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ALCUNI STRUMENTI DI ANALISI STRATEGICA

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Catena del Valore: le strategie di base

Leadershipdi costo

Differenziazione

Focalizzazionesui

costi

Focalizzazionesulla

differenziazione

Diminuzione costi Differenziazione

Obiettivoglobale

Obiettivospecifico

VANTAGGIO COMPETITIVO

AMBITOCOMPETITIVO

La catena del valore è uno strumento di analisi che consente, attraverso la scomposizione del sistema azienda nelle unità elementari che la compongono, di definire una strategia competitiva, individuando delle possibili fonti di vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

Essa si basa su una visione dell’impresa quale sistema di creazione del valore, composto da un insieme di funzioni che producono tale valore. Queste funzioni sono definite attività. Si tratta di una metodologia sistematica di esame di tutte le attività e delle interazioni che tra tali attività esistono, in quanto ciascuna attività contribuisce a determinare il costo complessivo e può rappresentare una fonte possibile di differenziazione.

Esistono due tipi di vantaggio competitivo (Porter): • La leadership di costo • La differenziazione

Che possono applicarsi alla generalità dei segmenti (obiettvo globale) che compongono un certo mercato, oppure focalizzarsi solo su uno o pochi segmenti (obiettivo specifico). Incrociando l’ambito competitivo in cui l’impresa opera con il tipo di vantaggio competitivo perseguito si identificano quattro strategie di base:

• LEADERSHIP DI COSTO • DIFFERENZIAZIONE • FOCALIZZAZIONE SUI COSTI • FOCALIZZAZIONE SULLA DIFFERENZIAZIONE

La catena di valore di un’azienda è a sua volta parte di un flusso più ampio di attività, “il sistema del valore” che comprende tutti gli operatori che intervengono lungo la filiera produttiva (dalla materia prima al consumatore finale). Ogni singolo operatore esprime una catena che si inserisce in un sistema di catene. Fattore di successo strategico è la scelta del miglior posizionamento nel sistema del valore.

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Catena del Valore

MARGINE

MARGINE

ATTIVITA’ INFRASTRUTTURALI

GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

SVILUPPO DELLA TECNOLOGIA

APPROVVIGIONAMENTO

LOGISTICAIN

ENTRATA

ATTIVITA’OPERATIVE

LOGISTICAIN

USCITA

MARKETINGE

VENDITE

SERVIZI

Cos’è il valore? In termini concorrenziali è la somma che gli acquirenti sono disposti a pagare in cambio di un bene prodotto dall’azienda. La sua misura, a livello aziendale, è il fatturato, indicatore che riflette sia il prezzo unitario, sia il numero di clienti. Nel caso in cui i ricavi totali superano i costi totali si genera un profitto, che graficamente è rappresentato dal margine. La catena del valore visualizza il valore totale prodotto da un’azienda e comprende due elementi:

1. Le attività generatrici di valore 2. Il margine

Le attività generatrici di valore sono le attività, fisicamente e tecnologicamente distinte, che un’azienda svolge, il margine è la differenza tra io valore totale e il costo complessivo sostenuto per eseguire le attività generatrici di valore. Le attività generatrici di valore si suddividono in:

• primarie • di supporto

Le attività primarie sono quelle impegnate nella creazione fisica del prodotto (acquisizione fattori produttivi e lavorazione), nella vendita, nel trasferimento al compratore e nell’assistenza post-vendita. Esse sono rappresentate da:

• Logistica in entrata • Logistica in uscita • Marketing e vendite, • Servizi

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Le attività di supporto sono: • Le attività infrastrutturali • La gestione delle risorse umane • Lo sviluppo della tecnologia • L’approvvigionamento

Queste sostengono le attività primarie. Le colonne verticali punteggiate in figura evidenziano il legame della singola attività di supporto con la specifica attività primaria. L’unica tipologia di attività di supporto che non ha una relazione specifica con alcuna attività primaria, sostenendo l’intera catena, è rappresentata dalle attività infrastrutturali. All’interno di ciascuna suddivisione, primaria o di supporto, le attività svolte ricoprono un ruolo diverso nella ricerca del vantaggio competitivo. Questo ruolo può essere: • diretto: vi rientrano tutte le attività che creano direttamente valore per il cliente, ad

esempio la progettazione del prodotto, la lavorazione, le vendita, ecc. • indiretto: vi rientrano le altre attività che permettono lo svolgimento in modo

continuativo delle attività dirette come ad esempio la manutenzione, l’amministrazione delle forze di vendita, la gestione degli impianti, ecc.

• di assicurazione della qualità: vi rientrano le attività che controllano il livello qualitativo del prodotto come, ad esempio, il monitoraggio, l’ispezione, il collaudo, ecc.

Nella ricerca di una possibile fonte di vantaggio competitivo è necessario definire la catena del valore dell’impresa. Si inizia con l’individuazione delle attività generatrici di valore. Successivamente si isolano tutte le attività che hanno logiche economiche e tecnologiche differenti. La suddivisione delle attività può essere portata a livelli di analisi sempre più specifici, a condizione che le diverse attività individuate siano tra loro distinte. Il giusto livello di disaggregazione dipende dalle caratteristiche dell’attività economica esercitata dall’impresa e dallo scopo dell’analisi, allo stesso modo la classificazione delle attività nelle varie categorie va fatta in modo da rappresentare il contributo fornito dalla singola attività alla creazione del vantaggio competitivo. Le attività sono tra loro indipendenti, ma sono collegate e interdipendenti. Tali collegamenti rappresentano le relazioni che si stabiliscono tra il modo in cui viene eseguita un’attività generatrice di valore e il costo o la prestazione di un’altra. Per evidenziare i collegamenti bisogna individuare, posta l’attenzione su di un’attività, tutte le attività che ne influenzano il costo e/o il risultato.

Il vantaggio competitivo può essere creato attraverso l’ottimizzazione o attraverso il coordinamento delle attività collegate. Tra le varie attività spesso esiste una relazione inversa in termini di costo e/o di prestazioni a parità di risultato globale. Ad esempio una progettazione del prodotto più costosa, specifiche più rigorose nei materiali, un controllo più rigoroso della qualità nel corso della lavorazione, possono contribuire a ridurre i costi della assistenza. L’obiettivo di consegna puntuale può richiedere il coordinamento delle attività operative con la logistica in uscita ed i servizi post-vendita. I collegamenti che possono creare un vantaggio competitivo non sono solo quelli all’interno della catena del valore dell’azienda, ma anche quelle con le catene dei fornitori o dei clienti. Questi collegamenti vengono definiti collegamenti verticali.

