale che Iddio ci ha dato deve essere più effettiva, nel

senso che ciascuno deve rendersi sempre più attivo e sempre migliore elemento e strumento di

essa; ciascuno deve studiarsi di riguardare la propria formazione e la propria attività in

funzione della sua appartenenza all‟Istituto. (Gli insegnamenti del Padre, p. 73).

Dagli scritti di Armida Barelli

La carità fraterna deve modellarsi su quella di Cristo (La sua voce, p. 42).

... ben poche Missionarie sono rimaste senza esercizi. Questa partecipazione, che è frutto di

sacrificio per le forti spese e per i viaggi disagevoli, è un indice molto confortante della

vitalità e dell‟unità spirituale dell‟ISM.

Rinnovazione! è l‟atto di mettersi pubblicamente alla presenza di Dio, davanti ai Superiori e

alle sorelle, per rinnovare il voto e le promesse, ricordare a se stessa, alle sorelle, ai Superiori

e a Dio che avete preso questi impegni e ne siete contente; dire: sapevo quel che facevo, ho

preso le cose con serietà e i miei impegni sono per me più preziosi, più obbliganti, più sacri di

qualsiasi altra cosa sulla terra. (A. Barelli, lettera del luglio 1950).

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7. La formazione

Dagli scritti di padre Gemelli

Nella propria formazione ogni Missionario, pur godendo di quella libertà che assicura la

conservazione e lo sviluppo della propria personalità, deve badare a sviluppare in sé quelle

che sono le note caratteristiche dell‟Istituto: una solida pietà francescana, una fusione sempre

più intima tra la vita interiore e l‟attività di apostolato, un abbandono filiale nelle mani di Dio.

(Gli insegnamenti del Padre, p. 73-74).

Altra caratteristica dell‟Istituto è una certa e ragionevole libertà spirituale, libertà dei figli di

Dio ... La libertà per i francescani vuol dire che ciascuno deve seguire la propria via, quella

che Dio gli ha indicato, ciascuno deve avere la propria fisionomia, ma deve conservare e

sviluppare doni naturali e soprannaturali avuti da Dio, onde divengano strumenti per operare

secondo la volontà di Dio e quasi condizione perché ciascuno possa imitare a proprio modo il

divino modello: Gesù Cristo. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 71-72).

Un punto, oggetto di speciale considerazione, deve essere la vostra preparazione intellettuale

all‟apostolato. Naturalmente ciascuna deve avere una preparazione adeguata alla propria

condizione sociale e ognuna deve studiare non per curiosità scientifica, ma per desiderio di

apostolato: perché ciascuna, scegliendo libri adatti alla propria cultura, deve studiare il

fondamento dottrinale della nostra fede (quindi, a seconda del caso, sceglie un manuale di

teologia o un catechismo); la storia gloriosa e santa della nostra religione (della Chiesa, delle

Missioni, del Francescanesimo) ... Esigo che tutte amino e coltivino lo studio come mezzo di

apostolato. (Il Padre ha detto, pp. 150-151).

Condizione per poter fare l‟apostolato è la preparazione interiore dell‟apostolato,

l‟elaborazione dell‟apostolato: cosa lenta, e vi si arriva a grado a grado, con un lavorio

assiduo e progressivo, che parte da due basi: obbedienza a Dio e sviluppo della propria

personalità. Dio non vuole bambole né macchinette nell‟apostolato, ma anime vive e operanti

e insieme docili. L‟arte più difficile è quella dell‟apostolato. Solo il Signore può insegnarla.

Gesù non è solo il Padrone; è il Maestro che ci conduce a compiere un‟opera divina. (Il Padre

ha detto, p. 157).

Essere liberi, sviluppare la propria personalità, lasciare che questa si dispieghi, vuol dire

dunque, servire la verità, operare nella giustizia, svilupparsi nella santità, avvicinarsi a quel

divino ideale che ci è proposto nella personalità del Cristo. L‟anima consacrata a Dio, che ha

abbandonato l‟Egitto della vita pagana, che si è preposta il compito di attendere alla

perfezione, che accetta il sacrificio come mezzo di santificazione, che a questo scopo ha

fiducia piena in un Superiore che la guida per la via della santità, è l‟anima che gode

veramente della piena libertà; quella di essere figlia di Dio e che si propone di fare solo ciò

che piace al Padre e ciò che serve alla gloria del Padre. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 241-

242).

