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2.1.5 LA COMBUSTIONE DI COMBUSTIBILI SOLIDI Fasi nella combustione del carbone La descrizione completa della combustione del carbone richiede la modellazione di almeno due fasi distinte: la devolatilizzazione del carbone l’ossidazione del residuo solido della devolatilizzazione (char). In realtà il fenomeno è ben più complesso, poiché coesistono diversi meccanismi la cui esistenza e durata sono funzioni del tipo di applicazione (letto fisso, fluido, trascinato). La fig.2.9 riporta uno schema rappresentativo del processo. Ogni step ha tempi e temperature caratteristiche che dipendono, oltre che dalle condizioni operative, anche dal combustibile usato. Di seguito si descriveranno i fenomeni caratteristici del carbone. Questi sono qualitativamente analoghi per tutti i tipi di combustibili solidi, anche se l’importanza relativa e le peculiarità di ciascuno step vanno trattati per lo specifico combustibile. Figura 2.9: schema dei meccanismi che possono avvenire durante la combustione di una singola particella di carbone

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2.1.5 LA COMBUSTIONE DI COMBUSTIBILI SOLIDI

Fasi nella combustione del carbone

La descrizione completa della combustione del carbone richiede la modellazione di almeno due fasi distinte:

⇒ la devolatilizzazione del carbone

⇒ l’ossidazione del residuo solido della devolatilizzazione (char).

In realtà il fenomeno è ben più complesso, poiché coesistono diversi meccanismi la cui esistenza e durata

sono funzioni del tipo di applicazione (letto fisso, fluido, trascinato). La fig.2.9 riporta uno schema

rappresentativo del processo. Ogni step ha tempi e temperature caratteristiche che dipendono, oltre che

dalle condizioni operative, anche dal combustibile usato. Di seguito si descriveranno i fenomeni caratteristici

del carbone. Questi sono qualitativamente analoghi per tutti i tipi di combustibili solidi, anche se l’importanza

relativa e le peculiarità di ciascuno step vanno trattati per lo specifico combustibile.

Figura 2.9: schema dei meccanismi che possono avvenire durante la combustione di una singola particella di carbone

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Devolatilizzazione

L’umidità viene rilasciata a bassa temperatura (intorno ai 100°C), mentre gas e tar (catrame, cioè prodotti a

maggiore peso molecolare, liquidi a temperatura ambiente ma gassosi alla temperatura di processo, ed

espulsi in fase vapore) sono rilasciati a temperature più elevate (dipendenti dal rango del carbone, ma in

ogni caso superiori ai 350-400°C).

La particella può subire cambiamenti strutturali svariati: può rammollire (softening), rigonfiare (swelling),

restringersi (shrinking), aumentare o diminuire la sua area superficiale e modificare la distribuzione

dimensionale dei pori.

Ciò che rimane dopo il processo di devolatilizzazione è il char; la particella di char è in genere molto porosa,

con caratteristiche che variano a seconda del carbone parente e delle condizioni di pirolisi.

Confronto delle immagini al microscopio elettronico di una particella di carbone tal quale e quella del char dopo

devolatilizzazione (ottenuta in un reattore a filamento, 1400°C, 20000°C/s)

La fase di devolatilizzazione è importante ai fini della combustione, per i seguenti motivi:

⇒ la devolatilizzazione controlla la distribuzione dei prodotti (gas, tar, char);

⇒ il tar che si forma contiene composti organici ossigenati o idrocarburi; il gas contiene CO2, CO, CH4,

H2 e idrocarburi leggeri; si forma anche acqua come prodotto di pirolisi; alle alte temperature di

combustione questi composti sono tutti volatili che tendono a degradarsi ulteriormente (con

formazione di gas leggeri per tar-cracking) o vanno verso l’ossidazione in fase omogenea;

⇒ il tar è la sorgente primaria della fuliggine (soot): controlla quindi lo scambio termico per

irraggiamento nella zona di fiamma dei volatili;

⇒ il char residuo risulta impoverito in ossigeno e idrogeno mentre ha un contenuto in carbonio più

elevato rispetto al carbone iniziale; la reazione eterogenea per la sua ossidazione è lo stadio lento

del processo, dipende dalla quantità e dalle caratteristiche (strutturali e morfologiche) del char

formatosi durante il processo di devolatilizzazione.

