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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma Vita somasca Anno LV - N. 164 Anno LV - N. 164 luglio settembre luglio settembre N. 3 - 2013 N. 3 - 2013 Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi Speciale 6° Convegno Movimento Laicale Somasco oltre le opere... ...uno stile di vita

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Vita somascaAnno LV - N. 164Anno LV - N. 164luglio settembreluglio settembre

N. 3 - 2013N. 3 - 2013Vita somascaPeriodico trimestrale dei Padri Somaschi

Speciale

6° ConvegnoMovimento Laicale

Somasco

oltre le opere......uno stile di vita

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Dal 26 al 28 luglio 2013 ad Albano Laziale si sono riuniti circa 170 laiciprovenienti dalle diverse realtà delle opere somasche in Italia, dallaCalabria, dalla Puglia, dalla Campania, dal Lazio, dal Piemonte, dallaLiguria, dal Veneto e dalla Lombardia (la regione a più altaconcentrazione di iniziative caritative somasche), come pure dalla Spagnae dall’Albania. Oltre al lavoro ed alle responsabilità in strutturescolastiche o parrocchiali, molti laici (più di 150 dipendenti) sonoimpegnati nella FONDAZIONE SOMASCHI, formata da una rete di opere,di prima linea e di frontiera, nel campo dell’assistenza a malati terminali,a ragazze di strada, a ragazze madri, al recupero di alcolisti o ditossicodipendenti, a minori abbandonati, in sintesi di aiuto alle personein situazione di grave fragilità. La Congregazione dei Padri Somaschi hamesso a disposizione le sue strutture, ma la gestione e la direzione di quasitutte le singole opere, con una ridottissima presenza di religiosi, è portataavanti da laici responsabili, tutti chiamati ad operare nel sociale secondoil carisma di san Girolamo Emiliani. Si tratta di un grande impegno, serioe silenzioso che ha bisogno di essere sostenuto, anche da chi non èdirettamente coinvolto. Ma oltre le opere è necessario uno stile di vita.Questo era il tema, l’argomento di riflessione, di dibattito e di scambio diesperienza. Qual è lo stile operativo del laico somasco? Certamente uno stile di vita ispirato agli ideali ad alla prassi di sanGirolamo Emiliani, santo laico del Rinascimento, che ha voluto servirei poveri (si firmava Girolamo, servo dei poveri), con essi vivere e morire. È stato significativo che la data di inizio del Convegno coincidesse con lavisita di Papa Francesco alla favela di Varginha ed alla Cappella di SanGirolamo Emiliani, che i primi religiosi Somaschi missionari in Brasile,avevano costruito proprio cinquant’anni fa nel 1963 ed aperto a Rio deJaneiro nel cuore della favela, in mezzo ai poveri. Anche questo è statoletto come un segno della Provvidenza ed uno stimolo alla speranza. Le diverse testimonianze degli operatori hanno chiarito inoltre che sitratta di uno stile di vita volto all’attenzione all’altro con unsentimento di accoglienza e di empatia e, nello stesso tempo,anche di gratuità e disponibilità che va ben al di là delle stesse oredi lavoro richieste. È anche uno stile di vita che richiede un continuoaggiornamento spirituale, carismatico, operativo, psicologico.

EditorialeEditoriale

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In questo, ci ha aiutato l’intervento di mons. Luigi Bettazzi che, nonostantel’età, ha parlato con travolgente spirito giovanile della presenza dei laicinella Chiesa nel Concilio Vaticano II. I laici si realizzano secondo lecostituzioni conciliari nell’ascolto della parola di Dio e nella lettura dellaBibbia, nella partecipazione all’Eucaristia, sacramento di comunione, nellaloro missione sacerdotale profetica e regale di vita nella Chiesa, nellamissione al mondo come testimoni dei valori umani e cristiani. Lo psicologoEzio Aceti ha affrontato invece il problema “La famiglia, gli adolescenti el’educazione”, insistendo soprattutto sulla vicinanza affettiva ai piccoli e adogni adolescente, sull’eliminazione di ogni pregiudizio, sull’accettazione dellarealtà, sul sostegno da offrire costantemente nella situazioni di difficoltà,senza nascondere o travisare i dati reali.Uno stile di vita che richiede anche un grande amore alla realtàumana in tutti suoi aspetti ed in tutte le sue fasi dall’inizio allasua conclusione: il giornalista dell’Avvenire Pino Ciociola ci ha aiutato acompiere un viaggio tra le contraddizioni, le inadempienze, le pieghe e lepiaghe, le ipocrisie della nostra società. Uno stile di vita che esige ancheun confronto con altre esperienze di carità che in modo analogo sonoin atto nella società e nella Chiesa: don Gino Rigoldi ha parlato della suavita con i ragazzi più difficili, quelli del carcere e dei quartieri di periferia;Arnaldo ed Elisabetta hanno comunicato l’esperienza di una comunitàfamiliare (La casa sull’argine nel Mantovano), che accoglie ed accompagnaragazzi in abbandono ed in difficoltà; Franco Invernizzi della casa diAndrea - Segnavia del suo lavoro per favorire il processo di inserimentosociale di uomini in condizioni di fragilità, offrendo l’occasione per unaccompagnamento lavorativo e socio-relazionale graduale e protetto. Sonotutte esperienze di vita con le quali il gruppo di laici impegnato nelle strutturecaritative somasche particolarmente si rispecchia e si riconosce. Uno stile divita che postula la vicinanza, la presenza, la stima ilcoinvolgimento dei religiosi somaschi, che sono i primi destinataridel carisma di san Girolamo, ma anche l’anello di trasmissione, e cheassolutamente debbono assicurare la loro vicinanza, la loro stima edamicizia, la loro consulenza, la loro fraternità agli operatori laici. Tuttifratelli sotto un unico sole: quel dono di amore, di carità operativa e difraternità, che Girolamo Emiliani, fervente e rifugio dei poveri, ci ha lasciato.

p. Giuseppe Oddone

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EditorialeOltre le opere uno stile di vita 2

Stili di vita e opereQuale combinazione! 6L’ottimismo della fede 12Pedagogia di san Girolamo 20

TestimonianzeCompetenza e compassione 16La casa sull’argine 24Più gioia nel dare 28Cancello socchiuso 38

FlashIntermezzo 1 33Intermezzo 2 45

RisonanzeQuestione di cuore 30Una preziosa eredità 32La bontà di Righetto 41

Famiglia, educazioneUna società adolescente? 42

Cristiani oggiPrimavera conciliare 33

Per concludereRiflessioni ... e arrivederci 46

Anno LV - N. 163luglio settembre

N. 3 - 2013Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Direttore editorialep. Mario RonchettiDirettore responsabileMarco Nebbiai

Interventip. Franco Moscone, p. Giuseppe Oddone,Carlo Alberto Caiani,Elisa Fumaroli,Daniela Leuzzi,Pino Ciociola, Enrico Viganò,don Gino Rigoldi, p. Luigi Bassetto,Arnaldo De Giuseppe, Elisabetta Manenti, Mara Bossi,José Manuel Carretero,p. Fortunato Romeo, p. Luigi Ghezzi, Ezio Aceti, Franco Invernizzi,Angelo Pennacchioni, mons. Luigi Bettazzi,Umberto Boero

FotografieFrancesco De Girolamo

Redazione00041 Albano Laziale Tel 06 9325042

StampaADG Print srl - Pavona (Albano Laziale) Tel. 06 9314578

Abbonamentic.c.p. 42091009 intestato: Curia Gen. Padri Somaschivia Casal Morena, 8 - 00118 Roma

Autorizzazione Tribunale di Velletri n. 14 del 08.06.2006

Vita somasca viene inviata agli exalunni, agli amici delle opere deiPadri Somaschi e a quanti espri-mono il desiderio di riceverla. Un grazie a chi contribuisce alle spese per la pubblicazione o aiuta le opere somasche nel mondo.Vita somasca è anche nel web:[email protected]

A tutela dei dati personaliI dati e le informazioni da voi tra-smessi con la procedura di abbo-namento sono da noi custoditi inarchivio elettronico. Con la sotto-scrizione di abbonamento, ai sensidelle Legge 675/98, ci autorizzatea trattare tali dati ai soli fini promo-zionali delle nostre attività. Consul-tazioni, aggiornamenti ocancellazioni possono essere ri-chieste a: - Ufficio abbonamenti Via Casal Morena, 8 - 00118 RomaTel 06 7233580 Fax 06 23328861

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SommarioSommario

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Stili di vita e opere...

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Il 6° convegno del Movimento Lai-cale Somasco, che si è svolto ad Al-bano Laziale dal 26 al 28 luglio2013, aveva come titolo “Oltre leopere … uno stile di vita”: come ognianno, dopo le giornate di condivi-sione, siamo tornati a casa più ricchidi sollecitazioni, di spunti di rifles-sione e di idee feconde, che gettanoluce sul nostro lavoro quotidianonelle realtà somasche in Italia e nel

mondo. Partecipare al convegno an-nuale significa “bere alla fonte”, an-dare alle sorgenti del carisma,trovare sostegno alle proprie fragi-lità. La giornata di venerdì è stata de-dicata al tema “stile di vita e opere …quale combinazione”. Il primo, fon-damentale, quesito dell’intervista èstato: “quando i padri parlano ai laicie dicono “oltre le opere uno stile divita”, cosa intendono?”

Ringraziamo Daniela Leuzzi che ci ha scritto una puntuale sintesi delle tre giornate passate insieme. Il testo era unico, noi lo abbiamo frazionato usandolo per i “somma-rietti” dei diversi interventi e testimonianze che si alternano

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Padre Mario Ronchetti ha aperto la “tregiorni” del Movimento Laicale Somascointervistando il Preposito generale, in so-stituzione della sua ormai tradizionale in-troduzione iniziale. E padre Franco Moscone ha accettato dibuon grado, sottoponendosi alla trafila didomande.