Occorre conoscenza, studio della dottrina cristiana. Una buona Missionaria deve avere una

cultura teologica adatta alla sua cultura generale, non solo per l‟apostolato, ma per la sua vita

interiore (Il Padre ha detto, p. 71).

Guai all‟anima che si accontenta di una vaga aspirazione al bene o anche all‟imitazione di

Cristo e non chiude tutta la propria vita in un programma ben definito e preciso, realizzato con

ferrea disciplina! Guai all‟anima che non comprende che il programma non è mai generale

promessa di bene, ma è una disciplina da attuare ogni anno, ogni mese, ogni giorno. (Gli

insegnamenti del Padre, p. 123).

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Dagli scritti di Armida Barelli

Cercate di cogliere in questi Esercizi il disegno di Dio su di voi, il punto nel quale Egli vuole

il vostro sforzo verso la perfezione. Fate un solo proposito ma mantenetelo; ogni anno salirete

così un gradino sino al giorno beato in cui spiccherete dalla terra, purificate e perfette, un

salto nelle braccia e nel cuore di Dio. (A. Barelli, lettera del 21.8.1933).

Raccomandarvi di studiare e stendere il compito può sembrare un anacronismo in questi

momenti (tempo di guerra, n.d.r.). Eppure se vogliamo rimanere serene nelle prove che già

abbiamo o in quelle che Dio potrebbe permettere, è assolutamente indispensabile raccogliersi,

pregare, meditare sulle eterne verità, e in tal caso lo studio di cose religiose è un vero

beneficio per l‟anima, sia estraendola dai pensieri dolorosi, sia fortificandola per reggere nella

prova ed essere irradiatrice di bene tra quanti soffrono. (A. Barelli, lettera del 28.8.1943).

A voi, che la lunga permanenza nell‟ISM può trascinare nelle mediocrità e nella “routine”, la

raccomandazione di cominciare ogni giorno daccapo nella lotta per essere fedeli all‟ideale

abbracciato, l‟augurio che l‟ultimo giorno vi trovi ardenti e fedeli come il primo.

Non molte, ma buone Missionarie; fornite delle necessarie attitudini, rispondenti alle varie

esigenze. Attendete con amore e zelo al lungo, paziente e delicato lavoro di preparazione

remota di coloro che vi sembrano adatte all‟Istituto, richiedete e sviluppate la cultura religiosa

ed ascetica, la vita francescana, lo zelo di apostolato, perché questi sono i mezzi per diventare

buone Missionarie. (La sua voce, p. 57-58).

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8. Altri scritti

Carissime figliole,

innanzitutto vi ringrazio per le preghiere, per le varie offerte fatte a Dio per implorare la mia

guarigione, per tutto quanto avete in varia forma e misura compiuto.

Avete dimostrato con questo il vostro affetto per me ed io desidero assicurarvi che lo ricambio

come a figliole che il Signore mi ha affidate e che mi propongo di condurre per le vie della

perfezione, a lavorare per l‟estensione del Regno di Dio. Ma io pure vi ho ricordate sempre, in

modo speciale alla sera, a quell‟ora in cui nel malato si fa acuta e pungente la melanconia, in

parte dovuta alla debolezza organica, ma in parte dovuta alla riflessione sulla propria malattia,

al lavoro lasciato, sulle Opere, sulle persone care. Tra le altre cose, in primo luogo ricordavo

il Sodalizio; perciò ogni sera vi ho mandato la benedizione, invocandovi da Dio le grazie per

la vostra vita spirituale, per i vostri bisogni, per il vostro lavoro, per la vostra salute e per tutto

ciò che vi è caro.

