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A PROPOSITO DI PARIGI a cura di Erika Agresti Questa rassegna nasce a seguito dell'attentato del 13 novembre a Parigi, e raccoglie alcuni contributi di diversi intellettuali pubblicati su quotidiani, blog, riviste..., e raccolti dall'associazione Diversa/mente, per tentare di dare una spiegazione e un senso a qualcosa di così deflagrante da rischiare di oscurare il pensiero. L'attacco, gli attacchi, sono stati alla vita delle persone, al sistema europeo, ma anche all'illusione che esista un posto sicuro, che il nostro continente viva una situazione di pace, che le persone possano condurre la loro esistenza in una situazione di tranquillità, scegliendo ciò che desiderano. L'attacco è parte di una strategia di terrore che, come dice Nathan, colpisce a livello psicologico ed agisce consistentemente sulla dimensione politica. Nei giorni successivi ai fatti di Parigi mi trovavo compulsivamente a cercare informazioni e spiegazioni: l'angoscia era forte e la mente cercava una forma per contenerla. La rassegna scaturisce da un mio personale bisogno di comprendere qualcosa per me incomprensibile. Spero che questo lavoro possa essere utile anche ad altri. Di fatto la rassegna si concentra più sugli aspetti sociologici e psicologici con vari accenni agli aspetti economici e politici della questione. Erika Agresti

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Page 1: A PROPOSITO DI PARIGI a cura di Erika Agresti · 2015/6527-intervista-a-elisabeth-roudinesco-la-stampa-16-novembre-2015 Elisabeth Roudinesco, la grande psicoanalista francese e storica

A PROPOSITO DI PARIGI

a cura di Erika Agresti

Questa rassegna nasce a seguito dell'attentato del 13 novembre a Parigi, e raccoglie

alcuni contributi di diversi intellettuali pubblicati su quotidiani, blog, riviste..., e raccolti

dall'associazione Diversa/mente, per tentare di dare una spiegazione e un senso a

qualcosa di così deflagrante da rischiare di oscurare il pensiero.

L'attacco, gli attacchi, sono stati alla vita delle persone, al sistema europeo, ma anche

all'illusione che esista un posto sicuro, che il nostro continente viva una situazione di

pace, che le persone possano condurre la loro esistenza in una situazione di tranquillità,

scegliendo ciò che desiderano.

L'attacco è parte di una strategia di terrore che, come dice Nathan, colpisce a livello

psicologico ed agisce consistentemente sulla dimensione politica.

Nei giorni successivi ai fatti di Parigi mi trovavo compulsivamente a cercare

informazioni e spiegazioni: l'angoscia era forte e la mente cercava una forma per

contenerla.

La rassegna scaturisce da un mio personale bisogno di comprendere qualcosa per me

incomprensibile. Spero che questo lavoro possa essere utile anche ad altri.

Di fatto la rassegna si concentra più sugli aspetti sociologici e psicologici con vari

accenni agli aspetti economici e politici della questione.

Erika Agresti

Page 2: A PROPOSITO DI PARIGI a cura di Erika Agresti · 2015/6527-intervista-a-elisabeth-roudinesco-la-stampa-16-novembre-2015 Elisabeth Roudinesco, la grande psicoanalista francese e storica

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ELISABETH ROUDINESCO - psicoanalista

I TERRORISTI HANNO COLPITO LA LAICITÀ. ADESSO LA PAURA CI SPINGE

ALL’ESTREMISMO

http://www.lastampa.it/2015/11/16/esteri/hanno-colpito-la-laicit-adesso-la-paura-ci-

spinge-allestremismo-

LHKGPWaEaHF29uQ8SnwiEP/premium.html;jsessionid=EA23BACE9080D2E9BFD1

DC14CB1723D4

http://www.spiweb.it/rassegna-stampa/812-italiana-ed-estera/rassegna-stampa-italiana-

2015/6527-intervista-a-elisabeth-roudinesco-la-stampa-16-novembre-2015

Elisabeth Roudinesco, la grande psicoanalista francese e storica della psicoanalisi,

analizza le radici degli atti terroristici del 13 novembre. E’ una “nuova forma di guerra in

un mondo globale”. I ragazzi, figli di immigrati di quarta generazione, fragili per la

perdita nel mondo globalizzato dei valori di laicità e religiosi si orientano verso

l’integralismo e si rischia così una deriva integralista cui bisogna rispondere invece con i

valori della laicità. (Silvia Vessella)

I ragazzi si avvicinano al fanatismo perché hanno paura dell'integrazione in un Paese in

crisi nei suoi fondamenti.

CAROLE BEEBE TARANTELLI – psicoanalista

TERRORISMO, PATOLOGIA, GRUPPI E PSICOANALISI

http://www.spiweb.it/dossier-spiweb/830-identikit-del-terrore-strategie-di-pace-marzo-

2015/5638-terrorismo-patologia-gruppi-e-psicoanalisi

Tarantelli, rifacendosi alle ricerche psicologiche in ambito di terrorismo, si chiede se gli

atti compiuti dalle persone che utilizzano violenza in questo modo siano da attribuire ad

una patologia individuale, ad una personalità violenta.

Le ricerche mostrano che non c'è una patologia individuale identificabile tra i terroristi,

che individui che hanno militato in gruppi di questo tipo hanno poi condotto

successivamente una vita normale ed equilibrata. La psicoanalista cerca allora di trovare

delle risposte nelle teorie gruppoanalitiche, e verifica che queste, invece, ci aiutano a

comprendere il comportamento di chi prende parte a movimenti terroristici.