Proprio in questi giorni, in contempora-nea con il Convegno, si sta svolgendo laGMG in Brasile con la grata presenza diPapa Francesco. Come percepisci questo evento e che ri-sonanza ha nel tuo cuore? “Credo che per il titolo e per il luogo doveavviene, questa 28° GMG sia, rispetto alleprecedenti, la più somasca di tutte, per-ché ci spinge ad essere testimoni di Dionella carità a tutte le genti”. Sarà semplice coincidenza o forse un “se-gno dello Spirito” la visita di PapaFrancesco, ieri, alla favela di Varginha,a Rio de Janeiro, e la sosta nella cappel-la dedicata a san Girolamo, costruita 50anni fa dai primi religiosi somaschisbarcati in Brasile?“Come cronaca, è certamente una coin-cidenza, ma possiamo leggere questoevento come “provvidenza”, così come

P. Franco Moscone, Preposito Gene-rale della Congregazione, ha ricor-dato i 50 anni di presenza deiSomaschi in Brasile ed ha citato lavisita di Papa Francesco alla cap-pella dedicata a San Girolamo Emi-liani nella favela di Varginha,parlando non di “coincidenza ma diProvvidenza”. Si è poi soffermato sul titolo del con-vegno, facendo riferimento al con-cetto di “trasparenza” tra opere estile di vita, “le opere sono il fruttodello stile di vita e lo stile di vita fa ve-dere i frutti delle opere”, si realizzaperciò un passaggio costante. Ha parlato delle realtà somasche

europee ed extra-europee: la luce disan Girolamo Emiliani unifica, ma cisono differenze, anche perché unitànon indica un tutto uniforme, ma siriferisce a un mondo composito esfaccettato, perciò molto ricco e vi-vace. Il termine “opera” è spesso confusocon “struttura”: le opere sono neces-sarie ma non sono sufficienti se nonc’è lo stile di vita somasco, intesocome dimensione di dono e gra-tuità, associato alla condivisione delcarisma, che porta ad agire per ilbene, anche con una componentedi tenerezza che rende le relazionisignificative, intense e coinvolgenti.

...quale combinazione?

Stili di vita e opereStili di vita e opere

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55 anni, p. Franco Mo-scone emette i voti so-lenni nel 1982 e ordina-to sacerdote nel 1984.Laureato in filosofia,dapprima sarà anima-tore dei seminaristi a S.Mauro Torinese, in se-guito, insegnante alCollegio Emiliani diNervi. Dopo l’esperienza inPolonia, come delega-to provinciale e supe-riore della comunità inTorun, ritornerà nuova-mente ad insegnare nelcollegio di Nervi assu-mendo pure l’incaricodi superiore della co-munità. Nel 2002, è no-minato consigliereprovinciale della Pro-vincia Ligure Piemon-tese e nel 2005 Vicariogenerale e 1° Consi-gliere. Sarà eletto Pre-posito generale nel Ca-pitolo del 2008 e ricon-fermato alla guida del-la Congregazione so-masca nel 2011.

quando l’amico Anonimo scrive la prima biografia disan Girolamo a pochi giorni dalla sua morte: non la scri-ve come cronaca, ma con gli occhi della Provvidenza,come segno della presenza di Dio alla guida della suavita. Credo che noi, come somaschi, dobbiamo legge-re fatto questo come “segno” provvidenziale che ci ar-riva, ci tocca e ci richiama a quello che è il nostro es-sere e la nostra missione. La presenza del Papa in quella favela e il suo passag-gio nella cappella dedicata al nostro Fondatore è per mela “carezza” della Provvidenza di Dio alla Congregazio-ne e, in particolare, alla nostra Congregazione che inBrasile celebra i 50 anni di presenza”.

Il tema di questo 6° Convegno: “Oltre le opere… unostile di vita”. Il termine “stile” (dal latino stilus “stilo”) assume di-versi significati: espressione, forma, modo individua-le, impronta, mano, tocco, gusto, maniera, orientamen-to, modo di comportarsi, di agire ecc. Quando i religiosi parlano ai laici di questo stile, cosaintendono?“Tra tutte queste parole ad indicare lo “stile”… ne man-ca una, che per me è la più bella e che potrebbe richia-marci di più: è “trasparenza”. Oltre le opere: se immaginiamo che in mezzo ci sia unvetro trasparente ci permette di vedere da qualsiasi par-te ci mettiamo. Se dalla parte dell’opera guardo attra-verso questo vetro trasparente, che magari mi fa ancheda lente di ingrandimento, vedo uno stile.Come diceva il Papa “non vedo una ONG”, vedo dellepersone che hanno uno stile di vita.

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Se mi metto dall’altra par-te, dalla parte delle perso-ne e guardo alle opere,vedo il frutto di questostile di vita. È lo stile di san Girolamo.A questo il tema di que-st’anno ci rimanda”.

Il tema dell’attuale Conve-gno è stato pensato, di-scusso e deciso con i coor-dinatori di zona l’annoscorso. Sorprendente-mente è il tema che anchePapa Francesco, dall’ini-zio del suo pontificato,traduce concretamenteattraverso il suo linguag-gio e i suoi gesti. Il suo èuno stile cristiano che pro-viene dal profondo dellasua vita spirituale e dellasua umanità. Al centrodel suo magistero c’è que-sto: vivere il Vangelo. “Il

Vangelo è possibile e toc-ca il centro della nostraumanità, il centro del-l’umanità di Cristo, la car-ne di Cristo”. Che pensi diquesta sintonia somascacon lo stile del Papa?“Al primo Convegno rea-lizzato in questa sala 5anni fa, erano venute fuo-ri delle parole che lettedopo il 13 marzo del 2013ci spingono a domandar-ci: cosa è capitato? siamostati profeti? Non lo so. Siamo nellaChiesa e con il camminodella Chiesa. Questo Papaè così vicino a noi perchéè nato quando siamo natinoi. Mi spiego. È gesuita,figlio di sant’Ignazio diLoyola, inizio ‘500. San-t’Ignazio e san Girolamo sisono incontrati a Venezia,in un luogo di carità,

l’Ospedale del Bersaglio.Mi pare normale questasintonia, con la stessa datadi nascita…”.

Ti chiedo, visto che seisempre in giro per il mon-do, esistono stili diversisecondo le regioni geo-grafiche somasche (Euro-pa, Latinoamerica, Afri-ca, Oriente)? Che cosa liunifica o li diversifica?“Chi ci unifica tutti è sanGirolamo e il dono chelui ha ricevuto. Non c’ènessuna differenza tra unsomasco dell’Europa, del-l’Africa, dell’Australia, del-l’America Latina, del-l’America del Nord e del-l’Asia. Poi ci sono tante di-versità, e meno male checi sono. Unità non è uniformità.Forse, in Europa, il ri-

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schio per noi religiosi ma anche per i lai-ci, è di essere troppo in difensiva. A me piace molto il calcio, ma questa par-tita in difesa non va, non è lo stile chedobbiamo giocare: la mancanza di spe-ranza e la paura di avere imboccato unastrada con la retromarcia. Questo è ciòche dobbiamo combattere”.

“Oltre le opere”. Il termine “opera” a vol-te viene inteso o confuso con il termine“struttura”. C’è una domanda di fondosegnalata sul programma: “stile di vitae opere… quale combinazione?”.“Quando facevo il liceo mi piaceva so-prattutto la matematica e la geometria.Mi ricordo che per spiegare alcuni teo-remi si utilizzava la formula del “neces-sario ma non sufficiente”. Il rapporto traopere, considerate come struttura, e lostile di vita sta in questo: sono necessa-rie ma non sufficienti. Sono necessarieper diffondere la carità, per dare delle ri-sposte alle urgenze, per costruire dei per-corsi educativi di superamento delle ur-genze… ma non sono sufficienti se nonmettiamo lo stile di vita. Per lo meno nonsono somasche, sarebbero generiche,le potrebbe fare l’UNICEF”.

Un’opera (casa famiglia, centro di ac-coglienza, comunità terapeutica, scuo-la, parrocchia…) necessariamente ha bi-sogno di strutture. Come conciliare questa esigenza, ri-cordando anche le parole di Papa Fran-cesco: “Una Chiesa senza gratuità di-venta una ONG senza vita”.“Avevo ascoltato questa frase nella pri-ma omelia che il Papa aveva fatto ai car-dinali alla fine del Conclave. Aveva det-to in spagnolo: “La chiesa senza gratui-tà diventa una ONG piadosa”. Secondome la traduzione corretta è che la Chie-sa diventa una ONG che fa pietà. Se volessimo semplicemente “efficienza”,quante istituzioni sono più efficienti dinoi, se non altro,perché hanno più mez-zi a disposizione. La differenza sta nel-lo stile di vita, nel far passare una vita euna vita di un certo tipo”.

Cito due frasi della lettera che hai invia-to al Papa, l’8 aprile scorso: “Il Suo ma-gistero, con i gesti e le parole che rivol-ge a tutti, rimanda noi Somaschi (reli-giosi e laici) al motivo del nostro esserenella Chiesa”. “Tanto Francesco che Gi-rolamo diventano soggetti attivi neltrasmettere la bontà e la tenerezza deldolce Padre”. La domanda è la seguen-te: gratuità, misericordia, tenerezza,compassione, bontà: è stato lo stile divita e il colore della fede di Girolamo.Non è per caso buonismo?“Potrebbe apparire… però non è così. Ilbuonismo è lontanissimo dallo stile di vitae dalle scelte che Girolamo ha fatto. Ilbuonismo si può paragonare ad un vesti-to in rapporto con la persona: il vestitosenza dubbio dà dignità e dice molte cose.In Spagna c’è un detto: “Anche se al palodi un pollaio gli si mette il frac… resteràsempre un palo”. Il buonismo è come un vestito che ci met-tiamo addosso e diventa una maschera che

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inganna… mentre la gratuità, la tene-rezza e la compassione è la persona,con il suo stile e il suo carattere”.

Il Concilio Vaticano II ha promos-so un radicale cambio di stile nel-la Chiesa. Ti leggo un intervento al-l’ultima Assemblea semestrale deisuperiori generali (22-24 maggio),alla quale anche tu hai partecipa-to. “Quanta fatica nel riconoscereche la Chiesa clericale è finita conil Concilio! Quanta fatica, anche nella vita de-gli istituti religiosi, nel valorizzarepienamente il laicato sul piano ec-clesiologico, dimenticando che ilaici, uomini e donne, hanno unruolo essenziale nella vita dellaChiesa! Anche i religiosi non do-vrebbero mai dimenticare che icarismi non sono proprietà priva-ta di nessuno. Tutti i carismi sonoproprietà della Chiesa”. Nella Fa-miglia somasca esiste ancora que-sta fatica?“La frase citata è di p. BartolomeoSorge, religioso gesuita, 84 anni, cheha tenuto la conferenza introdutti-va. Penso che anche a lui si possaapplicare la frase famosa che a suo

tempo aveva pronunciato dom Hel-der Camara: “Il giovane più giova-ne che io ho incontrato era una per-sona di 82 anni che si chiamavaGiovanni XXIII”. Le sue parole alVaticano II hanno ancora camminoda fare, anche in casa nostra. Per me il clericalismo peggiore èquello dei laici”.