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Strategie di differenziazione La differenziazione di un’azienda deriva da modo in cui la sua catena del valore interagisce con quella dell’acquirente. Essa è funzione sia delle modalità d’uso del prodotto, sia di tutti gli altri punti di contatto fra le rispettive catene del valore. Ognuno di questi punti di contatto è una potenziale fonte di differenziazione. La differenziazione deriva dalla capacità di creare valore, quindi un vantaggio competitivo per l’acquirente, attraverso un prodotto che egli percepisce come unico e che compensa pagando un “premium price”. Le aziende che creano una strategia di differenziazione devono generare un costante flusso di prodotti e servizi al passo con i risultati della ricerca più avanzata, confrontandosi costantemente con due esigenze:

• essere creative • commercializzare le idee rapidamente

Il valore strategico della differenziazione, così come per la leadership di costo, dipende dalla capacità di conservare nel lungo periodo tale vantaggio competitivo, ossia dalla sua sostenibilità. La sostenibilità sussiste se le fonti del vantaggio competitivo sono difficili da imitare o duplicare da parte dei concorrenti. La strategia della differenziazione comporta per l’azienda la necessità di offrire un bene che presenti degli elementi, materiali o immateriali, che lo rendono unico rispetto all’offerta approntata dalla concorrenza. Il vantaggio della differenziazione porta ad una prestazione superiore se l’azienda riesce a comunicare adeguatamente al cliente il valore del proprio bene realizzando un prezzo maggiore, capace di compensare i maggiori costi sostenuti per approntare tale offerta. Il vantaggio di costo porta ad una prestazione superiore se l’impresa fornisce al cliente un livello accettabile di valore, in modo tale che il suo vantaggio di costo non venga annullato dalla necessità di chiedere un prezzo più basso di quello dei concorrenti. Strategia di leadership di costo Perseguire questa strategia significa tentare di raggiungere una situazione in cui i costi complessivi sostenuti per realizzare tutte le attività generatrici del valore, siano più bassi di quelli sostenuti dai concorrenti. L’obiettivo per le aziende che perseguono questa strategia è essere leader del proprio settore per prezzo e convenienza, ottimizzando i processi di business al di là dei confini funzionali ed organizzativi, riducendo le spese generali, i costi di produzione e tutti gli altri costi. La posizione di costo relativa di un’azienda è determinata dalla composizione della sua catena di valore rispetto a quella dei concorrenti e della sua posizione relativa rispetto ai determinanti di costo di ogni attività. L’acquisizione del vantaggio di costo può avvenire in due modi:

• Riconfigurando la catena del valore, attraverso l’adozione di una maniera diversa e più efficiente di concepire, produrre, distribuire e vendere il prodotto;

• Controllando i determinanti di costo, attraverso l’acquisizione di un vantaggio competitivo, in termini di minor costo, per le attività che rappresentano la parte più significativa dei costi totali.

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Le due azioni non sono alternative e possono essere attuate congiuntamente. Perseguire la strategia di leadership di costo comporta l’esame di tutte le attività al fine di individuare tutte le occasioni di possibile riduzione dei costi. Tale riduzione può erodere la differenziazione, per cui sarebbe opportuno cercare, innanzitutto, di ridurre i costi di quelle attività che non hanno influenza sulla differenziazione. La posizione di costo dell’azienda dipende dal comportamento in termini di costo delle sue attività generatrici di valore, che è influenzato dal comportamento dei determinanti di costo quali, ad esempio,economie di scala, grado di utilizzo della capacità produttiva, funzioni di apprendimento e sue cadute, interrelazioni ed integrazione delle attività, localizzazione geografica. Focalizzata l’attenzione sui determinanti di costo, bisogna cercare di quantificare, tutte le volte che è possibile, la relazione esistente fra lo specifico determinante di costo e il costo della particolare attività generatrice di valore. Il costo di un’attività generatrice di valore può essere influenzata anche da più determinanti di costo le cui interazioni possono assumere due forme: o si rinforzano reciprocamente o si contrappongono annullando il loro effetto. Individuati i determinanti di costo, bisogna definire la catena del valore del miglior concorrente per poter conoscere le fonti delle differenze di costo. Esplicitando le fonti delle differenze di costo è possibile definire una strategia che permetta di ridurre la posizione di costo dell’azienda, assicurandosi che tale riduzione non eroda la differenziazione, oppure scegliendo coscientemente di farlo e controllando che tale strategia sia sostenibile nel tempo. Esercitazione: il caso Tin spa

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Ciclo di vita del prodotto

Margine di profitto

Introduzione Sviluppo Maturità Declino

Svilu

ppo

delle

ven

dite

Tempo

Premessa Il ciclo di vita è uno strumento concettuale di supporto nell’analisi dei settori e dei prodotti. In via del tutto teorica si può dire che ogni prodotto, a partire dal momento in cui viene introdotto sul mercato passa attraverso fasi singolarmente identificabili e caratterizzate da componenti diverse della domanda e delle azioni concorrenziali. Le fasi che caratterizzano la vita di un prodotto sono ricomprese all’interno di un ciclo denominato appunto ciclo di vita del prodotto. Il modello di analisi del ciclo di vita del prodotto può essere applicato a categorie logiche di riferimento diverse. Può essere infatti analizzato con riferimento: • All’insieme dei prodotti rientranti in un sistema industriale (es. mezzi di trasporto,

beni di consumo alimentare) • Ad un prodotto specifico (ed. automobili o pasta di grano duro) • Ad un particolare segmento (auto sportive o familiari) • Ad una singola impresa (es. macchine Fiat o biscotti Saiwa). Il livello di analisi può inoltre differenziarsi in relazione all’ambito geografico di riferimento (locale, nazionale, internazionale, ecc.) L’applicazione del modello a prodotti come le auto generalmente evidenzia cicli di vita più lunghi di quanto non accada con l’applicazione del modello a segmenti particolari, come ad esempio le auto di una certa cilindrata od ai prodotti di una specifica marca o azienda che invece hanno cicli di vita decisamente più brevi. Dal punto di vista dell’applicazione e del riscontro pratico della curva, mentre a livello di prodotto inteso in senso merceologico e di prodotto specifico si rileva una certa regolarità e andamenti tendenzialmente simili a quelli elaborati dal modello teorico, a livello di singole marche l’andamento è molto più irregolare al punto che, secondo