Di seguito si riportano i risultati di uno studio sulla singola devolatilizzazione di diversi carboni con le rese nei

macro-prodotti in funzione della temperatura e la speciazione della fase gassosa.

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Comparison of coal pyrolysis product distributions at various temperatures from three independent investigators:for Suuberg et al. d=74-1000 µm, in helium, 102-104 atm, HR< 104 K/s;for Blair et al. d=500-600 µm, in helium/argon, 1 atm, HR =2-8 104 K/s;for Solomon and Colket, d> 100 µm, vacuum, 0.01 atm, HR < 103 K/s(HC = hydrocarbons, T = tar, L = liquids)

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La devolatilizzazione è influenzata fortemente (per quanto riguarda la composizione e la resa relativa nei

prodotti, la cinetica globale e le temperature caratteristiche) dalla storia termica delle particelle (temperatura

del reattore e velocità di riscaldamento), dalle dimensioni e dalla natura del combustibile.

Esistono diversi approcci nella modellazione della devolatilizzazione. Il più semplice (che può essere usato

come modello preliminare per ottimizzazioni successive o come confronto fra materiali diversi) è il modello

SFOR (Single First Order Reaction model):

RTEeAk

VVkdtdV

/

)(

⋅=

−=

con V∞ la quantità massima di volatili rilasciati nelle condizioni usate, k la costante cinetica espressa in forma

di Arrhenius. In questo caso si assume che l’intero processo sia approssimabile a un’unica reazione. In realtà,

la devolatilizzazione prevede la rottura pirolitica dei legami chimici che degradano la complessa struttura

organica del combustibile in composti via via più leggeri che, a seconda della loro natura e delle condizioni

termiche, sono rilasciati in fase vapore. Il processo è evidentemente molto complesso, ma si può

schematizzare come somma di un numero finito di reazioni in parallelo (modello DAEP somma di n modelli

del primordine) o di una distribuzione di reazioni con variazione infinitesima dei parametri cinetici (modello

DAEM – Distribution Activation Energy Model). Nel primo caso si può considerare il combustibile formato da

diversi macro-costituenti ognuno con specifici parametri cinetici del primordine. Questo modo di procedere si

adatta bene alla devolatilizzazione di biomasse costituite da cellulosa, emicellulosa e lignina. Questi tre

componenti chimici hanno reattività e proprietà specifiche (si veda la figura seguente che confronta la

devolatilizzazione dei 3 componenti in termobilancia) per cui la devolatilizzazione della biomassa si può

vedere come “somma pesata” della devolatilizzazione in base alla composizione chimica iniziale della

biomassa (su base d.a.f.):

YB = xcellYcell + xhemiYhemi + xlignYlign

dove con Y si indica la resa in volatili al generico istante t, x la frazione massiva dei componenti nella

biomassa iniziale; i pedici si riferiscono alla biomass (B) e ai componenti chimici.

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0102030405060708090100

100 300 500 700 900T (°C)

W/W

0 (%

) dry

lignin

cellulose

xylan

TG devolatilization runs

Confronto della devolatilizzazione di cellulosa, emicellulosa (xylan) e lignina

Nel modello DAEM (applicabile ai carboni) si suppone che tutte le reazioni coinvolte nella devolatilizzazione

abbiano lo stesso fattore pre-esponenziale A, mentre differiscano per l’energia di attivazione secondo una

distribuzione Gaussiana con un’energia di attivazione media E0 e una deviazione standard σ:

∫∞ −

∞ ⋅⋅∫

=−

0

)(0 dEEfeVVV

t

kdt

σπ

σ

⋅=

−−

2)(

2

20

2

)( EE

eEf

L’introduzione di un parametro in più rispetto al modello SFOR dà maggiore complicazione ma più

accuratezza al modello. Esistono poi modelli ancora più complessi che prevedono schemi di reazione più

dettagliati (con reazioni in serie, in parallelo, consecutive), approcci strutturali basati sull’analisi chimica del

combustibile solido (aromatic clusters, aliphatic bridges) oppure sulla composizione petrografia.

