a proposito di parigi a cura di erika agresti ·...
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A PROPOSITO DI PARIGI
a cura di Erika Agresti
Questa rassegna nasce a seguito dell'attentato del 13 novembre a Parigi, e raccoglie
alcuni contributi di diversi intellettuali pubblicati su quotidiani, blog, riviste..., e raccolti
dall'associazione Diversa/mente, per tentare di dare una spiegazione e un senso a
qualcosa di così deflagrante da rischiare di oscurare il pensiero.
L'attacco, gli attacchi, sono stati alla vita delle persone, al sistema europeo, ma anche
all'illusione che esista un posto sicuro, che il nostro continente viva una situazione di
pace, che le persone possano condurre la loro esistenza in una situazione di tranquillità,
scegliendo ciò che desiderano.
L'attacco è parte di una strategia di terrore che, come dice Nathan, colpisce a livello
psicologico ed agisce consistentemente sulla dimensione politica.
Nei giorni successivi ai fatti di Parigi mi trovavo compulsivamente a cercare
informazioni e spiegazioni: l'angoscia era forte e la mente cercava una forma per
contenerla.
La rassegna scaturisce da un mio personale bisogno di comprendere qualcosa per me
incomprensibile. Spero che questo lavoro possa essere utile anche ad altri.
Di fatto la rassegna si concentra più sugli aspetti sociologici e psicologici con vari
accenni agli aspetti economici e politici della questione.
Erika Agresti
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ELISABETH ROUDINESCO - psicoanalista
I TERRORISTI HANNO COLPITO LA LAICITÀ. ADESSO LA PAURA CI SPINGE
ALL’ESTREMISMO
http://www.lastampa.it/2015/11/16/esteri/hanno-colpito-la-laicit-adesso-la-paura-ci-
spinge-allestremismo-
LHKGPWaEaHF29uQ8SnwiEP/premium.html;jsessionid=EA23BACE9080D2E9BFD1
DC14CB1723D4
http://www.spiweb.it/rassegna-stampa/812-italiana-ed-estera/rassegna-stampa-italiana-
2015/6527-intervista-a-elisabeth-roudinesco-la-stampa-16-novembre-2015
Elisabeth Roudinesco, la grande psicoanalista francese e storica della psicoanalisi,
analizza le radici degli atti terroristici del 13 novembre. E’ una “nuova forma di guerra in
un mondo globale”. I ragazzi, figli di immigrati di quarta generazione, fragili per la
perdita nel mondo globalizzato dei valori di laicità e religiosi si orientano verso
l’integralismo e si rischia così una deriva integralista cui bisogna rispondere invece con i
valori della laicità. (Silvia Vessella)
I ragazzi si avvicinano al fanatismo perché hanno paura dell'integrazione in un Paese in
crisi nei suoi fondamenti.
CAROLE BEEBE TARANTELLI – psicoanalista
TERRORISMO, PATOLOGIA, GRUPPI E PSICOANALISI
http://www.spiweb.it/dossier-spiweb/830-identikit-del-terrore-strategie-di-pace-marzo-
2015/5638-terrorismo-patologia-gruppi-e-psicoanalisi
Tarantelli, rifacendosi alle ricerche psicologiche in ambito di terrorismo, si chiede se gli
atti compiuti dalle persone che utilizzano violenza in questo modo siano da attribuire ad
una patologia individuale, ad una personalità violenta.
Le ricerche mostrano che non c'è una patologia individuale identificabile tra i terroristi,
che individui che hanno militato in gruppi di questo tipo hanno poi condotto
successivamente una vita normale ed equilibrata. La psicoanalista cerca allora di trovare
delle risposte nelle teorie gruppoanalitiche, e verifica che queste, invece, ci aiutano a
comprendere il comportamento di chi prende parte a movimenti terroristici.
La patologia non è quindi una patologia individuale, ma è una patologia del gruppo, e
delle sue richieste: di assoluta condivisione dell'identità del gruppo e di rifiuto di altre
possibili identificazioni da parte dei soggetti, di totale adesione al fine del gruppo fino al
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sacrificio di sé stessi, di scissione tra il proprio gruppo ed il mondo, con aspetti paranoici
proiettati all'esterno.
CHRISTIAN ELIA - giornalista
NOI MUSULMANI DELLE PERIFERIE D’EUROPA, VI SPIEGHIAMO LA
NOSTRA VOGLIA DI ISIS
http://www.glistatigenerali.com/uncategorized/noi-musulmani-alla-periferia-deuropa-vi-
spieghiamo-la-nostra-voglia-di-isis/
Il giornalista intervista un giovane Siriano, con il quale condivide le riflessioni
sociopolitiche sull'impossibilità di vita nelle periferie grigie delle città e di diventare parte
del sistema, come concausa per l'adesione dei giovani all'ISIS.
In queste letture riporta la visione di Samir Kassir, giornalista e scrittore libanese.
Scrive Kassir. “L’infelicità araba ha questo di particolare: la provano quelli che altrove
parrebbero risparmiati, e ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e con i
sentimenti. A iniziare dalla sensazione, molto diffusa e profondamente radicata, che il
futuro è una strada costruita da qualcun altro”.