La lunga malattia mi ha dato modo di considerare molte cose, e, come potete immaginare, le

principali riguardano la mia anima e non è il caso che intrattenga voi su questo, altro che per

dirvi che è stato per me questo periodo come un lungo Corso di Esercizi Spirituali, nel quale il

Signore mi ha fatto la grazia di farmi comprendere molte cose e di farmi giungere ad

importanti deliberazioni per la mia anima e per la mia attività. Quindi considero questo

infortunio automobilistico e la susseguente grave malattia come un dono prezioso di Dio, il

Quale, in modo misterioso mi ha fatto intendere la Sua Volontà, che io mi propongo di

eseguire con tutte le mie forze. Domando a voi di aiutarmi a mantenere questi propositi con le

vostre preghiere, perché è evidente che, se io avessi santità e ricchezza di vita interiore, potrei

comunicarle ad esuberanza a ciascuna di voi, e voi sareste le prime a trarne profitto.

Soprattutto dico questo a quelle numerose tra voi che sono più o meno gravemente malate;

esse meglio di ogni altra possono intendere queste mie parole, perché hanno sperimentato il

valore della malattia: mentre da ogni parte tutte le compiango per le sofferenze che esse

debbono patire, esse sanno che queste sofferenze apportano un bene così grande e da esse

viene uno stimolo così prezioso alla elevazione dell‟anima che non potrebbe essere ottenuta in

nessun altra guisa ...

(Lettera scritta da padre Gemelli alle Missionarie dall‟ospedale nel quale era ricoverato nella

quasi totale immobilità, da 76 giorni, Pasqua 1941).

* * *

Il 16 novembre è una data memorabile per il Padre, perché è l‟anniversario della sua entrata

nell‟Ordine Francescano. Non fu un‟entrata come le altre: fu un atto eroicamente decisivo che

ebbe qualche cosa di soprannaturale ed insieme di drammatico.

Il giovane medico, il 16 novembre 1903, alle 7 di sera, fuggì letteralmente, in abito da società,

dalla sua famiglia, dalla sua Milano, dal mondo che lo apprezzava e lo invitava, per

nascondersi nel convento di Rezzato, dove famiglia, amici e mondo lo inseguirono, lo

assediarono, lo insidiarono per molti mesi con tutti i mezzi, inutilmente. Padre Gemelli, per

quel religioso pudore che sigilla di silenzio la sua conversione, segreto del Re, non parla dei

particolari di quella fuga, ma la ricorda per ringraziarne Iddio.

Ora, nel 1941, il Padre, per la sua infermità, non poteva celebrare la Messa del 16 novembre

in convento, fra i confratelli, ed io gli chiesi di permettere alle Missionarie del pensionato

Cristo Re ed a me, di assistere alla sua Messa. Lo aspettammo nel breve atrio della cappella

Sacra Famiglia, ciascuna con una rosa in mano, e gli presentammo 39 rose (a nome anche

delle assenti) quanti erano gli anni della sua vita religiosa. Il Padre ringraziò commosso e

dopo la Messa ci disse: «Riportatevi con la mente al coretto di S. Damiano, dove si è svolta la

vita francescana nella sua maggiore intimità e spiritualità, prima per opera di san Francesco,

poi di santa Chiara e dove, di secolo in secolo sono convenuti tutti i Francescani per attingere

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forza al loro compito. Scendete quei gradini consumati, guardate quelle mura annerite, sedete

su quegli stalli poverissimi, rievocate le prime compagne di santa Chiara e tra esse

sant‟Agnese, particolarmente unita a Chiara e per lei a san Francesco. Non è martire, ma un

po‟ di martirio lo ebbe. Il suo cranio, conservato dalle clarisse, porta ancora il segno delle

busse dello zio. Soffrì per avere seguito la sorella e quindi san Francesco. D‟altra parte la

famiglia aveva, in fondo, ragione.