Grazie alla tua sensibilità e deter-minazione, alcuni rappresentantidel MLS hanno partecipato al Ca-pitolo generale e nell’aprile di que-st’anno al Capitolo provinciale cheha unificato le 3 Province italianein una sola. Nel messaggio finaleviene affermato: “Auspichiamo cheil MLS diventi punto di riferimen-to per tutto il nostro laicato”. Questo auspicio apre il camminoanche a forme più puntuali di col-laborazione, come, ad esempio,l’aiuto dall’esterno per eventuali si-tuazioni critiche; la consulenza,confronto e analisi di problemi;l’assunzione di responsabilità nel-la conduzione delle opere; proget-tazione comune, partecipazione adalcuni momenti decisionali… Evidentemente, tutto questo esige

un profondo cambio di mentalità,un modo nuovo di operare insieme,lavoro in rete, collegamento setto-riale, studio di strategie condivisedi azione, presenza e voce unitarianel tessuto sociale… (in riferimen-to al carisma di s. Girolamo). Che pensi?“L’auspicio è il tendere una manoche ha bisogno di essere colta, affer-rata e stretta dall’altra. Occorronole due parti per realizzare l’incontro. Non solo è auspicabile, ma possibi-le, se queste due mani si stringonoe collaborano”.

Domanda molto personale: a vol-te devo stare attento quando incon-tro qualche mio confratello o qual-che laico nell’utilizzare il termine“povero” per non “ferirne” la sen-sibilità. Percepisco la cosa comegrave. “È sufficiente leggere il messaggio fi-nale del Sinodo dei vescovi del 2012sulla “Nuova evangelizzazione”,emanato 5 mesi prima di Papa Fran-cesco. Si scoprirà che dice questo:“Due sono gli strumenti perl’evangelizzazione: il primo la con-templazione, il secondo è “il volto del

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povero”. Non dobbiamoavere paura che ci dicanoanche “comunisti”, per-ché forse siamo gli ultimirimasti. Il testo dice, tral’altro, “la forza del pove-ro nella Chiesa”. E PapaFrancesco afferma soven-te: “Il povero è la carne diCristo. Noi dobbiamo di-ventare cristiani corag-giosi e andare a cercarequelli che sono propriola carne di Cristo”.

Un confratello, ultima-mente mi diceva: “Sul-l’esempio di san Girola-mo, sogno un somasco(religioso/laico) come un“camminante”, un “pel-legrino”, un “viandan-te”… che va per il mondotestimoniando e vivendola paternità e la materni-tà di Dio con poche cose,secondo l’istruzione diGesù (Mt 10,9): “non pro-curatevi oro, né argento,né moneta di rame nellevostre cinture, né bisacciadi viaggio, né due tuni-che, né sandali, né ba-stone…”. È fattibile questo“stile” o è pura utopia?“Mi pare che per il mon-do questo stile ci sia e, conlo stile, vengono anche leopere e si moltiplicano”.

Oggi, quasi tutti diconoche il mondo va male, ec-cetto Gesù che afferma“Non abbiate paura, ioho vinto il mondo” (Gv16,29-33). In che modo ilcarisma di san Girola-mo, nel suo stile e aspetto“politico”, può contribui-re a costruire un mondodecisamente migliore e

più umano?“Che il mondo vengaevangelizzato. Ogni gene-razione è più portata a la-mentarsi che a ringrazia-re per il bene che si co-struisce. L’aspetto “politi-co” ce lo ha mostrato ilPapa nella favela de Rio dipartire dagli ultimi. Lascelta di Cristo è stataquella di mettersi all’ulti-mo posto e di partire dalpiù basso e di risalire.Nessuna riforma dellaChiesa e anche della socie-tà che voglia riuscire vera-mente a far passi può par-tire da altre parti. Chi par-te da più in alto, più in quao in là, ha già scartato unaparte. Il Papa continua aparlare di questa culturadello scarto, che tocca dueestremi: i più giovani conl’assenza, la mancanza dilavoro e di prospettive e ipiù anziani per mandarliin estinzione quanto pri-ma. Partire dall’ultimo edall’ultimo posto come hafatto Gesù, come ha cerca-to di fare san Girolamo,come cerca di dimostrareil Santo Padre, già dal-l’inizio del suo pontificato,significa esattamente evi-tare la cultura dello scar-to. È questa la politica cri-stiana”.

Infine: tre tuoi desideri(inviti, auspici) indiriz-zati ai laici e ai religiosi.“1. Più misericordia. Non ci sbaglieremo maicon la misericordia. 2. Più comunità e menoopere, intendendo operecome strutture. C’è biso-gno di più comunità, sen-

so di comunità, di capaci-tà di mettersi assieme(“dove due o più sono riu-niti nel mio nome…”). 3. In una rivista scientifi-ca ho letto un articolodove si dice che le piantededichino il loro maggiorsforzo per curare gli orga-ni riproduttivi (fiori, frut-ti, semi). Vorrei che mettessimotutto il nostro sforzo comesomaschi, religiosi e laici,a curare i nostri “organi ri-produttivi”, per dire chedobbiamo curare la gioiadel nostro essere quelloche siamo, per attirare emoltiplicare quanto ci èstato dato. Condividere questa no-stra gioia e questo nostrocarisma ci moltiplicherà,laici e religiosi, perchémoltiplica il Vangelo”.

Vita somascaluglio settembre 2013

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Dall’intervista che EnricoViganò, giornalista, colla-boratore da anni di Vitasomasca e di radio Mater,nonché autore del libro “Ilsorriso di Moira”, ha fattoa Pino Ciociola nel Conve-gno, si percepisce imme-diatamente la “sintonia”di posizioni e intenti cheanimano il loro percorsoumano, religioso e profes-

sionale, per tanti versi si-mile. Ci presenta Pinocome opinionista di Rai1,di Radio Mater con il pro-gramma “La luna nelpozzo”, di Avvenire comeinviato speciale là doveoccorre occuparsi di si-tuazioni delicate, dram-matiche, difficili, tra gliemarginati, i piccoli e gliultimi. Come direbbe

Papa Francesco, “in peri-feria”. Ce lo presenta attraverso iriconoscimenti attribuitiai suoi lavori: nel 2002 ilpremio Dino Buzzati, peri servizi sul terremoto inMolise, confermato quat-tro anni dopo perl’inchiesta sulla Scuola diSan Giuliano, dove mori-rono 27 bambini e unamaestra; nel 2004, il pre-mio come cronista del-l’anno, al Quirinale e poi,nel 2010 il Premio Liva-tino, per l’attenzione con-vinta alle iniziativeantimafia. Ha pubblicato diversilibri su disabili, stato ve-getativo, eutanasia, pe-dofilia, prostituzione, ri-fiuti tossici.A partire da “Scuola as-sassina”, dove ricostruisceil dramma di San Giu-liano, attraverso un’in-chiesta giornalistica cheporterà al processo e allacondanna di quanti si re-sero colpevoli di quellaatroce vicenda; “Eluana e

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Stili di vita e opereStili di vita e opere

L’ottimismo della fedeLa seconda parte della mattinata èstata dedicata al tema “opere estile di vita: uno sguardo sulla so-cietà e sulla Chiesa”, affrontato dal-l’inviato di Avvenire Pino Ciociola,presentato da Enrico Viganò. Pino Ciociola ha fornito spunti di ri-flessione e anche di dibattito sutemi di notevole importanza, con-nessi in particolare con il rispettonella vita, dal suo inizio fino allasua conclusione, “principio non ne-

goziabile”, sul quale non è possi-bile trattare o scendere a compro-messi. Ha poi mostrato in un videoil sorriso di una ragazza che ha sfi-lato con la sua carrozzella al Festi-val di Trani, un sorriso intenso,emozionante: ecco la bellezza,della quale si è parlato più volte du-rante il Convegno. Ogni rinascita è possibile conl’amore: l’ottimismo della Fede so-stiene nelle situazioni complicate.

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i fatti”, dove testimonia e ribadisce conpassione la propria convinzione di catto-lico sul diritto e garanzia alla vita, cosìcome nel libro “E adesso vado da Max”,altro caso di stato vegetativo, poi positi-vamente risolto.E poi volumi come “Rivincite” o quellosul carcere di Nisida, sul recupero di esi-stenze date per perdute, fino agli ultimiinterventi sulla martoriata terra di Cam-pania e sulla sua gente tra rifiuti tossici.

Viganò lo invita a parlare del “perché”di questa sua scelta, del dedicarsi tantoa questi temi. “Avevo iniziato a studiare medicina, par-tecipavo in parrocchia ad una Associa-zione di volontariato di aiuto aglianziani. A 20 anni mi prese la voglia dicambiare il mondo, perché percepivoche le cose non andavano bene. Ho rice-vuto dal Padre Eterno il dono di saperraccontare e scrivere, parlare agli altri.Decisi di fare il mestiere di giornalista e,per fortuna, ci riuscii. Nella mia famiglianessuno ha fatto il giornalista, ma daimiei ho imparato la fede e la rettitu-dine… anche a prescindere dal prezzoche questo può comportare.

Ad Avvenire mi assegnarono il serviziogiornalistico sulla “Scuola di san Giu-liano”. Nella palestra, trasformata in obi-torio, ho visto i bambini morti: scena chemi indusse a giurare di andare a fondoin quella vicenda (il terremoto nonc’entrava per niente). Dopo 7 anni e mezzo di battaglie, di mi-nacce ecc. siamo riusciti a far condan-nare i responsabili.L’altro fatto vissuto con intensità: la sto-ria di Eluana. Anche lì, sono sicuro che laverità verrà fuori”.

