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ALLE ORIGINI DEL CARISMA
Padre Agostino Gemelli
e
Armida Barelli
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La prima edizione di questo testo è stata pubblicata nel 1985 in risposta alla mozione 5
dell'assemblea generale del 1980 che chiedeva di "preparare una breve storia dell'Istituto da
tradurre nelle varie lingue per far conoscere le origini dell'Istituto e i suoi fondatori". Poiché il
desiderio di conoscere i fondatori continua ad essere espresso dalle Missionarie e dalle
Aspiranti dei diversi paesi in numerose occasioni, il Consiglio Centrale ne ha curato una
seconda edizione.
a cura del Consiglio centrale dell‟I.S.M.
I ed. giugno 1985
II ed. febbraio 1998
Pro manoscritto
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Indice
Parte prima: CONOSCERE I FONDATORI
1. Padre Gemelli - cenni biografici 7
2. La personalità di padre Gemelli e il suo incontro con
san Francesco (Mina Poma) 13
3. Armida Barelli - cenni biografici 17
4. Spiritualità e missione di Armida Barelli (Mina Poma) 24
Parte seconda: GLI SCRITTI
Nota introduttiva 29
1. L‟Istituto Secolare delle Missionarie 31
2. La spiritualità francescana 35
3. La missione 38
4. La consacrazione 41
5. La preghiera 46
6. La comunità fraterna 52
7. La formazione 53
8. Altri scritti 55
APPENDICI
Cronologia di padre Gemelli 63
Cronologia di Armida Barelli 64
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Parte prima
CONOSCERE I FONDATORI
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7
1. Padre Gemelli - cenni biografici
La famiglia
Milano è la più europea fra le città italiane. Collocata a nord della penisola, per storia e per
cultura somiglia, più delle altre città italiane, alle città del centro Europa. Questo è in parte
dovuto alla presenza asburgica (la Lombardia quasi per due secoli è stata una provincia
dell‟Impero Austriaco) ma anche ai contatti con la Francia, con l‟Inghilterra, e con altri paesi
del nord Europa. Milano si è trovata così ad essere un crogiolo di stimoli culturali. Sede di
grandi industrie tra la fine dell‟800 e i primi del „900, la città lombarda divenne anche il
centro propulsore di grandi lotte operaie.
In questa città, il 18 gennaio 1878, nacque uno dei protagonisti della vita culturale, sociale,
ecclesiale milanese ed italiana: Edoardo Gemelli.
Il papà, Innocente Gemelli, era figlio di piccoli proprietari terrieri. I nonni vivevano a
Bescapé, un paese quasi alle porte della città. Alla casa dei vecchi Gemelli, nessun povero
batteva alla porta senza ricevere qualcosa e vicino all‟ingresso c‟era una vaschetta in cui
venivano depositate le monete che servivano per le elemosine.
Innocente Gemelli, che aveva combattuto per rendere l‟Italia unita e indipendente, era iscritto
alla massoneria. Non era certamente un credente. La mamma di Edoardo si chiamava Caterina
Bertani. Anche essa aveva le sue radici nel Risorgimento italiano, essendo nipote di un
medico molto noto nelle battaglie politiche dei suoi tempi. In famiglia c‟era anche un altro
figlio, Luigi. Edoardo da piccolo era gracile e malaticcio, di carattere timido e sensibile. Da
adolescente si mostrò impetuoso, aggressivo. Tutto ciò nascondeva sensibilità, voglia di
tenerezza, di affetto, generosità.
Anche se Innocente e Caterina non erano credenti, fecero battezzare, comunicare e cresimare i
figli. Edoardo imparò i primi rudimenti del Vangelo in parte dalla nonna paterna e in parte
dalla maestra delle scuole elementari. Questi semplici insegnamenti rimasero scolpiti nel
profondo del suo cuore e riaffiorarono poi nell‟età adulta.
La giovinezza inquieta
Finite le elementari, Edoardo fu mandato a studiare nel collegio militare Longoni, uno dei più
noti collegi milanesi gestiti da laici. Forse i genitori avevano iscritto il figlio a questa scuola
per allontanarlo da eventuali influssi clericali.
Edoardo non frequentò volentieri il collegio. Abituato al calore della famiglia, si sentiva un
po‟ sperduto, e all‟inizio ebbe difficoltà a fare amicizia con i compagni. Era chiuso in se
stesso al punto da dare l‟impressione ai professori di non essere particolarmente brillante.
Nella sua stessa classe c‟era un altro ragazzo. Si chiamava Ludovico Necchi. Era l‟esatto
contrario di Edoardo. Aperto, simpatico, gioviale, attraeva spontaneamente la simpatia. In
classe dimostrava senza fatica la vivacità della sua intelligenza. Di famiglia cattolica,
Ludovico (che tutti chiamavano Vico) non faceva mistero della sua fede anche nell‟ambiente
anticlericale in cui viveva e studiava. Anzi difendeva le sue idee con molto calore e proprietà.
Anche Edoardo Gemelli si sentì affascinato dal coetaneo che sembrava aver raggiunto
quell‟armonia che lui non riusciva a trovare. Sui banchi del ginnasio mise così le sue prime
radici un‟amicizia che avrà un grande ruolo nella formazione di Gemelli. Questi intanto
andava maturando idee politiche che oggi definiremmo di sinistra e che allora si chiamavano
“repubblicane, anticlericali, rivoluzionarie”. La scuola non era certamente un luogo di delizie
per lui che la ricorderà così: “Metodi pesanti, inceppanti, che rendono odioso lo studio.
Maestri noiosi, pedanti, stucchevoli. Scuola tortura”1. Una tortura specialmente per un
ingegno vivo, rapido, intuitivo come quello di Gemelli che sfogava il suo temperamento
1 Maria Sticco, Padre Gemelli, Appunti per la biografia di un uomo difficile, Ed. OR, 1991, p. 9.
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vulcanico con “imprese” come scendere in bicicletta la scala del liceo, cosa che gli procurò
molteplici fratture alle gambe e lunghi mesi di immobilità.
Vico Necchi uscì dal liceo con una fede forte, limpida, generosa. Edoardo, irritato dalla
disciplina inconcludente, ne uscì ancora più ribelle. Dopo il collegio, entrambi si iscrissero
alla facoltà di Medicina a Pavia. Gemelli aveva una predisposizione allo studio dell‟uomo e a
tutto quanto poteva portare sollievo alla sofferenza umana.
In quel periodo, il mondo della scienza era pervaso dalle teorie positivistiche. Nel desiderio di
affrancarsi dalle antiche superstizioni, di dichiarare la propria autonomia, le scienze (e tra
queste quelle collegate direttamente allo studio della medicina) volevano cancellare il
sentimento religioso dalla vita dell‟uomo, ritenendolo non razionale. Dio era inutile, buono
soltanto per le donne, i vecchi e le persone deboli. Tutto appariva chiuso nel cerchio della
materia e delle leggi fisiche dell‟universo. Ma questo non bastava ad Edoardo che forse
cominciava a sentire una sorta di nostalgia per quel Dio che aveva incontrato da bambino. Il
suo desiderio di non restare alla superficie dei problemi lo condusse anche allo studio della
filosofia.
Ma l‟animo esuberante del giovane Edoardo non poteva contentarsi di rimanere confinato
nello studio. Gli anni della fine del diciannovesimo secolo erano anche anni dell‟affermarsi
delle idee socialiste ed egli, innamorato della giustizia, non restò insensibile alla sorte
tristissima dei lavoratori e alle loro condizioni. Durante gli studi di medicina conobbe uomini
politici tra i quali Filippo Turati, uno dei padri del socialismo rivoluzionario italiano. E fu lo
stesso Turati a mettere gli occhi sul giovane studente, intuendone le capacità intellettuali e il
potenziale rivoluzionario.
In breve, Gemelli divenne fervente socialista tanto che Turati gli affidò la direzione di un
periodico. Nonostante avesse solo diciannove anni, si gettò in questo lavoro con serietà
professionale oltre che con grande entusiasmo. Inoltre andava in giro per le campagne a tenere
comizi: sapeva parlare, affascinava la gente.
Sull‟altra sponda, quella cattolica, militava l‟amico Vico Necchi. Coerente con le sue idee, si
era subito iscritto al locale circolo studentesco cattolico. Sempre calmo, riflessivo, rigoroso,
anche Vico Necchi aveva la stoffa del capo o, più precisamente, del punto di riferimento. E
tale divenne subito per i suoi compagni del circolo giovanile. Nonostante le idee contrastanti,
Gemelli e Necchi rimanevano amici. Anzi, discutevano sempre a lungo partendo ciascuno dai
propri principi, con enorme rispetto. Edoardo era attratto dalla coerenza fra idee e vita
quotidiana che Vico esprimeva. Vico ammirava in Gemelli la forza, l‟energia formidabile, il
temperamento leale.
Intanto gli anni passavano. Edoardo Gemelli era ora uno studente brillante, cui i professori
davano stima. Si dedicava molto tenacemente allo studio, anche se la vita politica lo attraeva.
La famiglia aveva subito un dissesto finanziario e lui non poteva permettersi di allungare i
tempi per conseguire la laurea.
L‟amicizia con Vico Necchi continuava e continuavano le discussioni. Necchi lo indusse ad
andare ad ascoltare una conferenza di un giovane teologo molto preparato e Gemelli, dopo
aver ascoltato, iniziò una lunghissima discussione con il prete. Una discussione che lo
condusse, per mancanza di argomenti, alla satira. Necchi si indignò. Ma capì anche che
l‟amico era alla ricerca di qualcosa che ancora non sapeva chiaramente vedere. “Tu non sei
incredulo. Sei solo ignorante” gli dirà con viva forza. Con altrettanta violenza gli risponderà
Gemelli “Se io avessi la fede che dici di avere tu, andrei frate”2. Il teologo che aveva assistito
alla scena, diede a Gemelli alcuni libri: il suo desiderio di stabilire una assoluta coerenza fra
pensiero e vita era più che evidente. Studiasse, dunque, Gemelli le radici della religione, le
capisse. Poi avrebbe potuto decidere in piena coscienza.
E nel frattempo Gemelli aveva iniziato ad allontanarsi dal partito socialista di cui non
sopportava l‟intransigenza e il settarismo. Nel 1900 non rinnovò la tessera di iscrizione al
2 Op. cit., p. 20.
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partito.
Continuò i suoi studi e il 9 luglio del 1902 si laureò col massimo dei voti, pubblicazione della
tesi, un premio accademico.
Lo scienziato Camillo Golgi che era stato il suo professore lo voleva subito come suo
assistente all‟università. Gemelli andò come medico condotto supplente a Mariano Comense,
un paesetto della Brianza.
La carriera fu però interrotta dal servizio militare di leva. Con l‟inseparabile Necchi, Gemelli
rinunciò alla possibilità di essere ufficiale. Necchi perché da cristiano voleva stare accanto ai
più poveri, Gemelli perché voleva esservi da socialista: tutti e due, come soldati semplici,
entrarono nell‟ospedale militare di Milano, piazza S. Ambrogio, nel cuore della città.
Entrambi dovettero iscriversi ad un corso per infermieri, nonostante la laurea in medicina.
All‟ospedale militare Gemelli fece un‟altra conoscenza decisiva per la sua vita: quella con
Andrea Mazzotti, frate francescano di Brescia.
L’incontro
Alto, biondo, atletico, lo sguardo penetrante dietro gli spessi occhiali da miope, Edoardo
Gemelli, anzi il dottor Gemelli, era sempre lo stesso degli anni studenteschi. Stesso
entusiasmo, stessa irruenza, stesso temperamento, stesse vivaci discussioni con l‟amico
Necchi e altri giovani credenti.
Gemelli cercava qualcosa che era nel Vangelo, ma ancora non trovava il coraggio di riandare
a quelle pagine che da bambino aveva appena intravisto.
È a questo punto che avvenne un incontro determinante per la sua conversione. Gemelli,
volontario, prestava servizio nel reparto infettivi dell‟ospedale. Un giorno fu condotto nel
reparto un soldatino devastato dalla tubercolosi. Il giovane militare sapeva di essere sul punto
di morire. Il suo corpo era un ammasso ributtante di piaghe. Rivolse a Gemelli una domanda
strana. Gli disse: “Senti, volontario, io muoio lontano da tutti i miei. Se fosse qui, la mia
mamma mi darebbe un bacio. Me lo vuoi dare tu?”. Vincendo il ribrezzo, ricordando
inaspettatamente ciò che avrebbe fatto Gesù, Gemelli baciò il malato sul cui volto apparve un
sorriso come un raggio di sole3.
Il soldatino morente allora lo ringraziò e gli fece un‟altra richiesta sconvolgente: “Va a
chiamarmi il cappellano perché mi porti la Comunione”. Era la prima volta che Gemelli
chiedeva a un sacerdote l‟opera del suo ministero. E fu anche la prima volta in cui Gemelli
fece da chierichetto, senza volerlo e senza saper rispondere alle parole del celebrante.
L‟incontro con il Vangelo vivo, con un Dio che gli poneva una domanda fondamentale
attraverso il povero malato, furono decisivi. Ancora una volta Vico Necchi, che in parte
sapeva e in parte intuiva, fu testimone del travaglio interiore dell‟amico.
Il 9 aprile 1903, giovedì santo, Edoardo Gemelli ricevette la Comunione. Anche lui, come
altri convertiti, potrà dire “Non so come sia andata. Mi sono ritrovato a credere in Dio”.
Da quel giorno la sua strada fu segnata chiaramente. Per temperamento non era uomo da
mezze misure. La sua vita doveva essere d‟ora in poi tutta di Dio, tutta del Vangelo.
Se ne accorse subito l‟amico Necchi che gli consigliò la Compagnia di Gesù, persuaso che
Edoardo vi avrebbe trovato tutti i mezzi per la ricerca scientifica. Altri amici gli consigliarono
l‟Ordine domenicano, data la sua inclinazione allo studio e all‟approfondimento.
Ma la scelta di Gemelli fu diversa, inaspettata. Dopo una lunga conversazione su san
Francesco con un francescano, dopo un approfondito studio sulla spiritualità del Poverello,
decise di farsi francescano.
Il 16 novembre del 1903 a meno di un anno dalla conversione, entrò come novizio nel
convento dei minori di Rezzato, un paese vicino a Brescia. Accettò con umiltà la disciplina
del noviziato. Il brillante dottor Gemelli, divenuto fra Agostino, come tutti gli altri novizi, fu
3 Op. cit., pp. 28-29.
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10
incaricato anche delle pulizie.
Per gli amici di un tempo e per gli stessi genitori, l‟entrata in convento fu uno scandalo. Turati
pubblicò sul Tempo, un quotidiano socialista d‟allora, un articolo dal titolo significativo Il
suicidio di un’intelligenza. I genitori dubitarono addirittura dell‟integrità mentale del figlio.
Con alcuni parenti andarono perfino al convento e cercarono di riportarlo a casa anche con
mezzi violenti. Gemelli resistette.
Dopo questa tempesta fu tormentato da dubbi sulla sua vocazione e da dubbi sulla fede. Li
superò con il consiglio di don Guanella, sacerdote noto per la sua carità che gli propose il
rimedio migliore contro la superbia intellettuale: tanta, umile, profonda preghiera.
Nel 1907 il novizio Gemelli emise i voti solenni come francescano e il 14 marzo 1908 fu
ordinato sacerdote dall‟arcivescovo di Milano, il card. Andrea Ferrari. Il 18 marzo celebrò la
prima Messa nella chiesa francescana di S. Antonio, alla periferia di Milano. Fu un momento
di grande emozione. Ancora accanto a lui l‟amico Necchi, ma nessuno della sua famiglia.
Il “Padre”
Iniziò così il ministero di padre Gemelli. Un‟avventura fuori dall‟ordinario, così come
straordinaria era stata la sua vita fino ad allora. Come frate non poté esercitare la medicina.
Cosa che lo addolorava molto. Ma poteva spendere il suo fine intelletto, le sue doti di
profondo ricercatore dedicandosi alla teologia, alla filosofia, alla psicologia. Scelse di
specializzarsi in psicologia e portò il metodo sperimentale della scuola di Lipsia nella
medicina, dando alla psicologia il fondamento della biologia, della fisiologia, della
neurologia. E così, con il permesso di superiori intelligenti, poté tornare a dedicarsi anche alla
scienza che era stato il suo primo interesse.
Oltre ad essere uomo di pensiero e di ricerca, padre Agostino fu un potente realizzatore di
iniziative.
Si era accorto dell‟impreparazione dei cattolici italiani di fronte all‟evolversi del pensiero
filosofico. Dall‟analoga esperienza belga, gli venne un‟ispirazione: perché non fondare anche
in Italia un Istituto superiore di filosofia?
Gemelli riunì allora intorno a sé altri amici, altri studiosi, vecchi e nuovi. Il 13 gennaio 1909
fondò la Rivista di filosofia neoscolastica. C‟era Vico Necchi, che ormai da guida si era fatto
discepolo del suo amico, c‟era padre Mattiussi e altri.
Nel 1909 si rivelò un‟altra caratteristica della spiritualità francescana di Gemelli, l‟amore per
Maria, madre di Gesù, venerata come l‟Immacolata Concezione, lo stesso titolo di
presentazione che Maria stessa comunicò a Bernadette a Lourdes. Qualcuno osò mettere in
dubbio i miracoli accaduti alla grotta di Massabielle per intercessione della Madonna.
Gemelli si gettò nella mischia con entusiasmo, ma anche con la chiarezza scientifica di
sempre. Si documentò, scrisse, tenne conferenze e gli stessi avversari dovettero ricredersi.
Nel 1910 avvenne per lui un altro incontro decisivo.
L‟11 febbraio andò da lui per esporgli un suo problema una giovane milanese. Si chiamava
Armida Barelli, aveva 28 anni, non era sposata, apparteneva ad una ricca famiglia. La
signorina Barelli voleva consigli sul come comportarsi con un suo fratello in difficoltà con la
fede. Gemelli le promise un aiuto. Andò a trovare la famiglia Barelli e ne divenne amico.
Nacque così una collaborazione dalla quale scaturiranno tante opere importanti, non solo per
la vita ecclesiale, ma anche sociale, politica, culturale dell‟Italia.
Padre Gemelli intuì la semplicità, la finezza, l‟intelligenza e soprattutto l‟ardore di fede della
signorina Barelli.
Passo passo la aiutò a trovare una strada a lungo cercata: quella di una consacrazione secolare,
di un dono perpetuo e incondizionato di sé a Dio nel mondo. Armida Barelli che conosceva
bene francese, inglese, tedesco fu subito ingaggiata a far traduzioni per la Rivista di filosofia
neoscolastica. Entrò nel sodalizio Gemelli-Necchi-Olgiati (don Francesco Olgiati era un
sacerdote colto, aperto, che Gemelli aveva strappato alla morte per tubercolosi e coinvolto
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nelle sue attività).
Negli anni che precedevano la prima guerra mondiale, si poneva in Italia il problema di un
approfondimento e di una maggiore diffusione della cultura cattolica. Nacque così l‟idea di
una rivista. Sarà Vita e Pensiero, titolo in seguito assunto anche dall‟editrice dell‟Università
Cattolica.
Ormai sono delineate l‟azione e la personalità di padre Gemelli: un francescano autentico,
innamorato di Dio e di Cristo e, quindi, impegnato al massimo nella realizzazione di ogni
opera che potesse permettere la diffusione del Suo Regno. E‟ in questa fecondità di opere, è in
questa equazione pensiero-azione che va vista l‟opera del Padre.
Intanto scoppiò la prima guerra mondiale. Padre Gemelli fu richiamato come capitano
medico, perché anche l‟Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915.
Proprio in questi anni di tragedia, maturò in lui l‟idea di una Università Cattolica.
Armida Barelli, intanto, aveva consacrato, sia pure privatamente, la sua vita interamente a Dio
pur rimanendo laica e aveva promesso a padre Gemelli di aiutare lui, don Olgiati e Necchi a
fare l‟Istituto superiore di filosofia, Maria Immacolata, primo gradino dell‟Università
Cattolica.
Nel 1918 la guerra era finita, ma le macerie erano ancora lì, a testimoniarne il passaggio. Uno
sfascio soprattutto morale e culturale. Si faceva quindi sempre più chiara la necessità di un
ateneo cattolico. All‟inizio fu pensato come difesa del cattolicesimo contro l‟attacco da parte
di concezioni materialistiche, ma gli orizzonti si allargarono ad una concezione della cultura
come servizio all‟uomo.
Nel 1919 padre Gemelli diede inizio ad una famiglia spirituale di persone consacrate nel
mondo per l‟apostolato, secondo la spiritualità francescana. Da questa intuizione nacque poi
l‟Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Anche
l‟Istituto secolare delle Missionarie (cui seguirà quello maschile e poi quello sacerdotale)
nacque proprio come servizio al Vangelo, alla missione, anche attraverso il servizio alle opere
volute da padre Gemelli. Il 9 febbraio 1921 papa Benedetto XV con un suo breve apostolico
(Cum semper) approvò l‟erezione dell‟Università, che si intitolerà al Sacro Cuore secondo il
desiderio di Armida Barelli.
La fecondità delle opere
Padre Agostino Gemelli fu il primo rettore del nuovo ateneo, ma ne fu anche il costruttore:
persino dei muri. Curò infatti personalmente i lavori, li sorvegliò. La sede prima fu a Milano,
via S. Agnese in un piccolo palazzo donato da un munifico signore, il conte Lombardo. I
primi studenti furono 67, ma aumentarono a macchia d‟olio.
Gemelli sapeva che l‟Università privata non avrebbe potuto sostenersi senza avere intorno a
sé amici: fondò così, sempre con l‟aiuto di Barelli, Necchi e Olgiati, l‟associazione degli
Amici dell‟Università Cattolica. Armida Barelli, di cui conosceva l‟ingegno finanziario, fu
nominata cassiera. In realtà fu ben di più, fu anche consigliera e animatrice instancabile di
iniziative per sostenerla tra cui “la Giornata Universitaria” celebrata in quasi tutte le
parrocchie d‟Italia. Nel 1925 Pio XI istituì la festa della “Regalità di Nostro Signore Gesù
Cristo” (Enciclica Quas Primas). Dalla dottrina della Regalità di Cristo, Gemelli e i suoi
collaboratori trassero ispirazione e incoraggiamento per la vita spirituale e l‟azione apostolica.
Nacque così, dall‟iniziativa del Padre e di Armida Barelli, L’Opera della Regalità di Nostro
Signore Gesù Cristo con lo scopo di diffondere la vita liturgica fra i fedeli di ogni ceto: questo
quarant‟anni prima del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Gli anni del dolore
Giungiamo così agli anni Trenta. Stava per aprirsi nella vita del Padre un periodo segnato dal
dolore fisico e morale.
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Dal punto di vista sociale, il quadro italiano ed europeo si presentava quanto mai fosco. Dal
1921 in Italia era al governo una dittatura fascista.
Il 10 gennaio dell‟anno 1930 stroncato da un cancro sopportato con una fede senza limiti,
morì Vico Necchi. Padre Gemelli superò a stento il dolore per la morte dell‟amico che l‟aveva
aiutato a ritrovare Dio. Nello stesso anno l‟Università si trasferì dalla sua prima sede ormai
troppo piccola, in piazza S. Ambrogio, proprio in quell‟ex ospedale militare che aveva visto i
primi passi di Edoardo Gemelli nella fede ritrovata.
Padre Gemelli intanto pensava con insistenza ad un altro “sogno”: la facoltà di medicina. Per
lui, medico, la mancanza di questa facoltà in un ateneo cattolico era grave. Nel 1934 Pio XI
regalò all‟Università una villa sul Monte Mario, una collina intorno a Roma, affinché fosse
l‟inizio della costruzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Nel 1936 il Padre fu chiamato a presiedere la Pontificia Accademia delle Scienze. È
significativo che proprio colui che aveva tanto sofferto per tentare di conciliare scienza e fede
sia stato chiamato a questa importante carica. Padre Gemelli era un convinto assertore della
possibilità di conciliare fede e scienza salvando le rispettive autonomie.
Nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale. Il contributo tecnico e le scoperte scientifiche
che si erano intensificate nel ventesimo secolo resero ancora più disastrose le conseguenze
della guerra.
Nel 1940 anche l‟Italia era in guerra. E proprio il momento in cui la “sua” università avrebbe
avuto più bisogno del Magnifico Rettore, egli rimase vittima di uno spaventoso incidente
d‟auto che lo costrinse ad una carrozzella per molti anni. Questa lunga sofferenza segnò il
Padre nello spirito oltre che nel fisico.
L‟Università continuò la sua attività in tempo di guerra, dando riparo - fra l‟altro - a militanti
della Resistenza. Infatti, proprio dagli allievi dell‟ateneo cattolico uscirono poi le nuove leve
dirigenti dell‟Italia. Le prove fisiche e morali di questi anni contribuirono ad affinare la
spiritualità del Padre che trovava nella preghiera la forza per accettare la sofferenza e
continuare a lavorare.