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alcuni, non è possibile applicare la teoria del ciclo di vita del prodotto all’analisi dell’andamento di singole marche, la cui dinamica dipende da una serie di variabili diverse da quelle che determinano il ciclo di vita. Si ritiene tuttavia che anche relativamente all’andamento delle vendite di prodotti appartenenti a delle specifiche marche l’esame della tendenza ciclica, soprattutto se combinata ad analisi relative alla posizione competitiva dell’azienda stessa, non sia del tutto priva di utilità. Elementi descrittivi del modello La curva che rappresenta il ciclo di vita assume, almeno nella sua rappresentazione teorica, una tipica forma ad “S”. Sull’asse delle ascisse si pone la variabile “tempo”. L’unità temporale di riferimento può essere annuale o mensile o, in taluni casi, anche settimanale o giornaliera. La scelta dell’unità temporale di riferimento dipenderà dalla categoria di prodotto presa ad oggetto dell’analisi E’ possibile affermare che si sta verificando un fenomeno generalizzato di accorciamento del ciclo di vita di alcuni prodotti tale da indurre a considerare sempre più spesso come unità temporali di riferimento i mesi o le settimane anziché gli anni. Sull’asse delle ordinate si pone lo sviluppo delle vendite. Poiché non ha senso confrontare dati economici riferiti a periodi di tempo lontani, occorre tradurre i valori monetari in valori correnti o porre in ordinata, ove possibile, le quantità vendute. La curva logistica che rappresenta il ciclo di vita viene suddivisa in diversi segmenti, ciascuno rappresentante una fase ideale. Le fasi di vita del prodotto tradizionalmente studiate sono quattro: introduzione, sviluppo o crescita, maturità, declino. Alcuni ricercatori hanno individuato nelle analisi più particolareggiate ben nove fasi: sviluppo tecnico-produttivo, introduzione, crescita, turbolenza concorrenziale o maturità prolungata, maturità declinante, declino, rivitalizzazione, ritorno al declino, pietrificazione. La teoria del ciclo di vita nella sua più diffusa applicazione viene utilizzata per orientare le azioni di marketing. Si ritiene cioè che ad ogni fase del ciclo di vita corrispondano delle azioni di marketing da intraprendere. L’analisi del ciclo di vita del settore o dei prodotti di una specifica azienda oltre ad essere utile nella scelta delle politiche di marketing si ricollega all’analisi matriciale usata in fase di definizione strategica (vedi slide 19 e successive, con particolare riferimento alla matrice BCG sulla quota di mercato occupata). L’attrattività di un mercato e la capacità competitiva dell’azienda nel mercato, fattori critici nelle tecniche di analisi strategica fondate sull’uso delle matrici, presentano infatti un legame assai stretto con le fasi del ciclo del settore o dei prodotti aziendali. La fase di introduzione inizia quando il prodotto viene immesso sul mercato e si caratterizza per scarse vendite, pochi clienti, margini di profitto negativi. In questa fase i produttori godono di una posizione privilegiata in quanto si trovano (se il prodotto nuovo per l’azienda è nuovo anche per il consumatore) in una situazione di monopolio temporaneo. L’attività promozionale è intensa e l’elasticità delle vendite rispetto al fattore qualità è elevata. In questa fase il principale ostacolo alla rapida introduzione è rappresentato dalla distribuzione. I dettaglianti infatti possono essere riluttanti all’acquisto di nuovi prodotti.

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La fase di sviluppo si caratterizza per una rapida crescita delle vendite e dei margini di profitto e, anche se la qualità è ancora un fattore critico di successo, è elevata l’elasticità della domanda alla pubblicità. La fase di maturità si caratterizza per un picco nelle vendite e per gli elevati profitti. Poiché tutti i “pionieri” nell’uso del prodotto e tutti i consumatori meno sensibili al prezzo lo hanno già eventualmente adottato, in questa fase diventa critica la variabile prezzo al fine della conquista di una maggiore quota di mercato. La fase di declino, infine, si caratterizza per una riduzione delle vendite e dei profitti. Nel peggiore dei casi l’azienda può essere costretta a “lasciar morire” il prodotto o eventualmente potrà promuoverne nuovi impieghi e, in tal caso, ridiventano critiche le azioni promozionali e pubblicitarie. (Vedi slide successiva) Non tutti i prodotti attraversano i quattro stadi del ciclo di vita e inoltre la durata di ogni stadio varia a seconda del tipo di prodotto. Alcuni prodotti impiegano anni per superare la fase di introduzione, altri “muoiono” poco dopo l’introduzione, altri ancora godono di una fase di maturità più lunga di ogni ragionevole aspettativa. Non sempre è agevole determinare qual è la fase del ciclo di vita che un determinato prodotto sta attraversando. Una possibile metodologia (metodo Wind) per individuare la fase del ciclo di vita che un certo prodotto sta attraversando suggerisce di porre i valori della percentuale di cambiamento delle vendite registrate da un anno all’altro sulla curva di distribuzione normale con media zero. I prodotti con una percentuale di variazione delle vendite da un periodo ad un altro superiore a + 0,5 vanno considerati in fase di sviluppo, i prodotti le cui percentuali di variazione delle vendite siano comprese fra + 0,5 e - 0,5 vanno considerati in fase di maturità e, infine, i prodotti con una percentuale di variazione delle vendite superiori a – 0,5 vanno considerati in fase di declino (Valdani, 1986).

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Leve di marketing nelle fasi del ciclo di vita del prodotto

Ridurre ad un livello minimo

Aumentare per incoraggiare la conversione di marca

Ridurre per approfittare dell’elevata domanda

Usare un’intensa promozione vendite per spingere alla prova del prodotto

Promozionevendite

Ridurre al livello di mantenimento dei clienti ultra fedeli

Sottolineare le differenze ed i vantaggi della marca

Realizzare consapevolezza e interesse nel mercato di massa

Realizzare la conoscenza del prodotto

Pubblicità

Essere selettiviRealizzare una distribuzione piùintensiva

Realizzare una distribuzione intensiva

Realizzare una distribuzione selettiva

Distribuzione

Tagliare i prezziPrezzo per pareggiare o battere la concorrenza

Prezzo per entrare sul mercato

Prezzo determinato sulla base del “cost-plus”

Prezzo

Eliminare i prodotti deboli

Diversificare marche e modelli

Offrire estensioni del prodotto, servizi, garanzia

Offrire un prodotto base

Prodotto

DeclinoMaturitàSviluppoIntroduzione

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Il caso “La Repubblica”

1976 1981 1988 1993

500.000

1.000.000

1.500.000

2.000.000

2.500.000800.000

600.000

700.000

500.000

400.000

200.000

300.000

100.000Introduzione Sviluppo Maturità

Maturità

Caso di studio L’analisi del ciclo di vita delle vendite del quotidiano La Repubblica L’industria dei quotidiani rischia di entrare in crisi a causa della congiuntura negativa che è forse la peggiore del dopoguerra e tocca tutti i principali Paesi industrializzati (Stati Uniti, Giappone ed Europa Occidentale). I quotidiani infatti vanno perdendo importanza nella vita collettiva. Negli anni 60 oltre il 75% degli americani leggeva un quotidiano, oggi meno del 60% degli americani legge un quotidiano. In Gran Bretagna nell’ultimo triennio la diffusione dei quotidiani popolari è diminuita del 7%. Il fenomeno interessa anche l’Italia. Oltre alla televisione, la diffusione dei quotidiani in futuro sembra poter essere contrastata dalle reti telematiche che sono pronte a portare nelle case informazioni in tempo reale. Probabilmente il ruolo dei quotidiani è destinato a cambiare nel tempo: da strumento informativo di carattere generale si può ipotizzare un progressivo riposizionamento verso un ruolo informativo più specializzato con una forte caratterizzazione locale. Il modello di analisi del ciclo di vita di La Repubblica, quotidiano a diffusione nazionale, confrontato con l’evoluzione delle vendite registrate nello stesso periodo nell’intero settore, si propone come elemento di riflessione sulla posizione competitiva di La Repubblica e su eventuali azioni da intraprendere (vedi tab. 2) La valenza del modello del ciclo di vita a cui si intende fare riferimento è di tipo conoscitivo e va messa in relazione con l’analisi di fattori concorrenziali esterni e delle leve interne di gestione fra cui quelle di marketing hanno senz’altro un posto di primo piano. Non si ritiene però applicabile a questo caso, come probabilmente a tutte le analisi empiriche, la valenza normativa del modello. Da un punto di vista pratico non è possibile ipotizzare una relazione univoca fra individuazione del ciclo di vita ed azioni di marketing da intraprendere.