Rispetto alla sua vocazione del mettersidalla parte degli “sfigati” (con ironia,scherzosamente si autodefinisce “sfigo-logo”), del trattare i problemi “estremi”,Ciociola vuole ribadire, formalizzare leproprie opinioni, le proprie convinzionidi cattolico, prima che di uomo e digiornalista, rivendicando coerenza: “Bisogna semplicemente fare ciò che sidice: questo significa, per esempio, chele battaglie vanno portate sempre avanti.In battaglia ci sono morti e feriti, fa partedel gioco, ma vanno fatte perché ci sonotanti altri che non possono farle. Avendo in mente la parabola dei “ta-

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lenti”… nel mio caso, ritengo indispen-sabile dare voce a chi non ce l’ha, perchésiamo tutti nella stessa barca. Ma il miomestiere è “raccontare”, non insegnare, evedo oggi un totale “sbrago” nel mondocattolico sui principi non negoziabili (esono tanti). Su alcuni di questi, se io credo in Dio,non tratto… e non tratterò mai.Per esempio, non si parla più di eutana-sia… ma di “suicidio assistito”. Ma sesiamo cattolici, dobbiamo “metterci lafaccia”… accettando anche gli insulti. E,quando ci denunciano… andiamo al pro-cesso. Dobbiamo decidere se il Vangelo èuna chiacchiera o no, e a me fa molto ri-dere quando i politici dicono: “Si, vabene, però la fede è un fatto privato, dob-biamo temperare, mediare”. Il principio del rispetto della vita, dal suoinizio al suo naturale fine… su questo ionon tratto e non tratterò mai, prima dacredente, poi da uomo e da giornalista.Occorre essere coerenti”.

Poi Ciociola ci racconta del 5° festivaldei disabili (Centro Giobbe, a Trani), al

quale ha partecipato in questi giorni.Mostra il video della sfilata in passerelladei disabili, con vestiti realizzati con ri-tagli di carta, per richiamare “lo scarto”.“La bellezza è terapeutica e non ha i ca-noni che ci presenta la televisione e lapubblicità. Ragazze disabili… strepitosee belle. C’è una cosa che va sfatata, l’haaffermato Papa Francesco quando hadetto che “nella santità non c’è tristezza”.Essere cattolici non vuol dire immaginistereotipate o cilicio sulla pelle, e noi do-vremmo avere “sempre” il sorriso, pro-prio in quanto credenti. È facile averlo efare gli ottimisti con la fede quando lecose vanno bene, ma dobbiamo averloanche nelle situazioni più complicate. Le ragazze disabili del festival ci hannoinsegnato, per l’ennesima volta, che cosavuol dire avere fede e avere speranza,cosa vuol dire praticarla”.

Schizofrenia tra fede e vita. Se si assume il Vangelo a criterio asso-luto di vita, perché poi continuare a di-viderci su temi concreti, riguardantipolitica, economia, società ecc.?

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È possibile rompere que-sta schizofrenia?“Assolutamente sì. Il problema di noi catto-lici è che si deve comuni-care secondo metodi elinguaggio attuale. Dicevano Gandhi e PapaGiovanni che va combat-tuto con ferocia assoluta ilpeccato e non i peccatori.Ma ad esempio, sull’omo-sessualità, sull’eutanasia,c’è in atto una campagna,non tanto contro laChiesa o i cattolici, macontro i principi cattolici.La parola d’ordine, al mo-mento, è “autodetermina-zione”, fare quello che sivuole. Come se tutto ciòche si vuole sia lecito, vadabene: ma per un cattolico“non va bene per niente!”.

Ritornando ai disabili dioggi, Viganò invita Cio-ciola a parlare della “rab-bia” di genitori e dipersone che hanno sem-pre meno aiuto e, in rispo-sta dallo Stato, hanno:“Non abbiamo più soldi”.“Questa è la società deiperdenti. Due anni fa, aMilano, hanno fatto unconvegno il cui succo erasostanzialmente: Ha an-cora una ragione assi-stere i malati diAlzheimer, i dializzati egli anziani tout court inquesta situazione di crisidel servizio sanitario na-zionale? Una delle coseche io cerco spesso di fareè di vedere le cose con gliocchi dei bambini e deidisabili: loro hanno unasensibilità speciale. A tuttii disabili incontrati (sono

migliaia) faccio la stessadomanda: “Pensi che sa-resti uguale se non avessiavuto la tua disabilità? etutti, mi hanno detto:“Non sarei quello chesono”. A proposito di ta-lenti, chi stabilisce cosa ènormale? Chi ha parteci-pato a degli incontri con idisabili capisce subito cheil disabile, lì in mezzo, èlui. Esistono parametricompletamente fittizi, ingenere costruiti sullaquantità oppure sulle ec-cezioni (che sono sempresoggettive)”.

A proposito di comunica-zione e di informazione,Viganò e Ciociola sottoli-neano quanta responsa-bilità abbiano i giornalinel riportare le notizie,quanta “parzialità” siainsita nelle stesse, cia-

scuna riportando soloquello che fa comodo, chefa notizia. Sempre ri-guardo alla comunica-zione, Ciociola invita isomaschi a prenderneatto: è un peccato che Vi-ganò non lo abbia avvi-sato dell’esistenza (con ladovuta modestia) di que-sto giornale (Vita soma-sca) e del relativo sito,quel portale dedicato esempre aggiornato che ilgiornalista giudica cosìimportante.Da parte sua, Carlo Al-berto Caiani, nel salutarel’ospite, ne ha sottolineatola passione, la differenzatra comunicare e prati-care. Per concludere conle parole di Papa France-sco: “...alla cultura del-l’egoismo, rispondiamocon la cultura della soli-darietà!”.

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Per Carlo Alberto Caiani, che ce lo hapresentato, Don Gino, prima che unvolto, è stato un numero di telefono, 13anni fa, quando nacque l’idea di avvici-nare un po’ di più le persone in difficoltà.“Parlando con degli amici di Milano midissero: chiama don Gino, ti ascolterà.Lui mi ricevette al Beccaria. Capii subito che era una persona “sco-moda”. Aveva appena discusso con uncapo delle guardie, rispetto ad un epi-sodio poco chiaro nei confronti dei ra-gazzi, che gli aveva detto: “Lei don Ginofaccia il prete, dica la messa e non simetta in mezzo”. E lui rispose: “Io nonsolo mi metto in mezzo, mi metto di tra-verso come un tir senza freni”. Ho capito che non si preoccupava didire cose scomode”. Il secondo incontro fu nella cascina dovevive con tanti ragazzi, i più difficili delBeccaria. Lo definiscono un prete difrontiera (cfr. libro “I pretacci”), ma donGino è anche un prete di “ringhiera”,perché incarna profondamente il mododi stare dentro ad una metropoli con lepersone che hanno meno opportunità.

TestimonianzeTestimonianze

Competenza e compassione

Uno sguardo sulla gioventù con unvissuto doloroso è stato offerto daDon Gino Rigoldi, cappellano delcarcere Beccaria di Milano. Don Gino ci ha esortato ad averesempre presente il fatto che “nonesistono persone cattive, esistonopersone che fanno cose cattive”. In ogni ragazzo, anche nel più pro-blematico, c’è del buono da faremergere, il compito di chi lo af-fianca nel cammino è diventarecompagno di senso e di orienta-mento. La relazione, legata all’ascolto par-tecipato, è il centro dello stile di vita

somasco. Don Gino ha affermatoche ogni persona è un mondo e chela comunicazione educativa passa“per osmosi” con l’esempio e la vici-nanza. Stare con gli altri in modopositivo significa essere sensibilialle grandi richieste affettive, natespesso da un vuoto pregresso, daun passato difficile. I giovani sono un grande tesoro econ loro si interagisce unendo com-petenza e compassione. Competenza e Compassione: eccodue parole importanti, due paroleche rimandano al vivere con gli altri,alla relazione e alla condivisione.

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“Con i somaschi lavo-riamo da un po’ di tempomolto bene, abbiamoun’amicizia di lungadata. Mi ritengo una per-sona fortunata perchéfaccio un bel lavoro chemi piace e mi pare cheabbia senso. Una vita un po’ compli-cata, veloce, qualchevolta è un po’ faticosa.Ho incominciato a lavo-rare a 13 anni, facendo ilmetalmeccanico, e si fa-ceva una gran fatica.Sono andato in semina-rio a 18 anni: mi ave-

vano detto che a fare ilprete si guadagna bene enon si lavora più (e nonera vero)”.

Rifacendosi al titolo delConvegno: “Oltre leopere… uno stile di vita”,Don Gino afferma, daisuoi 40 anni di sacerdo-zio, che “noi cattolici, noicristiani, dovremmo par-lare di meno e fare di più.Negli oratori della dio-cesi di Milano ci sono500.000 bambini e bam-bine. Questo rappresentauna “risorsa straordina-

ria”, perché abbiamotantissima energia damettere in campo affin-ché l’educazione sia veracompetenza”.

E prosegue nelle contra-dizioni della Chiesa versola famiglia, che possiede aMilano le più grandi pro-prietà immobiliari, “men-tre migliaia di giovanicoppie non possono per-mettersi di avere un fi-glio perché la casa costatroppo…” .E come applicare la dot-trina morale che dice che

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il sesso si esplicita soltanto nel matrimo-nio, quando l’età media del matrimonioè di 35 anni? Don Gino è convinto che occorra recu-perare la figura, il ruolo di “padre”,padri intesi “come compagni di futuro,compagni di senso, compagni di orien-tamento nelle scelte. Oggi siamo unasocietà senza padri… I partiti, la cultura, gli insegnanti…non presentano i padri. I padri non sono raccontatori di belleidee, sono gli orientatori della pancia,degli affetti, dei desideri, dei sogni… eanche dell’uso del bene e del male.Quando faccio i progetti con i ragazzidel Beccaria ho ben chiaro che dietrociascuno di loro c’è una vittima che varispettata. Di fronte al male commesso(violenza, rapina ecc.) c’è bisogno chequesto venga risarcito. E questo è“roba dura” far capire che è giusto chesi soffra il male fatto e si debba ricono-scerlo. I padri servono anche per questo: ilmale viene chiamato male.In Milano portiamo ogni anno 130 gio-vani a fare volontariato in Romania.Dopo l’esperienza tornano entusiasti,

diventano protagonisti perché hannofatto una cosa bella e buona. Abbiamodei tesori nascosti”.