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Immagini del rilascio di volatili da una particella (0.52-0.7 mg e 600-710 µm) di un carbone bituminoso durante la rapida

devolatilizzazione (1060 K/s) a diversi istanti e relativa rappresentazione della resa in volatili in funzione della temperatura

misurata (simboli: risultati sperimentali; curva tratteggiata: risultati del modello DAEM con V∞=43.45% del carbone

originale, A= 6.18x1010 s-1, E0= 234.8 kJ/mol e σ= 29.7 kJ/mol) [Ma et al. 2003 – Fuel Proc. Tech.]

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Combustione dei volatili

I prodotti che si formano dalla devolatilizzazione sono molteplici: tar, idrocarburi, CO, CO2, idrogeno, vapor

d’acqua, HCN,…; questi prodotti reagiscono con l’ossigeno nelle vicinanze della particella di char,

aumentandone la temperatura e consumando ossigeno. Si forma una fiamma simile a quella che circonda le

gocce di un combustibile liquido che evapora (fiamma a diffusione). La nuvola di volatili che brucia intorno

alla particella solida evita che l’ossigeno possa raggiungere la superficie della particella e quindi previene

l’ossidazione eterogenea del solido.

La combustione dei volatili è molto veloce e quindi non è determinante ai fini della velocità globale del

processo, ma è importante per i seguenti motivi:

⇒ formazione di NOx;

⇒ formazione di fuliggine;

⇒ stabilità della fiamma;

⇒ ignizione del char.

L’approccio seguito per descrivere questa fase è quello di considerare reazioni globali di combustione che

portano a CO2 e acqua.

Immagini di fiamma di polverino di carbone con varie portate di carbone mantenendo fissa la portata di aria (2.32 kg/h)

(a) 72.6 g/h (b) 101.7 g/h (c) 136.1 g/h (d) 191.4 g/h (e) 230.1 g/h

Φ=0.34 Φ=0.47 Φ=0.63 Φ=0.88 Φ=1.06

[Cho et al.1999 – Fuel]

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Ossidazione del char

L’ossidazione del char è una reazione eterogenea. La descrizione della reazione eterogenea di ossidazione

del char è complessa, a causa dei numerosi fattori che influenzano il processo. La reazione in sé si può

schematizzare secondo diversi step:

⇒ diffusione dell’ossigeno ed altri reagenti verso la particella;

⇒ diffusione attraverso i pori;

⇒ adsorbimento sulla superficie interna;

⇒ reazione dei reagenti (ossidazione del carbonio);

⇒ desorbimento dei prodotti (monossido di carbonio);

⇒ diffusione dei prodotti di combustione secondo il cammino inverso;

⇒ ossidazione del monossido di carbonio all’interno della particella o nello strato limite intorno ad essa.