La patologia non è quindi una patologia individuale, ma è una patologia del gruppo, e

delle sue richieste: di assoluta condivisione dell'identità del gruppo e di rifiuto di altre

possibili identificazioni da parte dei soggetti, di totale adesione al fine del gruppo fino al

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sacrificio di sé stessi, di scissione tra il proprio gruppo ed il mondo, con aspetti paranoici

proiettati all'esterno.

CHRISTIAN ELIA - giornalista

NOI MUSULMANI DELLE PERIFERIE D’EUROPA, VI SPIEGHIAMO LA

NOSTRA VOGLIA DI ISIS

http://www.glistatigenerali.com/uncategorized/noi-musulmani-alla-periferia-deuropa-vi-

spieghiamo-la-nostra-voglia-di-isis/

Il giornalista intervista un giovane Siriano, con il quale condivide le riflessioni

sociopolitiche sull'impossibilità di vita nelle periferie grigie delle città e di diventare parte

del sistema, come concausa per l'adesione dei giovani all'ISIS.

In queste letture riporta la visione di Samir Kassir, giornalista e scrittore libanese.

Scrive Kassir. “L’infelicità araba ha questo di particolare: la provano quelli che altrove

parrebbero risparmiati, e ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e con i

sentimenti. A iniziare dalla sensazione, molto diffusa e profondamente radicata, che il

futuro è una strada costruita da qualcun altro”.

“Perché si cresce e si capisce che non è un documento (quando c’è, perché in Italia non

c’è) che rende tutti uguali di fronte al futuro. Non sei davvero francese, inglese o

americano. Sei sempre Reyaad, non potrai mai immaginare di diventare altro, di avere le

stesse opportunità dei tuoi coetanei bianchi e di buona famiglia. Perché essere

musulmano diventa uno stigma e allora la scelta si fa piccola, claustrofobia: rimuovere

tua identità o pagarne il prezzo, portarne il peso. Ed ecco che Reyaad, davanti al

giornalista, parla dell’orrore delle guerre per la libertà, di società ingiuste, di frustrazioni.

E magari la soluzione la immagini nelle colonne dei pick-up di Is. Perché ti fai

convincere che non ci sarà riscatto senza violenza. Ti lasci affascinare da chi ti promette

una società più giusta, laddove quella che si pensa giusta ti ha tradito a Guantanamo e ad

Abu Ghraib, ti tradisce ogni giorno abbandonandoti in quelle periferie.

Nell’articolo è inserito un video molto interessante: Isti'mariyah - controvento tra

Napoli e Baghdad a cura di Michelangelo Severgnini, che raccoglie le

testimonianze di alcuni giovani che hanno vissuto l’esperienza di aderire all’Isis

https://www.youtube.com/watch?v=39VFzWA4iTw

ALESSANDRO GALATIOTO - giornalista

DOPO AVERE PIANTO I MORTI

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https://esseresinistra.wordpress.com/2015/11/14/dopo-aver-pianto-i-morti/

Analisi sociologica in prospettiva marxista che attribuisce alla situazione sociale ed

all'esclusione delle seconde e successive generazioni dei migranti arabi, la disponibilità a

aderire all'IS

“Scopriremo che gli attentatori di Parigi, molto probabilmente, sono cittadini francesi nati

e cresciuti in Francia, figli di quel sotto proletariato che popola le banlieue (chiamiamole

borgate o coree che si capisce meglio), che riempie le liste della evasione scolastica e

quelle dei disoccupati. Rimandarli a casa loro è una corbelleria gigante”.

“Parigi è la loro casa. I loro nonni, i loro padri ci sono venuti da cittadini francesi perché

nativi delle colonie: rimandarli a casa è stata la follia. Relegarli tra i loro eguali,

rinchiuderli ai margini della ricchezza, creare scuole ghetto, respingerli verso il peggio

delle interpretazioni islamiche invece che includerli laicamente: questo è l’errore più

grande.

Se ci si ferma a riflettere i terroristi dell ISIS francesi non sono poi tanto diversi dai

terrorismi degli anni ’70 e ’80. In entrambe le situazioni una ideologia era usata per

coprire un conflitto di classe: i dropout VS “I ricchi”.

JEAN-LOUP AMSELLE -antropologo

L'articolo in realtà è di un giornalista, di cui non riesco a rintracciare il nome perché il

Manifesto mi nega l'accesso (chiedendomi di abbonarmi).

JEAN-LOUP AMSELLE ELE GENERAZIONI MANDATE AL MACERO

http://ilmanifesto.info/jean-loup-amselle-e-le-generazioni-mandate-al-macero/

A seguito degli attentati, nel contesto delle trasformazioni culturali in corso in Francia,

sono emerse posizioni radicalizzate, che promuovono la guerra e lo scontro e che si

focalizzano sulle differenze piuttosto che sulle similitudini tra le parti in gioco.

L'autore ragiona sulle condizioni degli arabi e dei giovani in generale, per cui non

esistono opportunità né concrete né di identificazione.

Conclude con una riflessione sulla religione in contesti di sottomissioni: la fede diventa

affermazione dell'oppressione politica e coloniale, e dell'identità che sta diventando

“identità di guerra”, identità contro.

“Molti jihadisti provengono da famiglie non musulmane. Il problema, allora, è che le

società occidentali, la Francia tra le altre, non offrono alcuna prospettiva e alcun futuro ai

giovani. Non parlo solo in termini di impiego e lavoro, ma anche in termini di

incardinamento intellettuale. Non c’è più un «racconto nazionale» coerente, non ci sono

più partiti, niente sindacato, niente scuola, niente servizio civile o militare, niente che sia

capace di dare un senso all’esistenza di questi ragazzi.”