Riguardo alla fede, afferma: “La fedecristiana, la fede cattolica è, nella so-stanza. un rapporto personale con GesùCristo. Non è un rapporto collettivo,non crediamo insieme. Crediamo cia-scuno per sé, per sua responsabilitàdentro la comunità dove ciascuno èprotagonista e responsabile della suavita. E il silenzio nel dialogo a tu per tucon il Signore Gesù è l’anima del nostropoi essere Chiesa. Io faccio molti incon-tri con i ragazzi, ascolto le loro parole eriguardo i loro comportamenti per ca-pire che persone sono, che caratterehanno. Applico la stessa attenzionequando leggo il Vangelo di Gesù per ca-pire che tipo era: piuttosto furioso, te-nero, arrabbiato… Sapete chi è stato il primo a entrare inParadiso? Un delinquente reo confessoche all’ultimo momento si sente direoggi sarai con me”.Ricordando la sua infanzia, Rigoldi con-tinua: “Sono nato a Milano in una casadi operai dove c’erano quattro famiglie.Ogni famiglia aveva due stanze. Noieravamo quattro figli, ma non ci senti-vamo per niente emarginati. Ciascunodei nostri vicini aveva i suoi problemi, emi ricordo la mamma che mi diceva:“Tu devi voler loro bene… sono personedi cuore”. Ho imparato una cosa, chepoi ho approfondito nella pratica quo-tidiana e anche nella fede: non esistonopersone cattive, esistono persone chefanno cose cattive. Dentro di sé hannouna parte buona che può essere messain movimento. È quello che io cerco difare, con una relazione piuttosto facilecon i ragazzi, con un lungo dialogo conloro. L’importante è che capiscano cheguardi loro, ascolti loro, discuti, dai va-lore alle loro parole, magari non seid’accordo e ci litighi anche insieme… epercepiscano che: “ha visto me”, “parlacon me”, “ascolta le cose che dico io”,perché è raro che qualcuno parli con

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loro, di loro. Che cosachiedono? Ciascun ra-gazzo ha bisogno di “untempo per lui”, per par-lare dei suoi problemi edelle sue risorse. Ognipersona è un mondo,ogni essere umano hasoltanto quella vita lì, setu gli dai una mano percrescere, per cambiare,per trovare il suo equili-brio… hai cambiato ilmondo”.

Don Gino racconta chequando un ragazzo è ac-compagnato verso l’uscitacon un progetto minima-le, la recidiva è un eventoraro (15%), ma trovato unprogramma bisogna tro-vare mezzi e risposte con-crete. “Una parte dei ragazzisono in casa mia. Tutto ècominciato con un ra-gazzo che mi diceva:“Sono rimasto colpitodalle tue parole, ci credoprofondamente, peròadesso che esco non sodove dormire questasera”. L’ho accolto a casamia. Più avanti abbiamoinventato le comunità al-loggio, in case normalicon degli educatori.Poi abbiamo incominciatoad occuparci di droga.Dopo i primi giorni cheero al Beccaria, avevo conme 7 volontari, ci chiede-vamo: guarda un po’,vengono soltanto daiquartieri della periferia.Cosa c’è in quei posti lì?C’era niente: casermoni edormitori. Abbiamo ini-ziato l’esperienza della“Locanda”, 200 metri

quadri, quattro stanzoni eaccoglievamo 400-500ragazzi alla sera”.Carlo Alberto ricorda unafrase che viene utilizzatanella loro Associazione:“noi non vogliamo sosti-tuirci alla società… macontaminarla”, e DonGino racconta:“Stiamo celebrando i 40anni della Associazione evogliamo fare un regaloalla città. Offriremo opu-scoli, eventi, ma anchepercorsi per far assag-giare agli adulti, inse-gnanti, preti, genitori,gruppi di giovani ecc….come si fa a diventarepersone di relazione, conla capacità di stare as-sieme anche in modoconflittuale però costrut-tivo. Vorremmo che que-sta città imparasse adavere dei rapporti co-struttivi, perché essereinsieme fa forza, fa ener-gia ed è capace di risol-vere i problemi”.

Per Rigoldi, il principioche Dio ci chieda diamarci vuol dire incomin-ciare a parlarci, cercandoil buono che c’è in noi,costruendo una relazioneche fa forza e fa energia: “Quando si parla di co-municazione, la Chiesadeve dire che la prima de-clinazione dell’amore delprossimo è che noi ci sal-viamo, facendo conoscereil processo per arrivare aquello. La comunità cri-stiana per combatterel’ingiustizia ha solamentela Caritas o ha una Poli-tica dei diritti?

Se fai la politica dei di-ritti, allora prendi seria-mente la politica dei po-veri, dei bambini, deigiovani, dei malati, deidisabili, degli anziani…Io perché sto nellaChiesa? Sto nella Chiesaperché è come un grandePaese dove c’è di tutto. La Chiesa è casa mia. Se vedo qualcosa che nonfunziona vado a dirloagli interessati, vescovicompresi. È come per i ragazzi:l’importante è conoscerela storia, capire perchéhanno fatto il reato,come si fa ad uscirne,come si fa a cambiare. Ho scritto al Papa e gliho detto: non nomini piùvescovi dei professori,perché i professori par-lano bene, hanno tanteidee in fila…, ma noi ab-biamo bisogno di solu-zioni possibili e progettireali di cambiamento!”.

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Presentato da Elisa Fu-maroli, p. Luigi Bassettoricorda ai presenti la me-moria liturgica del giorno:i santi Gioacchino edAnna, nonni di Gesù.

Dopo gli auguri all’assem-blea, con il suo stile tipicofocoso e dinamico ricordai suoi nonni: “Mio nonnoha avuto 33 nipoti, 24 uo-mini e 9 donne. Quandonasceva un nipote gli dice-va: vieni qua…, il prete

con l’acqua ti ha fatto fi-glio di Dio. Intingendopoi il dito nel bicchiere divino e portandolo alle lab-bra del neonato gli dice-va: adesso sei cristiano e

Bassetto. Della nonna ri-cordo una sua confidenza:sai cosa ha detto tuo papàa tua mamma? “Da quan-do lui è andato in semina-rio non ho perso più ungiorno di lavoro”. Miopapà faceva un lavoro

pesantissimo, i mattoni amano. “Ci siamo fatti lacasa, abbiamo sistematoi figli e ci troviamo bene.Sai che aveva ragione lavecchia (mia nonna)quando diceva: se Dio titira via con una mano…dopo ti dà con due mani”.Mi accorsi che avevo unpapà formidabile, con unagrande fede nella Provvi-denza”.

Abbordando il tema delleorigini dello stile educati-vo di san Girolamo, ricor-da il documento: “Educa-re alla vita buona” dei ve-scovi italiani e la loro pre-occupazione circa l’attualeemergenza educativa:“Sentiamo che in questomomento bisogna forma-re persone solide, capacidi collaborare con gli altri,di dare un senso alla pro-pria vita. Occorre educare con lapreoccupazione che sianoformate persone con intel-ligenza, formate nella vo-lontà e nella capacità diamare, perché ogni indi-viduo abbia il coraggiodi decisioni definitive”.“È stata la stessa preoccu-pazione di san Girolamo -

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Stili di vita e opereStili di vita e opere

Pedagogia di san GirolamoPadre Luigi Bassetto ci ha guidatoalle origini del nostro stile educa-tivo, parlando della pedagogia disan Girolamo Emiliani: raccontarecosa faceva e come viveva ci

aiuta a delineare lo stile che da luitrae energia vitale, esortandoci acamminare umilmente sulle sueorme, nella realtà quotidiana di unmondo che cambia.

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afferma p. Bassetto - cheha voluto educare l’intel-ligenza (istruzione), la vo-lontà (lavoro) e la capaci-tà di amare (carità condevozione). In un momento in cuisembra che anche nel no-stro mondo occidentale cisia un ripiegamento su sestessi, una frammenta-zione della propria esi-stenza e un vuoto di senso,ritornare a san Girola-mo è ritrovare le indica-zioni evidenziate dal docu-mento dei vescovi”.

Di fronte all’attuale riscon-tro nei giovani di una fra-gilità strutturale, un indi-vidualismo e un vuoto esi-stenziale, evidenzia alcunistili di vita e indicazioniformidabili che emergo-no da un altro libretto“Vita di Girolamo Mianinobile signore venezia-no”, scritto da un suo ami-co Anonimo: “Girolamoha lasciato che l’amore diCristo lo invadesse, grazieal suo aggancio a quelgruppo del “Divino amo-re”, un movimento ecce-zionale, diventato forma-tore per la Chiesa, con unariforma che partiva dal didentro delle persone”. È nella luce di tale amoreche Girolamo vede in ognifanciullo, in ogni ragazzoun figlio; questo aspettovero e profondo è tale daporlo davanti a noi comeun testimone di ogni verae autentica pedagogia.Girolamo fu testimone diamore, di affetto e di tene-rezza che lui mutuava dalsuo rapporto con Dio.

La forza che aveva introiet-tato lo portava a chiamarei suoi ragazzi “cari figliolie figlioletti”, parole certonon vuote, ma espressionedi una paternità che, gestie opere, confermavano equalificano. Parlava puredi “dolcissimo Gesù”,espressione che no haniente di sdolcinato o effe-minato. È incredibilequanto l’incontro con Cri-sto gli abbia cambiato ilcuore, specialmente nellarelazione con il prossimo,che fa dire al suo amicoAnonimo: “…soprattuttoamava i suoi cari poveri,

quelli meglio gli rappre-sentavano Cristo”.

Dopo aver ricordato le pa-role di Papa Francesco:“Non abbiate paura dellabontà e della tenerezza”, p.Bassetto tocca il tema spe-

cifico dell’aspetto fisicomaterno e paterno della fi-gura di san Girolamo.Cura attenta e competen-te del corpo. L’Anonimo ri-ferisce la sua attenzioneper fanciulli orfani, ab-bandonati, spesso denutri-ti legata alle numerosemalattie e alla fame, un te-stimone ricorderà: “Conle proprie mani, con amo-re e carità medicava eamava i rognosi e i ti-gnosi, baciando loro ilcapo affettuosamente, echi lo vedeva si stupiva etutta Venezia ne rimane-va edificata”.

Il modo di manifestarequesta cura: prima di tut-to fece dono del suo, lavo-rava con le sue mani, pro-curava una casa, medica-va, sfamava e dissetava. Ibambini, dai grandi, han-no bisogno di sentire e di

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vedere i gesti dell’amore. Qui nasce la re-lazione feconda con l’educando: lo sideve toccare, accarezzare perché maturinell’amore e nella fiducia in sé e negli al-tri. Girolamo era geloso del suo contattofisico con gli orfanelli, manifestando inquel contatto una “maternità sconosciu-ta” a quei tempi, per un uomo. Si capisce allora l’affermazione di san Gi-rolamo: “Con questi miei fratelli io vogliovivere e morire”. Questa relazione quotidiana intensa dicontatto ha permesso ai ragazzi di sentir-si valorizzati, riconosciuti nella loro ori-ginalità e irripetibilità, formando così del-le persone capaci di superare lacune, ca-renze e frustrazioni che possono compro-mettere il processo evolutivo.