Quindi oltre a stadi strettamente chimici, è necessario studiare fenomeni di trasferimento di materia (dal bulk

alla particella), di diffusione di specie gassose (ossigeno e prodotti di ossidazione) in un mezzo poroso e di

trasferimento di calore. Questa serie di processi è in genere molto più lenta della devolatilizzazione (i tempi

caratteristici sono dell’ordine della decina di millisecondi per la devolatilizzazione, di qualche secondo per

l’insieme dei fenomeni detti), e quindi determina la durata dell’intero processo di combustione. A seconda del

fenomeno controllante la velocità di ossidazione, si possono individuare tre diversi regimi, o zone, indicati in

fig.2.10:

⇒ zona I, controllo chimico: la diffusione dell’ossigeno è rapida, mentre la reazione chimica è lenta, e

quindi è la velocità di ossidazione che controlla (basse temperature);

⇒ zona II, controllo diffusivo interno: la diffusione dell’ossigeno all’interno dei pori della particella è

controllante;

⇒ zona III, controllo diffusivo esterno: la cinetica della reazione è veloce, ciò che controlla è la

diffusione dell’ossigeno verso la particella (alte temperature).

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Figura 2.10: Regimi nella combustione di particelle solide(in base alla concentrazione e distribuzione dell’ossigeno).

Dipendenza (qualitativa) dei regimi di combustione dalla temperatura

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Reattività intrinseca di diversi char in ossigeno.

L’espressione cinetica varia a seconda del regime. La velocità intrinseca di ossidazione si può esprimere in

termini di unità di superficie esterna della particella:

RTEr

nOr

eAkpkR

/

2

−⋅=

⋅=

E/R varia da 3000 a 30000 K con notevoli differenze fra carbone e carbone, come si può osservare nella

figura precedente dove la reattività intrinseca è riportata per diversi carboni.

Per dimensioni delle particelle tipiche dei bruciatori a polverino (20-100 micron), kr non è una funzione delle

dimensioni, cioè l’area esterna della particella correla adeguatamente la velocità di reazione. In alcuni casi

(regimi II e III, basse concentrazioni di ossigeno) occorre introdurre un coefficiente (kD) di trasferimento di

materia nello strato limite intorno alla particella considerando le resistenze in serie:

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e

rD

nO A

kk

pR ⋅+

= 112

dove Ae è l’area esterna della particella.

Analogamente al caso della combustione di una goccia, si può valutare il tempo necessario alla combustione

di una particella di carbone. In regime di controllo diffusivo esterno si ottiene una legge molto simile a quella

ricavata per le gocce, con una dipendenza del tempo caratteristico dal quadrato del diametro della particella.

Nella figura seguente si riporta una stima dei tempi di combustione di particelle di diverse dimensioni a 1500

K per diversi carboni.

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Senza fenomeni di comminuzione (che saranno descritti a breve), la massa della particella di char si riduce

durante l’ossidazione con diminuzione della densità (ρ) o delle dimensioni (il diametro d). Questi

rappresentano due casi estremi, anche se nella pratica varieranno entrambe le grandezze a seconda del tipo

di combustibile e del regime controllante. In generale:

d = d0 (1-ξ)e

ρ = ρ0 (1-ξ)f

3e + f = 1 per particelle sferiche

con il pedice 0 riferito alle condizioni iniziali e ξ la conversione del char.

Oltre al fenomeno intrinseco dell’ossidazione esistono interazioni con altri fenomeni chimici, fisici e

morfologici che determinano fortemente il processo globale. Schematicamente:

⇒ effetto delle inclusioni minerali (che possono catalizzare e quindi favorire alcune reazioni);

⇒ variazioni morfologiche del solido con la conversione (dimensione, area superficiale, porosità);

⇒ fenomeni di frammentazione delle particelle;

⇒ disattivazione del char ad alti gradi di conversione.

Effetto delle ceneri

La parte minerale contenuta nei carboni ha influenza sul processo globale di combustione relativamente a:

1. comportamento termico delle particelle (capacità termica);

2. proprietà radiative: la presenza di cenere assicura un mezzo per lo scambio radiativo man mano che il

carbonio si consuma;

3. effetti catalitici: i minerali contenuti nelle ceneri possono causare un aumento della reattività, in particolare a

basse temperature;

4. fenomeni di deposizione sulle pareti e sulle superfici di scambio (slagging, fouling) per formazione di miscele

eutettiche con bassi punti di fusione (750-900°C) promosse dalla presenza di metalli alcalini secondo vari

schemi di reazione; per es:

2SiO2 + Na2CO3 → Na2O·2SiO2 + CO2

4SiO2 + K2CO3 → K2O·4SiO2 + CO2

Evoluzione della struttura porosa

I carboni e i char presentano una distribuzione dimensionale dei pori molto vasta. Si distingue in micropori (dp<2

nm), mesopori (2<dp<50 nm) e macropori (dp>50 nm). I micropori rappresentano la frazione più grande

dell’area superficiale, pur rappresentando una piccola frazione dell’intera porosità. Vale il viceversa per i

macropori.

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Alle temperature di combustione, il gas si muove per diffusione massiva nei macropori, per diffusione di Knudsen

nei mesopori e per diffusione attivata (estremamente lenta) nei micropori più piccoli. Ne deriva che la maggior

parte della reazione avviene nelle zone in cui i micropori intersecano i pori più grandi. A causa della reazione, si

consuma materiale solido per cui nuova area superficiale dei micropori risulta esposta (e si può quindi assumere

che la velocità di reazione dovuta ai micropori sia costante). Quello che si è descritto è un modello preliminare

per l’evoluzione dei pori in particelle reattive (random-pore model – Gavalas, Bhatia and Perlmutter 1980).

Schematizzazione dei pori interni a una particella di char (random-pore model)

Un secondo modello descrive la particella solida come costituita da grani microporosi circondati da macropori e la

porosità totale è data dalla somma dei due contributi. Si assume che le reazioni di tipo eterogeneo avvengano

solo all’interno dei micropori mentre i macropori hanno funzione di trasporto. Si introduce quindi una relazione

lineare tra microporosità e conversione locale che comporta l’incremento del diametro dei micropori al procedere

della reazione. Si può anche assumere che la particella mantenga la sua dimensione originaria fino a quando la

conversione sulla superficie esterna non ha raggiunto un valore di soglia, oltre il quale si ha una progressiva

frammentazione con riduzione del raggio della particella.

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Modello a macropori in evoluzione per la descrizione di una singola particella di Char (Wang-Bhatia 2001):struttura di una particella di char.

In realtà gli approcci sono molteplici essendo il fenomeno molto complesso e dipendendo fortemente dalle

condizioni e dal combustibile considerato. Inoltre, il char è caratterizzato da una distribuzione continua di pori per

cui l’approssimazione uni- o bi-modale può essere grossolana. Approcci più complessi che risolvono questi

problemi prevedono un’analisi statistica del fenomeno (Ballal-Zygourakis 1987), oppure lo studio dei pori secondo

una geometria frattale (Masi 1989).

Fenomeni di frammentazione

Il diametro delle particelle, insieme alla loro porosità, condiziona la velocità di combustione. La sua riduzione si

realizza artificialmente in mulini, ma può anche avvenire spontaneamente durante il processo di combustione. La

frammentazione in fornace dipende molto dal tipo di caldaia e dalla qualità del carbone. In un letto fluidizzato

essa è notevole. Occorre stimare l’importanza di tali fenomeni per valutare la distribuzione istantanea delle

dimensioni e i tempi di residenza effettivi (ed eventualmente la fluidodinamica nel reattore) delle particelle

durante l’intero processo di combustione. I meccanismi di frammentazione, in ordine di dimensioni decrescenti,

sono:

− Frammentazione primaria: conseguente al brusco riscaldamento del solido e all'aumento di pressione

dovuto alla produzione di volatili all'interno della particella;

− Frammentazione secondaria: deriva dalla rottura di ponti di connessione tra vari elementi del char;

− Per attrito con le pareti o altre particelle con produzione di polvere fine. Il processo è meccanico, ma

accelerato dalla combustione. Avviene nei letti fluidi;

− Per percolazione uniforme: avviene quando la combustione è controllata dalla reazione interna: i pori si

allargano e si collegano finché la particella si separa quasi di colpo in pezzetti più piccoli.