Che prometteva Francesco? Non era meglio per una fanciulla seguire la via aperta dalla

grande tradizione monastica benedettina? Questo è il giudizio umano, ma il giudizio divino è

diverso. Il giudizio divino è quello del Vangelo di oggi, in cui meglio respiriamo il pensiero

del Maestro. È il Vangelo del grano di senape e del fermento che in piccola quantità la donna

aggiunge alla farina. Il grano di senape esprime bene il carattere del cristianesimo: sorgere dal

nulla e diventare grande solo per la grazia. Questo Vangelo è applicabile pure al

Francescanesimo, a santa Chiara, a sant‟Agnese: è applicabile al Sodalizio perché, nato nel

coretto di S. Damiano, è cresciuto fino a diventare cosa abbastanza grande, tanto da destare

preoccupazioni in chi lo dirige. Ma nel Vangelo sono insieme i due simboli: quello del grano

di senape e quello del fermento. Essi sono diversi, ma si integrano. Il grano di senape è il più

piccolo seme del mondo, eppure produce un albero grandissimo: analogia con lo sviluppo

della Chiesa. L‟altra similitudine è appropriata di più a ciascuno di noi. Il lievito, che

fermenta la farina, significa l‟azione della grazia nell‟anima che, per se stessa (come la

farina), è incapace di agire, di crescere nella vita soprannaturale. La farina non diventa pane

senza lievito; l‟anima non opera per il Regno di Dio, senza la grazia. Ognuno deve essere

fermento di bene nell‟ambiente in cui la Provvidenza l‟ha destinato. Come pochissimo

fermento basta a lievitare tre staia di farina, così noi per quanto piccoli e poveri, se avremo in

noi la grazia, potremo agire potentemente nella società contemporanea» (A. Barelli, La nostra

storia, pp. 218-219).

* * *

Propositi Gennaio 1951

Pietà

1.Offro al Dio Bambino

- il tributo di una profonda adorazione (Ti adoro!)

- i trasporti di gioia ineffabile (Viva viva!)

- l‟omaggio di una gratitudine senza nome (Grazie!)

- la tenerezza di un amore senza pari (Ti amo!)

2. Imparerò da Gesù Bambino, Maestro di umiltà, di povertà, di pazienza e di purezza,

a essere:

- umile (accettando le umiliazioni della malattia)

- povera (rinunziando con amore a molte cose)

- paziente (sopportando il male e le cure - facendo i conti e la Storia ISM)

- pura (d‟anima, d‟intenzione e di corpo).

Penitenza - tutti i disturbi e le rinunzie della mia infermità, sentiti e offerti -

Fare conti - Riprendere Storia ISM.

Carità - Bontà con tutti - circolare Missionarie - Articolo bollettino

universitario - Adunanze università, Opera della Regalità, ISM -

interessamento mie sorelle e altri.

(Scritti per il processo di beatificazione, vol. 2, p. 13).

* * *

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Carissime,

nella impossibilità di trovarmi fra voi durante questo corso di santi Esercizi, vi mando il mio

pensiero ed il mio augurio e soprattutto l‟assicurazione della mia preghiera.

Questo vostro corso, lo so, ha particolare importanza, perché sarà quello che segnerà nella

vostra vita una data, data che ricorderete fino all‟ultimo istante della vostra vita stessa.

La professione infatti è la data delle “Nozze” e le nozze per l‟anima consacrata a Dio

vogliono dire l‟atto più nobile e più sublime della propria vita, il momento solenne della

donazione totale allo Sposo Divino. Le mani dello Sposo si presentano a voi ricche di doni

preziosi, e l‟abbondanza o sovrabbondanza di essi dipenderà dalla regalità divina, si, ma

anche dalla misura della vostra generosità di donazione.

Riflettete bene, sorelle mie, al passo che state per compiere e se qualcuna ha un minimo

dubbio, ritardi; siate pienamente coscienti, coscienti dico, non solo delle gioie e consolazioni

che verranno alla vostra anima, ma anche dei sacrifici e delle rinunzie che liberamente

accettate. Ore dolcissime sono riservate alla vostra anima, ma anche ore di dolore, di

solitudine, di lotta; ore di prova in una parola. In quelle ore anche se lontane di anni, ritornerà

alla vostra mente il momento solenne della Professione, e la misura della vostra cosciente

donazione di oggi si rifletterà e avrà immenso valore in avvenire.