“Perché si cresce e si capisce che non è un documento (quando c’è, perché in Italia non
c’è) che rende tutti uguali di fronte al futuro. Non sei davvero francese, inglese o
americano. Sei sempre Reyaad, non potrai mai immaginare di diventare altro, di avere le
stesse opportunità dei tuoi coetanei bianchi e di buona famiglia. Perché essere
musulmano diventa uno stigma e allora la scelta si fa piccola, claustrofobia: rimuovere
tua identità o pagarne il prezzo, portarne il peso. Ed ecco che Reyaad, davanti al
giornalista, parla dell’orrore delle guerre per la libertà, di società ingiuste, di frustrazioni.
E magari la soluzione la immagini nelle colonne dei pick-up di Is. Perché ti fai
convincere che non ci sarà riscatto senza violenza. Ti lasci affascinare da chi ti promette
una società più giusta, laddove quella che si pensa giusta ti ha tradito a Guantanamo e ad
Abu Ghraib, ti tradisce ogni giorno abbandonandoti in quelle periferie.
Nell’articolo è inserito un video molto interessante: Isti'mariyah - controvento tra
Napoli e Baghdad a cura di Michelangelo Severgnini, che raccoglie le
testimonianze di alcuni giovani che hanno vissuto l’esperienza di aderire all’Isis
https://www.youtube.com/watch?v=39VFzWA4iTw
ALESSANDRO GALATIOTO - giornalista
DOPO AVERE PIANTO I MORTI
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https://esseresinistra.wordpress.com/2015/11/14/dopo-aver-pianto-i-morti/
Analisi sociologica in prospettiva marxista che attribuisce alla situazione sociale ed
all'esclusione delle seconde e successive generazioni dei migranti arabi, la disponibilità a
aderire all'IS
“Scopriremo che gli attentatori di Parigi, molto probabilmente, sono cittadini francesi nati
e cresciuti in Francia, figli di quel sotto proletariato che popola le banlieue (chiamiamole
borgate o coree che si capisce meglio), che riempie le liste della evasione scolastica e
quelle dei disoccupati. Rimandarli a casa loro è una corbelleria gigante”.
“Parigi è la loro casa. I loro nonni, i loro padri ci sono venuti da cittadini francesi perché
nativi delle colonie: rimandarli a casa è stata la follia. Relegarli tra i loro eguali,
rinchiuderli ai margini della ricchezza, creare scuole ghetto, respingerli verso il peggio
delle interpretazioni islamiche invece che includerli laicamente: questo è l’errore più
grande.
Se ci si ferma a riflettere i terroristi dell ISIS francesi non sono poi tanto diversi dai
terrorismi degli anni ’70 e ’80. In entrambe le situazioni una ideologia era usata per
coprire un conflitto di classe: i dropout VS “I ricchi”.
JEAN-LOUP AMSELLE -antropologo
L'articolo in realtà è di un giornalista, di cui non riesco a rintracciare il nome perché il
Manifesto mi nega l'accesso (chiedendomi di abbonarmi).
JEAN-LOUP AMSELLE ELE GENERAZIONI MANDATE AL MACERO
http://ilmanifesto.info/jean-loup-amselle-e-le-generazioni-mandate-al-macero/
A seguito degli attentati, nel contesto delle trasformazioni culturali in corso in Francia,
sono emerse posizioni radicalizzate, che promuovono la guerra e lo scontro e che si
focalizzano sulle differenze piuttosto che sulle similitudini tra le parti in gioco.
L'autore ragiona sulle condizioni degli arabi e dei giovani in generale, per cui non
esistono opportunità né concrete né di identificazione.
Conclude con una riflessione sulla religione in contesti di sottomissioni: la fede diventa
affermazione dell'oppressione politica e coloniale, e dell'identità che sta diventando
“identità di guerra”, identità contro.
“Molti jihadisti provengono da famiglie non musulmane. Il problema, allora, è che le
società occidentali, la Francia tra le altre, non offrono alcuna prospettiva e alcun futuro ai
giovani. Non parlo solo in termini di impiego e lavoro, ma anche in termini di
incardinamento intellettuale. Non c’è più un «racconto nazionale» coerente, non ci sono
più partiti, niente sindacato, niente scuola, niente servizio civile o militare, niente che sia
capace di dare un senso all’esistenza di questi ragazzi.”
“La laicità secondo il modello francese non si poteva comprendere se non in rapporto alla
lotta contro una religione egemonica: il cattolicesimo, considerato alla stregua di un
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«oppio del popolo». Oggi, la religione o, meglio, il religioso è visto come «il sospiro
della creatura oppressa», per riprendere l’espressione di Marx. L’Islam si inscrive in
questa prospettiva e tutto questo ovviamente si lega allo sviluppo delle idee
postcoloniali.”
GIORGIA FURLAN - giornalista
riporta la visione di FARHAD KHOSROKHAVAR Sociologo
PERCHE’ SI DIVENTA JIHADAISTI
http://www.left.it/2015/11/16/farhad-khosrokhavar-jihad/
Il fenomeno nasce da una crisi interna all'Occidente che confonde e sconcerta e fa
abbracciare ai ragazzi qualsiasi idea – proposta - forte gli si possa presentare, e quindi in
questo momento, l'Isis.
“Secondo Khosrokhavar queste testimonianze rivelano che in realtà non ci si trova di
fronte ad una “guerra di civiltà” perché il fenomeno non sarebbe altro che una reazione
alla crisi culturale che sta vivendo lo stesso Occidente con una conseguente crisi di
identità che porta le menti più deboli ad abbracciare le utopie proposte dall’islamismo
radicale”.