“La laicità secondo il modello francese non si poteva comprendere se non in rapporto alla

lotta contro una religione egemonica: il cattolicesimo, considerato alla stregua di un

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«oppio del popolo». Oggi, la religione o, meglio, il religioso è visto come «il sospiro

della creatura oppressa», per riprendere l’espressione di Marx. L’Islam si inscrive in

questa prospettiva e tutto questo ovviamente si lega allo sviluppo delle idee

postcoloniali.”

GIORGIA FURLAN - giornalista

riporta la visione di FARHAD KHOSROKHAVAR Sociologo

PERCHE’ SI DIVENTA JIHADAISTI

http://www.left.it/2015/11/16/farhad-khosrokhavar-jihad/

Il fenomeno nasce da una crisi interna all'Occidente che confonde e sconcerta e fa

abbracciare ai ragazzi qualsiasi idea – proposta - forte gli si possa presentare, e quindi in

questo momento, l'Isis.

“Secondo Khosrokhavar queste testimonianze rivelano che in realtà non ci si trova di

fronte ad una “guerra di civiltà” perché il fenomeno non sarebbe altro che una reazione

alla crisi culturale che sta vivendo lo stesso Occidente con una conseguente crisi di

identità che porta le menti più deboli ad abbracciare le utopie proposte dall’islamismo

radicale”.

Khosrokhavar ricostruisce quello che è il percorso dei kamikaze, rilevando aspetti

comuni alle diverse storie:

- in occidente operano piccoli gruppi che coinvolgono nuove persone

- i ragazzi jihadaisti sono spesso cresciuti in famiglie disgregate, c'è una tappa nelle

prigioni che precede il processo di radicalizzazione,

- c'è nelle storie un passaggio all'estero, anche breve, nel quale è previsto un percorso di

disidentificazione dal mondo occidentale, così da non provare empatia o pietà al

momento delle azioni ( un viaggio iniziatico nella terra della jihad).

“Questo passaggio è essenziale perché permette al futuro kamikaze di diventare estraneo

alla società di origine e di acquisire la crudeltà necessaria per agire senza colpa o

rimorso. È lì, sul campo, che ci si indurisce in nome della fede”.

“Il sentimento di vittimismo e l’adesione a una causa collettiva, come nel caso della Jihad

islamica, permettono il superamento dello stigma dell’emarginazione”.

“L’analisi di Farhad Khosrokhavar evidenzia la necessità di agire con politiche di

integrazione sociale e accoglienza che diano la possibilità di sviluppare identità

alternative a quelle proposte dagli estremisti islamici e non radicalizzate. Proprio per

questo le reazioni delle destre che fomentano l’islamofobia rischiano di marginalizzare

ancora di più chi già vive all’interno delle sacche di povertà presenti nella società e di

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spingere sempre più persone verso l’estremismo alla disperata ricerca di un’identità e di

un’appartenenza”

SARAH ROUBATO – mediatrice

LETTRE À MA GÉNÉRATION : MOI JE N'IRAI PAS QU'EN TERRASSE

http://blogs.mediapart.fr/blog/sarah-roubato/201115/lettre-ma-generation-moi-je-nirai-

pas-quen-terrasse

Roubato fa una analisi dei motivi per cui la Francia è stata attaccata e delle vie che

occorrerebbe seguire per depotenziare il fenomeno in medio oriente. Spiega come sia una

ipocrisia sostenere che ciò che viene colpito sono la libertà e le terrazze (spazi pubblici

esterni in cui i parigini godono del tempo libero e della libertà), soprattutto se non si

considerano tutte le altre cause sostanziali che hanno determinato la situazione attuale.

Propone di riformulare a livello mediatico l'immagine di gioventù e di “mixità”, in un

modo che non sia irrigidito e strumentalizzato, ma nel qual le persone possano

riconoscersi. Al di là di tutte le differenze di origine, viviamo tutti in un sistema

consumistico che ha impatti ambientali e sociali sul pianeta. Quindi in realtà abbiamo

aspetti tra noi di grande similitudine.

La sua proposta è di andare a trovare la mixità in persone effettivamente diverse da sé e

fa diversi esempi di natura sociale (povertà, prigioni, disoccupazione...). La terrazza

come forma di resistenza è una illusione: il mondo non cambia andando tutti in terrazza,

ma facendo qualcosa per modificare gli equilibri.

La libertà per Roubato sarà allora uscire dai percorsi di consumismo (descritti essi stessi

come libertà dal pensiero comune), rispettare i paesi che si incontrano e vivere

pienamente, andare nei piccoli teatri, fare babysitting gratuito al sabato mattina ad una

madre, stare con un vecchio solo.... propone quindi una visione diversa di sguardo e di

mondo.

La chiusura dell'articolo ne riassume bene il contenuto: “voglio dirti che non sei

obbligato ad assumere l'immagine di te, della libertà, della festa,... che ti viene proposta e

che la resistenza simbolica in questo momento non può ridursi ad andare nelle terrazze,

perché questo non avrà effetto. Ciascuno dovrebbe stare alla terrazza di se stesso

cercando di vedere all'orizzonte la società che egli spera”.

“À écouter et lire les nombreux spécialistes, il me semble qu'on a plutôt été attaqués

parce que la France est une ancienne puissance coloniale du Moyen-Orient, parce que la

France a bombardé certains pays en plongeant une main généreuse dans leurs ressources,

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parce que la France est accessible géographiquement, parce que la France est proche de la

Belgique et qu’il est facile aux djihadistes belges et français de communiquer grâce à la

langue, parce que la France est un terreau fertile pour recruter des djihadistes”.

