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54 Carl Teologia Politica a leggenda della liquidazione di ogni teologia Politica GIUFFRE

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Carl

Teologia Politicaa leggenda della liquidazione

di ogni teologia Politica

GIUFFRE

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Carl Schmitt

Teologia politica II

Nella forma di una disputa con il teologoErik Peterson riemergono in Teologia politicaII, del 1970, l'ultimo libro pubblicato daCarl Schmitt, i temi che ne caratterizzanol'opera intera. L”analogia strutturale dei con-cetti della teologia e della giurisprudenza, ilprocesso della secolarizzazione, il concettodel politico acquistano nuova luce nell'inter-pretazione “autentica” che ne dà il loro au-tore in risposta ad una letteratura stratifica-tasi sulla scorta di una pretesa “liquidazione”della sua opera fatta da Peterson in un librodel 1935 su Il monoteísmo come problema poli-tico, in apparenza dedicato a problemi deiprimi tre secoli del cristianesimo ma in realtàdeterminato dalla crisi del primo dopoguerrae rivolto alla critica della prima Teologiapolitica, pubblicata da Schmitt nel 1922.Tolta dalla ferita la “freccia del parto” in-fertagli dal vecchio amico Peterson, CarlSchmitt avvia nella parte finale dell'opera undialogo con Hans Blumenberg sulle inco-gnite che incombono sul nostro presente efuturo prossimo.

'A'

CARL Sci-|M11'r nacque a Plettenberg l'11 luglio 1888e morì nella città natale il 7 aprile 1985. Giurista dirango negli anni di Weimar, la sua lunga vita è parti-colarmente contrassegnata dagli eventi politici deglianni 1933-36 che lo videro partecipe della vita pubblicadel suo Paese con la speranza di poterne influenzare leistituzioni e rapidamente ridotto al silenzio dall'ostilitàdel re ime. Su questo triennio i critici e detrattori delseconão dopoguerra hanno insistito fin troppo, trascu-rando il fatto di per sé impressionante di un”operascientifica che si svolge nell'arco di oltre settant'anni,facendo di Carl Schmitt il maggiore pensatore politicodi questo secolo ed un suo raro testimone.

Open: Sono già apparse in traduzione italianapresso lo stesso Editore le sue opere principali: Il custodedella costituzione; Dottrina della costituzione; Romantirismopolitico; Cattolicesimo romana eforma politica; Terra e mare;Srrittí su Hobbes. Presso altri editori: Le categorie delpolitico; La dittatura; Teoria del partigiano; Ex captivitatesalus; Il nomos della terra. La più completa Bibliografia die su Carl Schmitt è pubblicata da Piet Tommissen. Sullarivista Behemoth si trovano il Colloquio sul potere e breviarticoli, oltre ad una serie di documenti ed una rassegnadella più recente letteratura schmittiana.

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civiltà del dirittocollana già diretta da FRANCESCO C/\LAsso- curata da Fmmcßsco MERQDANT1: -

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TITOLO ORIGINALEI

CARL SCHMITT

Politische Theologie II.Die Legenda 1/on der Erledigungjeder Politischen Theo-logie.Dundeer 8 Humblot - Berlin, 1984. Testo della seconda edizioneche riproduce invariata la prima edizione del 1970.

Traduzione italiana di Antonio Caracciolo.

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Carl Sclnnitt

eologia PoliticaLa leggenda della liquidazione

di ogni teologia Politica

a cura di

ANTONIO CARACCIOLO

AG

GIUFFRÈ EDITOREMILANO- 1992

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ISBN 88-14-03216-5

TUTTE LE COPIE DEVONO RECARE IL CONTRASSEGNO DELLA S.I.A.E.

Copyright 1992 Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Milano

La traduzione, Yaclattamento totale o parziale, la riproduzione con qual-siasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie), nonchè lamemorizzazione e cttromca, sono riservati per tutti 1 Paesi.

Tipografia «MORI 8: C. S. p.A. ›› - 21100 VARESE - Via F. Guicciardini 66

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INDICE

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Rinvio ad orientamento del lettore . . . . . . . . . . . . . . . . . .Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

CAPITOLO ILA LEGGENDA DELLA DEFINITIVA

LIQUIDAZIONE TEOLOGICA

1. Contenuto della leggenda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2. Critica di Hans Barion alla teologia politica . . . . . . . . . .3. L'attualità presente della leggenda della liquidazione (Hans

Maier - Ernst Feil - Ernst Topitsch) . . . . . . . . . . . . . .

CAPITOLO IIIL DOCUMENTO LEGGENDARIO

1. Origine e delimitazione temporale della materia . . . . . . .2. Aggiunta teologico-politica: le roi règne et ne gouverne pas.3. Delimitazione della materia e formulazione del problema dal

lato politico: la monarchia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4. Delimitazione della materia e formulazione del problema dal

lato teologico: il monoteismo . . . . . . . . . . . . . . . . . .5. Eusebio come prototipo della teologia politica . . . . . . . .6. Il confronto Eusebio-Agostino . . . . . . . . . . . . . . . . _

CAPITOLO IIILA TESI CONCLUSIVA LEGGENDARIA

1. Le asserzioni della tesi conclusiva . . . . . . . . . . . . . . .2. La forza espressiva della tesi finale . . . . . . . . . . . . . . .

PosU'azione - Sulla situazione odierna del problema: La legittimitàdell'età moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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PRESENTAZIONE

I testi .vchmittiani sulla « teologia politica ›› hanno susci-tato una vasta letteratura critica. Se ne è occupato Klaus M.Kodalle con una delle prime monografie (1) che si distaccanodall'interpretazione incentrata su uno Schmitt irrimediabil-mente legato all'erperienza nazista (2), vale a dire ad una« concrezione storica dello “Stato forte ” e del mito politi-co ›› (5). L'opera complessiva di Schmitt viene esaminata

(1) Klaus-Michael KODALLE, Politi'/e als Macht and Mythor. CarlSchmitt: « Politische Theologie ››, Stuttgart-Berlin-Köln-Mainz, Kohl-hammer, 1973. Sulla disputa Peterson-Schmitt si veda Alvaro d'ORS,Teologia politica: una revisione del problema, in Revista de EstudioxPoliticos, n. 205, Enero-Febrero 1976, pp. 41-79.

(2) Forse uno dei lavori più rappresentativi di questa linea inter-pretativa è la dissertazione di Jürgen FIJALKOWSKI, Die Wendung zumFührerstaat. Die ideologische Komponenten in der politischen PhilosophieCarlSchmitts, Berlin, 1958; su cui si veda la recensione di K. SONTHEIMER,in Archiv ƒiir Rechts- und Sozialphilosophie, 1959, Heft 4, p. 621-24; edello stesso SONTHEIMER, Carl Schmitt. - Seine « Loyalitãt ›› gegenüberder W/eimarer Veøƒassung, in Neue politirche Literatur, 1958, 3. Jahrg.,Heft 10 (Oktober), Sp. 758-770. Senza prendere posizione contro questeinterpretazioni Kodalle osserva che l'opera di Schmitt resta nondimenosignificativa « proprio dal punto di vista di un interesse esistenziale allarealizzazione di uno Stato di diritto sociale e democratico ›› (op. cit., 24).Pur riconoscendo la necessità di un'analisi della situazione storica dellarepubblica di Weimar per la comprensione della teoria schmittiana,l'autore - richiamandosi a Schmitt - respinge fermamente quelleconcezioni che interpretano le forme di pensiero come « rispecchiamen-to ››. Per l'anno in cui fu scritto, nel 1972, il libro di Kodalle deve definirsicoraggioso.

(3) Così KODALLE, op. cit., 101. L'analisi storica e filosofica - entrocui andrebbe posto il problema costituito dagli intellettuali che vi

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vi Teologia politica II

sincronicamente da Kodalle sotto il filo conduttore del con-cetto di « teologia politica ››. Tra la Teologia Politica I e IInon vengono individuate dififerenze di un qualche rilievo. Ladisputa con Peterson - genericamente indicato come unteologo della stessa generazione - appare qui solo comeun'occasione che a Schmitt riesce quanto mai opportuna peruna precisazione del suo pensiero e per una serie di osserva-zioni sui problemi piiì recenti (4). Neppure acquista partico-lare significato - nella Teologia Politica II - il dialogoavviato con Hans Blumenberg. La teoria politica di Schmitt- osserva Kodalle - mette in luce strutture che ognidemocratico e chiunque si trovi impegnato nella teologiapolitica deve avere constantemente presenti (5).

Alla tesi di Peterson sul monoteismo ed alla sua disputacon Schmitt è stata nondimeno dedicata un'apposita mono-grafia ad opera di piu autori, le cui ricerche portano ad un« risultato in certo modo negativo: la tesi petersoniana dellaliquidazione ê insostenibile nella sua forma globale, e preci-samente nella sua concrezione storica come pure nella suageneralizzazione sistematica ›› (6). Tutto il materiale storico e

aderirono - è tuttavia ancora solo agli inizi. Le reazioni vivacissime -in Germania - alle opere di Ernst Nolte, che si è accinto a questocompito, dimostrano quanto sia difficile e pericoloso muoversi in questoàmbito di ricerca.

(4) KODALLE, op. cit., 115; e p. 147, nt. 10: « PrincipalmenteSchmitt si dedica in questo libro alla disputa con la teologia di ErikPeterson e con la sua argomentazione, ripresa anche da Hans Maier,contro ogni possibilità di una teologia politica cristiana; da un punto divista sistematico, quest'analisi non mette in luce aspetti nuovi ››. Si vedaanche Julien FREUND, La teologia politica secondo Carl Schmitt, in Behe-moth, n. 6, luglio-dicembre 1989, pp. 33-40; e recentemente, GünterMASCHKE, La rappresentazione cattolica. La teologia politica di CarlSchmittcon uno sguardo ai contributi italiani, in Trasgressioni, n. 13, a. VI n. 1,gennaio-aprile 1991, pp. 21-43.

(5) KODALLE, op. cit., 131.(6) A. SCHINDLER, Einführung zu Monotheismus als politisches Pro-

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Presentazione VII

probatorio utilizzato da Peterson ê stato riesaminato da sin-goli studiosi; ne sono state vagliate le tesi ed i documenti.Aristotele e lo pseudo Aristotele, Filone di Alessandria, gliapologeti e Tertulliano, Celso ed Origene, Eusebio di Cesa-rea, i tre cappadoci, Giovanni Crisostomo ed altri, i teologilatini del IV e del Vsecolo, Agostino (7) vengono tutti rilettipuntualmente seguendo passo passo il testo di Peterson, pergiungere infine ad una conclusione contrastante. Avrebbepotuto limitarsi, se ne conclude, ad una trattazione «dom-matica » sul significato antipolitico della dottrina della Tri-nità; invece Peterson ha voluto dare una « cifratura » storicaalla sua tesi, facendo sorgere in tal modo la leggenda di cuiparla Schmitt e provocando una piu ampia discussione.

Ma va pure considerato, del resto, come pochi anni primauna tesi diametralmente opposta a quella di Peterson andassesostenendo il teologo evangelico Alfred de Quervain, il qualein un volume sui « Presupposti teologici della politica.Lineamenti di una teologia politica ›› esordiva con la consta-tazione che « Popolo, Stato, agire politico non possono starein avvenire fuori o al margine della considerazione teologi-ca ›› (8). Questo autore introduceva all'interno del dibattitoteologico le tesi schmittiane sulla teologia politica, espressa-mente richiamate nel testo e senza alcuna intenzione liquida-

blem? Eri/e Peterson und die Kriti/e der politischen Theologie, hrsg. von A.Schindler, Gütersloh 1978, 11.

(7) Ad Agostino oltre ad un articolo di A. Schindler nel volumecollectaneo Monotheismus, cit., è dedicato in altro volume collectaneoDer Fürst dieser Welt. Carl Schmitt und die Folgen, hrsg. von ]acobTau-bes, München-Paderborn-Wien-Zürich, 1985 (2“ ed.), un articolo diHubert CANCIK dal titolo Augustin als costantinischer Theologe, pp.136-152, che Günther KRAUSS, I miei ricordi di Carl Schmitt. Parte I:1929-1931, in Behemoth, n. 4, Gennaio-Giugno 1988, p. 13, indicasegnatamente accanto alla Teologia Politica II come la «liquidazionedella liquidazione ››.

(3) Cfr. Alfred DE QUERVAIN, Die theologischen Voraussetzungender Politi/e. Grundlinien einer politischen Theologie, Berlin, FurscheVerlag. 1931, p. 11.

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VHI Teologia politica II

toria. È normale supporre che lo scritto di de Quervain fossenoto a Peterson che nel 1930 aveva lasciato la Chiesa evan-gelica per convertirsi al cattolicesimo. La prima « TeologiaPolitica ›› aveva avuto una diflusione tale che ormai bisognavafare i conti con essa anche a prescindere da una disputa direttacon lo stesso Schmitt. Ilmodo dipensare di de Quervain apparein stridente contrasto con quello di uno scrittore come Petersonassertore di una teologia «pura ››: « La teologia ha a che farecon la realta piena dell'uomo; essa non ê l'elaborazione siste-matica di verità prive di tempo ›› (9). Due anni dopo lo scrittodi de Quervain, a Breslau, Friedrich Gogarten teneva il 18gennaio 1933 un discorso sul tema della « Teologia secolariz-zata nella scienza politica ››, che traeva spunto proprio dallateologia politica di Carl Schmitt (10). Mentre Schmitt tuttosommato volgeva la sua attenzione al processo della secola-rizzazione con riguardo, per cosi dire, alle ricadute dei concettiteologici nel campo della giurisprudenza e delpensieropolitico,de Quervain traeva conseguenze sul piano teologico dal teo-rema schmittiano della secolarizzazione. Ma ciò appare forseancora piu evidente in Gogarten, la cui adesione al nazional-socialismo contribuiva a gettare una luce sinistra sulla teologiapolitica schmittiana (11). Contro questi sviluppi si può pensare

(9) Ivi.(10) Cfr. E. ARRIGONI, Alle radici della secolarizzazione. La teologia

di Gogarten, Torino, Marietti, 1981, p. 9, 39. Questo studioso consideraGogarten come « il più battagliero nel gruppo di quei teologi-parroci chehanno sconvolto la teologia del XIX secolo e hanno dato inizio ad unanuova teologia ›› (p. 5) nonché « uno dei protagonisti della teologia pro-testante del nostro secolo ›› (p. 11). La secolarizzazione, a differenza delsecolarismo - spiega Arrigoni - non ha in Gogarten nessun significatodeteriore: « Ijessenza dell'uomo è nello stare tra Dio e il mondo; lasecolarizzazione è la ricerca dialettica di questo “ tra ” ›› (p. 10).

(U) ARRIGONI, op. cit., spiega lucidamente la << simpatia di Gogar-ten per il nazismo, in cui lo stato prende il sopravvento ›› con concezionigià maturate nel 1928, per le quali «lo stato è il principale ordinamentodella creazione ›› (p. 30); l'adesione di Gogarten al nazismo è tutta basatasu considerazioni teologiche: « Lo stato frena la potenza del male, ha una

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Presentazione lx

che Peterson, in rotta con un ambiente religioso di cuifacevaparte ancora pochi anni prima, intendesse schierarsi colpendoil male all'origine, cioè nelle tesiposte dalla Teologia PoliticaI di Schmitt.

Ricostruendo le fasi del processo di conversione al catto-licesimo di Erik Peterson sarebbe forse possibile trovarespiegazioni ad un comportamento che appare altrimenti«strano ›› (12). Lo stesso Schmitt - nel testo - sembradubitare che la conversione sia perfettamente riuscita, quandoosserva a proposito della domanda politica sorta negli anni1925-1935 dalla crisi della teologia protestante: «Petersoncredeva di essere sfuggito alla crisi con il ritorno ad undogmatismo privo di problemi e di aver trovato la sicurapurezza di un teologico puro ›› (13). Ma ciò richiederebbe unanon 'facile analisi della spiritualità petersoniana. Piu sempli-cemente, può anche ravvisarsi nella posizione di Peterson il

funzione mediatrice tra Dio e l'uomo, ed è mezzo indiretto per la salvezzadell'uomo, perché il suo fondamento è Dio stesso. Per queste ragioniteologiche Gogarten credette di identificarsi con lo stato del suo tempo.Lo stato tedesco era in procinto, attraverso il capovolgimento politico del1933, di realizzare nella propria esigenza di totalità la sua essenza di stato.Questa esigenza veniva assunta in modo così totale, che non c`era piùnulla nell'esistenza umana che si potesse sottrarre allo stato. Questa è lanovità nel confronto con lo stato della costituzione di Weimar. Lo statoè ora diventato uno stato sovrano. L'uomo appartiene al suo popolo eattraverso il suo popolo allo stato ›› (p. 31).

(12) Così Günther KRAUSS, I miei ricordi di Carl Schmitt. Parte I:1929-1931, in Behemoth, n. 4, cit., p. 12-13, parla dei rapporti fra Schmitte Peterson: « L'altro teologo era Erik Peterson, allora ancora prote-stante, più tardi convertito al cattolicesimo, dopo di che i suoi lavoripeggiorarono stranamente ed egli, ancora più stranamente, attaccò per-fino il suo amico Carl Schmitt, specialmente la sua Teologia Politica, cheegli dichiarò «liquidata », dove in questa liquidazione è in ogni caso didurevole importanza l'uso della parola liquidazione a lui risalente ››. Ilprimo dei due amici teologi a cui si riferisce Krauss è il cattolico KarlEschweiler, che aderì in modo entusiastico al nazionalsocialismo fino allasua morte avvenuta nel 1936.

(13) Cfr. infra, p. 68.

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x Teologia politica II

rifiuto di una scelta politica - l'adesione al nazionalsociali-smo - da parte di due amici cattolici, Eschweiler (14) eSchmitt, con i quali aveva avuto una notevole dimestichez-za (15), e la cui successiva scelta egli poteva ritenere derivasseda un errore di dottrina (16). Ai nostri fini può essere qui

(14) Cfr. Ernst L. FELLECHNER (unter Mitarbeit von Michael GER-TGES), Zur biographiscben und tbeologischen Entwic/elung Petersonsbis1935 - Eine S/eizze, in Monotheismus als politisches Problem? ErikPeterson una' die Kriti/e der politischen Theologie, hrsg. von A. Schindler,cit., 95. .

(15) Un'influenza di Schmitt sulla conversione di Peterson - se-condo quanto sostiene Salin - sembra allo stato da escludere; cfr. PietToMMIssEN, Bausteine zu einer wissenschaftlichen Biografie (Periode: 1888-1933), in Complexio Oppositorum. Uber Carl Schmitt, hrgs v. HelmutQuaritsch, Berlin, Düncker 81 Humblot, 1988, p. 82; e Michele NICOLETH,Trascendenza e Potere. La teologia politica di Carl Schmitt, Brescia, Mor-celliana, 1990, p. 415, nt. 73, che ha potuto consultare presso l'ArchivioPeterson una lettera di Schmitt a Peterson, nella quale si manifestava« sorpresa ›› per l'avvenuta conversione. Nicoletti sulla base del materialeepistolare consultato parla di un rapporto non «privo di disagio edimbarazzo per 1"' ambiguità ” della posizione politica schmittiana ››.

(16) Ancora Kimuss, I miei ricordi, cit., parte 3, in Behemoth, n. 6,luglio-dicembre 1989, p. 9-10, ci informa su alcune divisioni provocatedall'irrompere del nazismo. Anche se la « maggior parte ›› degli << amicie discepoli ›› di Schmitt aderì al regime, vi furono delle eccezioni. Traqueste la più significativa fu per Krauss quella rappresentata da FranzKramer, al quale egli doveva la prima conoscenza di Carl Schmitt. AKrauss riuscì di combinare un incontro fra Kramer e Schmitt, ma i duenella più grande cortesia e rispetto reciproco rimasero ciascuno sulleproprie posizioni. Alfargomentazione di Krauss che ora ci fosse nuova-mente uno Stato forte, Kramer rispondeva: « All'errore non auguro laforza! ›› Da G. SCHWAB, Carl Schmitt, la sfida dell'eccezione, trad. it.,Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 10 allo stesso riguardo apprendiamo suSchmitt che « l'atteggiamento di molti dei suoi vecchi allievi, amici eseguaci, costretti a lasciare la Germania, si modificò. Essi lo videro in unaluce fortemente condizionata dalle passioni politiche di quei giorni. Fu illoro radicale dissenso con la decisione di Schmitt che li indusse adattaccarlo con asprezza, al punto da rendere nei fatti impossibile undiscorso spassionato su Schmitt e la sua opera. L'attacco a Schmitt finìper mettere in discussione la sua integrità, condusse a tacere alcune sue

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Presentazione x1

suƒficiente rilevare come l'opera di Peterson del '35 rappre-senti in ogni caso uno spartiacque nella letteratura sullateologia politica schmittiana, fornendo a Schmitt l'occasioneper pubblicare nel 1970 una Teologia Politica II. Prima del1935 lo scritto piu importante sulla « Teologia Politica ›› del1922 è l'articolo di Hugo Ball che secondo quanto asserisce lostesso Schmitt fu il primo autore a porre la << Teologia poli-tica » in connessione sistematica con tutta la produzioneschmittiana (17). In questo articolo è innanzitutto sottolineatoil cattolicesimo di Schmitt, del quale si dice che « se gli scrittidi questo singolare professore (per non dire confessore) ser-vissero solo a far riconoscere e studiare la fisionomia cattolica(universale) del loro autore, ciò basterebbe pienamente adassicurare loro un rango eminente ›› (18). Segue a sostegno diquesto giudizio una citazione da Chesterton e quindi unconfronto dell'opera di Schmitt con quella dei suoi modelli,vale a dire Bonald, de Maistre, Donoso Cortés. All'educazionecattolica ed al temperamento passionale Schmitt deve pure lasuperiorità stilistica della sua forma rispetto a quella ogget-tiva, impersonale e astratta dei Kelsen, Krabbe, Preuß.

Non si tratta di un giudizio isolato. Prova ne sia _piccola ma illuminante - quanto sei anni piiì tardi, neldicembre 1930, riporta la rubrica di informazioni culturalidella rivista Der Ring, al fascicolo 51 del 21 dicembre, dovesi rileva come « da alcuni anni regna nella teologia una vita

idee, a distorcerne altre, 0 anche ad appropriarsi di concetti da luielaborati senza riconoscerlo... ››. I « molti ›› non sono necessariamente la« maggior parte», ma fra essi poteva ben esserci Erik Peterson, cheemigrò non in America, ma in Italia, a Roma. La più estesa biografia diSchmitt finora scritta da Joseph W. BENDERSKY, Carl Schmitt. Theorist forthe Reich, Princeton, University Press, 1983, di Erik Peterson non fapurtroppo neppure il nome.

(17) Hugo BALL, Carl Schmitts Politische Theologie, in Hocbland,1924, p. 263-85. Assai più recenti in tal senso i lavori di Kodalle, Beneyto,Nicoletti.

(13) Hugo BALL, op. cit., ora in Der Fiirst dieser Welt, cit., p. 100.

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X11 Teologia politica II

straordinariamente intensa, che esercita la sua influenza assaioltre i confini del mondo degli specialisti ed attira in sua baliaanche non teologi, tutti gli intellettuali» (19). Fra i nomi piusignificativi di questo straordinario rigoglìo figurano di parteevangelica Barth, Gogarten, Thurneysen, de Quervain, Til-lich e di parte cattolica Guardini, Herwegen, Eschweiler, chetrovano tutti espressione nella rivista Religiose Besinnung,allora al terzo anno. Piu avanti, dando notizia di una confe-renza sul tema dello stato totale tenuta da Schmitt il 5dicembre, si ricorda dei suoi scritti in primo luogo la Politi-sche Theologie (20). Tutto il fascicolo e uno specchio dellavita intellettuale e politica di quel fine anno 1930. Si aprecon una lettera di Moeller van der Bruck su «Il TerzoReich ›› (21), con un'altra «sul nazionalsocialismo ›› (22), èpubblicata una lettera da Vienna sui rapporti fra la Chiesaed il nazionalsocialismo (25), e dopo articoli di HeinrichForsthofi su « Fede e teologia nella crisi della vita spiritua-le ›› (24) e di Ernst Rudolf Huber sul « Diritto ecclesiasticoevangelico ›› (25) ne appare un altro diMartin Grimm (26) con

(19) Nella rubrica Umschau, sotto Zwischen/eirchliche Verstãndi-gung, in Der Ring. Konservative Wochenschrift, III. Jahrgang, Heft 51, 21.Dezember 1930, p. 911. Editore della rivista era Heinrich von Gleichen.

(2°) Umschau, cit., sotto il titolo Carl Schmitt über den totalenStaat, p. 912.

(21) Das Dritte Reich, in Der Ring, cit. 883-84. Si tratta di unalettera del dicembre 1922 indirizzata a Heinrich von Gleichen. Vienepubblicata in ragione della sua attualità e in occasione dell'uscita inedizione popolare del libro di Moeller van der Bruck Das Dritte Reichpresso la Hanseatische Verlagsanstalt.

(22) Ueber de Nationalsozialismus, Lettera di Hans Prinzhorn, inDer Ring, cit., 884-885.

(25) Kirche und Nationalsozialismus, in Der Ring, cit., p. 895-896.(24) Heinrich FORSTHOFF, Glaube und Theologie in der Krisis des

Geisteslebens, in Der Ring, cit., 897-900.(25) Ernst Rudolf HUBER, Evangelisches Kirchenrecht, in Der Ring,

cit., 900-903.(26) Martin GRIMM, Politische Theologie, in Der Ring, cit. 903-906.

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Presentazione XIII

titolo posto fra virgolette « Politische Theologie >›, che e laseconda parte di una discussione della posizione teologica diGogarten con forti implicazioni politiche.

Paradossalmente, dopo altri sei anni, lo stesso giudizio diHugo Ball, da noi riportato testualmente (27), ricorre inun'ottica completamente rovesciata nella serie degli attacchinazisti contro Carl Schmitt. Secondo la concezione di AlfredRosenberg espressa nel Mito del XX secolo il cattolicesimo e"il maggiore dei mali, ancora più dell'ebraismo e della masso-neria, e Carl Schmitt era indiscutibilmente un cattolico.Dallanonimo estensore di un « dossier ›› riservato prove-niente dall'Uflicio Rosenberg, Schmitt è assimilato insieme alsuo modello Donoso Cortes ad uno dei « successori spiritualidei Grandi Inquisitori ››, il cui fine è di consolidare edaccrescere il potere del cattolicesimo. La qualita cattolica diSchmitt ê documentata con la citazione dei giudizi entusiasticidi Gundlach, Erich Przywara - entrambi gesuiti - e conampi brani ripresi dall'Allgemeine Rundschau e dalla Katho-lische Volkszeitung (28), ma soprattutto con giudizi tratti daHugo Ball, che fornisce all'estensore nazista per le restantipagine del « dossier ›› la chiave di lettura di tutta la produ-zione schmittiana, sulla quale abbiamo così un intreccio divalutazioni ed interpretazioni contrastanti.

Martin Grimm è uno pseudonimo di Karl Eschweiler: devo l'informa-zione a Giinter Maschke. Per le sue posizioni dottrinali Eschweiler verràsospeso dallinsegnamento; cfr. Mario BENDISCIOLI, La Germania religiosanel III Reich. Conflitti religiosi e culturali nella Germania nazista, Brescia,Morcelliana, 1936, p. 198, nt. 2.

(27) Cfr. supra, nt. 18. La pagina di Hochland citata dal documentoè la 263. Il documento - datato 8 gennaio 1937 - è pubblicato inBehemoth, n. 5, gennaio-giugno 1989, in traduzione italiana con titolo Ildocente di diritto pubblico Prof Dr. Carl Schmitt, pp. 31-38, ed èpreceduto da un commento esplicativo di Günter MASCHKE, L'Uƒficio diRosenberg contro Carl Schmitt, ivi, p. 29-30.

(23) Presumibilmente l'estensore intende riferirsi alla KölnischeVolkszeitung, che era in effetti un quotidiano cattolico. Cfr. Il docente,cit., p. 35.

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XIV Teologia politica II

Peterson ritenne con ogni probabilità che la « PolitischeTheologie ›› fosse il prodotto di una certa « tradizione prote-stante tedesca ›› ispiratrice di atteggiamenti insieme naziona-listici e militaristici che insieme all'altra « tradizione delrazionalismo teologico conƒluita nella teologia liberale ›› co-stituiva il suo principale bersaglio polemico (29). Passando perfacili semplificazioni ne venne fuori un'interpretazione dellateoria politica di Schmitt in generale e della teologia politicain particolare come ideologia costitutiva del nazismo. Fra iprimi che accettarono e divulgarono la «leggenda ›› peterso-niana sulla teologia politica schmittiana fu Iacques Maritain,il cui Umanesimo integrale usciva nel 1936 con una « digres-sione ›› volta a distinguere nettamente l'espressione francesethéologie politique da quella tedesca politische Theologie,dando alla prima il senso dommatico delle partizioni manua-listiche sull'ordine politico _ terreno e profano - alla lucedella rivelazione ed alla seconda un'accezione autonoma didottrina che ha per fine ed oggetto la sacralizzazione dell'or-dine imperiale terreno. Viene quindi indicato Schmitt, sen-z'altro assimilato a « un des inspirateurs et des conseillersintellectuels du nouveau régime ››, come il rappresentantedella concezione tedesca della teologia politica, mentre piùsotto Erik Petersonfigurafra i critici della teologia delSacrumImperium « de la façon la plus pénétrante et la plus remar-quable ›› (50).

Questa interpretazione del pensiero schmittiano dovuta aPeterson si trascina al punto da indurre Schmitt a scrivere nel1969 la Politische Theologie II, in cui discute oltre alla«liquidazione ›› petersoniana anche la letteratura piu signifi-cativa da essa prodotta. Nelle delucidazioni sull'intricata

(25) Franco BOLGIANI, Dalla teologia liberale alla escatologia apoca-littica: il pensiero e l'opera di Erik Peterson, in Rivista di Storia eLetteratura Religiosa, 1965, a. I, p. 16.

(50) Jacques MARITAIN, Humanisme intégral, Paris, Aubier ÉditionsMontaigne, 1936, 109-111.

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Presentazione Xv

materia che fornisce al lettore Schmitt usa con riferimento aPeterson la metafora del guerriero Parto che apparentementein fuga o in procinto di abbandonare il campo si volta di scattoed a tradimento scocca il suo dardo. Invero, la metafora èsuggerita da Barion, ma Schmitt ne resta impressionato edestrae la freccia dalla ferita. La stessa metafora della freccia èin certo modo utilizzata da Schmitt intitolando a San Ca-sciano la residenza, in Pasel, non di sua proprieta, dove vissedal 1970 all'anno della morte nel 1985. Non era di Machia-velli che Schmitt parlava ai suoi ospiti, spiegando le ragionidella scritta sui muri esterni dellabitazione. Narrava invece lastoria del martire Casciano, condannato a morire trafitto daglistili degli allievi che aveva convertito alla fede cristina. Nonpuò essere una circostanza del tutto casuale ad indurre ilcattolico praticante Carl Schmitt a scegliere nel 1926 comesuo testimone di nozze il non ancora convertito Erik Peter-son. Se invece la metafora della freccia del Parto dovesseriferirsi alla collocazione topografica - ultima pagina, ultimanota - della citazione testuale di Schmitt fatta da Petersonnel suo libro del 1935, mancherebbe o non ê evidente l'ele-mento del tradimento e della sorpresa che rende pregnantel'immagine. La metafora suggerisce un dato che l'analisitestuale conferma. L'opera di Peterson, non è stata perSchmitt una fonte o un modello, come può dirsi -- peresplicita ammissione - con riguardo a Hobbes e Bodin. Essaè importante per l'inƒluenza che ha avuto e continua ad averesull'interpretazione di tutta la produzione scientifica schmit-tiana. Ma è soltanto una freccia che bisogna estrarre. Se e diquanto Peterson sia invece tributario di Schmitt è un aspettoche deve essere indagato, sulla base dei testi e documenti editie soprattutto di quelli inediti.

Largomentazione di Carl Schmitt nella disputa con ErikPeterson fa riapparire quegli elementi di attualita politica cheil teologo Peterson per un verso respingeva e per un altronascondeva nella forma di una ricerca erudita su alcuni

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xvi Teologia politica II

problemi del cristianesimo antico. L'avversario principale ediretto contro cui Peterson si scaglia è l'illuminismo europeoche della fede cristiana avrebbe risparmiato solo il monotei-smo per le sue conseguenze politiche (51). Dal monoteismoalla monarchia alla dittatura ed ad ogni forma di autocraziapersonale il passo appare breve. Poiché ognuno di questeforme di potere trarrebbe in qualche modo la sua giustifica-zione dal monoteismo, Peterson pensa di manifestare la suaopposizione politica nel presente con una rivisitazione delladottrina tributaria dei primi secoli cristiani che escluderebbequalsiasi relazione con il monoteismo. In tal modo sarebbestato inferto un colpo mortale alle fonti illuministiche dilegittimazione del potere, delle quali Schmitt sarebbe untardivo e magari inconsapevole rappresentante (52). Contro

(51) Cfr. Erik PETERSON, Der Monotheismus als politisches Problem,Leipzig 1935, (ora in Theologische Traktate, München, 1951, pp. 45-147)e nella trad. it. di Hedi Ulianich con Editoriale di Giuseppe Ruggieri Ilmonoteismo come problema politico, Brescia, 1983, p. 29. Il « connubio ››fra messaggio escatologico e cultura borghese è da Peterson ravvisatosoprattutto nella teologia di Adolf Harnack; cfr. l'Editoriale di Ruggieri,cit., p. 10, e spec. il Briefwechsel mit Adolph Harnack und ein Epilog, inHochland, 30, 1932-33, pp. 111-124. Per una biografia intellettuale espirituale di Peterson si veda BOLGLANI, op. cit.