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C’è infatti da condividere l’opinione di chi afferma che poiché i prodotti, a differenza degli organismi umani o vegetali, non possono avere un ciclo evolutivo naturale, il ciclo di vita dei prodotti è da considerarsi il risultato e non la causa delle azioni di marketing (E. Valdani, 1986) E’ in quest’ottica che si presenta l’analisi del ciclo di vita di La Repubblica comparata a quella dell’intero settore dei quotidiani di informazione generale. L’analisi grafica del ciclo di vita di La Repubblica evidenzia il trend di progressivo sviluppo e mostra il passaggio nelle diverse fasi di introduzione, sviluppo e maturità; il trend di settore dello stesso periodo evidenzia invece una situazione di sostanziale stabilità corrispondente ad una probabile fase di maturità. Il primo numero di La Repubblica, società di cui sono azionisti al 50% l’Editoriale L’Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, è andato in edicola nel mese di gennaio 1976. All’inizio vi lavoravano 70 persone in tutto e fu difficile conquistare il mercato. A partire dal 1981 si può considerare superata la fase dell’introduzione: la variazione percentuale delle vendite assume un andamento di progressivo e rapido sviluppo e i dati di bilancio confermano anche da un punto di vista economico l’andamento favorevole. Per la prima volta, infatti, nel 1981 il bilancio chiude con un utile significativo. Dal 1981 al 1987 La Repubblica attraversa una fase di rapido sviluppo, le vendite triplicano passando da circa 222.000 copie nel 1981 ad oltre 668.000 copie nel 1987. L’incremento delle vendite dell’intero settore invece è pari a circa il 20%. Lo stesso incremento risulterebbe ancora minore se dai dati del settore si escludessero quelli relativi a La Repubblica. Nel mese di dicembre 1987 La Repubblica lancia la promozione “Portfolio”: nasce nel quotidiano La Repubblica Trova Roma e TuttoMilano il giovedì, il settimanale illustrato Il Venerdì di Repubblica e quello economico Affari e Finanza il lunedì. Tutto ciò contribuisce alla diffusione del giornale e al mantenimento di una vantaggiosa posizione competitiva. Il motivo di un più soddisfacente andamento delle vendite di La Repubblica, rispetto allo sviluppo del mercato nel suo complesso, va ricercato nel fatto che probabilmente quando La Repubblica è entrata nel settore dei quotidiani nazionali quest’ultimo stava attraversando un periodo di stabilità/maturità, mentre La Repubblica è è riuscita ad affermare e sostenere la propria posizione competitiva. Al momento della sua uscita la Repubblica si inserisce in un mercato “maturo” che ha voglia di novità e ne coglie il desiderio di innovazione: si presenta in un formato diverso da quello degli altri quotidiani, con inserti speciali e incomincia ad accogliere cronache diverse nelle principali città. Solo a partire dal 1988 il trend di rapido sviluppo di La Repubblica subisce un rallentamento da attribuirsi probabilmente ad un fisiologico “assestamento” delle vendite. Negli ultimi anni incomincia cioè ad essere interessata da un fenomeno di stabilizzazione/maturità.

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Limiti del modello del “ciclo di vita”

Spesso è difficile comprendere qual è la fase del ciclo di vita che si sta attraversando

Vengono trascurati aspetti quali l’analisi del tasso di crescita di tutto il mercato, l’intensitàdella competizione, le manovre sul prezzo e l’entrata e l’uscita dei concorrenti dal mercato

Non si deve ritenere che le politiche di marketing siano la diretta conseguenza della fasedel ciclo di vita del prodotto. E’ probabilmente vero il contrario

La teoria del ciclo di vita indica l’esistenza di una relazione ottimale fra le singole fasi del ciclo di vita e azioni di marketing da intraprendere. Spesso è assai difficile comprendere qual è la fase del ciclo di vita che si sta attraversando. Si rischia di formulare ipotesi errate al punto che, ad esempio, nel seguire le indicazioni fornite dalla teoria del ciclo di vita, vengano eliminati prodotti che, benchè giunti in fase di maturità, sono destinati a rimanere ancora a lungo sul mercato e a produrre flussi finanziari positivi. Inoltre la valenza, anche previsionale, generalmente attribuita a questa teoria rischia di far perdere di vista la possibilità, in realtà assai frequente, che la vita di un prodotto segua percorsi diversi da quelli “tipici”. Può così accadere che il management, lasciandosi guidare dall’analisi del modello teorico del ciclo di vita, ritenga maturo un prodotto per il quale vi sono ancora prospettive di sviluppo o viceversa ritenga ancora in fase di sviluppo un prodotto ormai maturo. Inoltre l’analisi si basa sul trend delle vendite di un certo prodotto e trascura aspetti quali l’analisi del tasso di crescita di tutto il mercato, l’intensità della competizione, le manovre sul prezzo e l’entrata od uscita dei concorrenti dal mercato. Le scelte aziendali devono invece tener sempre conto di un’ampia gamma di fattori. Né si può ritenere che le politiche di marketing siano la diretta conseguenza della fase del ciclo di vita del prodotto. Anzi è più probabilmente vero il contrario, cioè che siano le azioni di marketing ad influenzare il passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita. Il modello del ciclo di vita va probabilmente “letto” all’interno del nesso di relazioni causa-effetto che caratterizzano il complesso universo aziendale ma, anche se non può essere utilizzato a fini normativi, non va ritenuto privo di utilità.

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LA PROGRAMMAZIONEDELLA GESTIONE

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La funzione di programmazione assume un ruolo centrale nel processo di direzione aziendale perché si propone di regolare, sulla base dell’organizzazione creata, il corso futuro della gestione. Programmare significa predeterminare gli obiettivi, le politiche e le attività da compiere entro un determinato periodo di tempo. Nell’azienda significa assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura. “Previsione” e “programmazione” hanno due significati diversi. La previsione è un tentativo di anticipare i futuri movimenti di certe variabili economiche, sociali, ecc., ottenendo informazioni essenziali per orientare i comportamenti e le scelte aziendali. Non vi è alcuna predeterminazione di decisioni e di azioni future, ma solo la valutazione anticipata di fenomeni e fatti interessanti la vita d’impresa.Riveste un ruolo fondamentale nei confronti della programmazione. La gestione di tipo programmato ha costituito l’evoluzione di maggiore rilievo avutasi nella conduzione aziendale nel corso degli ultimi decenni. La gestione di tipo tradizionale era attuata secondo le esigenze del momento, in rapporto agli occasionali cambiamenti dell’ambiente esterno e quasi sempre secondo le vedute dei soli organi posti ai livelli elevati di comando. La gestione programmata si fonda sullo studio preventivo ed accurato dei fenomeni di mercato e di quelli politico-sociali, con il contributo di tutti gli organi direttivi. Nella sua accezione generale, la programmazione non rappresenta nulla di nuovo nell’azienda. Ma, nel passato, si trattava di intuizioni, di schemi generali di azione che non si traducevano in documenti scritti, analitici ed articolati sulle varie attività aziendale. Gli aspetti nuovi della programmazione si sono avuti nella “forma” e nel “metodo”.

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Il processo di programmazione è finalizzato alla redazione di un piano o meglio di un “sistema” di piani in cui sono specificati gli obiettivi da perseguire, i “mezzi” da impiegare e le operazioni da compiere entro un certo periodo di tempo. I piani vengono resi noti ed accettati da tutti i responsabili delle attività aziendali e rappresentano lo strumento fondamentale per la guida, il coordinamento e il controllo della gestione nel suo complesso e nei suoi principali segmenti operativi. Grande ausilio nel sostegno di questo processo è venuto dall’affinamento dei metodi previsionali e del complesso di tecniche matematico-statistiche utilizzate per l’ottimizzazione dei problemi di scelta in sistemi notevolmente interrelati.