Khosrokhavar ricostruisce quello che è il percorso dei kamikaze, rilevando aspetti
comuni alle diverse storie:
- in occidente operano piccoli gruppi che coinvolgono nuove persone
- i ragazzi jihadaisti sono spesso cresciuti in famiglie disgregate, c'è una tappa nelle
prigioni che precede il processo di radicalizzazione,
- c'è nelle storie un passaggio all'estero, anche breve, nel quale è previsto un percorso di
disidentificazione dal mondo occidentale, così da non provare empatia o pietà al
momento delle azioni ( un viaggio iniziatico nella terra della jihad).
“Questo passaggio è essenziale perché permette al futuro kamikaze di diventare estraneo
alla società di origine e di acquisire la crudeltà necessaria per agire senza colpa o
rimorso. È lì, sul campo, che ci si indurisce in nome della fede”.
“Il sentimento di vittimismo e l’adesione a una causa collettiva, come nel caso della Jihad
islamica, permettono il superamento dello stigma dell’emarginazione”.
“L’analisi di Farhad Khosrokhavar evidenzia la necessità di agire con politiche di
integrazione sociale e accoglienza che diano la possibilità di sviluppare identità
alternative a quelle proposte dagli estremisti islamici e non radicalizzate. Proprio per
questo le reazioni delle destre che fomentano l’islamofobia rischiano di marginalizzare
ancora di più chi già vive all’interno delle sacche di povertà presenti nella società e di
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spingere sempre più persone verso l’estremismo alla disperata ricerca di un’identità e di
un’appartenenza”
SARAH ROUBATO – mediatrice
LETTRE À MA GÉNÉRATION : MOI JE N'IRAI PAS QU'EN TERRASSE
http://blogs.mediapart.fr/blog/sarah-roubato/201115/lettre-ma-generation-moi-je-nirai-
pas-quen-terrasse
Roubato fa una analisi dei motivi per cui la Francia è stata attaccata e delle vie che
occorrerebbe seguire per depotenziare il fenomeno in medio oriente. Spiega come sia una
ipocrisia sostenere che ciò che viene colpito sono la libertà e le terrazze (spazi pubblici
esterni in cui i parigini godono del tempo libero e della libertà), soprattutto se non si
considerano tutte le altre cause sostanziali che hanno determinato la situazione attuale.
Propone di riformulare a livello mediatico l'immagine di gioventù e di “mixità”, in un
modo che non sia irrigidito e strumentalizzato, ma nel qual le persone possano
riconoscersi. Al di là di tutte le differenze di origine, viviamo tutti in un sistema
consumistico che ha impatti ambientali e sociali sul pianeta. Quindi in realtà abbiamo
aspetti tra noi di grande similitudine.
La sua proposta è di andare a trovare la mixità in persone effettivamente diverse da sé e
fa diversi esempi di natura sociale (povertà, prigioni, disoccupazione...). La terrazza
come forma di resistenza è una illusione: il mondo non cambia andando tutti in terrazza,
ma facendo qualcosa per modificare gli equilibri.
La libertà per Roubato sarà allora uscire dai percorsi di consumismo (descritti essi stessi
come libertà dal pensiero comune), rispettare i paesi che si incontrano e vivere
pienamente, andare nei piccoli teatri, fare babysitting gratuito al sabato mattina ad una
madre, stare con un vecchio solo.... propone quindi una visione diversa di sguardo e di
mondo.
La chiusura dell'articolo ne riassume bene il contenuto: “voglio dirti che non sei
obbligato ad assumere l'immagine di te, della libertà, della festa,... che ti viene proposta e
che la resistenza simbolica in questo momento non può ridursi ad andare nelle terrazze,
perché questo non avrà effetto. Ciascuno dovrebbe stare alla terrazza di se stesso
cercando di vedere all'orizzonte la società che egli spera”.
“À écouter et lire les nombreux spécialistes, il me semble qu'on a plutôt été attaqués
parce que la France est une ancienne puissance coloniale du Moyen-Orient, parce que la
France a bombardé certains pays en plongeant une main généreuse dans leurs ressources,
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parce que la France est accessible géographiquement, parce que la France est proche de la
Belgique et qu’il est facile aux djihadistes belges et français de communiquer grâce à la
langue, parce que la France est un terreau fertile pour recruter des djihadistes”.
ROBERTO BENEDUCE - etnopsichiatra
IL NEMICO INTIMO O DELLA MEMORIA MOLESTA
http://associazionefanon.it/index.php?option=com_content&view=article&id=144%3Ail-
nemico-intimo-o-della-memoria-molesta-qualche-parola-sui-tragici-fatti-di-
parigi&catid=4%3Aanalysis&Itemid=1&lang=it
L'articolo si riferisce all'attentato alla redazione di Charlie Hebro e invita ad uno sguardo
di maggiore complessità nella lettura di quanto avvenuto e nelle responsabilità: chi è il
nemico?
Sottolinea la profonda ipocrisia occidentale che proclama valori universali che poi fa di
tutto per preservare per sé solo i privilegi.
Ricorda che la qualità di vita nel mondo non è quella che noi conosciamo qui e che
questa differenza di possibilità è data anche da una serie infinita di politiche di
sfruttamento di Paesi, di sostegno di dittature, di sacrifici umani direttamente o
indirettamente determinati dai governi occidentali. Beneduce riporta puntualmente nomi
e connessioni così da descrivere un mondo intrecciato di violenza e di controllo. E la
Francia in questo disegno ha ed ha avuto un ruolo importante.