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Fenomeni di comminuzione delle particelle:

combustione ______________

frammentazione primaria - - - - - - - - - - - -

frammentazione secondaria . . . . . . . . . . . . .

frammentazione per percolazione + + + + + + + +

abrasione . _ . _ . _ . _ . _ . _

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Disattivazione del char

I fenomeni di disattivazione del char (char annealing) avvengono nelle ultime fasi di ossidazione. In seguito

al trattamento termico, la struttura carboniosa della particella che non è stata attaccata dall’ossigeno e ha

rilasciato composti leggeri in seguito alla devolatilizzazione (impoverendosi in idrogeno e ossigeno) va

incontro a grafitizzazione. Le molecole carboniose tendono a disporsi secondo piani grafitici che risultano

meno reattivi del char iniziale nei confronti dell’ossidazione (per cui cambia la cinetica intrinseca di questi

substrati). Questo fenomeno incide negativamente sui tempi e sull’efficienza di combustione.

Schematizzazione delle fasi di char annealing

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2.1.6 PROCESSI TERMO-CHIMICI ALTERNATIVI

La co-combustione

La co-combustione consiste nella simultanea alimentazione di un combustibile primario (in genere carbone) e

uno secondario (biomassa) in un impianto originalmente progettato e ottimizzato per la combustione del solo

combustibile primario. Le modifiche all’impianto originale e i costi sono limitati e dipendono dal rapporto

combustibile primario/secondario alimentato. Si possono così sfruttare i vantaggi delle biomasse (risorsa

rinnovabile, minor effetto serra, minori emissioni di SO2, metalli pesanti) evitandone i problemi tecnologici.

Per esempio il carbone assicura un elevato potere combustibile, l’impianto può sopportare la saltuaria

disponibilità del combustibile secondario perché è il combustibile primario ad assicurare l’efficienza della

combustione. Viceversa, la presenza della biomassa in una miscela solida consente la combustione di carboni

di elevato rango assicurando il rilascio di volatili per la formazione della fiamma.

Molte proprietà di una miscela solida si possono prevedere come somma pesata dei singoli combustibili

(potere calorifico, quantità di volatili). In altri casi, test sperimentali o modelli specifici devono essere previsti

per valutare gli effetti sinergici che possono dipendere fortemente dal rapporto fra combustibili primario e

secondario (ignizione, reattività del char, fouling, formazione di inquinanti e precursori).

Si possono studiare 3 configurazioni per la co-combustione in base al rapporto combustibile B/C

(biomassa/carbone su base massiva) che va a incidere sull’importanza e il costo delle modifiche di fornaci a

polverino già esistenti:

1. alimentazione di miscele biomassa/carbone, con linee e bruciatori comuni – è la soluzione più

semplice, meno costosa e gravosa per l’impianto ma può arrivare a rapporti B/C massimi del 5%;

2. alimentazione e linee separate per i due combustibili ma bruciatori comuni – richiede stoccaggi

separati però consente una certa versatilità dell’alimentazione;

3. alimentazione, linee e bruciatori separati – consente una maggiore versatilità dell’impianto con

possibilità di variare l’alimentazione e le condizioni operative in modo che siano ottimizzate, per cui si

può arrivare a rapporti B/C di 15%, ma ovviamente richiede importanti modifiche dell’impianto.

Altre configurazioni impiantistiche (cyclone boilers, fluidized bed combustors) possono garantire maggiori

rapporti B/C (fino a 30-40%) perché consentono una maggiore versatilità e richiedono pretrattamenti

(essiccamento, macinazione) meno gravosi (Sami et al. Prog.EnComb.Sci. 2001).

La co-combustione rappresenta quindi una delle soluzioni più promettenti nel breve periodo per la

valorizzazione dei combustibili alternativi riducendo, parzialmente, il consumo dei combustibili fossili.