(52) Nel modo e nel rilievo dato alle citazioni si ha Fimpressioneche Peterson tratti Schmitt con una certa sufficienza. Sappiamo dallalettera di Becker riportata da Schmitt in una nota del testo (infra, p. 16)che tra i due vi fu un'antica amicizia, risalente agli anni di Bonn. Sarebbeinteressante ricostruire la « rottura ›› indagando negli archivi di Schmitt,Peterson e Gurian, anima nera, il cui nome è pure fatto da Becker aproposito di un « passaggio ›› di allievi da Schmitt a Peterson. Unabiografia di Peterson fino al 1935 è data da Ernst L. FELLECHNER, op. cit.,76-120. Secondo una comunicazione epistolare di Schmitt (richiamata innota ivi, p. 95, nt. 98) Peterson fu addirittura testimone alle nozze diSchmitt nel 1926. Gurian è chiamato in causa da Heinrich Oberheid (inP. TOMMISSEN, loc. cit.), che ne parla come « padrino ›› della conversionee « dunkle Figur ››, figura fosca 0 sinistra. Sul ruolo di Gurian - anticoallievo di Schmitt - come ispiratore degli attacchi a Schmitt da partedella rivista delle SS, Das Schivarze Korps, cfr. G. MASCHKE, L'ufifcio di

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Presentazione xvn

Peterson Schmitt riaflerma invece puntualmente l'assuntosistematico della Teologia Politica I, del 1922, ossia laflinitàstrutturale dei concetti della teologia e della giurisprudenza, ela validità scientifica del concetto del politico, ossia la distin-zione di amico-nemico, anche all'interno del teologico. Ciòche accuratamente Schmitt evita di fare è una intrusione nelcampo proprio della teologia, che avrebbe dovuto essere il soloterreno del libro di Peterson « Il monoteismo come problemapolitico ››, da Schmitt analizzato. La straordinaria longevità elucidità senile di Schmitt, che sopravvive al coetaneo Peter-son, morto nel 1960, gli consentono nel 1970 la « risposta ››in un dibattito avviato mezzo secolo prima non tanto aPeterson quanto ad una letteratura che si è nel frattemposviluppata, facendo crescere quella che egli chiama una « leg-genda ››.

I riferimenti a Hitler, a Mussolini, al concordato, alnunzio apostolico Giovanni Roncalli, al prelato Kaas edall'opera della «Provvidenza ›› in Italia ed in Germania, aldiverso atteggiamento della Chiesa protestante e della Chiesacattolica in Germania di fronte all'avvento del nazismo,l'accenno alla crisi del protestantesimo negli anni di Weimaralla sua diversa attitudine di fronte all'autorità politica ingenere, la conversione di Peterson sono tutti quanti elementiche consentono una lettura del libro di Peterson rapportataall'anno 1935, data della sua pubblicazione, e della «liqui-dazione ››. in esso contenuta del libro di Schmitt sulla « teo-logia politica ››, giunto nel 1934 alla sua seconda edizione (55).

Rosenberg, cit., p. 29; e Antonio CARACCIOLO, La vita difiícile di CarlSchmitt. A proposito del libro di Bendersky, in Behemoth, n. 8, luglio-dicembre 1990, 67-68.

(55) Non riteniamo che la seconda edizione della Politische Theo-logie abbia avuto su Peterson di per sé un effetto determinante. Essagiungeva alla fine di un processo. Alfred SCHINDLER, Einfiíhrung, cit.,p. 11, ritiene « innegabile che la forza e la debolezza della trattazione diPeterson sia assai profondamente impressa dai conflitti e dalle crisi, conle quali egli allora doveva lottare ››.

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xvln Teologia politica II

E Schmitt fa ciò in modo egregio, con sollievo del lettore nonspecialista che altrimenti si sarebbe trovato immerso in unadisputa dififcilmente decifrabile. Ma Schmitt scrive la suaTeologia Politica II nel 1969 ed è parte in causa. Egli stessospiega al lettore le ragioni che lo hanno spinto a scrivere illibro. Era allora terminato da pochi anni il Concilio VaticanoII, i cui risultati a giudizio di Barion (54) non avrebbero piàreso possibile a Schmitt l'elogio della Chiesa cattolica espressoin Cattolicesimo romano e forma politica. Nuovi fermentiagitavano il cattolicesimo (55). L'edizione italiana che quipresentiamo cade poi nel 1991. Il tempo non ha tolto attualitàai problemi affrontati mezzo secolo prima: a noi tocca ancorariflettere su di essi in una situazione politica caratterizzatadalla fine dell'esistenza politica dell'Europa e dall'improvvisovenir meno di uno dei soggetti che in questo secolo avevanopotentemente alimentato la « guerra civile europea ››, facendoricorso non per ultimo ad una sorta di religione secolarizzatache doveva creare l'« uomo nuovo ››.

Schmitt ha descritto in pià luoghi ed a pià riprese ilprocesso che ha sottratto il monopolio del politico allo Statotrasferendolo in soggetti o àmbiti disparati, che spesso nonsono consapevoli della loro natura politica o tendono perfinoa negarla. Il divario crescente fra Stato e società nel corso delXIX e XX secolo ê nondimento avvertito da numerosi autori,

(54) Sulla critica di Barion al Vaticano Il si veda A. D'ORs, op. cit.,p. 55 ss.

(55) René Latourelle nell'Introduzione ai due volumi Vaticano II.Bilancio 6' Prospettive. Venticinque anni dopo. 1962/1987, a cura di RenéLatourelle, Roma-Assisi, 1987, vol. I, p. 9, osserva come il Concilioavviato da Giovanni XXIII e terminato nel 1965 da Paolo VI rappresenti«certamente la più vasta operazione di riforma mai compiuta nellaChiesa ›› non solo per l'elevato numero di padri conciliari impegnati(2540 iniziali rispetto ai 750 del Vaticano I ed ai 258 del Concilio diTrento) ma soprattutto per 1'unanirnità delle votazioni sui temi affrontati.Il Concilio incontra tuttavia Popposizione dei tradizionalisti e non sem-bra che la sua conclusione sia stata pari all'inizio.

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Presentazione XD(

pur nella diversità delle valutazioni e dei contesti tematici.Certamente, il settore pià antico e consolidato che con ilpolitico ha avuto le relazioni piu intense sotto l'aspetto siaconcettuale sia istituzionale è l'àmbito religioso ed è questocon buona approssimazione il campo della teologia politi-ca (56). La pretesa di totalità insita nella dimensione religiosanon può ignorare il concreto agire dell'uomo in quella sferacomunemente individuata come politica. Appaiono possibilidue diverse situazioni: il religioso è elemento integrante epeifino determinante del politico oppure esso rivendica a séun « regno ›› del tutto autonomo e distinto e perfino ostile alpolitico. La religione pagana nel declinante Impero romanorivestiva il primo carattere e nella lotta religioso-ideologicadei primi secoli cristiani veniva individuata dai custodidell'ordine antico proprio nella diflusione dell'empietà cri-stiana, che respingeva l'intimo ed esclusivo legame dellareligione con la polis, la ragione profonda della rovinadell'Impero che gli Dei pagani ora abbandonavano (57). Icristiani in buona parte respingevano queste accuse e face-vano professione di lealismo, mitigando l'apparente estra-neità alle sorti dell'Impero. Eusebio da Cesarea, considerato

(56) Osserva Alvaro d'ORS, op. cit., p. 41: «El problema de lasrelaciones entre religión y politica se presenta desde los albores de laHistoria en múltiples formas, pues la analogia entre el gobierno divino y elde los hombres viene dado como algo obvio a la conciencia humana ››; eIDEM, La violencia y el orden, Madrid, Ediciones Dyrsa, 1987, p. 50 ss.

(57) Dopo la Premessa, contenente il riferimento polemico all'illu-minismo e l'invocazione a Sant'Agostino, Peterson inizia la sua tratta-zione teologica con una citazione dell'Iliade, dove si dice che « non èbene, vi siano più signori; uno solo sia il signore ›› (op. cit., trad. it., 31).A duemila anni di distanza Peterson continua la lotta contro i fondamentidottrinali dell'ordine politico degli antichi, dando in certo modo ragionea quanti indicano nella diffusione del cristianesimo una delle cause dellacaduta dell'Impero romano. Con un`argomentazione tanto complessaquanto discutibile nei risultati, egli trasferisce nell'armamentario dellacultura pagana tutta la materia che va sotto il nome di « teologiapolitica ››, ed in questo modo verrebbe attuata la sua liquidazione.

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XIX Teologia politica II

da Peterson come il piiì rappresentativo, era uno di questiteologi politici, che coniugavano l'escatologia cristiana con ladottrina politica dell'Impero.

L'ambiguità di una religione che per un verso si dichiara« non di questo mondo ›› e per altro verso non può disinte-ressarsi di questo stesso mondo ricorre per tutto l'arcodell'evo cristiano fino ai tempi della disputa Peterson-Schmitt. Il teologo Peterson trasferisce problemi teologico-politici dell'anno 1935 nella situazione dell'anno 325 all'e-poca del Concilio di Nicea. Egli respinge fermamente ognicontaminazione del teologico con elementi attinti dalla con-tingenza politica. Vede nel monoteismo una dottrina teolo-gica volta a giustificare la dottrina politica della monarchia ein senso lato la dottrina del Fiihrer. Ad essa oppone ladottrina trinitaria che renderebbe vano ogni tentativo dicostruire qualsiasi teologia politica, ossia ogni tentativo _secondo Peterson _ di giustificare indebitamente un qual-siasi regime politico sulla base del dogma cristiano. Questetesi centrali di Peterson non si interrogano sul significato esulle conseguenze della creazione del dogma, che proprio conil Concilio di Nicea acquista valore vincolante e normativoper la forma ed il contenuto della fede. Hobbes ne distrug-gerà l'edificio dogmatico contestando ai concili qualsiasivalore normativo e riducendo tutta la fede cristiana al soloprincipio « Gesà ê il Cristo ››, il cui valore di fede nessunuomo o istituzione può dare o togliere (58).

Se non è di questo mondo, e tuttavia in questo mondo cheil messaggio cristiano della Rivelazione si manifesta. E questol'asse portante dell'argomentazione di Schmitt. E da essa non

(515) Questa opposizione hobbesiana fra fede e teologia è presentein Germania nella teologia protestante della seconda metà del XIXsecolo. Franz Overbech, l'amico fedele che riponò indietro Nietzscheammalato da Torino, vede addirittura nella teologia « nient'altro che unaspetto della secolarizzazione del cristianesimo ››; cfr. Friedrich HEER,Europa madre delle rivoluzioni, trad. it., Milano, 1968, vol. 11, p. 64, doveè riportato un brano di Overbeck.

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Presentazione XXI

possono trarsi elementi volti a presentare Schmitt come ildifensore e propagandista di un regime determinato, mentrePeterson con il suo libro ne sarebbe stato l'oppositore (55).Tanto pià che l'epoca della Teologia Politica I, apparsanell'anno 1922, alla quale Peterson espressamente si riferisce,e`° troppo remota per poter essere ricondotta entro l'alveo dellapolitica contingente del nazionalsocialismo. Il problema al-lora aflrontato da Schmitt trascende l'epoca e la latitudine piiìdi quanto non riesca a Peterson nel 1935 con il suo libro. Unaprassipolitica che si ispiri alla fede religiosa attraversa tutti glischieramenti; può perfino trasformare la religione nel vessillodella ribellione di un popolo oppresso contro il tiranno ol'ingiustizia ed anche fomentare le piu sanguinose rivolte eguerre civili. Peterson non considera questa possibilità dellateologia politica di assumere contenuti assai diversi ed ancheopposti. Se l'intenzione era di aflermare in ogni caso l'estra-neità della riflessione teologica dinanzi ad ogni forma diorganizzazione politica e mondana, le sue considerazionidovrebbero valere per tutti i governi anche i pià benevoli ebenefici. Ma il suo libro venne addirittura inteso come un 'op-posizione al nazismo, dando origine a quella che Schmittdefinisce una «leggenda scientifica ›› (40).

(59) È curioso come uno dei motivi tendenti a porre in cattiva luceSchmitt nel fascicolo riservato su di lui redatto dall'Ufficio di Rosenbergsia costituito proprio dalla sua « teologia politica ››, globalmente intesacome una dottrina volta a sottomettere lo Stato Nazista alla Chiesaromana e non viceversa; cfr. Il docente di diritto pubblico Prof Dr. CarlSchmitt, Documento riservato proveniente dall'Ufifcio di Rosenberg, inBehemoth, n. 5, 1988, pp. 31-38.

(40) A questa leggenda ha contribuito anche Jacques Maritain, chein una Prefazione del febbraio 1936 scriveva: « Lo stato della nostraciviltà minacciata dalla vergognosa insanità del razzismo e dell'antisemi-tismo conferisce al saggio di Erik Peterson una speciale attualità ››; cosìin Erik PETERSON, Il Mistero degli Ebrei e dei Gentili nella Chiesa,Prefazione di Jacques Maritain. Traduzione di Agostino Miggiano, Edi-zione di Comunità, s.d.s.l. (ma stampato in Roma, 1946). In questo testo,che è del 1933, Peterson mostra una concezione escatologico-strumentale

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XXII Teologia politica Il

L'espressz`one « Teologia politica ›› è írta dz' dzflicol-ta (41). Peterson ne attribuzsce la paternità a Scbrnítt (42). Maqualcuno la fa risalire ad epoca precedente e piu spessonell'uso scíentzfico la si utilizza senza citarne la fonte e senzadelz'fnz`tarne il sígnzficato o anche per darne un nuovo conte-nuto (43). Secondo una definizíone corrente Teologia Politica

che è tuttavia assai diversa dalla problematica dei diritti umani cheispirerà la critica antitotalitaria, specialmente nel secondo dopoguerra.Secondo Peterson gli ebrei non devono essere sterminati, ma occorreaspettare la loro conversione al cristianesimo, affinché si compia lacondizione necessaria per la seconda venuta del Cristo e la fine dei tempi:« La Chiesa di Dio non può certo desiderare la distruzione degli Ebrei,dal momento che la sua perfezione è subordinata alla conversione degliEbrei, alla quale seguirà la resurrezione universale » (ivi, p. 71). Si spiegacosì un diverso regime di « dialogo ›› con gli Ebrei e di « polemica ›› coni pagani. Siamo ben lontani dall'accettazione incondizionata della diver-sità che dà il tono all'ideologia politica contemporanea.

(41) Cfr. le osservazioni di Ernst-Wolfgang BOCKENFORDE, Politi-scbe Tlzeoríe und politische Theologie. Benzer/eungen zu ibreøn gegenseiti-gen Ver/øältnis, in Der Fürst dieser Welt, cit., p. 19 ss.

(42) Cfr. Erik PETERSON, Il monoteismo come problema politico,trad. it. di Hedi Ulianich con un Editoriale di Giuseppe Ruggieri,Brescia, 1983, p. 103-4, alla nota conclusiva n. 168, richiamata edanalizzata da Schmitt nel testo: « Il concetto di “ teologia politica ” èstato introdotto per quanto io ne sappia, da Carl SCHMITT, PolitischeTheologie, München, 1922. Le sue brevi considerazioni da allora nonerano impostate sistematicamente. Qui abbiamo fatto il tentativo, sullabase di un esempio concreto, di dimostrare l'impossibilità teologica diuna “ teologia politica ” ››. In un articolo del 1933 - precedente di dueanni l'edizione tedesca sul monoteismo - Peterson pone invece esatta-mente all'inizio il richiamo alla Teologia Politica di Carl Schmitt: « Leelaborazioni che seguono appartengono ad un àmbito che un docentetedesco di diritto pubblico del presente, Carl Schmitt, ha indicato cometeologia politica. La teologia politica non è però nella sua essenza unelemento della teologia, ma piuttosto del pensiero politico.... ››; cfr. ErikPETERSON, Kaiser Augustus im Urteil des anti/een Cbrístentufns. EinBeitrag zur Gescbicbte der politischen T/Jeologíe, in Hochland, 1933, 30.JG, p. 289, ristampato in Der Fürst dieser Welt, cit., pp. 174-180.

(45) Hans Maier trova « sorprendente ›› come nei lavori di Metzsulla teologia politica venga del tutto ignorato il nome di Carl Schmitt;

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Presentazione xxni

e una « dottrina politica basata sulla Rivelazione ›› c/serispetto all'accezione schmittiana ba l'inconveniente di farpensare ad elementi giustapposti, la teologia e la politica. Ladottrina della sovranità che forma il sottotitolo della Teolo-gia Politica I oflre un criterio per una fusione concettuale deidue termini dell'espressione senza però arrivare all'accezionedata da Maritain, Se infatti la sovranità va intesa comesecolarizzazione di un referente teologico, la trascendenza, èpure possibile pensare allo stesso modo tutti i principaliconcetti politici, come avverte lo stesso Scbmitt. Ne vienefuori un àmbito scientifico che non ba nulla di confessionale.Esso consente però una consapevolezza critica che noncontraria né alla scienza né alla fede. Il non credente puotrovarvi strumenti ermeneutici di prim'ordine ed il credentepuo` riconoscere l'ininterrotta presenza divina nella storia. La

/"tv

cfr. H. MAIER, Politische Theologie? Einwãnde eines Laien, in Stimmender Zeit, 1969, 183. B., Heft 2, Februar, p. 75 nt. 9. Secondo Metz « ildiscorso della “ Teologia Politica " cerca di reclamare nella teologia laconsapevolezza del processo che fa da collegamento fra il messaggiosalvifico di Gesù e la realtà politico sociale »; cfr. ]ohann Baptist METZ,Friede und Gerecbtigkeit. Uberlegungen zu einer « politischen Tbeolo-gie », in Civitas. Iabrbuc/:1 für c/Jristlicbe Gesellscbaftsordnung, 1967, 6.Band, p. 10. Metz risponde sulle stesse pagine di Stimmen der Zeit alleosservazioni critiche di Hans Maier, continuando ad ignorare Schmittnon solo con riguardo al concetto di «teologia politica ›› ma financo aquello di « Politico ››: «I critici della nuova “ teologia politica ” misembra si mostrino troppo legati al contenuto classico di questo concettoe quindi tengano troppo poco conto di quel mutamento che è toccatoproprio alla categoria del Politico stesso in conseguenza dell'illuminismoe che a mio avviso consente una forma nuova, critica di unione di“ politico " e “ teologico ” supposto che, come va dimostrato più avanti,la teologia pure sia aperta a questa trasformazione del Politico... ››. Segueun riferimento ad Habermas ed alla distinzione fra Stato e societàprodotta dalfilluminismo; cfr. « Politische Theologie ›› in der Dis/eussion,in Stimmen der Zeit, 1969, 184. B., p. 289. Tanto le posizioni di Maierquanto quelle di Metz vengono da Schmitt discusse ampiamente neltesto; cfr. infra, p. 24 ss.

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XXIV Teologia politica II

frattura si avvertirà nell'uso di una conoscenza cosi acquisita,tendendo l'uno alla costruzione di un mondo sempre piùdeteologizzato e l'altro alla restaurazione del sacro. Si confi-gura cosi una svolta epocale ed una nuova dimensione delproblema che Schmitt aveva riassuntivamente indicato comeTeologia Politica III.

La filosofia hohhesiana - da Schmitt richiamata - sicolloca al principio del processo della secolarizzazione. Essanon può rimanere estranea in ogni discorso che sifaccia sullateologia politica: è quanto Schmitt ohietta ad Ernst Feil. Ciòche resta storicamente indeterminato è il contenuto concretodi ogni teologia politica come pure di ogni decisione politica:l'Uno hohhesiano può essere tanto monarchico quanto demo-cratico. Peterson - osserva Schmitt - avverte ciò, ma nonne trae le conclusioni che contrastano con la sua tesi dellaliquidazione. Pretendere un contenuto che rimanga nella suaforma immutato e valido per ogni tempo e luogo significanon vedere la realtà della storia umana spesso intessuta dieventi tragici, di distruzioni' e ricostruzioni, di momenti dovesemhra scomparsa ogni speranza e di altri dove l'ottimismosconfina in un'empia.superhia. Hohhes e" un autore semprepresente nell'arco della produzione schmittiana, dall'inizioalla fine, dalla Teologia Politica I alla Teologia Politica II.Schmitt non mostra interesse al quesito se Hohhes stessofosse un ateo, il cui fine al pari di Eusehio consisterehhenell'esaltazione e nel consolidamento del potere terreno deire. Per lui lo Stato moderno è ancora lo Stato cristiano.Schmitt parla di Hohhes, all'indomani del secondo conflittomondiale, come dell'autore che ancora oggi più di ogni altrooflre una chiave per la comprensione del mondo moderno.Hohhes tuttavia fu attaccato negli anni trenta come uno deiprecursori del nazismo; su questa interpretazione insisteràancora nel 1969 Alois Dempfi che attribuisce a Peterson ilmerito di essere il vero autore del concetto di teologia politicaed a Schmitt l'avida appropriazione di questo concetto, per

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Presentazione xxv

poi avvicinarsi ad Hohhes ed alla dottrina dello Stato totali-tario (44).

La tesi di Peterson sull'impossihilità teologica di ogniteologia politica può essere in certo modo rovesciata; vi si puòravvisare una presa di posizione politica che mira a sostenerel'impossihilità teologica di un messaggio salvifico rivolto adun mondo verso il quale si rimane indififerenti' e che a suavolta nulla dovrehhe aspettarsi da parte di un 'istituzione cheacquista solamente un significato escatologico. Una dissocia-zione totalefra ciò che avviene nel regno dello spirito e ciò chesi verifica nella concretezza del mondo storico contiene in séuna disperazione alla quale mai giunse quella religione pa-gana che il cristianesimo combatteva. Non per nulla l'uomouscito dalle rivoluzioni moderne si getterà con incredihilefurore nella costruzione del paradiso terrestre, guadagnandol'inferno. La problematica trinitaria, che Peterson assumecome argomento forte per negare qualsiasi teologia politica,acquista un senso ed una intelligihilita` tutta laica e proƒanafuori delle sedi conciliari e delle scuole teologiche se si ponela necessità pratica e vitale per il nascente cristianesimo dinon confondere la figura del Cristo con quella di un qualsiasidio o semidio delpantheon pagano, o con un semplice profeta.Nietzsche accenna alle dzflicoltà che il dio cristiano dovevaafifrontare per affermarsi nel mondo pagano. La novità che nerisulta di un dio incarnato, vero ed unico dio ed al tempostesso vero uomo, ê la fine di ogni scissione e di ognidisperazione. La volontà umana di stahilire i confini fral'umano ed il divino è già in sé una pretesa altamente politica,che in ultima analisi ricrea la scissione. La sintesi raggiuntamediante la figura del Cristo ê cosi` ampia che ad una formulapolitica su di essa fondata se ne può opporre un'altra. Allostesso dio pregano il vinto ed il vincitore e durante la hattagliai contendenti dei contrapposti fronti. Il grande Leviatano

(44) Cfr. inƒra, nel testo, cap. I, nt. 3.

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xxvi Teologia politica II

appare allora sullo sfondo con un volto divino e con promessedi pace terrena.

Nell'ampio e profondo dihattito suscitato dalla TeologiaPolitica I e II di Schmitt l'intervento piiì notevole in questodopoguerra rimane prohahilmente quello di Hans Blumen-herg, che inizia la sua opera principale, La legittimità delmondo moderno, con una critica al concetto di secolarizza-zione. Un capitolo della prima parte di questo volume e"dedicato alla “ Teologia Politica I e II ”, ma Schmitt restainterlocutore principale al di là delle citazioni testuali fattenel lihro. << La tesi de este autor - osserva Alvaro d'Ors aproposito di Blumenherg - es de pura immanencia, esdecir, de que la realidad nueva se justifica por su mismaexistencia » (45). Di Peterson nell'opera di Blumenherg non èfatto neppure una volta il nome. E Schmitt non appare aBlumenherg come uno strenuo difensore della conservazione,squalificato politicamente per passate prese di posizione, macome il critico estremamente acuto e penetrante del « nuo-vo ›› e della modernità, con il quale occorre assolutamentefare i conti (46). Contro la critica al concetto di secolarizza-zione fatta da Blumenherg si e peraltro espresso anche HansGeorg Gadamer, che ha rivendicato al concetto « una legit-tima funzione ermeneutica ›› (47). A ciò Blumenherg replica

(45) Alvaro d'ORs, Teologia politica, cit., 63.(46) Al di là delle differenze dottrinali che occorre ricostruire in

tutta la loro complessità il carteggio privato fra Blumenberg e Schmittche abbiamo potuto consultare fugacemente all'Archivio di Stato inDüsseldorf mostra una grande deferenza ed un'altissima stima di Blu-menberg nei confronti di Schmitt, da questi ricambiata già nelle paginea stampa della Teologia Politica II.

(47) Cfr. Hans BLUMENBERG, Die Legitimitãt der Neuzeit, ZweiteAuflage, Frankfurt a.M., 1988, p. 24. Si veda anche Hans BARION,Weltgeschichtliche Machtform? Eine Studie zur politischen Theologie desII. Vatikanischen Konzils, in Epirrhosis. Festgabe für Carl Schmitt, hrsg.von Barion, Böckenförde, Forshoff, Weber, Berlin, 1968, vol. 1°, p. 17,che ritiene «ínconfutabile ›› la formula schmittiana della secolarizza-

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Presentazione XXVII

che il concetto « non consente al risultato della secolarizza-zione di staccarsi e rendersi autonomo dal suo processo ›› (48),ossia non produce ciò che propriamente interessa a Blumen-herg per stabilire la legittimita` del mondo moderno. Ciò chenon esiste per forza propria non ha autorità e può esseremesso in discussione. È qui che Blumenherg s'imhatte inSchmitt. Alla formula di apertura della Teologia Politica I,per la quale «tutti i concetti pregnanti della modernaDottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati ›› egliohietta che a suo parere dietro di essa si cela « una tipologiadualistica di situazioni piuttosto che una visione storica ››,come invece Schmitt pretende quando spiega che questiconcetti sono stati trasportati dalla teologia alla dottrinadello Stato e fornisce l'esempio del Dio onnipotente chediventa il legislatore onnipotente (49). Queste sono peròanalogie, non trasformazioni. Rispetto al carattere prevalen-temente metaforico della Teologia Politica I Blumenhergvede l'aspetto piiì importante della Teologia Politica II nellaripresa del concetto di secolarizzazione, ossia nella sua chiarariduzione « al concetto dell'analogia strutturale » fra teologiae giurisprudenza e nella rinnovata elusione del prohlemadell'origine. Uno stesso dualismo Blumenherg riscontra inHohhes che riduce tutta la prohlematica religiosa al principiosecondo cui « Gesiì è il Cristo ›› (50). Blumenherg esaminal'osservazione di Schmitt secondo cui egli - nella primaedizione della Legitimität der Neuzeit, del 1964 - nonavrehhe trattato di legittimità, hensi di legalità. Blumenhergrespinge la distinzione. La critica schmittiana presuppone

zione. Si veda sul rapporto Blumenberg-Schmitt anche José María BENE-YTO, Politische Theologie als politische Theorie, Berlin, Duncker ôt Hum-blot, 1983, pp. 125-132; ed i saggi e riferimenti contenuti nel volumecollectaneo, Der Fiirst dieser Welt, cit., ed inoltre NICOLETTI, op. cit.,610-14.

(43) H. BLUMENBERG, op. cit., 25.(45) H. BLUMENBERG, op. cit., 103.(50) H. BLUMENBERG, op. cit., 105.

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XXVIII Teologia politica II

secondo Blumenherg che il razionalismo dell'illuminismo siauna sorta di « codice della ragione ››. La legittimità sarebbecosi una fondazione di tipo diacronico, che dalla profonditàdel tempo produce l'inviolabilità degli ordinamenti, mentrela legalità costituirebbe una struttura sincronica qualificatada una norma ad essa sovraordinata. Blumenherg ribadisceche la legittimità del mondo moderno come è da lui intesacostituisce una « categoria storica ››, vale a dire la legittima-zione di un'epoca e da lui intesa come autoaflermazione, noncome auto-legittimazione.

Le tesi di Blumenherg sono ampiamente riprese e di-scusse nel volume edito da Taubes Der Fürst dieser Welt,dove a Blumenherg e contestata l'esatta comprensione delleposizioni di Schmitt. Si sbaglia, quando «insinua ›› che solonella Teologia Politica II il teorema della secolarizzazione siriduca alfafiinità strutturale dei concetti teologici e giuridici.Questa riduzione all'analogia strutturale, che non implicanessuna affermazione dell'origine di una struttura dall'altra odi entrambi da una forma originaria comune, era già ilrisultato delle precedenti riflessioni di Schmitt sul problemadella sociologia di concetti giuridici (51). Blumenherg si aspet-tava probabilmente da Schmitt la soluzione di un problemainsolubile. La pretesa di racchiudere il tutto entro le strutturedel discorso, che di ogni cosa fornisce una spiegazione, è stataavanzata storicamente dall'illuminismo. Il pensiero tradizio-nale ammetteva il mistero e gli arcana. Il pensiero classicogreco-romano sembra abbia addirittura rifiutato quegli svi-luppi tecnologici di cui andrà fiera la modernità ma che nelmondo antico avrebbero invece sconvolto la compagine so-ciale. L'atteggiamento conoscitivo di Schmitt non ê stato ditipo prometeico, ma al contrario ê in Epimeteo che se ne puòcogliere la figura. Dunque una conoscenza che segue l'evento

(51) Così Wolfgang HUBENER, Carl Schmitt und Hans Blumenhergoder iiber Kette und Schuß in der historischen Textur der Moderne, in DerFiirst dieser Welt, cit., p. 57.

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Presentazione xxix

tragico con cui l'uomo tenta la scalata al cielo ed osa sfidare glidei, o piu semplicemente pensa dipoternefare a meno. Certo,qualche risultato di tanto operare rimane, e per niente di-sprezzabile. Ma l'immagine che piu si addice dopo il naufragioinfinito è quella dell'uomo su di una zattera, che con la forzadella sua volontà e con mezzi scarsi cerca scampo nel mareminaccioso. Negli abbozzi di una « Teologia Politica III»Carl Schmitt già vedeva una nuova situazione catastrofica cheoccorreva aflrontare con strumenti teorici adeguati. Blumen-herg aflronterà in una nuova opera, dal titolo assai suggestivo,iproblemi conoscitivi discussi con Schmitt nei suoi tardi anni:La leggibilità del mondo (52).

Nel Nachlass di Carl Schmitt si trovano alcune lettere diHans Blumenherg ed abbozzi indecifrabili di una « TeologiaPolitica III ›› (55). Le lettere vanno dal 24 marzo 1971 al 7agosto 1975. Tra i due filosofi non sembra esistesse unaconoscenza diretta ed il carteggio appare avviato sulla scortadella pubblicazione della Teologia Politica II. Non si e"rinvenuta copia delle lettere di Schmitt a Blumenherg: sispera siano ancora reperibili presso il destinatario e possanoessere pubblicate. Nella lettera del 24 marzo '71 Blumenhergriassume, semplificandola in una formula, la diflerenza diposizioni, scrivendo a Schmitt che «la chiarezza di unasituazione per me si delinea nella domanda “ come puòmantenersi questo? ”, per Lei invece nella domanda " Dovesi trova lo stato estremo? ” ››. Ma ciò costituisce per Blumen-herg motivo di uno « strabiliante ›› comune interesse, che egliritrova alla fine del testo di Schmitt nel motto ripreso daGoethe: nemo contra deum nisi deus ipse. Blumenhergorienta infatti i risultati della sua ricerca verso un'interpreta-

(52) H. BLUMENBERG, Die Lesbarkeit dei Welt, Frankurt a.M.,Zweite, durchgesehene Auflage, 1983 (I. Auf. 1981).

(55) Nordrhein-Westfãlisches Hauptstaatsarchiv. Nachlaß CarlSchmitt. Bestand RW 265. Le lettere di Blumenberg si trovano nellascatola RW 265-187.