Fa poi una considerazione su come comunque gli eventi storici non agiscano in modo
deterministico nella vita degli individui che li vivono. Per esempio, a Parigi nel corso
dell'attentato di Hebro, c'è stato un algerino tra gli attentatori ed un altro algerino tra
coloro che hanno difeso i civili, nello stesso momento. Ciascuno di loro è figlio della
politica post coloniale ed ha vissuto la violenza che la Francia ha attuato ed attua sulla
popolazione algerina, ma ciascuno ha elaborato la propria esperienza in modo
individuale. Esiste quindi la libertà, a livello individuale, di “scegliere” come porsi di
fronte alla Storia.
“Da queste considerazioni non nasce alcuna alchimia in grado di interpretare quanto
accaduto, o prevenirne il ripetersi. Lo psicologico o la Cultura non hanno mai da soli
spiegato la Storia, le sue pulsazioni e le sue fratture, sebbene la Storia stia sempre dentro
le loro viscere, dormendo negli interstizi del "carattere", della "personalità", degli
"affetti", dei "sintomi", per risvegliarsi poi, bruscamente. Il "nemico intimo" è quello che
inquieta più di ogni altro, il suo volto è quello di un uomo o di una donna comuni, che
quando tradisce e uccide, colpisce indifferentemente, anche i suoi fratelli e le sue sorelle:
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come oggi in Nigeria, in Iraq o in Pakistan, lo stesso fenomeno di cui scrive Nandy in
riferimento all'India coloniale, o Theidon per il Perù dilaniato di Sendero Luminoso.
Abbiamo tuttavia una fortuna smisurata: quella di poter contare sui tanti "amici intimi"
che, come LassanaBathily, ci stanno accanto anche quando non lo sappiamo, e che
potremmo riconoscere se solo avessimo meno paura. Sono coloro che cercano, ovunque,
un'autentica libertà: quella dalle determinazioni del passato (Fanon)”.
OLIVER ROY – giornalista, islamista
NON SI TRATTA DI RADICALIZZAZIONE DELL’ISLAM. MA DI
ISLAMIZZAZIONE DEL RADICALISMO.
http://www.franceculture.fr/emission-le-journal-des-idees-l-islamisation-de-la-radicalite-
2015-11-25#.VlV4V8vFDc0.facebook
http://superdupont.corriere.it/2015/11/26/olivier-roy-il-nichilismo-dei-convertiti-alla-
jihad/
“Alcuni immigrati di seconda generazione, nati in Francia, si distaccano dall’Islam
pacifico dei padri arrivati dal Marocco o dall’Algeria; vivono alcuni anni all’occidentale,
si secolarizzano e poi tornano all’Islam — nella sua versione jihadista — perché «è
l’unica causa radicale sul mercato”.
Lo stesso accade ai non pochi europei che si convertono: innanzitutto sono in rivolta
contro la società, nichilisti e radicalmente antagonisti. Poi esprimono questa ribellione
abbracciando le idee jihadiste, quelle che garantiscono oggi il maggiore grado di rifiuto
del sistema.”
Roy sostiene quindi che la jihad non sia che una forma di radicalizzazione, una possibile,
a disposizione dei giovani. In particolare ai ragazzi di seconda generazione.
Il movimento di questi giovani è oscillatorio, si avvicina alla cultura occidentale (almeno
in alcune delle sue manifestazioni: “si dedicano al rap, bevono alcol, fumano spinelli, e
poi all’improvviso cambiano, si lasciano crescere la barba, diventano islamisti,
integralisti”) per poi ritornare in modo più radicalizzato verso l'islam. In realtà non è
prettamente una questione religiosa, dal momento che molti dei ragazzi non fanno una
formazione religiosa.
Qual è il movente?
«Alla base c’è un nichilismo, una repulsione per la società, che si ritrova anche a
Columbine e nelle altre stragi di massa negli Stati Uniti, o in Norvegia con il massacro di
Anders Breivik che fece 77 morti a Oslo e Utoya. C’è una descrizione degli assassini del
Bataclan che ricorda Breivik in modo impressionante: uccidevano con sguardo freddo,
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con calma e metodo, senza neanche manifestare odio. Il nichilismo, la rivolta radicale e
totale, è comune a tutti questi episodi, e in Europa prende la forma del jihadismo tra
alcuni musulmani di origine o convertiti».
Tutto nasce da un atteggiamento di nichilismo (ogni atteggiamento genericamente
rinunciatario e negativo nei confronti del mondo con le sue istituzioni e i suoi valori
http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/N/nichilismo.shtml). L'articolo riporta una
riflessione interessante in merito a questa oscillazione tra due culture, che non è una reale
identificazione, e “ ne veulent ni de la culture de leurs parents ni d'une culture
"occidentale", devenues symboles de leur haine de soi.” I giovani figli e nipoti di
migranti che entrano nell'organizzazione della Jihad non vogliono né la cultura dei loro
genitori né una cultura occidentale divenuta simbolo del loro odio di sé.
Roy esclude che questa radicalizzazione sia conseguente a fenomeni di razzismo o di
esclusione sociale.