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Processi di pirolisi

La pirolisi consiste nella decomposizione termica di un materiale in assenza di ossigeno. Si possono

recuperare chemicals o combustibili derivati da biomasse o da carbone.

Esistono diversi processi che possono essere classificati in base al modo di fornire il calore necessario al

processo (parziale ossidazione, fasci tuberi, volani termici), la severità del trattamento termico (considerando

temperatura, velocità di riscaldamento e tempo di residenza) e la selettività dei prodotti. In generale dalla

pirolisi di un materiale si ottengono 3 macro-prodotti che possono essere destinati a usi differenti a seconda

della loro quantità e qualità:

• il char (residuo solido carbonioso) può essere usato come carbone attivo (adsorbente o supporto per

catalizzatori) o come combustibile solido in fornaci a polverino (avendo un potere combustibile

superiore rispetto alla biomassa di partenza);

• il gas ha un potere calorifico relativamente basso (1000-2000 Kcal/Nmc) ed è costituito da CO, CO2,

H2, CH4, e altri idrocarburi in piccola quantità; le condizioni operative possono essere ottimizzate per

aumentare il contenuto in H2 o CH4 che possono valorizzare il valore del gas; generalmente però il

gas è bruciato nell’impianto stesso per fornire il calore necessario;

• il tar (bio-olio) è una miscela di composti organici (con contenuto in ossigeno maggiore rispetto ai

combustibili liquidi fossili) e acqua (10/20%); in seguito a separazione ha un potere calorifico medio

(20-25 MJ/kg) e può essere usato come combustibile liquido; in realtà richiede di operazioni

(upgrading) che riducano la corrosività e l’instabilità di questo liquido.

0

10

20

30

40

50

60

70

200 300 400 500 600 700

T (°C)

Yiel

ds o

f pro

duct

s (%

wt)

bioolio

chargas

Rese dei macro-prodotti della pirolisi convenzionale (sansa di olive)

In generale, la resa in char è favorita da lenti riscaldamenti, lunghi tempi di residenza e temperature

relativamente basse (350-550°C) – slow pyrolysis. La flash pyrolysis massimizza la resa in tar con elevate

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velocità di riscaldamento (>100°C/s), brevi tempi di residenza (<1 s) e temperature intorno a 500-600°C. A

temperature ancora più alte e per tempi di residenza relativamente più lunghi il gas diventa il prodotto

principale a causa delle reazioni di tar-cracking che degradano il tar in composti volatili sempre più leggeri.

L’introduzione di catalizzatori in un pirolizzatore può aumentare la conversione in H2 o in CH4.

Caratteristiche dei processi pirolitici(da Bridgwater and Bridge,1990)

Tipo di processo

pirolitico

Temp

(°C)

Velocità di

Riscaldamento

Tempo di

residenza

Prodotto

principale

Carbonizzazione 400 Molto lenta Ore-giorni Catrame

Convenzionale 600 Lenta 5-30 minBio-olio,gas,

catrame

Lenta 650 Abbastanza lenta 0.5-5 sec Bio-olio

Flash <650 Alta <1 sec Bio-olio

Rapida >650 Alta <1 secProd. Chimici

Gas combustibili

Ultra 1000 Molto alta <0.5 secProd. Chimici

Gas combustibili

Vuoto 400 Media 2-30 sec Bio-olio

Idro-pirolisi <500 Alta <10 sec Bio-olio,Prod.Chim.