ROBERTO BENEDUCE - etnopsichiatra

IL NEMICO INTIMO O DELLA MEMORIA MOLESTA

http://associazionefanon.it/index.php?option=com_content&view=article&id=144%3Ail-

nemico-intimo-o-della-memoria-molesta-qualche-parola-sui-tragici-fatti-di-

parigi&catid=4%3Aanalysis&Itemid=1&lang=it

L'articolo si riferisce all'attentato alla redazione di Charlie Hebro e invita ad uno sguardo

di maggiore complessità nella lettura di quanto avvenuto e nelle responsabilità: chi è il

nemico?

Sottolinea la profonda ipocrisia occidentale che proclama valori universali che poi fa di

tutto per preservare per sé solo i privilegi.

Ricorda che la qualità di vita nel mondo non è quella che noi conosciamo qui e che

questa differenza di possibilità è data anche da una serie infinita di politiche di

sfruttamento di Paesi, di sostegno di dittature, di sacrifici umani direttamente o

indirettamente determinati dai governi occidentali. Beneduce riporta puntualmente nomi

e connessioni così da descrivere un mondo intrecciato di violenza e di controllo. E la

Francia in questo disegno ha ed ha avuto un ruolo importante.

Fa poi una considerazione su come comunque gli eventi storici non agiscano in modo

deterministico nella vita degli individui che li vivono. Per esempio, a Parigi nel corso

dell'attentato di Hebro, c'è stato un algerino tra gli attentatori ed un altro algerino tra

coloro che hanno difeso i civili, nello stesso momento. Ciascuno di loro è figlio della

politica post coloniale ed ha vissuto la violenza che la Francia ha attuato ed attua sulla

popolazione algerina, ma ciascuno ha elaborato la propria esperienza in modo

individuale. Esiste quindi la libertà, a livello individuale, di “scegliere” come porsi di

fronte alla Storia.

“Da queste considerazioni non nasce alcuna alchimia in grado di interpretare quanto

accaduto, o prevenirne il ripetersi. Lo psicologico o la Cultura non hanno mai da soli

spiegato la Storia, le sue pulsazioni e le sue fratture, sebbene la Storia stia sempre dentro

le loro viscere, dormendo negli interstizi del "carattere", della "personalità", degli

"affetti", dei "sintomi", per risvegliarsi poi, bruscamente. Il "nemico intimo" è quello che

inquieta più di ogni altro, il suo volto è quello di un uomo o di una donna comuni, che

quando tradisce e uccide, colpisce indifferentemente, anche i suoi fratelli e le sue sorelle:

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come oggi in Nigeria, in Iraq o in Pakistan, lo stesso fenomeno di cui scrive Nandy in

riferimento all'India coloniale, o Theidon per il Perù dilaniato di Sendero Luminoso.

Abbiamo tuttavia una fortuna smisurata: quella di poter contare sui tanti "amici intimi"

che, come LassanaBathily, ci stanno accanto anche quando non lo sappiamo, e che

potremmo riconoscere se solo avessimo meno paura. Sono coloro che cercano, ovunque,

un'autentica libertà: quella dalle determinazioni del passato (Fanon)”.

OLIVER ROY – giornalista, islamista

NON SI TRATTA DI RADICALIZZAZIONE DELL’ISLAM. MA DI

ISLAMIZZAZIONE DEL RADICALISMO.

http://www.franceculture.fr/emission-le-journal-des-idees-l-islamisation-de-la-radicalite-

2015-11-25#.VlV4V8vFDc0.facebook

http://superdupont.corriere.it/2015/11/26/olivier-roy-il-nichilismo-dei-convertiti-alla-

jihad/

“Alcuni immigrati di seconda generazione, nati in Francia, si distaccano dall’Islam

pacifico dei padri arrivati dal Marocco o dall’Algeria; vivono alcuni anni all’occidentale,

si secolarizzano e poi tornano all’Islam — nella sua versione jihadista — perché «è

l’unica causa radicale sul mercato”.

Lo stesso accade ai non pochi europei che si convertono: innanzitutto sono in rivolta

contro la società, nichilisti e radicalmente antagonisti. Poi esprimono questa ribellione

abbracciando le idee jihadiste, quelle che garantiscono oggi il maggiore grado di rifiuto

del sistema.”

Roy sostiene quindi che la jihad non sia che una forma di radicalizzazione, una possibile,

a disposizione dei giovani. In particolare ai ragazzi di seconda generazione.

Il movimento di questi giovani è oscillatorio, si avvicina alla cultura occidentale (almeno

in alcune delle sue manifestazioni: “si dedicano al rap, bevono alcol, fumano spinelli, e

poi all’improvviso cambiano, si lasciano crescere la barba, diventano islamisti,

integralisti”) per poi ritornare in modo più radicalizzato verso l'islam. In realtà non è

prettamente una questione religiosa, dal momento che molti dei ragazzi non fanno una

formazione religiosa.

Qual è il movente?

«Alla base c’è un nichilismo, una repulsione per la società, che si ritrova anche a

Columbine e nelle altre stragi di massa negli Stati Uniti, o in Norvegia con il massacro di

Anders Breivik che fece 77 morti a Oslo e Utoya. C’è una descrizione degli assassini del

Bataclan che ricorda Breivik in modo impressionante: uccidevano con sguardo freddo,

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con calma e metodo, senza neanche manifestare odio. Il nichilismo, la rivolta radicale e

totale, è comune a tutti questi episodi, e in Europa prende la forma del jihadismo tra

alcuni musulmani di origine o convertiti».

Tutto nasce da un atteggiamento di nichilismo (ogni atteggiamento genericamente

rinunciatario e negativo nei confronti del mondo con le sue istituzioni e i suoi valori

http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/N/nichilismo.shtml). L'articolo riporta una

riflessione interessante in merito a questa oscillazione tra due culture, che non è una reale

identificazione, e “ ne veulent ni de la culture de leurs parents ni d'une culture

"occidentale", devenues symboles de leur haine de soi.” I giovani figli e nipoti di

migranti che entrano nell'organizzazione della Jihad non vogliono né la cultura dei loro

genitori né una cultura occidentale divenuta simbolo del loro odio di sé.