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La programmazione aziendale

Programmare significa fissare in via anticipata gli obiettivi dell’azione aziendale,definire le linee direttive per il loro conseguimento e sviluppare piani o programmiscritti circa le sequenze degli atti e dei tempi di esecuzione delle operazioni di gestione.

I piani generali rappresentano un sistema che abbraccia integralmente le varie attività di gestione rapportato a intervalli di tempo che si estendono al di là dell’esercizio annuale. Si può tuttavia parlare di piani settoriali che regolano la realizzazione di particolari attività (piano di vendita, piano di produzione, piano finanziario, ecc.). La programmazione può riguardare la gestione ricorrente (programmazione di esercizio) o promuovere l’innovazione (programmazione di lungo termine).

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Il sistema di piani nell’impresa

PIANOSTRATEGICO

PIANO DIINVESTIMENTI

PIANOORGANIZZATIVO

PIANO DISVILUPPO

PIANO OPERATIVO

PIANO DIESERCIZIO

PIANO DIPRODUZIONE

PIANO DIR & S

PIANOFINANZIARIO

PIANO DIVENDITA

LUNGO TERMINE5 anni

MEDIO TERMINE3 anni

BREVE TERMINE12 mesi

PIANO STRATEGICO Ha la finalità di predeterminare le linee di sviluppo della gestione sia in senso quantitativo (dimensioni) che in senso qualitativo (campi di attività). E’ a lungo termine e di carattere innovativo, si riferisce alla strategia globale ed è costruito come piano-progetto. Nel definire gli obiettivi, deve rimuovere gli ostacoli che ad essi si oppongono. Le azioni di sviluppo vanno pertanto delineate in funzione delle opportunità di rimozione dei vincoli interni (potenzialità produttiva, organizzativa e finanziaria) e di quelli esterni (domanda-offerta di mercato, regolamentazione pubblica). Il riferimento temporale può variare, anche notevolmente, a seconda dei settori (5-10 anni). Dipende dalla possibilità di condurre previsioni attendibili sul futuro evolversi dell’ambiente e del mercato a cui l’impresa è collegata. Il settore siderurgico ad esempio è caratterizzato da una domanda più regolare (ma anche qui il grado di incertezza è aumentato), mentre quello dell’abbigliamento è condizionato dal fenomeno moda che restringe in misura notevole l’orizzonte della pianificazione. Oggi è più frequente la programmazione triennale. Oltre ai fatti economici e di mercato, oggi incidono fortemente i mutamenti che si verificano sotto l’aspetto socio-politico. Sempre di più, in un mercato turbato da profondi mutamenti di carattere finanziario ed economico, la programmazione a lungo termine tende ad assumere il significato di “programmazione degli imprevisti”. Le aziende si preparano ad affrontare contingenze inattese mediante schemi alternativi di pianificazione, concependo le strategie quali comportamenti intersostitutivi da adattare alle realtà che, di grado in grado, verranno a prendere corpo.

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Il mancato concepimento di strategie alternative di espansione del sistema aziendale può far precipitare le imprese in situazioni di crisi dalle quali occorre molto più tempo, mezzi ed abilità per uscire. E’ pertanto intuibile che, proprio nel momento in cui la programmazione strategica presenta maggiori ostacoli, s’avverte in modo evidente la sua importanza. Il piano strategico rappresenta l’elemento di riferimento di tutto il sistema. Idealmente scomposto in piano di sviluppo (es. concentrazione o diversificazione), piano di investimenti e piano organizzativo, tutti condizionati dalla strategia prescelta). Il piano strategico sarà articolato in piani di medio termine, che costituiranno la base per la programmazione di esercizio. PIANO OPERATIVO E’ un piano di medio-breve periodo centrato prevalentemente sulle funzioni aziendali e costruito come piano-programma. Questo piano viene scomposto in segmenti annuali, il primo dei quali presenterà il grado massimo di analiticità, in quanto deve guidare lo svolgimento delle operazioni correnti d’esercizio. Il grado di dettaglio sarà minore all’allontanarsi del tempo. Il piano di medio termine viene fatto scorrere nel tempo, in modo da coprire sempre un uguale periodo di gestione. La tecnica dello scorrimento consiste nell’aggiungere anno per anno un nuovo segmento annuale, dopo aver eventualmente rettificato i segmenti precedenti in rapporti ai risultati di esercizio consuntivi. Non sempre un piano a lungo termine è strategico e non sempre un piano di breve-medio termine è esclusivamente operativo. La pianificazione strategica implica il cambiamento negli obiettivi e nelle politiche aziendali e richiede la variazione del sistema di risorse, che tende a impegnare per tempi lunghi e spesso in modo irreversibile. PROGRAMMAZIONE DI BREVE TERMINE Ha lo scopo di adattare l’attività corrente ai vincoli interni ed esterni alla gestione aziendale e consiste nel preordinare le operazioni di gestione secondo gli obiettivi fissati per l’esercizio annuale. Si traduce soprattutto nell’amministrare (gestire) le capacità potenziali dell’impresa (capacità di produzione, finanziaria, commerciale, organizzativa, ecc.) in rapporto a determinati obiettivi da raggiungere. La programmazione a breve viene perciò definita di adattamento perché la modificazione di certi vincoli (impianti, organizzazione, ecc.) comporta tempi non brevi e implica che il patrimonio di risorse dell’impresa appaia come vincolo di partenza per la realizzazione delle operazioni di gestione. Ovviamente il piano è caratterizzato anche da nuove iniziative (innovazioni). Esistono casi di assenza di strategia per cui l’unica programmazione attuata è quella di breve termine, con la conseguenza che lo sviluppo sarà il risultato di un processo di aggregazione e di combinazione di scelte orientate sulla distanza temporale dell’esercizio. Questo comportamento si traduce, ovviamente, in uno stato di debolezza e di maggior rischio. La logica del breve periodo (adattamento) contrasta nettamente con quella del lungo periodo (innovazione).

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Il processo di costruzione dei piani

OBIETTIVI DARAGGIUNGERE

POLTICHE DAADOTTARE

VALUTAZIONE DEIVINCOLI E DELLE

RISORSE DA IMPEGNARE

ATTIVITA’ DASVOLGERE

OBIETTIVI DARAGGIUNGERE

STIMA DELLE OPPORTUNITA’DI MERCATO(vincoli esterni)

DETERMINAZIONE DELLEPOTENZIALITA’ AZIENDALI

(vincoli interni)