Insiste, p. Bassetto, sulla necessità oggi diquesta attenzione del corpo e dei gesti diaffettuosità quotidiana verso i bimbi e iragazzi in disagio. Oltre a richiamare lo

stile di Madre Teresa di Calcutta ricordal’affermazione pedagogica di Jean Vanier:“Il nostro corpo è intimamente legato aisentimenti che proviamo, biologia e psi-cologia per certi versi sono una cosa solaperché l’essere umano è profondamen-te unito”. E ancora: “La depressione, questa forzadolorosa e tenebrosa che ci invade nelprofondo del nostro essere e si diffondeattraverso tutto il corpo, ha radice nel-le ferite della prima infanzia”.

All’importanza, determinante per i geni-tori, di stare un tempo prolungato con ilbimbo e con il ragazzo per non avere sor-prese nell’età adulta di fronte a certe si-tuazioni di emergenza o situazioni chemettono in crisi, frutto di problemi nonrisolti nell’infanzia, richiama lo stile diGesù: “Decisivo su questo piano è statoil suo atteggiamento. La sua relazioneera molto segnata dal contatto fisico,

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portava guarigioni fisiche ma special-mente affettive, spirituali, psicologiche,e questo suo atteggiamento era in con-trasto con la cultura legalista dell’impu-rità che dominava in Israele. La scelta di Gesù è stata coerente con ilmistero dell’incarnazione: un Dio cheprende un corpo per rivelare il suoamore salvante per gli uomini, renden-do visibile l’amore di Dio. I bambini, i ragazzi, i giovani hanno bi-sogno di vedere con gli occhi, di sentiresulla pelle l’amore di Dio. La sua, quel-la di Gesù, non fu certo una relazione vir-tuale con l’umanità, il suo contatto congli uomini voleva essere “sacramento” vi-sibile ed efficace dell’amore del Padre”.

Entrando poi decisamente a polemizza-re sulla problematica attuale della pedo-filia e su alcuni “protocolli” in uso in cer-te nazioni che impongono di guardarsibene dal contatto fisico con i minori, af-ferma: “Occorre salvare il diritto del mi-nore di stare in braccio ed avere le coc-cole dell’adulto. È comunque grave pri-vare il bambino da questo contatto. Di-venta assurdo nel dare una carezza al

bambino pensare prima se sto rispettan-do o meno il “protocollo”.

Conclude ricordando che il quotidiano“stare con i ragazzi” permetteva a Giro-lamo di raccogliere con lo spessore giu-sto le esigenze e le aspirazioni dei singo-li: li sentiva “figli” ed essi si sentivano “fi-gli suoi”. E lancia un messaggio agli edu-catori somaschi: “Dopo 500 anni peda-goghi, animatori ed educatori di co-munità non possono che sottoscriverequesto: la validità di tali relazioni di con-divisione e di vicinanza.È questo lo stile somasco: educatori chelavorano insieme, mangiano assieme,pregano assieme. Uno stile che oltre adun processo di crescita mentale, fisica eculturale… favorisce una consistenzainteriore, emozionale ed affettiva, di si-curezza e di stima di sé”.

Come saluto all’assemblea lascia il ricor-do della risposta di Papa Benedetto XVIquando gli avevano chiesto come si im-maginasse il Paradiso. Aveva risposto: “Somiglia alla mia infan-zia, con mio padre e mia madre”.

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Inizia Arnaldo:“Raccontiamo la nostraesperienza anche perchésiamo debitori verso altrepersone che ci hanno rac-contato di sé. Dai lororacconti abbiamo impara-to molto. Poi, raccontareserve anche a noi per “ri-pensare” il nostro cammi-no. In questo momento,siamo una comunità fami-liare secondo le normestrutturali e gestionali del-la Regione Lombardia.Abbiamo 4 figli, sempremeno in casa perché ora-mai grandi, e 5 ragazzi inaffido, un educatore, unsupervisore, degli amiciche ci aiutano ed un girodi persone che in qualchemaniera partecipano aquesta avventura”.

L’incontro tra Arnaldo eElisabetta avviene daprovenienze diverse, ac-comunate da esperienzedi servizio e relazione chehanno consentito di inta-volare un progetto di vita,conciliando professione,famiglia e missione.Insieme, alla ricerca di un

modello: “Siamo partiti da “Bose”(più di trent’anni fa). Allora c’era solamente unastanzetta, e abbiamo vistocome era possibile e bello

mantenere la giornata rit-mata da momenti di pre-ghiera. Anche in un’altracomunità, “Il Pozzo” vici-no a Modena, c’era un ge-suita e una famiglia che

TestimonianzeTestimonianze

La casa sull’argineSabato mattina, la testimonianza didue coniugi, Arnaldo De Giuseppe edElisabetta Manenti, connessi con ilCoordinamento Nazionale Comunitàdi Accoglienza (CNCA), è stata il ricor-do intenso di un percorso di vitacondiviso. Hanno raccontato le gioie,ma anche le incertezze, le fragilità cheli hanno accompagnati nella creazio-ne di una comunità familiare. Hanno sottolineato anche l’importanza

della bellezza, dei momenti di gioia edi festa, della cura dei luoghi di vita,segno di amore e di impegno. La loropresenza ha offerto a tutti noi unesempio concreto di stile di vita, di unastrada percorsa insieme per 35 anni. Ci hanno parlato di debolezze e dub-bi, affermando che, anche se nonamano parlare di sé, hanno raccon-tato un’esperienza, pensando chepotesse essere utile ad altri.

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riuscivano a conciliare preghiera quoti-diana e accoglienza (dei tipi più stranipossibili, povertà psichiatrica, abbando-no). Non c’erano problemi di soldi…ma il fatto di “mettersi a disposizione”,o, come in una comunità nel bergama-sco, che si occupava soprattutto di tos-sicodipendenti, l’aspetto del rapportoesterno con la natura, di grande aiuto aquelle persone”.

Fatto questo, la costruzione del proget-to: come fondamenti, una vita di fede,la preghiera quotidiana, lo studio del-la parola, lo stile di vita non violento,l’accoglienza e, in particolare, l’impegnonel campo educativo. “Primo, trovare un posto. Abbiamo gira-to almeno 30 case abbandonate prima ditrovarne una: la prima cosa da fare, il la-voro di restauro (idraulico, elettricista,falegname…).

Così abbiamo imparato che le grandi ideestanno in piedi se partono dal basso. Contemporaneamente, sono arrivati iprimi ospiti, che magari i parroci cimandavano lì per stare una settimana odue… e si fermavano per qualche anno. Un giorno arrivò un giovane, che sinte-tizzava in sé tutte le sfortune del mondo.Abbandonato da piccolo, istituzionaliz-zato da subito, 18 anni, solo, abbando-nato, carcere, alcool. Questa figura inqualche modo ci mise in crisi. Noi vogliamo sempre offrire quello cheabbiamo, ma la cosa non funziona così.Per un anno, gli abbiamo offerto… quel-lo che non gli serviva. Abbiamo rivisto la nostra idea. Correvamo il rischio della “tentazione dionnipotenza”. Poi ci è stato chiesto di ac-cogliere ragazzi. In fondo, noi sapevamo fare questo, e quiè incominciato il nostro percorso”.

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Da quel momento, la coppia si è lascia-ta guidare dalle persone, dai loro biso-gni, offrendo loro una famiglia, primaancora di un ambiente educativo. Farvedere come stanno assieme marito emoglie, genitori e figli, e il rapportoesterno, con gli amici e conoscenti. “Oltre al “fare” bisogna anche “ragiona-re”, capire quello che stai facendo. Nel CNCA abbiamo trovato il luogo in cuipoter riflettere sull’esperienza che stava-mo facendo, confrontandoci con altre re-altà. Il modello che abbiamo proposto airagazzi (e che stiamo vivendo adesso) èstato, da allora, un modello riformulatoin base alle richieste e alle situazioni cheincontravamo. I ragazzi hanno quasitutti una propria famiglia e questo è unqualcosa di importante che non va can-cellato, anche se molte volte ha creatodanni, problemi e sofferenza”.

Oltre ai disagi, le feste e tante altre pro-poste...

“I compleanni sono momenti di festa pertutti, la festa è un’iniezione di vita posi-tiva, soprattutto per dei ragazzi che mol-to spesso non l’hanno vissuta (isola-mento, emarginazione, fatica del vivere).Poi la cura del bello, dell’ambiente (casa) e dell’accoglienza. Infine, proporre tante esperienze conl’idea di riempire gli occhi e la testa dicose belle, interessanti e positive. Porta-re ad aprire orizzonti verso un mondonon soltanto da cui difendersi. La proposta di fede (partecipazione inparrocchia, catechesi, cresima ecc.), mo-menti di catechesi, anche se accettataperché ci sono i compagni e gli amici. È importante che sentano parlare diGesù, della spiritualità. Una fede vissuta con estrema fatica,perché vuol dire fiducia. Si cerca di vivere almeno un percorsopreparatorio alla fede, ad un dono che ri-ceveranno trovando fiducia in se stessi,nella vita e nel futuro”.

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Infine, il rapporto con ilterritorio, inizialmente èstato un po’ difficile, mapoi più positivo (cono-scenze, vicinato).“Inizialmente, avevamogli ospiti adulti che veni-vano visti con sospetto,con i ragazzi c’è stato unmaggior avvicinamento. Si è creato un primo grup-po di amici e di famigliecon riflessioni periodichesulle tematiche più varie.Poi un altro gruppo (unaquindicina di famiglie),che è arrivato ad una as-sociazione formale”.

Poi, tocca a Elisabettaraccontare:“Siamo sposati da 35anni. Un mese dopo il matri-monio, siamo andati a vi-vere nella casa di cui Ar-naldo parlava. Lui lavorava ancora, men-tre io mi son dedicata allasistemazione dell’abita-zione, per avere almenoluce e acqua prima dell’in-verno in quei primi mesidi forte nebbia (siamo inbassa padana).Oltre al discorso della“non violenza” e dellapreghiera, abbiamo an-che affrontato il tema im-portante del ruolo da vi-vere all’interno della cop-pia, come impostare lavita in comune tra mari-to e moglie. Un tema che ci ha vistiimpegnati anche con for-ti discussioni tra di noi fa-cendo i conti anche conl’educazione diversa rice-vuta e il proprio percorsopersonale”.