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XXX Teologia politica II

zione politeistica che ha il suo schema nella situazioneprometeica. In una lettera a Tommissen del gennaio '72Blumenherg parla di una « risposta straordinariamente ami-chevole del Signor Schmitt ››,~ ed in altra lettera a Schmitt del9 ottobre 1974 richiama alla «nostra corrispondenza ›› sulcollegamento nella « Teologia Politica II ›› con la « Legitti-mità dell'epoca moderna >› ed annuncia l'invio in omaggiodell'edizione tascabile della Legitimität pubblicata in quellostesso anno. Nella prima parte interamente rielaborata diquesta edizione egli si augura di essere stato pià giusto chenell'edizione del '64 riguardo al concetto schmittiano disecolarizzazione. La corrispondenza riprende l'anno succes-sivo con una lunga lettera del 7 agosto, di sei pagine, nellaquale Blumenherg fa riferimento a due lettere di Schmittdella fine dello scorso anno. Con riguardo alla Legitimitätosserva come un simile libro non venga scritto per un lettoredeterminato, ma nemmeno senza avere davanti agli occhi inuno o pià capitoli un determinato lettore. E da quando CarlSchmitt nella Teologia Politica II iniziò con Blumenherg undialogo, questi non può piu scrivere talune cose come leavrebbe scritte in precedenza. Egli spiega il senso del suolavoro con il tentativo di avvicinarsi alfondo essenziale delledififerenze esistenti fra i due. Un aiuto a tal fine gli è statofornito dallo stesso Schmitt con l'invio di un articolo apparsosulla rivista Universitas, dove ê posta la domanda “ se fedeescatologica e consapevolezza storica sono possibili insieme ”.E prosegue: « La domanda è quasi sempre negata. Anch'iorispondo negativamente, ma la mia negazione ê del tuttodiversa da quella di Löwith ››.

ANTONIO CARACCIOLO

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Ad Hans Barionper il suo settantesimo compleanno

16 dicembre 1969

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RINVIO AD ORIENTAMENTO DEL LETTORE

Il titolo Teologia Politica II si riferisce al mio scrittoTeologia Politica, che nel 1922 (II ed. 1934) apparve pressola stessa casa editrice. Adesso analizzo una breve trattazioneteologica dell'anno 1935, divenuta nel frattempo una leg-genda scientifica. La leggenda dice che quella breve tratta-zione del 1935 ha definitivamente liquidato ogni teologiapolitica. Qualcosa di simile sostiene anche la tesi conclusivadella trattazione stessa. Non si dovrebbe disturbare una cosìbella leggenda - non la si può comunque distruggere. Lamia analisi riguarda perciò il rapporto interno, che esisteentro la trattazione fra Pargomentazione e la tesi conclusiva.L'opera teologica complessiva del suo autore, il professoreErik Peterson, in particolare lo sviluppo della sua teologiadel 1922-60, non fa in più parte del tema della mia singolaanalisi.

Se io presento questa singola analisi così strettamentedelimitata di una trattazione dell'anno 1935 ad un grandeteologo, ecclesiologo, canonista e storico del diritto comeHans Barion il 16 dicembre 1969 - data del suo settante-simo compleanno, - devo premunirmi contro alcuni equi-voci evidenti. L'opera scientifica complessiva di Barion ètroppo grande e vasta, perché possa essere degnamenteonorata con la dedica di un piccolo lavoro. Barion è ungiurista del rango di Rudolf Sohm, uno dei più grandiricercatori universali e maestri della scienza giuridica, ed iomi chiedo se con il mio opuscolo non sorga l'impressione diun gesto inadeguato, cosicché sarebbe forse più giustotralasciare una dedica personale.

Ho molti motivi oggettivi e personali per manifestare ad

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4 Teologia politica II

Hans Barion la mia deferenza e gratitudine, non solo per lesue pubblicazioni scientifiche specialistiche, la cui esem-plare dottrina è per me diventata fruttuosa, ma anche per ilsuo particolare interesse alle mie fatiche nella scienza giu-ridica. In tre ampi articoli degli anni 1959, 1965 e 1968 eglisi è occupato criticamente delle mie riflessioni (1). L'ultimadi queste discussioni si trova nel suo quinto studio sulConcilio Vaticano II ed è pubblicata in Epirrhosis, gli scrittiin onore del mio ottantesimo compleanno (2). Essa con-cerne il problema della teologia politica. Barion parla quianche della trattazione di Peterson, dichiara necessaria unasua discussione e la chiama “un attacco partico”. Questaespressione mi ha impressionato e mi diede lo sprone perrammentare una vecchia sfida ed estrarre dalla ferita lafreccia del Parto.

Così è sorta la mia analisi particolare. Essa è soltanto unlavoro preparatorio per altri e niente di più che un reso-conto su un'operazione catartica, che qui depongo cometestimonianza di una lunga, quarantennale compagnia di

( 1) Hans BARION, Ordnung und Ortung im /eanonischen Recht, in:Festschrift fiir Carl Schmitt, hrsg. von Hans Barion, E. Forsthoff und W.Weber, Berlin 1959, p. 1-34; H. BARION, Kirche oder Partei? RömischerKatholizismus und politische Form, in: Der Staat, 1965, a. IV, p. 131-176;H. BARION, Weltgeschichtliche Machtƒorm? Eine Studie zur PolitischenTheologie des II. Vati/eanischen Konzils, in: Festschrift Epirrhosis, Berlin1968, p. 13-59.

(2) Hans BARION, Das Zweite Vatikanische Konzil. KanonistischerBericht I (in: Der Staat, Bd. 3 [1964], p. 221-226); Bericht II (in: DerStaat, Bd. 4 [1965], p. 341-359); Bericht III (in: Der Staat, Bd. 5 [1966],p. 341-352). Il Bericht IV tratta la dottrina sociale del Concilio e comecontributo alla Festschrift Sa'/eularisation und Utopie, Ebracher Studien,Ernst Forsthofi'zum 65. Geburtstag, Stuttgart 1967, p. 187-233, è apparsocon il titolo: Das konziliare Utopia. Eine Studie zur Soziallehre des II.Vatikanischen Konzils; il Bericht V tratta la dottrina dello Stato delConcilio e nel contributo alla Festschrift Epirrhosis fiir Carl Schmitt zum80. Geburtstag, Berlin 1968, p. 13-59, è apparso con il titolo: Weltgeschi-chtliche Machtform? Eine Studie zur Politischen Theologie des II. Vatilea-nischen Konzils.

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Rinvio ad orientamento del lettore 5

viaggio, ricca di esperienze teoriche, pratiche e personali,che ha unito un legista ed un canonista nello spirito del lorojus utrumque. La prosecuzione tematico-oggettiva del mioscritto Teologia Politica del 1922 corre in una direzionegenerale, che inizia con lo jus reformandi del XVI secolo,trova in Hegel il suo culmine ed oggi è dappertutto ricono-scibile: dalla teologia politica alla cristologia politica.

Dicembre 1969CARL Sci-IMITT

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INTRODUZIONE

Per atei, anarchici e scientisti positivisti ogni teo-logia politica - come pure ogni metafisica politica -è scientificamente liquidata da un bel pezzo, poichéteologia e metafisica in quanto scienze sono per essi damolto tempo liquidate. Ormai essi impiegano il ter-mine solo polemicamente come luogo comune edingiuria per manifestare una negazione totale, catego-rica. Ma il piacere della negazione è un piacerecreativo; esso è in grado di produrre dal nulla ilnegato e di crearlo dialetticamente. Se un Dio crea unmondo dal nulla, allora egli trasforma il nulla inqualcosa di assai stupefacente, cioè in qualcosa da cuipuò essere creato un mondo. Oggi non c'è più nem-meno bisogno di un Dio. Basta un'auto-affermazione,un'auto-attestazione e un autoconferimento di poteri,una delle numerose parole composte con “ auto ”, uncosiddetto autocomposito, per far apparire nuovi ster-minati mondi, che producono sé stessi e perfino lecondizioni della loro propria possibilità, almeno lecondizioni di laboratorio.

La liquidazione di ogni teologia politica, di cui cioccupiamo, nella nostra analisi, non vuole avere nientea che fare con siffatte liquidazioni ateistiche, anarchi-che o positivistiche. L'autore di questa negazione po-lemica di ogni teologia politica, Erik Peterson, non èun positivista come Auguste Comte, un anarchicocome Proudhon o Michael Bakunin, e nemmeno unoscientista di stile moderno, al contrario un teologocristiano di grande pietà. Egli premette alla sua liqui-

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8 Teologia politica II

dazione una dedica “ Sancto Augustino ” ed una pre-ghiera al grande padre della Chiesa come avvertenzapreliminare. La sua liquidazione è una liquidazioneteologica di ogni teologia politica. Questa non puòessere l'ultima parola per un ateo e per un osservatoreextrateologico. Ciò lo potrebbe interessare solo comeun caso di autocritica teologica interna e di autodistru-zione, come un involontario superamento di ogni fedein Dio politicamente rilevante e di ogni teologia social-mente rilevante, un caso del quale - a seconda dellecircostanze - si prende conoscenza con compiaci-mento o con spavento.

Parliamo di una trattazione non molto vasta, dottasotto il profilo storico-filologico, che Erik Peterson hapubblicato nell'anno 1935 presso Jakob Hegner inLipsia. Porta per titolo Il monoteismo come problemapolitico; un contributo alla storia della teologia politicanell'Impero romano. Titolo e sottotitolo indicano che latrattazione limita il suo tema al monoteismo e allamonarchia e la sua materia storica ai primi secolidell'era cristiana. Anche le dotte annotazioni, che oc-cupano più della metà di tutta quanta l'estensione dellatrattazione, riguardano soltanto questo arco di tempo.Nelle ultime pagine del testo (p. 99/100) la liquida-zione di ogni teologia politica è annunciata in tutta lasua asprezza come tesi conclusiva. E posta di seguitoalla tesi conclusiva ancora un'annotazione conclusivanell'ultima pagina delle note (nt. 168, p. 158); essarinvia assai brevemente ad uno scritto di CarlSchmitt, Politische Theologie, München 1922, che haintrodotto nella letteratura il concetto di teologia po-litica, e dichiara quindi letteralmente:

« Noi abbiamo qui fatto il tentativo di mostrare con unesempio concreto l'impossibilità teologica di una ” teolo-gia politica ” ››.

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Introduzione 9

E questa l'ultima parola della trattazione: la grandeliquidazione teologica. Noi dovremo esaminare comela tesi conclusiva (insieme con l'annotazione conclusivaad essa collegata) sta in rapporto al materiale proba-torio che la precede e se da ciò essa risulta come unaconclusione coerente.

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CAPITOLO ILA LEGGENDA DELLA DEFINITIVA

LIQUIDAZIONE TEOLOGICA

SOMMARIO: 1. Contenuto della leggenda. - 2. Critica di Hans Barion allateologia politica. - 3. L'attualità presente della leggenda dellaliquidazione (Hans Maier - Ernst Feil - Ernst Topitsch).

1. Contenuto della leggenda.

La tesi conclusiva di Peterson (con l'annessa annota-zione conclusiva) è ancora oggi citata in una maniera tale dafarne una res judicata con valore definitivo ed efficaciagiuridica. Basta rinviare ad essa per rendere superflua ogniparola ulteriore e risparmiarsi non soltanto la lettura delmio scritto Teologia Politica del 1922, ma persino la piùdettagliata analisi della stessa trattazione di Peterson del1935. Simili liquidazioni forfettarie nelle discussioni diun'attività scientifica articolata secondo il principio delladivisione del lavoro sono assai frequenti e difficili da evitare.Alleggeriscono e sgravano la ricerca scientifica in un modoirresistibile. In un tema così poliedrico, complesso ed anchecosì discusso come la teologia politica sono inevitabili.

Tuttavia, per motivi di esattezza scientifica è di tanto intanto necessario un riesame critico. Per la tesi conclusivaglobalmente negativa secondo cui una teologia politica nonha più ragione di essere, si lasciano oggi citare teologi eantiteologi, cristiani e anticristiani. Davanti alla possibilitàdi un siffatto accordo in negativo è tempo di opporsi alleformazioni di leggende. Anche delle dotte trattazioni diven-tano rapidamente leggende, se mettono chiaramente in

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12 La leggenda della definitiva liquidazione teologica

risalto e annunciano solennemente una tesi conclusiva ac-colta da lontano con favore come il risultato della loro dottaricerca. Trattazioni erudite, che in tal modo si trasformanoin leggende scientifiche, vengono allora solo utilizzate _ econtrariamente al senso etimologico della parola leggenda- non più lette, ma soltanto citate. E questa nel nostro casola situazione.

La nostra analisi riguarda questioni di storia del con-cetto e del problema.

Quando nell'anno 1935 in Germania apparve una trat-tazione sulla formula “ un dio - un monarca ”, essa sicacciò da sé nell'àmbito di una pericolosa attualità, tantopiù che essa occasionalmente (p. 52) indicava il suo monarcaanche come un Fiihrer. Era sentita come una critica attualee una protesta, come un'allusione _ ben dissimulata e chein modo intelligente si estraniava - al culto del Fiihrer, alsistema a partito unico e al totalitarismo. Il suo mottocontribuiva a ciò; era una frase di sant'Agostino, che mettein guardia dalla falsa aspirazione all'unità, che nasce dallabramosia terrena di potere.

Si spiegano cosìi consensi e le accoglienze entusiasticheall`apparire della trattazione. La rivista cattolica Gral la esal-tava come « un piccolo libro amico, ma tale che in appenacento pagine divulga nuove conoscenze sui più grandi pro-blemi, che mai abbiano determinato la società degli uominie delle nazioni ››. Il libro - così si dice di seguito nel Gral -« senza nessun atteggiamento polemico assesta il colpo mor-tale alla teologia politica ››. Negli Schweizer Annalen venivastabilito che era « compiuta la rottura con qualsiasi teologiapolitica. In modo sorprendente si rivela qui il senso profondodi queste discussioni ›› (1).

(1) Illustreremo (sotto I, 3) alcuni esempi dell'attualità presentedella leggenda. Come sintomo generale della sua diffusa e quasi atmo-sferica propagazione sia richiamata l'attenzione su un passo dei Pro-pyla`enWeltgeschichte IV (1963), in cui William Seston tratta la caduta

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Contenuto 13

Per quanto io sappia, non ci sono ancora monografiestorico-contemporanee o biografiche sulla vita e l'opera diErik Peterson, benché sia questo un tema istruttivo, soprat-tutto sotto l'aspetto della teologia e della politica teologica.Negli anni della sua attività pubblica, 1925-1960, la suaconversione al cattolicesimo significa una grande cesura,che però non può essere ristretta alla data di calendario1930. Peterson iniziò come teologo scientifico della scuoladi Gottinga durante la prima guerra mondiale 1914-1918 ecadde nell”intensa crisi, che per la teologia evangelica tede-sca seguì al risultato della prima guerra mondiale. La vastaletteratura sulla crisi di questi anni dal 1914 al 1933 è stataesposta nel 1967 in una ben documentata disseitazionetenuta ad Erlangen da Robert Hepp con l”esatta formula-zione: Teologia politica e politica teologica (2).

La crisi trasse origine dal fatto che nel 1918 vennero acadere per il protestantesimo tedesco le garanzie istituzio-nali (tramandate dal Medioevo e dalla Riforma) che finoraavevano sorretto i due regni ed àmbiti della dottrina ago-stiniana e la cui cooperazione e reciproco riconoscimentosoprattutto aveva reso finora concretamente possibile ladistinzione tra Civitas Dei e Civitas Terrena _ religione e

dell'Impero Romano in Occidente, parla della politica ecclesiastica arianadi Costantino e indica quale suo autore teologico Eusebio di Nicomedia,il vescovo, che battezzò Costantino in punto di morte. W. Sestonstabilisce quindi (p. 504): “ Soltanto dall'arianesimo poteva venir fuori inquest'epoca una teologia politica ”. L'espressione “ teologia politica " dàqui nell'occhio, purché lo storico Seston non scambi il prototipo delmodello creato da Peterson, il liquidato vescovo Eusebio di Cesarea, conil vescovo Eusebio di Nicomedia.

(2) Il sottotitolo della Dissertazione suona: “ Studi sulla secolariz-zazione del Protestantesimo nella guerra mondiale e nella repubblica diWeimar ”. Di questo lavoro sono stati finora riprodotti (scritto tipogra-fato) come Dissertazione della Facoltà di Filosofia dell'Università diErlangen-Nürnberg (Relatore il Prof. Dr. H.]. Schoeps) soltanto i capitoliI e Il con le relative annotazioni; il I concerne la “ Guerra mondiale comeguerra di religione ”, il II “ Rivoluzione e Chiesa ”.

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14 La leggenda della definitiva liquidazione teologica

politica, aldiqua e aldilà -, mentre la Chiesa cattolicalungo tutta l'epoca weimariana (1919-1933) sembrava an-cora assolutamente resistente alla crisi e si atteneva salda-mente alla dottrina sino allora ufficiale delle due societatespeifectae, la Chiesa e lo Stato. Tanto la separazione vete-roluterana quanto quella liberale moderna fra spirituale etemporale, religione e politica venivano superate dallascomparsa delle istanze decisive - la Chiesa e lo Stato -,poiché nella separazione di Stato e Chiesa non si trattavadi competenze di soggetti giuridicamente istituzionalizzati,né di una distinguibilità di sostanze oggettivamente verifi-cabile. In effetti, come dice Robert Hepp (p. 148), nonc'era più nessuno Stato, che fosse “ puramente politico ” enessuna Teologia “ puramente teologica ”. L'àmbito dellasocietà e del sociale si impadronisce di entrambi ed annullala distinzione. Così ebbe origine per il protestantesimotedesco una situazione, in cui i teologi evangelici ricono-scevano la crisi della religione, della Chiesa, della cultura edello Stato ed infine la critica in genere come essenza delprotestantesimo, una cognizione di Bruno Bauer, che apartire dal 1848 era stato messo in ombra dal marxismo. Inun “ Manifesto politico " dell'anno 1932, che recava pertitolo Krisis, il docente di diritto pubblico Rudolf Smendpoteva parlare come di cosa ovvia della connessione della“ crisi” politica con quella religiosa. In Robert Hepp sidice (p. 161 e 162):

« Senza le mura del dogma non era pià separabile in modounivoco lo spirituale dal temporale... Quegli stessi teologi,che durante l'Impero avevano chiesto la separazione diStato e Chiesa e peifino come esperti abati avevano fattoil servizio di un parrucchiere della parrucca teologica delKaiser - in modo del tutto simile a quello una volta fattoda Eusebio di Cesarea presso l'imperatore CostantinoMagno - questi stessi teologi diventavano ora i teologi dicorte della democrazia ››.

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Il teologo di corte di Costantino, il vescovo cristianoEusebio di Cesarea, è stato posto da Peterson nel puntovisibile in lontananza di una falsa teologia politica. Inseguito egli ci verrà spesso ancora incontro. La sua discri-minazione morale o teologica in quanto “ parrucchiere dellaparrucca teologica del Kaiser ” venne formulata nel 1919dal teologo di Basilea Overbeck e doveva colpire in mododistruttivo il famoso professore berlinese Adolf Harnack inquanto teologo di corte prussiano-guglielmino, natural-mente in modo solo “ puramente ” morale e “ puramente ”teologico, senza nessuna confusione con alcunché di poli-tico, confusione che sarebbe eo ipso “ sudicia ”. Peterson hapubblicato con un epilogo il suo carteggio con Harnackdell'anno 1928 (Hochland, novembre 1932; Traktate 1951,p. 295-321); alla nota 19 di questa pubblicazione egli dicenel 1932:

«Partendo da questo punto di vista si può dire che ladisputa confessionale in Germania ha propriamente uncarattere ancora in certo qual modo reale solo nel campodella teologia politica ››.

Questo carattere ancora nel 1932 riconosciuto in certoqual modo reale egli lo ha poi tacitamente ignorato nellatrattazione del 1935 in quanto non più presente, benchéproprio a causa di Hitler sia diventato in sommo gradoacuto per tutte le confessioni cristiane.

Negli anni di Bonn in cui maturava la decisione per laconversione (1924-1930) cade anche la conferenza Che cosaê teologia? (Bonn 1925), importante per il nostro contesto.Qui Peterson - allora ancora Ordinario della Facoltàteologica-evangelica dell'Università di Bonn - proclamavauna teologia del dogma assoluto. La teologia è la prosecu-zione del Logos diventato carne; essa è possibile solo fral'Ascensione ed il ritorno del Cristo; tutto il resto è attivitàdi scrittore, fantasticheria e giornalismo teologico:

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« Solo con il dogma la teologia si scioglie dal suo legamecon le pià dubbie di tutte le scienze, le cosiddette scienzedello spirito, si libera da questa cerchia di storia univer-sale, storia della letteratura, storia dell'arte, filosofia vita-listica e come altro tutto ciò si chiama ››.

Il teologo cristiano appartiene ad un determinato statoecclesiastico; egli non è un profeta, ma nemmeno unoscrittore. « Non c'è nessuna teologia presso gli Ebrei ed ipagani; c'è teologia solo nel cristianesimo e nel presuppostoche la parola diventata carne abbia parlato di Dio. Faccianopure gli Ebrei dell'esegesi ed i pagani della mitologia e dellametafisica; la teologia in senso proprio c'è solo da quandoquegli che è diventato uomo ha parlato di Dio ››. Neppuregli apostoli ed i martiri sono teologi; essi annunciano etestimoniano. La teologia è invece l'elongazione della Rive-lazione del Logos che si compie nelle forme dell'argomen-tazione concreta. C'è teologia solo nel tempo fra la prima ela seconda venuta del Cristo.

Al cospetto di questa tesi sembra priva di senso, se nonblasfema, ogni idea di una “ Teologia politica " cristiana. Ilmio scritto Teologia politica del 1922 era ben noto a Peter-son per le numerose conversazioni (5). Esso tuttavia non

(5) Solo per annotazione sia indicato l'articolo del Prof. AloisDEMPF, Fortschrittliche Intelligenz nella rivista Hochland, del maggio-giugno 1969, dove Peterson è esaltato come il vero autore del concetto di*teologia politica'. Si dice: « Il docente di diritto pubblico Carl Schmittfece proprio avidamente il concetto di teologia politica; Thomas Hobbesgli apparve come il teorico esemplare dell'assolutismo per il legame frapotere spirituale e temporale; così egli si avvicinava alla dottrina delloStato totalitario. I suoi migliori allievi, Waldemar Gurian e WernerBecker, passarono però a Peterson ››.

Su ciò mi scrisse Werner Becker, che richiamò la mia attenzionesull'articolo di Dempf, in data 10 giugno 1969 da Roma: « Vorrei peròoccuparmi anche dell'articolo di Dempf nel fascicolo di maggio-giugnodi Hochland. Egli descrive sì il nostro comune periodo di Bonn, quandoErik Peterson tenne le due conferenze per lui cosi decisive. Perché

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riguarda nessun dogma teologico, ma un problema di teoriadella scienza e di storia dei concetti: l'identità strutturale deiconcetti teologici e delle argomentazioni e cognizioni giuri-diche. Su ciò ritorneremo ancora (sotto cap. III). In ognicaso con le sue tesi sull”essenza della teologia cristianaPeterson sembrava fosse riuscito a togliersi dalla crisi delprotestantesimo tedesco di allora per porsi in una incrolla-bile certezza teologico-dommatica. Ma nei mutevoli rag-gruppamenti di amico-nemico della storia mondiale la teo-logia può diventare politica altrettanto bene in unasituazione caratterizzata dalla rivoluzione quanto viceversain un'altra caratterizzata dalla controrivoluzione. Ciò è pro-prio delle tensioni incessantemente mutevoli e delle forma-zioni di fronti polemico-politici ed è una questione diintensità. Erik Peterson stesso sapeva ciò molto bene. Egligiunse perfino al punto in cui ad un lamento sull'odiernamancanza di interesse per le controversie teologiche rispon-deva:

« Si abbia il coraggio di vivere nuovamente nella sfera incui il dogma esiste e si può essere certi che gli uomini siinteresseranno di nuovo alla teologia, se ne interesserannocosì come a Costantinopoli le donne del mercato si sonointeressate alla disputa intorno allo homoiousios e ho-moousios ››.

Ciò suona piuttosto a favore della rivoluzione ed in ognicaso non verso la depolitizzazione della teologia. Veramentenon sembra che Peterson si accorga che in queste dimostra-

Dempf non le ha analizzate? Cosa significa “nella incombente lottaecclesiastica fra l'o1-todossia pura e la teologia liberale ” (p. 238)? Inquesta lotta, che non ha niente a che fare con la successiva lottaecclesiastica, Barth e Peterson stavano da un bel pezzo insieme! Ed inseguito si deve pure considerare che Peterson e Lei erano amici. Non sipoteva quindi passare da Lei a Peterson. Nel capitolo in cui appare il suonome è tutto falso ››.

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zioni teologico-politiche si trattava allora di rivolte mona-stiche. Un vescovo della Chiesa cristiana, come il vescovoEusebio di Cesarea amante della pace e dell'ordine, nonstava dalla parte dei tumultuanti e le “ donne del mercato ”tumultuanti a Costantinopoli o in altre città dell'Orientenon portavano nessun carisma in senso proprio, specifica-mente teologico.

Ci interessa, come abbiamo detto, la trattazione diPeterson sul “ monoteismo politico ” dell'anno 1935. Essasi trova già dinuovo in una rinnovata situazione di crisi, chedoveva necessariamente verificarsi in seguito alle pretese ditotalità del regime nazionalsocialista di Hitler giunto alpotere nel 1933. La nuova crisi toccava tutte le confessionicristiane, protestanti e cattolici, ma in modo diverso, poichéla Chiesa cattolica nel 1933 aveva stipulato con Hitler unconcordato. La trattazione del 1935 riguarda la crisi ma nonapertamente ed ex professo, bensì - si può dire _ fraparentesi: estraniamento attraverso un'assai dotta delimita-zione, filosofico-storico-teologica, del suo oggetto ai primisecoli dell'Imperium Romanum. Per il problema della teo-logia politica è decisivo il fatto che Peterson si attengafermamente alla dottrina agostiniana dei due regni, `delledue diverse “ città ” (di Dio e di questo mondo), nell”isti-tuzionalizzazione tramandata dal Medioevo cristiano e dallaRiforma, ed ignoti la crisi del moderno problema Chiesa-Stato-Società. I due “ regni ”, non sono più àmbiti oggettivichiaramente distinguibili secondo delle sostanze o materie.Spirituale-temporale, aldilà-aldiqua, trascendenza-imma-nenza, idea e interesse, sovrastruttura e sottostruttura tut-tavia si possono ancora determinare solo a partire daisoggetti in lite. La totalità si lascia potenzialmente conse-guire partendo da qualsiasi punto della disputa o da qual-siasi oggetto di contesa, dopo che le tradizionali “ mura ” ,cioè le istituzioni storicamente tramandate delle Chiese edegli Stati, sono state con successo poste in questione dauna classe rivoluzionaria.

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Fino alla prima guerra mondiale (1914-1918) conti-nuava a valere quantomeno in superficie la struttura delleistituzionalizzazioni tradizionali restaurata dal congresso diVienna del 1814/15. Ci si poteva attenere alla finzione di“pure ” e “ pulite ” separazioni fra religione e politicaanche nel liberalismo del XIX secolo. Religione era o affaredi Chiesa o faccenda privata. Ma la politica era faccendadello Stato. Malgrado incessanti conflitti di competenza,l'una e l'altra restavano cose distinte, fintantoché organiz-zazioni e istanze potevano agire e apparire effettivamentericonosciute nella pubblicità politica in quanto grandezzevisibilmente diverse, territorialmente determinabili. Fintan-toché questo era il caso, si poteva definire la religionepartendo dalla Chiesa, la politica partendo dallo Stato. Ilmomento del cambiamento improvviso era giunto e lafacciata concettuale tradizionale crollò quando lo Statoperse il monopolio delpolitico e altre grandezze politiche chelottavano effettivamente gli contestarono questo monopo-lio, soprattutto quando una classe rivoluzionaria, il prole-tariato industriale, diventò un nuovo soggetto effettivo delpolitico.

Questo sviluppo io l'ho esaminato nel mio libro LaDittatura, dagli inizi del concetto moderno di sovranità allalotta di classe proletaria (1921). Ma il risultato formulatoconcettualmente è espresso solo nel 1927 nella trattazione“Il concetto del politico ”. Questa trattazione _ apparsadapprima nell'Archiv fiir Sozialivissenschafif und Sozialpoli-tik (agosto 1927) _ perciò inizia con la frase: Il concetto diStato presuppone il concetto del politico. Il libro sistematicoche ne seguì divenne pertanto una dottrina della costitu-zione (1928) e non una dottrina dello Stato. In altre parole:non si può più oggi definire il politico partendo dallo Stato,ma ciò che oggi si può chiamare ancora Stato deve viceversaessere inteso e determinato a partire dal politico. Ma ilcriterio del politico non può ancora oggi essere una nuovasostanza, una nuova “ materia ” o un nuovo autonomo

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àmbito oggettivo. Il solo criterio ancora rappresentabilescientificamente è oggi il grado di intensità di un'associa-zione o di una dissociazione, cioè: la distinzione di amico enemico.

Chiedo venia al lettore per il fatto che io abbia pretesoda lui una rapida sintesi sulla svolta della Chiesa e delloStato verso il politico. Davanti alla confusione della discus-sione attuale difficilmente c'è oggi un'altra possibilità diintendersi e di conseguire il grado di riflessione, che rendepossibile una discussione fruttuosa. Ernst-Wolfgang Bö-ckenförde ha riassunto lo stato attuale della problematica inun saggio, Mandato politico della Chiesa? (Stimmen der Zeit,148, dicembre 1969, p. 361/372):

« L'odierna sinistra politica e la teologia ad essa inclinehanno scoperto qualcosa che Carl Schmitt ha visto eformulato già quarant'anni fa, cioè che il politico non hanessun oggetto delimitabile, piuttosto designa un gradodeterminato dell'intensità di un'associazione o di unadissociazione, che può ricevere il suo materiale a secondadella situazione e di rapporti dati nella società da tutti gliàmbiti oggettivi. Non si sfugge perciò al politico per ilfatto che ci si ritiri in una oggettività neutrale, un dirittonaturale prepolitico o una pura annunciazione del mes-saggio cristiano di salvezza. Anche queste posizioni, secadono nel campo di relazione e di tensione del politico,diventano posizioni politicamente rilevanti. Questo è _partendo dall'esperienza e da un punto di vista analitico_ indiscutibilmente esatto e ci si chiede perché né ilpubblico generale né il pubblico ecclesiale abbiano finoraaccolto questa visione ››.

Il saggio di Böckenförde è dedicato “ al prof. Barionper il suo settantesimo compleanno ”. Dobbiamo adessorivolgerci alla presa di posizione di Barion sul problemadella teologia politica.

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2. Critica di Hans Barion alla teologia politica.

Conformemente al rinvio, che precede la nostra inda-gine, ci atteniamo qui alla critica di Barion alla dottrinaprogressista dello Stato del Concilio Vaticano II dell'anno1968. Il quinto dei suoi studi sul Concilio analizza inparticolare il § 74 della costituzione pastorale del ConcilioDella Chiesa nel mondo. Il canonista pone le due domande:La dottrina progressista dello Stato espressa dal Concilio èteologia politica? Ed è teologia?

La risposta di Barion suona:

Essa è « teologia politica, giacché essa vuol prescrivere excathedra un modello politico determinato; ma per questoessa non può essere teologicamente legittima, poiché laRivelazione non contiene nessun modello del genere.Anche il riconoscimento dello Stato romano del primosecolo era un mero riconoscimento di fatto, allo stessomodo di quello di tutti gli altri modelli possibili nelquadro dei dieci comandamenti ›› (p. 51).

Barion spiega la sua distinzione di teologia e politicacon la distinzione dei due regni, che sant”Agostino insegna(p.17). Anche Peterson si richiama per la sua liquidazionedella teologia politica alla dottrina di sant'Agostino. I dueteologi sembrano qui trovarsi d”accordo. Se Petersonavrebbe di certo accettato la critica di Barion alle tesiprogressiste del Concilio, è un'altra questione, che restafuori della nostra discussione.

Lo studio di Barion contiene accanto alla critica delladottrina sociale progressista del Vaticano II anche un'ana-lisi penetrante del mio saggio Cattolicesimo romano e formapolitica, pubblicato nell'anno 1923, che è certamente tut-t°altro che una dichiarazione fatta ex cathedra (4). Il dotto

(4) Il mio saggio è uscito da un'articolo sulla “ Visibilità dellaChiesa ” (nella rivista Summa, 1917) e dalle conversazioni con amici di

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ecclesiologo e canonista Barion chiama il mio saggio unElogium, ed è anche questo. Esso ha qualcosa di retorico.Vedremo più tardi come Peterson distanziasse dalla teo-logia il suo modello negativo di una teologia politica, ilvescovo Eusebio di Cesarea, il panegirista di CostantinoMagno, in quanto retore ed il suo panegirico in quantoencomio. L'inquadramento nel seguito di un Eusebio è perme un onore immeritato; la concessione in ciò racchiusa diun`ammissibilità sia pure solo extrateologica io non ladisdegnerei assolutamente, tanto più che Barion, a diffe-renza di Peterson, non nega in alcun modo, ma mette inrilievo il contesto temporale, materiale e sistematico delmio saggio con i miei lavori scientifico-giuridici degli anni1919-1927 (5)

quel tempo e assai diversi fra loro: Theodor Haecker, Konrad Weiß eFranz Blei; fu pubblicato in seguito alle insistenze di Franz Blei e diJakob Hegner; divenne celebre per la sua prima frase: C'ê un affettoantiromano, una frase, che l'affetto antiromano all'epoca ancora vivaceavvertiva come una provocazione e che il prelato Kaas ha citato controLudendorff nel Deutsche Reichstag. Il mio saggio non parla di uniaffinitàdella Chiesa con determinate forme di unità politica (monarchia odemocrazia); esso difende la peculiare forma politica della Chiesa romanain quanto rappresentazione visibile nella storia universale dell”uomodiventato Cristo nella realtà storica, che si manifesta nelle tre forme dellasua pubblicità: come forma estetica nella sua grande arte, come formagiuridica nello sviluppo del suo diritto canonico e come forma di poterestorico universale splendida e gloriosa.