“Il fenomeno dei convertiti non è spiegabile se aderiamo alla diffusa analisi post
coloniale della radicalizzazione. Alcuni miei amici progressisti, di sinistra o piuttosto
estrema sinistra, mi dicono «questi giovani sono vittime di razzismo, di discriminazioni, è
per questo che si ribellano». Non è vero. Nessuno ha discriminato i ragazzi francesi
anche di buona famiglia che si convertono. Eppure vanno in Siria pensando di tornare per
fare stragi»”
Nota: mi sembra che si possa dire, con linguaggi ed approcci diversi, che né in una
cultura né nell'altra i giovani di 2a generazione trovano i giusti codici culturali di gestione
simbolizzazione e trasformazione dell'odio
FABIO GRANDINETTI – giornalista intervista ALBERTO VENTURA – islamista
ISIS, INTERVISTA ALL’ISLAMISTA VENTURA: “RICONOSCERE
REAZIONE DELL’ISLAM SANO”
http://www.mediapolitika.com/dalmondo/15548-isis-intervista-allislamista-ventura-
riconoscere-reazione-dellislam-sano/
L'articolo fa un excursus storico sui diversi gruppi armati del medio oriente ed evidenzia
alcune specificità dell'ISIS.
“quest’ultimo atto del fondamentalismo rappresentato dall’Isis, vista la numerosa
presenza di rivoltosi europei intenti nelle “vite precedenti” a fare i rapper e i dj, vive di
una particolare trasformazione: dalla violenza disegnata strategicamente per il
raggiungimento di uno scopo preciso a una violenza fine a se stessa, all’essere contro.
Molti rappresentanti europei del nuovo Stato Islamico erano dei “trasgressori” nei loro
paesi di origine, che attuavano forme di ribellione sociale anche attraverso l’arte e la
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musica. L’Isis rappresenta per loro una grande occasione di esposizione mediatica che
vive di pura trasgressione, di violenza fine a se stessa senza un progetto politico preciso”.
Ventura riflette sul ruolo dell'occidente, ma anche sull'immagine che il mondo ha di noi.
Suggerisce di diventare più umili e riconoscere anche nell'Islam e negli stati islamici
delle forze alleate contro l'ISIS.
RAFFAELE MASTRO – giornalista intervista AMINATA TRAORÉ – scrittrice
intellettuale del Mali (in passato ministro alla cultura)
http://www.radiopopolare.it/2015/11/aminata-traore-la-jihad-in-africa-deriva-dalle-
guerre-delloccidente/
Il racconto della scrittrice descrive la nascita di Boko Haram e la diffusione dell'Isis in
Africa come conseguenza delle gestioni politiche e di guerra dell'occidente, a cui sono
seguite politiche economiche di sfruttamento (con multinazionali) che hanno impoverito
le famiglie e le comunità fino a portarle alla disperazione, lasciando armi e vuoti di
potere.
LEONARDO TANDELLI – blogger
L’ISLAM È UN PROBLEMA (NON È LA SOLUZIONE)
http://www.ilpost.it/leonardotondelli/2015/11/20/lislam-e-un-problema-non-e-la-
soluzione/
Tandelli invita a guardare il nostro tempo con una retrospettiva storica, come se ci
potessimo guardare dal futuro, per andare oltre ai falsi motivi dichiarati dei conflitti, alla
ricerca di quelli reali, che davvero spiegano il fenomeno della Jihad.
Dal suo punto di vista si utilizzano le parole “Jihad ed Islam” per dare un nome
fenomeno, per definirlo. Così che tutta la complessità scompare dietro ad un'etichetta.
Siccome non ci prendiamo il tempo di pensare e comprendere, per semplificare si
nominiamo il fenomeno. Islam è l'etichetta.
“Un giorno scrolleranno un papiro, un microfilm, un’immagine a mezz’aria, e leggeranno
dei dibattiti che facevamo nel novembre del 2015 sugli stragisti di Parigi: se fossero
morti perché (x) islamici o perché (y) vittime della mancata integrazione, del degrado
delle banlieues (z), del pasticcio geopolitico medio-orientale (w), della carestia che col
riscaldamento globale cominciava a bussare a un bordo del Mediterraneo (v): e tutti
questi concetti per loro saranno ugualmente astratti. I fatti di cronaca in sé, invece, li
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afferreranno benissimo: c’era una fazione che voleva seminare il terrore sparando a
obiettivi precisi ma anche a casaccio; questo è comprensibile, è successo altre volte e
probabilmente non smetterà mai di succedere, per cui possiamo essere ragionevolmente
sicuri che finché ci saranno individui della nostra specie, la violenza terroristica non sarà
loro aliena: ma avranno parole diverse per spiegarla, parole che a loro sembreranno molto
più semplici. Scrolleranno la testa, invece, di fronte alle nostre astruse spiegazioni, alle
nostre razionalizzazioni così poco razionali”.
LUCA STEINMANN intervista FRANCO CARDINI - (Direttore del Centro di Studi
sulle Arti e le Culture dell’Oriente dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e
storico)
ECCO CHI FINANZIA IL CALIFFATO
http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/06/29/news/ecco-chi-finanzia-il-califfato-
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La questione nasce dal postcolonialismo e dai protettorati quando l'Inghilterra in
particolare ha tentato di mantenere il controllo negando l'anima islamica. Da allora ad
oggi si è tentato di strumentalizzare questa anima per i propri interessi.
Da queste negazioni e strumentalizzazioni si è creato l'equilibrio attuale.
La nostra prospettiva per cui l'occidente è il nemico dell'isis non è corretta: il mondo
arabo è colpito molto di più dagli attacchi ed quindi anche una lotta interna allo stesso
islam, tra sciiti e sunniti. D'altra parte le politiche di prestito che l'Isis propone sono
anche esse una parte del discorso e attrae molti giovani.
Lo storico poi racconta gli equilibri politici e le alleanze del territorio, ricordando la
funzione stabilizzante di Geddafi ed Assad contro l'emergere del califfato e a favore di
uno stato basato sull'appartenenza nazionale e non religiosa.