Roy esclude che questa radicalizzazione sia conseguente a fenomeni di razzismo o di

esclusione sociale.

“Il fenomeno dei convertiti non è spiegabile se aderiamo alla diffusa analisi post

coloniale della radicalizzazione. Alcuni miei amici progressisti, di sinistra o piuttosto

estrema sinistra, mi dicono «questi giovani sono vittime di razzismo, di discriminazioni, è

per questo che si ribellano». Non è vero. Nessuno ha discriminato i ragazzi francesi

anche di buona famiglia che si convertono. Eppure vanno in Siria pensando di tornare per

fare stragi»”

Nota: mi sembra che si possa dire, con linguaggi ed approcci diversi, che né in una

cultura né nell'altra i giovani di 2a generazione trovano i giusti codici culturali di gestione

simbolizzazione e trasformazione dell'odio

FABIO GRANDINETTI – giornalista intervista ALBERTO VENTURA – islamista

ISIS, INTERVISTA ALL’ISLAMISTA VENTURA: “RICONOSCERE

REAZIONE DELL’ISLAM SANO”

http://www.mediapolitika.com/dalmondo/15548-isis-intervista-allislamista-ventura-

riconoscere-reazione-dellislam-sano/

L'articolo fa un excursus storico sui diversi gruppi armati del medio oriente ed evidenzia

alcune specificità dell'ISIS.

“quest’ultimo atto del fondamentalismo rappresentato dall’Isis, vista la numerosa

presenza di rivoltosi europei intenti nelle “vite precedenti” a fare i rapper e i dj, vive di

una particolare trasformazione: dalla violenza disegnata strategicamente per il

raggiungimento di uno scopo preciso a una violenza fine a se stessa, all’essere contro.

Molti rappresentanti europei del nuovo Stato Islamico erano dei “trasgressori” nei loro

paesi di origine, che attuavano forme di ribellione sociale anche attraverso l’arte e la

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musica. L’Isis rappresenta per loro una grande occasione di esposizione mediatica che

vive di pura trasgressione, di violenza fine a se stessa senza un progetto politico preciso”.

Ventura riflette sul ruolo dell'occidente, ma anche sull'immagine che il mondo ha di noi.

Suggerisce di diventare più umili e riconoscere anche nell'Islam e negli stati islamici

delle forze alleate contro l'ISIS.

RAFFAELE MASTRO – giornalista intervista AMINATA TRAORÉ – scrittrice

intellettuale del Mali (in passato ministro alla cultura)

http://www.radiopopolare.it/2015/11/aminata-traore-la-jihad-in-africa-deriva-dalle-

guerre-delloccidente/

Il racconto della scrittrice descrive la nascita di Boko Haram e la diffusione dell'Isis in

Africa come conseguenza delle gestioni politiche e di guerra dell'occidente, a cui sono

seguite politiche economiche di sfruttamento (con multinazionali) che hanno impoverito

le famiglie e le comunità fino a portarle alla disperazione, lasciando armi e vuoti di

potere.

LEONARDO TANDELLI – blogger

L’ISLAM È UN PROBLEMA (NON È LA SOLUZIONE)

http://www.ilpost.it/leonardotondelli/2015/11/20/lislam-e-un-problema-non-e-la-

soluzione/

Tandelli invita a guardare il nostro tempo con una retrospettiva storica, come se ci

potessimo guardare dal futuro, per andare oltre ai falsi motivi dichiarati dei conflitti, alla

ricerca di quelli reali, che davvero spiegano il fenomeno della Jihad.

Dal suo punto di vista si utilizzano le parole “Jihad ed Islam” per dare un nome

fenomeno, per definirlo. Così che tutta la complessità scompare dietro ad un'etichetta.

Siccome non ci prendiamo il tempo di pensare e comprendere, per semplificare si

nominiamo il fenomeno. Islam è l'etichetta.

“Un giorno scrolleranno un papiro, un microfilm, un’immagine a mezz’aria, e leggeranno

dei dibattiti che facevamo nel novembre del 2015 sugli stragisti di Parigi: se fossero

morti perché (x) islamici o perché (y) vittime della mancata integrazione, del degrado

delle banlieues (z), del pasticcio geopolitico medio-orientale (w), della carestia che col

riscaldamento globale cominciava a bussare a un bordo del Mediterraneo (v): e tutti

questi concetti per loro saranno ugualmente astratti. I fatti di cronaca in sé, invece, li

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afferreranno benissimo: c’era una fazione che voleva seminare il terrore sparando a

obiettivi precisi ma anche a casaccio; questo è comprensibile, è successo altre volte e

probabilmente non smetterà mai di succedere, per cui possiamo essere ragionevolmente

sicuri che finché ci saranno individui della nostra specie, la violenza terroristica non sarà

loro aliena: ma avranno parole diverse per spiegarla, parole che a loro sembreranno molto

più semplici. Scrolleranno la testa, invece, di fronte alle nostre astruse spiegazioni, alle

nostre razionalizzazioni così poco razionali”.

LUCA STEINMANN intervista FRANCO CARDINI - (Direttore del Centro di Studi

sulle Arti e le Culture dell’Oriente dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e

storico)

ECCO CHI FINANZIA IL CALIFFATO

http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/06/29/news/ecco-chi-finanzia-il-califfato-

1.219189

La questione nasce dal postcolonialismo e dai protettorati quando l'Inghilterra in

particolare ha tentato di mantenere il controllo negando l'anima islamica. Da allora ad

oggi si è tentato di strumentalizzare questa anima per i propri interessi.