(5) Si tratta qui non soltanto di articoli, ma anche di ampi libricome il “ Romanticismo politico ” (1919), “ La dittatura dagli inizi delconcetto moderno di sovranità alla lotta di classe proletaria " (1921) edegli ultimi due capitoli dello scritto sulla “ Situazione storico-spiritualedell'odierno parlamentarismo " (1923), che si trovano tutti in connes-sione temporale, matetiale e sistematica con la “ Teologia Politica " del1922. Il solo, che ha tenuto conto di ciò in un'esposizione riassuntiva eche non si è accontentato di una sporadica occupazione, non appartenevaad alcun ceto e non era di professione né un teologo né un giurista: HugoBall; il suo articolo “ Politische Theologie " è apparso nel 1924 nelfascicolo di giugno della rivista cattolica Hochland ed ancora oggi può

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Barion stabilisce dunque: questo elogio pubblicato nel1923 della Chiesa Romana in quanto fenomeno da lungivisibile nella pubblicità della storia universale (6) lo sisarebbe ancora potuto fare nel 1958, l'anno della morte diPio XII; ma la sua verità sfumò di colpo, quando papaGiovanni XXIII introdusse il suo Aggiornamento. Il Con-cilio Vaticano II ha tolto allora i fondamenti a tutto l'elogio(p. 19). Nel titolo del contributo di Barion l'espressione“ forma di potere politico ” è di conseguenza provvista diun punto interrogativo. I tempi del trionfalismo ecclesiasti-co-romano sono passati ed il glorioso splendore di unaforma di potere storico-universale, della quale il mio saggioha parlato, era soltanto « il glorioso splendore di una sba-gliata evoluzione storico-universale›› (p. 51).

Così parla il teologo, in particolare l'ecclesiologo ed ilcanonista. La sua conclusione sembra concordi con quelladel teologo ed esegeta Peterson. Entrambi si richiamano alladottrina di sant'Agostino dei due regni; entrambi rifiutanola tradizione che si richiama alla continuità della Chiesa conl'Imperium Romanum e la contraddistinguono come “ teo-logia politica, ma non: teologia ”. Il canonista fa su ciòun'esposizione di poche righe, che offre un magistralesguardo riassuntivo di un millennio e mezzo di negazione di

sorprendere il lettore critico. Ball, che è morto nel settembre 1927, nonha conosciuto la mia trattazione sul concetto del politico (1927).

(6) Per il problema oggi (1969) attuale della pubblicità è di nondiminuito interesse il passo seguente tratto dall'articolo “ PolitischeTheologie" di Carl Eschweiler nella rivista “Religiose Besinnung”,Stuttgart 1931/32, quaderno 2, p. 78: « Il regno di Gesiì che non consistenel potere delle armi, ma soltanto nell'autorità del testimone da e per laverità non ê stato in nessuna epoca una mera faccenda privata. L'Imperopagano non ha infuriato per 250 anni contro pensieri e sentimenti interiori.La Chiesa dei martiri era una comunità, la cui indipendenza di principiodallo Stato non é spiegabile né mediante l'esenzione fiscale dei pensieri némediante la segretezza di pratiche rivoluzionarie; essa era già nelle cata-combe vera e propria Chiesa, cioè una sfera particolare di ordinamentopubblico insopportabile per lo Stato assoluto pagano ››.

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ogni possibilità di una teologia politica cristiana (p. 17); lastrada passa attraverso “ la dottrina neotestamentaria dei dueregni, che nella Chiesa antica Agostino ha rappresentato nelmodo migliore e che Lutero ha condotto al suo culmine ”;dall'illuminismo e dalla legge dei tre stadi di A. Comte conl'aiuto di una deteologizzazione - “ cosa che la teologia pro-gressista avrebbe considerato come secolarizzazione ” - lanegazione è stata portata alla chiara separazione di spiritualee temporale, di teologia e politica (Epirrhosis, p. 17). Con ciòsembra corrispondere in Peterson il confronto dello storicodella Chiesa Eusebio, il panegirista di CostantinoMagno, conil padre della Chiesa latino Agostino. Il nome di Lutero tut-tavia Peterson non lo avrebbe qui indicato contemporanea-mente con quello di sant'Agostino.

Eppure Barion nel suo studio parla soltanto del miosaggio Cattolicesimo romano, mentre l”annotazione conclu-siva (connessa con la tesi conclusiva) di Peterson si volgecontro uno scritto del tutto diverso, puramente giuridico,cioè solo contro la mia Teologia Politica del 1922. Barion èdi ciò ben consapevole; egli ritiene nondimeno necessariauna discussione della trattazione di Peterson, benché essa- come egli allora (1968) riteneva - divenga “ oggi oramaisolo raramente considerata ” (p. 54). Nel frattempo si èperò visto che la leggenda è ancora oggi viva e che Barionrispetto alla sua opinione dell'anno 1968 si ricredeva già nelfebbraio 1969.

3. L'attualz'tà presente della leggenda della lzquídazzbne(Ham Maier - Ernst Fei! - Ernst Topitsch).

In un articolo “ Politische Theologie ” delle Stímmender Zeit del febbraio 1969 l'eminente politologo monacenseHans Maier si volge tanto contro “ la parola d'ordine dellateologia politica, che oggi circola ” quanto contro le nume-rose teorie e programmi di azione dei teologi evangelici ecattolici che oggi predicano una “ teologia della rivolu-

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zione ”. La sua polemica critica si rivolge soprattutto controciò che il teologo cattolico ].B. Metz presenta apertamentecon questo termine come la sua teologia politica. Nel libroSulla teologia del mondo (1968) aveva auspicato una formapubblica, deprivatizzata di realizzazione e annunciazionedella fede e chiesto una critica ecclesiastica, istituzionaliz-zata della società, una critica sgorgante dalla riserva escato-logica del cristianesimo. Metz usa espressamente il termineteologia politica per questa sua cosa. Hans Maier chiamaquesto un “ tentativo fatto con un concetto inservibile ”perché il concetto di una teologia politico-cristiana a causadella dottrina della Trinità sarebbe diventato in sé stessoimpossibile. “ La storia della teologia politica in epocacristiana è perciò al tempo stesso la storia della sua continuadistruzione ” (p. 76). L'autorità teologica ed il principaleteste scientifico di Maier è Erik Peterson. L'articolo nelleStimmen der Zeit del febbraio 1969 chiude con una cita-zione della tesi conclusiva di Peterson. La citazione è intro-dotta con il rinvio al fatto che Peterson aveva scritto le sueproposizioni nei primi anni del nazionalsocialismo con rife-rimento a Carl Schmitt. Alla tesi conclusiva di Petersontestualmente citata Hans Maier aggiunge ancora:

« A queste proposizioni (cioè di Peterson) ancbe oggi nonc'e" nulla da aggiungere - tranne l'accenno alla loroperdurante attualità. Proprio la nuova teologia politica èsolo una variante dialettica secolarizzata della vecchia.Indicare di fronte ad essa la legittima autonomia, lanon-confondibilità di spirituale e temporale, di Cløiesa esocieta e" il compito legittimo dei credenti cattolici - maspecialmente dei laici cattolici, che nell'attuale crisi reli-giosa ed ecclesiale si sono conservati la capacita di distin-zione degli spiriti. Per essi io /io qui parlato ››.

Rispetto a ciò il teologo cattolico Ernst Feil difende lateologia politica di G.B. Metz e prende in esame il camminodalla teologia politica alla teologia della rivoluzione in un

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articolo del volume collectaneo (da lui e da Rudolf W/et/7edito nel 1969) “ Discussione sulla teologia della rivoluzio-ne ”. Egli è però cauto di fronte al tentativo di vedere nellarivoluzione come tale (in concreto naturalmente si intendesempre la Rivoluzione francese e la sua continuazione mar-xista) una manifestazione di Dio nella storia. Se mette inguardia davanti ad ogni “ dottrina dei due regni falsamenteintesa ", sottolinea al tempo stesso che non ogni rifiuto della“ teologia della rivoluzione ” significhi di per sé il rifiutodella rivoluzione in ogni caso ed in tutte le circostanze,mentre rifiuta senz'altro una teologia politica della contro-rivoluzione, della restaurazione e della tradizione. Anch'eglisi richiama alla leggendaria liquidazione petersoniana diogni teologia politica. E sorprendente come egli nella suasintesi storica faccia il nome di Thomas Hobbes senzaindicare l'essenza specificamente teologico-politica della Ri-forma protestante e di tutte le rivoluzioni e controrivoluzioniconfessionali del XVI e XVII secolo. Non avverte nemmenoin quale misura lo ius revolutionis della Rivoluzione franceserappresenti una conseguente continuazione deteologizzatadello ius reformandi della Riforma protestante. La sola cosache nella sua esposizione accuratamente ponderata stia fermaè il verdetto sulla teologia politica della controrivoluzione.Non si accorge del pericoloso parallelo fra controriforma econtrorivoluzione. Non diventa nemmeno consapevole dinon potersi sottrarre alla domanda hobbesiana che decidetutto: Quis iudicaløit? Quis interpretabitur?

Anche Ernst Feil si richiama alla leggendaria liquida-zione petersoniana di ogni teologia politica. Egli si limita peròalla “ teologia politica della Restaurazione ”. Il risultato è“ molto semplice ”: la teologia politica della controrivolu-zione (de Maistre, Bonald e Donoso Cortés) era terminolo-gicamente quanto oggettivamente un ristabilimento dell'an-tica teologia politica pagana; “ essa serviva al mantenimentodi forme politiche nel frattempo già distrutte ”. In altre pa-role: Vae Victis! Per colmo di sventura il vinto perde finanche

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la possibilità di una teologia politica. “ Dal tempo della va-lutazione positiva (almeno originariamente) del concetto diteologia politica ad opera di C. Schmitt non si è più trovatonessuno che abbia voluto aderire a questa valutazione ”.

In questa argomentazione di Feil non abbiamo a chefare (come nel teologo protestante]. Moltmann) più o menocon categorie “teologiche interne', ma con una valutazionedi reali avvenimenti storico-politici come la rivoluzione e lacontrorivoluzione. Il termine valutazione è qui particolar-mente istruttivo. Le contrapposizioni fra rivoluzione e rea-zione, futuro e passato, nuovo e antico diventano valuta-zioni e i due regni di S. Agostino si trasformano in àmbiti divalidità dei valori nel senso della filosofia dei valori. Alloraveramente non ci si può più stupire, se degli antigallicani,pensatori cattolico-romani come de Maistre, Bonald e Do-noso capitano tra gli eusebiani, i cesaropapisti e gli ariani.Senso e significato, valore ed essenza del valore è la suaconvertibilità. Ciò che oggi è nuovo, domani è vecchio. QuiFeil cade in una vicinanza sospetta con teologi progressistidel XIX secolo come David Friedric/9 Strauss. Per costoro ilcristianesimo rispetto al politeismo e pluralismo paganoera il Nuovo allora rivoluzionario; il monoteismo cristianoera progresso rispetto al politeismo e pluralismo pagano.Giuliano l'Apostata passava per romantico e reazionario,sant'Atanasio invece per rivoluzionario. Oggi le cose stannoal contrario. Oggi è il cristianesimo ecclesiastico tradizio-nale l'antico ed il reazionario ed il progresso è il nuovo. D.F.Strauss fornisce il caso classico di una sorta di ideologiadella novità e della modernità ed anche, se si vuole, di una“ teologia politica del nuovo ", che - a differenza dellateologia politica di Bruno Bauer - si deve però indicarecome “ non critica ” (7).

(7) Lo scritto di D.F. Strauss su Giuliano l'Apostata, il “ Roman-tico sul trono di Cesare ", è apparso nel 1847 a Mannheim; cfr. su ciò nelmio libro “ Romanticismo politico ” l'excursus sul “ Romantico sul trono

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28 La leggenda della definitiva liquidazione teologica

Il rapporto in cui i tre pensatori controrivoluzionaricattolico-romani si trovavano rispetto agli sviluppi politici esociali del loro tempo, Feil lo chiama “ non critico edidentificante ”. Identificante lo era come ogni onesto enga-gement, giacché i tre pensatori erano esistenzialmente legaticon ciò che rappresentavano e difendevano. Non critici loerano in un senso determinato di fronte all'autorità eccle-siastica ai loro occhi legittima, ed alla quale si sottomette-vano, come anche Peterson ha fatto espressamente. Per ilresto essi erano critici molto intelligenti e buoni teologi;possono perfino essere considerati come padri della socio-

di Cesare ” (III ed., p. 210-221); per il nostro contesto particolarmenteilluminante la p. 221: « Occorre solo cbiarire cbe cosa erano propriamentele parti cbe qui si fronteggiavano come veccbio e nuovo per riconosceresubito la differenza delle argomentazioni religiose di Giuliano da quelle delromanticismo della Restaurazione. L'imperatore stava di fronte al suonemico, una fede religiosa, con argomenti religiosi; il romantico teologiz-Zante davanti ad una discussione politica scantonava in dimostrazionireligiose, e la teologia gli serviva come un alibi romantico... ››. Inoltre il miolibro: Donoso Cortés (del 1950), p. 97/98 (articolo del 1927): « Ilragionamento di Strauss diventa qui cosi primitivo da assumere tutte lepossibilità di una fede delle masse: il veccbio muore, il nuovo vive; ilcristianesimo è il veccbio; ciò cbe noi oggi crediamo, il progresso, la libertadella scienza, ecc., ê il nuovo. La conseguenza pratica finale è cbiara. IlTutto deve stare come un pezzo raro nel museo paretiano delle derivazionipseudologicbe. Renan, accanto a Strauss l'altro initologo della vita di Gesù,è di un gusto infinitamerzte migliore, ma ancbe più pessimista. Le diversitàdi buono e cattivo gusto sono però in questo caso solo sfumature secondarie.Piu importante è il mito, al quale idue mitologi stessi credono. La lotta delnuovo contro il veccbio ê un tema dei miti di tutti i tempi: Cronos controUrano, Zeus contro Cronos, Eracle contro Zeus ed il gigante Tburios, ilgermanico Tbor, il Drago verde contro il Drago rosso. Nei due criticiprogressisti della Bibbia ciò assurge alla banalità di una modernità che sicompiace di se stessa. Naturalmente Strauss è ancbe qui il più grossolano.In lui il nuovo e straordinariamente contento di se stesso e del suo tempo.Egli (cioè DF. Strauss) gode con raggiante piacere della dilazione concessaper la salita al patibolo, potendo fra essi egli apparire nel ruolo del nuovo.Primitivo, abbiamo detto, ma proprio per questo predestinato al mito dimassa di un secolo positivista ››.

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logia moderna. Auguste Comte porta l”impronta non solo diSaint-Simon, ma anche di De Maistre; su Bonald è apparsoun interessante lavoro, che anche Feil cita (p. 124, nt. 45) eche ha per titolo La nascita della sociologia dallo spirito dellaRestaurazione (8), e l'escatologia cristiana di Donoso èpensabile solo come rigetto della filosofia della storia delconte Henri de Saint-Simon, dal quale lo spagnolo dagiovane era rimasto soggiogato. Un controrivoluzionariocome Burke appare retorico e la sua argomentazione è unasemplice arringa in confronto all'acume critico di ciascunodei tre pensatori cattolici; neppure il genere fortementeretorico di Donoso cambia nulla a questa constatazione.

Già oggi - pensa E. Feil - si mostrerebbe che “ laquestione del rapporto della fede e dell'agire politico con ilnaufragio di una teologia politica tradizionale non soltantonon è liquidata, ma si pone nuovamente ”; perciò a ragione].B. Metz cercherebbe “di riflettere in modo sempre dinuovo critico-distanziante sulla base dell'orientamentoescatologico della fede ” il rapporto della fede cristiana conla società. L'orientamento escatologico cerca “ di formulareil messaggio escatologico nelle condizioni della nostra at-tuale società ". Cosa significa ciò in concreto? La nostraattuale società è progressista nel senso di un progressoscatenato, che unisce in sé scientificità avulsa dai valori,libertà di sfruttamento industriale e crescita del liberoconsumo umano; essa è inoltre un pluralismo dei gruppisociali, in cui tutto diventa plurivalente. Il suo genere diescatologia può quindi essere soltanto una escatologia del-l'bomo-bomini-bomo, nel migliore dei casi una utopia con

(3) Robert SPAEMANN, De Bonald und die Pbilosopbie der Restau-ration, Dissertation 1952, apparso con il titolo: Der Ursprung der Sozio-logie aus dem Geiste der Restauration. Studien über L.G.A. de Bonald,München 1959. Da Bonald deriva la frase: la realtà è nella società e nellastoria; cfr. il mio “ Romanticismo politico ” nel capitolo: La recbercbe dela Realité (p. 89).

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principio di speranza di un bomo absconditus che producesé stesso ed in più ancora perfino le condizioni della suapropria possibilità.

Per il nostro contesto è di particolare interesse il fattoche anche E. Feil nella sua risposta ad Hans Maier assumela leggendaria tesi conclusiva di Peterson, anche se solo perliquidare gli antigallicani in quanto cesaropapisti e perconcedere alla teologia politica della rivoluzione alcunepossibilità teologiche prudentemente dosate. Tuttavia, Feilha avvertito in certo qual modo la fondamentale debolezzadella trattazione di Peterson: la limitazione alla parolad”ordine non meditata della monarcbia divina (invece del-l'“ unità politica ”) e l'esclusione in essa tacitamente conte-nuta di ogni altra problematica sul lato politico del tema, inparticolare l'esclusione di ogni democrazia. Ma non nesegue, come vuole Feil, che la parte esclusa possa esseresalvata dalla liquidazione; con ciò è dimostrato solo che ilmateriale incompleto di Peterson non regge una conclu-sione generale e la sua tesi conclusiva forfettaria diventa unoscheck, che ha mandato allo scoperto il suo conto materiale.

Il teologo cattolico Ernst Feil cerca di limitare la liqui-dazione della teologia politica, escludendo la democraziadal verdetto sommario di Peterson. Il neopositivista ErnstTopitscb spinge la liquidazione dell'àmbito monoteistico-monarchico nella dissoluzione di ogni concreta teologia inuna cosmologia comparata in generale. In un articolo “ Co-smo e potere, origini della teologia politica ” nella rivistacattolica Wort und Wabrbeit (1955, Heft 1, p. 19-30) eglistabilisce che sulla cerchia di problemi, nota con la parolad'ordine “ teologia politica ”, non sembra “ agire nessunabuona stella ”; l°articolo di Hans Kelsen “ Dio e Stato ” nelLogos XI, 1923, avrebbe trovato poca attenzione, e “ il piùfortunato scritto di Carl Schmitt è tuttavia solo un argutoschizzo ”. Allora, nel 1955, Topitsch non era ancora il bendefinito sciamanomacho di oggi. Nella minimizzazione delmio scritto del 1922 egli si imbatte nell'annotazione finale di

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Peterson, che parla di “ brevi e non sistematiche elabora-zioni ”, per estrarre ed isolare lo scritto dalla loro connes-sione temporale, materiale e sistematica con più estesepubblicazioni. Topitsch elogia Erik Peterson, che ha chia-rito in modo esemplare il rapporto dell'idea della monar-chia divina con il dogma della Trinità ed ha “ chiaramentedistinto ” la religione cattolica dall'ideologia imperialeariana. Tuttavia, egli critica al tempo stesso la limitazione diPeterson alla teologia pagana, che resterebbe “ la velina edil fondo ” della teologia politica ed in questo modo puòessere liquidata in quanto pagana ed eretica.

Con questa osservazione critica sulla pretesa di Peter-son di aver liquidato una volta per tutte ogni teologiapolitica cristiana Topitsch si avvicina al nocciolo del nostroproblema. Egli nota cioè l`effettiva debolezza della tratta-zione di Peterson, il suo errore strutturale, la sproporzionefra il materiale probatorio e la tesi conclusiva, e rifiutal'evasione nell'edificante teologico puro. Invece di ciò eglineutralizza - e ciò qui significa: deteologizza _ la richiestaspecifica di un teologo cristiano e si diffonde in comunica-zioni molto interessanti sul rapporto generale fra cosmo epotere presso gli antichi cinesi ed indiani, gli assiri e ipersiani. Così giunge ad un risultato che elude la scottantequestione politico-teologica:

«Il problema della Trinità infine rende a suo modoimpossibile proprio la disgregazione sociologica dell'i'deadi Dio e ne impedisce l'abuso nella legittimazione di unoStato universale cesaropapista, e tuttavia non consentenessuna derivazione e spiegazione delle norme sociali ››.

Questa osservazione è di una totale confusione. Per unverso egli sembra dia ragione a Peterson; per un altro favalere una riserva e non si sbaglia sul fatto che la vittoria -da Peterson esposta in modo così esemplare - del dogmadella Trinità sul monoteismo ariano stesso era “ certamente

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di eminente portata politica ” (p. 26). Tutto infine si perdenel normativismo, parlandosi improvvisamente, invece chedi nomos, di norme e nemmeno di dogmi e concetti, i cuiordinamenti storicamente concreti si strutturano concet-tualmente per giungere a decisioni legittime, interpretarequeste stesse decisioni e tenere in pugno il controllo dell”e-secuzione.

Topitsch non ha soltanto riconosciuto la debolezzainterna della tesi conclusiva di Peterson; egli ha inoltrel'ulteriore merito di aver trovato una plausibile suddivisionedegli intricati fenomeni dello sterminato àmbito del pro-blema. Le complesse alterne connessioni verticali e orizzon-tali della realtà politica con concezioni ed immagini religioseegli le ha ridotte a tre categorie. Il groviglio di simboli eallegorie, paralleli e analogie, metafore, di proiezioni ereiezioni da una sfera nell'altra è sociomorfo, biomorfo otecnomorfo. Con ciò non è data nessuna soluzione delproblema della connessione stessa, ma una morfologia delmetaforizzare, una prima catalogazione che ordina i feno-meni entro i numerosi “ rispecchiamenti ” e “ controrispec-chiamenti ”, con i quali noi abbiamo qui a che fare. Fin-tantoché l'uomo è un'essenza antropomorfa, cioèsomigliante all`uomo, egli intenderà se stesso ed i rapporticon i propri pari entro siffatte `immagini'. L'inestirpabileantropomorfismo di ogni pensiero umano può presentarsicome bio, tecno o sociomorfismo. Il re può apparire comeun dio e Dio stesso come un re. Ma Dio può essere pensatoanche come una sorta di elettromotore del mondo e l'elet-tromotore come una sorta di motore universale, ed infineanche l”uomo stesso si serve per la sua propria autocom-prensione di tutte queste immagini e comprende scientifica-mente se stesso insieme con il suo apparato psico-fisicocome una capsula spaziale. Tutto ciò si può combinare inmetafore polimorfe. Il grande Leviatano, lo Stato di Tho-mas Hobbes, è tetramorfo: esso è tanto il grande, mamortale Dio quanto una grossa bestia, inoltre un grande

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uomo e una grande macchina. Proiezioni ingenue, fantasienuminose, riduzioni che riflettono l'ignoto su qualcosa dinoto, analogie dell'essere e dell'apparire, sovrastruttureideologiche su di una infrastruttura, s'incontrano tutte nel-l'àmbito sterminato e polimorfo della teologia politica oanche della metafisica. La classificazione in socio, bio otecnomorfo registra senza fatica ed al primo sguardo ilmateriale illustrativo e informativo delle incessanti alternemeta, ana e catamorfosi. Un essere vivente biologico comel'uomo non scambierà se stesso in quanto essere vivente conuna macchina o con un gruppo sociale in quanto tale. I tretipi illustrativi o figurativi, biomorfo, tecnomorfo, socio-morfo, sono tre ventagli di registrazione, tre segnali stradalidi carreggiate scientifiche, che già funzionano quasi comeprodotti di una precisione da computer. Non occorre nes-suno sforzo teoretico-concettuale per distinguere un auto-mobilista da un'auto e tutte e due da un un automobilclub.

L'errore strutturale, che indebolisce la trattazione diPeterson, rende facile al positivista trasformare una liqui-dazione puramente teologica della teologia politica in unaliquidazione scientifica della teologia stessa. Sotto questopunto di vista rincresce che Topitsch non prenda in consi-derazione l'articolo “ Monarchia divina ”, che Petersonpubblicò nel 1931 (nella Tbeologisc/:ven Quartalscbrift,1931). Questo articolo offre l'intero strumentario probato-rio storico-teologico di Peterson senza rivestirlo con l'asso-lutizzazione in una tesi conclusiva generale. Un teologocome Peterson non ha bisogno di aspettare la rispostadefinitiva alle questioni preliminari critico-gnoseologiche,teoretico-scientifiche e metodologiche prima di fare la suaasserzione puramente teologica. Non gli si rende giustizia,se si converte la sua - riuscita o fallita - liquidazione diuna teologia politica monarchico-monoteista in una socio-logia globale delle immagini cosmologiche e la si risolve inuna scienza comparata della religione, in una sociologia

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generale della religione o in una scienza positivistica dellenorme.

I tre articoli di Hans Maier, Ernst Feil ed Ernst Topi-tsch sono, ciascuno nel suo genere, di grande interesse perla nostra indagine. Essi mostrano in quali diverse e perfinoopposte direzioni la tesi liquidatoria di Peterson è ancoraoggi attiva. Maier accoglie senza esaminarla la tesi conclu-siva di Peterson insieme con l'annotazione finale taliterqualiter; Feil l'ammette per la teologia politica della contro-rivoluzione; Topitsch loda la critica del cesaropapismo e latrasforma da un'asserzione specificamente teologica in unpezzo di scienza generale della religione.

Ci volgiamo adesso all”origine ed al documento propriodella leggenda, alla trattazione di Peterson dell'anno 1935sul “ Monoteismo come problema politico ”.

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CAPITOLO II

IL DOCUMENTO LEGGENDARIO

SOMMARIO: 1. Origine e delimitazione temporale della materia. - 2.Aggiunta teologico-politica: le roi règne et ne gouverne pas. - 3.Delimitazione della materia e formulazione del problema dal latopolitico: la monarchia. - 4. Delimitazione della materia e formu-lazione del problema dal lato teologico: il monoteismo. - 5.Eusebio come prototipo della teologia politica. - 6. Il confrontoEusebio- Agostino.

1. Origine e delimitazione temporale della materia.

Ci concentriamo sul documento leggendario, la tratta-zione di Peterson sul monoteismo del 1935, per compren-dere l'esatto contenuto della sua tesi conclusiva. La princi-pale opera scientifica di Peterson, il suo scritto diabilitazione dell'anno 1926, tratta il tema del Dio Uno, HeisTbeos, e si trova con la trattazione del 1935 in uno strettorapporto oggettivo. Essa nasce dalla dissertazione tenuta daPeterson a Gottinga nel 1922, fu accettata come scritto diabilitazione dalla Facoltà teologica evangelica dell'Univer-sità di Gottinga e apparve nel 1926 come libro (nelle“ Ricerche sulla religione e la letteratura dell'Antico eNuovo Testamento ” edita da R. Bultmann e H. Gunkel)con il titolo: “ Heis Tbeos. Studi epigrafici, storico-formali edi storia della religione ”.

Questo ampio libro del 1926 è di grande importanzaper il problema scientifico del monoteismo, soprattutto perla prova che la formula del Dio Uno può essere consideratacome un'acclamazione pubblica, come un grido o la dimo-strazione di un Dio determinato o di un determinato impe-ratore o re e non ha bisogno di contenere nessuna profes-

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sione di monoteismo. Di teologia politica ancora non se neparla; nessuna questione è posta da questo punto di vista. Illibro non mette in evidenza nessun punto di vista dogmaticoe resta neutrale o avalutativo nel senso del riserbo dogma-tico e assiologico proprio della scientificità di una teologialiberale. Un materiale enorme in fonti letterarie e testimo-nianze epigrafiche viene esposto con perfetta oggettività;non si avverte nessuna presa di posizione di alcun genere afavore o contro una qualsiasi tendenza teologica né unaprofessione dogmatica determinata.

Nell'anno 1925 Peterson pubblicava la sua sensazionaleconferenza, sopra (p. 15) citata, Cosa è teologia? Ancheadesso, nel 1925, non si sente ancora il termine “ teologiapolitica ". Restando nell'argomento e con questo terminePeterson parla di teologia politica solo in un articolo del1931. Con il titolo Monarcbia divina ha qui letteralmenteanticipato nella Tbeologiscben Quartalscbrift (1931, HeftIV, p. 537-564) la maggior parte della sua trattazione del1935. Egli inizia, allo stesso modo che nella successivatrattazione, con la “ teologia aristotelica " e la “ monarchiadivina ” degli Ebrei alessandrini ed analizza Filone, le cuiinterpretazioni giudeo-ellenistiche egli caratterizza comepoliticbe (p. 543). Monoteismo come problema politico,questo è per lui nient'altro che il problema della trasforma-zione ellenistica della fede ebraica in Dio. Anche l”attiguaesposizione di Tertulliano corrisponde alla successiva trat-tazione sul monoteismo. Il vescovo Eusebio, il panegirista diCostantino Magno, appare già qui come un caso di unateologia politica inammissibile, ma non ancora come ilprototipo esemplificativo e generalmente valido per tutti itempi. Di lui è detto che ha intrapreso la politicizzazionedell'idea della monarchia di Dio, dopo che Tertulliano ebbetentato di giuridicizzarla (1). A tutti questi tentativi è con-

(1) La conferenza Cosa è teologia? (pubblicata nel 1925) contieneuna annotazione piuttosto lunga sul fatto che dogma e sacramento sono

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trapposto il dogma del Dio uno e trino della teologiacristiana. Gregorio di Nazianzo è citato alla fine dell'articolo(p. 563), per porre la riflessione generale sul suo “veroordine sottostante a tutto il disordine indicato con i concettidi anarchia, poliarchia e monarchia ”. In modo corrispon-dente lo stesso padre della Chiesa greco Gregorio di Na-zianzo entra in scena verso la fine della trattazione del 1935(p. 96/97) come il grande teologo, la cui dottrina ortodossadella Trinità pone termine alla teologia politica degli ariani.Il risultato suona: non può esserci nessuna realizzazionepolitica della monarchia divina. “ Chi avesse voluto tentareuna simile realizzazione, assomiglierebbe all”Anticristo, delquale Gregorio di Elvira dice: ipse solus toto urbe monar-cbiam babiturus est ” (p. 563, nt. 1). Questa citazionedell'Anticristo, che nell'articolo del 1931 appare verso lafine, è appena posta in rilievo nella trattazione del 1935 (p.70), benché l'Anticristo e lo “ Stato mondiale ” nell'anno1935 non fossero meno attuali che nel 1931 o al tempo dellaPax Romana nel 325 oppure oggi nel 1969.

La differenza fra le due pubblicazioni del 1931 e del1935 non si trova nel materiale scientifico di prova 0nell'argomentazione. Prescindendo dal materiale integra-tivo nel testo e nelle note, da alcuni brevi squarci sui piùtardi dottori della Chiesa e da alcune sfumature nell”ac-cento, di nuovo la trattazione del 1935 porta soltantoun'aggiunta di tipo teologico-politico, che discuteremo par-ticolarmente più avanti (II 2). Essenzialmente e decisiva-mente nel 1935 di nuovo si aggiunge un confronto delvescovo Eusebio di Cesarea con sant'Agostino come pas-saggio alla tesi conclusiva con annotazione finale. Con il suoconcetto cristiano della “ pace ” Agostino deve aver fornitociò che i padri della Chiesa greci, in particolare Gregorio di

essenziali per il Nuovo Testamento e “non casualmente termini dellinguaggio giuridico " (p. 31, nt. 21). Su questa osservazione ritorneremoverso la chiusura della nostra esposizione (infra, III, 2).

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Nazianzo, avevano fornito con il loro concetto di Dio e ladottrina della Trinità: la liberazione della fede cristiana“ dal concatenamento con l'Imperium Romanum ”. Ciò èformulato in alcune proposizioni dalla forma di tesi. Tuttee due, tesi conclusiva e annotazione finale, sono quindisemplicemente gettate sopra il materiale scientifico.

Il materiale probatorio di un breve articolo del 1931,che si limita ai primi secoli cristiani fino al tempo diCostantino, senza un'essenziale ampliamento del materialestorico o concettuale come poteva servire da motivazionesufficiente per il verdetto sommario su ogni teologia poli-tica? La trattazione stessa dà in tal senso solo un singolo edassai breve accenno. Essa si qualifica nel sottotitolo, certomodestamente, come un “ contributo alla storia della teo-logia politica nell'Imperium Romanum ”; ma il titolo prin-cipale suona in generale “ Monoteismo come problemapolitico ”, e la tesi finale con l'annotazione finale respingeinfine ogni teologia politica. La motivazione consiste solonel fatto che l'epoca dell'Imperium Romanum e il caso diEusebio di Cesarea devono essere esemplari per l'interoproblema della teologia politica.