Racconta degli interessi dell'Arabia del Qatar e della Turchia nel ridisegnare i confini del
territorio. Per questo finanziano l'ISIS.
In Europa la provocazione del Califfato mira a reazioni decise da parte del governo
contro gli ambienti islamici, perché queste azioni fanno aumentare il consenso nei suoi
confronti.
Anche tra i migranti potrebbero esserci cellule jihadaistiche, che però già di fatto
esistono. Dovremmo agire sulle cause delle migrazioni: rendere più stabili le zone e
ridurre lo sfruttamento del territorio africano da parte di multinazionali, che crescono
accanto alla grandissima povertà delle persone che abitano quel territorio.
TOMMASO PERRONE – giornalista
I NUMERI E LA STORIA DELLO STATO ISLAMICO, O DAESH
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http://www.lifegate.it/persone/news/storia-dello-stato-islamico-daesh
L'articolo riassume la storia ed il disegno della nascita dello stato islamico, e la sua entità
(l'attuale espansione, il numero delle persone che sono soggette a questo, il numero di
persone coinvolte e motivazioni di adesione all'esercito..).
C'è un riferimento anche ai combattenti che arrivano dall'Europa, le motivazioni
dell'adesione all'IS è quella dell'esclusione sociale nei paesi in cui sono cresciuti.
Lo Stato islamico non ha alleanze stabili e questo lo rende un pericolo per tutti, molti
paesi tuttavia tentano di usarlo per sistemare questioni di politica interna costruendo
alleanze contro un nemico comune (come per es. Usa, Russia,...).
THAIER AL-SUDANI – giornalista
PERCHÉ IL GRUPPO STATO ISLAMICO È CHIAMATO ANCHE ISIS O
DAESH?
http://www.internazionale.it/notizie/2015/11/17/isis-daesh-stato-islamico-nome
L'articolo si concentra sulle diverse sigle utilizzate per nominare l'IS, e rileva come
ciascuna di esse racchiuda un significato politico e semantico, così che a seconda dei
tavoli e dei luoghi viene usata l'una o l'altra formula, in relazione all'immagine che del
fenomeno si voglia promuovere.
NADIA NERI, psicoanalista
IL LAMENTO DELLA PACE
http://it.gariwo.net/editoriali/il-lamento-della-pace-14235.html
Neri, partendo da uno spunto della Roudinesco, sottolinea come la società che decide di
curarsi con i farmaci evitando il dolore dell'analisi non sia disposta a prendersi cura della
propria sofferenza e tenda a proiettare all'esterno di sé quanto gli capita.
(ndr questo capita tanto ai singoli che attribuiscono al sociale la totale responsabilità per
il proprio stato, ma anche per le nazioni, che attribuiscono ad altri, ad altre forze, la
responsabilità di quanto accade loro, senza una reale ricerca dei motivi interni che
predispongono le condizioni perché gli eventi accadano).
L'articolo apre la riflessione su come resistere, come continuare a promuovere una cultura
di pace.
Contattare il dolore è il primo passo, il proprio dolore ma anche quello degli altri.
“testimoniare il dolore – “voglio essere il cuore pensante della baracca”, diceva Etty
Hillesum nel 1941 -,
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riflettere sui fondamentalismi e sul male lasciando uno spazio alla compassione, per le
vittime ovviamente ma anche per queste tragiche figure dei Kamikaze - emblema
esasperato dell'odio per l'umanità e per se stessi, di una disperazione estrema con una
miscela esplosiva di fanatismo religioso, povertà e odio irreparabile”.
Avere fiducia (sforzarsi di credere) che questo possa essere efficace,
“I più giovani hanno un bisogno forte di credere in qualcosa di positivo, e non sarà facile
offrire loro delle risposte valide e autentiche se non riusciamo a trovarle in noi”.
“Scrivendo queste parole, penso al titolo molto evocativo di un saggio del 1517 di
Erasmo da Rotterdam: Il lamento della pace scacciata e respinta da ogni dove.”
(aggiungerei: bisogno riconoscere (anche) l'altro, nelle sue specificità e rispettarlo, non
sfruttarlo o depredarlo. Alla base di molta della violenza esiste una ingiustizia reale, e se
c'è ingiustizia non può esserci pace)
NICOLAS HÉNIN – giornalista
SONO STATO OSTAGGIO DEL GRUPPO STATO ISLAMICO E SO DI COSA
HANNO PAURA
http://www.internazionale.it/opinione/nicolas-henin/2015/11/18/ostaggio-stato-islamico
Questo articolo è più ampio e complesso, ma il suo aspetto originale è la testimonianza
diretta della modalità di funzionamento delle persone che Henin ha incontrato.
Questo articolo fa specchio alle riflessioni sulla cultura di gruppo riportate nell'articolo
della Tarantelli. La dimensione della scissione e della proiezione paranoide.
L'impossibilità di un dialogo o di un confronto, l'impossibilità di integrare elementi
dissonanti.....
Trovo interessante la riflessione del giornalista: perché possa smorzarsi questa visione è
necessario che la controparte (noi) agisca una cultura diversa.
L'alternativa è un contagio, che potrebbe farci assumere una posizione speculare.
“Ancora oggi a volte chatto con loro sui social network e posso garantirvi che gran parte
di ciò che voi pensate di loro è il risultato del loro lavoro di marketing e pubbliche
relazioni. Si presentano come supereroi, ma lontani dalle telecamere sono piuttosto
patetici: ragazzi di strada ubriachi di ideologia e potere”.