Al termine della guerra, nel 1945, rientrò a Milano e si dedicò alla ricostruzione anche degli
edifici universitari danneggiati gravemente dai bombardamenti. Nel 1946 ebbe un altro
incidente automobilistico: questa volta meno grave, ma debilitante. Gemelli è ancora il
Magnifico Rettore, o il Magnifico Terrore come qualcuno tra docenti e studenti lo chiamava
scherzosamente. Aveva infatti fama di essere burbero, scontroso, violento a volte. Era il suo
carattere che emergeva nonostante gli sforzi di mutarlo.
Nel 1949 Armida Barelli avvertì i primi sintomi del male che la porterà alla tomba. Fu un
altro colpo per il Padre che la seguì spiritualmente nei tre anni di sofferenza. Nel 1952 Armida
Barelli morì. Anche la salute di padre Gemelli continuava a declinare, tuttavia egli era ancora
instancabile al lavoro, nonostante avesse ormai superato i settantacinque anni. Il corpo
accademico lo confermò ancora una volta rettore dell‟Università. Una era allora, soprattutto,
la preoccupazione di padre Gemelli: la Facoltà di Medicina. Vi lavora instancabilmente: la
desiderava, la sentiva necessaria. Ma non la vedrà, perché sarà inaugurata solo nel 1961.
L‟8 dicembre del 1958 presiedette per l‟ultima volta l‟inaugurazione dell‟anno accademico.
Commosse i presenti, abituati a vederlo giganteggiare, arrivando sulla carrozzella. Ormai la
sua forte fibra stava per cedere. Il 1959 lo vide andare verso la morte, che arrivò soltanto dopo
un lungo, difficile periodo di crisi e di miglioramenti. Padre Agostino Gemelli si spense
serenamente, guardando con lucidità in faccia sorella morte, il 15 luglio 1959.
Il cavaliere della Vergine, il violento, dolcissimo, delicato e scontroso frate francescano
lascerà un vuoto profondo nella cultura e soprattutto nella Chiesa. La sua personalità, il suo
intelletto, soprattutto la sua fede senza limiti e senza orgogli, gli avevano consentito di intuire
e realizzare alcune opere autenticamente profetiche non soltanto per la cultura e la Chiesa
italiana, ma per la cultura e la Chiesa universale.
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2. La personalità di padre Gemelli e il suo incontro
con san Francesco
La prima richiesta delle nostre Costituzioni, in ordine alla formazione, è la presa di coscienza
di sé per “realizzarsi pienamente secondo il disegno di Dio” (art. 20). Per questo mi pare
opportuno presentarvi padre Gemelli nella sua ricca personalità. Costruita gradualmente sul
fondamento di qualità naturali intrecciate con doni di grazia, è frutto dell‟opera di un Dio che
ama e della risposta d‟amore da parte di un uomo fedele. Una presentazione globale e
significativa della figura di padre Gemelli è quella offerta da uno psicologo, suo discepolo.
Ricordando con commozione il maestro, così lo definisce: “Una personalità forte, volitiva,
talvolta prepotente, che ispirava timore reverenziale, ma che era rispettosa della libertà altrui.
Un uomo diritto che non tollerava meschinità, ambiguità, sotterfugi; un costruttore intrepido,
animato da convinzioni profonde e, nello stesso tempo, uno scienziato aperto alla ricerca della
verità, affascinato dal mistero dell‟uomo e dalla grandezza del suo destino. Un maestro
esigente e severo, ma anche affettuosamente sollecito e premuroso; una guida sagace che
sapeva leggere il proprio tempo e guardare al futuro” Testimoni nel mondo, n. 61, p. 14). Sono
espressioni molto intense, che potrebbero portarci a riflessioni e ad applicazioni concrete, ma
anche nel suo insieme la personalità di padre Gemelli ci offre motivi di orientamento per la
nostra vita.
* * *
Come già sapete padre Gemelli non ebbe una natura facile e neppure un ambiente familiare e
scolastico che favorisse molto la sua formazione. Timido e scontroso durante l‟adolescenza
non si trovò a suo agio a scuola e neppure manifestò la sua robusta intelligenza. Giovane
universitario nella Facoltà di Medicina a Pavia si appassionò agli studi scientifici e si
interessò ai problemi sociali, militando nel partito socialista. Le sue doti d‟intelligenza e di
sensibilità cominciarono ad esplodere, ma accanto ad esse si rivelarono anche certe
impulsività aggressive e un “segreto gusto di dominare la folla con le sue parole” come scrive
la Sticco, che lo definisce “un uomo difficile” e un “eroe imperfetto”.
Nella realizzazione della sua personalità, padre Gemelli non partì dunque con un bagaglio del
tutto positivo: umanamente si scontrarono dentro di lui virtù e difetti, aspirazioni buone e
tendenze negative.
Se poi passiamo dal piano naturale a quello soprannaturale, la fede risulta assente, tranne che
per il ricordo dei nonni e l‟esempio dell‟amico Necchi.
Ma dal positivismo ateo, con una forte venatura di anticlericalismo, il cammino di padre
Gemelli sfociò in una conversione straordinaria, che diventò cambiamento di vita a tutti i
livelli. La grazia operò in lui direttamente e attraverso strumenti umani e la risposta del
giovane medico fu pronta e capace delle più grandi rinunce: la carriera, con la gloria che
lasciava presagire; l‟impegno politico con le soddisfazioni che poteva portare con sé; la
famiglia con la sicurezza del benessere.
Di fronte all‟appello del Signore, che gli chiese non solo la fedeltà al battesimo, ma anche la
consacrazione in un convento francescano, padre Gemelli lasciò tutto e cominciò una vita di
penitenza, che l‟opinione pubblica giudicò una manifestazione di pazzia. Di fatto invece si
avverò per lui la promessa del Vangelo: la ricerca del Regno di Dio che non gli precluse lo
studio scientifico, anzi lo rese fondatore di un‟Università Cattolica e di altre opere importanti
sul piano culturale e religioso.
La sua serietà professionale e il suo forte impegno in ogni campo furono veramente esemplari
e finalizzati al bene. In un periodo dominato dalla scienza e dalle sue scoperte, “fu anzitutto
uno scienziato, con la mente aperta ad ogni verità e con sicura fede nella possibilità della
ragione umana sulle vie dell‟indagine e dello studio”. Ma la scienza che egli perseguiva non
era fine a se stessa, ma orientata all‟uomo e alle sue necessità. Per questo le sue ricerche
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14
psicologiche puntavano su applicazioni concrete a vantaggio degli anormali, dei minorati
psichici, dei ciechi, dei sordi, dei piloti, degli operai.
Per padre Gemelli «il primo dovere umano e cristiano è la serietà del lavoro, dello studio,
della preparazione professionale: e nessuna opera uscì dalle sue mani, che non fosse stata
preparata in tutti i particolari»4.
Ma tutta questa concentrazione sull‟umano era sostenuta, era rafforzata dalla profonda fede
del convertito. È lo stesso prof. Franceschini, vissuto accanto a lui per decenni, a riconoscerlo:
“Aveva una fede umile e gigantesca, assai più grande delle sue opere, e una visione
soprannaturale della vita a cui si ancorava e da cui traevano forza e luce le sue doti e le sue
capacità naturali. Era solito dire che ogni opera è feconda di bene, in proporzione del grado di
unione con Dio di chi la compie”.
Che cosa possiamo ricavare noi da tale esempio luminoso?
1. Possiamo anzitutto prendere atto di quello che siamo, dei limiti della nostra natura,
dell‟educazione che abbiamo ricevuto, senza perdere la speranza in ciò che possiamo
raggiungere con la grazia di Dio, la buona volontà, l‟aiuto degli altri. La consapevolezza di
ciò che ci manca ci libera dalla presunzione e la speranza delle realizzazioni future ci distoglie
dallo scoraggiamento improduttivo che ci fa ripiegare su noi stessi, invece di allargare i nostri
orizzonti e spingerci alla donazione verso i fratelli.
2. Siamo invitate a valorizzare al massimo le nostre capacità naturali non per un‟ambiziosa
affermazione, ma per “realizzare in noi pienamente il disegno di Dio”.
Le caratteristiche umane, che dobbiamo potenziare sono già un dono di Dio e creano le
condizioni favorevoli al nostro cammino spirituale e vocazionale. In quanto donne, le
Costituzioni ci chiedono di “sviluppare la nostra personalità femminile per raggiungere una
piena maturità che ci renda autenticamente libere” (art. 20). E in quanto secolari, siamo tenute
a riconoscere i valori umani in noi e negli altri, ad essere aperte ai problemi della cultura e
della storia in genere, a operare per la promozione dei popoli. Giovanni Paolo II nei discorsi
rivolti agli Istituti secolari ha ribadito la necessità della competenza nel proprio campo di
lavoro per poter trasformare il mondo dall‟interno e collaborare con gli altri uomini per il
progresso della civiltà.
3. Siamo stimolate a vivere di fede, a chiederla come dono e ad alimentarla con la preghiera
perché solo alla luce della fede acquistano significato tutti gli altri aspetti della nostra vita e
può rimanere saldo il fondamento di una vocazione, come la nostra.
Padre Gemelli ci è di orientamento proprio nella nostra vita secolare perché è riuscito a
conciliare dentro di sé e ad unificare nelle sue opere il piano della fede con quello della
scienza, la cultura umana con la trascendenza, la tradizione con il progresso. E a livello
pratico, ha intrecciato preghiera e azione, ha potenziato tutte le sue forze umane,
abbandonandosi con fiducia al progetto di Dio.
La personalità di padre Gemelli, poliedrica già a livello umano e cristiano, acquista una
coloritura speciale al contatto con san Francesco, di cui il nostro Fondatore fu non solo fedele
seguace, ma discepolo innamorato. La sua conversione alla fede s‟intreccia subito con
l‟appello ad una donazione totale a Dio nella vita religiosa. E la scelta cadde sull‟Ordine
francescano, con sorpresa di coloro che lo conoscevano da vicino e pensavano che la sua
preparazione culturale lo orientasse verso un altro Ordine, come quello domenicano o gesuita.
Invece padre Gemelli sentì irresistibile la chiamata a diventare figlio di san Francesco. Il
perché non lo sa spiegare nemmeno lui, convinto com‟è che “francescani si nasce” ma, di
fatto, le sintonie fra il poverello di Assisi e padre Gemelli, fra la spiritualità di san Francesco e
4 E. Franceschini, Padre Agostino Gemelli nel primo centenario della nascita, 1978.
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quella del nostro Fondatore, si faranno sempre più evidenti. A questo proposito è stato scritto:
“Francescana era la sua umiltà, resa più visibile dalla reale grandezza dei suoi meriti;
francescana la sua povertà, tanto lieta e serenatrice quanto assoluta; francescana la sua
semplicità, singolare e talora ingenua, come quella di un bambino; francescana la sua pietà,
basata sulla concezione cristocentrica di san Bonaventura e di Scoto e su una devozione
mariana profondissima”. Un‟altra annotazione significativa è la seguente: “Padre Gemelli si
affida al progetto di Dio nell‟obbedienza alla fede. Quest‟uomo di studio e di lotta,
dall‟attività frenetica e prodigiosa, dalla volontà indomita, abbandona le proprie ambizioni
umane ed accetta il progetto di Dio: il noviziato nel convento di Rezzato e 56 anni di fedeltà a
un‟obbedienza difficile: quella ai Superiori dell‟Ordine e alla Chiesa ... Come Francesco,
padre Gemelli si sottomette umilmente alla volontà di Dio: si lascia cadere nelle sue mani”5.
Tanti nella sua vita sono i momenti in cui l‟obbedienza della fede gli richiese sforzi notevoli.
Durante il noviziato, di fronte ad una disciplina non sempre accettabile e ad un tipo di vita
così diverso dalle abitudini precedenti, ebbe dubbi e tentazioni di fuga, ma la fedeltà prevalse
su tutte le altre esigenze. Così durante i lunghi anni di vita religiosa, non gli fu facile
conciliare l‟autonomia richiesta dai suoi gravi impegni di responsabilità con l‟obbedienza ai
superiori dell‟Ordine, ma non ritenne mai di farsi esentare da tale vincolo, che lo teneva
legato alla sua comunità. La Sticco infatti scrive che padre Gemelli “non solo amava san
Francesco e la sua spiritualità, ma amava il suo Ordine, cosa più difficile, perché l‟Ordine è
fatto di uomini e gli uomini viventi sono quelli che sono. Dall‟amore all‟Ordine derivano il
rispetto per i superiori, la fedeltà alla regola ed anche il suo rifiuto di alte cariche”6.
Pure nell‟ambito più vasto della Chiesa, le difficoltà non mancarono, anche se abitualmente la
sua dedizione nella costruzione e nel sostegno di opere di Chiesa, trovava consensi e
riconoscimenti da parte degli stessi Pontefici. Ricordiamo un avvenimento, che ci interessa da
vicino: quando padre Gemelli, avendo preso contatto con altri Istituti secolari preparò una
Memoria scritta sulla fisionomia delle Associazioni di laici consacrati, con l‟intenzione di
favorire un riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, ebbe la delusione di sentirsi
imporre di ritirare tale Memoria. Non fece commenti e obbedì, lasciando al Signore di trovare
il tempo opportuno perché l‟intuizione dello Spirito si facesse strada. Il che avvenne dopo
qualche tempo, quando non solo la sostanza ma anche le stesse espressioni di padre Gemelli
entrarono a far parte dei documenti del Magistero.
L‟adesione alla volontà di Dio fu sempre espressione della sua fede sia nell‟attività che nella
sofferenza.
La prima non sempre poteva seguire i ritmi del suo impulso e perciò richiedeva attese fatte di
pazienza, di accettazione delle situazioni e dell‟incomprensione degli uomini. La sofferenza
fisica lo accompagnò per 20 anni, dal primo incidente automobilistico del 1940 fino alla
morte e non fu certo priva di dolori morali. Sempre fu accettata con lo spirito di san
Francesco, che si conformò a Cristo, rivivendo in se stesso la Passione del Redentore. Fu una
sofferenza pesante, che ridusse le sue forze, ma non il suo lavoro, naturalmente più faticoso;
fu una sofferenza di corpo e di spirito, che non gli tolse però la serenità e la fiducia nella
Provvidenza.
Oltre la conformità a Cristo, nell‟adesione alla volontà del Padre, considerata da padre
Gemelli il cuore del francescanesimo, un altro aspetto di questa spiritualità che gli fu
congeniale fu l‟interpretazione del lavoro. Quindi anche il suo muoversi intensamente, il suo
operare senza soste e senza cedimenti, trova la sua radice in un‟ispirazione francescana.
Egli infatti scrive: “San Francesco ha insegnato il valore religioso della vita attiva, il che
conferisce al suo insegnamento un‟efficace modernità. Quel lavorare e volere che i suoi frati
lavorino a contatto di tutti, uomini tra gli uomini, quel non volere che essi abbiano luogo
alcuno, ma eleggano dimora ove c‟è da lavorare, da faticare per gli altri, sono per san
Francesco niente altro che imitare la vita degli Apostoli: attiva, operosa, instancabile, mai
5 M. Sticco, Padre Gemelli. Appunti per la biografia di un uomo difficile, Ed. OR, 1991, p. 338.
6 Op. cit., p. 341.
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sazia di fare”. E in tale prospettiva di lavoro, s‟intreccia il rapporto con i fratelli, che così
viene presentato: “La meta a cui deve mirare il francescano è infatti ben chiara: che Dio regni
... ma il punto di partenza dell‟azione di apostolato francescano è la compenetrazione dei
bisogni altrui e del momento psicologico in cui gli altri vivono. Questa simpatia per gli altri
non è in fondo che il massimo della concretezza, unito con la più spirituale povertà, quella che
si spoglia del proprio io e persino dei propri carezzati sentimenti, per immedesimarsi nei
sentimenti degli altri, per condurre gli altri alla pace di Cristo”7.
Che cosa ci insegna padre Gemelli con il suo amore a san Francesco?
1. Ci propone l‟ideale di una spiritualità ben definita, che non deve rappresentare una
sovrapposizione, ma deve permeare tutte le espressioni della nostra vita. E per esemplificare
questo progetto, le Costituzioni ci presentano lo spirito di san Francesco come un‟espressione
autentica del Vangelo, che risponde alle esigenze di chi vive la consacrazione nel mondo.
Così ci indicano pure in modo specifico di rapportarci al Cristo, Signore dell‟universo e della
storia, nella conformità a Lui, povero e crocifisso; di rispettare ogni uomo nella sua libertà,
con atteggiamento di servizio, di contemplare Dio nella creazione, collaborando alla sua
attività creatrice con il lavoro e rendendo lode al Padre con tutte le creature; di amare la
Chiesa e accettare le indicazioni del Magistero (art. 4).
2. Ci offre l‟esempio di una profonda conformità a Cristo. Fra i vari aspetti della spiritualità
francescana presenti nella personalità di padre Gemelli, ho voluto sottolineare l‟obbedienza
nella fede come espressione della vera conformità a Cristo, come il cammino di ogni giorno
alla sua sequela, secondo il progetto di Dio, a cui siamo state chiamate.
L‟obbedienza alla fede comporta un itinerario di fedeltà, senza cedimenti, anche quando la
fatica si fa più aspra, la visione delle cose sembra oscurarsi e la sofferenza appare in tutta la
sua difficoltà. L‟accettazione di tutto ciò che la vita personale, familiare, sociale, ecclesiale
porta con sé, l‟adesione ad una norma, vivificata dallo spirito, frutto di una scelta di vita; la
verifica all‟interno di una comunità, accettata nella sua concretezza e nei suoi limiti: tutto
questo rientra nell‟obbedienza alla fede.
3. Ci è modello di vita attiva, alimentata dalla preghiera, spesa per il Regno di Cristo. Accanto
alla sua disponibilità all‟amore di Dio, che costruisce la nostra vita, talvolta a nostra insaputa,
ho voluto sottolineare in padre Gemelli l‟impegno attivo, che assunse delle proporzioni
formidabili in molte direzioni.
È un invito per noi a vivere la nostra missione secolare senza pigrizia, con lo sguardo attento
alle vicende del mondo, con la volontà di cambiarlo là dove è possibile, con un impegno forte
perché le strutture siano sempre più a misura d‟uomo, secondo un progetto rinnovato nel
tempo e nello spazio, in base alle esigenze che man mano si presentano. E le esigenze si
esprimono attraverso i fratelli, che sono alla ricerca di un amore concreto.
Il nostro impegno deve avere come quello di padre Gemelli, le caratteristiche dell‟azione
francescana: la concretezza, la soprannaturalità, la povertà. Quella povertà che rende l‟azione
francescana “leale, audace, infaticabile, lieta, liberandola da tutte le preoccupazioni di
successo o di insuccesso ed insegnandole a redimere l‟amor proprio e l‟ambizione”8.
Mina Poma
7 A. Gemelli, San Francesco e la sua gente poverella, Ed. OR, 1984, pp. 151-155.
8 A. Gemelli, Il Francescanesimo, Ed. OR, 1979, p. 520.
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3. Armida Barelli - cenni biografici
I primi anni
Armida Barelli nacque a Milano il 1 dicembre 1882 e fu battezzata il 10 dello stesso mese. In
un diario trovato fra le carte di Armida si legge: “Non ho santa patrona. In collegio padre
Wilhelm mi disse che devo farmi santa io”9..
Suo padre era un ricco industriale e sua madre aveva frequentato l‟università, cosa rara per
quei tempi. Armida era la secondogenita. Visse gli anni dell‟infanzia e della fanciullezza in un
clima sereno e ricco di affetti. In famiglia non ebbe una formazione particolarmente religiosa
ma fu comunque educata al senso del dovere e, a dodici anni, fece la prima comunione.
Il collegio
A tredici anni fu mandata nel collegio svizzero delle suore francescane della Santa Croce di
Menzingen dove studiarono anche le sue sorelle. All‟inizio ebbe molta nostalgia della
famiglia e accettò con difficoltà l‟austera disciplina del collegio. Dopo un po‟ di tempo la sua
naturale cordialità le guadagnò però la simpatia delle compagne e anche delle suore.
Quando sentì che un‟amica voleva farsi suora, decise di seguire il suo esempio. I genitori,
venuti a saperlo, la riportarono a Milano e fecero di tutto per distrarla dal suo proposito. Il
padre la portò nei suoi viaggi di lavoro e le fece conoscere molte persone. Quando sembrò
chiaro che Armida avesse abbandonato l‟idea del convento, i genitori la rimandarono al
collegio a completare gli studi fino al raggiungimento del diploma.
Al termine degli studi, Armida aveva una ottima conoscenza del tedesco, del francese e
dell‟inglese. L‟esperienza del collegio però non le diede solo una buona istruzione ma servì
anche ad aprirla alla dimensione religiosa della vita che sarà la premessa delle sue scelte
future.
Il ritorno a casa
Tornata a casa al termine degli studi, Armida aiutò il padre negli affari e insieme alle sorelle e
ai fratelli partecipò con entusiasmo alla vita della famiglia che includeva molti rapporti
sociali, feste, periodi di villeggiatura al mare e ai monti.
Dopo il matrimonio di Vittoria, la sorella primogenita, i genitori insistettero affinché Armida
si fidanzasse con un giovane colto e ricco che aveva chiesto di sposarla. Per la mentalità del
tempo sarebbe stato inopportuno un fidanzamento delle sorelle minori prima del suo. Armida
non si sentiva attratta dal matrimonio ma, dopo una certa insistenza, acconsentì. Tutta la
famiglia ne fu felice eccetto lei. I mesi che seguirono furono per lei di grande disorientamento
e sofferenza finché trovò il coraggio di dichiarare alla famiglia e al fidanzato il suo proposito
di rompere il fidanzamento. Questa volta i genitori, anche se addolorati, rispettarono la sua
decisione e Armida si trovò libera di seguire la strada per cui si sentiva chiamata. La decisione
di non sposarsi fu il punto di partenza di una ulteriore lunga ricerca vocazionale che la portò a
realizzare una vocazione nuova nella Chiesa: la laicità consacrata per una missione nel
mondo.
Nel 1906 morì il padre. Per Armida fu un grandissimo dolore.
Dopo la morte del padre circondò di maggiore affetto la madre e divenne il sostegno morale
della famiglia. Un grande affetto espresso con concrete premure verso i membri della sua
famiglia, gli amici, le collaboratrici e la capacità di intessere rapporti personali con le persone
con cui veniva in contatto, furono infatti una sua caratteristica anche negli anni di più intensa
attività.
9 Da Armida Barelli nella società italiana, Ed. OR, p. 75.
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Il primo impegno apostolico
Dopo questi avvenimenti la vita di Armida cambiò. Ella poteva disporre del suo tempo libero
come voleva. Passando molte ore in chiesa a pregare le si dischiusero orizzonti nuovi.
Cominciò a frequentare un corso di cultura religiosa organizzato dall‟arcivescovado milanese.
Al corso divenne amica di Rita Tonoli, una maestra che aveva fondato la Piccola Opera per la
salvezza del fanciullo, per l‟educazione e la salute dei bambini dei quartieri poveri della
periferia. Armida comprese il valore dell‟opera e iniziò a collaborare con grande generosità,
vincendo le difficoltà psicologiche, familiari e sociali che tendevano ad ostacolare questa sua
nuova apertura sociale. In questo periodo, vedendo l‟esempio di Rita Tonoli e con l‟aiuto di
un sacerdote, comprese che la sua strada era quella di una consacrazione nel mondo per
l‟apostolato. Rimanevano però ancora dubbi e incertezze sul modo di attuarla.
L’incontro con padre Gemelli
L‟11 febbraio del 1910 Armida chiese un colloquio a padre Gemelli, del quale aveva sentito
parlare. Armida sperava che padre Gemelli, ateo convertito potesse aiutarla a far ritrovare la
fede ad un suo fratello.
Padre Gemelli intuì le doti di Armida e il suo desiderio di bene.
La invitò a collaborare con lui con traduzioni dal francese e dal tedesco per la Rivista di
filosofia neoscolastica. Lo spirito pratico e realizzatore di padre Gemelli andava d‟accordo
con quello altrettanto pratico di Armida e padre Gemelli la volle tra i suoi collaboratori più
stretti.
Padre Gemelli rivelò ad Armida lo spirito francescano e Armida, che lo trovò in sintonia con
le sue aspirazioni, divenne Terziaria francescana. Armida Barelli e Agostino Gemelli avevano
il medesimo direttore spirituale, il francescano padre Arcangelo Mazzotti che intuendo le
capacità d‟azione dei due e nel contempo il loro desiderio di unione con Dio, li guidò con
saggezza ed equilibrio.