Da queste negazioni e strumentalizzazioni si è creato l'equilibrio attuale.

La nostra prospettiva per cui l'occidente è il nemico dell'isis non è corretta: il mondo

arabo è colpito molto di più dagli attacchi ed quindi anche una lotta interna allo stesso

islam, tra sciiti e sunniti. D'altra parte le politiche di prestito che l'Isis propone sono

anche esse una parte del discorso e attrae molti giovani.

Lo storico poi racconta gli equilibri politici e le alleanze del territorio, ricordando la

funzione stabilizzante di Geddafi ed Assad contro l'emergere del califfato e a favore di

uno stato basato sull'appartenenza nazionale e non religiosa.

Racconta degli interessi dell'Arabia del Qatar e della Turchia nel ridisegnare i confini del

territorio. Per questo finanziano l'ISIS.

In Europa la provocazione del Califfato mira a reazioni decise da parte del governo

contro gli ambienti islamici, perché queste azioni fanno aumentare il consenso nei suoi

confronti.

Anche tra i migranti potrebbero esserci cellule jihadaistiche, che però già di fatto

esistono. Dovremmo agire sulle cause delle migrazioni: rendere più stabili le zone e

ridurre lo sfruttamento del territorio africano da parte di multinazionali, che crescono

accanto alla grandissima povertà delle persone che abitano quel territorio.

TOMMASO PERRONE – giornalista

I NUMERI E LA STORIA DELLO STATO ISLAMICO, O DAESH

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http://www.lifegate.it/persone/news/storia-dello-stato-islamico-daesh

L'articolo riassume la storia ed il disegno della nascita dello stato islamico, e la sua entità

(l'attuale espansione, il numero delle persone che sono soggette a questo, il numero di

persone coinvolte e motivazioni di adesione all'esercito..).

C'è un riferimento anche ai combattenti che arrivano dall'Europa, le motivazioni

dell'adesione all'IS è quella dell'esclusione sociale nei paesi in cui sono cresciuti.

Lo Stato islamico non ha alleanze stabili e questo lo rende un pericolo per tutti, molti

paesi tuttavia tentano di usarlo per sistemare questioni di politica interna costruendo

alleanze contro un nemico comune (come per es. Usa, Russia,...).

THAIER AL-SUDANI – giornalista

PERCHÉ IL GRUPPO STATO ISLAMICO È CHIAMATO ANCHE ISIS O

DAESH?

http://www.internazionale.it/notizie/2015/11/17/isis-daesh-stato-islamico-nome

L'articolo si concentra sulle diverse sigle utilizzate per nominare l'IS, e rileva come

ciascuna di esse racchiuda un significato politico e semantico, così che a seconda dei

tavoli e dei luoghi viene usata l'una o l'altra formula, in relazione all'immagine che del

fenomeno si voglia promuovere.

NADIA NERI, psicoanalista

IL LAMENTO DELLA PACE

http://it.gariwo.net/editoriali/il-lamento-della-pace-14235.html

Neri, partendo da uno spunto della Roudinesco, sottolinea come la società che decide di

curarsi con i farmaci evitando il dolore dell'analisi non sia disposta a prendersi cura della

propria sofferenza e tenda a proiettare all'esterno di sé quanto gli capita.

(ndr questo capita tanto ai singoli che attribuiscono al sociale la totale responsabilità per

il proprio stato, ma anche per le nazioni, che attribuiscono ad altri, ad altre forze, la

responsabilità di quanto accade loro, senza una reale ricerca dei motivi interni che

predispongono le condizioni perché gli eventi accadano).

L'articolo apre la riflessione su come resistere, come continuare a promuovere una cultura

di pace.

Contattare il dolore è il primo passo, il proprio dolore ma anche quello degli altri.

“testimoniare il dolore – “voglio essere il cuore pensante della baracca”, diceva Etty

Hillesum nel 1941 -,

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riflettere sui fondamentalismi e sul male lasciando uno spazio alla compassione, per le

vittime ovviamente ma anche per queste tragiche figure dei Kamikaze - emblema

esasperato dell'odio per l'umanità e per se stessi, di una disperazione estrema con una

miscela esplosiva di fanatismo religioso, povertà e odio irreparabile”.

Avere fiducia (sforzarsi di credere) che questo possa essere efficace,

“I più giovani hanno un bisogno forte di credere in qualcosa di positivo, e non sarà facile

offrire loro delle risposte valide e autentiche se non riusciamo a trovarle in noi”.

“Scrivendo queste parole, penso al titolo molto evocativo di un saggio del 1517 di

Erasmo da Rotterdam: Il lamento della pace scacciata e respinta da ogni dove.”

(aggiungerei: bisogno riconoscere (anche) l'altro, nelle sue specificità e rispettarlo, non

sfruttarlo o depredarlo. Alla base di molta della violenza esiste una ingiustizia reale, e se

c'è ingiustizia non può esserci pace)

NICOLAS HÉNIN – giornalista

SONO STATO OSTAGGIO DEL GRUPPO STATO ISLAMICO E SO DI COSA

HANNO PAURA

http://www.internazionale.it/opinione/nicolas-henin/2015/11/18/ostaggio-stato-islamico

Questo articolo è più ampio e complesso, ma il suo aspetto originale è la testimonianza

diretta della modalità di funzionamento delle persone che Henin ha incontrato.

Questo articolo fa specchio alle riflessioni sulla cultura di gruppo riportate nell'articolo

della Tarantelli. La dimensione della scissione e della proiezione paranoide.

L'impossibilità di un dialogo o di un confronto, l'impossibilità di integrare elementi

dissonanti.....