Riguardo al rischio della“tentazione dell’onnipo-tenza”, Elisabetta ci dice:“Dobbiamo porci la do-manda se siamo adegua-ti. Io, in particolare, facciopiù fatica perché il ragaz-zo può aver, magari, vis-suto la figura femminile inmodo drammatico”.

Prima di iniziare questoprogetto, avete consul-tato i vostri figli e lorocosa hanno pensato?“I figli all’inizio nonc’erano, erano in pro-gramma. Qualcuno ci diceva: “Voiimporrete ai vostri figliquello che loro non deci-dono”. È vero. Però proporremo ai nostrifigli le cose belle in cuicrediamo, con l’attenzionea valutare di volta in vol-ta se quello che succede èadatto a loro. E i nostri figli hanno vis-suto da subito la presen-za di altri ragazzi. Inizial-mente, con un rapportotra di loro, come compa-gni. Nella fase dell’adole-scenza, momento critico,i ragazzi accolti “davanoun po’ di fastidio” (mi di-sturba, mi fa fare bruttafigura, non lascia stare lemie cose). Superata questa fase, orasi interessano dell’anda-mento della casa. Dal punto di vista affetti-vo, il problema è grosso.Sono due cose diverse: inostri figli, nati da noi,con un proprio futuro davivere insieme, e questiragazzi, che arrivano adun certo momento della

loro vita, con una lorostoria, e che ad un certopunto se ne andranno. È una sintonia che va co-struita. C’è una disponibilità aduna “preoccupazione af-fettuosa”, per cui ci assu-miamo il compito di aiu-tarli, di curarli, sapendoperò che la loro testa e laloro dimensione affetti-va è diversa. Hanno presente i loro ge-nitori, la loro dimensioneaffettiva è centrata suquello. Noi abbiamo benpresente che “non sononostri figli”, arrivano e sene andranno, facciamoun “pezzo” di vita insiemeper quanto serve a loro. La consapevolezza di que-sto ci tiene un po’ protet-ti… nei momenti della“separazione”.

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Nel presentare José Ma-nuel Carretero e i suoieducatori collaboratori,p. Mario Ronchetti ri-corda che nella vita gli

avvenimenti non succe-dono per caso… ma c’èsempre un filo rosso cheli accompagna. Cono-scendo José Manuel da

tempo e sapendo del suovincolo con la famigliasomasca che è nato tantianni prima, a partire daisuoi 14 anni, gli do-

Più gioia nel dareUno sguardo fuori dall’Italia è statogettato grazie alla testimonianza diJosé Manuel Carretero e dei suoigiovani collaboratori, che operanoin Spagna nella comunità LlarSanta Rosalia a Teiá in Catalogna. José Manuel ha raccontato la pro-pria storia ed ha ricordato i padri so-maschi che ha incontrato lungo ilcammino e che hanno lasciato in luiun segno profondo. La chiave dello stile somasco è larelazione, la vita con i ragazzi, non

regolata da orari rigidi, ma ispirataal desiderio autentico di rispondereal bisogno di affetto, di cura, diascolto. Al termine del suo intervento ha af-fermato: “mi chiamo José Manuel esono somasco”: ci ha detto che es-sere somaschi è uno stile di vita, èuna luce che ci accompagna in ognimomento. I suoi collaboratori hannoparlato della gioia che scaturiscedai piccoli e grandi progressi quoti-diani dei bambini.

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manda: “Perché? Come è successo?”“Da più di 20 anni sono con la comu-nità somasca. Ho studiato nel loro col-legio di Aranjuez e lì mi ha colpitomolto la figura di p. Marcello Losio, unreligioso che mi ha segnato profonda-mente e ha riempito la mia vita di lucee di speranza. È una di quelle persone che hannoqualcosa di speciale nella loro vita cheda subito ti coinvolge. Avendo vissuto nelle due comunità diAranjuez e Teià ho potuto incontrareanche tanti altri religiosi che mi hannoaccompagnato nel mio cammino. Un cammino fantastico, non certoprivo di difficoltà, una esperienza chemi ha permesso di assimilare lo spi-rito somasco e mi ha aiutato a supe-rare alcuni momenti di disagio e di

scoraggiamento. Della figura di san Girolamo mi attiramolto il suo senso di concretezza, la suadisponibilità, la forte relazione che sta-bilisce con i piccoli e i poveri. Cerco di imitarlo vivendo per l’opera eper i bambini, 24 ore su 24. Quando la gente mi domanda perchésacrifico la mia vita personale in quelmodo rispondo che mi muove e mispinge la fede nella figura e nell’operadi san Girolamo”.

Qui intervengono, all’unisono, anchetutti gli altri educatori: “Lavoriamo inequipe, ci sentiamo famiglia, come incasa. Da questi bambini e ragazzi (ilpiù piccolo ha un anno, il più grande18) riceviamo molto di più di quello chepossiamo offrire loro”.

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Questione di cuoreDurante la giornata di sabato ilnuovo Provinciale d’Italia, P. Fortu-nato Romeo ha valorizzato la colla-borazione tra laici e religiosi, invi-tando i laici a presentare ai religiosile proprie istanze ed esigenze.

Si è parlato anche della “Fonda-zione Somaschi”, istituzione impor-tantissima per la realizzazione diattività e progetti, come esempio inessere di collaborazione proficuatra laici e religiosi.

Vivo interesse ha suscita-to la presenza al Conve-gno del nuovo Provincia-le della Provincia d’Italia,p. Fortunato Romeo, elet-to lo scorso aprile. Originario di Villa SanGiovanni (RC), ha tra-scorso diversi anni al Col-legio Emiliani di Nervi(GE), dapprima comevice parroco, poi respon-sabile dei giovani univer-sitari, infine rettore delcollegio. All’inizio del suo inter-vento manifesta un senti-mento di profonda frater-nità e di sintonia con ipartecipanti al Convegno,ma allo stesso tempo evi-denzia una certa situazio-ne di disagio: “…perchéadesso, da quel 5 aprilenulla è come prima, per-ché mi presento qui nonpiù da semplice religioso,ma da Provinciale e que-sto comporta il fatto chein questa veste la gentemanifesta delle grandiaspettative circa i pro-grammi, i progetti e levarie iniziative. Certamente ho ricevutouna grossa eredità: 3 Province, 3 modi diver-si di interpretare le cosee tanti laici che fannocapo in modo diverso a

queste 3 ex Province”.

Comunque, ci tiene a sot-tolineare che la diversitàpiù che un ostacolo rap-presenta una ricchezzase “ci si mette in gioco” eche la prima cosa da farea livello generale è quel-lo di conoscersi tra reli-giosi e laici, non starefermi, guardarsi negli oc-chi e chiedersi “cosa pos-siamo fare assieme?”.

Non nasconde p. Romeoche da parte dei religiosi,a volte, permane una cer-ta diffidenza nei confron-ti del laicato che si tradu-ce nella paura di mettereassieme le competenze enella difficoltà di lavora-re insieme, mentre se-gnala da parte dei laici lapresenza di un certo loro“clericalismo” da supe-rare. Al di là delle dichia-razioni e delle disserta-zioni teologiche di questianni sull’identità del lai-co somasco afferma che“mi interessa che ci siauno “spirito”, un cuoreche pulsa, un cuore so-masco, che batte anche inquelle situazioni dovenon esiste ancora uncammino… determinatodalla fede.

Ho avuto modo di visita-re anche delle opere ge-stite interamente dai lai-ci, magari da anni, dovec’è raramente la presen-za dei religiosi, e ho no-tato una grande nostal-gia che definirei la “no-stalgia del cuore”, quelcuore che batte e pulsadentro le nostre opere, ilcuore di Girolamo”.

Del film “Cuore sacro”di Ferzan Özpetek, cheebbe una gran risonanzanel pubblico, anche sebruciato dalla critica, ri-corda una frase: “Cias-cuno di noi ha due cuori.Spesso però uno dei duecuori eclissa l’altro. Ma se ognuno di noi rius-cisse, anche per un soloistante, a intravedere laluce del suo cuore nascos-to, allora capirebbe chequello è un cuore sacro enon potrebbe più fare ameno del calore dellasua luce”.

Ha voluto quindi sottoli-neare la percezioneespressa dai laici parteci-panti al Capitolo provin-ciale citando una frasedel loro intervento: “La Congregazione so-masca è la radice che ha

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generato e alimenta ilpiccolo albero del Movi-mento Laicale Somasco,come la depositaria diun patrimonio carisma-tico di attenzione e diopere per i poveri, custo-de e portatrice di un ca-risma di grande contem-poraneità e profezia ingrado di attirare la pas-sione dei laici, giovani eadulti, oltre che il ricono-scimento delle Istituzionicome parte della Chiesa”ed ha affermato: “Vi pos-so assicurare che il Pro-vinciale e il suo Consiglio

“hanno a cuore” la que-stione dei laici nel rap-porto con i religiosi.Chiamateci e ricordateciil nostro dovere di esserememoria e trasmettitoridel carisma”.

Ha concluso auspicandoun cammino reciproco dicollaborazione e di for-mazione, ricordando duepunti del documento fi-nale del Capitolo provin-ciale:1. Punto di partenza è larealtà vissuta nelle sin-gole comunità.

Essa appare diversifica-ta e articolata a secondadelle varie opere assi-stenziali, parrocchiali escolastiche. Dovunque ri-sultano delle esperienzepositive di collaborazio-ne con i laici. 2. È a livello locale che lacomunità deve valorizza-re la presenza dei laicicollaboratori e proporread essi una forte identi-tà somasca, sintetizzatanel testamento di san Gi-rolamo e nel suo stileeducativo, fatto di pre-senza e di amore.

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Una preziosa ereditàOpportuno e chiarificante è risulta-to l’intervento di p. Luigi Ghezzi,presidente e legale rappresentantedella Fondazione Somaschi, natadue anni fa, che raggruppa tutti iservizi alla persona in Italia.

Entra nel merito: “Mettere insieme religiosi e laici èuna grande sfida. La Provincia ha fatto un camminocon i laici passando dalla comunio-ne alla collaborazione e infine allacogestione. La Fondazione Soma-schi è questa “creatura” che indicauna certa continuità e disconti-nuità, realtà dove entrano tutti(uomini e donne, professi e non pro-fessi). Nata dopo una lunga gesta-zione, è una realtà operativa dal

gennaio 2013. Ne fanno parte unaquindicina di opere, molti altri ser-vizi, 150 operatori”.