La guerra
Nel 1914 iniziò per Armida un periodo buio. L‟azienda paterna subì un tracollo finanziario.
Armida si trovò quindi a dover sostenere tutto il peso del dissesto e del riassetto dell‟azienda,
dell‟educazione dei fratelli più giovani e del sostegno alla mamma indebolita dalle disgrazie.
“Anno di croci” chiamerà lei stessa questo periodo. Anno di croci pure il seguente, 1915.
L‟Italia entrò in guerra, la prima guerra mondiale, una tragedia immane, che scardinò le
coscienze prima ancora delle case.
I fratelli di Armida partirono per il fronte. Furono richiamati al servizio militare anche
Gemelli e gli altri amici con i quali il dinamico francescano aveva fondato una rivista e una
casa editrice «Vita e Pensiero» alla quale anche Armida collaborava.
“Cosa posso offrire al Signore perché salvi i miei fratelli e perché, se dovessero perire, li
faccia morire da buoni cristiani?” chiese Armida a Gemelli. “Prometta di aiutare me, don
Olgiati e Necchi a fare l‟Istituto superiore di filosofia - le rispose il padre - primo gradino
dell‟Università Cattolica. Anzi, facciamo insieme tale voto se torneremo tutti”10
.
La guerra preoccupava Armida per la sua violenza devastatrice di città e villaggi e soprattutto
di animi. “Durante una gita a Salò accadde qualcosa di inaspettato. Per ripararsi da un
acquazzone, Armida si era rifugiata in un convento della Visitazione e qui una suora, saputo
che la giovane signorina era di Milano, le disse: “Il Sacro Cuore l‟ha mandata. Gesù vuole la
consacrazione dell‟esercito al Sacro Cuore. E vorrei far giungere a padre Gemelli il
messaggio ... perché è lui che deve realizzarlo. Lei, milanese, conosce qualcuno che possa
10
M. Sticco, Una donna fra due secoli, Ed. OR, p. 75.
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trasmettere il messaggio a padre Gemelli?"11
. La parola della piccola sconosciuta suora
divenne subito un fatto. Il messaggio giunse al destinatario e padre Gemelli con la
collaborazione instancabile di Armida e di altre persone a lui vicine mise in atto un
programma capillare per permettere ai soldati che lo desideravano di confessarsi, comunicarsi
e fare la consacrazione al Sacro Cuore.
Le capacità apostoliche e organizzative di Armida emersero in questa occasione in modo
mirabile.
La gioventù femminile
Nel 1917 il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano convocò la Barelli in
arcivescovado. Così ella stessa descrisse l‟incontro: «Recandomi un giorno dal Cardinale egli,
che aveva saputo della mia disponibilità e della nuova carica, mi chiese: “Vuol aiutare il suo
Arcivescovo per un nuovo movimento di gioventù femminile?”. “Volentieri, Eminenza, se si
tratta di un lavoro di tavolino o di beneficenza”.
“No, si tratta di diventare propagandista, di andare nelle parrocchie delle diocesi per chiamare
a raccolta la gioventù femminile e controbattere così, per la difesa e la diffusione dell‟idea
cristiana, la propaganda marxista”.
“Andar fuori di Milano? Parlare in pubblico? No, no, Eminenza, qualunque cosa ma questa
no; questo non è per me ...”. E andai via salutando in fretta e furia per timore di dover fare
quella cosa impossibile di girare per i paesi e parlare in pubblico.
Vidi solo l‟Arcivescovo scuotere il capo e lo udii mormorare amare parole.
Col cuore in tumulto entrai in Duomo: “Sacro Cuore di Gesù, tu sai che io ti amo e vorrei farti
amare, ma quel che mi chiede il Cardinale Arcivescovo è impossibile. Ecco, per mostrarti il
mio amore, appena finita la guerra e tornati i miei fratelli, andrò in convento nelle lontane
missioni: là ti farò amare ...”»12
.
Quando però Armida seppe che in una classe di una scuola milanese, nessuna studentessa
aveva osato testimoniare la propria fede dinanzi ad un insegnante ateo, nonostante la maggior
parte fosse credente e praticante, abbandonò ogni resistenza.
«Quella notte non dormii. Un pensiero mi tormentava: Che sarà delle madri di domani se le
giovani d‟oggi adorano il Signore nella penombra del tempio e lo rinnegano alla luce del sole?
Ha ragione l‟Arcivescovo: bisogna riunirle, istruirle, dare loro la fierezza della fede, per farne
domani delle madri capaci di educare cristianamente i figliuoli.
Tornai dal Cardinale Arcivescovo: “Eminenza, eccomi. Sono pentita di averle detto di no.
Sono pronta a fare tutto quello che lei vuole”»13
.
Armida si mise al lavoro riunendo le giovani delle parrocchie di Milano, organizzando per
loro corsi di cultura religiosa e di dottrina sociale, e impegnandole ad una intensa vita
spirituale e ad un apostolato attivo e di testimonianza nel loro ambiente e nelle loro
parrocchie.
La Gioventù Femminile fiorita a Milano diede a papa Benedetto XV l‟idea di estendere
l‟organizzazione in tutta Italia. Fu abbastanza naturale che a fare ciò fosse chiamata Armida
Barelli. Ancora una volta Armida cercò di sottrarsi ad un compito per il quale si sentiva
incapace. Benedetto XV, che l‟aveva ricevuta in udienza privata, trovò le note giuste per
convincerla. «Non crede che il Signore le darà la grazia di compiere ciò che Egli vuole? - le
dice - e se fosse necessario un miracolo, non crede che il Signore lo farebbe per renderla
adatta alla grande missione alla quale la chiama? Abbia fede, obbedisca, Dio l‟aiuterà, glielo
promettiamo. E non mancheranno aiuti e benedizioni». Armida annoterà in seguito:
11
A. Barelli, La nostra storia, p. 17.> 12
A. Barelli, Ho scritto per voi, Ed. Gioventù, p. 13. 13
A. Barelli, Ho scritto per voi, Ed. Gioventù, p. 14.
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20
«Scendendo gli scaloni del Vaticano, ebbi la strana impressione di non appartenermi più»14
.
Rivelerà anche che per giustificare il suo diniego aveva espresso al Papa il desiderio di entrare
tra le Missionarie Francescane di Maria. Al che il Santo Padre aveva replicato: «La sua
missione è l‟Italia. Rispondiamo noi a Dio della sua vocazione»15
. Armida che già era cassiera
di Vita e Pensiero, la rivista fondata da Gemelli, e che in questo compito riversava grandi
energie, si buttò a corpo morto nell‟organizzare la Gioventù Femminile in Italia. Lavorò tanto
da cadere seriamente ammalata di tubercolosi. La mamma e le collaboratrici più vicine erano
addolorate e preoccupate.
Armida non voleva interrompere il lavoro per la nascente Gioventù Femminile e chiese al
medico di poter dilazionare di alcune settimane l‟inizio di un periodo di riposo in modo da
poter portare a termine alcune iniziative già programmate. Il medico fu irremovibile e Armida
comprese che doveva obbedire e curarsi. Facendo appello a tutta la sua fede anche in questa
occasione ripetè: “Mi fido di te Signore” e partì per Marzio ove trascorse alcuni mesi di
riposo e raccoglimento. Appena guarita, ritornò a Milano e si dedicò nuovamente all‟azione
apostolica senza risparmiarsi.
La consacrazione a Dio per l’apostolato nel mondo
Nel 1919 Armida Barelli mise un‟altra pietra miliare sul cammino della sua vita. Con altre
undici giovani, costituì il primo nucleo dell‟Istituto secolare delle Missionarie della Regalità
di Cristo. Veniva così a prendere corpo l‟ideale di vita, consacrata totalmente e perpetuamente
a Dio per l‟apostolato nel mondo mantenendo la condizione laicale, secondo la spiritualità
francescana.
Per noi, ora, tutto ciò sembra naturale, ma nei primi anni di questo secolo tale strada era
ancora sconosciuta e incontrava opposizioni nella Chiesa stessa. Consacrazione e laicità
apparivano inconciliabili. L‟accettazione di questa vocazione nuova sconosciuta a lei e alla
Chiesa del suo tempo è segno della sua fede e della sua disponibilità a lasciarsi condurre dal
Signore.16
Con l‟aiuto di padre Gemelli e il consiglio di altri padri francescani, Armida tracciò la prima
“regola” e il gruppo delle “prime dodici” fece la prima professione a San Damiano ad Assisi
nel 1920.
Ecco come lei stessa narrò gli inizi dell‟istituto:
«Durante il mio primo giro in Italia per la fondazione della GF, nel marzo 1919, come già nel
1918 a Milano, spesso qualche anima giovanile mi poneva il problema: “Ci ha talmente presa
l‟anima la GF che vorremmo dedicare tutta la nostra vita all‟apostolato. Non c‟è modo di
consacrarsi a Dio per fare l‟apostolato, restando nel mondo invece di andare in convento?”.
La domanda era così insistente e ripetuta in tutte le regioni d‟Italia, e perciò pensai bene di
sottoporla al giudizio di Sua Santità Benedetto XV.
“Non create monache nella GF; siete laiche e restate tali”, fu la risposta.
“Allora devo dire a quelle che vogliono consacrarsi a Dio che vadano in convento e rinunzino
all‟apostolato nel mondo?” mi permisi chiedere io.
“No, dica di appoggiarsi ai vari Terz‟Ordini ai quali possono appartenere, e formino in essi i
gruppi delle anime che si consacrano a Dio per l‟apostolato nel mondo. Se saranno rose
fioriranno”.
Sorse così il nostro gruppo francescano per l‟apostolato laico con la consacrazione a Dio e
rimase sempre laico. Padre Gemelli ed io nel maggio 1919 ci recammo dal Generale dei
14
Da La sorella Maggiore racconta, Ed. OR, 1981, pp. 14-15. 15
M. Sticco, Una donna fra due secoli, Ed. OR, p. 112. 16
cfr. Armida Barelli nella società italiana, p. 70.
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Minori padre Cimino e gli esponemmo il nostro progetto. Accettò l‟esperimento sotto la sua
guida personale e ci disse di preparare una Regola. Non vi so dire la mia gioia!17
.
Il programma di vita delle missionarie era arduo. Come aveva detto padre Mazzotti, non si
trattava di un francescanesimo letterario. Avrebbero dovuto essere pure come Chiara senza
avere il sostegno e la difesa del convento, distaccate dai beni materiali pur continuando ad
usarli, obbedienti a Dio e alla vita. Nella vecchiaia sarebbero state sole. Queste prospettive
non spensero l‟entusiasmo di Armida che era felice di aver trovato la sua strada dopo tanta
sofferta ricerca.
Le altre attività
Nel 1921 nasceva dopo lungo, intenso lavoro, l‟Università Cattolica, pensata e voluta da
padre Gemelli e sostenuta da Pio XI. Armida Barelli ne era la cassiera. Proprio alla Signorina
Barelli, come tutti ormai la chiamavano, si deve l‟intitolazione al Sacro Cuore. “Deve
chiamarsi Università Cattolica del Sacro Cuore” aveva sostenuto davanti ai fondatori. I tempi
non avrebbero consigliato un simile titolo. Ma lei insistette e fu così.
Dopo l‟Università si moltiplicarono le opere: nacquero i Pensionati universitari nei quali
raccogliere gli studenti e le studentesse venuti da lontano; nasceva l‟Opera della Regalità di
Nostro Signore Gesù Cristo per la diffusione dell‟apostolato liturgico tra il popolo.
Nel frattempo Armida continuava il suo servizio come presidente della Gioventù Femminile
di cui facevano parte migliaia di giovani di tutta Italia. I circoli (così si chiamavano i gruppi
parrocchiali) erano presenti nelle grandi città e nei paesi più piccoli e sperduti. Alcune socie
erano laureate, molte maestre, altre impiegate, sarte, operaie di fabbrica, contadine,
domestiche. Tra di loro crollavano le barriere del classismo, ancora abbastanza forti nell‟Italia
di quel tempo, e c‟era grande spirito di fraternità e di collaborazione.
Armida visitava le socie di tutte le regioni, teneva conferenze, scriveva articoli, organizzava
corsi di esercizi e di studio. Incoraggiava ognuna a dare il meglio di sé apprezzandone le doti
e avendo pazienza con le persone più limitate.
La Gioventù Femminile formò migliaia di giovani a prendere coscienza del loro Battesimo e
ad inserirsi nella Chiesa e nella società come persone responsabili. Migliaia di giovani e, più
tardi, anche di adolescenti e di bambine, furono educate alla fede e alla testimonianza
cristiana; da sole, avrebbero trovato difficilmente la strada di una fedeltà personale e di un
impegno alla causa di Cristo. La Gioventù Femminile le educò ad affrontare cristianamente le
scelte della vita preparandole al matrimonio o alla consacrazione, secondo la chiamata di
ciascuna, e a svolgere il lavoro professionale con competenza e spirito di servizio. Le socie
della Gioventù Femminile non erano aperte solo ai problemi religiosi ma anche a quelli
sociali e politici e vissero consapevolmente le trasformazioni culturali del loro tempo.
La Gioventù Femminile ebbe un enorme impatto sul costume e sulla vita sociale. Seguendo
l‟esempio di Armida, le giovani si rendevano indipendenti dalle famiglie e dalla tradizione per
seguire l‟ideale dell‟Azione Cattolica; imparavano ad organizzarsi e diventavano protagoniste
della loro stessa formazione; anche ragazze di modestissima cultura, imparavano ad assumere
ruoli educativi e di responsabilità; non erano rari i casi di ragazze analfabete che imparavano a
leggere per seguire la stampa dell‟associazione e partecipare con maggior frutto ai suoi corsi
di cultura religiosa e di dottrina sociale; alcune socie lasciarono le loro famiglie, il che per i
tempi era rivoluzionario, per trasferirsi a Milano e dedicare tutto il loro tempo
all‟associazione; spesso lasciarono gli agi e le sicurezze di una casa ricca per vivere in grande
semplicità.
L‟attività dell‟associazione continuò anche in tempo di grande difficoltà nonostante i divieti
del regime fascista e la seconda guerra mondiale. Armida si fidò del Sacro Cuore anche nei
momenti più duri come quando la Gioventù Femminile fu sciolta dal governo fascista e
17
A. Barelli, La nostra storia, Ed. OR, 1972, pp. 30-31.
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quando i bombardamenti rasero al suolo gli edifici dell‟Università Cattolica, la sede della
Gioventù Femminile e la sua casa.
Il fascino della povertà
Armida aveva trascorso la fanciullezza e la giovinezza in un ambiente agiato e pieno di
comodità. Appena intuì la chiamata al servizio della Chiesa e fu attratta dall‟ideale
francescano accettò innumerevoli disagi per adempiere ai suoi doveri di presidente della
Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Viaggiò da sola e sempre in terza classe, attendendo
le coincidenze dei treni nelle sale di aspetto delle stazioni, dormendo in alloggi estremamente
modesti.
Anche il suo appartamento di Milano non aveva nulla di superfluo, pur essendo ordinato e
accogliente.
Armida fu generosa con i poveri e severa con le sue esigenze.
Verso la meta
Nel 1948 dopo tante attese e trepidazioni l‟Istituto delle Missionarie della Regalità di Nostro
Signore Gesù Cristo ricevette il riconoscimento definitivo come Istituto secolare. Fu l‟ultima
grande gioia per Armida.
Nel 1949 cominciò a sentire i primi sintomi del male che l‟avrebbe portata alla morte. Era la
paralisi bulbare progressiva che le tolse la voce. Accettò in francescana povertà questa
menomazione molto umiliante per lei che aveva fatto della comunicazione verbale uno degli
strumenti preponderanti del suo servizio alla Parola di Dio.
Soltanto brevi soggiorni nella casa di Marzio, riuscirono a darle un po‟ di sollievo. Ancora
una volta accanto ad Armida c‟era padre Gemelli con la sua amicizia ruvida. Verso la fine
dell‟estate del 1950 ebbero un incontro; Armida non può parlare, perciò scrive. Armida chiese
al fratello nella fede ma anche allo scienziato insigne: «La mia malattia può guarire
naturalmente o no?». «Nessun medico può dirlo» fu la risposta sincera del Padre.
Nei limiti delle sue forze Armida continuava a lavorare e partecipava alle riunioni della
Giunta amministrativa dell‟Università Cattolica scrivendo i suoi interventi su minuscoli
foglietti di carta.
Con padre Gemelli condivise un ultimo sogno: la facoltà di Medicina, un policlinico nel quale
il rigore della scienza si unisse alla passione cristiana per la persona del malato.
Durante una delle sedute della Giunta, il discorso andò alla facoltà di Medicina:
«Promettiamo al Sacro Cuore - propone un componente della Giunta - che istituiremo la
facoltà di Medicina se la Signorina Barelli riacquisterà la voce». Armida ringrazia,
accompagnando come sempre il ringraziamento con un sorriso; e capovolge la proposta
scrivendo su un foglietto che fa circolare fra i presenti: «Io voglio la facoltà di Medicina e
rinuncio alla voce!»18
.
Il lavoro per l‟Università, per le Opere continuò fino alla fine, fino a poche ore dalla morte. Il
suo interesse, i suoi contatti con i collaboratori erano intanto tenuti vivi attraverso le amiche
più intime.
Durò così fino all‟agosto 1952. Ancora una volta la casa di Marzio l‟accolse. Lì trovò anche
due suore di Maria Bambina. Una era esperta nel massaggio e diede qualche sollievo alla
malata. La fine era però ormai prossima.
Quando Armida comprese di essere giunta alla fine chiese l‟estrema Unzione scrivendo su
uno dei suoi soliti foglietti. Seguì le preghiere con devozione e piena coscienza.
«Con la stessa lucidità ricevette la benedizione papale, offrì la sua vita per la Chiesa e per le
Opere care, salutò i parenti accorsi, ma serenamente “come se avesse dovuto rivederli
18
I. Corsaro, Armida Barelli, Milano 1955, p. 152.
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l‟indomani”, ascoltò la lettura del Passio. In serata arrivò padre Gemelli. Sedette davanti alla
sponda del letto della morente, ma non le parlò di morte.
“Stia tranquilla - le disse - ha superato la crisi di cuore. Forse le rimane ancora molto da
soffrire”. Come d‟ordinario la intrattenne sulle cose dell‟Università e delle altre opere, le pose
questioni su cui gli premeva il suo parere ultimo. Armida rispondeva scrivendo sulla
lavagnetta, senza alcun segno di debolezza o di dolore.
Seguì un lungo silenzio, assorto nel mistero di quell‟ora suprema. Padre Gemelli, sapendo che
la morte era in agguato, non avrebbe voluto lasciare Marzio, ma quando furono le 22, Armida,
sempre pensosa degli altri, fece cenno con la mano che partisse, perché quell‟aria alta poteva
nuocergli al cuore, ed anche perché non doveva tornare troppo tardi a Milano.
“Signorina - disse padre Gemelli alzandosi - io verrò domani alle 7 e celebrerò la Messa qui
nella sua cappella. Se lei sarà ancora viva, - aggiunse con un suo accento scherzoso - sarà la
Messa dell‟Assunta; se no, celebrerò per lei la prima Messa di suffragio”.
Sorridendo Armida accennò di sì col piccolo dito.
L‟alleanza d‟anime cominciata 42 anni prima nel nome della Madonna di Lourdes non
terminò con l‟Assunta: il colloquio sarebbe passato dal tempo all‟eternità»19
.
La Sorella Maggiore si spense nel sonno nella notte del 15 agosto 1952.
Nove mesi dopo, la sua salma fu trasferita dal piccolo cimitero di Marzio a Milano per essere
tumulata nella cripta sottostante la Cappella del Sacro Cuore nella Università Cattolica. La
accompagnarono dodicimila ragazze venute un po‟ da tutte le parti d‟Italia e le note del
Miserere frammiste a quelle del Magnificat.
L‟8 marzo 1960 veniva introdotta, presso la Curia arcivescovile di Milano, la causa di
beatificazione della serva di Dio Armida Barelli.
19
Sticco, Una donna fra due secoli, Ed. OR, pp. 844-845.
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4. Spiritualità e missione di Armida Barelli
Messaggio di vita
La vita e l‟attività della Sorella Maggiore costituiscono un messaggio per noi che abbiamo
seguito la via da lei aperta e vogliamo vivere nel mondo una piena consacrazione a Dio per
una specifica partecipazione alla missione della Chiesa.
Che cosa ci insegna Armida Barelli?
Una vita di fede
La forza con cui andò incontro alle situazioni più difficili, credendo possibile anche ciò che
gli altri ritenevano irrealizzabile, continuando a confidare, anche quando la realtà sembrava
smentire le sue aspettative, non è spiegabile soltanto col suo ottimismo di natura, ma trova la
sua radice nella sua grande fede. Padre Gemelli, nella prefazione alla vita di Armida Barelli,
scritta da Irma Corsaro, sostiene che «se si vuol capire la sua molteplice attività, se ci si vuole
rendere conto della sua fermezza nel perseguire gli ideali, che si era proposta, se si vuol
cogliere il significato dello spirito di sacrificio, con cui si dava generosamente e senza riserve
alle opere amate, è necessario riconoscere che in lei la virtù fondamentale fu la fede». Una
fede illuminata «riscaldata da caldo sentimento» una fede «con solidi fondamenti dottrinali».
Una fede, accolta come dono, ma sostenuta dalla preghiera. L‟ansia dell‟unione con Dio
l‟accompagnò sempre, soprattutto quando gli impegni apostolici assorbivano gran parte del
suo tempo. Di fatto, la Barelli cercò sempre di fare unità fra la preghiera e l‟impegno
apostolico e non pensò mai di poter sostenere la sua attività, senza l‟apporto della grazia da
invocare in spazi di tempo riservati alla preghiera. Certo che il suo spirito di fede l‟aiutò a
vivere in unione con Dio anche in mezzo alle attività, durante i lunghi e faticosi viaggi,
orientando verso di Lui tutto quello che faceva. La gloria del Padre e l‟avvento del regno
sociale di Cristo erano gli obiettivi sempre presenti, così il suo apostolato diventava offerta e
le sue preghiere preannunciavano nel desiderio ciò che avrebbe operato nella concretezza.
Il centro della sua vita spirituale fu Cristo, la via sicura al Padre, ma non tanto il Cristo della
Passione, quanto piuttosto il Sacro Cuore, la fonte dell‟amore e della misericordia. Al Sacro
Cuore si sente di parlare a tu per tu, di esprimere tutta la confidenza e l‟amore, di cui il suo
animo è pieno, di chiedere qualunque cosa con immediatezza. È lei stessa che spiega il suo
orientamento: «noi uomini abbiamo bisogno di parlare al Dio fatto uomo, di stringerci a Lui,
di faticare sotto il suo sguardo, di riposare sul suo cuore. Dio è sì grande che dinnanzi a Lui
nella nostra povera anima il timore potrebbe avere il sopravvento; invece, davanti a Gesù
l‟anima si apre alla confidenza e all‟amore»20
.
Potremmo estendere il discorso sulla centralità del Cristo nella vita della Sorella Maggiore,
parlando del posto che ebbe l‟Eucarestia nella sua esistenza, della gioia che provò quando,
durante la malattia, poté avere la cappella in casa con il Santissimo Sacramento e delle ore che
vi passò in adorazione; o della devozione che coltivò per la Madonna, madre del Cristo,
visitandola nei santuari più famosi. Sarebbe interessante anche seguire ciò che maturò nella
Barelli, quando conobbe l‟enciclica Quas primas e si entusiasmò per il culto del Cristo Re e
diede vita all‟Opera della Regalità. In una commemorazione della Sorella Maggiore, fatta in
anni precedenti, era stato detto che «con la maggior comprensione di Cristo Re dell‟universo,
entrò più decisamente nella teologia francescana il primato del Cristo nella cultura e nella vita
sociale: questo ella volle affermare e a questo dedicò tutta la vita».
20
Voto, p. 139.