Ma queste serie, sebbene utilissime riflessioni, non debbono minimamente offuscare la letizia

di quest‟ora dolcissima. Godete anzi, esultate, vivete la vostra intima festa nella pienezza

della serenità e sappiate ascoltare la voce dello Sposo Divino che per ognuna di voi avrà

armonie differenti.

Voi avete un posto privilegiato nel Cuore Divino, ebbene sappiate santamente valervene,

chiedendo molte grazie. Chiedete la vostra incondizionata fedeltà e la vostra santificazione,

chiedete grazie pel Sodalizio; pregate per tutte le nostre Opere: Università Cattolica, Azione

Cattolica, Opera della Regalità. Pregate per il Papa, pregate per l‟Italia nostra, pregate per il

mondo intero: nulla dimenticate!

Vi auguro di diventare degne spose del Re divino, e invocando per tutte e per ciascuna

sovrabbondanza di grazia, vi sono unitissima con la preghiera e con affetto fraterno.

In Corde Jesu.

La Sorella Maggiore

(Lettera di A. Barelli alle „spose‟ del corso di Esercizi dell‟agosto 1938 - Scritti per il

processo di beatificazione, vol. 5, p. 18)

* * *

Ti canta nel cuore la gioia più grande. Stai per salire l‟altare. Sali per fare la tua offerta: per

sempre, perché la tua volontà è decisa per l‟eternità a seguire l‟Agnello ovunque Egli vada.

Sosta ancora un momento, rifletti ancora alla grandezza dell‟atto che stai per compiere; tu vai

a deporre all‟altare non un qualche cosa di tuo, ma tutta te stessa. Pensaci, non per ritirarti

impaurita, ma per andare incontro a Lui con piena consapevolezza, con illuminata fiducia, con

ardente amore.

Egli ti ha chiamata: di questo non puoi dubitare e tu oggi rispondi all‟invito. Non temere

dunque: Egli sarà la tua forza, poiché tu ti doni tutta a Lui. Invoca in tuo soccorso la Vergine

Santa, Madre Sua e Madre tua, affinché ti accompagni all‟altare.

Gesù, lo sposo cercato, desiderato, amato, attende il tuo “sì” chiaro e irrevocabile, deciso; e tu

lo pronunci con le labbra tremanti ma più con il cuore.

Scenda su di te la grazia a rinnovarti come in un secondo battesimo; sei Missionaria della

Regalità di Cristo! Egli è il Re, tu la sposa che, per l‟estensione del suo Regno, prega, ama,

lavora, combatte, soffre.

Gusta nell‟intimo l‟altezza e la grandezza, il valore di questa tua missione. Senti la forza del

voto di castità, che ti consacra a Cristo perché tutto di te Gli appartiene: la tua anima, le tue

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facoltà, il tuo corpo stesso, e, soprattutto, il tuo cuore. Da oggi amerai tutte le creature solo in

Lui, e per Lui, con una purezza nuova. Abbraccia con gioia la dura povertà che renderà il tuo

cuore libero e lieto, pronto sempre a seguire Lui, sulle orme di Francesco poverello, piegati

volentieri al giogo dell‟obbedienza, che temprerà il tuo animo per ascendere alle vette, farà

regnare in te la Sua volontà e farà regnare la pace. Senti l‟ansia di darti alle anime

nell‟apostolato, che impegnerà tutte le tue forze per l‟estensione del Suo Regno: senza tregua,

con ogni mezzo, fino all‟ultimo respiro della tua vita, sospinta dal serafico grido “l‟Amore

non è amato”.

In castità, in povertà, in obbedienza sarai apostola nel mondo; nell‟umiltà, nella semplicità,

nella carità porterai ai fratelli Gesù che regna in te, Sovrano incontrastato.

Bacia il tuo Crocifisso, solo sulla croce, unita a Gesù, potrai dare frutti durevoli.