“Mi ha colpito vedere quanto siano connessi dal punto di vista tecnologico; seguono le
notizie in modo ossessivo, ma sempre commentandole attraverso i loro filtri. Sono
completamente indottrinati, si aggrappano a teorie cospirative di ogni genere, non
ammettono contraddizioni.
Qualsiasi cosa serve a convincerli di essere sulla via giusta e di essere parte di una specie
di processo apocalittico che porterà a uno scontro tra un esercito di musulmani
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provenienti da tutto il mondo e gli altri, i crociati, i romani. Ai loro occhi tutto ci spinge
in quella direzione. Di conseguenza, tutto è una benedizione di Allah.
Dato il loro interesse per le notizie e i social network, noteranno ogni singola reazione al
loro assalto omicida a Parigi, e secondo me proprio in questo momento il loro slogan sarà
“Stiamo vincendo”. Saranno rincuorati da qualsiasi segno di reazione esagerata, di
divisione, di paura, di razzismo, di xenofobia.
Centrale alla loro visione del mondo è la convinzione che le comunità non possono
vivere insieme ai musulmani e ogni giorno vanno a caccia di prove a sostegno di
quest’idea. Le immagini dei tedeschi che hanno accolto i migranti di sicuro li avranno
sconvolti. Coesione, tolleranza: non è ciò che vogliono vedere.
Nel frattempo c’è molto da guadagnare all’indomani di queste atrocità, e la chiave è
mantenere cuori forti e resilienti, perché è proprio quello che loro temono più di tutto. Io
li conosco: si aspettano i bombardamenti. Ciò che temono è l’unità.
OLIVIER ROY - giornalista
QUELLA DEI JIHADISTI È UNA RIVOLTA GENERAZIONALE E
NICHILISTA
http://www.internazionale.it/opinione/olivier-roy/2015/11/27/islam-giovani-jihad
L’articolo riprende alcune delle tesi citate dai precedenti, ma senza citarne le fonti
(islamizzazione del radicalismo, percorsi di adesione all'IS...). Approfondisce meglio
però gli aspetti di formazione e composizione dei gruppi di adolescenti e dell'impatto di
rottura generazionale e familiare, nonché il completo disinteresse degli aderenti per le
cause sociali e l'aspetto dell'onnipotenza percepita a seguito del terrore suscitato dalla
loro appartenenza all'IS.
Interessante anche la descrizione dei gruppi, composti da fratelli o sorelle, che si
oppongono ai tentativi dei genitori di modificare la loro posizione, e che si pongono
quindi fuori da ogni tipo di comunità che non sia quella mussulmana radicale.
“Oggi due letture dominano la scena, indirizzando i dibattiti televisivi e le pagine dei
giornali: la spiegazione culturalista e quella terzomondista. La prima insiste sulla
ricorrente guerra di civiltà: la rivolta dei ragazzi musulmani dimostra che l’islam non può
integrarsi, almeno fino a quando una riforma teologica non cancellerà dal Corano l’invito
al jihad.
La seconda insiste sulla sofferenza postcoloniale, sull’identificazione dei giovani con la
causa palestinese, sul loro rifiuto degli interventi occidentali in Medio Oriente e sulla loro
esclusione da una società francese razzista e islamofoba, e da lì il solito ritornello: finché
non risolveremo il conflitto israelo-palestiense la rivolta andrà avanti. Ma entrambe le
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spiegazioni presentano lo stesso problema. Se le cause della radicalizzazione sono
strutturali, allora perché il fenomeno colpisce solo una parte minima e molto circoscritta
dei musulmani francesi?”
“I giovani convertiti, per definizione, aderiscono alla religione “pura”. Il compromesso
culturale non gli interessa (a differenza delle vecchie generazioni che si convertivano al
sufismo) e si uniscono alla seconda generazione nell’adesione a un “islam di rottura”, una
rottura generazionale, culturale e politica. Non serve a niente offrirgli un islam moderato,
perché è precisamente il radicalismo ad attirarli. Il salafismo non è solo una predicazione
finanziata dall’Arabia Saudita, ma il prodotto più adatto a questi ragazzi alla deriva”.
“Come i genitori dei convertiti, anche loro cercano sempre più spesso di frenare la
radicalizzazione dei figli: chiamano la polizia, vanno in Turchia a recuperarli, temono che
i fratelli maggiori possano trascinare i più piccoli. In questo senso, lungi dall’essere il
simbolo di una radicalizzazione della popolazione musulmana, i jihadisti creano e
alimentano una frattura generazionale, spaccando in due le famiglie”
“È inutile parlare della taqiyya (dissimulazione) perché una volta “rinati” questi ragazzi
non si nascondono e manifestano le loro nuove convinzioni anche su Facebook.
Esibiscono la loro nuova personalità onnipotente, la loro voglia di rivincita, l’esaltazione
che deriva dalla volontà di uccidere e la fascinazione per la propria morte. La violenza a
cui aderiscono è una violenza moderna.”
“Questo individualismo forsennato si ritrova nel loro isolamento rispetto alle comunità
musulmane. Pochi frequentano una moschea e i loro imam sono spesso autoproclamati.