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In questo cammino di perfezione le fu da guida sicura padre Arcangelo Mazzotti, che incise
profondamente sulla spiritualità della Barelli, dandole un timbro chiaramente francescano. Il
temperamento di questa donna semplice, lineare, radicale, poteva favorire l‟accoglienza del
messaggio di san Francesco, ma è certo, come risulta dal Processo informativo milanese per la
causa di beatificazione che «le tendenze naturali verso una concezione francescana della vita
spirituale presero forma maggiormente precisa e concreta dal giorno in cui la Serva di Dio
incominciò a lavorare in favore delle opere di padre Agostino Gemelli ed ebbe quale direttore
spirituale padre Arcangelo Mazzotti. La grande fede e il desiderio di conformarsi a Cristo,
secondo l‟esempio di san Francesco, le resero possibile affrontare le sofferenze di tutta la vita
e soprattutto la croce dell‟ultima malattia. Sofferenze personali e familiari non erano mai
mancate nella sua vita, difficoltà di ogni genere si erano susseguite nell‟affrontare gli impegni
poderosi delle opere, ma finché il lavoro sciupava le sue energie ed era sostenuto da una forte
carica di amore e di entusiasmo, pareva che l‟ottimismo potesse prevalere, tanto più che 'la
spiritualità francescana aveva educato la disposizione alla gioia che era in lei'. Ma il Signore
aveva disposto, nel suo disegno di amore, di coronare una vita donata all‟avvento del Regno
con lo spogliamento totale. I viaggi e l‟attività a cui si era dedicata senza sosta, dovettero
cessare; la voce che si era diffusa in tutta Italia per chiamare le giovani ai più grandi ideali,
dovette tacere, mentre la prospettiva del soffocamento e della morte si faceva avanti in modo
sempre più chiaro». Come affrontò la sofferenza questa donna che sembrava destinata solo ad
agire, a costruire, a comunicare? La Sticco ce la presenta come una persona normale che
«aveva paura della croce». Ma ancora una volta la fede trionfò: «il suo abbandono in Dio era
sempre carico di energia volitiva. Provò a misurarsi perfino con la paralisi, ma quando
Armida capì che era inutile, specchiò nel Crocifisso il suo dolore e subito lo sentì
sopportabile, guardò dal suo letto d‟inferma il tabernacolo e le parve che una mano divina la
sostenesse»21
.
Una vita d’amore ai fratelli
La fede e l‟amore per Dio che indusse la Barelli a lasciarsi condurre per strade non sempre
chiare neppure a lei, si trasformò in amore concreto per i fratelli. La sua dedizione all‟avvento
del Regno divenne opera di rinnovamento sociale e di promozione della donna. Infatti la
Sorella Maggiore non si è limitata a realizzare se stessa, al di fuori degli schemi del suo
tempo, ma creò nuove possibilità per le giovani di tutta Italia, liberandole da difficili
situazioni ambientali e immettendole nel vivo dei problemi della Chiesa e della società. Seppe
lavorare in collaborazione con le persone più intime e le masse più estese, con la capacità di
intrecciare la sua creatività con quella di tante amiche e discepole. Il suo fu un cammino
quotidiano dentro le cose della vita comune, di tanta gente, di tante donne, vissuto sempre in
rapporto con Dio, senza mai estraniarsi dalla realtà del mondo. Il suo fu un cammino percorso
con gli altri, a servizio degli altri. Sorelle considerava le collaboratrici, partite spesso dalla
propria casa, dove non mancavano le agiatezze, per dedicare il loro tempo e le loro energie ai
grandi ideali che la Barelli aveva loro presentato. Sorelle erano le responsabili della Gioventù
Femminile e tutte le socie sparse in tutta Italia, legate da una fraternità che superava ogni
divisione di classe, ogni frattura tra nord e sud. E all‟interno dell‟Istituto, il legame di affetto,
che univa la Sorella Maggiore alle sorelle d‟ideale, fu particolarmente forte ed ebbe il timbro
della fraternità francescana.
Tale orizzonte così vasto potrebbe far pensare che la Barelli, immersa in questa molteplicità di
rapporti, avesse acquistato un modo di amare vero, ma poco personalizzato, un‟esperienza di
carità, fondata sulla fede, ma spoglia di quell‟immediata spontaneità che dà calore. In realtà
Armida Barelli, nell‟estensione non perdette l‟intensità, nel sopranaturalizzare tutto, non
21
M. Sticco, Una donna fra due secoli, Vita e Pensiero, 1967, pp. 879-881.
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distrusse nulla di quello che era in lei genuinamente umano. Lo provano tanti aspetti della sua
vita, ma in particolare gli intensi rapporti con i numerosi familiari e le forti amicizie.
Mi riferisco in modo specialissimo all‟amicizia che ebbe con la marchesina Teresa
Pallavicino e a quella con padre Gemelli. La prima è la testimonianza di un rapporto fraterno,
vissuto con tutta la spontaneità del sentimento, ma inserito in una cerchia vastissima di altri
rapporti e orientato continuamente verso l‟amore di Cristo e l‟avvento del suo Regno. Quanto
all‟amicizia eccezionale con padre Gemelli, documentata dall‟intensità e dalla continuità del
lavoro portato avanti insieme per 42 anni e dall‟influenza spirituale reciproca, è stata così
definita dal Cardinale Piazza: «esempio magnifico di collaborazione fra la donna di spirito
apostolico e il sacerdote maestro e guida sapiente, nell‟attualità complessa del nostro secolo,
tale da ricordare altre collaborazioni storiche da cui nacquero nella Chiesa opere di istituzioni
mirabili a gloria di Dio e a bene di innumerevoli anime»22
.
Mina Poma
22
A. Barelli, La nostra storia, prefazione, Ed. OR, 1972.
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Parte seconda
GLI SCRITTI
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Nota introduttiva
La maggior parte dei testi di questa sezione sono stati scelti da quelli di padre Gemelli per
l‟Istituto. Nella prefazione a Il Padre ha detto troviamo come nacquero queste raccolte di
scritti.
«In quel tempo la Sorella Maggiore diceva a padre Gemelli:
“Bisogna che lei raccolga le sue circolari alle Missionarie e le pubblichi in un volume”.
“Si fa presto a dire! - rispondeva il Padre - Non è un lavoro semplice come lei crede!
Scegliere, ordinare, sfrondare, correggere ... Lo farò, quando avrò tempo”.
Ma il tempo non l‟aveva mai, e la Sorella Maggiore insisteva:
“Assolutamente bisogna pubblicare questa raccolta per le Missionarie di domani”.
“Non ho tempo”.
“Si decida. Il tempo lo troverà. Lei dice sempre che il tempo si trova, quando si vuole”.
“Ma non vede quanto lavoro ho?”.
“Vuole l‟aiuto di una Missionaria?”.
“Intelligente, però, e svelta”.
“Irma Corsaro: le va?”.
Padre Gemelli acconsentì e Irma, seguendo le sue direttive, ricavò dalle circolari indirizzate
alle Missionarie della Regalità una specie di antologia, che uscì nel 1944 con il titolo Gli
insegnamenti del Padre.
Intanto la nostra famiglia spirituale si era accresciuta e articolata anche nei due rami maschili,
e padre Gemelli verso il 1948 cominciò a scrivere circolari valevoli per Missionari e
Missionarie. Due anni prima di morire, le scelse e le ordinò personalmente in un volume che
porta lo stesso titolo del primo, ma che ha ben altro spessore, in quanto risponde ad un suo
disegno storico, teologico, ascetico. Il Padre ne corresse le bozze fra il maggio e il giugno
1959, fino si può dire, alla vigilia della morte, come se avesse voluto lasciarci la formulazione
compiuta ed autentica del suo ideale.
Quelle pagine, corrette in una stagione di lunga agonia e sigillate dalla morte, hanno un
carattere sacro e rimarranno fondamentali per i tre istituti dei Missionari della Regalità di
Cristo».
Per quanto riguarda Armida Barelli, la maggior parte dei brani riportati è tratta da una raccolta
di brani delle sue lettere intitolata La sua voce pubblicata nel 1978.
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1. L’Istituto Secolare delle Missionarie
Dagli scritti di padre Gemelli
È utile dire una parola su quelle che sono state le origini dei nostri istituti. Rievoco alcuni
fatti, non per fare della storia, ma perché ne potrete cavare alcuni insegnamenti fondamentali
per la vostra vita.
Terminata la prima guerra mondiale, fu imposto ai Religiosi di trascorrere quindici giorni in
sacro ritiro per rimettersi nella condizione di vivere la loro vita religiosa, che è vita di distacco
totale dal mondo per attendere alla perfezione interiore. Io chiesi ed ottenni di trascorrere
questo periodo ad Assisi, nel convento di San Damiano e mi fu concesso anche di allungare
quel periodo di tempo quanto lo avessi ritenuto necessario. Furono circa tre mesi, i mesi più
belli della mia vita di religioso, paragonabili a quelli del Noviziato ...
Ad Assisi il mattino era dedicato alla preghiera e alla lettura delle opere dei santi francescani;
il pomeriggio, mi recavo nell‟uno o nell‟altro Santuario e vi passavo il tempo, sia pregando,
sia leggendo autori francescani.
Incominciai ad amare quei santuari, ove la povertà regna signora, ove il ricordo dei primi
compagni di san Francesco è vivo; imparai ad approfondire la mia conoscenza della storia
francescana dei primi secoli. Era logico che nel mio animo fossero presenti le condizioni del
mondo del nostro tempo e si ponessero i problemi dell‟apostolato. Le condizioni particolari
nelle quali vissi la prima guerra mondiale, grazie all‟aver appartenuto al Comando Supremo,
mi hanno dato modo di conoscere un mondo religioso, politico, sociale italiano, che prima
non conoscevo. I viaggi nei Paesi alleati mi permisero di estendere le mie conoscenze di
uomini e di istituzioni. Nel raccoglimento di San Damiano, in quel coretto, così ricco di
memorie di san Francesco e di santa Chiara e dei primi loro compagni, era facile il riflettere.
Fu così che sorse nell‟animo il pensiero di costituire un gruppo di Terziarie, consacrate a Dio,
e preparate in modo di andare per il mondo a portare l‟esempio di una vita vissuta secondo la
regola primitiva dei Terziari.
Ad un certo momento - dopo i primi due mesi del mio ritiro - mi fu di grande aiuto Armida
Barelli.
Alcune conversazioni nel coretto di santa Chiara ci persuasero della necessità di un apostolato
soprannaturale per ricondurre gli uomini a Gesù Cristo. È questo il periodo, nel quale
incominciò a concretizzarsi l‟idea della Università Cattolica ed il proposito di fondare la
Gioventù Femminile di Azione Cattolica; mentre a Milano, grazie alla protezione del Cardinal
Ferrari, si inserì l‟idea di quel primo gruppo di Terziarie della Regalità di Cristo. Un anno
dopo, le prime dodici erano riunite nel coretto, profumato dalle fronde con le quali era stato
ornato, e consacravano la propria giovinezza a questo ideale. Ne è ricordo il plinto dell‟altare
maggiore della chiesetta di san Damiano, che reca una iscrizione che ricorda il dono fatto da
queste Terziarie in quella data per loro memorabile. Ci vollero anni numerosi, dolori non
piccoli, delusioni amare per giungere al 1945, quando la nuova fondazione ebbe la prima
approvazione da parte della S. Congregazione del Concilio e poscia alla erezione dell‟Istituto
delle Missionarie della Regalità di N.S. Gesù Cristo, secondo le norme della Costituzione
Provida Mater Ecclesia emanata nel 1947. Ma le prime Missionarie ed io non dimentichiamo
quei giorni, quel programma, (quella decisa volontà), ossia il germe di un‟opera che Iddio in
modo evidente benedì (Gli insegnamenti del Padre, pp. 62-64).
Si tratta infatti di porre a servizio della Chiesa uomini e donne che non hanno convento, non
cella, non casa, non difesa di abito, non tutele di comunità; che continuano a vivere nella
famiglia naturale e nel loro ambiente sociale.
Si noti: la famiglia e l‟ambiente sociale per costoro possono diventare occasione di sofferenza
più che di conforto, poiché dando se stessi al servizio di un ideale vengono talvolta allontanati
spiritualmente dai loro cari, dal loro mondo, anche perché le rinunzie alle quali si obbligano
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per desiderio di perfezione riescono incomprensibili agli uomini del mondo. Essi possono
anche venire esposti al disprezzo di chi non sa il segreto della loro dolce ed ineffabile
consacrazione a Dio.
Debbono costoro vivere nel mondo, accanto a tutto ciò che è legittimamente desiderabile:
famiglia, lavoro libero, ricchezze oneste, posizione conquistata a prezzo di fatica, ma non
possono nulla desiderare e nulla fare per il proprio vantaggio. Debbono difendersi da tutte le
seduzioni e da tutte le avversioni vivendo nel mondo; nella lotta contro il mondo e contro le
passioni hanno solo l‟aiuto della propria vocazione di apostolo e di quanto la loro vocazione
dà diritto ad avere. Si trovano soli tra i pericoli che il mondo presenta, molte volte soli anche
nel lavoro, ciascuno svolgendo un compito che, con iniziative proprie e forze proprie, deve
essere portato al massimo svolgimento. E ne deve essere ciascuno responsabile. Ciascuno di
costoro è tanto più responsabile, quanto più solo, non sorvegliato, libero. Il compito che
ciascuno ha non è collettivo, né sussidiato, né riparato dalla collettività. È evidente che questa
quasi incontrollata libertà esige il perfetto dominio di sé, la più ferma virtù, la più alta e
fervente fedeltà all‟ideale ...
È questa forma di vita, in apparenza più facile, ma in sostanza difficilissima, possibile? Da
sottolinearsi che la responsabilità che i membri degli istituti secolari assumono di fronte a
Dio, alla Chiesa e alla loro stessa coscienza implica una fedeltà libera, ma costante,
l‟obbedienza di costoro ad una regola o ad una norma di vita senza il controllo continuo di un
superiore, richiede una fermezza d‟animo a tutta prova; la necessità di trovare in ogni
circostanza della vita, la soluzione migliore di un problema o di una situazione senza ricorrere
alla parola incitatrice di un superiore che assuma il peso di una decisione, richiede una tale
fermezza d‟animo, una tale intelligenza, una tale preparazione da far pensare che questa forma
di vita pure bellissima, è però, come dicevo dianzi, un sogno, nient‟altro che un sogno (Gli
insegnamenti del Padre, pp. 34-36).
Ricordate che il Sodalizio non è un comodo rifugio spirituale creato per i nostri bisogni
materiali e spirituali; non è nemmeno il sostituto di una Congregazione o di un Ordine
religioso con il duplice vantaggio di non esigere la vita conventuale e di non mettere i sudditi
a portata di mano dei Superiori, non è una difesa per le anime paurose e deboli (Il Padre ha
detto, p. 26).
I nostri tre Istituti devono avere una fisionomia, anzi debbono conservare, per opera di
ciascuno dei suoi Sodali, quella fisionomia che, attraverso numerosi anni di vita e di
esperienze, si è andata di mano in mano formando. Essa è frutto della Grazia e dell‟opera di
Dio, che si è servito anche di uomini, ma soprattutto ci ha fatto comprendere la Sua volontà
attraverso gli eventi. Tutta questa somma di esperienze costituisce una tradizione preziosa.
Noi ne abbiamo una che si è lentamente formata dal 1919 in modo progressivo. Vi è però il
pericolo che, pur avendo i primi Sodali conservato per voi tutta questa spiritualità
dell‟Istituto, le nuove reclute, per non aver vissuto, come i primi, i dolori e le prove attraverso
i quali l‟Istituto ha acquistato la sua fisionomia, a poco a poco lascino perdere questa
fisionomia o almeno lascino attenuare e svisare alcuni particolari. Sarebbe un vero danno;
sarebbe perdere il carattere nostro specifico e confondersi con altri organismi più o meno
simili. E poiché il pericolo sta dalla parte dei più giovani sodali, raccomando a questi di
seguire l‟esempio dei sodali anziani e di imparare da loro ciò che è la vita del loro Istituto.
In conformità ai concetti fondamentali dei documenti pontifici che hanno istituito gli Istituti
secolari, i nostri Istituti non sono un ordine, non sono una congregazione, non sono una
confraternita. Sono una unione di uomini e di donne che vogliono penetrare negli strati vari
della società contemporanea per portarvi Gesù Cristo, vivendo la vita della società alla quale
appartengono. Poiché la società rigetta coloro che essa conosce come apostoli, in quanto la
loro voce suona richiamo alla partecipazione al sacrificio, così si è resa evidente la necessità
che coloro i quali penetrano nella società per portarvi la parola di Dio e i suoi insegnamenti si
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pongano nelle condizioni sociali stesse di coloro ai quali vogliono far arrivare la loro parola; è
necessario perciò che si facciano operai con gli operai, maestri con i maestri, professionisti
con i professionisti, signorine con le signorine, sacerdoti fra gli altri sacerdoti, ecc. Questa
non deve essere però una camuffatura esterna; deve essere un accettare quella determinata
condizione sociale, nella quale Iddio ha collocato ciascuno, come mezzo e strumento di
apostolato, così da poter parlare a coloro che Iddio pone sulla nostra via un linguaggio che
essi comprendano, e da essere loro di esempio nella vita che debbono condurre mostrando con
i fatti che nella loro condizione sociale è possibile ciò che si chiede loro, cioè una vita
cristiana.
L‟Istituto è unione di sodali che non hanno vita comune, ma che vivono dove l‟apostolato lo
richiede, accettando la responsabilità di essere soli in mezzo ai pericoli, come apostoli del
Vangelo.
La dottrina della Regalità di Cristo, non è per il nostro Istituto una appiccicatura, un titolo, un
nome. Essa ci insegna che Cristo è il centro di tutto l‟universo e che noi dobbiamo operare per
condurre tutti a Gesù Cristo Re, legislatore, giudice, maestro, principio e fine della nostra vita
(Gli insegnamenti del Padre, pp. 66-68).
La società contemporanea è malata di mancanza di vita soprannaturale; ci vogliono anime che
la salvino buttandosi in mezzo ad essa, vivendo la vita che vivono tutti gli uomini di questo
mondo, lavorando con essi, come essi, con essi soffrendo e facendo la strada con essi, così da
penetrare in ogni condizione sociale, in ogni ambiente, in ogni forma di attività, in ogni
condizione di vita, dappertutto per portare a tutti l‟esempio dimostrativo di che cosa è la vita
soprannaturale, per recare e donare la vita soprannaturale a chi muore di inedia per mancanza
di essa. In una parola, i Missionari debbono essere gli strumenti per rendere di nuovo
soprannaturale la vita della società moderna e debbono far questo con l‟esempio, con la
parola, con l‟aiuto, con il mettersi a fare al posto di chi dovrebbe fare e non fa, aiutando chi
non sa fare, spingendo i pigri, illuminando chi non vede, in una parola facendo tutto quello
che è possibile e anche quello che è impossibile perché Gesù Cristo sia maggiormente amato
in ogni casa, in ogni officina, in ogni scuola, in ogni stato sociale, in ogni ambiente, e per
mezzo vostro parli a tutti: a chi lo vuole ascoltare e a chi lo rigetta, a chi crede che Egli è il
Figlio di Dio venuto in terra per salvare gli uomini e a chi non lo crede (Gli insegnamenti del
Padre, pp. 75-76).
Caratteristica dei nostri tre Istituti è che non hanno, a differenza di altri Istituti religiosi o
secolari, una o più Opere da servire. Coloro che si prefiggono di servire una o più Opere ben
determinate fanno bene, perché attuano un loro programma o di insegnamento o di carità
materiale, o di altra forma, nella quale si è realizzata l‟attività di questi organismi.
I nostri tre Istituti invece non hanno un proprio specifico compito da assolvere, non hanno
un‟opera comune da promuovere; essi sono stati concepiti per elevare, aiutando i singoli
sodali nella loro vita spirituale, e per metterne l‟attività al servizio della Chiesa in tutte quelle
attività che essa promuove (Gli insegnamenti del Padre, p. 277).
Dagli scritti di Armida Barelli
La nostra vocazione è quanto mai ardua: siamo nel mondo senza essere del mondo: vivere nel
secolo ed essere anime consacrate a Dio (La sua voce, p. 55).
Il Regno di Dio deve essere per tutte noi, la nostra passione e lo scopo di tutti i nostri sforzi ...
Le Missionarie devono volere e amare il Regno di Dio (La sua voce, p. 64).
Non saremo vere Missionarie della Regalità di Cristo se non stabiliremo il suo Regno in noi
(La sua voce, p. 56).
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Con Maria vivere nella verità, camminare nella bontà, consumarci nella carità.
La Missionaria della Regalità non può non avere una devozione ardentissima per Colei che la
Chiesa onora quale regina del cielo e della terra. Ella ci ha portate nella vocazione particolare
alla quale siamo chiamate e ci insegna in qual modo dobbiamo estendere in noi e fuori di noi
il Regno del suo Figlio divino (La sua voce, pp. 46-47).
Se non posso più parlare, posso però pregare, pensare, amare, scrivere e dirigere le opere. E
ringrazio Dio (La sua voce, p. 71).
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2. La spiritualità francescana
Dagli scritti di padre Gemelli
Cosa può darci il francescanesimo?
Quello che ci manca e che il progresso meccanico esteriore dei nostri giorni è incapace di
creare, ossia il mezzo per guarire dal male che il veleno del nostro tempo ci ha posto nelle
vene. La fede assoluta nelle nostre forze, la febbre del lavoro, l‟appagamento del presente, il
disprezzo del dolore e della morte, che sono la conquista delle anime moderne, celano
un‟insoddisfazione profonda che tutto il comfort non vale a distruggere. Questa
insoddisfazione non è certo una novità del tempo nostro, ma nel nostro tempo è più
impressionante, perché in contrasto con le conquiste che il progresso attuale vanta (A.
Gemelli, Il francescanesimo, p. 399).
San Francesco può ricondurre anche oggi gli uomini a Cristo, perché la sua spiritualità offre
una speciale, diretta risposta ad alcuni problemi della coscienza moderna, i quali sono:
l‟inquietudine interiore, la crisi della libertà, la tendenza all‟azione, l‟inseguimento della
felicità (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 401).
A comprendere questa spiritualità, sono necessari due mezzi: primo, porsi da quel punto di
vista soprannaturale dal quale si è posto san Francesco; secondo mettersi a meditare gli scritti
di san Francesco (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 403).
Ricca dunque da abbracciare le tendenze più diverse, la spiritualità francescana è però
semplicissima. È il Vangelo in atto. Non è una pagina più che un‟altra del Vangelo; non
Maria più che Marta; non il Maestro più che l‟operaio; non il solitario più che l‟apostolo, ma
tutto il Vangelo, secondo tutte le manifestazioni della vita (A. Gemelli, Il francescanesimo p.
423).
Così la spiritualità francescana si compendia in una estrema, totale imitazione di Cristo; il
Francescano non si dovrebbe distinguere dagli altri Cristiani se non per una maggiore
aderenza alla vita del Signore; tanto che non si parla d‟imitazione, ma di conformità. Se di
fatto l‟ideale non si raggiunge mai, esso alimenta la disposizione dell‟anima a conformarsi a
Cristo non in una parte piuttosto che in un‟altra della Sua vita, ma in tutte; non un pensiero,
non un atto possono sfuggire a questa imitazione, che del resto deriva spontaneamente dalla
preghiera e dal desiderio di Dio (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 406).
L‟anima della spiritualità francescana è sicuramente l‟amore penitente e concretamente
operoso, ma la sua manifestazione più originale è questo amore di povertà, questa povertà
innamorata, allegra, da poeta, che non ha pari nella storia della civiltà (A. Gemelli, Il
francescanesimo, p. 440).
Uno spirito francescano custodisce in sé l‟atteggiamento del mendicante con il ricordarsi che
è minore di tutti, ha bisogno di tutti, deve essere riconoscente a tutti. Ma non in astratto; egli
chiede sempre qualche cosa, un consiglio, un‟idea, un aiuto, un sorriso, una preghiera,
ricordando che anche i meno dotati dalla natura o dalla fortuna possono avere alcunché che a
lui manca; anche i cattivi sono, per qualche aspetto, migliori di lui; egli si compiace con
infinita dolcezza di sentirsi minore (A. Gemelli, Il francescanesimo, p. 444).
Come vi ho ricordato l‟Istituto è nato nel coretto di San Damiano ad Assisi, ove sono nate le
più grandi opere francescane... Dobbiamo aggiungere che, data la fisionomia dell‟Istituto, la
spiritualità francescana le è particolarmente adatta, poiché nulla vi è di più francescano di
questo penetrare nella società stessa nei suoi vari strati ponendosi al livello della condizione
di altri uomini per dire la parola di Dio. Questo fu l‟ideale al quale obbedì san Francesco,
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mentre prima di san Francesco i Religiosi si erano chiusi nei monasteri per difendervi i tesori
di fede e di scienza, all‟aprirsi dei tempi nuovi san Francesco, con cui ha inizio il
Rinascimento, uscì coi suoi figli dai conventi, anzi non volle nemmeno i conventi, andò in
mezzo al mondo; andò ad abitare negli ospedali, nei lebbrosari, nei tuguri dei poveri, chiese
ospitalità ai ricchi, ai prelati, sedette alla mensa dei potenti e sedette sui gradini di una chiesa
con il povero che viveva di elemosina, e fece così per dire a tutti la parola che Egli, come
Araldo del Gran Re, doveva dire a tutti. Questo che fu l‟ideale di san Francesco è pure l‟ideale
al quale dovete attendere voi (Gli insegnamenti del Padre, pp. 68-70).