Stretta a Lui, tutta protesa nel desiderio ardente di amarlo e farlo amare, riprendi con coraggio

la tua via. Va‟, Missionaria della Regalità di Cristo ... tutto il mondo ti appartiene.

(Da una lettera inedita senza data di Armida Barelli).

* * *

Testamento spirituale

Pegli, 11 febbraio 1950

Anno Santo

Vivat cor Aeterni Regis

Alle mie sorelle

Missionarie della Regalità di Cristo

Quando leggerete questa mia,

io vi sorriderò dal Cielo. Che dico, dal cielo? dal Purgatorio!

La vostra prima Sorella Maggiore se ne va,

carica della responsabilità formidabile d‟essere stata impari

al compito assegnatole da Dio.

Solo la mia fiducia immensa

nel Cuore del nostro Sposo e Re Divino

non mi fa temere la morte.

Non avrà pietà lo Sposo

della sposa che ha corso tutta la sua vita dietro a Lui

e nella corsa affannosa è mille volte inciampata,

è passata incosciente accanto a meraviglie,

ha mancato delle finezze d‟amore

a Lui tanto gradite?

Sì, l‟Amore infinito e misericordioso

avrà pietà di lei, come l‟ha avuta di voi,

togliendovela

per darvi una più degna Sorella Maggiore.

Ed io, dal Cielo,

forte dei meriti e dell‟amore del S. Cuore,

farò per voi quello che non ho saputo fare quaggiù.

Chiederò al Re d‟amore d‟investirvi una per una col fuoco della Sua carità,

perché possiate essere le sue Missionarie fedeli, amanti, feconde!

perché possiate dimenticarvi

e viver per Lui e amarLo e farLo amare!

perché possiate essere quali il suo Vicario vi vuole:

sale nel mondo insipido,

luce nel mondo tenebroso,

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fermento nella massa rifatta pagana,

aiuto alla Chiesa, circondata da nemici come nei secoli più duri.

Chiederò alla Madre Sua e nostra

che vi purifichi, vi adorni,

formi in ciascuna di voi il Suo Divin Figliolo,

affinché il Padre dei Cieli, vedendovi,

vi riconosca e vi accolga.

Chiederò al Padre nostro S. Francesco,

alla dolce maggior sorella S. Chiara,

per tutta la nostra spirituale famiglia,

l‟Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo

(e anche per i Fratelli e pei Sacerdoti),

nato nella roccaforte del francescanesimo,

il loro e nostro S. Damiano,

la perennità dello spirito francescano autentico.

E a S. Margherita Maria chiederò per ognuna di voi

il suo amore al Sacro Cuore.

Vivete nel mondo, sorelle mie,

senza nulla concedere al mondo!

Lavorate senza posa,

pregate senza posa,

ma soprattutto amate, amate, amate!

Amate Gesù, lo Sposo,

e in Lui solo tutto e tutti!

Amate la Madonna,

amate le anime e lavorate alla loro salvezza

(Oh la bella giaculatoria indulgenziata:

“Gesù, Maria, vi amo, salvate le anime”).

Amate i nostri Santi Patroni,

l‟Angelo custode, le anime purganti.

Amate l‟Istituto nostro:

i Superiori, la Capogruppo,

e siate fedeli al vostro Regolamento,

ricordando che la Chiesa

vi ha posto in stato di perfezione:

siete consacrate al Signore

nei consigli evangelici!

Amate la Chiesa, madre nostra e curatevi dei suoi interessi,

che sono quelli di Gesù.

Vi raccomando le Opere nostre attuali

(Opera della Regalità, Oasi, Marianum, ecc.)

e le future e quelle che serviamo:

Università Cattolica e Azione Cattolica.

Ho nominato mio erede

l‟Associazione laicale femminile S. Cuore,

ed esecutrici testamentarie due nostre sorelle:

una somma annua ha lo scopo di aiutare qualcuna di voi per i Santi Esercizi.

Mettete la mia immagine nel Messale

e pregate per me.