“ In un esempio storico si deve far vedere la problema-tica interna di una teologia politica che si orienta sulmonoteismo ”; così è detto proprio all'inizio nell'Avver-tenza preliminare. “ Noi abbiamo qui fatto il tentativo didimostrare in un esempio concreto Pimpossibilità teologicadi una teologia politica ”; così è detto nell'ultima frase allafine del libro. E con ciò inteso soltanto un esempio illustra-tivo? Un siffatto esempio non sarebbe in grado di soppor-tare un convincente cambiamento delle parti nelle numerosesvariate forme fenomeniche della teologia politica. Nel casodi Costantino Magno si trattava del rapporto della Chiesacristiana con un potente monarca cristiano o almeno amicodei Cristiani e di una disputa quasi interna al cristianesimo,le cui impostazioni e risposte non possono essere trasferitené al rapporto teoretico né a quello politico della Chiesa

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Origine della materia 39

cristiana con partner conflittuali non-cristiani, anticristianio perfino areligiosi e completamente deteologizzati. Costan-tino si considerava egli stesso - anche senza battesimocristiano - come un vescovo ed una specie di tredicesimoapostolo, ed Eusebio lo ha riconosciuto come il vescovo tonekton (cioè o di quelli che stanno fuori, ossia dei non-cristiani; oppure di ciò che sta fuori, ossia dell'àmbitopolitico). La tipicità di una figura siffatta e di tutto ciò cheè proprio della sua situazione è assai limitata, e di conse-guenza anche la confrontabilità di Costantino Magno peresempio con Hitler o Stalin. Dall'anno 325 cogliere conparalleli storici l'attualità dell'anno 1935 non è scientifica-mente ammissibile, nemmeno da un punto di vista teologi-co-scientifico, in ogni caso non senza una spiegazione del-Fesemplarità intesa in concreto del materiale probatorio.

Resta inosservata anche la tbeologia politica 0 civilisdegli antichi greci o romani, la cui tradizione è stata fornitada Terenzio Varrone e da capitoli accuratamente interpre-tati della Civitas Dei (XII 1) di sant'Agostino. Varrone, alquale Agostino si rivolge con superiorità piena di umorismochiamandolo Marce astutissime, va messo nello specialesettore di Peterson; nel libro Heis Tbeos del 1926 egli ècitato due volte (p. 245, 306), anche se solo brevemente enon per il nostro tema. L`antica polis era una comunità diculto. Varrone distingue la teologia mistica (fabulosa) deipoeti, che aveva il suo luogo nel teatro, dalla teologianaturale (fisica) dei filosofi, il cui luogo è il mondo, e dallateologia politica, il cui luogo è la polis o urbs (2). Questa

(2) Basta uno sguardo nella Storia della religione romana di KurtLatte (Manuale di scienza dell'anticbità, V, 4), in particolare il cap. XII“ La religione della lealtà nell`epoca imperiale ", per vedere quanto alriguardo e su punti di vista essenziali per una “teologia politica " èescluso per il fatto che Varrone è ignorato. Sulla restaurazione augusteadella pietà italico-pagana messa in risalto _ in contrapposizione a Latte- da Franz Altheim nella sua Storia della religione romana io qui non

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teologia politica fa parte del Nomos e costituisce la pubbli-cità attraverso il culto degli dei, il culto dei sacrifici e lecerimonie. Essa fa parte dell'identità e continuità politica diun popolo, cui sono essenziali la religione dei padri, lefestività ufficiali e il deum colere kata ta nomina, per iden-tificare un erede, una successione legittima e se stessi. Quisi pone la questione, che E.W. Böckenförde ha così formu-lato:

«La religione cristiana nella sua struttura interna ê unareligione come ancbe le altre religioni e perciò la suaforma valida è quella del culto (della polis) pubblico,oppure la fede cristiana trascende le religioni cbe si sonofinora avute, la sua efifcacia e la sua realizzazione consisteproprio nell'abbattere le forme sacrali della religione ed ildominio del culto pubblico e nel condurre gli uominiall'ordine temporale del mondo, determinato dalla ra-gione, all'autoconsapevolezza della loro libertà? (Säkula-risation und Utopie, Ebracher Studien, Festschrift fürErnst Forsthoff, 1967, p. 91) ››.

A causa della sua disgiunzione alternativa io ritengoquesta formulazione del problema troppo angusta, ma ladomanda è inevitabile. E vero che la Chiesa di Cristo non èdi questo mondo e della sua storia, ma essa è in questomondo. Ciò significa: essa prende e dà spazio, e spazio quisignifica: impermeabilità, visibilità e pubblicità. Petersonlascia tutto questo fuori del suo materiale, della sua argo-mentazione e di conseguenza anche fuori dell'asserto dellasua tesi conclusiva. Neppure nel suo articolo Monarcbiadivina del 1931 aveva citato Varrone, ma questo articolo del1931 non pretendeva ancora nessuna liquidazione generaledi ogni teologia politica. L'ignoranza di Varrone dimostrache nel 1935, rispetto all'articolo del 1931, non si giunse ad

entro, benché fossi amico di Peterson ed ammiratore di Theodor Hae-cker, un estimatore cristiano di Virgilio.

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Aggiunta teologica-politica 41

un approfondimento della spiegazione, ma soltanto alla tesiconclusiva.

La teologia politica è un àmbito estremamente poli-morfo; inoltre essa ha due diversi aspetti, uno teologico eduno politico; ciascuno si orienta verso i suoi specificiconcetti. Ciò è dato già con il vincolo lessicale del termine.Ci sono molte teologie politiche, poiché da un lato ci sononumerose e diverse religioni, e dalllaltro numerose speciee metodi diversi di politica. In un campo così duplice ebipolare una discussione oggettiva è possibile solo quandole asserzioni sono univoche e le domande come le rispostesono chiaramente precisate. Esaminiamo perciò tanto illato politico quanto quello teologico riguardo alla delimi-tazione del suo materiale probatorio e alla delimitazionecon ciò data alla sua formulazione del problema. Ma primaoccorre ancora mettere in evidenza una curiosa aggiuntateologico-politica, che Peterson ha accolto nella sua trat-tazione del 1935.

2. Aggiunta teologico-politica: le roi règne et ne gouver-ne pas.

La teologia politica è per Peterson liquidata. Non lo hatenuto occupato neppure la grande importanza, che i suoipropri risultati di ricerca nel libro Heis Tbeos hanno per lasociologia di Max Weber della “legittimità carismatica ”(poiché l'acclamazione tocca tipicamente al capo carisma-tico) (3). In ultima analisi essa è anzi solo un derivato della

(3) Max WEBER, Wirtscbafl und Gesellscbaft, 4” ed., 1956, p.662-673. Io ho posto in rilievo la grande importanza del libro di Petersonper la dottrina della democrazia plebiscitaria nel mio scritto: Valles-entscbeid und Vol/esbegebren (Berlin 1927), p. 34. Sul testo summenzio-nato cfr. l'affermazione di Peterson nella sua conferenza monacense del1929 sulla Chiesa (Traktate, p. 419): Paolo nonfa parte dei dodici, si trovain ciò il limite non della sua eflicacia apostolica ma della sua legittimità

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teologia secolarizzata protestante (che deriva da RudolfSohm), la deformazione di un archetipo teologico. Ebbenela legittimità carismatica neotestamentaria dell'apostoloPaolo sta all'origine teologica di tutto ciò che Max Weberda un punto di vista sociologico ha detto sul tema delcarisma: l'apostolo Paolo, il Triskaidekatos, il tredicesimo difronte ai dodici (Lettera ai Galati, cap. 2; Atti degli Apo-stoli, cap. 15), non potrebbe legittimarsi davanti al loroordinamento stabilito concretamente non altrimenti che peril carisma.

Per contro, un esempio del tutto diverso, non biblico,di teologia politica emerge nel 1931 nell”articolo dellaTheologischen Quartalschrift (p. 540). Appare qui improv-visamente il detto proverbiale in lingua francese: le roirêgne, mais il ne gouverne pas. Proprio questo inciso inquesto contesto io ritengo il contributo più interessante,che Peterson - forse inconsapevolmente - ha dato allateologia politica. Esso riguarda la filosofia di Aristotele equella dell'ellenismo giudaico o pagano ed è oggettiva-mente centrale nell'impostazione concettuale della tratta-zione, benché esso appaia nell'esposizione come un'inser-zione. Infatti, il monoteismo è “ venuto fuori comeproblema politico dalla trasformazione ellenistica della fedegiudaica in Dio ” (p. 98).

Il teologo Peterson si serve qui di una formula francesedel secolo XIX, che modernizza una formulazione latina piùantica, a lui certamente non ignota - rex regnat sed nongubernat - rivolta nel 1600 contro il re polacco SigismondoIII. Il teologo vuole interpretare la forma specificamentepagana 0 giudaico-ellenistica di una teologia politico-mono-teista, la quale teologia come tale non è in realtà unateologia, ma pura metafisica o anche soltanto filosofia sin-cretistica della religione. La formula stessa non è intesa

apostolica. Ed è proprio questo il motivo per cui l'apostolo Paolo è cosicompletamente diverso nella Chiesa da come ad esempio è Pietro.

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originariamente in senso politico-teologico. Essa divenneuna trovata politico-partitica della borghesia liberale delXIX secolo deteologizzato. Un tipico portavoce del regnoborghese, Adolphe Thiers, che ha poi abbattuto nel sanguela Comune parigina del 1871, annunciava la formula nel1829 e nel 1846 come parola d'ordine di una monarchiaparlamentare, in favore di un regime capitalistico del juste-milieu. Nell'articolo su rivista di Peterson del 1931 essaappare una sola volta appena, nel passo citato (p. 540),senza altro commento o introduzione che la formula-chiaveper ciò che Werner Jaeger ha chiamato la “ teologia aristo-telica ” e per il monoteismo del giudeo alessandrino Filone.La retrocessione di una simile formula da un'epoca liberalepostcristiana all'antichità dei primi secoli cristiani è strabi-liante. Ma essa mostra quanta riflessione e lavoro intellet-tuale può essere investito in una formulazione utilizzabile insenso teologico-politico o metafisico-politico.

Donoso Cortés ha riconosciuto esattamente il suo ca-rattere teologico-politico-deistico e lo ha trattato nel suoSaggio eccessivamente laico-teologico del 1851 su “ catto-licesimo, liberalismo e socialismo ”. La stessa formula fran-cese è attentamente analizzata sotto il profilo teologico-politico in una lettera che Donoso Cortés ha indirizzato il 19giugno 1852 da Parigi al cardinale Fornari a Roma. La suaformazione concettuale corrisponde alla struttura di unrazionalismo politico-monoteista, che vuol tener fuori dallalotta dei partiti il vertice del potere, per razionalizzare lastessa lotta per il potere (cfr. la mia Verfassungslehre, p.287) (4). Il parallelo fra il monarca di un regime parlamen-tare (che non interviene nelle decisioni del suo governo, madal di fuori di una certa trascendenza attraverso un governoparlamentare, attraverso un gabinetto, regna e però nongoverna) e la raffigurazione dell”essenza di una più alta sferache non interviene nel corso del mondo è impressionante.

(4) Trad. it. Dottrina della costituzione, Milano, 1984, p. 378.

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Per altro verso è grottesco fare dei paralleli fra Luigi Filippoe i detentori del potere ellenistici, i cesari romani o i gran repersiani. Il gran re persiano, che governa attraverso luogo-tenenti, visir, satrapi, funzionari e ambasciatori, ha tuttaviaun parallelo metafisicamente e politicamente illuminantecon Dio, che non è pensato similmente al Dio del mondostoico come una forza che domina l'universo, ma governaattraverso sottodei, angeli e messaggeri, da una più alta esuprema sfera, come un arché (un principio), che nonesclude, semmai richiede, una maggioranza o molteplicità diulteriori archai, poiché ciò corrisponde alla sua inavvicina-bile, altissima, sacrosanta dignità personale (5). Spostare insimili sfere un roi-bourgeois come Luigi Filippo è caratte-ristico delle concezioni che ha Peterson della teologia po-litica.

A Peterson la formula francese ha fatto chiaramenteprofonda impressione. Nell'articolo della TheologischenQuartalschrift del 1931 essa appare - come abbiamo detto- soltanto una volta e solo del tutto incidentalmente. Nellatrattazione del 1935 invece è sviluppata e messa in evidenzain modo vistoso. Essa domina veramente tutta quanta ladiscussione del monoteismo giudaico ed ellenistico-pagano.Non meno di sette volte è citata espressamente (p. 19, 20,49, 62, 99, 117, 133), come un'idea, “ nella quale ci siamosempre imbattuti ”, anche “ nella sua particolare svolta: ilsommo Dio regna, ma le divinità nazionali governano ”.Siamo perfino avvertiti: “Ciò verrà accuratamente esami-nato " (p. 133). In un passo importante il concetto èripetuto ancora una volta, anche se senza la formula, da-vanti allargomentazione pagana che un Dio può regnaresolo su eguali, dunque solo su altri dei, e non su uomini obestie, allo stesso modo in cui dell'imperatore Adriano si

(5) Su questa logica del potere supremo: Carl SCHMITT, Gesprachüber die Macht und den Zugang zum Machthaber, 1954 [trad. it. inBehemoth, n. 2, 1987, p. 47-57].

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dice che regnava solo sugli uomini e non sulle bestie (p. 52fino a 53). La formula diventa in tal modo una chiave delpaganesimo monoteista (6).

Simili esempi di teologia politica sono per Petersonammissibili, poiché qui non si tratta del monoteismo cri-stiano della Trinità. In connessione con la teologia politicadi Aristotele egli afferma addirittura espressamente “ chel'ultima formulazione dell'unità di un'immagine metafisicadel mondo è sempre con- e predeterminata dalla decisioneper una delle possibilità politiche dell'unità ” (p. 19). Nel-l`annotazione a questo passo è posta la domanda “ seAristotele nella formulazione del suo ideale monarchicoentro l'ordine metafisico non abbia preso la decisione pre-liminare a favore del tipo di monarchia ellenistica creato daAlessandro Magno ” (nt. 14, p. 104). Questo coincide conla tesi della mia Teologia politica del 1922 e della sociologiaivi abbozzata del concetto di sovranità, che (p. 60, II ed.1934) cita una frase di Edward Cair (dal suo libro suAuguste Comte) secondo cui “ la metafisica è l'espressionepiù intensa e chiara di un'epoca ”. Il verdetto della tesiconclusiva non si riferisce chiaramente a questi casi di unametafisica 0 teologia politica, monoteistica-non-trinitaria.

3. Delimitazione della materia e formulazione del problemadal lato politico: la monarchia.

Dal lato politico la delimitazione sembra sia chiara: sol-tanto la monarchia nel senso del potere e del dominio di un

(6) L'imperatore romano Adriano si interessò dell'unificazione ditutti gli dei in una universale unità; su ciò Bruno Bauer ha osservato:“ Ma questa semplificazione della nomenclatura pagana favorita dalsistema stoico corrispondeva alla centralizzazione del potere terrenonell'imperatore. In Atene da secoli una schiera di tiranni e signori assolutiaveva lavorato ad un tempio per il Zeus olimpio come divinità centraledella grecità ” (Cbristus und die Caesaren, 1877, p. 283).

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solo uomo è oggetto di discussione e materia dell`adduzionedi prova. Ciò sembra sia un limite di per sé dato insieme conla delimitazione almonoteismo e corrisponde alla formula: undio - un re. Monarca è nell”impero romano l'Imperator, Cae-sar, Princeps e Augustus. L'Uno dal lato politico della teo-logia politica è quindi un arché in quanto persona singola, nonancora in quanto “persona giuridica', piuttosto un individuoumano. Appena vi si aggiunge una seconda persona, come neldoppio principato dellimperatore romano (p. 47), la formulaperde la sua evidenza. Non sorge la possibilità di una triadedal lato politico. Il concetto di monarchia non si lascia tra-sferire semplicemente alla Trinità, al cui interno l'arché e lapotestas “ hanno un loro proprio significato ” (GöttlicheMo-narchie, p. 557).

Entrano poi nell'argomentazione anche unità politichecapaci di azione, composte da una molteplicità di uomini ogruppi. In particolare, i pagani sono sempre i popoli comeunità politica al plurale. Nel mondo pagano al politeismocorrisponde un pluralismo politico dei popoli nel senso diunità politiche (non soltanto di gruppi sociali). Il mondopagano nel suo complesso è considerato un pluriversopolitico di nazioni diverse, che diventano un universo po-litico solo per via di un solo signore del mondo. Anche il“ popolo di Dio ”, il popolo ebraico, è una unità politica,egualmente l'ecclesia, la Chiesa cristiana, il nuovo popolo diDio. Il concetto di monarchia dell'ebraismo alessandrinoera “ultimamente un concetto teologico-politico risolutonell'addurre ragioni a sostegno della superiorità del popoloebraico ” (p. 63). Lo storico ebreo Giuseppe Flavio nonparla di “ monarchia divina ”. I cristiani, il nuovo “ popolodi Dio ”, che succede agli Ebrei, hanno ripreso e continuatoper la loro ecclesia questa concezione dell'unità politica. Laloro utilizzazione del concetto di monarchia è secondoPeterson innanzitutto solo “ propaganda ” ebraica o giu-deo-cristiana. Presso i cristiani egli la spiega con lo “ strettocollegamento dell'attività scolastica cristiana con quella

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ebraica. La letteratura di propaganda cristiana ha utilizzatoin modo simile a quella ebraica il concetto teologico-politicodi monarchia per addurre ragioni a sostegno della superioritàdel popolo di Dio che si riunisce nella Ecclesia Christi difronte alla fede politeistica dei popoli (dei pagani) ” (p. 37).

Diventa qui riconoscibile il fatto che il concetto cen-trale sistematicamente corretto per il problema teologico-politico, che Peterson si pone, deve essere orientato nonsulla monarchia, ma sull”unità politica e la sua presenza orappresentazione. Thomas Hobbes nel suo Leviatano(1651) lo ha sistematicamente così elaborato: il Supremo, ilSovrano, può essere un uomo singolo o anche un'assembleao una maggioranza di uomini capaci di azione (7). Se non sidice più: un dio - un re; ma: un dio - un popolo, e se illato politico della teologia politica non si orienta più su unmonarca, ma su di un popolo, ciò diventa allora democra-tico. La plausibile coincidenza di monoteismo e monarchi-smo viene meno e non è più giusta. La discordanza non èsfuggita all'acume di Peterson. “ Un popolo e un Dio,questa è proprio la soluzione ebraica” (p. 23). Cionono-stante l'ebreo alessandrino Filone, che del resto per primoin questo contesto accenna alla “ monarchia divina ” (p. 22)e pone l'unità cosmico-metafisica dell'universo contro lapoliarchia, oligarchia e oclocrazia pagana, non parla di“ democrazia divina ”. Del resto, Filone è “ un amico degliideali democratici... ma è chiaro che la fede in Dio ebraicagli impediva di parlare in questo contesto di una democraziametafisica, divina ” (p. 29). Secondo la teologia cristiana gli

(7) Per Hobbes il popolo romano verso l`estero era “ una perso-na ”, e al tempo di Cristo in Palestina a monarch; esso era il Sovrano; adesso Cristo non ha opposto nessuna resistenza: Leviatano, II, cap. XIX.Se un potere politico, che ha in sé una costituzione democratica, tieneoccupato un territorio straniero, allora il popolo del territorio occupatoè secondo Hobbes suddito di una monarchia, poiché l'unità politicaorganizzata all'interno democraticamente appare all'esterno come unapersona.

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Ebrei dalla comparsa del Cristo non hanno più nessun re eneppure profeti.

La questione teologico-politica intorno alla monarchia sicomplica per il fatto che Origene ed i teologi alessandrini,anche sant'Atanasio, non usano la parola monarchia, ma par-lano della divina Monàs. Nella parola mon-archia si troval`aristotelico mia arche, ilprincipio Uno; la parola monas portainvece all'unità platonico-pitagorica del numero. Petersonelogia il papa Dioniso (259-268), che “ sostiene la sacra an-nunciazione della monarchia, supera il duale gnostico escorge nella Trinità un singolo arche di tre persone, che nonpossono essere disfatte 0 divise e sonoUnità e Triade al tempostesso ” (p. 56-57). Ma stranamente anche Eusebio, l'allievofedele di Origene, impiega la parola monarchia; questa è peròin lui intesa come arianesimo ed opinione eretica, quindicome teologia politica, poiché a lui manca il concetto orto-dosso della Trinità del papa Dioniso. Non vogliamo appro-fondire ciò ulteriormente, poiché per la monarchia dal latopolitico del problema in Peterson il monarca del monoteismoellenistico, ossia tipicamente una persona singola, è “ il po-tere Uno del principio ultimo Uno con l'Essere-Potente del-l'ultimo titolare Uno di questo potere ”.

Nella parola monarchia non si dovrebbe tralasciare diosservare che il principato di Cesare Augusto è rimastofedele alla sua legittimazione repubblicana. La continuitàdel dualismo di Senato e Popolo romano, di Patres conscriptie populus, cioè di cittadinanza riunita, di auctoritas e pote-stas, resta riconosciuta malgrado tutte le modifiche e lecatastrofi per secoli, cosicché il papa romano Gelasio an-cora alla fine del V secolo (494) poteva collegarsi a ciò perrivendicare per sé in quanto vescovo della Chiesa romanal'auctoritas e richiamare l'imperatore cristiano all'imperiumed alla potestas (8). Del millennio di disputa fra Sacerdotium

(8) “ In questa immagine cristiana del mondo governato dal poteredi Cristo l'antica idea romana della auctoritas trova il suo nuovo conte-

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cristiano e Imperium cristiano si è informati solo in una notae non più, perché il verso dell'Iliade (2,204): uno deveessere re “ recita una parte anche nella controversia medie-

/\vale fra imperatore e papa ” e perche e citato nel Monarchiadi Dante I,10 (ann. 63, p. 120) (9). Questo è tutto ciò cheudiamo su un millennio di medioevo teologico-cristiano. Lamonarchia plebiscitaria moderna non compare, probabil-mente perché essa non si legittima in senso monarchico-assoluto, ma in senso democratico-plebiscitario attraverso lavolontà del popolo e non per grazia di Dio. Per teologi e

nuto e la sua realizzazione. Ogni potere viene da Dio, perché davvero inDio è interamente ed eternamente racchiusa l'auctoritas assoluta. Maquesto dualismo determinato ancora da una unità di significato trascen-dente è un dualismo effettivo, un dualismo delle strutture della vita incomune, di una convivenza nella grazia e nella fede - comunità dei santi- e convivenza nell'ordinamento morale cristiano del mondo e dentro diesso nell'ordinamento di Cesare, da una parte l'Ecclesia, dall'altra l'Im-perium. Anche questo dualismo si colloca sullo schema del concettopolitico romano, determinato dall'auctoritas e dalla potestas. Ma venivaposto nell'atmosfera trascendente di tutta quanta la concezione cristianae riempito di un nuovo contenuto "; così ]. FUEYO nel suo contributo DieIdee der auctoritas: Genesis und Entwic/elung, nella Festschrift Epirrhosis,1968, p. 226/227. Fueyo richiama anche la theologia politica di TerentiusVarro (p. 223).

(9) Nelle lezioni Die Kirche aus ]uden una' Heiden (Salzburg 1933),p. 71 nt., è indicato come “perfettamente fondato dal punto di vistateologico, se ad esempio il Ludus de Antichristo fa entrare in scena neigiorni dell'Anticristo le figure della Sinagoga e dell'Ecclesia ". Il Ludus deAntichristo è un poema altamente politico del tempo di Federico Barba-rossa e della sua crociata, cfr. la nuova edizione commentata di GerhardGUNTHER, Der Antichrist; der staufische Ludus de Antichristo, mit derdeutschen Ubertragung von Gottfried Hasenkamp, Hamburg, FriedrichWittig Verlag, s.a. [1969]. Nella conferenza monacense Die Kirche del1929 Peterson spiegava “ che gli Ebrei con la loro incredulità impedi-scono il ritorno di Cristo. Ma impedendo il ritorno del Signore, essiostacolano l'avvento del Regno e favoriscono necessariamente la perpe-tuazione della Chiesa. Ciò che Paolo espone in Rom. 11 non è piùun'escatologia concreta, ma una dottrina delle cose ultime, quale puòesserci necessariamente solo nella Chiesa delle genti" (Traktate, p. 413).

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non-teologi l'esempio più vistoso della più recente teologiapolitica, la “legittimità carismatica ” di Max Weber, l'ab-biamo ricordato poc'anzi (II 2); per Peterson era soltantouna deformazione, un caso di teologia secolarizzata socio-logicamente e teologicamente non importante, ma cionono-stante fa parte del lato politico del fenomeno complessivoed avrebbe potuto tenere occupato l'autore del libro HeisTheos già per la connessione di legittimità carismatica,dittatura ed acclamazione. Nella trattazione di Peterson (p.52) il capo è annoverato fra i monarchi; legittimità carisma-tica e dinastico-ereditaria confluiscono, sicché alla fineAdolf Hitler e Kurt Eisner si scontrano con gli imperatoriFrancesco Giuseppe e Guglielmo II in una stessa categoriateologico-politica di “ monarchi ”. Qui un metodo stretta-mente teologico produce neutralizzazioni peggiori dellascientificità avulsa dai valori di Max Weber.

Si forma un restringimento tematico dalla limitazioneoggettiva ad una “ monarchia ”, che in fondo è soltanto lacostruzione ellenistica dell'unità della monarchia divina;esso però agisce di gran lunga più in profondità di quantonon sia riconoscibile al primo sguardo. Non solo escludel'àmbito tematico e materiale “ democrazia "_ Vengonomeno tutti i problemi di “ rivoluzione ” e “ resistenza ”.L'unità del monarca è vista come produzione, rappresenta-zione e mantenimento dell`ordinamento esistente e comeuna unità della pace. Il fatto che dal lato politico dellateologia politica ci sia anche così qualcosa come la ribel-lione, è visibile per un istante in alcuni passi, che fannomenzione della ribellione dei giganti e dei Titani controZeus (p. 30/31, 114/144). Ma ciò è apparente, poiché lamitologia pagana è priva di significato per un teologocristiano della Trinità, benché ci siano state anche specula-zioni teologico-cristiane sulla ribellione degli angeli e la suaconnessione con l'Incarnazione della seconda Persona nellaTrinità. Oggi forse ci si sbarazza di ciò in quanto gnosiorientale della Trinità. L'argomento decisivo, che san Gre-

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gorio di Nazianzo adduce per la Trinità _ il fatto che inessa non sarebbe più pensabile nessuna stasis -, non èaffatto in una Teologia Politica esattamente intesa cosìliquidante come lo presenta Peterson (cfr. su ciò sotto IIInella Postfazione, la nota 3 sulla stasis, p. 95).

Nel frattempo - a partire dal 1935 - idue complessiesclusi, la democrazia e la rivoluzione, si sono presi a fondola propria vendetta. L”intensa discussione, che teologi tantocattolici quanto evangelici conducono circa una “ rivoluzio-ne cristiana ”, non si sente in nessun modo toccata dalverdetto di Peterson. Il salto, con cui dal lato storico-politico sono tolti di mezzo millecinquecento anni, perarrivare alla tesi conclusiva, è troppo generico e repentino.Partendo dall”altro lato, quello teologico, esaminiamoadesso l'oggettiva concludenza della tesi conclusiva, nellamisura in cui è permesso ciò a noi non-teologi. Lasciamo deltutto da parte il problema teologico della Analogia Entisquanto quello della Analogia Fidei, che del resto è ignoratoanche da Peterson, e occupiamoci solo del tema e dellaformulazione della sua trattazione del 1935.

4. Delimitazione della materia e formulazione del problemadal lato teologico: il monoteismo.

Dal lato teologico del duplice tema si trovano trereligioni monoteistiche. Queste non sono all'incirca le trereligioni dei tre portatori di anello nella celebre parabola diLessing: ebrei, cristiani e maomettani. Per Peterson il mo-noteismo dei tre anelli falsi è una speciale, quarta specie dianelli, cioè il monoteismo illuminato del XVI secolo, delquale egli prende nota solo con una sprezzante occhiata ditraverso (nella Premessa). Ma non intende nemmeno le duereligioni, che sono trattate nella dichiarazione del ConcilioVaticano II del 28 ottobre 1965 (sul rapporto della Chiesacon le religioni non cristiane), i musulmani e gli Ebrei.L'Islam, la cui rilevanza politica è grande e la cui conside-

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revolezza teologica indiscutibile, è del tutto assente, benchéil suo Dio più che questo nome meriti quello dell'Uno dellametafisica aristotelica o di quella ellenistica.

“ Monoteismo come problema politico ” non significain Peterson niente di più e niente di altro che la trasfor-mazione ellenistica della fede ebraica in Dio. Le tre reli-gioni monoteistiche, esaminate per la loro teologia politica,sono: l'ebraismo, il paganesimo e - in una posizione fradue fronti - il cristianesimo del Dio uno-trino. La que-stione della confrontabilità del monoteismo trinitario-cri-stiano con altre religioni (cfr. la citazione dall'articolo diE.W. Böckenförde sulla nascita dello Stato come eventodella secolarizzazione, sopra II 1) si pone qui di nuovo informa acuta. Tutti i tentativi di rendere comprensih-ile allealtre concezioni monoteistiche l'unità di Padre, Figlio eSpirito Santo sono naufragati. Una fallita costruzione del-l'unità teologica venne indicata come monarchianismo; nonveniva presa sul serio e, come ritiene Peterson dopoHarnack (p. 123, nt. 75), si faceva dell'ironia su questadesignazione. Il monarchianismo in tutte le sue forme -identità dinamistica e modalistica del Padre e del Figlio,adozione del Figlio da parte del Padre e altre costruzioni- è stato condannato come eresia. Nella trattazione diPeterson si affaccia una volta la domanda inquietante sefosse giusto “vedere nella fede cristiana solo il monotei-smo? ” (così su Orosio, p. 94). Per il resto, la dottrina dellatriplicità del Dio Uno gli serve senz'altro per dichiarareimpossibile qualsiasi teologia politica.

Un uso indebito è comunque sempre possibile, ma ciòentro il cristianesinìo sarebbe qualcosa di diverso che nellealtre religioni, e precisamente quelle monoteistiche ma nontrinitarie. A queste è concesso espressamente la possibilitàdi una teologia politica. In quale misura le religioni non-cristiane abbiano una vera teologia, non è chiaro; il VecchioTestamento ebraico ha la profezia, non una teologia; pressoi pagani c”è solo una filosofia metafisica o forse una cosid-

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detta teologia “ naturale ”; forse Peterson ha qui concessoalle religioni non-trinitarie la teologia solo ad hoc e soloipoteticamente, nel senso che una religione non-trinitaria -se e nella misura in cui innanzitutto possa avere una teologia- sviluppa di per sé una teologia politica. L'aldilà di ognipolitica, l'assoluta inafferrabilità, irraggiungibilità e intangi-bilità del politico, è negato al monoteismo non-cristiano,cioè non trinitario. Il verdetto contro il monoteismo dell'il-luminismo è breve e apodittico; quello contro il monotei-smo giudaico-cristiano è categorico: i diversi popoli non siuniranno mai in una sola “ legge ”, “ e perciò l'effetto delmonoteismo giudaico-cristiano sulla vita politica può esserefondamentalmente sempre solo distruttivo ” (p. 63).

La teologia non-cristiana è, come sembra, addirittura ilterreno vero e proprio, per non dire il focolaio del feno-meno problematico, che si chiama “ teologia politica ”. SePeterson nota qualcosa di simile in autori cristiani dei primisecoli, egli lo attribuisce a influssi ebraici o pagani. Ebrei epagani devono compiacersi del fatto che le loro speculazionisulla “ monarchia divina ” siano caratterizzate come teolo-gia politica e ciononostante vengano loro approvate cometeologia. Presso i cristiani dei primi secoli cristiani c'eraanche qualcosa di simile alla teologia politica, ma questanon era purtroppo una teologia cristiana. L'annunciazionedella “ monarchia di Dio ” era tuttavia un “ elemento fissonel piano di studi dell'insegnamento battesimale cristiano ”(p. 35, 117). Sappiamo ciò dalle catechesi di Cirillo diGerusalemme; ma ciò dipendeva solo dal fatto che i maestrie apologeti vecchio-cristiani erano ancora impacciati nellatradizione didattica ebraica, per cui sono scusati. Se unpagano come Celso o un filosofo come Porfirio dannoimpulso alla teologia politica, ciò - considerato dal puntodi vista del loro monoteismo non-trinitario - è loro buondiritto. Ci sono anche come Peterson ha mostrato nel suolibro Heis Theos - pagani, che in modo sincretisticoparlano di una Triade del Dio Uno; essi non compaiono più

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nella trattazione di Peterson del 1935. E nemmeno la lorospecie di monoteismo sarebbe - perché pagano - eo ipsoliquidata in quanto teologia politica, allo stesso modo in cuiun tentativo cristiano sarebbe per così dire liquidato auto-maticamente dal dogma trinitario.

Nella nostra precisazione del tema trattato da Petersonnon c'è tuttavia un'obiezione critica o addirittura un rim-provero. Al contrario, si deve mettere in evidenza che in talmodo si ha una chiara delimitazione e quindi anche unaformulazione univoca del problema. Al tempo stesso non-dimeno si ricorda con ciò che le conclusioni terminali diPeterson non possono portare a opinioni valide in generalesu la teologia politica nel suo complesso. La limitazione almonoteismo metafisico delle tre forme di religione indicateè chiaramente sottolineata nella Premessa alla trattazione diPeterson, nell'invocazione solenne di sant›Agostino, ed èresa nota in piena forma di tesi nel riepilogo dei risultati allafine (p. 97-100).