VALUTAZIONE DELLEPOLITICHE DA ADOTTARE

FISSAZIONE DEGLI OBIETTIVI

FASI DEL PROCESSO DI PROGRAMMAZIONE A LUNGO TERMINE

FASI DEL PROCESSO DI PROGRAMMAZIONE A BREVE TERMINE

Programmare a breve o a lungo termine significa sempre prestabilire dei traguardi da raggiungere e delle vie da percorrere per ottenerli. Ma è tuttavia utile distinguere l’un caso dall’altro. Piano strategico: lungo termine E’ fondamentale la valutazione delle risorse disponibili, cioè l’analisi delle compatibilità tra i traguardi da raggiungere e il sistema dei vincoli (risorse interne ed opportunità esterne). Il piano strategico stabilisce le linee fondamentali di evoluzione del sistema aziendale, le risorse da utilizzare, i tempi e le modalità del loro impiego. Questo richiede l’elaborazione di programmi di investimento, cioè la definizione dell’entità dei mezzi da impegnare, la quantità di essi che risulta disponibile per nuove iniziative e la loro ripartizione fra i progetti da realizzare. La procedura che mira a tradurre in termini quantitativi la strategia prescelta prende il nome di capital budgeting. Il piano strategico rappresenta, comunque, un quadro generale di riferimento formulato in termini di politiche, più che di specifiche operazioni da compiere, ed è materia di competenza dell’alta direzione aziendale. Piano operativo: breve periodo Indica le sequenze di decisioni e di operazioni da porre in essere per raggiungere gli obiettivi di breve periodo. Risulta costituito da quattro elementi interconnessi: • obiettivi (traguardi): sviluppo del fatturato, del reddito, dell’organizzazione, delle

quote di mercato, riduzione del coefficiente di rischio, attraverso opportune politiche gestionali (politiche di marketing, finanziarie, ecc.)

• politiche (linee generali di azione): rappresentano l’elemento di traduzione di un sistema di vincoli in un sistema di obiettivi e sono la struttura portante del processo

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di gestione. In altre parole sono delle vere e proprie guide per l’assunzione di future decisioni;

• attività (flussi di operazioni da attuare); • risorse (opportunità-vincoli da rispettare): la valutazione e l’impegno delle risorse

confluiscono nel budget (economico, finanziario, di cassa, che traduce le operazioni stabilite nel piano in termini di costi e ricavi, predeterminando il risultato delle futura gestione. Il budget assume un ruolo di rilievo non solo come strumento di programmazione economico-finanziaria, ma anche come mezzo di controllo della gestione.

La costruzione dei piani coinvolge tutti i settori dell’impresa e richiede la partecipazione di una molteplicità di organi aziendali. Occorre pertanto formalizzare una procedura, che ripartisca chiaramente le responsabilità in ordine al suo compimento. Il tipo di procedura sarà diverso, per quanto concerne l’articolazione degli interventi dei vari responsabili dell’organizzazione, nella definizione del piano strategico o di quello operativo oppure se si tratta di impresa organizzata per divisioni di prodotto, per funzioni o per matrice.Il processo di programmazione tende a seguire le linee di struttura del sistema aziendale. Nel modello multidivisionale il ruolo centrale sarà assunto dai responsabili delle singole divisioni e gli obiettivi globali scaturiranno da una sommatoria di quelli divisionali, più che da una valutazione globale delle opportunità di sviluppo dell’attività aziendale. Nel caso di un modello funzionale, un ruolo chiave sarà esercitato dai responsabili delle funzioni organiche e gli obiettivi deriveranno da un’analisi di compatibilità tra i traguardi raggiungibili dall’impresa e il volume di attività realizzabile all’interno di ciascuna funzione. Difficile quindi definire dei modelli validi in linea generale. Gli assunti (le “premesse”) circa il futuro svolgimento dell’attività aziendale sono di tre tipi: 1. Non controllabili: l’azienda non li può influenzare in alcun modo (sviluppo della

popolazione, inflazione, politica creditizia, imposizione fiscale, ecc.); 2. Semicontrollabili: l’azienda non può tenerli sotto controllo, ma può influire su di essi

in misura più o meno rilevante (turnover degli operai, produttività del lavoro, politica di prezzo, ecc.;

3. Controllabili: dipendono soltanto dal comportamento dell’azienda (espansione in nuovi mercati, adozione di un programma di R&S, ampliamento della gamma di vendita, ecc.).

Su queste premesse l’azienda deve formulare delle previsioni e, successivamente, controllare se esse si stanno in realtà verificando. Tenuto conto delle componenti tecnologiche e sociali (variabili e imprevedibili) che caratterizzano e condizionano le previsioni, i piani non possono assumere un carattere del tutto vincolante per lo sviluppo della gestione, ma devono poter essere opportunamente modificati in funzione del variare degli assunti in base ai quali furono costruiti. La programmazione è rivolta a creare una struttura operativa flessibile, per cui non deve produrre l’effetto di cristallizzare lo sviluppo dell’attività aziendale secondo schemi che, per l’evoluzione delle condizioni interne ed esterne, potrebbero risultare, in parte o del tutto, superati.

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I piani devono quindi essere di tempo in tempo rivisti e, in presenza di particolari ed ampie variazioni delle condizioni ambientali e di mercato, prontamente corretti. La programmazione, insomma, non termina all’atto della formulazione dei piani, ma prosegue anche durante la gestione mediante il controllo concomitante che ad essa deve accompagnarsi. Essenziale per un efficace metodo di programmazione è infine l’adeguatezza del sistema informativo, sul piano della completezza e su quello dell’attendibilità delle conoscenze fornite. La pianificazione è un supporto fondamentale per decidere, anche se l’esito finale delle azioni aziendali sarà legato alla bontà delle decisioni assunte.

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Ciclo di programmazione delle vendite

INDIVIDUAZIONE DELLEPOLITICHE DI MARKETING

VERIFICA DI COMPATIBILITA’CON LE

RISORSE AZIENDALI

DEFINIZIONE EAPPROVAZIONE DEGLI

OBIETTIVI

SVILUPPO DELPIANO DI VENDITAAPPROVAZIONE DEL PIANO

STUDIO DEL MERCATO E ANALISI DEI

RISULTATI PASSATI

IPOTESIDI

OBIETTIVI

Il piano di vendita si inquadra nel piano operativo e rappresenta un segmento importante della gestione aziendale. Esso mira a delineare gli obiettivi di mercato da raggiungere, le politiche da adottare, le risorse da impegnare nella funzione di vendita. Le fasi principali della programmazione sono: a) La fissazione degli obiettivi di vendita; b) La definizione delle politiche commerciali; c) La verifica di compatibilità con le risorse aziendali; d) Il coordinamento di obiettivi e politiche nell’ambito del piano operativo generale; e) Lo sviluppo del budget di vendita; f) L’articolazione del piano per i vari segmenti della gestione commerciale. Queste fasi non si susseguono secondo l’ordine descritto, perché le verifiche di congruenza da effettuare tra obiettivi, politiche e risorse richiedono l’attuazione di un processo di approssimazioni successive mediante il quale dalle ipotesi si passi alle scelte e dalle scelte scaturisca il piano di azione da realizzare nell’ambito della direzione commerciale.