La passione, la croce, la morte di Gesù Cristo ci insegnano che noi non possiamo imitarlo se
non ci mettiamo per la stessa via, ossia se non prendiamo in spalla la nostra croce e se non
accettiamo i dolori che Dio permette per il nostro bene. I dolori, accettati serenamente,
purificano l‟anima; la croce portata per seguire Gesù Cristo ci ottiene il perdono dei peccati.
Per vincere il nostro io, le nostre passioni, le nostre debolezze morali, occorre la sofferenza (Il
Padre ha detto, pp. 90-91).
San Francesco ha introdotto nel mondo una maniera di vivere la vita cristiana che ha alcuni
caratteri inconfondibili ...
A mio modo di vedere, san Francesco è riuscito a mostrare che la vita soprannaturale alla
quale siamo stati ricondotti per virtù del Battesimo non è qualche cosa di aggiunto o di
sovrapposto alla vita naturale o, peggio ancora, non è una vita che distrugge o nega questa ...
San Francesco ha insegnato a vivere in modo da elevare al fine soprannaturale la vita naturale
e i doni naturali. Perciò san Francesco non ha scritto nessun trattato; chi volesse conoscere san
Francesco attraverso i suoi scritti resterebbe deluso. Egli ha vissuto il Vangelo alla lettera ed
ha insegnato molto più con l‟esempio che con la parola. Perciò è importantissimo conoscere la
vita di san Francesco dai suoi primi figli; dai loro atteggiamenti, dalle loro azioni, è facile
ricavare come deve essere la nostra vita nelle varie circostanze ...
Leggendo i Fioretti ci si accorge che la compassione per gli umili, la bontà per i peccatori, la
carità per i sofferenti, la dolcezza con tutti, l‟asprezza del giudizio sui superbi e i prepotenti,
mostrano in san Francesco un uomo, che, benché elevato allo stato soprannaturale, è uomo,
sempre uomo, e adopera le sue qualità ed attitudini naturali per attuare il disegno
soprannaturale che Iddio ha concepito su di lui (Il Padre ha detto, pp. 187-188).
La carità ha un doppio oggetto: Dio e il prossimo, per quanto questi due oggetti non ne
formino che uno solo, poiché noi dobbiamo amare le creature in quanto sono un‟espressione,
un riflesso della perfezione divina ...
Ma con la carità, per la virtù dell‟amore del prossimo, noi dobbiamo trasformare il vincolo
dell‟amore in azione; perciò dobbiamo confortare tutti gli uomini, medicare le loro ferite,
partecipare ai loro dolori, aiutarli a portare il fardello dei pesi della vita, sospingerli a mirare
al fine soprannaturale della vita umana. Questa azione si estende a tutti gli uomini, senza
accettazione o discriminazione di alcuni, senza guardare a ciò che gli uomini sono o fanno
nella vita ed anche quando in essi vi sono atteggiamenti o parole che sembrano dover arrestare
o soffocare l‟amore per il prossimo (Gli insegnamenti del Padre, pp. 269-270).
Per le anime che vivono negli Istituti secolari, qualunque sia la spiritualità che essi scelgono,
penso che la norma francescana sia la più idonea. Ricordate che Pio XII ha insegnato che i
membri degli Istituti secolari debbono vivere nel mondo, al quale non appartengono, per
esservi fermento di vita nuova e lume che irradia luce. La dottrina francescana, ponendo al
centro di tutto Gesù Cristo, insegna a coloro che vogliono seguire il cammino della perfezione
a porsi Gesù Cristo come modello ...
L‟uomo che vuole essere perfetto, deve fare quello che deve fare ogni cristiano, cioè vivere in
Gesù Cristo, con Gesù Cristo, per Gesù Cristo. State attenti alla precisazione: questo vivere in
Gesù Cristo, con Gesù Cristo, per Gesù Cristo che ciascun cristiano deve realizzare, ciascuno
lo deve realizzare secondo il modo nel quale Iddio l‟ha posto nel mondo a vivere e ad operare
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per esservi modello; ciascuno lo deve realizzare secondo la propria misura, ossia secondo i
doni avuti da Dio, secondo la chiamata di Dio. Ma non lasciatevi illudere da false immagini,
da sogni senza concreto contenuto; non cercate Gesù dove non c‟è; ricordate il tipico episodio
di san Bernardino, francescano perfetto, che prima di cominciare la vita di perfezione si illuse
di trovarla nel digiuno e nel mangiare un‟erba amara. Non illudetevi. Nell‟Istituto secolare nel
quale siete entrati per vocazione, vivete la vita di perfezione, ossia in castità, in povertà, in
obbedienza nel modo che per voi è quello assegnatovi da Dio, ossia il maggiore secondo la
vostra statura spirituale. Ancora: poiché il Cristo è il primo predestinato, ha su tutte le creature
un primato universale; ne segue che tutte le creature debbono appartenere a Lui ed essere
orientate a Lui. Nulla vi può essere al mondo di sottratto a Gesù Cristo; non lo è nemmeno il
mondo pagano; non lo è nemmeno il mondo che si ribella a Lui, che Lo bestemmia, che Lo
nega. Gesù è re universale. Tutto è nel Cristo e per mezzo del Cristo, tutto è in Lui unificato e
convergente nella carità, amore di Dio per gli uomini e degli uomini per Iddio (Gli
insegnamenti del Padre, pp. 387-389).
Il francescano è lieto, sempre: non mette il viso a lutto e non piglia atteggiamenti da funerale.
Non che non soffra, anzi soffre e soffre molto per sé e per gli altri, ma innanzi tutto ha il
pudore di non mettere fuori ciò che deve stare dentro; poi attinge da san Francesco una grande
sapienza: una fiducia illimitata nella Provvidenza, fiducia che fa mutare le lacrime in sorriso,
talvolta anche in riso dolce, venato un poco di melanconia; ma in fondo sorride sempre ed è
sempre lieto; ha sempre la letizia nel cuore perché è fiducioso in Dio; il francescano è sereno
perché, da tutto, anche dal male, cava il bene; è sereno perché è ottimista sempre, in ogni
circostanza, contro tutti i profeti del malaugurio; è ottimista saggio, temperato ed intelligente
(Il Padre ha detto, pp. 193-194).
Dagli scritti di Armida Barelli
Nell‟imminenza della festa del nostro Serafico Padre non posso fare a meno di chiedere ad
ognuna: «Lo conoscete? Lo amate? Lo imitate? Lo invocate?». La nostra bella spirituale
famiglia è nata a San Damiano dove sbocciò il francescanesimo. Siamo vere Missionarie della
Regalità di Cristo in proporzione al nostro spirito francescano.
«Di san Francesco - dice Maria Sticco - si parla molto, si conosce poco, si imita meno. Ma
avvicinarlo in spirito di fede è sempre salire verso Dio». Io aggiungo che ciò si deve fare
seguendo la via dell‟amore e del sacrificio. La sua preghiera alla Verna: «Dammi di amare
come Tu amasti e di soffrire come Tu soffristi» riesce forse difficile. Noi vorremmo amare
nella gioia dell‟amore; quaggiù bisogna amare sino a rendersi simili a Gesù Crocifisso come
ha fatto san Francesco.
Chiediamogli di ottenerci il suo amore per Gesù, allora non temeremo le croci e aiuteremo i
nostri fratelli a portare la loro.
Ricordate che l‟amore serafico non è sentimentalismo, ma concretezza; esclude gli interessi
personali per abbracciare quelli di Gesù; lotta per estinguere il male fino alla radice; purifica
con dura penitenza l‟anima da tutti i suoi difetti; si sforza di camminare con rettitudine e
semplicità sotto lo sguardo di Dio; tiene sempre accesa la lampada della fede e dell‟amore per
presentarsi allo Sposo, quando verrà.
Non si può essere francescani senza una vera devozione alla Vergine. I francescani hanno
sempre amato Maria con tenerezza profonda e con piena fiducia. Noi dobbiamo riconoscere,
come veri figlioli di san Francesco, che tutte le grazie ci sono venute tramite la Madonna (La
sua voce, pp. 49-50; 47).
Unire la vita contemplativa (amore di Dio) alla vita attiva (amore del prossimo): ecco la
vocazione francescana che ripete quella di Cristo che è glorificare il Padre e salvare le anime
(La sua voce, p. 54).
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3. La missione
Dagli scritti di padre Gemelli
Il lavoro, per un cristiano che voglia seguire Gesù secondo lo spirito francescano, assume una
grande importanza. Non solo il lavoro ha di per sé uno scopo, ma assume valore e significato
dallo spirito con cui viene eseguito.
Innanzi tutto esso è un mezzo per cooperare, per quanto indegnamente, ai disegni
provvidenziali del mondo.
In secondo luogo è un mezzo per l‟esercizio delle virtù, in quanto il lavoro, creando
particolari difficoltà, ci pone in condizioni di esercitare le singole virtù.
In terzo luogo la parola lavoro, dovendo essere assunta in senso amplissimo, ossia di esercizio
dell‟attività umana in tutte le sue forme, sintetizza un aspetto dello spirito francescano, che è
spirito di attività spirituale ...
Dobbiamo lavorare negli svariati campi nei quali la Provvidenza ci ha collocati per cooperare
alle sue manifestazioni nel mondo. Come creature dobbiamo rivelare agli uomini le
meraviglie e le misericordie del Signore, e per questo niente è più efficace che lavorare come
gli altri, ma per uno spirito e per una ragione tanto diversi, da lasciar scorgere in noi un
movente soprannaturale che ci anima e ci sospinge ...
Infine lavoriamo per unire il canto della nostra operosità a quello di tutte le creature
dell‟universo, e in questa guisa lodare il Signore nella sua magnificenza e nella sua
misericordia (Il Padre ha detto, pp. 15-16).
Nessuna di voi è entrata nell‟Istituto per la ragione che non è potuta entrare in convento; il
Sodalizio non è un sostituto del convento; certe vaghe e irreali aspirazioni alla quiete della
vita del convento o alla immolazione nei paesi di missione, sono sterili fantasie. Ciascuna di
voi è una laica che il Signore ha chiamato con altri laici a collaborare con i Sacerdoti per
estendere il Regno di Cristo in questo mondo moderno civile, che è il nostro tormento e la
nostra gioia; il nostro tormento, perché tanto lontano da Gesù Cristo, nostro Re; la nostra
gioia, perché è il campo ove possiamo fare conquiste per il suo Regno (Il Padre ha detto, p.
149).
I primi francescani non salivano in cattedra ma si mettevano alla pari, meglio, un gradino più
giù degli uomini che volevano convertire. Essi raggiungevano il loro scopo non con un
deliberato dominio sociale o intellettuale sugli altri, ma come i bambini, con una completa
dipendenza; prendevano parte al lavoro giornaliero con i contadini, o nelle case dei contadini,
e dipendevano da loro per il pane quotidiano. Si facevano figli del popolo, mentre erano gli
apostoli di una nuova vita religiosa, e la loro presenza permeava il territorio e portava un
nuovo elemento nella vita della comunità e di ogni focolare. Edificare servendo, convertire
ubbidendo, predicare tacendo, se non è tutto il metodo dell‟apostolato francescano, certo ne è
il sostrato indispensabile praticabile da ognuno in qualunque luogo. (Il Francescanesimo, p.
521).
Insegna Pio XII: «... Tutta la vita dei membri degli Istituti secolari, che è consacrata a Dio per
la professione della perfezione, deve tradursi in apostolato, e questo apostolato per purezza di
intenzione, per l‟interiore unione con Dio, per la generosa dimenticanza e la forte abnegazione
di sé, e per l‟amore alle anime, deve essere esercitato sempre e santamente, in modo tale che
esso scaturisca dallo spirito interiore che lo informa, e nel medesimo tempo continuamente
alimenti e rinnovi questo stesso spirito».
Questo passo merita un commento; prima però è necessario ricordare un altro passo, che sotto
altro aspetto richiama la secolarità. Pio XII insegna: «... Questo apostolato degli Istituti
secolari deve essere esercitato fedelmente non solo nel mondo, ma anche, per così dire, coi
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mezzi del mondo, e perciò valendosi delle professioni, delle attività, delle forme, dei luoghi e
delle circostanze che rispondono alla condizione secolare ...»
Gli Istituti secolari sono costituiti per servire la Chiesa, nel mondo, in tutte le forme che le
vicende del mondo rendono attuali, a seconda delle circostanze.
Perciò raccomando a tutti voi di non volervi fissare su un‟opera, ma di avere sempre il cuore e
la mente, soprattutto la vostra attività, aperti su tutto il mondo, a tutti gli uomini, per agire là
dove è necessario che un‟anima consacrata a Dio abbia a esercitare il suo apostolato. Non vi è
pericolo di dispersione delle forze, perché i Superiori debbono vigilare sull‟attività di tutti i
sodali, sia come individui, sia come comunità ideale, guidandoli, spronandoli, temperandone
l‟attività, ammonendoli, e ciò a seconda dei casi (Gli insegnamenti del Padre, pp. 106-108).
Quando diamo l‟esempio di una vita in Cristo, quando suggeriamo i pensieri di pace e di
giustizia, quando abbattiamo i pregiudizi che si oppongono al vivere in Cristo, quando
illustriamo la bellezza della vita che Gesù insegna, quando mostriamo come si debbono
vincere le difficoltà per seguire gli insegnamenti di Cristo, quando, in un una parola,
mostriamo, con la nostra vita e il nostro insegnamento, che Gesù è ciò che di più amabile, di
più desiderabile, di più giusto esista e quindi lo facciamo conoscere e spingiamo le anime ad
amarLo, a seguirLo, a servirLo, quando tutto questo facciamo, noi contribuiamo ad edificare
il tempio di Dio.
Ed è un dovere ...
La seconda azione caritatevole, che si richiede a noi per essere a servizio del prossimo è la
preghiera.
Nella preghiera per il prossimo vi è un grande vantaggio: non chiediamo niente per noi; la
nostra preghiera diventa simile a quella di Gesù Cristo, che passò la sua vita terrena
soprattutto pregando (Gli insegnamenti del Padre, pp. 272-273).
Per fare l‟apostolato occorre pregare e studiare: dico l‟uno e l‟altro, ché il Missionario
ignorante delle cose di Dio, o freddo nella preghiera per le anime è un Missionario che non ha
gli strumenti del suo lavoro: egli lavora con strumenti inadatti (Gli insegnamenti del Padre, p.
298).
Bisogna oggi essere operai con gli operai, maestri con i maestri, impiegati con gli impiegati,
professori con i professori, poveri con i poveri, ricchi con i ricchi, malati con i malati; bisogna
che l‟apostolo lavori e viva nella condizione in cui lavorano e vivono tutti gli uomini di
questo mondo e sappia costituire della vita dell‟officina, di quella della scuola, dell‟impiego,
dei campi, di ogni attività sociale, lo strumento e l‟occasione per fare dell‟apostolato; tutti gli
ambienti di attività e di lavoro sono il convento dell‟apostolo dei nostri tempi. Egli deve
quindi parlare il linguaggio che tutti comprendono e che tutti usano; non deve aver timore di
penetrare in alcuna casa, in alcun ambiente. Dove c‟è un‟anima da salvare, bisogna che egli
vada; deve imparare a vivere con lei, per parlare con lei e arrivare a farle conoscere Gesù
Cristo e la sua vocazione cristiana; deve soffrire con lei per giungere a farle conoscere che
Gesù Cristo nostro Salvatore e Redentore è morto in Croce per noi (Gli insegnamenti del
Padre, pp. 300-301).
La vita dei sodali degli Istituti secolari, che vivono una vita di consacrazione a Dio, mirante
alla perfezione con l‟esercizio della castità, della povertà e dell‟obbedienza, con lo scopo di
portare tra gli uomini, umilmente vivendo la vita di lavoro che è stata loro assegnata dalla
Provvidenza, il Regno di Cristo, è destinata a dare grandi frutti in questa società moderna.
Proprio perché gli uomini di questa società moderna mancano di umiltà, perché imbaldanziti
dai successi umani, abbacinati dalle loro vanità ed incapaci di arrestarsi sulla via errata sulla
quale si sono messi, corrono alla rovina perché distruggono i veri tesori della vita umana,
ossia i valori spirituali, i valori morali, annientano la vera libertà. In questa società moderna,
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in cui gli uomini sono nemici degli uomini, perché veduti e considerati solo come concorrenti
che impediscono il successo loro, in questa società in cui la regola è quella, come si suol dire,
della jungla d’asfalto e non quella della dolcezza che proviene dall‟amore e che permette la
mutua comprensione ed il mutuo aiuto, i Missionari della Regalità possono portare una parola
nuova di pace e di giustizia. Ma questo risultato sarà ottenuto se essi saranno sempre e
ovunque e in ogni circostanza e con tutti umili e dolci di cuore come il Padre nostro e come
Gesù ci ha insegnato, umili e dolci soprattutto con l‟esempio di una vita che dell‟umiltà e
della dolcezza deve essere efficace espressione (Gli insegnamenti del Padre, pp. 321-322).
Dagli scritti di Armida Barelli
Non accontentatevi di essere „buone alla buona‟. Apostole, vi voglio apostole che amano e
che fanno amare il Signore.
Vivete nel mondo senza nulla concedere al mondo, lavorate senza posa, ma soprattutto amate,
amate, amate.
Amare e far amare Gesù e il Padre suo e nostro nell‟amore dello Spirito Santo, ecco un bel
programma per la Missionaria.
Chiedere la purezza d‟intenzione per perdere le nostre vedute umane e lavorare solo per Gesù,
per la sua gloria.
Lasciate al Signore la cura del vostro avvenire ed occupatevi dei suoi grandi interessi. Vedrete
come provvederà bene a voi il Padre che sta nei cieli, se voi con zelo e con amore lavorerete
per Lui.
Per noi Missionarie non basta l‟accettazione della nostra croce, dobbiamo andare a consolare
ed aiutare chi soffre: bisogna illuminare le menti, fortificare le volontà, condurre anime alla
Chiesa e beneficare anche i corpi con tutte le nostre forze.
Il Regno di Dio deve essere, per tutte noi, la nostra passione e lo scopo di tutti i nostri sforzi
... Le Missionarie devono volere e amare il Regno di Dio nella propria coscienza, in terra e in
cielo, con lo stesso ardore con cui un ambizioso politico ama il potere, un artista la gloria, un
avaro i milioni. Dovrebbe essere la nostra prima preoccupazione, come era per l‟araldo del Re
...
Occorre avere, per assumere posti di responsabilità, cultura specializzata, attitudini particolari
e soprattutto una grande fortezza morale e spirituale in modo da non lasciarsi trascinare e
disorientare nell‟ambiente dove si dovrà svolgere la propria attività, senza lasciarsi
scoraggiare da chi lavora nello stesso campo per ambizione ed interessi personali (La sua
voce, pp. 63- 65).
Lasciare indebolire la vita interiore o rinunciare all‟apostolato vuol dire mettersi in condizione
di perdere la vocazione, il dono preziosissimo che il Signore ci ha fatto perché lo
custodissimo fino alla vita eterna (La sua voce, p. 60).
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4. La consacrazione
Dagli scritti di padre Gemelli
Noi possiamo diventare, se saremo sempre fedeli alla divina “chiamata” strumenti della più
grande opera che un uomo possa compiere a questo mondo, ossia far conoscere, far amare e
far servire Nostro Signore. Per renderci strumenti adatti, Iddio ci ha chiesto che
consacrassimo la nostra vita a questo servizio, onde ciò che a taluno può sembrare un‟offerta
fatta a Dio della propria vita, in realtà è un dono di Dio; infatti questa consacrazione è
possibile solo mediante speciali doni di Grazia.
In una parola noi siamo strumenti dell‟opera di Dio solo perché Iddio ci foggia come Lui
vuole e ci indirizza nel nostro lavoro per quelle vie che egli stesso sceglie.
Di qui segue che a noi è chiesto di realizzare l‟unione con Dio. Due condizioni
importantissime per corrispondere al dono divino sono: la fedeltà alla volontà di Dio e la
corrispondenza all‟opera della grazia. Non si tratta di una fedeltà generica e di principio,
nemmeno della fedeltà di un momento felice, di una elevazione comune o di un atto generoso;
si tratta di una fedeltà costante per tutta la vita, fedeltà di ogni ora e di ogni circostanza,
fedeltà di tutti i pensieri, di tutti gli affetti, di tutte le azioni; l‟anima consacrata al servizio di
Dio non si appartiene più; tutta la sua vita è di Dio; i suoi desideri, le sue aspirazioni, le sue
speranze sono quelle di Dio; i suoi pensieri sono i pensieri di Dio; la sua volontà si identifica
con quella di Dio, è una fedeltà che si misura dalla sua continuità.
Una seconda caratteristica rivela l‟anima che ha fatto della consacrazione a Dio la ragione
della sua vita: la corrispondenza alla Grazia divina. Questa opera continuamente in noi. Iddio,
dopo averci introdotti nella vita della Grazia con il santo Battesimo, continuamente ci
comunica i doni di Grazia: lo fa per mezzo dei mille modi con i quali in ogni istante ed in
ogni circostanza sovviene alla nostra debolezza ed eleva la nostra forza, affinché possiamo
operare in guisa da attuare la volontà di Dio. Ma Dio, che dà tutto il necessario perché noi
attuiamo la sua volontà, vuole che cooperiamo a questa sua misteriosa azione in noi; e non si
accontenta di una cooperazione generica e vaga ma vuole una corrispondenza che si riveli in
ogni atto, in ogni pensiero, in ogni affetto.
Voi che siete abituate a meditare queste verità ne concluderete che fedeltà totale nel servizio
di Dio e corrispondenza piena all‟azione della Grazia si possono avere solo se l‟anima nutre
amore per Iddio. Possiamo dire perciò che Iddio ha messo nel nostro cuore il germe della
vocazione perché vuole il nostro amore (Il Padre ha detto, pp. 29-31).
Voi, per la spiritualità francescana che avete scelto come norma di vita interiore, amate la
povertà; voi riconoscete che questa virtù vi fa un poco simili a Gesù che per amore degli
uomini si è fatto uomo, è vissuto povero ed è morto ignudo sulla croce, Egli che era il Re del
cielo e della terra ...
Quali sono gli impegni che voi assumete con la vostra promessa è detto nel vostro
Regolamento, il quale stabilisce che le Missionarie, pur ritenendo il dominio e l‟uso del
denaro e degli altri beni che possiedono e di quelli che legittimamente acquisteranno per
donazione, per eredità, ecc., debbono osservare le seguenti norme, al fine di tenere il proprio
cuore distaccato dai beni terreni e per osservare lo spirito di povertà:
a. evitare le spese superflue;
b. procurare di essere parsimoniose nelle spese personali;
c. cercare di essere larghe nel beneficare il prossimo;
d. redigere il proprio testamento secondo giustizia e carità e ricordando nelle loro
disposizioni le Opere della Chiesa ...
Innanzitutto l‟esercizio della virtù della povertà vi conduce a rinunciare al superfluo.
Superfluo è ciò che non è strettamente necessario. Se si trattasse di Religiose che vivono nella
stessa comunità, sarebbe facile determinare ciò che è superfluo. Ma ciascuna di voi vive in
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condizioni sociali profondamente diverse da quelle nelle quali vivono altre Missionarie. Così
pure darsi che ciò che è necessario per taluno sia superfluo per altre. Occorre quindi, nel
determinare ciò che è superfluo, avere presente la propria condizione di vita, la condizione
sociale in cui si svolge il proprio apostolato ...
Vi è dunque una sapienza della povertà. La ragione si è che, per un verso, dovete essere
spiritualmente distaccate dai beni di questo mondo, e per l‟altro, dovete essere generose con il
prossimo. Il rigore con voi stesse va sempre congiunto con la generosità verso gli altri.
Lo spirito di povertà si misura anche dalla fiducia nella Provvidenza di Dio; coloro che sono
ansiose del domani, preoccupate di quello che potrà loro accadere e di quello che potrà loro
mancare, non sanno praticare la virtù della povertà, perché non hanno reale e positiva fiducia
nella Provvidenza, quindi, tentano di indovinare come sarà l‟avvenire accumulando e
cercando di provvedere per ogni possibile ed eventuale circostanza.
Dimostra poi di non praticare la virtù della povertà chi dissipa i beni che Iddio le ha dato e chi
li amministra male. Vi sono alcune disordinatone che spendono a casaccio; vi sono irriflessive
che non tengono conto di ciò che spendono e quindi si trovano in determinate circostanze di
imbarazzo; vi sono alcune che, prese da irriflessivi impeti di generosità, dimenticano che
anche la prudenza è virtù da praticare ed è virtù regolatrice di tutta la nostra vita.