Ringrazio tutte d‟ogni bontà a mio riguardo,

chiedo perdono d‟ogni mia anche involontaria mancanza,

ripeto a tutte il mio affetto,

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chiedo suffragio

e do a tutte l‟arrivederci in Cielo.

La vostra sorella maggiore

Maria Elisabetta del Sacro Cuore

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Appendici

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Cronologia di padre Gemelli

Da Edoardo a fra’ Agostino

1878 - 18 gennaio: Edoardo Gemelli nasce a Milano

1896 - Si iscrive alla facoltà di medicina dell‟Università di Pavia. Inizia vita politica nel

partito socialista.

1897 - Assume la direzione de La plebe periodico socialista del pavese.

1902 - Consegue a pieni voti la laurea in medicina.

1903 - Con Ludovico Necchi (detto Vico), Edoardo Gemelli compie il servizio di

volontariato medico presso l‟ospedale militare di Milano, piazza S. Ambrogio.

In questo stesso anno si verifica la conversione di Edoardo Gemelli alla fede cattolica.

Il 16 novembre inizia il suo noviziato francescano. Assume il nome di Agostino, in

ricordo del suo passato che lo accomuna al vescovo di Ippona.

1907 - Fra Agostino Gemelli emette i voti solenni: è francescano

- 14 marzo: Fra Agostino diventa sacerdote; il 18 marzo celebra la sua prima

messa solenne in S. Antonio a Milano.

1909 - 13 gennaio: fonda la Rivista di filosofia neoscolastica.

1910 - 11 febbraio: incontra Armida Barelli.

1914 - Nasce la rivista Vita e Pensiero. Scoppia in Europa la prima guerra mondiale.

1915 - 24 maggio: entrata in guerra dell‟Italia. Gemelli è richiamato alle armi come capitano

medico. Con lui anche Ludovico Necchi e padre Mazzotti, i suoi inseparabili amici.

Comincia a delinearsi più chiaramente l‟idea dell‟Università Cattolica.

1918 - 9 settembre: nasce, come fermo proposito di fondazione, l‟Università Cattolica. Con

Gemelli sono Armida Barelli, Ludovico Necchi e don Francesco Olgiati.

1919 - Nasce l‟Istituto secolare delle Missionarie della Regalità.

1921 - 9 febbraio: il papa Benedetto XV manda a Gemelli un „breve‟ apostolico Cum semper,

che approva l‟erezione dell‟Ateneo cattolico. Nasce la prima sede in Milano, via S.

Agnese, donata da un generoso benefattore.

1925 - Papa Pio XI proclama l‟istituzione della festa della Regalità di Cristo. Si avvia tra il

1927 e il 1929 un‟altra opera del Padre, l‟Opera della Regalità di Cristo per la

diffusione della vita liturgica tra il popolo.

1930 - 10 gennaio: muore l‟amico Vico Necchi.

L‟Università Cattolica cambia sede e si installa in un nuovo edificio costruito

sull‟antico convento e poi ospedale militare in piazza S. Ambrogio a Milano.

1934 - Papa Pio XI dona all‟Università Cattolica una villa a Monte Mario a Roma per la

Facoltà di Medicina.

1936 - Pio XI chiama p.Agostino Gemelli a presiedere la Pontificia accademia delle scienze.

1939 - Scoppia la seconda guerra mondiale.

1940 - L‟Italia è in guerra. Il 26 dicembre dello stesso anno padre Gemelli ha un terribile

incidente d‟auto, dal quale uscirà, dopo indicibili sofferenze, per sempre segnato nel

fisico e anche mutato nello spirito.

Nonostante il periodo difficile, l‟Università continua la sua attività.

1946 - Subisce un altro incidente automobilistico. L‟8 dicembre celebra il venticinquesimo

anniversario dell‟Università.

1952 - Muore Armida Barelli. Anche la salute di Padre Gemelli declina: ma è instancabile,

continua a lavorare. Nonostante abbia superato i 75 anni, rimane rettore.

1958 - 8 dicembre: è l‟ultima inaugurazione dell‟anno accademico presieduta da Padre

Agostino.