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Piano di vendita a breve termine

PIANO E BUDGET DEFINITIVIGESTIONE DEL PIANO(REPARTO VENDITE)

ATTUAZIONE DEL PIANO(FILIALI E AGENZIE)

RETTIFICA DEL PIANO(DIREZIONE GENERALE)

APPROVAZIONE DEL PIANO E DEL BUDGET

INDICAZIONI PER LO SVILUPPO DEL PIANO COMMERCIALE

SVILUPPO E ARTICOLAZIONE DEL PIANO COMMERCIALE(REPARTO PROGRAMMAZIONE)

QUOTE LOCALI DI VENDITA(FILIALI E AGENZIE)

COORDINAMENTO DEGLI OBIETTIVI E DELLE POLITICHE DI SETTORE (COMITATO DI PROGRAMMAZIONE)

DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI E DEL BUDGET PROVVISORIO

VALUTAZIONE DELLA DOMANDA(REPARTO STUDI DI MERCATO)

VALUTAZIONE RISORSE PRODUTTIVE E FINANZIARIE(ALTRE DIREZIONI DI SETTORE)

IPOTESI DI OBIETTIVI E POLITICHE DI VENDITA

PREVISIONI VENDITE(REPARTO VENDITE)

PREVISIONI TERRITORIALI DI VENDITA(FILIALI E AGENZIE)

ORGANI ESTERNI DELLA DIREZIONE COMMERCIALEDIRETTORE COMMERCIALE

ORGANI CENTRALI DELLA DIREZIONE COMMERCIALE

ORGANI PERIFERICI DELLA DIREZIONE COMMERCIALE

1 2 3

42

5

67

8

9

10

1112

Dal grafico si può notare il percorso del processo di costruzione di un piano di vendita e la sua evoluzione dalle previsioni di vendita alle ipotesi di obiettivi, da queste alla valutazione delle politiche e, solo dopo aver verificato la congruenza tra politiche e risorse, si perviene alla determinazione definitiva degli obiettivi, evidentemente coordinati con gli obiettivi delle altre aree funzionali. Oltre alla necessità di coordinamento interfunzionale, emerge anche la necessità di scomposizione degli obiettivi in quote locali di vendita. Dall’analisi delle varie fasi di programmazione si percepiscono chiaramente sia la partecipazione di più livelli gerarchici e di posizioni organizzative responsabili di funzioni differenti, sia lo sviluppo, tra i vari organi coinvolti, di un processo di contrattazione in merito alla fissazione degli obiettivi e all’attribuzione delle risorse. Ad esempio nella determinazione delle quote di vendita (target) da assegnare alle varie organizzazioni periferiche la contrattazione è necessaria per l’esistenza di un conflitto di interessi fra centro e periferia: il primo tende infatti a fissare delle quote non troppo modeste per stimolare la produttività dei responsabili di vendita, la seconda invece ha interesse a mantenerle basse, in modo da poter poi dimostrare una maggiore efficienza operativa. Questa tendenza da parte delle forze di vendita ad abbassare le previsioni commerciali può creare serie difficoltà per gli equilibri della gestione. Se le stime di mercato si rivelassero di gran lunga inferiori ai risultati successivamente raggiunti dall’organizzazione commerciale, si potrebbe determinare l’impossibilità di rifornire la clientela con conseguente perdita di posizioni di mercato. Infatti ci troveremmo di fronte a livelli di approvvigionamento e di produzione insufficienti, impedendo la necessità di recuperi nel corso della gestione. Anche forzature nel senso opposto sarebbero pericolose in termini di programmazione aziendale. Nello schema il problema è risolto mediante un duplice intervento degli organi periferici: il primo in fase di previsione e il secondo in fase di articolazione del piano. Nel nostro

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caso il coordinamento dei piani è attribuito ad un apposito Comitato di programmazione e lo sviluppo e l’articolazione del piano globale sono affidati ad un Reparto Programmazione in collaborazione con i reparti esecutivi di vendita. E’ utile ricordare come il processo di contrattazione investa sempre il duplice aspetto degli obiettivi da raggiungere e delle risorse di cui disporre. Ogni responsabile aziendale vorrebbe conseguire un equilibrio di tutta tranquillità tra la dotazione di risorse di cui si troverà a disporre (uomini, attrezzature, fondi,…) e gli obiettivi che gli verranno assegnati. Poiché si tratta di ripartire risorse non sovrabbondanti rispetto ai traguardi globali dell’impresa, s’innesca un processo interno di contrattazione che vede impegnati su linee contrapposte gli organi della direzione centrale e settoriale (produzione, vendite, …) e quelli operanti al centro e in periferia (direttori di stabilimento, di filiali di vendita, ecc.). Da qui il ruolo essenziale di coordinamento affidato alla programmazione: sviluppare la motivazione verso i risultati (obiettivi), minimizzando l’area dei conflitti aziendali.

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Tecniche di previsione delle vendite

Coefficienti di incertezzaa) Fattori di controllabilità e di conoscibilitàb) Orizzonte temporale

Le fasi della previsione1. Previsioni di mercato2. Previsioni di vendita3. Obiettivi di vendita

Le tecniche previsionali1. Metodi temporali2. Metodi causali3. Metodi qualitativi

FATTORI DI INCERTEZZA DELLE PREVISIONI IN GENERALE Le previsioni presentano sempre un coefficiente d’incertezza o di probabilità, dovuto all’impossibilità di tenere sotto controllo le variabili considerate. La maggior parte delle premesse su cui si fonda la gestione rientra, infatti, tra quelle incontrollabili e semi-controllabili, per le quali le opportunità di influenza sono del tutto inesistenti o limitate. Oltre all’aspetto della controllabilità dei fatti da prevedere, si evidenzia anche quello della conoscibilità delle cause che determinano i fenomeni influenzanti la gestione. Soprattutto per variabili non controllabili, l’analisi delle cause e la rilevazione degli andamenti passati possono fornire delle indicazioni circa le tendenze future. • E’ chiaro che la stima delle vendite di un prodotto da più anni su un mercato si

può fondare • sull’analisi storica dei risultati avutisi in passato, oppure • sull’analogia rispetto alla domanda di prodotti correlati.

• Nell’ipotesi di un prodotto nuovo non esistono precedenti e la previsione dovrà appoggiarsi su altri metodi:

• Se il prodotto è considerato analogo ad un prodotto lanciato in precedenza, si prende come riferimento attendibile il suo andamento di vendita per valutare i risultati di mercato dell’innovazione da lanciare (macchine fotografiche digitali rispetto a quelle analogiche);

• Se non vi sono precedenti, la previsione si fonderà sulle tecniche di analisi del comportamento del consumatore (ricerche di mercato) o su giudizi prevalentemente intuitivi dell’imprenditore e dei responsabili di vendita.

Il grado di attendibilità delle previsioni si riduce drasticamente all’ampliarsi dell’orizzonte temporale considerato. In rapporto ai fenomeni di mercato, difficilmente controllabili dall’impresa, esse serbano un elevato grado di accuratezza solo nel tempo