Per ovviare a questi difetti c‟è un rimedio efficace: ricordarci che siamo in questo mondo
amministratori dei beni che Iddio ci ha dati non per noi, ma perché servano per assolvere i
compiti della nostra vita. Dunque a Dio dobbiamo rendere conto del come amministriamo
questi beni; per amministrarli equamente, in Suo nome, dobbiamo far sempre la debita parte
ai doveri di giustizia, di carità, di prudenza. La vita cristiana risulta dall‟armonico cooperare
dell‟esercizio di varie virtù ... (Il Padre ha detto, pp. 119-123).
È necessario che ciascuna Missionaria abbia ad imbeversi di quello spirito di povertà che
caratterizza l‟anima francescana. Dico “spirito”, la “pratica” sarà un effetto dell‟acquistata
virtù ... Siate dunque povere per imitare Gesù Cristo; povere per essere ricche di letizia;
povere di spirito per essere ricche di santità, povere per essere umili. E poiché taluna di voi mi
ha mosso qualche difficoltà, ricordo che essere poveri vuol dire per una Missionaria
nascondere le privazioni che fa e nasconderle agli occhi di tutti. Chi ama la povertà trova
mille occasioni per offrire a Gesù le privazioni che tornano gradite al suo Cuore perché
ignorate dagli uomini, anche dagli intimi, anche dai familiari. Ne ricaverete irrobustimento nel
fare e nell‟amare i sacrifici che la virtù esige da anime consacrate al servizio di Dio. (Il Padre
ha detto, pp. 127-128).
Scendiamo al concreto e prendiamo un esempio. Voi dovete essere parchi con voi stessi e
generosi con i poveri; parchi, quindi evitate il superfluo. Ma che cosa è superfluo per me? È
superfluo ciò che non è richiesto per non morire di fame, di sete, di freddo? No; si intende il
superfluo, dato il mio stato, la mia condizione sociale. D‟accordo; è difficile in molti casi
giudicare ma è evidente che è superfluo il più comodo, quando il meno comodo basta; il
nuovo è superfluo quando il vecchio può essere ancora ben usato; ciò che deve servire
dopodomani è superfluo oggi; quando con un po‟ di coraggio si può sopportare la propria
situazione è superfluo il conforto che viene dall‟uso di un determinato bene...
È da aggiungere che basta a risolvere le varie situazioni un poco di semplicità: nulla cercate di
ciò che vi fa comparire diversi dagli altri per la vostra condizione; vivete la vita di tutti gli
altri; e poi, coraggio nell‟accettare i mille incomodi che la vita moderna, con la sua mai
soddisfatta ricerca di comodità, determina. Ricordiamoci che il vero povero non sceglie mai,
perché non può scegliere; se noi impariamo a non scegliere bensì ad accettare ciò che le
occasioni, gli uomini, il mondo ci mandano, considerando tutto questo come dono di Dio, ce
ne staremo in pace. E per stare in pace non bisogna passare all‟estremo opposto, torturandosi
con quesiti vari e ipotizzando situazioni varie. Accettiamo la condizione di vita come ci è
offerta; è un dono di Dio; ringraziamolo con semplicità ed andiamo avanti...
![Page 43: ALLE ORIGINI DEL CARISMA - ism-int.org Area Riservata/Documenti Formativi/26. Alle... · Sullaltra sponda, quella cattolica, militava lamico Vico Necchi. Coerente con le sue idee,](https://reader031.vdocuments.mx/reader031/viewer/2022021913/5c6a62b909d3f20f7f8c9296/html5/thumbnails/43.jpg)
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Certo, a volte avviene che qualche cosa di necessario ci venga a mancare. E Iddio in taluni
casi è sembrato anche sordo alle nostre preghiere e non si vede quando si potrà uscire da una
stretta. È questo il caso di avere coraggio. E chi lo ha, poiché ha fiducia in Dio, finisce per
constatare che una grande pace gli inonda il cuore. Ciò avviene perché al vero povero tutto
serve ma nulla gli è indispensabile; soprattutto non è schiavo di alcun bene terreno...
Un altro aspetto del povero vero: egli è laborioso, non sciupa il tempo (che è breve, e presto
viene la morte); lavorare bisogna perché siamo poveri e ciò senza lagnarci con Dio e con gli
uomini e senza far vedere agli altri che fatichiamo...
Una raccomandazione: nell‟esercizio della virtù occorre continuità e costanza. Vi sono alcuni
che passano da un eccesso generoso dell‟operare il bene ad uno stato di abbattimento e di
sconforto. Costoro non sono virtuosi e ciò che fanno non fanno per amore di Dio. Chi è
povero per amore di Dio, lo è tutti i giorni; e tutti i giorni con la sua povertà loda Iddio e gli
rende onore; tutti i giorni trova i suoi migliori amici nei poveri. Questo non dico solo di
questa virtù; si deve dire di tutte le virtù. Chi non è costante, chi è ineguale, vuol dire che non
ha scavato profondo nella sua anima nell‟esercizio della perfezione.
La nostra linea, che dobbiamo seguire noi che siamo consacrati a Dio, non è una curva
sinuosa; bensì una linea continua che lentamente ascende fino ad arrivare (ma non arriveremo
mai, purtroppo!) alla perfezione. Arrivati a raggiungere quella statura spirituale che Iddio
dall‟eternità ha prefissata per ciascuno di noi, e per raggiungere la quale ci ha dato la sua
grazia, Egli stesso taglia il filo della vita e ci chiama a rendere conto dei talenti che ci ha dati.
Uno dei talenti è l‟amore alla povertà. Un punto fondamentale sul quale mi preme richiamare
l‟attenzione vostra è il seguente. Voi non appartenete ad una comunità reale ma ad una
comunità ideale; perciò i vostri voti sono detti “sociali”. Anche l‟esercizio del voto e della
promessa di povertà ha questo carattere sociale. Che vuol dire? Tutti voi avete verso gli altri
sodali il dovere dell‟esempio e l‟esempio deve aiutare tutti ed aiuta anche voi, nella fedeltà
alle Costituzioni, ossia ad una norma di vita che ha per fine l‟esercizio della perfezione. Da
qui viene l‟obbligo dell‟aiuto vicendevole. C‟è tra i sodali uno che è più povero e che nulla
dice dei suoi bisogni? Tutti devono vedere, comprendere questi bisogni e devono aiutarlo, non
direttamente ma per mezzo della mano dei Superiori. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 258-
263).
La Missionaria che rimane in famiglia, non vi deve vivere come un‟estranea, assente ai dolori
e alle prove comuni, anzi deve amarla e considerarla come un campo di apostolato in cui Dio
fa lavorare ma, evidentemente, esce dalla strada retta la Missionaria che alla famiglia sacrifica
la propria vocazione, quella che, per accontentare i parenti, si pone nella condizione di non
osservare i propri doveri di Missionaria, quella che non... conquista la libertà per essere
Missionaria e apostola; quella che si fa schiava dei riguardi o di esigenze ingiuste, quella che
sacrifica il proprio lavoro di apostolato, la propria libertà alla famiglia (Il Padre ha detto, pp.
128-129).
Soprattutto bisogna vedere la povertà di Gesù Cristo. Ci mettiamo allora a praticare la povertà
come san Francesco? No, ve l‟ho detto, non è affare vostro. Ma vostro deve essere lo spirito
di povertà. È più difficile avere lo spirito di povertà vivendo in società, in famiglia, che
praticare la povertà in un convento. Il frate non possiede nulla, ma ha tutto, non gli manca mai
il necessario. Invece alle Missionarie tocca provvedere alla casa, al vitto, al vestito, per sé e
talvolta per gli altri; devono saper stare nel proprio ambiente con la necessaria eleganza, non
vanno bene le troppo ricercate e neppure le trasandate. (Il Padre ha detto, pp. 130-131).
Le caratteristiche dell‟amore verso Dio sono tre: amore fattivo, amore fedele, amore che
libera.
Amore fattivo - Bisogna diffidare degli stati d‟animo contemplativi che troppe volte sono
invece fantasie e illusioni. Noi siamo sicurissimi di essere uniti a Nostro Signore quando
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facciamo il nostro dovere, cioè la Sua Volontà, nelle umili circostanze d‟ogni giorno, e non
già quando ci crediamo al terzo cielo; e ciò perché possiamo sì illuderci di salire al terzo cielo
e invece commettere dei peccati, ma non possiamo ingannarci quando facciamo (rinunciando
alla nostra) la Sua volontà. Chi fa sempre e costantemente la Volontà di Dio è certo di amare
Dio e di unirsi a Lui in tutte le azioni della vita, anche le piccole. L‟atto eroico può essere
fatto una volta nella vita; può anche avvenire che non ve ne sia mai la necessità, ma il piccolo
dovere quotidiano capita tutti i momenti ed attraverso il compimento di questo dovere si fa la
volontà di Dio, ci si unisce a Lui. Perciò chiunque può realizzare l‟unione con Dio senza
compiere grandi cose, perché Dio non esige abitualmente da noi atti eccezionali o eroici, ma
unicamente la buona volontà, ossia la volontà di far bene ogni atto sempre...
C‟è un mezzo semplice alla portata di tutti, possibile in ogni momento per realizzare l‟unione
con Dio: fare in ogni minimo atto tutta e solo la volontà di Dio.
Ecco un criterio infallibile di vita interiore: nelle cose minute osservare con fedeltà e amore i
Comandamenti di Dio, seguire gli esempi di Gesù Cristo, unirsi a Lui e tendere alla gloria di
Dio per mezzo Suo.
Amore filiale - L‟amore divino richiede una fedeltà assoluta che prende tutte le nostre forze...
Amore che libera - L‟amore di Dio, per quanto assoluto ed esclusivo non rinnega gli affetti
umani, ma li libera dalle impurità e dagli eccessi...
L‟amore di Dio libera dalle tentazioni, dagli scrupoli, dall‟aridità, da ogni angustia di spirito.
Libera dalle tentazioni perché addita chiaramente all‟anima la volontà divina...
L‟amore di Dio libera dagli scrupoli. Certe anime si vivisezionano inutilmente, si tagliuzzano
in mille modi, si rendono schiave di pratiche minute, mentre una sola cosa è necessaria: amare
Iddio. Le anime che hanno capito questa idea fondamentale divengono libere...
Concludendo dunque: l‟unione con Dio si attua per mezzo dell‟amore; l‟amore si manifesta
con l‟adesione generosamente fedele della nostra volontà alla volontà di Dio, insegnata a noi
da Gesù Cristo e attuata sul Suo esempio. Molti ritengono che l‟unione con Dio sia un
privilegio concesso solo a pochi eletti. Mi pare di avervi dimostrato che nulla vi è di più falso.
L‟unione con Dio è possibile a tutti i redenti. Il cristiano, per il solo fatto di essere cristiano, è
figlio adottivo di Dio, deve perciò fare la volontà del Padre, e per questa via attua l‟unione
con Lui. Se non fa la volontà di Dio non si salva...
L‟unione con Dio è il fine di tutti i cristiani: anime che si consacrano a Dio, come fate voi, lo
fanno per raggiungere meglio questo fine, cioè con più perfetta adesione, per raggiungerlo con
più alto amore, per raggiungerlo con maggior sicurezza.
Nulla impedisce il progresso spirituale più di quella falsa pietà che insegna grandi penitenze,
sacrifici, preghiere, eroismi, mentre non insegna ad assolvere il dovere umile e semplice di
fare sempre, solo, tutta la volontà di Dio. Anche le anime che tendono alla perfezione devono
fare ciò che è compito comune di tutti i cristiani, ma lo devono fare bene, con totale
dedizione, con totale rinuncia, senza cullarsi nell‟illusione di essere migliori degli altri e
questo compito è la volontà di Dio come mezzo di unione con Lui. Non cerchino perciò forme
speciali di preghiere, gravi penitenze, particolari sacrifici; non si aspettino da Dio doni
singolari di mistica unione e visioni, non vadano cercando gradi di contemplazione, vette di
unione, castelli dell‟anima; non pretendano insomma di andare per vie appartate e difficili. In
modo particolare tutto questo non è per i Missionari della Regalità di Cristo che debbono fare
il comune dovere di ogni cristiano. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 165-171).
Vi è una espressione del Vangelo di san Giovanni che è necessario porre in testa alle
considerazioni che seguono: Chi poi opera secondo la verità, si accosta alla luce, affinché si
rendano manifeste le opere sue che sono fatte secondo Dio (Gv, 3,21). Queste parole di nostro
Signore ci ammoniscono di fare in Dio tutto quello che dobbiamo fare, cioè partendo da Dio
come nostro principio, mirando a Dio come nostro fine e mantenendoci nei pensieri e nella
volontà di Dio come nostra legge e nostro esempio. Questo stato di vita è lo stato di castità
perfetta...
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Ecco che cos‟è la castità: è un liberarsi da ogni vincolo che non permetta di amare Iddio; è un
amare Iddio perché è il solo che può essere amato senza freni e senza timori in un pieno
abbandono di noi stessi. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 209; 211).
Per quanto diversa la materia del voto di ubbidienza di un religioso da quella del voto (o della
promessa) di un sodale di Istituto secolare..., tuttavia la radice è una sola: rinunciare alla
propria libertà per fare la volontà di Dio, il che vuol dire dare la propria anima a Dio... Invece
di governare la propria anima con la propria volontà, noi vogliamo governarla con la volontà
di Dio, manifestata attraverso una Regola ed i Superiori che la fanno osservare...
C‟è caso ed è molto facile e frequente, di scambiare la nostra fantasia con la volontà di Dio e,
peggio, la voce dei nostri istinti con la voce di Dio. Non c‟è che un mezzo, e la preghiera ve
l‟avrà fatto chiaramente vedere: fiducia piena in Dio e perciò fiducia piena, di carattere
soprannaturale, nel Superiore. Esporre al Superiore i nostri problemi non è sempre facile; ma
vincere il nostro orgoglio per esporli è già un predisporre l‟anima all‟obbedienza. (Gli
insegnamenti del Padre, pp. 233; 236-237).
Dagli scritti di Armida Barelli
L‟amore alla povertà francescana. Beati i poveri, tutto è vanità fuorché amare Dio e servire
Lui solo. L‟amore alla purezza. Beati i puri di cuore. L‟anima veramente casta guarda senza
posa il suo Dio. L‟amore all‟obbedienza. Beati i cuori dolci, umili, obbedienti. Gesù è stato
obbediente sino alla morte di croce. Solo chi custodisce i comandamenti e i precetti di Dio
può dire veramente di amarlo.
L‟amore all‟apostolato. “Riterrò fatto a me tutto quello che avrai fatto al più piccolo dei miei
fratelli”. L‟apostolato è l‟immancabile frutto dell‟unione di Dio. (La sua voce, pp. 39-40).
Un‟anima consacrata a Dio deve avere sempre presente in ogni azione l‟obbligo che ha di
conseguire la perfezione, cioè di volere operare e soffrire ad ogni istante per amore di Dio,
tutto ciò che Egli vuole e perché è volontà di Dio; e di fuggire ciò che è contrario alla santa
volontà di Dio. (La sua voce, p. 41).
La nostra vocazione è quanto mai ardua: siamo nel mondo senza essere del mondo: vivere nel
secolo ed essere anime consacrate a Dio. Non vinceremo il mondo se prima non abbiamo
vinto noi stesse; fatte libere dal nostro io potremo combattere le battaglie per il trionfo di
Dio...
Siate generose nel prepararvi alla prima professione... Solo del Signore dovete essere, senza
nessuna concessione al mondo. Ricordate che non basta la fedeltà, ma ci vuole anche la
fecondità... (La sua voce, pp. 55-56).
Il nostro voto di verginità non è altro che voto di amore che ci obbliga ad amare per
vocazione. Non dimentichiamo che il concetto fondamentale della nostra consacrazione è
l‟imitazione di Cristo. Impetriamo spirito di orazione, penitenza, apostolato. Breve tanto è la
vita, sorelle dilette; possiamo noi, soccorse da Maria e imitando san Francesco, spenderla tutta
per il Signore. Amarlo, vederlo amato, farlo amare: ecco tutto il nostro programma.
Rinnovate la perenne donazione, ricordando che dalla vostra fedeltà dipenderà la fecondità
della vita: fedeltà vigile ed amante, fedeltà costante e fine... (La sua voce, pp. 56-57).
La missione di Gesù fu tutta qui: rinunciare a sé e fare la volontà del Padre. Il concetto
fondamentale della consacrazione a Dio è l‟imitazione di Gesù: come Lui devo rinunciare a
me e fare la volontà di Dio... L‟efficacia delle mie azioni sarà in proporzione diretta della mia
umiltà e dipendenza dal Signore e dalla Sua grazia. (La sua voce, pp. 54-55).
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5. La preghiera
Dagli scritti di padre Gemelli
Nelle relazioni con Dio san Francesco rispetta ed anche ammira il cerimoniale, ma non si
obbliga al cerimoniale. Ama la preghiera, ma non la vincola ad un luogo, fosse pure una
chiesa; dovunque l‟ora dell‟ufficio divino lo sorprenda, in una grotta, in una selva, per la
strada, al solleone, alla pioggia, alla neve, egli recita le sue orazioni, simile in questo più agli
anacoreti, che ai Benedettini; ma a differenza degli anacoreti, non si segna e non si tappa le
orecchie come se udisse il maligno, quando una cicala o una famiglia di passeri canta con lui;
anzi ne fa il suo coro, perché gode d‟interpretare e di raccogliere tutte le voci dell‟universo e
comporre con esse il suo inno alla Divinità.
La preghiera personale di san Francesco è, innanzi tutto, lode e ringraziamento...
La sua fede nella bontà di Dio si comunica agli altri, perché concreta, come se trovasse
conferma palpabile in tutto l‟universo, come se Dio si rivelasse a lui sensibilmente e
l‟accertasse che è l‟Ottimo. La sua preghiera presuppone che Dio è il sommo bene...
Le preghiere dettate o scritte da san Francesco hanno solo il tono della laude gaudiosa e
fidente, ma quelle che egli elevava in solitudine piangendo e gemendo erano anche esame di
sé al cospetto di Dio, frantumazione del cuore nel pentimento, meditazione della vita e
specialmente dei dolori di Gesù Cristo. (Il Francescanesimo, pp. 18-19).
Il Francescano ama la preghiera liturgica che confonde la sua voce con le mille e mille voci
della Chiesa; imita san Francesco, che anche nel folto delle selve, pure allontanandosi dagli
uomini che lo potevano distrarre, invita le cicale e gli uccelli, come gli angeli e i santi, alle
lodi di Dio.
La vita di una Missionaria della Regalità è innanzi tutto una vita di preghiera, senza la quale
l‟azione si isterilisce. Un‟anima che non prega si pone a rischio di perdere la vocazione. Lo
insegna l‟esperienza; lo insegnano i maestri di spirito. E non voglio intendere che non
preghiate affatto; ma voglio dire che è necessario pregare nella forma, nei modi, nella durata
prescritti a un‟anima che si consacra al servizio di Dio.
Ma, più che di quantità, si tratta di spirito di preghiera. L‟attività delle Missionarie che hanno
questo spirito di preghiera si svolge sempre in unione con Dio; esse operano alla sua presenza,
così che rivolgere il pensiero a Dio, invocare Iddio, è quasi connaturale alla loro anima come
fosse il loro respiro.
Per progredire nella vita spirituale (e il progresso per un‟anima consacrata a Dio è un dovere),
per operare in guisa che l‟attività sia rivolta a gloria di Dio e non si infiltrino nell‟anima
sentimenti umani, per impedire che le passioni si facciano gioco della volontà, per cacciare i
fantasmi che vengono a turbare l‟anima nella sua attività, bisogna pregare intensamente,
bisogna rivolgersi a Dio in ogni atto, bisogna che ogni pensiero, ogni affetto, ogni decisione
volontaria sia un atto compiuto sotto lo sguardo di Dio, sia conforme alla sua volontà.
Occorre pensare e operare sempre alla Sua presenza, affinché ciò che noi siamo e facciamo
abbia Dio per origine e per fine. In una parola: bisogna essere anime di preghiera. (Il Padre ha
detto, pp. 55-56).
È necessario che la Missionaria sia creatura d‟intensa, approfondita vita interiore. Quale vita
interiore? Niente pseudospiritualismi. Niente di artificioso. Niente penitenze speciali. Niente
voto di vittima. Ma vivere la vita che Dio ci ha dato con semplicità, sincerità piena, studio di
progredire...
Siate semplici, oneste, chiare, senza complicazioni. Fate quello che il vostro regolamento
prescrive: meditazione, esame di coscienza, lettura spirituale. Al centro la S. Messa, la
Comunione, il culto eucaristico. La vita porta dolori, prove, tentazioni, dubbi, scrupoli,
incertezze. Sono questi i momenti in cui bisogna applicare ciò che si è imparato. Se la
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spiritualità non è solida, fallisce, e le anime, che si credono arrivate in su, cadono prima.
Accontentatevi di forme semplici di vita interiore, rifuggite da ascese temerarie.
Siate solide, siate francescane ...
Non è possibile essere buone Missionarie senza vivere una vita di preghiera, senza
un‟atmosfera di preghiera. E perché? Perché sia la vostra consacrazione personale, sia quella
di tutte le altre si attua su un piano soprannaturale. Pretendere vita soprannaturale senza
preghiera è pretendere l‟assurdo. Non valgono ragioni di sorta: lavoro, apostolato, famiglia,
occupazioni; sono tutte pessime ragioni, che viceversa dovrebbero servire a far pregare di più.
Senza spirito di preghiera è impossibile tendere alla perfezione, dico spirito, atmosfera di
preghiera, non obbligo a certe preghiere e ad un certo tempo di preghiera. Si può osservare
zelantemente le due ore prescritte, recitare tutte le preghiere d‟obbligo, dire l‟Ufficio, ma non
avere lo spirito di preghiera, che è unione con Dio, Dio in noi, noi in Lui.
La forma più semplice e breve di preghiera è la giaculatoria...
La giaculatoria è fecondissima, purché non sia recitata come fanno le vecchiette, che
biascicano preghiere. Una giaculatoria può essere compendio di una giornata, può essere un
programma, può essere un conforto, un soffio che orienta verso Dio. Una persona
abitualmente distratta non dice giaculatorie. Solo le anime preparate le recitano bene: per esse
la giaculatoria è l‟espressione della loro vita di unione, del loro volgersi a Dio.
Siete fedeli alla meditazione? Avete imparato a farla? Essa è il perno della giornata, come
l‟Eucaristia ne è il sostegno. Il termometro della vita spirituale segue quello della
meditazione.
Non è facile trovare buoni libri di meditazione, ma voi non preoccupatevi di libri piacevoli,
graziosi, nuovi. La meditazione non sta in ciò che leggete. L‟elaborazione personale
costituisce la fecondità della meditazione. Il libro non è che un bastoncello ...
Qualche giorno l‟anima non è disposta ad elaborare nulla, e allora bisogna che segua lo
schema aridamente, ma se ha un‟abituale unione con Dio, anche la meditazione arida riesce
efficace.
Le „pratiche‟ punteggiano la giornata. Bisogna essere fedeli anche ai piccoli impegni di pietà.
La punteggiatura della preghiera caratterizza la giornata. I tempi duri, anormali, dolorosi
esigono di più la preghiera. (Il Padre ha detto, pp. 57- 61).
Anche la preghiera comune è un dono di Dio e spesso costa uno sforzo di concentrazione, una
fatica. Questo dono si sente in circostanze eccezionali, come la malattia. Ci sono, è vero,
malattie e malattie e alcune si conciliano con la preghiera, altre no. Ogni volta che ho un
attacco di cuore, non riesco a dire un Pater. Quando la malattia non ci permette di pregare, la
migliore preghiera è l‟offerta a Dio dei propri dolori, il ringraziamento per i propri dolori.
Quando la morte si avvicina, allora l‟offerta di sé e delle proprie sofferenze è la preghiera più
alta. E chi ha spirito di preghiera durante la vita, lo ha anche nella morte. Invocate molto la
Vergine santa. Quando la forza di pregare manca, la preghiera alla Madonna riesce. (Il Padre
ha detto, p. 63).
Molte anime, dopo lungo corso di anni, rimangono come all‟inizio e non raggiungono l‟ideale
di fondere preghiera e azione, cioè di vivere nel mondo, fra gli uomini, nelle stesse condizioni
di lavoro, e tuttavia avere la mente, la volontà, tutto se stesso in Dio, con Gesù Cristo in Dio:
cosa difficile. Chi non ci è ancora arrivato non si amareggi l‟anima, ma chieda al Signore la
grazia di arrivarci...
Causa principale della dissipazione non è fuori, ma dentro di noi. Solo che lo vogliamo, anche
noi, pur non avendo la solitudine e la pace fisica del monastero, possiamo realizzare nel
tumulto del mondo l‟unione con Dio, in un‟atmosfera di silenzio interiore.
Chi vive in famiglia, chi vive in mezzo agli interessi sociali non può estraniarsi dai dolori,
dalle gioie, dalle noie comuni a tutti, però non deve perdere l‟essenziale: l‟unione con Dio, il
colloquio con Dio.