Non vogliamo certo confutare o anche solo criticare ilcolto conoscitore dei primi secoli cristiani. Vorremmo sol-tanto determinare la portata della sua tesi conclusiva dellaliquidazione di ogni teologia politica. Purtroppo non c”ènessuna definizione positivamente circoscritta del terminecentrale, omniprevalente delle sue esposizioni: la teologiapolitica. Peterson trova esempi di teologia politica non soloin Eusebio di Cesarea, ma anche nei grandi teologi e santidella Chiesa cristiana, nei padri e dottori della Chiesa, insant'Ambrogio e in san Geronimo. Per i primi inizi dellateologia cristiana egli giustifica ciò con un vincolo ancoranon completamente superato rispetto alla tradizioneebraica, come nel caso prima citato della catechesi di Cirillodi Gerusalemme. In Origene diventano visibili i primi inizied avvii di una “ riflessione propriamente teologico-politi-ca ”. Peterson spiegava ciò attraverso la disputa con lateologia del pagano romano Celso; il pagano ha spinto a ciòil cristiano, potremmo forse dire dialetticamente dal lato

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pagano (p. 67 fino a 71). Solo l'allievo di Origene Eusebiodi Cesarea ha sviluppato i primi passi in Origene “ verso lediverse direzioni" (p. 71-81) ed ha “ avuto un effettostorico immane ”, che si estende fino ad Ambrogio, Gero-nimo e Orosio (p. 82-96).

5. Eusebio come prototipo della teologia politica.

Eusebio è una figura controversa della stessa storiadella Chiesa, della quale egli è stato indicato come padre inCristo. In una moderna “ società senza padri ” già questametafora di padre lo rende sospetto. Essa pone il titolaresotto il sospetto di autorità, che incontra anche il nome dellaprima persona della Trinità divina. Eusebio era un amico diCostantino Magno ed era profondamente coinvolto neiconflitti teologici e politici del Concilio di Nicea. Con Arioegli era personalmente amico e non ha mai perso l'odore dieresia ariana. Noi non lo difendiamo e non tentiamo nes-suna specie di riabilitazione. Non lo accusiamo neppure.Vorremmo solo sapere che cosa Erik Peterson intendepropriamente sotto la teologia politica, di cui la sua tesiconclusiva annuncia una definitiva liquidazione teologica edil cui modello Eusebio giudicato negativamente a quantopare deve rimanere immutato fino alla fine dei tempi.

I rimproveri, ai quali il vescovo cristiano di Cesarea èesposto, riguardano dal punto di vista morale il suo carat-tere, sotto il profilo teologico-dommatico la sua ortodossia.Le imputazioni morali caratteriali vanno lontano, fino allasua completa diffamazione come cristiano e uomo e storico.La sua ammirazione per Costantino Magno è utilizzata perfarlo passare come cesaropapista, come un bizantino nelsenso più cattivo della parola, un servitore del principe, o -secondo l'espressione da noi già citata del teologo di BasileaOverbeck - come “ parrucchiere teologico di corte dellaparrucca imperiale ”. Il patriarca delle scienze dello spiritodi Basilea, Jakob Burckhardt, gli disconosce perfino l'onestà

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storica. Il passo dal libro di ]. Burckhardt “ Il tempo diCostantino Magno ” (1853, II ed. 1880) è importante ab-bastanza, per essere citato in extenso:

« Eusebio non è certo un fanatico; egli conosceva l'animaprofana di Costantino e la sua fredda, spaventosa aviditàdi potere assai bene e sapeva senza dubbio esattamentequali fossero le vere cause della guerra; ma egli ê il primostorico dell'antichità completamente disonesto. La suatattica, che per quel tempo e per tutto il medioevo gliprocurò un brillante successo, consisteva nel fare ad ognicosto del primo grande protettore della Chiesa un idealeper i principi futuri. E cosi andata persa per noi l'imma-gine di un uomo grande, geniale, che in politica nonsapeva nulla di esitazioni morali e considerava la que-stione religiosa interamente solo dal lato dell'utilità poli-tica ».

L'autorità di Jakob Burckhardt è grande e - comevedremo - anche per Peterson stesso è diventata infinedeterminante. Arnold Gehlen, uno studioso molto apprez-zato come antropologo scientifico-naturalista, filosofo e so-ciologo, si è incondizionatamente identificato ancora recen-temente con questa liquidazione del vescovo Eusebio(Moral und Hypermoral, eine pluralistische Ethik, 1969, p.35). Eppure il tanto diffamato perfino recentemente hatrovato difensori, e addirittura da una parte specialmentecritica riguardo al cesaropapismo. Nel capitolo conclusivo“ Costantino ed Eusebio ” della Politischen Metaphysik(vol. II: La rivoluzione cristiana) Arnold A.T. Ehrhardt(1959) ha fatto al vescovo cristiano una bella ed efficaceriabilitazione. Appare senz'altro chiaro che cosa significaper il problema della teologia politica, se il prototipo dellateologia politica si trova insieme in modo identico con ilprototipo di un bizantinismo privo di carattere.

Sotto il profilo teologico-dommatico si rimprovera alvescovo Eusebio di essersi impegolato in modo ambiguo

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nella dottrina della Trinità con l'eresia di Ario. Di fronteagli ariani Eusebio sottolineava che il Logos in quanto figliodel Padre era della stessa natura del Padre; ma egli sotto-lineava al tempo stesso la differenza del Figlio (generato dalPadre) di fronte alla Creazione (prodotta, cioè fatta dal nullaad opera del Padre), e quindi la diversità del Genitum dalFaktum. Egli voleva evitare l'identificazione eretica monar-chianistica di Padre e Figlio e fece un passo troppo lontanonell'accentuazione della non-identità del Padre e del Figlioed in una subordinazione del Figlio al Padre. I rimproveriteologici, che qui lo colpiscono, lasciamoli pure rimanerecosì come stanno. Peterson nella sua trattazione sul mono-teismo politico del 1935 non vi presta ascolto. Ma è co-sciente della straordinaria problematica; solleva perfino laquestione se il monoteismo cristiano della Trinità sia ancoraconfrontabile soprattutto con il monoteismo ebraico o elle-nistico-pagano (cfr. sopra II 4, p. 52 s.). La pietra diparagone è qui la dottrina della monarchia divina, ched'altra parte è anche la pietra dello scandalo, tanto perPeterson quanto per Arnold Ehrhardt. “ Tutta la Chiesapuzzava allora di monarchianismo ”. Una simile formula-zione di A. Ehrhardt (II, p. 285) lascia riconoscere ilpenetrante risentimento politico, che è qui attivo su en-trambi i lati, presso i teologi come pure presso i politici.“Fondamentalmente Ehrhardt intende già la metafisicacome teologia e con ciò la politica come un fenomenoessenzialmente religioso ” (così Franz Wieacker, nella Pre-fazione al Bd. III, 1969, p. IX). Peterson vuole rimanerenella separazione assoluta dei due àmbiti, ma proprio neldogma della Trinità la separazione assoluta è possibile soloin modo astratto, se la seconda persona della divinità rap-presenta in perfetta unità le due nature di dio e uomo eMaria, umanamente la madre, ha partorito il bambinodivino nella realtà storica in una data determinata dellastoria di questo mondo terreno. Eusebio usa (a differen-za del suo maestro Origene) l'espressione “ monarchia

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divina ”. Ma lo hanno fatto anche irreprensibili padri dellaChiesa. Visto dal suo difetto dogmatico-trinitario, Eusebionon è un modello assolutamente convincente di teologiapolitica. Per questa ragione Peterson sposta il centro digravità sul secondo difetto dogmatico, sulle idee erronee diEusebio riguardo la storia della salvezza e l'escatologia,specialmente sull'inserimento di Costantino e dell'Imperoromano nella dottrina dell'apparizione storica del Reden-tore e dell'unità del mondo alla fine dei tempi.

Ciò significa: Peterson sradica il suo modello Eusebiodalla concretezza storica del Concilio di Nicea e gli toglie intal modo l'evidenza storico-ecclesiale, che è propria di unaconvincente esemplarità. Il Concilio di Nicea, il luogopeculiare del vescovo Eusebio, riguardava la dottrina dellaTrinità, più esattamente: la dottrina del rapporto del PadreDivino con il Figlio Divino. Non si trattava di questionidogmatiche dell'escatologia. Queste erano allora nellaChiesa orientale meno attuali che in Occidente. Ma unimpenetrabile groviglio e confusione di fervore dogmatico-teologico con intrighi alla cotte dell'imperatore, di rivoltemonastiche e masse popolari sobillate, azioni e contro-azioni di ogni specie, fanno di questo Concilio di Nicea uncaso di prova del fatto che è impossibile nella realtà storicaseparare con precisione motivi e scopi religiosi come dueàmbiti oggettivamente determinabili. Innumerevoli padri edottori della Chiesa, martiri e santi di tutti i tempi fuoridella loro fede cristiana hanno preso parte con zelo alle lottepolitiche del loro tempo. Perfino il cammino nel deserto oalla colonna dello stilita può diventare stando così le coseuna manifestazione politica. Dal lato temporale si imponel'ubiquità potenziale del politico, da quello spirituale l'ubi-quità del teologico in forme sempre nuove.

Se in una situazione siffatta un vescovo cristiano del IVsec. in sospetto di eresia ci risulta nel XX sec. il prototipodella teologia politica, sembra esserci una connessione con-cettuale fra politica ed eresia: l'eretico appare eo ipso come

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il teologo politico, mentre l'ortodosso è il teologo puro,quello non-politico. Ebbene, quando in situazioni simili lateologia politica diventa “ abuso della Rivelazione cristianaa giustificazione di una situazione politica ” (come è dettonella tesi conclusiva di Peterson)? Solo nel caso in cui sitende a una deviazione eretica del dogma trinitario e si cercadi farla valere? Se così fosse, allora un animus dogmatizandieretico dovrebbe far parte dell'essenza della teologia poli-tica. Sarebbe stato meglio se Peterson avesse posto accantoal suo modello negativo Eusebio un modello positivo diteologia trinitaria-non politica, che fosse del tempo propriodi Costantino e di Eusebio e rendesse evidente un irrepren-sibile ortodosso della dottrina della Trinità come il chiarocontrotipo di una teologia pura e non-politica. Si pensa quisubito all'impetuoso avversario di Eusebio, a sant”Atanasio,che è diventato un simbolo dell'ortodossia trinitaria ed il cuinome ancora nel XIX sec. (1838) è servito ad un grandepubblicista politico, ]oseph Görres, come parola di com-battimento nella lotta della Chiesa contro lo Stato prus-siano. Atanasio passa per un irreprensibile teologo orto-dosso della Trinità cristiana. Questo uomo combattivo nonsarebbe tuttavia, malgrado la sua ortodossia, un contro-esempio convincente di teologia non-politica, non partico-larmente, se l'Eusebio che mira alla pace è additato come ilteologo politico. In caso contrario dovrebbe sorgere l'im-pressione che per Peterson gli intrighi di corte e le dimo-strazioni per strada degli ortodossi fossero teologia pura e lestesse azioni degli eretici eo ipso fossero invece pura poli-tica. Come contro-esempi di Eusebio interesserebbero piut-tosto i tre grandi cappadoci: Basilio Magno, Gregorio diNazianzo e Gregorio di Nissa. Gregorio di Nazianzo apparetanto nell'articolo di Peterson del 1931 quanto nella suatrattazione del 1935 come il teste principale e decisivo diuna Trinità ortodossa, dogmaticamente irreprensibile. Oggi(1969), poiché siamo sotto l'impressione delle discussionimarxiste-teologiche, i tre grandi cappadoci non sono più

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testes idonei, perché essi possono subito essere posti sotto ilsospetto di ideologia. Essi erano infatti tutte e tre gentericca, si potrebbe oggi dire proprietari terrieri, chulachi, eda un critico marxisticamente addestrato non sarebbe diffi-cile “ intendere ” le loro costruzioni teologiche come unchiaro esempio di ideologia di classe e di sovrastrutturasopra la loro posizione economico-sociale.

A questo Peterson probabilmente non ha pensato. Egliha preferito rimanere nell'astratto e dopo i teologi greci delconcetto di Trinità alla fine della sua trattazione fa apparireancora rapidamente il grande padre latino della ChiesaAgostino come il teologo del concetto escatologico dellapace, al quale egli ha dedicato la sua trattazione e che hainvocato nella forma di una preghiera. In questo modo latrattazione trova una conclusione edificante, per quantopure assai affrettata, che fa sparire ed occulta la veraproblematica _ la miscela di spirituale e temporale, aldilàe aldiqua, teologia e politica da rendere distinguibile solomediante precise istituzionalizzazioni -, dal momento chenon tanto come ariano sospetto per la sua scorrettezzadogmatico-trinitaria, ma come falso escatologo per la suaeccessiva valutazione dell'impero romano nella storia dellasalvezza Eusebio diventa il prototipo di una teologia politicaimpossibile.

L'Eone interamente cristiano non è insomma una lungamarcia; è un'unica lunga attesa, un lungo interim fra duecon-temporaneità, fra la venuta del Signore al tempo del-l'imperatore romano Augusto ed il ritorno del Signore allafine dei tempi. Entro questo grande interim si formanoininterrottamente numerosi nuovi, più grandi o più piccoliinterim terreni, che sono tempi intermedi, anche per que-stioni dogmatiche controverse dell`ortodossia e che spessoper generazioni restano in sospeso. L'interpretazione esca-tologico-cristiana degli avvenimenti attuali non la si puòcerto proibire ed in tempi di catastrofe assume un”inattesaforza di formulazione. Peterson era pienamente consape-

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vole delle difficoltà in ciò insite. Infatti, per mezzo dellaChiesa cristiana si prolunga l'attesa ravvicinata della fineimminente che paralizza l'attività diretta, tutta terrena, el'escatologia si trasforma in una “ dottrina delle cose ulti-me ”. Nella conferenza La Chiesa dell'anno 1929 egli dice:

«E esatto che alla Chiesa ê con ciò attaccata una certaambiguità. Essa non ê un'univoca formazione politico-religiosa come il regno messianico degli Ebrei. Ma essanon è nemmeno una formazione puramente spirituale, incui concetti in genere come politica e potere non potreb-bero assolutamente trovarsi, e che dovrebbe piuttostolimitarsi a servire. L'ambiguità, che sta attaccata allaChiesa, si spiega con l'intreccio di Regno e Chiesa. Questaambiguità, che ha sempre eccitato contro tutti i concetticristiani un moralista come Nietzsche, e causata dall'in-credulità degli Ebrei» (Traktate, p. 423/4).

“ Ambiguità, che sta attaccata alla Chiesa ” è una pa-rola gravida di conseguenze, specialmente in un contesto,che riguarda la teologia politica e la separabilità intramon-dana dei due àmbiti dello spirituale e del temporale. Ci sichiede subito chi dunque all”interno della Chiesa cristianapossa essere un soggetto adatto della teologia politica, sequesta teologia politica deve essere liquidata teologica-mente.

Se un cristiano pio come laico teologo scorge negliawenimenti dell'attualità politico-contemporanea il dito diDio e riconosce l'opera della Provvidenza, questo non èsecondo Peterson teologia politica, poiché ciò è irrilevanteda un punto di vista dogmatico-teologico. In realtà, non c'èmai stato un popolo cristiano, che non fosse spinto in questaaccezione di teologia politica, che non abbia mai esaltato gliantesignani di Cristo ed i protettori della sua Chiesa efinanco onorato come santi o che nei successi o disfatteterrene della sua Chiesa non abbia mai trovato un signifi-

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cato provvidenziale, ossia in qualche modo teologico. UnaChiesa non è fatta soltanto di teologi.

«La teologia non ha però solo se stessa per tema, marispecchia una fede data, che essa stessa non può nem-meno suscitare. Parimenti la Chiesa non fa riferimentosolo a se stessa come àmbito rigidamente delimitato dellavita ecclesiale, ma a quello ampio della vita cristiana ingenere, anche dei cosiddetti abitanti periferici dellaChiesa, che vedono la chiesa da dentro solo in occasionedel battesimo, della cresima, del matrimonio e dellamorte. Anche questi legami, che dal lato ecclesiale sonoliquidate cosi facilmente e con disprezzo, hanno il lorofondamento nell'essere raggiunto dall'annunciazione cri-stiana. La Chiesa non può ora in alcun modo vedere il suorapporto con quest'àmhito come un richiamo all'inviomissionario, ma essa e l'istituzione che rappresenta questocristianesimo». (così Claus v. BORMANN, Die Theologisie-rung der Vernunft; Neuere Strömungen in der evange-lischen Theologie [Entmythisierung], Studium GeneraleVol. 22, Fase. 8, 1969, p. 768, in una risposta a T.RENDTORFF, Kirche und Theologie, 1966).

La Chiesa cattolica proprio sotto questo riguardo hapraticato un magnanimo tolerari potest. Non si è lasciataistruire dai suoi nemici sul concetto ed i limiti di questatolleranza. Dal ragionamento di Peterson si potrebbe rite-nere che anch'egli ammetta una certa libertà dei laici circala teologia politica, poiché non importa così tanto tutto ciòche i non-teologi si immaginano. Se ad Ebrei e paganiconcede una teologia politica, la potrebbe ben permettere- anche se solo in un senso improprio - pure a devoticristiani, tanto più che il laico cattolico normalmente non hanessuna ambizione dogmatica e di rado un ostinato animusdogmatizandi. Il pericolo era l'irruzione di un animus ribellenella storia della Chiesa cristiana nell”epoca moderna; laprovocarono solo i predicatori protestanti dell'epoca della

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Riforma con il loro carisma dell'annunciazione del Verbo,che poi in ultimo è divenuto secolarizzato ed avulso daivalori, per Max Weber “ il potere rivoluzionario della sto-ria ” per antonomasia (W/irtschaft und Gesellschaft, p. 666).

In un'altra situazione totalmente teologico-politicacome il laico cattolico agisce un dignitario o prelato dellaChiesa cattolica, che diventa politicamente attivo d'ufficio eprofessionalmente nell'interesse della Chiesa, senza diven-tare teologicamente dogmatico. In un mondo deteologiz-zato e svincolato dalla Chiesa la sua posizione non è piùconfrontabile con quella di un partecipante al Concilio diNicea. L'impenetrabile “ miscela ” di politica e religione, dipolitico e teologico ha davanti ad una libertà religiosa comepure antireligiosa radici diverse ed effetti diversi che non altempo di Costantino, allorquando un potente imperatoregarantiva ai vescovi cristiani uno spazio protetto per paci-fiche riunioni e li proteggeva dai tumulti di folle teologiz-zanti, fomentati dai monaci ed ammirati da Peterson (Cosaê teologia? 1925). Cerchiamo di spiegare le forme menorivoluzionarie di questa teologia politica o politica teologicacon un esempio a noi più vicino, i patti lateranensi, che laSanta Sede ha stipulato a Roma l'11 febbraio 1929 con ilregno d'Italia - nella situazione politica concreta conMussolini ed il regime fascista -.

Questi patti lateranensi furono allora per milioni di piicristiani cattolico-romani un evento di significato provvi-denziale. Il futuro papa Giovanni XXIII scrisse il 24 feb-braio 1929 da Sofia alle sue sorelle: “ Lodiamo il Signore!Tutto ciò che la massoneria, cioè il diavolo, ha fatto in 60anni contro la Chiesa ed il papa in Italia, è fallito ”. Questaera certamente l'opinione politica di un cristiano pio e piùtardi papa; essa non era intesa teologicamente nel senso deldogma e dell°infallibilità; essa non cade perciò sotto ilverdetto di Peterson. dunque politico-non teologico tuttociò che non avanza nessuna pretesa di verità dogmatica o diinfallibilità? Che cosa praticamente resta allora come teolo-

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gia politica? Il prelato Ludwig Kaas, a quell”epoca la guidapolitica dei cattolici tedeschi, protonotaro pontificio e pro-fessore di diritto canonico, pubblicò all'inizio del 1933 nelvol. 3 della Zeitschrift fiir ausliindisches öjfentliches Rechtund Vol/eerrecht (edito in comune con Kaas e altri dalprofessor Victor Bruns, a Berlino) un articolo “ Il tipo diconcordato dell'Italia fascista ”. Egli esaltava Mussolinicome uno “ statista di intima vocazione ”, che il dono delladistinzione, il donum discretionis, ha guidato in modo taleche per lui - un ex marxista e libero pensatore - venisseroadempiute quelle correzioni della storia, “ che il credentepuò chiamare provvidenziali, ma ognuno logiche ”. Il donodella distinzione, che qui è attribuito a Mussolini, è tuttaviaprobabilmente più il dono della distinzione politicamenteesatta fra l'amico ed il nemico che il dono teologico delladistinzione fra ortodosso ed eretico, che secondo Petersonconferisce un diritto all'intolleranza. L'articolo di Kaas eraun'0pzione politica per Mussolini ed il fascismo, anche sesolo tant que cela dure? Esso non era ovviamente inteso insenso dogmatico e non è quindi toccato dal verdetto diPeterson. Si potrebbe certamente essere dei partecipanti alconcilio semplicemente dalla parte sbagliata, come l'infelicevescovo Eusebio di Cesarea, per avvicinarsi al caso esem-plare.

Il decisivo rimprovero dogmatico-teologico, attraversoil quale Eusebio è costituito come prototipo di una teologiapolitica impossibile da un punto di vista cristiano, riguardameno il dogma della Trinità quanto la dottrina storica dellasalvezza sulla fine dei tempi e sulla vera pace, che nessunimperatore e nessun impero terreno può dare, ma solo ilsecondo avvento di Cristo nel mondo e nell'umanità. Comepanegirista di Costantino ed esaltatore dell`Imperium Ro-manum Eusebio è andato assai lontano. Egli ha confrontatoCostantino con Cesare Augusto, che era agli occhi delvescovo cristiano il vincitore del pluralismo politico dellenazioni pagane, vincitore anche della guerra civile, fonda-

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tore della pace e signore del mondo Uno, infine pacificatodopo spaventose guerre civili. Nell'esposizione di EusebioCostantino ha terminato ciò che Augusto ha iniziato: lamonarchia di Augusto significa “ la cessazione della statua-lità nazionale ” ed “ è in rapporto prowidenziale con lavenuta di Cristo ”; ma solo la vittoria del cristianesimoporta a termine la vittoria dell'unità sulla molteplicità, lavittoria della fede nel Dio vero ed uno sul politeismo e sullasuperstizione della polis dei popoli pagani. L'ImperiumRomanum è la pace, la vittoria dell'ordine sulla ribellione ela divisione in partiti nella guerra civile: un dio - un mondo- un impero. Questa sorta di monarchia divina è perPeterson il caso tipico di una teologia politica inammissibilesotto il profilo cristiano-teologico-escatologico, anche sequesto Dio Uno deve essere il Cristo, il dio-uomo dellaTrinità cristiana. Infatti, solo il ritorno di Cristo alla fine deitempi porta la vera pace e la reale unità del mondo.

Se un vescovo cristiano come Eusebio, che aveva tolle-rato la persecuzione cristiana di Diocleziano, loda conparole entusiastiche l'imperatore romano Costantino, chepose termine a queste persecuzioni, è questo un comporta-mento naturale e non un motivo per liquidazioni teologiche,fintantoché il vescovo non scambia l'imperatore con Dio ocon Cristo. Questo Eusebio non lo ha certamente fatto. Eglinon poteva nemmeno considerare l'imperatore come l'An-ticristo. Sarebbe interessante conoscere più esattamente leconcezioni di Eusebio ed in particolare avere maggioriinformazioni sulla sua idea dell”impero romano come frenodell'Anticristo, il Kat-Echon della Lettera di Paolo (23 Tess.2,6). Ma a noi qui interessa solo solo l'esatto contenutodell'asserzione della tesi conclusiva di Peterson. Che cosa ildotto filologo ed esegeta Peterson abbia pensato del Kat-Echon, lo sappiamo: l'incredulità degli Ebrei, il loro rifiutocontinuato fino al giorno di oggi di diventare cristiani,trattiene la fine dell'Eone cristiano (cfr. sopra, p. 49, nt. 9).

Nella speculazione eusebiana la persona di Cesare Au-

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gusto appare tanto “ necessaria quanto oltremodo significa-tiva per il cristianesimo stesso ” (p. 83). In fondo Eusebio, chefa inaugurare il monoteismo da Augusto, ha “ optato poli-ticamente in favore dell'Imperium Romanum ” (p. 80) e nellasua trattazione teologica della storia “ si intersecano motivipolitici e retorici ” (p. 84). Ciò degrada il teologo cristiano alteologo politico. Dove cessa la falsa teologia politica ed iniziala corretta teologia cristiana assolutamente non-politica, di-venta riconoscibile solo attraverso alcuni brevi accenni. In sél”imperatore romano Augusto appartiene senz'altro alla sto-ria cristiana della salvezza, e riconoscere negli avvenimentistorico-politici il dito di Dio e la sua Provvidenza non misembra non-cristiano. Solo che ciò non può portare ad una“ opzione politica ", perché in tal caso cessa di essere teo-logica. L'argomentazione di Peterson si muove in una sepa-razione di puro-teologico ed impuro-politico, in una disgiun-zione assolutamente astratta, nella cui conseguenza egli puòtrascurare ogni realtà concreta, commista di spirituale-tem-porale, del concreto accadere storico.

In realtà nella dura critica di Peterson ad Eusebio nonsi tratta di una critica teologico-dommatica approfonditadelle opinioni di Eusebio. Una simile critica è appenaabbozzata. Dottrine evidenti e vistose dell'amico dell'impe-ratore, come la sua concezione del vescovato di Costantino(non ancora battezzato cristianamente) o della sua pretesaapostolica non sono neanche menzionate. Numerosi pro-blemi della Trinità monoteistica e dell'attesa finale terrena-ultraterrena rendono più difficile nelle questioni teologichela plausibile semplificazione, che solo rende possibile unacondanna univoca di ogni teologia politica in genere. Laliquidazione teologico-dommatica di Eusebio deve liqui-dare la teologia politica; la sua costruzione come del pro-totipo della teologia politica consente però di liquidarlomoralmente ed intellettualmente anche personalmente ecome carattere. Si spiega così come Peterson giunga infineai giudizi di condanna di Jacob Burckhardt e di Overbeck,

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benché egli si guardi dal citare questi autori liberali edall'infliggere ad Eusebio espressioni come cesaropapismoo bizantinismo.

Il dotto teologo tedesco ha in mano una serie di cate-gorie discriminanti per cacciare il teologo politico Eusebiodalla soglia della teologia pura. Innanzitutto egli lo dichiaraun ideologo. Ad ogni modo un ideologo cristiano. E veroche la denominazione “ ideologia cristiana ” ricorre solouna volta (p. 82); ma essa è decisiva e non sta ad esempio fravirgolette; essa piuttosto deve trovare distruttivo il caso veroe proprio e l'archetipo della teologia politica entro l'àmbitocristiano. Al tempo stesso il theologumenon di Eusebio cosìgravido di conseguenze è fatto risalire al pagano Celso “ cheprobabilmente in ultimo ha dato l'aWio all'elaborazione diquesta ideologia cristiana ". Una seconda graduazione, teo-logicamente discriminante è la propaganda. Fanno propa-ganda specialmente gli autori cristiano-giudei, che conti-nuano Filone l'Alessandrino e la tradizione scolasticadell'ebraismo ellenistico; con la loro “ monarchia divina ”essi fanno proseliti presso il paganesimo politeista (p. 31).Gli autori cristiani di origine pagana soffrono di un terzodifetto: essi fanno volentieri retorica nell”antico stile dipensiero e di linguaggio; essi si attengono ai topoi tradizio-nali della loro arte e non si alzano ancora alla “ riflessione ”teologica. La caratterizzazione come mero retore colpiscecon tutta la forza il panegirista di Costantino e lo storicodella Chiesa Eusebio. Il suo cenno alla sicurezza stradaledell'impero romano, che facilita ai cristiani la predicazionedel Vangelo, è “ codeterminato dal topos retorico degliencomi a Roma, secondo il quale l'Impero romano avrebbereso possibile la libertà del traffico; anche la sua idea chenell'Impero dei Romani tutti siano diventati Una famiglia,deriva dalla retorica ”.

Peterson ritiene che il retore Eusebio richieda unaspeciale trattazione e lo scritto contro Hierokles mostri che“ Eusebio domina addirittura la lingua della seconda sofi-

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stica ” (p. 145, nt. 136). Infine _ naturalmente senzacitazione dell'autorità basiliense - è recepita la diffama-zione fatta da Jacob Burckhardt nei confronti dello storicoEusebio per il fatto che lo “ storico“ Eusebio è posto travirgolette (p. 140). Perfino come teologo politico nel sensodi una teologia ebraico-pagana egli era allora già “ invec-chiato ” (p. 563 dell'articolo del 1931). Se questo archetipodella teologia politico-cristiana era teologicamente invec-chiato già un millennio e mezzo prima, allora a stento puòancora immaginarsi il grado odierno della sua arcaicità. Laliquidazione scientifica dell'autore cristiano segue poi laliquidazione politico-morale dal lato del carattere. A Ori-gine, al maestro di Eusebio, è attestata “ sincerità di pen-siero” (p. 65); era infatti l'“ Origene fondamentalmentenon-politico ” (p. 70), e così dovette soggiacere all'influenzadel teologo politico-pagano Celso (p. 70). Per il suo fedeleallievo Eusebio non ci sono queste circostanze mitiganti;malgrado il suo amore per la pace e l'ordine, egli eraevidentemente una natura politica, e ciò lo predestina esem-plarmente verso tutto ciò che dobbiamo intendere conl'espressione teologia politica.

In questo modo si realizza l'assai dotta liquidazionescientifico-storico-filologico-esegetico-teologica di un parte-cipante al concilio dell'anno 325, il politicizzante Eusebio,ad opera di un teologo tedesco dell'anno 1935 a quel che sidice non-politico. La liquidazione fatta ad personam delprototipo deve liquidare una cosa, la teologia politica inquanto tale. Questo è il senso di una così totale diffama-zione di un vescovo cristiano, che per un millennio e mezzoera stato rispettato come padre della storia della Chiesa.Abbiamo qui a che fare con una risposta politica ad unadomanda politica che era sorta negli anni 1925-1935 dallacrisi della teologia protestante. Peterson credeva di esseresfuggito alla crisi con il ritorno ad un dogmatismo privo diproblemi e di aver ritrovato la sicura purezza di un teolo-gico puro. Una più minuta considerazione della sua argo-

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Eusebio come prototipo 69

mentazione rende però chiaro che la sua adduzione di provedommatico-teologica trova la sua forza di penetrazione solonella liquidazione del prototipo Eusebio. Solo in tal modosono toccati concretamente i nemici degli anni 1925-1935.Tuttavia Peterson non è andato oltre ad una disgiunzioneassolutamente astratta fra teologia pura e politica impura.Egli si era ritirato dalla crisi della teologia protestante in unarigorosa negazione del non-teologico e vi si è trinceratocontro tutto ciò che con l'aiuto di un nuovo concetto delpolitico, conforme alla situazione, poteva servire a ricono-scere scientificamente la situazione odierna della Chiesa,dello Stato e della società. Egli però non divenne neppure inun certo qual modo apocalittico. Egli non dichiarava giuntala fine dei tempi, o Hitler uno strumento dell'Anticristo e simanteneva in ogni caso anche nella sua trattazione del 1935su di un piano prudentemente teologico. Alla problematicainterna della sua argomentazione puramente teologica trattadai dogmi della Trinità e dalla dottrina dei due regniabbiamo fatto menzione in precedenza. Da lì non venivanessuna forza concreta di penetrazione. Tutto questo sitrovava già anche nell'articolo del 1931. Solo lo strania-mento del nemico attuale del 1935 attraverso la figurastorica del famigerato cesaropapista Eusebio era in generaleconvincente; non solo per l'avversario cristiano di ogniassolutismo statale e di ogni totalitarismo nazionale o po-polare; con essa poteva essere senz”altro d'accordo ancheogni liberale, anticlericale e infine ogni umanista educato inmodo classico.

Una polemica ben programmata era nel 1935 buondiritto di Peterson. Con questo il grosso problema dellateologia politica e del concetto del politico non potevaessere eliminato. Il vero effetto della trattazione di Peterson,il suo pointe, se si può dire così, non era la liquidazione diquel grosso problema, ma l`efficace utilizzazione di un mitopolitico. Il mito del cesaropapismo e del bizantinismo è daPeterson tacitamente ammesso ed al tempo stesso sottoli-

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neato. Jakob Burckhardt aveva lanciato nella metà delliberale secolo XIX il mito negativo di Eusebio e sottol'infIuenza della sua enorme autorità lo aveva reso irresisti-bile. L”autorità di Burckhardt era un prodotto scientifico eculturale di quelle stesse scienze dello spirito, che il teologoPeterson nella sua conferenza del 1925 Cosa è teologia? inmodo così sprezzante aveva allontanato da sé. La stessaidentica autorità scientifica di Jacob Burckhardt procuravaallo stesso teologo Erik Peterson anonimamente l'effettopiù forte a favore della sua trattazione dell'anno 1935,diventata leggendaria ed a quel che si dice puramenteteologica. Il teologo ha saputo sfruttare l°effetto scientificocome un effetto di estraniamento altamente teologico, co-niarlo in modo storicamente attuale e procurarsi in questomodo la rivalutazione politicamente più efficace della suacelebre trattazione del 1935.