Metano-pirolisi >700 Alta <10 sec Prod.Chimici

Applicazione della flash- (o fast-) pyrolysis

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La gasificazione

La gasificazione consiste nel trasformare un combustibile solido in un combustibile gassoso attraverso

parziale ossidazione, reazioni con agenti gasificanti (H2O, CO2) o processi pirolitici. I prodotti principali sono

CO, CO2, H2, CH4. A seconda delle condizioni usate si influisce sulla qualità del gas prodotto. La parziale

ossidazione con aria dà un gas diluito con azoto a basso potere calorifico (circa 5 MJ/Nmc). Usando ossigeno

invece dell’aria si aumenta il potere calorifico (10-12 MJ/Nmc) ma è un processo molto più costoso. La steam

gasification fa aumentare la qualità del gas (15-20 MJ/Nmc) ma richiede calore dall’esterno per cui è

necessario affiancare al gasificatore un combustore che brucerà parte del combustibile.

Il gas prodotto può essere utilizzato come gas di sintesi (syngas) per processi chimici (produzione di

metanolo o di ammoniaca, nel qual caso la presenza di azoto è invece necessaria), come combustibile

gassoso in alternativa al gas naturale, come base da passare a separazioni e conversioni successive per la

produzione di H2 o CH4.

Come nella combustione, si possono distinguere due fasi principali per il solido:

• devolatilizzazione (che è la fase più veloce, libera i volatili e lascia un residuo solido detto char)

• gasificazione del char (che è la fase più lenta del processo).

Anche in fase gas si hanno reazioni (tar cracking) che favoriscono la formazione di composti leggeri. Le

reazioni più importanti nel caso di steam gasification sono le seguenti:

L

r

Devolatilization: fuel ⇒ char + volatiles (tar + gas)

Heterogeneous reactions:

C + φO2 ⇒ 2(1- φ)CO + (2 φ-1)CO2

C + H2O ⇔ H2 + CO

C + 2H2 ⇔ CH4

C + CO2 ⇒ 2CO

Homogeneous reactions:

CO + H2O ⇔ H2 + CO2 (water shift reaction)

H2 + 1/2 O2 ⇒ H2O

CO + 1/2O2 ⇒ CO2

CH4 + 2O2 ⇒ CO2 +2H2O

CO + 3H2 ⇔ CH4 + H2O

tar cracking

Schema di reazioni nella steam gasification

a composizione e la qualità del gas prodotto dipende dalla composizione del combustibile solido, dal

apporto fra combustibile e H2O alimentata (ed eventualmente anche dell’O2 che può essere alimentato per

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una parziale ossidazione del combustibile che fornisce il calore necessario al processo), la temperatura (più

alta che nella pirolisi), la pressione e la presenza di catalizzatori.

Il problema più importante nella gasificazione è la rimozione del tar. Il gas prodotto deve essere depurato da

composti condensabili che possono compromettere la funzionalità delle turbine nella generazione di energia.

Per questo in un processo di gasificazione si prevedono delle unità di cracking (termico o catalitico) per

l’abbattimento del tar.

La gasificazione è un processo molto versatile per quanto riguarda sia l’alimentazione dei combustibili solidi

di partenza, sia la distribuzione dei prodotti che può fornire (energia, syngas, combustibili gassosi

trasportabili, H2). In genere si opera con impianti in pressione per cui gli impianti hanno minori dimensioni,

costi di impianto minori e maggiore efficienza nell’abbattimento di inquinanti. Il processo di gasificazione

risulta quindi più “pulito” e può essere più efficiente del processo di combustione. Risulta decisamente

competitivo se integrato in cicli combinati (IGCC, Integrated Gasification Combined Cycle).

GASIFICATOR

Biomass,Waste COMBUSTOR

HeatRecovery

Steam

Air

Water

GENERATOR

GENERATOR

Exhaust solid

Char,Sand

Clean Gas

COMBUSTOR

GAS-SOLID SEPARATORS

SHIFT REACTOR

HYDROGENSEPARATOR

FUEL CELLS

GASTURBINE

STEAMTURBINE

STEAM GENERATOR

SYNGAS

HYDROGEN

ELECTRICPOWER

ELECTRICPOWER

ELECTRICPOWER

Exhaust gas

Heatedsand

BIOMASS AND WASTES GASIFICATION SCHEME

PROCESS OPTIONS