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L‟anima che vive nel colloquio interiore è quella che fa sempre capo a Dio, e cerca la sua
volontà e la immedesima nella propria. Ci vuole esercizio lungo per imparare ad unificare la
nostra volontà a quella di Gesù Cristo, a vederla in tutte le cose ...
Il rinnegamento delle passioni è necessario, ma appartiene alla fase negativa. La fase positiva
è l‟adorazione interiore. E come si perviene a questa fase, se si ha tanto da lavorare, tanto da
fare e tutto bisogna far bene, soprattutto se serve agli altri?
E come si può stare in ginocchio davanti a Gesù Cristo e accudire alle faccende? Ma il
Signore a voi non manda angeli di servizio. Bisogna dunque che l‟anima si rivolga sempre al
Signore, sempre e non solo quando deve compiere opere nuove e difficili, ma anche nelle
opere ordinarie.
... Nel pigia pigia dell‟autobus, nell‟affollamento delle vie e degli uffici, nei luoghi di lavoro o
di svago, posso elevare il pensiero a Dio; nello stesso lavoro che m‟impegna e che devo far
bene posso tendere a Dio, perché la tensione della nostra intelligenza non è rigida, è ondulata.
Senza distrarci dal lavoro, anzi proprio perché lavoro impegnativo, si può pensare a Dio.
Gli uomini, anche se ci amano, ci danno dispiaceri, sono chiusi nel loro mondo, nei loro
interessi, ci capiscono poco. Se io ho spirito di preghiera vedo negli altri Gesù Cristo che mi
chiede aiuto, pazienza, dolcezza, e anche me ne dà.
Nei rapporti umani la preghiera ha mille modi di penetrare: un lampo, un attimo, basta una
giaculatoria.
Tutta la nostra mente deve essere orientata a Nostro Signore. Come i matti. Il paranoico ha
una certa idea fissa, a cui si rivolge sempre. E noi siamo matti di Gesù Cristo, l‟abbiamo
sempre nel cuore e nella volontà. Certo non s‟improvvisa questo stato d‟animo: bisogna fare
esercizio, ma senza alienarci dal mondo in cui viviamo, anzi partecipando al lavoro comune,
alle gioie e alle sofferenze comuni.
Altri mezzi: chiedere questo spirito di adorazione interiore. Pensare a Maria SS. che rimase
sempre nella vita comune e sempre in adorazione, da quando si vide Gesù Bambino fra le
braccia a quando ebbe Gesù morto sulle ginocchia. Importa sopra tutto lo sforzo di riuscire,
anche se non si riesce. Il Signore premia lo sforzo.
Per progredire bisogna puntare su un proposito solo; non farne molti, uno solo, piccolo, anche
piccolissimo, ma fermo. Chi non è riuscito ad avere finora spirito di preghiera, faccia questo
proposito. (Il Padre ha detto, pp. 64-67).
Ci vuole costanza e uniformità: ci sono anime che oggi si scaldano, salgono al terzo cielo,
domani sono depresse, abbattute, vanno a scatti, rompono le stanghe del carro. Ci vuole
costanza di applicazione. Non bisogna esagerare col fare indigestione di preghiere. Non va
bene voler fare ad ogni momento un ritiro, basta farne uno al mese in profondità...
Bisogna curare le malattie ed occorrono certe volte i digiuni. Quando si è stanchi bisogna
continuare ad osservare esteriormente le norme e le pratiche come quando si è ferventi
(mezz‟ora di meditazione nell‟aridità, nella nausea). I Sacramenti operano, anche se si ha
l‟impressione di non fare le cose bene, accostandosi ad essi con umiltà d‟animo, le crisi
passano... (Il Padre ha detto, p. 70).
Piuttosto che sui propri difetti: l‟esame di coscienza va fatto sulla carità.
1. Rispetto a Dio: lo amate come principio, come ragione della vita come Re che vi ha dato
tanti doni, tra cui quello della vocazione? Questo amore è stato attivo, fecondo, ha dato
risultati positivi? Avete amato costantemente? Avete agito per amore di Dio, o per altri motivi
che vi hanno fatto deviare?
2. Rispetto al prossimo: consacrazione a Dio vuol dire servizio degli uomini, l‟apostolato è
azione meritoria, volontaria perché il prossimo raggiunga la vita eterna.
Il Papa... come l‟avete amato? Tutti i Superiori li avete sempre obbediti?
Si sono introdotti nel pensare o nell‟agire altri sentimenti, alcuni buoni, altri no: simpatia,
antipatia, egoismo? ...
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Quale interesse personale ha sciupato la natura del rapporto con gli altri?
Conviene pensare non solo a ciò che volontariamente abbiamo fatto, ma a ciò che
involontariamente è accaduto, per mancanza di vigilanza, di richiamo al soprannaturale.
3. Rispetto a noi stessi: è l‟amore più arduo. Amare Dio dopo averlo conosciuto è facile. E
non è difficile amare il prossimo anche se ci combina dei guai, perché ci rendiamo conto che
molti non hanno avuto le grazie date a noi...
Ma amare rettamente noi stessi è difficile perché il vero amore di sé consiste nel rinnegarsi. Il
nostro Io è scaltro, cerca la propria soddisfazione anche quando sembra disinteressato; chiede
ciò che spiritualmente gli nuoce. Anche giunti ai gradi supremi della santità c‟è il pericolo
dell‟Io... (Il Padre ha detto, pp. 80-81).
La croce porta una conseguenza: a che mezzo ricorrere per portarla bene? Alla preghiera.
Tutti gli altri mezzi sono insignificanti.
Se sarete donne di preghiera, dalla croce potrete ricavare tutto il frutto necessario per
raggiungere il fine della vita di consacrazione. Quale preghiera? E come attuarla? Non parlo
di quelle a cui siete tenute, ma dello spirito di preghiera, che tende a Dio e lo invoca, anche
con una semplice giaculatoria, in ogni momento della giornata... (Il Padre ha detto, p. 82-83).
Dai vostri colloqui deduco che, poiché la giornata ha ventiquattro ore e gli impegni sono
molti, voi tagliate nella preghiera. E si capisce. Gli uomini strillano, Dio tace. Tace, vede e
subisce. Ora io vi dico chiaro e tondo: quando il tempo manca, toglietelo a tutto, fuori che alla
preghiera. (E al sonno). Lasciate strillare gli uomini. Meglio loro che Domineddio. Non si
può, non si deve togliere il tempo alla preghiera. Obbligo chiaro: non dovete dire “spero di
riuscire”. No. Voglio essere sicuro. (Il Padre ha detto, p. 86).
Preghiera, preghiera, sempre e soprattutto preghiera. Preghiamo molto ed avremo tutto,
perché la nostra preghiera dirà al Signore che se operiamo come se tutto dovesse dipendere
dal nostro lavoro, tutto ci attendiamo da Lui solo. Preghiamo molto e non solo per noi, ma per
le anime, sia per quelle alle quali ci rivolgiamo nel nostro apostolato, sia per quelle con le
quali lavoriamo, sia per quelle con le quali non avremo mai contatto. E come preghiera, il
primo posto è tenuto dalla meditazione. In fatto di preghiera mi permetto dirvi una parola che
mi ha detto proprio per voi il Santo Padre Pio XII di v.m. Coloro che lavorano non debbono
pregare abitualmente di notte, ma di giorno, e lasciare la notte al sonno. Ciò che è efficace
non è la preghiera straordinaria, ma la preghiera assidua, continua e metodica. Vale più un
anno intero di fedeltà quotidiana nelle proprie preghiere consuete prescritte che molte e molte
notti passate in adorazione. (Gli insegnamenti del Padre, p. 127).
L‟anima è consacrata a Dio per rendergli onore e per estendere il Suo Regno. Ora, il mezzo
migliore per rendere onore a Dio e per estendere il Suo Regno è la preghiera. È lecito
rimetterla all‟ora meno propizia? Quando le forze sono meno pronte? (Gli insegnamenti del
Padre, p. 131).
Perché la vostra preghiera sia intelligente non deve essere un atto avulso della vostra vita
quotidiana. La nostra attività, i nostri dolori, le nostre prove, le nostre gioie debbono essere
così intimamente legati con la preghiera da fare con essa un tutt‟uno; per questa via si riesce a
dare a tutta la giornata lo spirito di preghiera. Questo è molto importante per voi perché la
vostra giornata è tutta consumata nel lavoro e perché, come so bene, molti di voi sono così
oppressi dagli impegni, dalle responsabilità, dalle fatiche che poco tempo, relativamente,
possono dare alla preghiera. Non occorre moltiplicare le pratiche; occorre pregare bene; per
far questo, giova molto legare insieme le varie preghiere. Ad esempio: l‟esame di coscienza
della sera sia una preparazione alla giornata dell‟indomani; la preghiera del mattino sia una
preparazione alla Comunione e alla meditazione; quest‟ultima ispiri tutta la giornata con i suoi
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pensieri con i propositi con cui si chiude, ad essi si riattacchi l‟esame di coscienza del
mezzodì e della sera; ad essa prenda ispirazione la visita al SS. Sacramento; soprattutto essa
comunichi a tutti gli atti, a tutti i pensieri, a tutti gli affetti, la sua mistica ed eucaristica
bellezza; in una parola, legate la giornata vostra come un solo tutto; poi la settimana
costituisca un‟altra unità di ordine superiore e così pure il periodo tra un ritiro e l‟altro, tra un
corso di Esercizi annuali e l‟altro.
In una parola la preghiera conferisca unificazione interiore alla vostra vita, legando insieme
pensiero ed azione, orazione ed amore, penitenze e consolazioni; questa unificazione poi,
arreca alla fine una grata sorpresa: ci si accorge un giorno di essere arrivati a realizzare la
presenza costante di Dio che ci sembra compito tanto arduo e troppo alto per le nostre forze.
Soprattutto bisogna che preghiate con spirito di fede. Quando l‟animo è aperto alle gioie,
oppure quando esso è chiuso alle consolazioni, ovvero quando è inasprito dalle prove e come
insecchito dalle aridità pregate sempre allo stesso modo, ossia con pieno abbandono alla
misericordia divina; pregate come fanciulli che si rivolgono al Padre, ossia con confidenza,
con abbandono, con sicurezza. Allora la speranza cristiana rinverdirà i vostri pensieri e darà
alle vostre azioni calore di vita.
Pregate per tutti. In primo luogo, bisogna pregare per il Papa, per la Chiesa, per la gerarchia
ecclesiastica. Assolti questi doveri, pregate per i nostri istituti. Essi fioriscono se i Missionari
sono attivi e si santificano; illanguidiscono ed inaridiscono con lo spegnersi in essi dello
spirito di fede e della vita della grazia. Dunque pregare per i nostri istituti vuol dire pregare
per i Missionari. Sparsi in ogni luogo, lontano gli uni dagli altri, privi del conforto e dell‟aiuto
dei fratelli e delle sorelle, i Missionari attendono ai loro compiti, nel campo del loro
apostolato, cooperando tutti allo stesso scopo, costruendo tutti lo stesso edificio. Nelle ore di
preghiera dovete sentirvi l‟uno all‟altro spiritualmente vicini: sodali anche se non vi conoscete
di persona; uniti nella bellezza di un ideale comune da servire... (Gli insegnamenti del Padre,
pp. 178-181).
Dagli scritti di Armida Barelli
«Vita interiore e apostolato». Ricordate: se una delle due cose viene a mancare si perde la
vocazione. Difendete il tesoro della vocazione con una vita interiore intensa, con un
apostolato attivo. (La sua voce, pp. 60-61).
Siate fedeli alla preghiera, sorelle mie, non solo alle pratiche obbligatorie, non solo alla vita
liturgica, ma alla preghiera personale, a cuore a cuore con Dio, con la Vergine Santa, con san
Francesco nostro e le nostre sante Patrone, con l‟Angelo che ci custodisce con tanto amore.
(A. Barelli, lettera del 4.10.1951).
Vi scongiuro, sorelle mie, per il bene dell‟anima vostra, per la salvezza della vostra
vocazione, per la perfezione vostra spirituale, di avere il fermo proposito, e mantenerlo, di
fare ogni mese il vostro giorno di ritiro: liberatevi a ogni costo da ogni impegno. Pregate il
Signore che vi dia la grazia di essere fedeli a questo proposito perché è Lui che dà, come dice
san Paolo «il volere e il fare». (La sua voce, p. 67).
La preghiera deve essere la catena d‟oro che mi lega al Sacro Cuore tutta la giornata. Pregare
adagio, tranquillamente, lietamente, dal profondo.
Preghiamo di più e preghiamo meglio; solo così possiamo rispondere alla chiamata della
vocazione così opportuna, solo così possiamo riparare alle inevitabili deficienze del nostro
lavoro. Viviamo con la Chiesa la vita liturgica e ne trarremo tanto nutrimento all‟anima, tanta
pace e tanta gioia per lo spirito, tanta grazia per noi e per gli altri.
Chiediamo a Gesù che ci conceda il dono della preghiera. Occorre saper pregare; preghiera
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semplice, pura, ardente, fatta con incondizionata fede. Preghiera che fa realizzare le promesse
di Gesù: «Domandate e riceverete, bussate e vi sarà aperto, cercate e troverete».
Attraversiamo momenti tristi e difficili per l‟umanità e per la Chiesa, occorrono anime che
sappiano pregare e sappiano amare.
Tutte le mie lettere invocano preghiere. Si, sono convinta che la preghiera è la nostra forza, è
la ragione di ogni nostra speranza. Approfittiamo dunque del maggior tempo a nostra
disposizione nelle vacanze per un cuore a cuore con Dio, sia in preparazione, sia in
continuazione dei santi Esercizi. (La sua voce, pp. 51- 52).
Viviamo una vita troppo assillante: bisogna pregare di più, meditare di più, vivere più
intensamente. A contatto con Gesù si perdona, si compatisce, ci si umilia, si usa carità.
Rimaniamo nascoste in Gesù Cristo, dimora conosciuta alle sole anime interiori, dove si è
svolto il dramma della Redenzione. Lì ascoltiamo con maggior prontezza, la “Parola” col
desiderio di essere la sua consolazione. (La sua voce, pp. 61-62).
La devozione, il culto alla Madonna è cosa necessaria, non facoltativa, perché senza tale
devozione la nostra somiglianza con Cristo non è completa. (La sua voce, p. 46).
Sarà necessaria la vita interiore sempre più intensa per essere all‟altezza della vostra grande
missione. Una profonda devozione alla Vergine, madre della vita interiore, vi aiuterà
nell‟ascesa indispensabile. Vi raccomando di amare la Madonna e di farla amare; allora sarà
facile farla onorare, imitare, invocare.
Da Lei ci è venuto il Bene, perché è la Madre di Gesù, da Lei attendiamo ogni grazia perché
essa è l‟onnipotenza supplice al cuore di Dio. (La sua voce, p. 48).
La Chiesa ci insegna: preghiera, penitenza e carità! Forse voi direte: ma noi facciamo già tutto
questo. E allora la Chiesa a noi, spose del Crocifisso dice: maggior preghiera, maggior
penitenza, maggior carità. (A. Barelli, lettera della Quaresima 1952).
Le attuali circostanze (tempo di guerra n.d.r.) non dispensano le Missionarie dal ritiro
mensile. Quante possono intervenire ai ritiri collettivi, devono fare ogni sacrificio per
parteciparvi: è loro dovere. E ognuna sa dove si tiene il ritiro predicato per Missionarie di
quella diocesi, anche se ora viene fatto in centri di sfollamento... Ma anche tutte quelle che
non possono intervenire al giorno del ritiro predicato, ricordino lo stretto obbligo di fare il
ritiro mensile individualmente (A. Barelli, lettera del gennaio 1944).
... Durante il ritiro stiamo raccolte in silenzio e possibilmente anche durante il viaggio ... (A.
Barelli, lettera dell‟ottobre 1947).
Nei santi Esercizi ognuna:
1. Entri tutta (lasciando fuori ogni altro pensiero)
2. Resti sola (Con Gesù e Maria)
3. Esca altra (rinnovata nei propositi).
Dopo gli Esercizi:
1. Riprenda più fervida la vita interiore nello spirito francescano
a. aderendo alla volontà di Dio
b. prendendo Gesù come modello
c. ricorrendo a Maria Santissima
2. Riprenda l’apostolato in famiglia, nella professione, nell‟Azione Cattolica con
rinnovato spirito soprannaturale.
(A. Barelli, lettera alle Missionarie, luglio 1951)
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6. La comunità fraterna
Dagli scritti di padre Gemelli
Il regolamento di vita vi lascia nel vostro stato, nel vostro posto per esplicare secondo le
proprie attitudini, in libertà francescana, la missione che il Signore a ciascuna di voi affida.
Isolate nel mondo, vere missionarie del Sacro Cuore e del suo amore ma non sperdute nel
mondo voi siete unite con le sorelle nel seno spirituale di questa famiglia ideale che afferma i
propositi di tutte e che a ciascuna traccia la via. Il lavoro, diretto a comune scopo, è uno dei
fili ideali che tiene unite le sorelle.
Tutte occupate nello stesso servizio di Dio, così sapete di tessere insieme una sola tela, quella
della lode e della gloria di Dio. Di guisa che se taluna è presa dalla stanchezza o dalla noia,
troverà conforto nel pensare che altre lavorano allo stesso compito, e sentirà di poter vincere
per questa solidarietà spirituale e reale le proprie debolezze; così come se una si sentirà più
animata, avrà la gioia di dire a sé stessa che lavora anche per le sorelle stanche ed indebolite.
Ecco la meravigliosa solidarietà che il lavoro ci offre: esso ci dà modo di rinsaldare i vincoli
spirituali della nostra famiglia. (Il Padre ha detto, pp. 16-17).
Il legame tra le varie sorelle non consiste solo nel trovarsi insieme, nel pregare insieme,
nell‟amarsi, ecc. ma particolarmente nel cooperare insieme a scopi comuni. (Il Padre ha detto,
p. 19).
La partecipazione alla famiglia spirituale che Iddio ci ha dato deve essere più effettiva, nel
senso che ciascuno deve rendersi sempre più attivo e sempre migliore elemento e strumento di
essa; ciascuno deve studiarsi di riguardare la propria formazione e la propria attività in
funzione della sua appartenenza all‟Istituto. (Gli insegnamenti del Padre, p. 73).
Dagli scritti di Armida Barelli
La carità fraterna deve modellarsi su quella di Cristo (La sua voce, p. 42).
... ben poche Missionarie sono rimaste senza esercizi. Questa partecipazione, che è frutto di
sacrificio per le forti spese e per i viaggi disagevoli, è un indice molto confortante della
vitalità e dell‟unità spirituale dell‟ISM.
Rinnovazione! è l‟atto di mettersi pubblicamente alla presenza di Dio, davanti ai Superiori e
alle sorelle, per rinnovare il voto e le promesse, ricordare a se stessa, alle sorelle, ai Superiori
e a Dio che avete preso questi impegni e ne siete contente; dire: sapevo quel che facevo, ho
preso le cose con serietà e i miei impegni sono per me più preziosi, più obbliganti, più sacri di
qualsiasi altra cosa sulla terra. (A. Barelli, lettera del luglio 1950).
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53
7. La formazione
Dagli scritti di padre Gemelli
Nella propria formazione ogni Missionario, pur godendo di quella libertà che assicura la
conservazione e lo sviluppo della propria personalità, deve badare a sviluppare in sé quelle
che sono le note caratteristiche dell‟Istituto: una solida pietà francescana, una fusione sempre
più intima tra la vita interiore e l‟attività di apostolato, un abbandono filiale nelle mani di Dio.
(Gli insegnamenti del Padre, p. 73-74).
Altra caratteristica dell‟Istituto è una certa e ragionevole libertà spirituale, libertà dei figli di
Dio ... La libertà per i francescani vuol dire che ciascuno deve seguire la propria via, quella
che Dio gli ha indicato, ciascuno deve avere la propria fisionomia, ma deve conservare e
sviluppare doni naturali e soprannaturali avuti da Dio, onde divengano strumenti per operare
secondo la volontà di Dio e quasi condizione perché ciascuno possa imitare a proprio modo il
divino modello: Gesù Cristo. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 71-72).
Un punto, oggetto di speciale considerazione, deve essere la vostra preparazione intellettuale
all‟apostolato. Naturalmente ciascuna deve avere una preparazione adeguata alla propria
condizione sociale e ognuna deve studiare non per curiosità scientifica, ma per desiderio di
apostolato: perché ciascuna, scegliendo libri adatti alla propria cultura, deve studiare il
fondamento dottrinale della nostra fede (quindi, a seconda del caso, sceglie un manuale di
teologia o un catechismo); la storia gloriosa e santa della nostra religione (della Chiesa, delle
Missioni, del Francescanesimo) ... Esigo che tutte amino e coltivino lo studio come mezzo di
apostolato. (Il Padre ha detto, pp. 150-151).
Condizione per poter fare l‟apostolato è la preparazione interiore dell‟apostolato,
l‟elaborazione dell‟apostolato: cosa lenta, e vi si arriva a grado a grado, con un lavorio
assiduo e progressivo, che parte da due basi: obbedienza a Dio e sviluppo della propria
personalità. Dio non vuole bambole né macchinette nell‟apostolato, ma anime vive e operanti
e insieme docili. L‟arte più difficile è quella dell‟apostolato. Solo il Signore può insegnarla.
Gesù non è solo il Padrone; è il Maestro che ci conduce a compiere un‟opera divina. (Il Padre
ha detto, p. 157).
Essere liberi, sviluppare la propria personalità, lasciare che questa si dispieghi, vuol dire
dunque, servire la verità, operare nella giustizia, svilupparsi nella santità, avvicinarsi a quel
divino ideale che ci è proposto nella personalità del Cristo. L‟anima consacrata a Dio, che ha
abbandonato l‟Egitto della vita pagana, che si è preposta il compito di attendere alla
perfezione, che accetta il sacrificio come mezzo di santificazione, che a questo scopo ha
fiducia piena in un Superiore che la guida per la via della santità, è l‟anima che gode
veramente della piena libertà; quella di essere figlia di Dio e che si propone di fare solo ciò
che piace al Padre e ciò che serve alla gloria del Padre. (Gli insegnamenti del Padre, pp. 241-
242).
Occorre conoscenza, studio della dottrina cristiana. Una buona Missionaria deve avere una
cultura teologica adatta alla sua cultura generale, non solo per l‟apostolato, ma per la sua vita
interiore (Il Padre ha detto, p. 71).
Guai all‟anima che si accontenta di una vaga aspirazione al bene o anche all‟imitazione di
Cristo e non chiude tutta la propria vita in un programma ben definito e preciso, realizzato con
ferrea disciplina! Guai all‟anima che non comprende che il programma non è mai generale
promessa di bene, ma è una disciplina da attuare ogni anno, ogni mese, ogni giorno. (Gli
insegnamenti del Padre, p. 123).
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54
Dagli scritti di Armida Barelli
Cercate di cogliere in questi Esercizi il disegno di Dio su di voi, il punto nel quale Egli vuole
il vostro sforzo verso la perfezione. Fate un solo proposito ma mantenetelo; ogni anno salirete
così un gradino sino al giorno beato in cui spiccherete dalla terra, purificate e perfette, un
salto nelle braccia e nel cuore di Dio. (A. Barelli, lettera del 21.8.1933).
Raccomandarvi di studiare e stendere il compito può sembrare un anacronismo in questi
momenti (tempo di guerra, n.d.r.). Eppure se vogliamo rimanere serene nelle prove che già
abbiamo o in quelle che Dio potrebbe permettere, è assolutamente indispensabile raccogliersi,
pregare, meditare sulle eterne verità, e in tal caso lo studio di cose religiose è un vero
beneficio per l‟anima, sia estraendola dai pensieri dolorosi, sia fortificandola per reggere nella
prova ed essere irradiatrice di bene tra quanti soffrono. (A. Barelli, lettera del 28.8.1943).
A voi, che la lunga permanenza nell‟ISM può trascinare nelle mediocrità e nella “routine”, la
raccomandazione di cominciare ogni giorno daccapo nella lotta per essere fedeli all‟ideale
abbracciato, l‟augurio che l‟ultimo giorno vi trovi ardenti e fedeli come il primo.
Non molte, ma buone Missionarie; fornite delle necessarie attitudini, rispondenti alle varie
esigenze. Attendete con amore e zelo al lungo, paziente e delicato lavoro di preparazione
remota di coloro che vi sembrano adatte all‟Istituto, richiedete e sviluppate la cultura religiosa
ed ascetica, la vita francescana, lo zelo di apostolato, perché questi sono i mezzi per diventare
buone Missionarie. (La sua voce, p. 57-58).
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8. Altri scritti
Carissime figliole,
innanzitutto vi ringrazio per le preghiere, per le varie offerte fatte a Dio per implorare la mia
guarigione, per tutto quanto avete in varia forma e misura compiuto.