Se l'àmbito religioso non è più determinabile in modounivoco partendo dalla Chiesa ed il politico partendo dal-l'Impero e dallo Stato, vengono meno le separazioni ogget-tivo-contenutistiche dei due regni ed àmbiti, cui in epochedi istituzioni riconosciute siffatte separazioni sono applicatepraticamente. Crollano allora le pareti e gli spazi primaseparati si attraversano ed irradiano come nei labirinti diuna illuminazione architettonica. Alla pretensione di un'as-soluta purezza del teologico manca poi la fede. Il verdetto diPeterson diventa vano. Un'estensione del suo verdetto alpensiero extrateologico ne rende ancora più evidente lavacuità. In unarticolo dell'anno 1947 “ Esistenzialismo eteologia protestante ” Peterson dice con riferimento allafilosofia di Heidegger che in essa si è “ visto chiaramente aquali conseguenze conduce la trasformazione di concettiteologici in concetti generali ”; vale a dire:

« ad una deformazione tale che la decisione per il dio, chenel tempo ê diventato uomo, si trasforma in una decisioneper il Fiihrer, che è l'i'ncarnazione del suo tempo ››.

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Di conseguenza anche la filosofia consapevolmentenon-teologica di Heidegger deve essere colpita dal verdettoe smascherata come teologia secolarizzata. La discrepanza,in cui Yargomentazione di Peterson si trova rispetto al suoverdetto assoluto, diventa adesso manifesta. Lo strania-mento della formulazione odierna del problema è riuscito aPeterson mediante uno straniamento storico ottenuto conl'aiuto del prototipo Eusebio; esso tuttavia non può salvareil suo verdetto apoditticamente vacuo. A questa constata-zione non può modificare nulla nemmeno il tentativo fattoda Peterson di un confronto con sant'Agostino.

6. Il confronto Eusebio-Agostino.

L'argomentazione teologica di Peterson è sorretta daalcune frasi sulla storia della salvezza. Eusebio aveva dettocon riferimento ad una profezia veterotestamentaria (Mi-chea 4,4): “ Ma tutto questo si è avverato solo quando iRomani ebbero il potere, dai giorni della venuta del nostroSalvatore fino al presente " (p. 77). Per questo l”esegetaPeterson si indigna. Egli imputa al vescovo di Cesarea diconsiderare “ senz'altro tutte le profezie della pace deipopoli come avveratesi nell'Impero Romano ” e perciò lorimprovera aspramente con le parole: “ La mancanza ditatto esegetico è sorprendente ” (p. 77). A ciò si aggiungeimmediatamente un confronto con sant'Agostino: “ QuiAgostino nella Civitas Dei III 30 si è però espresso in mododiverso ”. Il salto dal mondo di Costantino Magno al revandalo Alarico nel declinante Impero romano-occidentaleè enorme, anche se facilmente effettuabile per un osserva-tore storico dell'anno 1935. Da un punto di vista storico-politico e storico-dommatico la situazione di un padre dellaChiesa greco del Concilio di Nicea non è confrontabile conquella di un padre della Chiesa latino dell'epoca dei Van-dali. Perché dunque il rimando proprio al libro III capitolo30 del Civitas Dei? Questo capitolo contiene forse l'argo-

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mento teologico decisivo? C'è nella straordinaria opera disant”Agostino qualche capitolo di stupefacente attualità eforza probatoria; come esempi indico soltanto il I 11, con lasua elevazione sul lamentarsi umanitario davanti alla mortein massa delle emigrazioni dei popoli, che Karl Marx po-trebbe citare come documento classico, quando egli dicedella religione che sia “ il sentimento di un mondo senzacuore ”; oppure il IV, 15, con il suo sarcasmo sulle “ guerregiuste ” delle potenze imperialistiche.

Il lettore, che si dia la pena di controllare in base a ciòil capitolo III 30, rimane piuttosto deluso. Trova nel IIIlibro una descrizione delle guerre civili romane. Questo èun topos della retorica antica, che porta con sé similidescrizioni di orrore e che Peterson stesso segnala in Euse-bio, Ambrogio e Geronimo (p. 148, nt. 145). Agostino loadopera per far vedere ai pagani che i loro dei sonoimpotenti, poiché non possono impedire un tale orrore. Nelcitato capitolo 30 egli indica i nomi di Silla, Cesare edOttaviano; quest'ultimo egli lo rimpicciolisce _ a diffe-renza dell`esaltazione fattane da Eusebio _ come il nipoteadottivo del grande Cesare. In aggiunta a ciò il capitolocontiene una lamentazione per la disgrazia particolare, chenella guerra civile ha colpito l'infelice Cicerone. Si deplorache Cicerone sia stato così folle da venire a patti conOttaviano per salvare da Antonio la libertà della repubblica,mentre Ottaviano veniva a patti con Antonio, per uccidereCicerone e la libertà; a tal punto “ cieco ed ignaro delfuturo ” _ usque adeo caecus atque improvidus futurorum_ era questo pagano Cicerone, dice Agostino. Durante ilquarto secolo Cicerone era popolare in Occidente (ArnoldEhrhardt, III, p. 39) e particolarmente adatto come topos.

Ignaro e cieco riguardo al futuro. Forse nel rinvio inPeterson al destino di Cicerone c'è un'allusione storico-contemporanea e non appariscente a situazioni del periododel 1935. Ciò sarebbe interessante come contributo sullepossibilità di una manifestazione delle proprie opinioni in

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tempi di censura politica e di pubblicità manipolata. Comeargomento teologico in un confronto Eusebio-Agostino ciòè assai poco e, se deve spiegare la superiorità teologica disant'Agostino, è solo un'abuso dell'incomparabile autoritàdel grande padre della Chiesa latino. Nessuno pone indubbio la superiorità teologica di sant'Agostino. Solo cheproprio questo capitolo III 30 con il suo rincrescimento peril “ cieco davanti al futuro ” Cicerone non dimostra nientedi più che la superiorità di uno che è nato dopo e giudicaex-post sugli uomini agenti di epoche passate. Ciò che perl'uomo di epoche passate era futuro buio ed impenetrabile,chi vive tanto tempo dopo per poterlo vedere può conside-rarlo come uno sviluppo storico del tutto evidente e mera-vigliarsi quindi per la “ cecità verso il futuro ” degli uominiprima viventi. Il futuro di domani è, come dice giustamenteJulien Freund, solo il passato di dopodomani. Retrospettiveimmaginarie non sono terreno per argomenti teologici. Nelcaso di Agostino rispetto a Cicerone si dimostra la superio-rità di un teologo cristiano dell`epoca dell'emigrazione deipopoli su un filosofo pagano dell'epoca della guerra civile diOttaviano. Nel confronto Eusebio-Agostino costruito daPeterson entra in azione invece la superiorità di un teologocristiano, che fa in tempo a vedere il tramonto dell'ImperoRomano d'Occidente, su di un teologo cristiano di centoanni più antico dell'epoca di Diocleziano, di CostantinoMagno e del Concilio di Nicea, una superiorità si noti bene,che ad esempio Agostino stesso non fa valere nei confrontidi Eusebio: un teologo cristiano dell'anno 1935 se ne servecontro il padre della storia della Chiesa cristiana, per pro-vare la colpevolezza della sua teologia politica.

La pace mondiale dell'Imperatore Augusto, che Euse-bio glorifica, non ha posto termine agli orrori delle guerre edelle guerre civili. La pace mondiale di Costantino Magnonon è neanche durata a lungo. Per questo né l'una né l”altraè vera pace. Peterson chiama “ discutibile ” una pace sif-fatta ed oppone alla pace di Augusto la pace veramente

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cristiana di Agostino, che porterà solo il Cristo che ritornaalla fine dei tempi. Né Cesare né Augusto né CostantinoMagno erano in grado di porre fine alle guerre ed alleguerre civili.

La pace di Agostino della Civitas Dei ha potuto fareciò? Il millennio di papi ed imperatori cristiani e di unateologia della pace agostiniana riconosciuta da entrambi fuparimenti un millennio di guerre e di guerre civili. Ladottrina delle due spade _ delle quali una è spada spirituale_ resta fuori dell'orizzonte. Le guerre civili confessionalidell'epoca della Riforma nel XVI e XVII secolo cristianointeressano lo jus reformandi della Chiesa cristiana; esseriguardano controversie teologiche interne, perfino cristo-logiche interne. Il Leviatano di Thomas Hobbes è il frutto diun periodo in modo specifico teologico-politico (10). A ciòseguì un'epoca di jus revolutionis e di secolarizzazionetotale. La frase di Hegel secondo cui è “ da considerare unafollia dei tempi più recenti ” l'aver fatto una rivoluzionesenza una riforma ed il pensare che possa trovare in sérequie ed armonia una costituzione dello Stato contrappo-sta alla vecchia religione ed alle sue sacralità (Enciclopedia,§ 552), deve essere intesa come un'asserzione teologico-politica (11), e la teologia della storia di Gioacchino da Fiore

(10) Carl SCHMITT, Die vollendete Reformation. Bemer/eungen undHinweise zu neuen Leviathan-Interpretationen, in: Der Staat, 4, 1965,p. 51-69,

(11) Nelle sue “ Osservazioni su una teologia della rivoluzione ”(nella Festschrift Epirrhosis, 1968, p. 628) Günther ROHRMOSER ricordaquesta frase di Hegel e aggiunge: « Hegel ha inteso il cristianesimo, cioèl'apparizione di Dio nella storia, e la Riforma in quanto appropriazione diquesto evento mediante la soggettività credente come due eventi rivoluzio-nari fondamentali per la storia universale della libertà ››. In questo conte-sto si trova anche la frase di Hegel: « Si può dire che in nessun luogo si siaparlato in modo così rivoluzionario come nei Vangeli ››. Se Peterson rifiutafortemente ogni compromesso della filosofia dell'idealismo tedesco con lateologia protestante tradizionale, può essere esaminata la “ mediazione ”

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è un'interpretazione teologico-politica del dogma della Tri-nità (12).

Peterson non vede in ciò nessun problema nuovo.Ripete la sua critica a Eusebio, come egli l`aveva espressanell'articolo “ Monarchia divina ” del 1931, aggiunge ma-teriale integrativo filologico-scientifico della stessa epoca deiprimi secoli cristiani, ma non chiude poi come nel 1931 conil riferimento escatologico all'Anticristo, aggiunge però alsuo materiale un'invocazione di sant'Agostino, ed annunciainfine come tesi conclusiva che dalla dottrina trinitariacristiana dei padri greci e dalla teologia della pace disant'Agostino sarebbe liquidata fino alla fine dei tempi ogniteologia politica. Cosa dice dunque veramente questa tesiconclusiva?

di Schleiermacher o di Hegel; cfr. sopra p. 70-71 alla conclusione delcapitolo su Eusebio come prototipo della teologia politica.

(12) Carl SCHMHT, Donoso Cortés in gesamteuropaischer Interpre-tation, 1950, loc. cit., p. 10/11 (Introduzione).

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CAPITOLO IIILA TESI CONCLUSIVA LEGGENDARIA

SOMMARIO: 1. Le asserzioni della tesi conclusiva. _ 2. La forza espressivadella tesi finale.

1. Le asserzioni della tesi conclusivaAlla conclusione della sua trattazione Peterson ripete

che l'annunciazione cristiana del Dio uno-trino sta aldilàdell'ebraismo e del paganesimo, perché il segreto dellaTrinità è attuabile solo nella divinità stessa, ma non nellacreatura, ed anche la pace, che il cristiano cerca, non puòessere concessa da nessun imperatore, ma è soltanto undono di quegli che “ è più alto di ogni ragione ”.

Una simile confessione non poteva naturalmente diven-tare una leggenda scientifica. La precede la tesi conclusivacapace di suscitare la leggenda e segue la corrispondenteannotazione conclusiva. La tesi conclusiva consta di treproposizioni e recita letteralmente:

1. La dottrina della monarchia divina doveva fallire difronte al dogma trinitario e l'interpretazione della paxaugusta di fronte all'escatologia cristiana.

2. In tal modo non soltanto è liquidato teologicamenteil monoteismo come problema politico e la fedecristiana è stata liberata dal suo legame con l'Imperoromano, ma si è anche fondamentalmente realizzatala rottura con ogni “teologia politica ”, che abusadell'annuncio cristiano per giustificare una certa si-tuazione politica.

3. Soltanto sul terreno del giudaismo e del paganesimopuò esistere qualcosa come una “ teologia politica ”.

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La proposizione 1 è come asserzione in sé chiara; essa siriferisce al materiale probativo storico ed all'argomenta-zione della trattazione precedente e della quale formula ilrisultato. Questo sarebbe un tesi in sé discutibile. La pro-posizione 2 è in sé confusa e combina quattro diverseaffermazioni: in primo luogo si sostiene che per la propo-sizione 1 sia “ liquidato teologicamente il monoteismo comeproblema politico ”; se è questo il caso, i teologi dovreb-bero accordarsi fra di loro, se vogliono liquidare teologica-mente i problemi politici; in secondo luogo si dice che lafede cristiana sia “ stata liberata dal suo legame con l'Im-pero romano ”, che è una ripetizione della tesi della pro-posizione 1; in terzo luogo è fondamentalmente realizzata larottura con ogni _ cioè adesso a quanto sembra con ogninon-monoteistica _ teologia politica, quando essa abusadell'annuncio cristiano: sarebbe una rottura a partire dallato teologico e materia dei teologi; in quarto luogo con laparola abuso irrompe improvvisamente una nuova oscuritànell'asserzione, poiché è introdotta una riserva indistinta:abuso è un concetto indeterminato, suscettibile di interpre-tazione; la rottura “ fondamentalmente ” realizzata nondeve essere ancora nessuna rottura concretamente realiz-zata, ipso facto perfetta rottura, ma è legata all'accertamentodei presupposti dello stato di fatto e della situazione giuri-dica; essa quindi non vale per ogni teologia politica inquanto tale, ma precisamente solo per l'abuso; essa nem-meno tocca le implicazioni direttamente politiche, forseassai forti di una teologia pura, che non abusa dell'annunciocristiano per la giustificazione di situazioni politiche, maporta con sé una giustificazione (o anche una condanna); inogni caso questa quarta asserzione, inserita nella proposi-zione 2, diventa degna di essere presa in esame solo allor-quando lascia riconoscere chi qui decide in concreto sull'e-sistenza o non-esistenza di un abuso; a quanto pare questideve essere il teologo.

La proposizione 3 pone il termine “ teologia politica ”

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tra virgolette e lascia in tal modo intendere delle riserve;prescindendo da ciò essa è come tesi priva di contraddizionie pertanto come tesi da discutere.

2. La forza espressiva della tesi finale.

Che lingua parlano queste tre proposizioni? Probabil-mente solo il linguaggio della teologia, per lo meno non nelsenso pretensioso che Peterson le ha dato nel suo scritto“ Cosa è teologia? ” del 1925. Liquidazione non è un ter-mine teologico. Se doveva essere intenzionalmente unadichiarazione di anatema O di eresia, la sua autorità sarebbestata messa in pericolo dal tipo scientifico-argomentante diesposizione. Lo stile linguistico e concettuale scientificocolloca le tre proposizioni nell'àmbito delle controversie discuola, delle quali Peterson peraltro (“Hochland' 33, otto-bre 1935, p. 6) dichiara che opinioni erronee di questoàmbito non sono ancora eresie. Altrettanto poco una con-statazione potrebbe essere intesa ratione peccati.

Il punto chiave si trova nella formulazione: teologica-mente è liquidato il monoteismo come problema politico. Ciòpuò significare: liquidato, perché è un problema politico enon teologico e per questo motivo non riguarda affatto ilteologo; oppure: liquidato, anche se è un problema politico,ma tuttavia è anche soggetto al giudizio teologico (come resmixta) e per questo motivo da un punto di vista teologicopuò essere liquidato (anche) come problema politico. Nelprimo caso ciò sarebbe teologia di puri teologi, qualcosacome l'art pour l'art di teologi, che si sbarazzano dell'inter-loquio dei non-teologi in quanto “ teologia politica ” nelsenso di teologia dei laici, ideologia, pubblicistica politica,retorica o propaganda. Nel secondo caso deve significare unargomento scientifico e dovrebbe riconoscere come possi-bile un'argomentazione scientifica su entrambi i lati _ sullato teologico come su quello politico _. Questo presup-pone di nuovo in entrambi i lati un concetto di scienza _

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reciprocamente compatibile _ e concetti fondamentalistrutturalmente congruenti. Non c'è nessuna divisione dicompetenza scientifica senza concetti in certo qual modoegualmente strutturati. Nessuno sosterrà che la dottrinateologica della Trinità possa liquidare un problema nume-rico matematico, e Paffermazione inversa che la matematicapossa liquidare la dottrina della Trinità sarebbe parimentiinsensata, a meno che essa non voglia solo dire che lateologia non è assolutamente una scienza. Di fronte aiconcetti oggi correnti di scienza e scientificità i teologihanno conseguito già molto, se si difendono da questeintromissioni di scienze estranee alla teologia; si tratti quipure di puntellamenti utilizzabili apologeticamente.

L'espressione liquidare non corrisponde propriamentealla lingua teologica di Peterson, come egli la parla, se nonnega in modo polemico-sfavorevole o ricade nel linguaggiodella filosofia dei valori. Liquidato non è soltanto unenorme àmbito oggettivo ed un intero mondo di immaginie di riflessi, di analogie verticali (se vanno da sotto a sopra),di simboli e paragoni, ma inoltre anche il rappresentante“esemplare” di questa attività inammissibile, il vescovoEusebio di Cesarea in quanto teologo cristiano, esegeta,storico ed un carattere “ politico ”. Ma liquidato è inoltreancora rapidamente con una frase conclusiva nominatim ilmio scritto scientifico giuridico-pubblicistico “ TeologiaPolitica ” dellianno 1922, il cui sottotitolo “ Quattro capi-toli sulla teoria della sovranità ” è taciuto allo stesso modoche la premessa del novembre 1933 alla seconda edizionedell'anno 1934 con llaccenno alla formula “ le roi règne etne gouverne pas ”. Tutto ciò lo si deve deplorare per unmotivo oggettivo, poiché in tal modo è spostato un im-portante problema, sollevato dallo stesso Peterson nel suoscritto “ Che cosa è teologia? ” del 1925: il rapporto frateologia e scienza giuridica come di due scienze, chelavorano in ampia misura con concetti strutturalmentecompatibili.

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Peterson sa distinguere in altri casi le liquidazioni teo-logiche da quelle scientifiche. Così egli ha liquidato il librodi Edgar Salin, Civitas Dei, 1926, in una recensione (Schmol-lers Jahrbuch, Bd. 50, 1926, p. 175), dicendo: “ A stento sitrova nel libro una frase, sulla quale o il teologo o lo'scienziato' non debba dichiarare la sua obiezione ”. Quiegli sottolinea anche che il teologo, “ che infine è pursempre al tempo stesso un avvocato ", non è capace dell'in-teresse imparziale di uno “ scienziato ”. Qui ci interessa lastruttura concettuale della sua antitesi fra teologia e politica.La teologia non è la stessa cosa che la religione o la fede oil tremore numinoso. La teologia vuole essere una scienza elo rimane anche fintantoché ad un altro concetto di scienzatotalmente diverso non riesce di spostare la religione e la suateologia nei sotterranei della sua specie di terrenità e diliquidarla psicoanaliticamente come nevrosi ed anacroni-smo. Il concetto opposto e compatibile contro la teologiacome scienza non è un'altra scienza che debba essere più diuna mera scienza sussidiaria o metodo.

Quale? La politica non è una scienza, la sociologia o lapolitologia non sono in quanto metodo “ esatto ” unascienza compatibile con la teologia. Il rapporto fra teologiae metafisica resta confuso. Di scienza storica dei primi secolicristiani, come nella recensione di Salin appena citata, nonsi può trattare. Nemmeno di ciò che Peterson ha chiamato“ le più dubbie di tutte le scienze, le cosiddette scienze dellospirito ” (Cosa è teologia?, 1925, p. 23). Resta quindi pro-babilmente solo la scienza sorella della teologia, la _ nonancora dissolta in storia _ scienza del diritto, quale nelmedioevo cristiano è stata sviluppata da mera casistica inuna scienza sistematica. Un docente protestante di dirittocanonico, Rudolf Sohm, fu uno dei suoi ultimi grandirappresentanti. Hans Barion, il canonista, l”ecclesiologo, lostorico del diritto ed il giurista costituzionale, che al cente-simo anniversario di Sohm (Deutsche Rechtswissenschaft,1942, p. 47-51) ha di questi dato una valida interpretazione,

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è per noi legittimo successore di Sohm dal lato cattolico-romano. Il contesto storico-giuridico non ha qui bisogno diessere esposto. Barion vede nel Codex Iuris Canonici un“ ordinamento interno della Chiesa del diritto giunta di giàad un awicinamento esemplare al diritto divino della Chie-sa ” (Säkularisation und Utopie, Ebracher Studien 1967, p.190). Del resto, basta qui la citazione di una tipica asser-zione di Max Weber, alla quale io ho pensato, quandoindicai il suo nome nel mio saggio del 1923 sul cattolicesimoromano. Max Weber ricorda che fu il diritto della Chiesaromana ad aver creato “ come nessun altro diritto sacro uncanone razionale ”, quale neppure il diritto romano seppefare; quindi prosegue:

« Un'analogia con i i rabbini ed i geonimi erarappresentata solo dai confessori controriformatori e direc-teurs de l'àme _ e nelle chiese veteroprotestanti _ daipastori, la cui casistica pastorale infatti, almeno in campocattolico, mostra talune lontane somiglianze con i prodottitalmudici. Ma tutto qui sottostava al controllo dell'auto-rità centrale della curia e solo mediante le sue disposizioniassai elastiche si aveva il perfezionamento di norme etico-sociali vincolanti. In tal modo ê qui sorto il rapporto, chedel resto non esiste in nessun altro luogo, fra il dirittosacro e quello profano: il fatto che il diritto canonicodivenne per il diritto profano addirittura una delle guidesulla via per la razionalità. E precisamente a causa delcarattere di “ istituto ” razionale della Chiesa cattolica,che peraltro non si ritrova in nessun altro luogo ›› (Witt-schaft und Gesellschaft, 4” ed., p. 480/481).

Mi devo guardare dal non cadere qui di nuovo nell'e-logium. Teologia e giurisprudenza hanno trovato la loroistituzionalizzazione in due Facoltà spesso l'un l'altra ostilee nella rivalità di canonisti e legisti hanno dato una presta-zione scientifica di importanza secolare, uno ius utrumque.

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Di ciò si parla nelle mie asserzioni sulla Teologia Politica (1).La formazione concettuale scientifica di queste due Facoltàha creato concetti confrontabili e trasponibili e campi con-cettuali sistematici comuni, fra i quali diventano ammissibilie sensati perfino scambi enarmonici. Questo è soltanto unaquestione di giusto temperamento degli strumenti. Politico_ è in questo contesto _ il legista, come ceto di unordinamento concreto che fa parte dello Stato; teologico èqui il canonista, che come chierico si trova nell'ordinamentoconcreto della Chiesa. Ma il prototipo della teologia poli-tica, che Peterson pone in risalto, il vescovo Eusebio diCesarea sospetto di arianesimo, è una figura teologico-ecclesiale in una situazione, nella quale la Chiesa sta difronte non ad uno Stato, ma ad un imperium ancora pagano,che si sforza di diventare cristiano.

Prima ancora della sua conversione al cattolicesimo, inuna nota alquanto lunga della sua conferenza Che cosa è teo-logia? (1925), Peterson ha attribuito al linguaggio giuridicoun'importanza del tutto insolita per la teologia, ponendo illinguaggio del Nuovo Testamento in uno stretto rapporto con

(1) Tutto ciò che ho espresso sul tema della teologia politica sonoopinioni di un giurista su di un'affinità di struttura sistematica deiconcetti teologici e giuridici, che si impone sul piano teorico-giuridico epratico-giuridico. Ciò si muove nell'àmbito della ricerca sociologica estorico-giuridica. Auguste Comte non riconoscerebbe in ciò nient”altroche una pezza d'appoggio per la sua tesi che il legista sia succeduto alcanonista come il metafisico al teologo. Da Comte in poi abbiamo peròfatto molte nuove esperienze, che riguardano l'inestirpabile bisogno dilegittimazione di ogni uomo. Il mio scritto “ Teologia Politica " del 1922reca il sottotitolo “Quattro capitoli sulla sociologia del concetto disovranità ”; ne sono apparsi i primi tre capitoli negli 'Scritti in memoria”di Max Weber nel 1922, tra cui il secondo con il suo sviluppo deldecisionismo suIl`esempio di Thomas Hobbes, ed il terzo con la suaintitolazione Teologia Politica. Non vorrei rischiare da non teologo dientrare in discussione con teologi su questioni teologiche della Trinità.Cosa accade a teologi laici con le loro fatiche riguardo a ciò, ce lo insegnail triste caso di Donoso Cortés.

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84 La tesi conclusiva leggendaria

il diritto. Dogma e sacramento, egli dice, sono termini dellinguaggio giuridico, perché essi sono Fesecuzione della pa-rola incarnata di Dio e più che solo predica ed esegesi. Ciòè indicato come un “ elemento essenziale nel carattere dellaRivelazione neotestamentaria ”. Dogma e teologia non sonosoltanto una conclusione, così come l”Incarnazione fu unaconclusione dell'Antico Testamento, ma “ al tempo stessoqualcosa ancora che non fu tutta parola profetica, una ese-cuzione ”. L°“ univocità concettuale ” del dogma esprimeanche il “ carattere definitivo ed univoco della rivelazione delLogos ”. In breve, è stupefacente con quale chiarezza è quiriconosciuto e reso manifesto che decisionismo e precisio-nismo fanno parte dell'esecuzione della parola di Dio e chel'uomo mediante un rifiuto della giuridificazione con ciò ri-chiesta trasforma l'immediatezza del carisma in una irrazio-nalità in sé stessa distruttiva. In un'annotazione al carteggiocon Harnack (Hochland, novembre 1932, Traktate, p. 321)Peterson dichiarava che la disputa confessionale in Germaniaaveva _ nel 1932 _ “ propriamente carattere in certo qualmodo ancora reale solo nell'àmbito della teologia politica. Lospecificamente Nuovo e cristiano (di fronte al diritto “sacro')è contenuto certamente nel diritto canonico e non nel dirittosacro ” (ann. 14 alla conferenza sulla Chiesa del 1929). Que-sto sapere intorno al carattere giuridico dell'esecuzione e que-sto aperto riconoscimento di un medium che ubbidisce a leggiproprie è in effetti stupefacente. Ancora più stupefacente èche simili dichiarazioni in una trattazione che segue in brevetempo sulla teologia politica possano essere fatte passare tran-quillamente sotto silenzio. Nell'articolo scientifico-speciali-stico “ Monarchia divina ” del 1931 (p. 562) _ a differenzadell'Eusebio che fa politica _ si dice di Tertulliano che hagiuridicizzato llidea della monarchia divina. Qui traspareforse una critica del giuridico, ma si resta in una nota, anchese fugace, nella quale è ancora riconosciuta l'autonomia del-l'esattezza giuridica, rivolta all'esecuzione di fronte alla scien-tificità teologica.

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La forza espressiva 85

Tertulliano è il prototipo per una riflessione sulle pos-sibilità teologiche del pensiero specificamente giuridico.Egli è ancora menzionato nella trattazione di Peterson del1935, ma non più come il teologo giuridicizzante a diffe-renza del teologo politicizzante Eusebio, bensì solo con unacritica alla sua interpretazione “ pubblicistica ” teologica-mente difettosa della dottrina della Trinità. Per un quadrocomplessivo del rapporto fra teologia e giurisprudenza restaperò come test di importanza del tutto prevalente il fattoche il giurista Tertulliano, nell”istante decisivo della istitu-zionalizzazione, sia rimasto fedele al carisma del martire e sisia opposto alla piena trasformazione del carisma in uncarisma dell'ufficio. Questo fu l'istante nella storia delmondo e della salvezza in cui venne formulato da sanCipriano l'“ extra ecclesiam nulla salus ". L'opera in trevolumi di Arnold T. Ehrhardt, che reca il titolo complessivo“ Metafisica politica da Solone ad Agostino ”, tratta questomomento nel secondo volume (Tübingen 1959) con il titolo“ La rivoluzione cristiana ”. Alla teoria giuridica dellaChiesa, che Tertulliano aveva trovato, solo Cipriano diedela formulazione che rendeva “ perfetta ” un”organizzazionegiuridica (così Arnold T. Ehrhardt nel capitolo: La Chiesaafricana, II, p. 134-181), mentre proprio il giurista Tertul-liano si opponeva a questa specie di perfezione giuridica,mantenendosi fedele al carisma non ufficiale del martire,che Cipriano negava in favore del carisma sacerdotale del-l'ufficio. Ehrhardt osserva (II p. 165) che la parola clerus acominciare da Cipriano conteneva il significato “ tecnico "di distinzione del clero ordinato dal popolo, laos, i laici:

« Derivata dall'uso della parola in Acta I, 17 questaevoluzione linguistica indicava l'introduzione della dot-trina della successione apostolica in senso stretto nellaconsapevolezza del laicato cristiano. Con ciò era alloracompiuta anche la piena organizzazione giuridica dellaChiesa nella parte occidentale dell'Impero».

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86 La tesi conclusiva leggendaria

Merita attenzione il fatto che Arnold Ehrhardt, benchéegli nella sua evoluzione scientifica provenga dalla storia deldiritto, adoperi qui la parola “ tecnico ” e non dica “ giu-ridico ” _ forse per una sfiducia che poteva svilupparsi inconnessione con il suo passaggio dalla scienza giuridica allateologia.

Solo alla luce dell'antitesi: teologico-giuridico la frase“ il monoteismo politico è liquidato teologicamente ” ha unpreciso significato scientifico. Una teologia, che si distacchirisolutamente dalla politica, come fa a liquidare teologica-mente una grandezza politica o una pretesa politica? Se ilTeologico ed il Politico sono due àmbiti oggettivamenteseparati _ toto coelo diversi _, allora una questione poli-tica può essere liquidata solo politicamente. Il teologo po-trebbe pronunciare considerevolmente la sua liquidazionedi affari dell'àmbito politico solo stabilendo se stesso comeuna grandezza politica con pretese politiche. Se egli dà adun problema politico una risposta teologica, allora ciò è ouna semplice rinuncia al mondo ed all”àmbito del politico,oppure invece un tentativo di riservarsi nell'àmbito delpolitico influssi o ripercussioni dirette o indirette. E quindio una rinuncia a qualsiasi competenza teologica riguardo lequestioni politiche: il teologo si mantiene puro nel suo puroelemento; o è invece l'apertura di un conflitto di compe-tenza, una sorta di litiscontestazione. La frase “ il monotei-smo politico è liquidato teologicamente ” implica alloradelle pretese a poteri di decisione del teologo anche inàmbito politico ed una pretesa di autorità di fronte al poterepolitico, una pretesa, che diventa tanto più intensamentepolitica quanto più in alto l'autorità teologica pretende distare sopra il potere politico. In questo caso di apertura diun conflitto di competenza il lato teologico fa valere ilcarattere dell'uomo quale doppia essenza composta di spi-rito e materia, di anima e corpo, la mescolanza di duenature. Ciò presuppone fondamentalmente comuni conce-zioni teologico-cristiane dell”essenza dell'uomo e una diver-

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La forza espressiva 87

sità delle possibilità d›intesa fra i popoli ed i governicristiani e gli altri. La possibilità di un “ concordato ”rimane sempre un problema specifico, poiché ogni parteconflittuale può rimproverare all'altra “ impure ” commi-stioni di teologia e politica e di politica e teologia. Ilconflitto in tal modo si acutizza soltanto e diventa solo piùintensamente politico. Se dunque il teologo rimane sulla suadecisione politica, allora egli ha deciso teologicamente unaquestione politica ed ha rivendicato a sé una competenzapolitica.

La forza espressiva del verdetto pretensioso ed in appa-renza così superiore non va oltre una marcata, ma solo astrat-tamente assoluta dichiarazione di competenza o incompe-tenza. Tutto il resto è equivocazione. Un conflitto è sempreuna disputa di organizzazioni e istituzioni nel senso di ordi-namenti concreti, una disputa di istanze e non di sostanze. Lesostanze devono prima aver trovato unaforma, devono essersiin qualche modoformate, prima di potersi contrapporre l'unl'altra in genere come soggetti capaci di disputa, comepartiesbelligérantes. La distinzione di sostanza e istanza può dareYimpressione di ilomorfismo aristotelico; essa ha comunqueil suo significato pratico e la sua giustezza teorica. Se le dueparti conflittuali non “ concordano ” fra di loro su una re-ciproca co-determinazione, il conflitto di competenza devefinire così come lo hanno portato a termine le guerre civiliconfessionali del XVI e XVII secolo: O con una risposta pre-cisa al grande Quis judicabit? oppure con una egualmenteprecisa itio in partes, cioè: con una delimitazione spazial-mente chiara, territoriale o regionale, un Cuius regio eius re-ligio. Nel tempo e nella situazione intermedia della “ impuracommistione ” le due parti conflittuali si riconducono reci-procamente ed incessantemente nei limiti delle loro facoltà esi gridano: Silete in munere alieno! Con ciò inizia una nuovaepoca della scienza del diritto internazionale, la salvaguardiarazionale ed umana della guerra degli Stati nello JuspublicumEuropaeum.