1959 - 15 luglio: dopo un lungo alternarsi di crisi e di miglioramenti padre Agostino Gemelli

muore.

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Cronologia di Armida Barelli

1882 - 1 dicembre: Armida Barelli nasce a Milano

10 dicembre: è battezzata.

1895 - Entra nel collegio di Menzingen (Svizzera).

1900 - Finisce lo studentato a Menzingen, rientra a casa.

1904 - Accetta di fidanzarsi per far piacere ai genitori. Ma ben presto rompe il fidanzamento.

Non ha chiara la sua vocazione, ma sente che non sarà il matrimonio.

1906 - Muore Napoleone Barelli, il padre.

1907 - Le tre sorelle sono tutte sposate; Armida è diventata, accanto alla madre, il perno della

casa. I fratelli sono ancora studenti; prende in mano la gestione dell‟azienda paterna.

1909 - Frequenta per la prima volta un corso di cultura religiosa nell‟Arcivescovado di

Milano; conosce Rita Tonoli, una donna milanese fondatrice della Piccola opera per

la salvezza del fanciullo che si occupa dei piccoli abbandonati nei bassifondi di

Milano.

1910 - 11 febbraio: si incontra per la prima volta con padre Agostino Gemelli.

1913 - Armida Barelli, nel Duomo di Milano, fa l‟offerta perpetua di sé a Dio per l‟apostolato

nel mondo; sarà al servizio del Vangelo, del Sacro Cuore di Gesù da laica.

Conosce padre Arcangelo Mazzotti francescano, che la guiderà spiritualmente per tutta

la vita.

1914 - L‟azienda Barelli subisce un rovescio economico. Armida si impegna a sostenere i

fratelli e la madre. Nello stesso anno padre Gemelli, mons. Francesco Olgiati e il dr.

Vico Necchi, ormai amici inseparabili anche di Armida, fondano la rivista Vita e

Pensiero. Scoppia la prima guerra mondiale.

1915 - Partono militari i fratelli di Armida. Anche Gemelli, Necchi e padre Mazzotti sono

sotto le armi.

Armida lavora instancabilmente alla consacrazione dei soldati al Sacro Cuore. Nel

frattempo si chiarisce sempre più in lei l‟adesione alla spiritualità francescana.

1917 - L‟arcivescovo di Milano, card. Andrea Ferrari, le chiede di fondare nella diocesi

lombarda il movimento della Gioventù Femminile di Azione Cattolica.

1918 - Padre Gemelli fonda la società editrice Vita e Pensiero, che pubblica anche l‟omonima

rivista.

Nasce dal gruppo dei tre amici (Gemelli, Necchi, Olgiati più la Barelli naturalmente)

l‟idea dell‟Università Cattolica. Nello stesso anno il papa Benedetto XV affida ad

Armida Barelli il compito di fondare la Gioventù Femminile in tutta Italia.

1919 - Armida Barelli con altre undici „sorelle‟ costituisce il primo nucleo dell‟Istituto

secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo.

1921 - La Barelli partecipa alla nascita dell‟Università Cattolica che, per suo volere

„ostinato‟, si intitola al Sacro Cuore di Gesù.

1929 - Nasce l‟Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo.

1945 - Armida Barelli, come cassiera ma soprattutto come animatrice, partecipa alla rinascita

dell‟Università Cattolica dopo il disastro della seconda guerra mondiale.

1948 - L‟Istituto delle Missionarie della Regalità riceve il riconoscimento definitivo come

istituto secolare.

Gli anni che seguono vedono la Barelli impegnata ancora nell‟Azione Cattolica per

partecipare alla ricostruzione morale dell‟Italia dopo la guerra. La Barelli si impegna

soprattutto a favore delle donne che, proprio da lei, saranno spinte ad impegnarsi

anche in politica, cosa abbastanza lontana dal costume italiano soprattutto di quel

tempo.

1949 - Armida avverte i primi sintomi del male (paralisi bulbare progressiva) che pian piano

le impedirà di parlare.

1952 - 15 agosto, muore a Marzio, un piccolo paese nelle vicinanze di Milano.