La loro radicalizzazione si sviluppa attorno a immagini di eroi, alla violenza e alla morte,
non alla sharia o all’utopia. In Siria vanno solo per combattere, nessuno di loro si integra
o si interessa alla società civile. Sono più nichilisti che utopisti “
“Tutti si radicalizzano insieme a un piccolo gruppo di “compagni” che hanno incontrato
in un luogo particolare (quartiere, prigione, società sportiva), con cui ricreano una
famiglia e ritrovano un senso di fratellanza. E qui emerge uno schema molto importante
che ancora nessuno ha studiato: questa fratellanza è spesso biologica. Tra gli attentatori
troviamo regolarmente coppie di fratelli: i fratelli Kouachi e Abdeslam, Abdelhamid
Abaaoud che rapisce suo fratello minore, i fratelli Clain che si convertono insieme, i
fratelli Tsarnaev che organizzano l’attentato di Boston dell’aprile 2013.”
“Come se radicalizzare i fratelli (e le sorelle) fosse un modo per sottolineare la
dimensione generazionale e la rottura con i genitori. La cellula si sforza di creare legami
affettivi tra i suoi componenti, che spesso sposano la sorella di un compagno d’armi.
Ma perché scelgono l’islam? Per i ragazzi della seconda generazione il motivo è
evidente: rielaborano un’identità che ai loro occhi è stata compromessa dai genitori e si
convincono di essere “più musulmani dei musulmani”, in particolare dei padri. Le
energie che dedicano ai vani tentativi di riconvertire i genitori sono eloquenti e al tempo
stesso mostrano fino che punto si trovano ormai su un altro pianeta. Quanto ai convertiti,
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scelgono l’islam perché sul mercato della rivolta radicale non c’è altro. Entrare nell’Is
significa avere la certezza di poter seminare il terrore”
SIMONA TALIANI – psicologa, antropologa
QUANTO CI RIGUARDA "LA FECCIA"? NOTE ETNOPSICHIATRICHE
SULLA CULTURA E SUI SUOI SEMBIANTI
http://associazionefanon.it/index.php?option=com_content&view=article&id=162%3Aqu
anto-ci-riguarda-qla-fecciaq&catid=4%3Aanalysis&Itemid=1&lang=it
“La feccia” è il termine utilizzato dall'allora ministro degli interni Nicolas Sarkozy per
connotare le persone coinvolte nelle rivolte (dei giovani di seconda generazione) a Parigi
che nel 2005 seguirono all'uccisione di due ragazzi francesi di origine straniera.
Taliani sceglie inizialmente un taglio socioantropologico e descrive le condizioni di vita e
possibilità del quartiere da cui nacquero le rivolte, che è lo stesso quartiere in cui sono
cresciuti due dei militanti coinvolti nella uccisione di Hebro e una delle persone che si è
fatta esplodere al Bataclan. Il tasso di criminalità nel quartiere è il più alto di Francia ed
“abitare nel 93mo dipartimento è un marchio sociale”. I servizi sono scarsi o assenti,
nelle scuole mancano insegnanti. Si tratta di “nuove forme di esclusione sociale dello
stato neo-liberale”. Questo progetto non riconosce il valore culturale delle persone che
vivono il quartiere e richiede una omologazione, una forzata adesione allo stato, senza
peraltro assicurare le opportunità che altri cittadini hanno.
Nathan sottolinea l'opportunità di permettere ai gruppi di migranti di vivere insieme così
da sperimentare un riconoscimento della cultura che li caratterizza e di poter trasmettere
alle generazioni successive messaggi fondati sul valore di sè. Solo così i bambini, una
volta cresciuti possono accogliere per amore le proposte culturali che vengono dal mondo
che incontrano, in modo creativo. “Risparmieremo così alle seconde generazioni, molto
più di quanto non siamo capaci di fare oggi, di cadere nella delinquenza, nella
tossicomania o peggio ancora nell'ideologia: che sono tutte e tre dei sembianti di cultura
più accessibili perché semplificati e piatti.”
La Taliani pone l'accento sull'importanza di tenere in considerazione l'aspetto culturale
nel contesto della cura, e non solo gli aspetti sociali. Si tratta di minoranze disonorate,
rispetto alle quali è stata espressa una indesiderabilità, e le stesse istituzioni hanno agito
una violenza che ora ritorna con le manifestazioni di cui siamo testimoni.
Questi agglomerati di città sono stati creati e pensati come spazi esclusi dalle opportunità.
Il terapeuta deve esserne consapevole e tenere in mente anche i significati, le paure ed i
sogni che sono connesse alla dimensione culturale. E conoscere le implicazioni storiche
di quanto sta avvenendo nel momento della consultazione, perché la cura non sia un
ulteriore tentativo di violenza e sottomissione.
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Si auspica uno spazio di accoglienza per l'alterità e le sue promesse, che sia libero dalla
violenza e dal disconoscimento dell'altro. Questo spazio per ora esisterà nell'intimo della
stanza della terapia.
CHRISTOPH REUTER – giornalista
THE TERROR STRATEGIST: SECRET FILES REVEAL THE STRUCTURE
OF ISLAMIC STATE
http://www.spiegel.de/international/world/islamic-state-files-show-structure-of-islamist-
terror-group-a-1029274.html
A proposito della scuola, ecco un ultimo interessante articolo di Maria Bacchi:
maestra e studiosa dell’infanzia, che da anni si occupa della reazione di
bambini e adolescenti ai contesti di guerra
http://www.origamisettimanale.it/2015/12/07/speciali/origami/come-parlare-di-
terrorismo-ai-bambini-non-sdrammatizziamo-facciamoci-raccontare-le-loro-paure-
gjr8cBcTagug8WJwdgdzjP/pagina.html