Avete dimostrato con questo il vostro affetto per me ed io desidero assicurarvi che lo ricambio
come a figliole che il Signore mi ha affidate e che mi propongo di condurre per le vie della
perfezione, a lavorare per l‟estensione del Regno di Dio. Ma io pure vi ho ricordate sempre, in
modo speciale alla sera, a quell‟ora in cui nel malato si fa acuta e pungente la melanconia, in
parte dovuta alla debolezza organica, ma in parte dovuta alla riflessione sulla propria malattia,
al lavoro lasciato, sulle Opere, sulle persone care. Tra le altre cose, in primo luogo ricordavo
il Sodalizio; perciò ogni sera vi ho mandato la benedizione, invocandovi da Dio le grazie per
la vostra vita spirituale, per i vostri bisogni, per il vostro lavoro, per la vostra salute e per tutto
ciò che vi è caro.
La lunga malattia mi ha dato modo di considerare molte cose, e, come potete immaginare, le
principali riguardano la mia anima e non è il caso che intrattenga voi su questo, altro che per
dirvi che è stato per me questo periodo come un lungo Corso di Esercizi Spirituali, nel quale il
Signore mi ha fatto la grazia di farmi comprendere molte cose e di farmi giungere ad
importanti deliberazioni per la mia anima e per la mia attività. Quindi considero questo
infortunio automobilistico e la susseguente grave malattia come un dono prezioso di Dio, il
Quale, in modo misterioso mi ha fatto intendere la Sua Volontà, che io mi propongo di
eseguire con tutte le mie forze. Domando a voi di aiutarmi a mantenere questi propositi con le
vostre preghiere, perché è evidente che, se io avessi santità e ricchezza di vita interiore, potrei
comunicarle ad esuberanza a ciascuna di voi, e voi sareste le prime a trarne profitto.
Soprattutto dico questo a quelle numerose tra voi che sono più o meno gravemente malate;
esse meglio di ogni altra possono intendere queste mie parole, perché hanno sperimentato il
valore della malattia: mentre da ogni parte tutte le compiango per le sofferenze che esse
debbono patire, esse sanno che queste sofferenze apportano un bene così grande e da esse
viene uno stimolo così prezioso alla elevazione dell‟anima che non potrebbe essere ottenuta in
nessun altra guisa ...
(Lettera scritta da padre Gemelli alle Missionarie dall‟ospedale nel quale era ricoverato nella
quasi totale immobilità, da 76 giorni, Pasqua 1941).
* * *
Il 16 novembre è una data memorabile per il Padre, perché è l‟anniversario della sua entrata
nell‟Ordine Francescano. Non fu un‟entrata come le altre: fu un atto eroicamente decisivo che
ebbe qualche cosa di soprannaturale ed insieme di drammatico.
Il giovane medico, il 16 novembre 1903, alle 7 di sera, fuggì letteralmente, in abito da società,
dalla sua famiglia, dalla sua Milano, dal mondo che lo apprezzava e lo invitava, per
nascondersi nel convento di Rezzato, dove famiglia, amici e mondo lo inseguirono, lo
assediarono, lo insidiarono per molti mesi con tutti i mezzi, inutilmente. Padre Gemelli, per
quel religioso pudore che sigilla di silenzio la sua conversione, segreto del Re, non parla dei
particolari di quella fuga, ma la ricorda per ringraziarne Iddio.
Ora, nel 1941, il Padre, per la sua infermità, non poteva celebrare la Messa del 16 novembre
in convento, fra i confratelli, ed io gli chiesi di permettere alle Missionarie del pensionato
Cristo Re ed a me, di assistere alla sua Messa. Lo aspettammo nel breve atrio della cappella
Sacra Famiglia, ciascuna con una rosa in mano, e gli presentammo 39 rose (a nome anche
delle assenti) quanti erano gli anni della sua vita religiosa. Il Padre ringraziò commosso e
dopo la Messa ci disse: «Riportatevi con la mente al coretto di S. Damiano, dove si è svolta la
vita francescana nella sua maggiore intimità e spiritualità, prima per opera di san Francesco,
poi di santa Chiara e dove, di secolo in secolo sono convenuti tutti i Francescani per attingere
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forza al loro compito. Scendete quei gradini consumati, guardate quelle mura annerite, sedete
su quegli stalli poverissimi, rievocate le prime compagne di santa Chiara e tra esse
sant‟Agnese, particolarmente unita a Chiara e per lei a san Francesco. Non è martire, ma un
po‟ di martirio lo ebbe. Il suo cranio, conservato dalle clarisse, porta ancora il segno delle
busse dello zio. Soffrì per avere seguito la sorella e quindi san Francesco. D‟altra parte la
famiglia aveva, in fondo, ragione.
Che prometteva Francesco? Non era meglio per una fanciulla seguire la via aperta dalla
grande tradizione monastica benedettina? Questo è il giudizio umano, ma il giudizio divino è
diverso. Il giudizio divino è quello del Vangelo di oggi, in cui meglio respiriamo il pensiero
del Maestro. È il Vangelo del grano di senape e del fermento che in piccola quantità la donna
aggiunge alla farina. Il grano di senape esprime bene il carattere del cristianesimo: sorgere dal
nulla e diventare grande solo per la grazia. Questo Vangelo è applicabile pure al
Francescanesimo, a santa Chiara, a sant‟Agnese: è applicabile al Sodalizio perché, nato nel
coretto di S. Damiano, è cresciuto fino a diventare cosa abbastanza grande, tanto da destare
preoccupazioni in chi lo dirige. Ma nel Vangelo sono insieme i due simboli: quello del grano
di senape e quello del fermento. Essi sono diversi, ma si integrano. Il grano di senape è il più
piccolo seme del mondo, eppure produce un albero grandissimo: analogia con lo sviluppo
della Chiesa. L‟altra similitudine è appropriata di più a ciascuno di noi. Il lievito, che
fermenta la farina, significa l‟azione della grazia nell‟anima che, per se stessa (come la
farina), è incapace di agire, di crescere nella vita soprannaturale. La farina non diventa pane
senza lievito; l‟anima non opera per il Regno di Dio, senza la grazia. Ognuno deve essere
fermento di bene nell‟ambiente in cui la Provvidenza l‟ha destinato. Come pochissimo
fermento basta a lievitare tre staia di farina, così noi per quanto piccoli e poveri, se avremo in
noi la grazia, potremo agire potentemente nella società contemporanea» (A. Barelli, La nostra
storia, pp. 218-219).
* * *
Propositi Gennaio 1951
Pietà
1.Offro al Dio Bambino
- il tributo di una profonda adorazione (Ti adoro!)
- i trasporti di gioia ineffabile (Viva viva!)
- l‟omaggio di una gratitudine senza nome (Grazie!)
- la tenerezza di un amore senza pari (Ti amo!)
2. Imparerò da Gesù Bambino, Maestro di umiltà, di povertà, di pazienza e di purezza,
a essere:
- umile (accettando le umiliazioni della malattia)
- povera (rinunziando con amore a molte cose)
- paziente (sopportando il male e le cure - facendo i conti e la Storia ISM)
- pura (d‟anima, d‟intenzione e di corpo).
Penitenza - tutti i disturbi e le rinunzie della mia infermità, sentiti e offerti -
Fare conti - Riprendere Storia ISM.
Carità - Bontà con tutti - circolare Missionarie - Articolo bollettino
universitario - Adunanze università, Opera della Regalità, ISM -
interessamento mie sorelle e altri.
(Scritti per il processo di beatificazione, vol. 2, p. 13).
* * *
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Carissime,
nella impossibilità di trovarmi fra voi durante questo corso di santi Esercizi, vi mando il mio
pensiero ed il mio augurio e soprattutto l‟assicurazione della mia preghiera.
Questo vostro corso, lo so, ha particolare importanza, perché sarà quello che segnerà nella
vostra vita una data, data che ricorderete fino all‟ultimo istante della vostra vita stessa.
La professione infatti è la data delle “Nozze” e le nozze per l‟anima consacrata a Dio
vogliono dire l‟atto più nobile e più sublime della propria vita, il momento solenne della
donazione totale allo Sposo Divino. Le mani dello Sposo si presentano a voi ricche di doni
preziosi, e l‟abbondanza o sovrabbondanza di essi dipenderà dalla regalità divina, si, ma
anche dalla misura della vostra generosità di donazione.
Riflettete bene, sorelle mie, al passo che state per compiere e se qualcuna ha un minimo
dubbio, ritardi; siate pienamente coscienti, coscienti dico, non solo delle gioie e consolazioni
che verranno alla vostra anima, ma anche dei sacrifici e delle rinunzie che liberamente
accettate. Ore dolcissime sono riservate alla vostra anima, ma anche ore di dolore, di
solitudine, di lotta; ore di prova in una parola. In quelle ore anche se lontane di anni, ritornerà
alla vostra mente il momento solenne della Professione, e la misura della vostra cosciente
donazione di oggi si rifletterà e avrà immenso valore in avvenire.
Ma queste serie, sebbene utilissime riflessioni, non debbono minimamente offuscare la letizia
di quest‟ora dolcissima. Godete anzi, esultate, vivete la vostra intima festa nella pienezza
della serenità e sappiate ascoltare la voce dello Sposo Divino che per ognuna di voi avrà
armonie differenti.
Voi avete un posto privilegiato nel Cuore Divino, ebbene sappiate santamente valervene,
chiedendo molte grazie. Chiedete la vostra incondizionata fedeltà e la vostra santificazione,
chiedete grazie pel Sodalizio; pregate per tutte le nostre Opere: Università Cattolica, Azione
Cattolica, Opera della Regalità. Pregate per il Papa, pregate per l‟Italia nostra, pregate per il
mondo intero: nulla dimenticate!
Vi auguro di diventare degne spose del Re divino, e invocando per tutte e per ciascuna
sovrabbondanza di grazia, vi sono unitissima con la preghiera e con affetto fraterno.
In Corde Jesu.
La Sorella Maggiore
(Lettera di A. Barelli alle „spose‟ del corso di Esercizi dell‟agosto 1938 - Scritti per il
processo di beatificazione, vol. 5, p. 18)
* * *
Ti canta nel cuore la gioia più grande. Stai per salire l‟altare. Sali per fare la tua offerta: per
sempre, perché la tua volontà è decisa per l‟eternità a seguire l‟Agnello ovunque Egli vada.
Sosta ancora un momento, rifletti ancora alla grandezza dell‟atto che stai per compiere; tu vai
a deporre all‟altare non un qualche cosa di tuo, ma tutta te stessa. Pensaci, non per ritirarti
impaurita, ma per andare incontro a Lui con piena consapevolezza, con illuminata fiducia, con
ardente amore.
Egli ti ha chiamata: di questo non puoi dubitare e tu oggi rispondi all‟invito. Non temere
dunque: Egli sarà la tua forza, poiché tu ti doni tutta a Lui. Invoca in tuo soccorso la Vergine
Santa, Madre Sua e Madre tua, affinché ti accompagni all‟altare.
Gesù, lo sposo cercato, desiderato, amato, attende il tuo “sì” chiaro e irrevocabile, deciso; e tu
lo pronunci con le labbra tremanti ma più con il cuore.
Scenda su di te la grazia a rinnovarti come in un secondo battesimo; sei Missionaria della
Regalità di Cristo! Egli è il Re, tu la sposa che, per l‟estensione del suo Regno, prega, ama,
lavora, combatte, soffre.
Gusta nell‟intimo l‟altezza e la grandezza, il valore di questa tua missione. Senti la forza del
voto di castità, che ti consacra a Cristo perché tutto di te Gli appartiene: la tua anima, le tue
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facoltà, il tuo corpo stesso, e, soprattutto, il tuo cuore. Da oggi amerai tutte le creature solo in
Lui, e per Lui, con una purezza nuova. Abbraccia con gioia la dura povertà che renderà il tuo
cuore libero e lieto, pronto sempre a seguire Lui, sulle orme di Francesco poverello, piegati
volentieri al giogo dell‟obbedienza, che temprerà il tuo animo per ascendere alle vette, farà
regnare in te la Sua volontà e farà regnare la pace. Senti l‟ansia di darti alle anime
nell‟apostolato, che impegnerà tutte le tue forze per l‟estensione del Suo Regno: senza tregua,
con ogni mezzo, fino all‟ultimo respiro della tua vita, sospinta dal serafico grido “l‟Amore
non è amato”.
In castità, in povertà, in obbedienza sarai apostola nel mondo; nell‟umiltà, nella semplicità,
nella carità porterai ai fratelli Gesù che regna in te, Sovrano incontrastato.
Bacia il tuo Crocifisso, solo sulla croce, unita a Gesù, potrai dare frutti durevoli.
Stretta a Lui, tutta protesa nel desiderio ardente di amarlo e farlo amare, riprendi con coraggio
la tua via. Va‟, Missionaria della Regalità di Cristo ... tutto il mondo ti appartiene.
(Da una lettera inedita senza data di Armida Barelli).
* * *
Testamento spirituale
Pegli, 11 febbraio 1950
Anno Santo
Vivat cor Aeterni Regis
Alle mie sorelle
Missionarie della Regalità di Cristo
Quando leggerete questa mia,
io vi sorriderò dal Cielo. Che dico, dal cielo? dal Purgatorio!
La vostra prima Sorella Maggiore se ne va,
carica della responsabilità formidabile d‟essere stata impari
al compito assegnatole da Dio.
Solo la mia fiducia immensa
nel Cuore del nostro Sposo e Re Divino
non mi fa temere la morte.
Non avrà pietà lo Sposo
della sposa che ha corso tutta la sua vita dietro a Lui
e nella corsa affannosa è mille volte inciampata,
è passata incosciente accanto a meraviglie,
ha mancato delle finezze d‟amore
a Lui tanto gradite?
Sì, l‟Amore infinito e misericordioso
avrà pietà di lei, come l‟ha avuta di voi,
togliendovela
per darvi una più degna Sorella Maggiore.
Ed io, dal Cielo,
forte dei meriti e dell‟amore del S. Cuore,
farò per voi quello che non ho saputo fare quaggiù.
Chiederò al Re d‟amore d‟investirvi una per una col fuoco della Sua carità,
perché possiate essere le sue Missionarie fedeli, amanti, feconde!
perché possiate dimenticarvi
e viver per Lui e amarLo e farLo amare!
perché possiate essere quali il suo Vicario vi vuole:
sale nel mondo insipido,
luce nel mondo tenebroso,
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fermento nella massa rifatta pagana,
aiuto alla Chiesa, circondata da nemici come nei secoli più duri.
Chiederò alla Madre Sua e nostra
che vi purifichi, vi adorni,
formi in ciascuna di voi il Suo Divin Figliolo,
affinché il Padre dei Cieli, vedendovi,
vi riconosca e vi accolga.
Chiederò al Padre nostro S. Francesco,
alla dolce maggior sorella S. Chiara,
per tutta la nostra spirituale famiglia,
l‟Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo
(e anche per i Fratelli e pei Sacerdoti),
nato nella roccaforte del francescanesimo,
il loro e nostro S. Damiano,
la perennità dello spirito francescano autentico.
E a S. Margherita Maria chiederò per ognuna di voi
il suo amore al Sacro Cuore.
Vivete nel mondo, sorelle mie,
senza nulla concedere al mondo!
Lavorate senza posa,
pregate senza posa,
ma soprattutto amate, amate, amate!
Amate Gesù, lo Sposo,
e in Lui solo tutto e tutti!
Amate la Madonna,
amate le anime e lavorate alla loro salvezza
(Oh la bella giaculatoria indulgenziata:
“Gesù, Maria, vi amo, salvate le anime”).
Amate i nostri Santi Patroni,
l‟Angelo custode, le anime purganti.
Amate l‟Istituto nostro:
i Superiori, la Capogruppo,
e siate fedeli al vostro Regolamento,
ricordando che la Chiesa
vi ha posto in stato di perfezione:
siete consacrate al Signore
nei consigli evangelici!
Amate la Chiesa, madre nostra e curatevi dei suoi interessi,
che sono quelli di Gesù.
Vi raccomando le Opere nostre attuali
(Opera della Regalità, Oasi, Marianum, ecc.)
e le future e quelle che serviamo:
Università Cattolica e Azione Cattolica.
Ho nominato mio erede
l‟Associazione laicale femminile S. Cuore,
ed esecutrici testamentarie due nostre sorelle:
una somma annua ha lo scopo di aiutare qualcuna di voi per i Santi Esercizi.
Mettete la mia immagine nel Messale
e pregate per me.
Ringrazio tutte d‟ogni bontà a mio riguardo,
chiedo perdono d‟ogni mia anche involontaria mancanza,
ripeto a tutte il mio affetto,
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chiedo suffragio
e do a tutte l‟arrivederci in Cielo.
La vostra sorella maggiore
Maria Elisabetta del Sacro Cuore
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Appendici
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63
Cronologia di padre Gemelli
Da Edoardo a fra’ Agostino
1878 - 18 gennaio: Edoardo Gemelli nasce a Milano
1896 - Si iscrive alla facoltà di medicina dell‟Università di Pavia. Inizia vita politica nel
partito socialista.
1897 - Assume la direzione de La plebe periodico socialista del pavese.
1902 - Consegue a pieni voti la laurea in medicina.
1903 - Con Ludovico Necchi (detto Vico), Edoardo Gemelli compie il servizio di
volontariato medico presso l‟ospedale militare di Milano, piazza S. Ambrogio.
In questo stesso anno si verifica la conversione di Edoardo Gemelli alla fede cattolica.
Il 16 novembre inizia il suo noviziato francescano. Assume il nome di Agostino, in
ricordo del suo passato che lo accomuna al vescovo di Ippona.
1907 - Fra Agostino Gemelli emette i voti solenni: è francescano
- 14 marzo: Fra Agostino diventa sacerdote; il 18 marzo celebra la sua prima
messa solenne in S. Antonio a Milano.
1909 - 13 gennaio: fonda la Rivista di filosofia neoscolastica.
1910 - 11 febbraio: incontra Armida Barelli.
1914 - Nasce la rivista Vita e Pensiero. Scoppia in Europa la prima guerra mondiale.
1915 - 24 maggio: entrata in guerra dell‟Italia. Gemelli è richiamato alle armi come capitano
medico. Con lui anche Ludovico Necchi e padre Mazzotti, i suoi inseparabili amici.
Comincia a delinearsi più chiaramente l‟idea dell‟Università Cattolica.
1918 - 9 settembre: nasce, come fermo proposito di fondazione, l‟Università Cattolica. Con
Gemelli sono Armida Barelli, Ludovico Necchi e don Francesco Olgiati.
1919 - Nasce l‟Istituto secolare delle Missionarie della Regalità.
1921 - 9 febbraio: il papa Benedetto XV manda a Gemelli un „breve‟ apostolico Cum semper,
che approva l‟erezione dell‟Ateneo cattolico. Nasce la prima sede in Milano, via S.
Agnese, donata da un generoso benefattore.
1925 - Papa Pio XI proclama l‟istituzione della festa della Regalità di Cristo. Si avvia tra il
1927 e il 1929 un‟altra opera del Padre, l‟Opera della Regalità di Cristo per la
diffusione della vita liturgica tra il popolo.
1930 - 10 gennaio: muore l‟amico Vico Necchi.
L‟Università Cattolica cambia sede e si installa in un nuovo edificio costruito
sull‟antico convento e poi ospedale militare in piazza S. Ambrogio a Milano.
1934 - Papa Pio XI dona all‟Università Cattolica una villa a Monte Mario a Roma per la
Facoltà di Medicina.
1936 - Pio XI chiama p.Agostino Gemelli a presiedere la Pontificia accademia delle scienze.
1939 - Scoppia la seconda guerra mondiale.
1940 - L‟Italia è in guerra. Il 26 dicembre dello stesso anno padre Gemelli ha un terribile
incidente d‟auto, dal quale uscirà, dopo indicibili sofferenze, per sempre segnato nel
fisico e anche mutato nello spirito.
Nonostante il periodo difficile, l‟Università continua la sua attività.
1946 - Subisce un altro incidente automobilistico. L‟8 dicembre celebra il venticinquesimo
anniversario dell‟Università.
1952 - Muore Armida Barelli. Anche la salute di Padre Gemelli declina: ma è instancabile,
continua a lavorare. Nonostante abbia superato i 75 anni, rimane rettore.
1958 - 8 dicembre: è l‟ultima inaugurazione dell‟anno accademico presieduta da Padre
Agostino.
1959 - 15 luglio: dopo un lungo alternarsi di crisi e di miglioramenti padre Agostino Gemelli
muore.
![Page 64: ALLE ORIGINI DEL CARISMA - ism-int.org Area Riservata/Documenti Formativi/26. Alle... · Sullaltra sponda, quella cattolica, militava lamico Vico Necchi. Coerente con le sue idee,](https://reader031.vdocuments.mx/reader031/viewer/2022021913/5c6a62b909d3f20f7f8c9296/html5/thumbnails/64.jpg)
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Cronologia di Armida Barelli
1882 - 1 dicembre: Armida Barelli nasce a Milano
10 dicembre: è battezzata.
1895 - Entra nel collegio di Menzingen (Svizzera).
1900 - Finisce lo studentato a Menzingen, rientra a casa.
1904 - Accetta di fidanzarsi per far piacere ai genitori. Ma ben presto rompe il fidanzamento.
Non ha chiara la sua vocazione, ma sente che non sarà il matrimonio.
1906 - Muore Napoleone Barelli, il padre.
1907 - Le tre sorelle sono tutte sposate; Armida è diventata, accanto alla madre, il perno della
casa. I fratelli sono ancora studenti; prende in mano la gestione dell‟azienda paterna.
1909 - Frequenta per la prima volta un corso di cultura religiosa nell‟Arcivescovado di
Milano; conosce Rita Tonoli, una donna milanese fondatrice della Piccola opera per
la salvezza del fanciullo che si occupa dei piccoli abbandonati nei bassifondi di
Milano.
1910 - 11 febbraio: si incontra per la prima volta con padre Agostino Gemelli.
1913 - Armida Barelli, nel Duomo di Milano, fa l‟offerta perpetua di sé a Dio per l‟apostolato
nel mondo; sarà al servizio del Vangelo, del Sacro Cuore di Gesù da laica.
Conosce padre Arcangelo Mazzotti francescano, che la guiderà spiritualmente per tutta
la vita.
1914 - L‟azienda Barelli subisce un rovescio economico. Armida si impegna a sostenere i
fratelli e la madre. Nello stesso anno padre Gemelli, mons. Francesco Olgiati e il dr.
Vico Necchi, ormai amici inseparabili anche di Armida, fondano la rivista Vita e
Pensiero. Scoppia la prima guerra mondiale.
1915 - Partono militari i fratelli di Armida. Anche Gemelli, Necchi e padre Mazzotti sono
sotto le armi.
Armida lavora instancabilmente alla consacrazione dei soldati al Sacro Cuore. Nel
frattempo si chiarisce sempre più in lei l‟adesione alla spiritualità francescana.
1917 - L‟arcivescovo di Milano, card. Andrea Ferrari, le chiede di fondare nella diocesi
lombarda il movimento della Gioventù Femminile di Azione Cattolica.
1918 - Padre Gemelli fonda la società editrice Vita e Pensiero, che pubblica anche l‟omonima
rivista.
Nasce dal gruppo dei tre amici (Gemelli, Necchi, Olgiati più la Barelli naturalmente)
l‟idea dell‟Università Cattolica. Nello stesso anno il papa Benedetto XV affida ad
Armida Barelli il compito di fondare la Gioventù Femminile in tutta Italia.
1919 - Armida Barelli con altre undici „sorelle‟ costituisce il primo nucleo dell‟Istituto
secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo.
1921 - La Barelli partecipa alla nascita dell‟Università Cattolica che, per suo volere
„ostinato‟, si intitola al Sacro Cuore di Gesù.
1929 - Nasce l‟Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo.
1945 - Armida Barelli, come cassiera ma soprattutto come animatrice, partecipa alla rinascita
dell‟Università Cattolica dopo il disastro della seconda guerra mondiale.
1948 - L‟Istituto delle Missionarie della Regalità riceve il riconoscimento definitivo come
istituto secolare.
Gli anni che seguono vedono la Barelli impegnata ancora nell‟Azione Cattolica per
partecipare alla ricostruzione morale dell‟Italia dopo la guerra. La Barelli si impegna
soprattutto a favore delle donne che, proprio da lei, saranno spinte ad impegnarsi
anche in politica, cosa abbastanza lontana dal costume italiano soprattutto di quel
tempo.
1949 - Armida avverte i primi sintomi del male (paralisi bulbare progressiva) che pian piano
le impedirà di parlare.
1952 - 15 agosto, muore a Marzio, un piccolo paese nelle vicinanze di Milano.