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88 La tesi conclusiva leggendaria

La dottrina agostiniana dei due diversi regni si troveràfino al giorno del giudizio sempre di nuovo davanti a questodoppio punto della domanda che resta aperta: Quis judica-bit? Quis interpretatibur? Chi decide in concreto per l*uomoche agisce nell”autonomia creaturale la questione di checosa è spirituale e cosa temporale e come ci si regola nelleres mixtae, che oramai nell'interim fra la venuta ed il ritornodel Signore formano tutta quanta l'esistenza terrena diquesta doppia essenza spirituale e temporale che è l'uomo?E la grande domanda di Thomas Hobbes, che nel mioscritto “ Teologia Politica ” del 1922 è già posta al centrodell'esposizione ed ha ivi condotto ad una teoria del deci-sionismo e dell'autonomia dell'esecuzione. E, come si vede,la questione della legittimazione della Riforma e della Rivo-luzione, dello jus reformandi e quindi, nello stadio seguente,la questione strutturalmente diversa dello jus revolutionis.Hans Barion (nella Savigny-Zeitschrift, Kan. Abt., 46, 1960,p. 500) ha fatto notare che la dottrina della sovranità stataledi Thomas Hobbes corrisponde in modo esattamente anti-tetico alla dottrina ierocratica di Giovanni di Salisbury. Nelmio articolo su Hobbes “ Die vollendete Reformation ”(Der Staat, [1965], p. 63) ho richiamato l'attenzione sulfatto che con ciò è aperto un nuovo orizzonte storico perl'interpretazione di Hobbes.

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POSTFAZIONE

Sulla situazione odierna del problema:La legittimità dell'età moderna

La liquidazione di ogni teologia politica fatta da ErikPeterson e diventata leggendaria vuole essere una negazioneteologica, da parte della teologia di una religione monotei-sta-trinitaria, che si pone in modo assoluto. La nostra analisidella sua trattazione del 1935 sul monoteismo politico si èlimitata al rapporto della sua argomentazione oggettiva conla sua tesi finale. L”orizzonte di Peterson abbraccia solo ilmonoteismo politico della filosofia ellenistica, cioè solo unametafisica o una filosofia della religione. Il grande ed attualetema in sé, la teologia metafisica e la metafisica politica, nonè ancora affrontato dal nostro singolo esame di una leg-genda scientifica. Noi attendiamo quella disputa con Peter-son che Hans Barion nel suo contributo in Epirrhosis (1968)ha dichiarato necessaria e tentiamo a conclusione dellanostra presente speciale ricerca di tracciare alcune linee checonsentano di riconoscere l'orizzonte del problema nellasituazione odierna.

Ciò è fatto nel modo migliore con riferimento al libro“ La legittimità dell'età moderna ” di Hans Blumenberg(Suhrkamp-Verlag, Frankfurt a.M. 1966). Questo libropone assolutamente la non-assolutezza ed avvia una nega-zione scientifica di ogni teologia politica, scientifica nelsenso di un concetto di scienza, che non ammette effettiulteriori o cambiamenti delle parti tratti dalla dottrina dellasalvezza di una religione che pone se come assoluta. Similicambiamenti delle parti sono per lui solo tragiche ipotechedi epoche passate. La loro totale liquidazione fa parte della

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90 Postfazione

terrenità di un`epoca moderna deteologizzata e resta il suo“ ufficium critico permanente“ (p. 61).

Un simile ammonimento non può essere fatto passarecome se nulla fosse. Le chiare tesi ed il materiale sconvol-gente dell'insolito libro ci servono da impulso per fare daparte nostra, dal lato giuridico, alcune affermazioni sullasituazione odierna del problema. Da parte di Blumenberg laglobale commistione delle mie tesi con tutti i possibiliconfusi parallelismi di concezioni religiose, escatologiche epolitiche (a p. 18) può dare occasione ad equivoci. Avrebbemeritato attenzione il fatto che il mio sforzo intorno allateologia politica non si svolge in una qualsivoglia diffusametafisica, ma riguarda il caso classico di un cambiamentodelle parti con l'aiuto di concetti specifici, che si sonodelineati entro il pensiero sistematico delle due struttured'impiego storicamente assai sviluppate ed elaborate del“ razionalismo occidentale ”, cioè fra la Chiesa cattolica contutta la sua razionalità giuridica e lo Stato _ ancora pre-supposto nel sistema di Thomas Hobbes come cristiano _dello ]us publicum Europaeum. A questo Stato è riuscito il“ progresso ” razionale più grande fino ad oggi dell'umanitànella dottrina internazionale della guerra, cioè la distinzionefra nemico e criminale e con ciò l'unico fondamento possi-bile per una dottrina della neutralità di uno Stato in guerredi altri Stati. Ciò fa parte per me e la mia teologia politicadella svolta epocale dell”evo moderno. Sulla “ soglia epoca-le ” di questa svolta risuonava il Silete Theologi/ di AlbericoGentile, di un contemporaneo, compatriota e compagno didestino del nolano Giordano Bruno.

Per Blumenberg è la “ secolarizzazione una categoriadell'ingiustizia storica ”. Egli cerca di smascherarla inquanto tale e spera di superare le sue traduzioni e cambia-menti delle parti in una legittimità dell”epoca moderna. Conil suo titolo di libro “ Legittimità dell'epoca moderna ” haalzato una bandiera giuridica. La sua sfida sembra tanto piùgrande, perché la sua parola “ legittimità ” fu per cento anni

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La legittimità dell'età moderna 91

un monopolio della legittimità dinastica, cioè a favore diuna giustificazione per durata, età, discendenza e tradi-zione, a favore di una giustificazione “ storica ” a motivo delpassato ed a favore di una “ scuola storica del diritto ”, allaquale i suoi awersari progressisti e rivoluzionari muovevanoil rimprovero che giustificava il torto di oggi con il torto diieri. Adesso sembra che ciò sia semplice da capovolgereattraverso una giustificazione partendo dal nuovo. La noncomune prestazione di Blumenberg potrebbe essere trasfe-rita da frettolosi utilizzatori nelle trivialità di David Frie-drich Strauß, che abbiamo sopra (I 3, p. 27-28) ricordato.

E perciò ovvio contraddistinguere una giustificazionemediante una sentenza accentuatamente razionale e “ con-forme alla legge ” (p. 313) non come legittimità, ma comelegalità, cioè con riguardo alla sua stretta inviolabilità di“legge”, che non ammette eccezioni o trasgressioni. Mapurtroppo proprio sul concetto di legge grava un'ipotecatragica del tutto particolare di antichissime antitesi teologi-che e metafisiche, che in seguito ad una “ legge di natura ”scientifico-moderna ormai sembra diventi ancora più impe-netrabile, poiché il diritto nel senso di libertà si oppone allalegge come mezzo di obbligo. Ricordo l'opposizione teolo-gica fra Antico e Nuovo Testamento, che pone la leggecontro l°Evangelo, la diversità del concetto di legge prima edopo l'esilio entro l'Antico Testamento, la confusione chenasce dal fatto che si è presa l'abitudine di tradurre la parolagreca nomos con legge (1).

Nell'odierno uso linguistico legittimità significa con-forme al diritto, legalità conforme alla legge. Legalità è un

(1) L'affermazione di Filone di Alessandria secondo cui la parolanomos (con l'accento sulla penultima sillaba) non compare in Omero, èripetuta ancora da Jean Bodin e Blaise Pascal; su ciò Carl SCHMITT nelcontributo Nomos - Nahme - Name, nella Festschrift für P. ErichPrzywara, S.J. “Der beständige Aufbruch ", edita da Siegfried Behn,Nürnberg (Glock und Lutz), 1957, p. 92-105.

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92 Postfazione

modo di funzionamento della burocrazia statale o di altrogenere, che funzioni in modo calcolabile. Per il modo di fun-zionare conforme alla legge di un iter processuale potrebbeinteressare solo la legalità come modo compatibile di giusti-ficazione dell'epoca moderna. La legittimità porterebbe consé tutta una controbanda di vecchi concetti e di cambiamentidelle parti e potrebbe celare la tradizione, l'eredità, la pa-ternità ela necromanzia del Vecchio. Certamente queste di-stinzioni risalgono in ultima analisi alla sociologia di MaxWeber, che nel libro di Blumenberg non compare.

Ciononostante egli rimane uno dei principali rappresen-tanti delle secolarizzazioni che hanno avuto più successo, nonsolo ad esempio con la sua celebre dottrina della legittimitàcarismatica irrazionale quale fonte peculiare di ogni giusti-ficazione rivoluzionaria in contrapposizione alla legalità. Perla Rivoluzione francese del 1789 la legalità era una nuova erazionale, più alta e più validaforma di legittimità; essa era unmessaggio della dea ragione, il Nuovo di fronte al Vecchio.Nel frattempo esperienze politiche e spiegazioni pedagogico-popolari, fornite da Bert Brecht, hanno contribuito, affinchéla legalità venisse intesa solo come parola da gangster. Chioggi vuole sottolineare che ha diritto e che le sue pretese sonogiustificate, impiega a tal fine per lo più la parola legittimo,e non legale, perfino quando si è procurato il suo fondamentogiuridico con una legge da lui stesso emanata e controlla tuttele condizioni della possibilità di una legge _ consenso, opi-nione pubblica, dispositivo di comando dei fattori del pro-cedimento legislativo, cosicché la sua autorizzazione può es-sere indicata anche scientificamente come una reale auto-legittimazione.

Se ciò avviene in modo strettamente legale, se le ecce-zioni sono abborrite, le mutazioni sospette, i miracoli addi-rittura atti di sabotaggio, allora è owia la domanda da dovein una simile legalità debba venire YincessantementeNuovo. Tuttavia questa domanda non coglierebbe il sensodel rifiuto del miracolo, dell'eccezione, del volontarismo e

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La legittimità dell'età moderna 93

del decisionismo. A Blumenberg interessa fondamental-mente Yautolegittimazione dell'uomo e la sua febbre disapere. Di questa egli dice espressamente che è “ fonda-mentalmente non bisognosa di giustificazione ” (p. 393).“ La conoscenza non ha bisogno di nessuna giustificazione,essa si giustifica da sé; deve ringraziare se stessa, non Dio;non ha niente di più che un'illuminazione ed un benevololasciar partecipare, ma poggia sulla sua propria evidenza,alla quale Dio e gli uomini non possono sottrarsi ” (p. 395).E così. L'autismo è immanente al1'argomentazione. La suaimmanenza, che si rivolge polemicamente contro una tra-scendenza teologica, non è nient'altro che autolegittima-zione. Certamente anche Blumenberg parla il linguaggiodella filosofia dei valori, la cui logica porta con sé non solotrasvalutazioni, ma anche svalutazioni, dichiarazioni senzagiudizio di valore e perfino dichiarazioni di mancanza divalore ed in tal modo può diventare il veicolo di un'aggres-sività alquanto forte. Questioni come la legittimità o lalegalità si perdono in tal modo nella convertibilità generaledei valori. Questo lato del problema, la “ tirannia deivalori ” e la loro giustificazione dell'annichilimento dellamancanza di valore, può essere qui tratteggiata solo con unaccenno (cfr. la Ebracher Festschrift fiir Ernst Forsthofl,Stuttgart 1967, p. 37-63; qui anche Fimportante articoloriguardo l'antinomia fra pianificazione e progresso di Hans-Joachim Arndt, Die Figur des Plans als Utopie der Beivah-rung, p. 119 ss.). Partendo da una novità che si legittima dasé, il rifiuto di ogni necessarietà della giustificazione è deltutto conseguente. Perché il veramente Nuovo dovrebbegiustificarsi davanti al Vecchio esistente, che è d'impaccio alNuovo? Questo Vecchio non è più nemmeno reale. Leaporie interne della contraddizione fra pianificazione enovità sono veramente grosse e devono aumentare ed acuireancora l”aggressività immanente del Nuovo scatenato. Inquesta situazione del problema la parola latina curiositasfunge da contrassegno della febbre di sapere in modo

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94 Postfazione

addirittura minimizzante. Forse la parola greca tolma (cfr.Legitimita`t der Neuzeit, p. 269) sarebbe più giusta, perchéimplica la non necessarietà della giustificazione in quantoespressione di audacia e di gioia del pericolo. Mentre invecela vecchia parola della modernità hybris non sarebbe piùattuale, ma solo una lamentela impotente con improntateologica.

Non vorrei dare l'impressione di voler entrare conquesti accenni in disputa con un libro il cui sapere teolo-gico, antropologico e cosmologico apre nuovi e stupefacentiorizzonti ed i cui insegnamenti sono stati per me fruttuosi.L'inizio o il tentativo di una simile disputa non sarebbenemmeno opportuno qui dove ci si propone solo unapostfazione ad una singola analisi di una trattazione teolo-gica, che separa il problema della teologia politica con unconfronto Eusebio-Agostino ed ha avuto in tal modo gransuccesso. Non posso neppure iniziare con una relazione suipassi del libro per me più importanti, ad esempio suTertulliano (Legitimitãt der Neuzeit, p. 282/283) e sul suodecisionismo teologico-specifico (cfr. la mia conferenza sui'Tre tipi di pensiero scientifico giuridico', 1936, p. 25/26) enon posso qui nemmeno entrare nel problema centrale peril nostro contesto, la cui esposizione significa un punto diparticolare elevatezza nella critica di Blumenberg: il rap-porto di sant”Agostino con la gnosi. Dovrei discutere l'in-terpretazione del libro 21, 1-8 della Civitas Dei (p. 309) edinoltre tentare di interpretare esattamente il difficile passotanta novitas nel libro 12, cap. 21 della Civitas Dei, con tuttele sue implicazioni dell'eterno ritorno e della felicità eternadell'individuo umano, predestinazione infallibile e divinaonnipotenza (2). Mettere tutto questo in una post-fazionesarebbe già come idea assurdo.

(2) Qui è della liberatio nova che si parla, della beatitudine eterna,che tocca ai predestinati da Dio e che non può volere nessun rientro neicicli dell'eterno ritorno, perché altrimenti la felicità non sarebbe real-

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La legittimità dell°età moderna 95

Al contrario vi è ancora bisogno di un accenno alcriterio del politico e della teologia politica, cioè alla distin-zione di amico e nemico. Peterson si richiama per la dot-trina della Trinità in modo decisivo ad un passo di Gregoriodi Nazianzo (Oratio theol. III, 2), nel cui nocciolo si trovala seguente formulazione:

« L'Uno _ to Hen _ è sempre in rivolta _ stasiatson _contro se stesso _ pros heauton ››.

In mezzo allinequivocabilissima formulazione del dif-ficile dogma ci capita la parola stasis, nel senso di rivolta. Lastoria della parola e del concetto di stasis merita in questocontesto di essere accennata; essa si estende da Platone(Sofista 249-254, e Politeia V, 16, 470) attraverso i neopla-tonici ed in particolare Plotino ai padri e maestri greci dellaChiesa; in essa si sviluppa una contraddizione con avvin-cente dialettica. Stasis significa in primo luogo: quiete,situazione di quiete, posizione, status; il concetto contrarioè kinesis: movimento. Ma stasis significa in secondo luogoanche disordine (politico), movimento, rivolta e guerra ci-vile. La maggior parte dei lessici della lingua greca mettonoi due opposti significati semplicemente l'uno accanto all°al-tro, senza tentativi di spiegazione, che a ragione non si puònemmeno pretendere da essi (3). Anche il solo accostamento

mente la vera, nuova liberatio. Si autem in natura immortali fit tantanovitas nullo repetita, nulla repetenda circuitu: cur in rebus mortalibusfierinon posse contenditur? Walter Benjamin, che ha posto in rilievo questafrase come un motto, pensa con questo ad uno scritto pessimistico diBlanqui; cfr. su ciò Rolf TIEDEMANN, Studien zur Philosophie WalterBenjamins, Frankfurter Beiträge zur Soziologie Nr. 16, Frankfurt 1965,p. 103 s. e p. 151, dove è indicato erroneamente come luogo il libro XIIc. XX (invece di c. 21).

(3) Fa un”eccezione degna di nota il Thesaurus Linguae Graecae, 7,1848/54, colonne 656/665. Tenta di spiegare il sorprendente mutamentodalla quiete al movimento interpretando la nascita e formazione di una

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dei numerosi esempi di una simile contrapposizione offreuna miniera per la conoscenza di fenomeni politici e teolo-gico-politici. Qui ci si fa incontro una vera stasiologiateologico-politica nel nucleo della dottrina della Trinità. Ilproblema dell'inimicizia e del nemico non si può quindinascondere. Per l'uso linguistico del mondo odierno va

fazione o partito come rapporto di una posizione o di un punto di vista,attraverso cui sembra sia trovato il ponte dalla quiete al movimento senzacomplicate evoluzioni dialettiche (c. 660 sotto), e senza alcuna prepo-tenza aggiunge: Viderit tamen lector an aptiorem aliquam hujus signifrationem excogitare possit. Rinvia anche all'esempio del coro che siintroduce sulla scena e si muove intorno al corifeo. Lo stesso esempio èutilizzato dialetticamente in Plotino (c-fr. Maurice de GANDILLAC, Lasagesse de Plotin, 1952, p. 185, nel capitolo Deux en Un). Nel NuovoTestamento stasi significa rivolta o tumulto (un`eccezione solo Ebrei 9,8,dove si parla di primo tabernacolo). La stasis nella storia della passionedi Gesù _ Marco 15,7 e Luca 23,19.25 _ è riferita dai teologi cristianinon al precedente ingresso in Gerusalemme, ma ad una baruffa nonaltrimenti nota ed ostile a Roma o giudaico-interna. Il teologo protestanteJürgen Moltmann in una conferenza sul tema Teologia politica (congressodi perfezionamento per medici in Regensburg svoltosi il 15 maggio 1969)ha interpretato da un punto di vista teologico-politico il fatto dellacrocifissione di Cristo ad opera dei Romani, dicendo: “ Comunque Gesùnon nacque provvidenzialmente nell'era della pace di Augusto, ma fucrocifisso da Ponzio Pilato in nome della Pax Romana. Questa era unapena politica " (p. 12). Quindi prosegue: “ Certamente Gesù non era uncombattente della libertà giudaica, come lo erano stati i due zeloti, chefurono crocifissi insieme con lui. Ma il fatto che in un senso più profondoegli abbia portato la rivolta come tale nella religione politica di Roma,non lo si può negare. I martiri cristiani, che vennero mandati nell'arena,lo sapevano ancora " (p. 12). Ciò è esatto. L'idea di una “ crocifissione innome della Pax Romana " mi sembra invece che sia un abbaglio retro-spettivo anacronistico o un rigetto della moderna Pax Americana neltempo di Pilato. La crocifissione era una misura politica contro schiavi emessi hors-la-loi; essa era il supplicium sumptum de eo in servilem modum.Io mi sono espresso al riguardo nel mio libricino Ex Captivitate Salus,1950, p. 61. Per il resto Moltmann ha ragione, quando mette in rilievo ilsignificato intensamente politico, che indistruttibilrnente contiene in sél'adorazione di un Dio in tal modo crocifisso e che non si lascia sublimarenel “ puramente teologico ”.

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ancora aggiunto attualmente un fatto linguistico assai signi-ficativo entro l'àmbito linguistico anglo-americano: la pa-rola foe, che dal tempo di Shakespeare passa per antiquatae solamente “ retorica ”, si è destata a nuova vita a partiredalla seconda guerra mondiale. Nel suo contributo allaFestschrift Epirrhosis (1968) George Schwab ha esaminatosotto il titolo Enemy or Foe, ein Konƒlikt der modernenPolitik, questo evento sintomatico.

Diventa così per noi inevitabile uno sguardo sul destinodel concetto di nemico in una nuova realtà conseguente-mente deteologizzata e solamente umana. C'è qui tuttaviaancora un nuovo pericolo: se non quello di una inimiciziamanichea fra Dio e Diavolo, di certo però quello del“ recidivo gnostico ”, come lo chiama Blumenberg. Egli si èdifeso dal rimprovero di creare un legame fra gnosi edepoca moderna, rovesciando la connessione: per lui l'epocamoderna è il secondo _ ma questa volta riuscito _ supe-ramento della gnosi, dato che non era riuscito il primosuperamento, soprattutto quello agostiniano (p. 78). Il me-dioevo cristiano e 1"* unità della sua volontà di sistemarazionale ” può di conseguenza essere inteso questa volta apartire dal superamento della controposizione gnostica.

La deteologizzazione contiene in tal modo una depoli-ticizzazione nel senso che il mondo cessa di essere “ poli-tomorfo ”. Con ciò cessa anche la distinzione fra amico enemico come criterio del politico (4). Il dualismo gnosticopone un Dio dell'amore, un Dio estraneo al mondo, come ilDio redentore contro il Dio giusto, il signore e creatore diquesto mondo cattivo. Entrambi agiscono se non in un'ini-

(4) Julien FREUND, L'Essence du Politique, Paris, Ed. Sirey, 1965,non utilizza la distinzione di amico e nemico (come in me avviene) inquanto criterio, ma come uno di tre présupposés (le tre coppie concet-tuali: comando-obbedienza, privato-pubblico, amico-nemico), questiconsiderati come presupposti essenziali per una teoria sistematicamentestrutturata del politico; cfr. su ciò il mio articolo Clausewitz als politischerDenker, nella rivista Der Staat, 6 (1967), p. 500.

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micizia che lotta in modo reciprocamente attivo, di certo inun°inconci1iabile estraneità, una sorta di pericolosa guerrafredda, la cui inimicizia può essere più intensa di unainimicizia, che si manifesta ed è attiva nell'ingenuità diun'aperta battaglia campale. La tenacia e Pinconfutabilitàdel dualismo gnostico poggia meno sull'evidenza delle an-tiche immagini mitiche e metaforiche della luce e dellatenebre; essa consiste piuttosto nel fatto che un Dio crea-tore onnipotente, onnisciente, e infinitamente buono versoil mondo da lui creato non può essere identico con un Dioredentore. Agostino sposta la difficoltà dalla divinità allalibertà del1”uomo creato da Dio e fornito di libertà, cioè inuna creatura che in forza della libertà concessale rende piùche mai bisognoso della redenzione divina il mondo chenon ha bisogno di salvazione. La creatura, che a ciò è atta,l'uomo, dà prova della sua libertà non con atti, ma conmisfatti. La dottrina della Trinità avvolge l'identità del Dioredentore nell'unità del Padre e del Figlio, che non sonotutte e due assolutamente identici, ma tuttavia sono“ Uno ”, per cui il dualismo delle due nature, uomo-dio,diventa unità nella seconda Persona.

Ma il problema strutturale essenziale del dualismo gno-stico del Dio creatore e del Dio redentore non dominasoltanto ogni religione della salvezza e della redenzione.Esso è dato in modo inseparabilrnente ed inestirpabilmenteimmanente in ogni mondo bisognoso di cambiamento e dirinnovamento. Non si può eliminare l'inimicizia fra gliuomini, vietando le guerre fra Stati di vecchio stile, propa-gando una rivoluzione mondiale e cercando di trasformarela politica mondiale in polizia mondiale. La rivoluzione, adifferenza della riforma religiosa, della riforma amministra-tiva, della revisione e dell'evoluzione, è una disputa ostile. IlSignore di un mondo da cambiare, cioè sbagliato (al qualeè imputata la necessità del cambiamento, poiché egli nonvuole piegarsi al cambiamento ma vi si oppone) ed illiberatore, il produttore di un mondo cambiato, nuovo non

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possono essere buoni amici. Essi sono per così dire nemicidi per se'. En temps de revolution tout ce qui est ancien estennemi (Mignet). Anche la Riforma della Chiesa cristiananel XVI e XVII secolo partendo da un conflitto cristologi-co-politico attraverso lo jus reformandi è diventata infineuna rivoluzione teologico-politica. Il celebre motto di Hegelsu Riforma e rivoluzione (Enciclopedia, § 552) riceve dallaTeologia Politica la giusta formulazione del problema.

In un articolo sulle nuove interpretazioni del Leviatano(Der Staat 4 [1965], p. 51-69) ho mostrato che ThomasHobbes ha raggiunto in modo sistematico-concettuale lachiara alternativa statale al monopolio ecclesiastico-romanodella decisione ed ha in tal modo completato la Riforma. Ciòera il frutto di un'epoca, che dal medioevo era determinataancora dalla concezione di uno jus reformandi, dallo “ Sta-to ”, legato all'epoca, che così nasce solo adesso, già daldiritto alla sovranità. Blumenherg ha mostrato magistral-mente in un'osservazione corrispondente la “ soglia epoca-le ” in un confronto Nicola Cusano _ Giordano Bruno (p.435 ss.). La mia esposizione su Thomas Hobbes chiude conle parole che il suo Leviatano in quanto frutto di un”epocaera “ il frutto di un periodo in modo specifico teologico-politico ”. In un successivo articolo “ Clausewitz comepensatore politico ” (Der Staat, 6 [1967], p. 494) ho indi-cato i diversi tipi di inimicizia verso Napoleone, ho distintol'inimicizia ideologica di Fichte verso Napoleone dall'inimi-cizia di Clausewitz ed ho ricordato una frase di Goethe, chedurante l”ultima guerra 1939-1945 è stata citata ed interpre-tata in numerose conversazioni non-pubbliche dai conosci-tori di Goethe: il celebre motto latino prima del IV libro di“ Poesia e Verità ": nemo contra deum nisi deus ipse (5).

(5) Clausewitz als politischer Denker. Bemerkungen und Hinweise,in Der Staat 6 (1967), p. 494. Hugo Ball cita il motto di Goethe nelle sueannotazioni del 17 giugno 1919 (Die Flucht aus der Zeit, 1931, p. 253)senza ulteriore tentativo di interpretazione come prova del fatto che la

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L'idea stessa è antica. Se ad ogni unità è immanente unadualità e quindi una possibilità di rivolta, una stasis, allorala teologia sembra diventare “ stasiologia ”. Il motto diGoethe _ che probabilmente egli stesso ha formulato inlingua latina _ è di origine cristologica. Deriva, come hoaccertato, dai frammenti “Caterina da Siena ” di JakobMichael Lenz, nei quali Caterina, in fuga davanti a suopadre, si lamenta:

Mio padre mi guardava minaccioso,come un Dio ofifeso che ama.Ma egli avrebbe teso tutte e due le mani _Dio contro Dio

(ella trae un piccolo crocifisso dal suo seno e lo bacia)Salvami, salvami,mio Gesiì, che seguo, dal suo bracciol...Salvami, salvami da mio padree dal suo amore, dalla sua tirannide.

Io sono sicuro che l'enigma assai trattato di quel mottodi Goethe trovi qui la sua decifrazione. Blumenberg dàesempi così numerosi divisione cristologica che forse non è

religione per Goethe è un desiderio umano, non un desiderio di Dio, eil demoniaco è da lui considerato non come un potere che nega, ma checontrasta. Il dernoniaco non sarebbe allora equiparato con il diavolo; laparola avrebbe piuttosto nell'antico significato un senso che non escludel'eroismo e la venerazione di se stesso. _ La questione circa l'origine edil senso di questo motto fu sollevata dopo il 1945 per primo da AdolfGrabowsky (Trivium Jahrg. III, Heft 4) e poi discussa in una serie diarticoli del Goethe-Jahrbuch della Goethe-Gesellschaft. Eduard Spranger(Goethe-Jahrbuch XI, 1949) suppone che o Goethe o Riemer abbianoconiato l'espressione e l'abbiano fatta passare per antica, cioè derivantedagli Zincgrefs Apophthegmata. Dalla serie ulteriore di tentativi diinterpretazione che seguono nel Goethe-Jahrbuch (Christian Janentzky,Siegfried Scheibe, Momme Mommsen) ci interessa qui particolarmentequello di M. Mommsen nel XIII volume, p. 86-104, per la connessionecon Napoleone. Mommsen cita anche (p. 99) Fannotazione dal diario diGoethe su Fichte e Napoleone dell'agosto 1806, da me chiamata nell'ar-ticolo su Clausewitz.

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erroneo porre il problema della teologia politica sotto laquestione del nemico ed orientare alcune tesi sul motto diun poeta che non è sospetto di nessuno zelo teologico, mache in una conversazione con il cancelliere Friedrich vonMüller (10 ottobre 1823) tuttavia disse: La dottrina delladivinità di Cristo è assai necessaria al dispotismo, propriouna necessità.

Le nostre tesi seguenti non cercano neppure di fissarein alcun modo le tesi di Blumenberg; esse abbozzanosoltanto un'immagine speculare che mi appare adessochiara, per riconoscere più chiaramente la mia propriaposizione. La questione principale, che per me risulta dalpolitico, riguarda la realtà di un nemico, la cui reale possi-bilità io pure riconosco ancora in un'immagine specularecompletamente deteologizzata. Il suo cambiamento di partedall°antica teologia politica in una nuda terrenità, a quantosi pretende totalmente nuova ed un'umanità umana daosservare esattamente in modo critico, resta in effetti unufficio permanente di ogni sforzo di conoscenza scientifica.

Una liquidazione scientifico-moderna, del tutto deteo-logizzata di ogni Teologia Politica potrebbe muoversi con-formemente nella serie seguente di pensieri:

1. Per una conoscenza scientifica al modo delle scienzeesatte non c'è nessuna teologia intesa come scienza chediscuta con categorie scientifiche specificamente proprie;non c'è nemmeno una nuova teologia politica nel senso diuna ri-sistemazione di precedenti posizioni teologiche, nes-suna teologia politica democratica (in luogo di quella pre-cedente monoteistica) e nemmeno rivoluzionaria (in luogodella precedente controrivoluzionaria); tutti i concetti de-teologizzati trascinano con sé l'eredità della loro originescientificamente impura; non è più possibile costruire nuo-vamente per così dire ab ovo una teologia politica; non c'èpiù assolutamente nessun ovum in un'accezione antica o

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rinnovabile; c'è solo ancora un novum; vengono a mancaretutte le deteologizzazioni, depolitizzazioni, degiuridifica-zioni, deideologizzazioni, destoricizzazioni e le ulteriori se-rie di espressioni con de- nel senso di una tabula rasa; side-tabulizza perfino la tabula rasa, che cade insieme con latabula; la nuova scienza, puramente umana-terrena è unincessante progresso-processo di un rinnovamento ed am-pliamento di conoscenza nient'altro-che-umano-terrena,continuamente fatta da una curiosità umana incessante.

2. L'uomo nuovo che in questo processo produce sestesso non è un nuovo Adamo, nemmeno un nuovo pre-adamita ed ancora meno un nuovo Cristo-Adamo, ma ilprodotto di volta in volta non pre-strutturato del progresso-processo da lui, cioè da sé stesso posto e mantenuto infunzione.

3. Il progresso-processo non produce solo se stesso e1'uomo nuovo, ma anche le condizioni della possibilità dellesue proprie innovazioni della novità; ciò significa il contra-rio di una creazione dal nulla, cioè la creazione del nullainteso come condizione della possibilità dell'autocreazionedi una mondanità sempre nuova.

4. La libertà dell'uomo è il valore più alto; condizionedella possibilità della libertà dell'uomo è la libertà di valorepropria della scienza e della conoscenza umana; condizionedell'attuazione della libertà di valore propria della scienza èla libertà di utilizzazione dei suoi risultati in una liberaproduzione; ciò che dà un senso alla libertà di utilizzazionedella produzione è la libertà di valutazione nel libero con-sumo. La sindrome irreversibile della libertà di valore, diutilizzazione e di valutazione è la società libera, industrialetecnico-scientifica, progressista.

5. L'uomo nuovo che roduce se stesso in un ro res-o o p 1 n n p gso-processo di tre liberta, ossia della libertà di valore, di

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utilizzazione e di valutazione, non è un nuovo Dio e lanuova scienza a lui attribuita non è una nuova teologia, néuna divinizzazione di se stesso antidivina, e nemmeno unanuova “ antropologia religiosa ”.

6. L'uomo nuovo è aggressivo nel senso del progressoincessante e di incessanti riassestamenti; egli rifiuta il con-cetto di nemico e ogni secolarizzazione o cambiamentodelle antiche concezioni del nemico; egli supera il vecchioattraverso ciò che è scientificamente-tecnicamente-indu-strialmente nuovo; il vecchio non è il nemico del nuovo; ilvecchio liquida se stesso e da sé nel progresso-processoscientifico-tecnico-industriale, che o recupera il vecchio _nella misura di una nuova utilizzabilità _ o lo ignora inquanto inutilizzabile o lo annulla in quanto fastidiosa man-canza di valore.

7. Eripuit fulmen caelo, nova fulmina mittitEripuit caelum deo, nova spatia struit.Homo homini res mutandaNemo contra hominem nisi homo ipse.

Chiudo con la domanda: quale di quelle tre libertà èl'aggressività più intensa da un punto di vista immanente:quella della libertà di valore scientifica, quella della libertàdi produzione tecnico-industriale o quella della libertà divalutazione del libero consumo umano? Se questa domandadovesse essere scientificamente inammissibile, perché nelfrattempo anche il concetto di aggressività è diventatolibero dal valore, allora la situazione sarebbe chiara: stat proratione Libertas, e Novitas pro Libertate.

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