Trovo interessante la riflessione del giornalista: perché possa smorzarsi questa visione è

necessario che la controparte (noi) agisca una cultura diversa.

L'alternativa è un contagio, che potrebbe farci assumere una posizione speculare.

“Ancora oggi a volte chatto con loro sui social network e posso garantirvi che gran parte

di ciò che voi pensate di loro è il risultato del loro lavoro di marketing e pubbliche

relazioni. Si presentano come supereroi, ma lontani dalle telecamere sono piuttosto

patetici: ragazzi di strada ubriachi di ideologia e potere”.

“Mi ha colpito vedere quanto siano connessi dal punto di vista tecnologico; seguono le

notizie in modo ossessivo, ma sempre commentandole attraverso i loro filtri. Sono

completamente indottrinati, si aggrappano a teorie cospirative di ogni genere, non

ammettono contraddizioni.

Qualsiasi cosa serve a convincerli di essere sulla via giusta e di essere parte di una specie

di processo apocalittico che porterà a uno scontro tra un esercito di musulmani

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provenienti da tutto il mondo e gli altri, i crociati, i romani. Ai loro occhi tutto ci spinge

in quella direzione. Di conseguenza, tutto è una benedizione di Allah.

Dato il loro interesse per le notizie e i social network, noteranno ogni singola reazione al

loro assalto omicida a Parigi, e secondo me proprio in questo momento il loro slogan sarà

“Stiamo vincendo”. Saranno rincuorati da qualsiasi segno di reazione esagerata, di

divisione, di paura, di razzismo, di xenofobia.

Centrale alla loro visione del mondo è la convinzione che le comunità non possono

vivere insieme ai musulmani e ogni giorno vanno a caccia di prove a sostegno di

quest’idea. Le immagini dei tedeschi che hanno accolto i migranti di sicuro li avranno

sconvolti. Coesione, tolleranza: non è ciò che vogliono vedere.

Nel frattempo c’è molto da guadagnare all’indomani di queste atrocità, e la chiave è

mantenere cuori forti e resilienti, perché è proprio quello che loro temono più di tutto. Io

li conosco: si aspettano i bombardamenti. Ciò che temono è l’unità.

OLIVIER ROY - giornalista

QUELLA DEI JIHADISTI È UNA RIVOLTA GENERAZIONALE E

NICHILISTA

http://www.internazionale.it/opinione/olivier-roy/2015/11/27/islam-giovani-jihad

L’articolo riprende alcune delle tesi citate dai precedenti, ma senza citarne le fonti

(islamizzazione del radicalismo, percorsi di adesione all'IS...). Approfondisce meglio

però gli aspetti di formazione e composizione dei gruppi di adolescenti e dell'impatto di

rottura generazionale e familiare, nonché il completo disinteresse degli aderenti per le

cause sociali e l'aspetto dell'onnipotenza percepita a seguito del terrore suscitato dalla

loro appartenenza all'IS.

Interessante anche la descrizione dei gruppi, composti da fratelli o sorelle, che si

oppongono ai tentativi dei genitori di modificare la loro posizione, e che si pongono

quindi fuori da ogni tipo di comunità che non sia quella mussulmana radicale.

“Oggi due letture dominano la scena, indirizzando i dibattiti televisivi e le pagine dei

giornali: la spiegazione culturalista e quella terzomondista. La prima insiste sulla

ricorrente guerra di civiltà: la rivolta dei ragazzi musulmani dimostra che l’islam non può

integrarsi, almeno fino a quando una riforma teologica non cancellerà dal Corano l’invito

al jihad.

La seconda insiste sulla sofferenza postcoloniale, sull’identificazione dei giovani con la

causa palestinese, sul loro rifiuto degli interventi occidentali in Medio Oriente e sulla loro

esclusione da una società francese razzista e islamofoba, e da lì il solito ritornello: finché

non risolveremo il conflitto israelo-palestiense la rivolta andrà avanti. Ma entrambe le

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spiegazioni presentano lo stesso problema. Se le cause della radicalizzazione sono

strutturali, allora perché il fenomeno colpisce solo una parte minima e molto circoscritta

dei musulmani francesi?”

“I giovani convertiti, per definizione, aderiscono alla religione “pura”. Il compromesso

culturale non gli interessa (a differenza delle vecchie generazioni che si convertivano al

sufismo) e si uniscono alla seconda generazione nell’adesione a un “islam di rottura”, una

rottura generazionale, culturale e politica. Non serve a niente offrirgli un islam moderato,

perché è precisamente il radicalismo ad attirarli. Il salafismo non è solo una predicazione

finanziata dall’Arabia Saudita, ma il prodotto più adatto a questi ragazzi alla deriva”.

“Come i genitori dei convertiti, anche loro cercano sempre più spesso di frenare la

radicalizzazione dei figli: chiamano la polizia, vanno in Turchia a recuperarli, temono che

i fratelli maggiori possano trascinare i più piccoli. In questo senso, lungi dall’essere il

simbolo di una radicalizzazione della popolazione musulmana, i jihadisti creano e

alimentano una frattura generazionale, spaccando in due le famiglie”

“È inutile parlare della taqiyya (dissimulazione) perché una volta “rinati” questi ragazzi

non si nascondono e manifestano le loro nuove convinzioni anche su Facebook.

Esibiscono la loro nuova personalità onnipotente, la loro voglia di rivincita, l’esaltazione

che deriva dalla volontà di uccidere e la fascinazione per la propria morte. La violenza a

cui aderiscono è una violenza moderna.”

“Questo individualismo forsennato si ritrova nel loro isolamento rispetto alle comunità

musulmane. Pochi frequentano una moschea e i loro imam sono spesso autoproclamati.