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breve (uno-due anni), mentre rappresentano delle ipotesi di lavoro, da rivedere costantemente, se proiettate nel medio-lungo termine. Anziché una previsione precisa, del tutto improbabile, spesso si richiede di conoscere quali sono le condizioni di minimo occorrenti perché una determinata scelta aziendale non si traduca in una perdita. E’ il caso classico del lancio di un nuovo prodotto, per cui – oltre a formulare delle previsioni di sviluppo delle vendite – è interessante conoscere se l’impresa riuscirà comunque a realizzare il volume minimo di affari in grado di coprire le spese sostenute. Per fortuna la vita aziendale è caratterizzata di solito da schemi di regolarità che ne consentono la previsione in funzione delle vicende passate, anche se l’ipotesi del perpetuarsi di alcune regolarità di base ha una sua maggiore fondatezza in lassi brevi di tempo. PREVISIONE DELLE VENDITE Con le previsioni di vendita l’impresa intende stimare quale potrà essere l’assorbimento dei suoi prodotti in modo da programmare gli investimenti , i cicli di lavorazione, l’approvvigionamento delle risorse, l’attività di distribuzione commerciale, ecc. Tale assorbimento sarà legato: • A variabili esterne: aumento del reddito medio pro-capite, sviluppo della

popolazione, congiuntura interna ed internazionale, ecc. • All’azione che l’impresa stessa e le altre imprese concorrenti promuoveranno nei

confronti del mercato. Le previsioni prescindono dalle politiche e dagli sforzi di marketing programmati dall’azienda. Esse rappresentano un fatto oggettivo legato a variabili esterne. Gli obiettivi rappresentano invece determinazioni soggettive, collegate non solo alla previsione ma anche alle politiche aziendali. La previsione delle vendite è frutto solitamente di un processo di approssimazioni successive che si sviluppa in tre fasi fondamentali: 1. Analisi della domanda (Previsioni di mercato): valutazione delle tendenze

espansive-recessive dei consumi e quantificazione della domanda globale; 2. Previsioni di vendita: individuazione della fetta di mercato globale che l’impresa è in

grado di soddisfare, in base alle scelte correnti di marketing (prodotti, prezzi, promozione, ecc.);

3. Obiettivi di vendita: definizione, in base alle nuove scelte di marketing, del volume di vendita effettivamente raggiungibile. Gli obiettivi così determinati sono comunque provvisori, da valutare in rapporto alle interrelazioni con quelli delle altre funzioni aziendali (produzione, finanza, ecc.), oltre che da verificare

TECNICHE PREVISIONALI Richiamiamo ora le tecniche più diffuse nel campo previsionale e alcune indicazioni di scelta in casi concreti. Metodi temporali Si basano sull’analisi storica e sulla prospezione di serie temporali di dati. Il principio è quello della continuazione tendenziale di certi fenomeni. Si parte dai dati passati per prevedere i valori che tali fenomeni assumeranno negli anni a venire.

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La tecnica principale è quella dell’estrapolazione del trend, che si fonda sull’individuazione mediante interpolazione (generalmente con il metodo dei minimi quadrati) della tendenza (lineare o curvilinea) del fenomeno esaminato (nel nostro caso la domanda di un bene) allo scopo di determinare i valori che esso raggiungerà nel periodo cui si riferisce la previsione. E’ una tecnica semplice che tuttavia presenta alcuni limiti di applicazione: • Occorre disporre di una serie storica lunga a sufficienza per poter ricavare una

tendenza attendibile della domanda; • Nell’ipotesi di sviluppo esplosivo, la domanda non può essere stimata sulla base di

una sua prosecuzione nel tempo. Questa tecnica si fa preferire per la sua facilità di applicazione, ma il suo limite principale sta nelle caratteristiche “meccanicistiche” su cui si fonda. Viene pertanto utilizzata prevalentemente per previsioni di breve termine e per prodotti giunti ad uno stadio di maturazione della domanda. I problemi principali di applicazione sono rappresentati dalla depurazione dei dati di partenza da fenomeni casuali, dalla necessaria omogeneità dei valori compresi nella seriazione, dalla scelta del periodo su cui fondare l’estrapolazione e dall’individuazione della curva interpolatrice. Metodi causali I modelli causali sono frequentemente usati in quanto tentano di pervenire alle stime di vendita in base al movimento di una serie di fattori (cause). Si tratta di modelli matematici composti da più variabili mediante i quali si stabiliscono dei nessi di interdipendenza tra i valori di un fenomeno (domanda del prodotto) e le sue cause determinanti (es. reddito, ampiezza della famiglia, ecc.). Le tecniche più conosciute sono la correlazione e la costruzione di matrici input output (matrice delle interdipendenze funzionali o del Leontieff). Il ricorso a quest’ultima matrice comporta procedimenti complessi e molto costosi, che la rendono applicabile più a livello di organi pubblici che nell’ambito delle aziende di produzione. La tecnica della correlazione invece è molto diffusa nelle aziende e si basa sul concetto di analogia poiché mira a valutare l’andamento di un fenomeno in rapporto ad uno o più fenomeni correlati al primo. Non è necessario che vi sia un rapporto di causa ed effetto, ma deve sussistere una relazione logica. E’ possibile infatti trovare un’elevata correlazione, ad esempio, tra la domanda di vernici marine e quella di costruzioni navali. (fenomeni interdipendenti) oppure tra consumo di cemento e consumo di acciaio grezzo (fenomeni indipendenti). La correlazione è misurata da un indice che può variare tra ±1: se uguale a 1 esiste tra i fenomeni considerati la massima correlazione diretta, se è pari a -1 si ha la massima correlazione inversa, e, infine, se si avvicina allo zero non si ha alcuna correlazione. La tecnica si applica in due tempi. Dapprima si verifica in via grafica (diagramma di dispersione) o analitica (indice di Pearson) se tra i due fenomeni esiste un elevato grado di correlazione e poi bisogna individuare la retta o curva di regressione per misurare i rapporti di variazione (relazione funzionale) tra di essi. Anche per la correlazione è necessario disporre di serie storiche sufficientemente lunghe per poter valutare il grado di associazione esistente tra le successioni temporali.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BERGAMO – FACOLTA’ DI INGEGNERIA – CORSO DI INGEGNERIA TESSILE

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La correlazione è sovente utilizzata a livello di classi di prodotto (domanda globale di mercato) e soprattutto per beni industriali. I problemi che presenta sono nella scelta dei fattori da correlare al fenomeno che interessa, nella valutazione della prevedibilità dei fattori selezionati, nella determinazione della natura della relazione (lineare o curvilinea), nella stima della stabilità nel tempo del rapporto funzionale individuato. Metodi qualitativi Sono utilizzati quando non è possibile ricorrere ad altre vie (es. per mancanza di dati), oppure in aggiunta ai metodi matematico-statistici visti in precedenza. Si tratta di stime da parte del personale di vendita o attraverso indagini di mercato sui consumatori. Sono utili nel fornire elementi preziosi per confermare gli studi condotti su basi quantitative e, nel contempo, per rendere più analitico il quadro delle previsioni disegnate. In certi casi il ricorso a questi metodi è imposto dalle circostanze, come la necessità di valutazione sul mercato potenziale di un nuovo prodotto o di un nuovo mercato territoriale, in assenza di alternative valide sotto il profilo puramente quantitativo. In questa categoria rientrano anche tecniche che ricorrono al parere di esperti esterni all’azienda: • Metodo Delphi, basato su valutazioni della domanda, formulate da più esperti

interpellati successivamente, con un’integrazione progressiva dei giudizi raccolti; • Panel degli esperti, basato sulla formulazioni di pareri durante apposite riunioni

collegiali. L’uso di tecniche qualitative si presenta opportuno per valutare l’andamento di mercati in rapido sviluppo, con potenziali molto variabili in funzione dei diversi segmenti di vendita e quindi con prospettive particolari di espansione delle quote di mercato. Esso è possibile per previsioni a breve e, soprattutto, per quelle a lunga scadenza, in quanto tali metodi, pur peccando in accuratezza, riescono a fornire delle indicazioni di tendenza, utili per orientare le strategie aziendali.

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