La loro radicalizzazione si sviluppa attorno a immagini di eroi, alla violenza e alla morte,

non alla sharia o all’utopia. In Siria vanno solo per combattere, nessuno di loro si integra

o si interessa alla società civile. Sono più nichilisti che utopisti “

“Tutti si radicalizzano insieme a un piccolo gruppo di “compagni” che hanno incontrato

in un luogo particolare (quartiere, prigione, società sportiva), con cui ricreano una

famiglia e ritrovano un senso di fratellanza. E qui emerge uno schema molto importante

che ancora nessuno ha studiato: questa fratellanza è spesso biologica. Tra gli attentatori

troviamo regolarmente coppie di fratelli: i fratelli Kouachi e Abdeslam, Abdelhamid

Abaaoud che rapisce suo fratello minore, i fratelli Clain che si convertono insieme, i

fratelli Tsarnaev che organizzano l’attentato di Boston dell’aprile 2013.”

“Come se radicalizzare i fratelli (e le sorelle) fosse un modo per sottolineare la

dimensione generazionale e la rottura con i genitori. La cellula si sforza di creare legami

affettivi tra i suoi componenti, che spesso sposano la sorella di un compagno d’armi.

Ma perché scelgono l’islam? Per i ragazzi della seconda generazione il motivo è

evidente: rielaborano un’identità che ai loro occhi è stata compromessa dai genitori e si

convincono di essere “più musulmani dei musulmani”, in particolare dei padri. Le

energie che dedicano ai vani tentativi di riconvertire i genitori sono eloquenti e al tempo

stesso mostrano fino che punto si trovano ormai su un altro pianeta. Quanto ai convertiti,

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scelgono l’islam perché sul mercato della rivolta radicale non c’è altro. Entrare nell’Is

significa avere la certezza di poter seminare il terrore”

SIMONA TALIANI – psicologa, antropologa

QUANTO CI RIGUARDA "LA FECCIA"? NOTE ETNOPSICHIATRICHE

SULLA CULTURA E SUI SUOI SEMBIANTI

http://associazionefanon.it/index.php?option=com_content&view=article&id=162%3Aqu

anto-ci-riguarda-qla-fecciaq&catid=4%3Aanalysis&Itemid=1&lang=it

“La feccia” è il termine utilizzato dall'allora ministro degli interni Nicolas Sarkozy per

connotare le persone coinvolte nelle rivolte (dei giovani di seconda generazione) a Parigi

che nel 2005 seguirono all'uccisione di due ragazzi francesi di origine straniera.

Taliani sceglie inizialmente un taglio socioantropologico e descrive le condizioni di vita e

possibilità del quartiere da cui nacquero le rivolte, che è lo stesso quartiere in cui sono

cresciuti due dei militanti coinvolti nella uccisione di Hebro e una delle persone che si è

fatta esplodere al Bataclan. Il tasso di criminalità nel quartiere è il più alto di Francia ed

“abitare nel 93mo dipartimento è un marchio sociale”. I servizi sono scarsi o assenti,

nelle scuole mancano insegnanti. Si tratta di “nuove forme di esclusione sociale dello

stato neo-liberale”. Questo progetto non riconosce il valore culturale delle persone che

vivono il quartiere e richiede una omologazione, una forzata adesione allo stato, senza

peraltro assicurare le opportunità che altri cittadini hanno.

Nathan sottolinea l'opportunità di permettere ai gruppi di migranti di vivere insieme così

da sperimentare un riconoscimento della cultura che li caratterizza e di poter trasmettere

alle generazioni successive messaggi fondati sul valore di sè. Solo così i bambini, una

volta cresciuti possono accogliere per amore le proposte culturali che vengono dal mondo

che incontrano, in modo creativo. “Risparmieremo così alle seconde generazioni, molto

più di quanto non siamo capaci di fare oggi, di cadere nella delinquenza, nella

tossicomania o peggio ancora nell'ideologia: che sono tutte e tre dei sembianti di cultura

più accessibili perché semplificati e piatti.”

La Taliani pone l'accento sull'importanza di tenere in considerazione l'aspetto culturale

nel contesto della cura, e non solo gli aspetti sociali. Si tratta di minoranze disonorate,

rispetto alle quali è stata espressa una indesiderabilità, e le stesse istituzioni hanno agito

una violenza che ora ritorna con le manifestazioni di cui siamo testimoni.

Questi agglomerati di città sono stati creati e pensati come spazi esclusi dalle opportunità.

Il terapeuta deve esserne consapevole e tenere in mente anche i significati, le paure ed i

sogni che sono connesse alla dimensione culturale. E conoscere le implicazioni storiche

di quanto sta avvenendo nel momento della consultazione, perché la cura non sia un

ulteriore tentativo di violenza e sottomissione.

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Si auspica uno spazio di accoglienza per l'alterità e le sue promesse, che sia libero dalla

violenza e dal disconoscimento dell'altro. Questo spazio per ora esisterà nell'intimo della

stanza della terapia.

CHRISTOPH REUTER – giornalista

THE TERROR STRATEGIST: SECRET FILES REVEAL THE STRUCTURE

OF ISLAMIC STATE

http://www.spiegel.de/international/world/islamic-state-files-show-structure-of-islamist-

terror-group-a-1029274.html

A proposito della scuola, ecco un ultimo interessante articolo di Maria Bacchi:

maestra e studiosa dell’infanzia, che da anni si occupa della reazione di

bambini e adolescenti ai contesti di guerra

http://www.origamisettimanale.it/2015/12/07/speciali/origami/come-parlare-di-

terrorismo-ai-bambini-non-sdrammatizziamo-facciamoci-raccontare-le-loro-paure-

gjr8cBcTagug8WJwdgdzjP/pagina.html