Sottolinea che rappresenta una sfi-da e dà la possibilità di recuperareun numero delle Costituzioni soma-sche che dice: “La cura degli orfa-ni è la preziosa eredità di san Giro-lamo”. Questa eredità andava sfumandosi,per cui la Fondazione, oltre checontinuare questa preziosa ereditàper gli orfani, ricupera altre formericonducibili a san Girolamo (dallatratta delle ragazze alle mammecon bambino, dalla fragilità degli uo-mini e delle donne ai malati diAIDS, alla tossicodipendenza, airom ecc.).

Alla domanda del perché si è scel-ta questa modalità legale risponde:“La Fondazione dice un forte lega-me all’inizio, perché il consiglio diamministrazione è formato da cin-que componenti, tre religiosi e duelaici scelti dal Provinciale (garan-te della mission). La Fondazione vive del proprio la-voro e di chi vuole aiutare con il 5x 1000. Devo dare atto che il peso maggio-re, comunque, è quello dei respon-sabili e degli operatori, che voglioringraziare pubblicamente i quali,più in là del loro apporto professio-nale e con una motivazione profon-da, si rendono disponibili in uncampo lavorativo non facile e ric-co di imprevisti”.

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Intermezzo

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Famiglia, educazioneFamiglia, educazione

Per presentare Ezio Aceti,Carlo Alberto Caiani, sor-volando sui tanti titoli ac-cademici di psicologo epedagogo (per non inner-vosirlo), cita parole

estratte dalle sue innu-merevoli conferenze epubblicazioni sul tema:“I bambini non sono pic-coli adulti, sono personediverse, con sensibilità,

spiritualità, cultura efantasia proprie e cometali vanno riconosciuti,rispettati e amati. Noi non dobbiamo edu-care, ma scoprire e leg-gere la novità che por-tano dentro, con unprofondo rispetto per laloro dignità umana. I bambini sono una cosameravigliosa: ci dannofiducia, firmando con noiuna cambiale in bianco”.Qui, per tentare di ripor-tare una sintesi della “lec-tio magistralis” sulla fa-miglia, sul bambino e lasua educazione, sugliadolescenti e i loro agi edisagi, occorre forse par-tire dalle ultime risposteal dibattito che ha fattoseguito al suo intervento,perché forniscono lachiave di quell’empatia,da lui stesso sollecitata esicuramente vissuta datutto il pubblico: “Lascuola, la società, il cri-stianesimo sono in unmomento di passaggio

Una società adolescente?Lo psicologo e pedagogista EzioAceti ha affrontato il tema del disa-gio attuale dei bambini e dei ragazzie, con l’impeto e con le modalità re-lazionali che lo contraddistinguono,ha sollecitato alla riflessione, allapresa di coscienza di numeroseazioni non corrette compiute dai ge-nitori e dagli educatori nel rapportocon i giovani, in un mondo globale,centrato sulle relazioni.

Ezio Aceti ha posto a confronto lasocietà patriarcale del passato conla situazione di oggi, si è rivolto allefamiglie e agli educatori. Ha parlatodi empatia, ponendo l’accento sulleemozioni. A partire dalle sue solleci-tazioni è emerso con intensità ilruolo del dialogo, dell’ascolto auten-tico dei ragazzi, del sostegno da of-frire loro come una mano tesa an-che nei momenti meno positivi.

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dal potere al servizio e di cambiamentodi paradigma, dove centrale, fonda-mentale diventa il rapporto, la rela-zione”, e la spiegazione della forza pro-rompente con cui il Professore haportato avanti l’incontro: la foga,l’entusiasmo di chi crede con passione aquello che dice, che pensa. Di chi, dalle proprie anche drammatichevicende personali e umane ha trovato inDio la motivazione per far crescere, “perfar vivere ed esprimere appieno “il sé”degli altri”. Per questo, a premessa delsuo intervento, premessa a cui dichiaradi tenere moltissimo, Aceti ha messol’importanza della “comunicazione em-patica”, che consiste nella capacita diraccordo tra chi parla e chi ascolta, unrapporto reciproco di ascolto che crescetra le persone.

Poi ha iniziato la relazione dallo statoattuale dell’educazione: un’educazionein crisi, come tante altre cose in questoperiodo. “Solo quarant’anni fa era-vamo alla società, alla famiglia pa-triarcale, con al centro la norma, la re-gola: come ogni epoca, il modelloaveva punti di forza e di debolezza. Unpunto di forza consisteva sicuramentenella società più semplice, c’era la “coe-

renza educativa”, con il medesimo mes-saggio che proveniva dalla scuola,dalla famiglia, dalla società”, ciascunacon la propria autorevolezza e questofiniva, per paradosso, con il fornire alragazzo autonomia, nella consapevo-lezza “di come diventare grandi”. I po-chi stimoli, d’altra parte, portavano allariflessione, all’approfondimento, al-l’ascolto, alla capacità di capirel’importanza anche del sacrificio per ot-tenere un obiettivo successivo piùgrande. Ma c’erano anche dei punti didebolezza: l’autorevolezza si poteva tra-sformare in autoritarismo, il senso deldovere e il rispetto delle regole compor-tava che tutto ciò che era creatività, fan-tasia, emozione, pensiero, in qualchemodo venisse tarpato, non solo per i ra-gazzi, ma soprattutto per la donna, versola quale maggiormente l’autoritarismoveniva esercitato e pesava.

Passando all’oggi, accade il contrario.La porta d’ingresso è l’emozione,l’emozione che ci muove tutti, portatadagli innumerevoli stimoli che rice-viamo quotidianamente. Un ragazzod’oggi è, e noi tutti lo siamo, bombar-dato da 47 volte gli stimoli di una volta.Le fonti di riferimento si sono ampliate,

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Famiglia, educazioneFamiglia, educazione

spesso in disaccordo tra loro. Non c’è più la coerenza educativa. “Se una volta al centro avevamo lanorma e la regola, oggi al centro cisono le emozioni, c’è il sentimento: nonc’è nessuno che fa qualcosa se non lasente. L’emozione è dentro tutto, perchéuna cosa senza passione e sentimentinon ha senso”.

Ma occorre tener conto di tutte le emo-zioni e i sentimenti, non diventarne di-pendente. “Abbiamo mandato a quelpaese l�autoritarismo, e forse era giu-sto, ma abbiamo mandato a quel paeseanche tutto il resto”.

Cita filosofi e pedagoghi, Aceti, per por-tarci a riflettere sulla crisi attuale, sul-l’accelerazione spaventosa numerica etemporale dei cambiamenti avvenuti inquesti ultimi quarant’anni rispetto aidue millenni precedenti, mentre “noigenitori ed educatori siamo pre-tecno-logici”. È vero. Se ci domandassimo ache età si può prendere il cellulare al fi-glio, quanto può stare in Internet?,quanto può vedere la televisione?Avremmo tante risposte diverse.“Se noi non abbiamo un pensiero peda-gogico sui mass media, questi domi-nano noi. Allora non cadiamo nellatrappola di demonizzarli o di esaltarli:dobbiamo imparare a governarli, e civorrà tempo, ci vorrà tempo; ma il fu-turo sarà di uomini capaci e padroni digovernare le cose, non di rinunciarvi”.Anche nella famiglia, viviamo questacrisi. “Guardate i dati statistici: in In-ghilterra siamo al 53,2% di coppie chesi mettono insieme e poi si lasciano, inGermania al 43,2%; in Spagna al 28%”.

Le due risposte sbagliate a tutto questosono quella di rimpiangere i “vecchitempi, quelli di una volta”, con la pre-tesa di assoluta verità nella disciplina, eil modernismo (soprattutto televisivo) acui siamo sottoposti, con “l’infantilizza-zione degli anziani”, la vecchiaia negatada modelli giovanilistici, che impedisce

di mostrarne la profonda, diversa bel-lezza ai più giovani, e con “l’andropiz-zazione infantile”, cioè il far vivere albambino emozioni da grande. Il risultato, il rischio è “una società ado-lescente” che nega vecchiaia e infanzia.

Poi Aceti affronta il problema dei pre-giudizi, quei presupposti da cui è cosìdifficile staccarsi. Il primo è quello del partire dal giudizioaprioristico sul carattere del bambino,mentre la responsabilità dei genitori,degli educatori è proprio quella di ri-versare su di lui il proprio carattere, e“quando parliamo del brutto caratteredi un bambino, in realtà parliamo delnostro”. Se riversiamo pessimismo, ilbambino crescerà intristito, se river-siamo entusiasmo il bambino assumeràquesta positività: “l’educazione è tuttaqui, in questa luce che dobbiamo dareai nostri ragazzi”.

Il secondo è di pensare che “se il bam-bino dice no, abbia torto: ha ragione!Nell’educazione entrambi le partihanno ragione” e vanno ascoltate. Il terzo è quello di ritenere, come geni-tori, come madri, di voler bene ai nostribambini. Ma è un bene non basato sullaloro conoscenza, non è, cioè, un amore“personale, particolare, perché non ba-sta volere un mare di bene: bisogna co-noscerlo il bambino, altrimenti il mio èun amore generico”.Intanto cerchiamo di conoscere ilmondo dei nostri giovani, riconoscendoche è virtuale, globale, connesso: un lin-guaggio “informatico” che spesso nonsiamo capaci di capire. Partendo dallascuola e dagli educatori.

Nell’ambito della scuola, assistiamo aduna profonda differenziazione tra ma-schi e femmine. Il mondo sta diventando femminiliz-zato: “guarda una ragazzina di quat-tordici anni e un ragazzino di quattor-dici anni: la ragazzina pensa almoroso, il ragazzino gioca ancora alla

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Play Station. Ci sonotante spiegazioni. Guar-date che fine fa un ma-schio: nasce da donna, vaalla scuola materna, eson tutte donne; va allascuola elementare, e sontutte donne; va allascuola media, l’80% sonodonne. Ma è dura per un ma-schio, sapete? Per i primi sette anni, lamamma, per il bambinoè tutto…”Ma dopo quell’età, di-viene potenzialmente unuomo, “e se tu lo tratti dabebè, resterà per semprebebè”. Da quell’età, biso-gna recuperare il padre,la figura con cui stabilireil rapporto, la comunica-zione. Un rapporto anchedi confronto, perché que-sto significa per il bam-bino “lottare”, ma perce-pendo che “mio padre siprende cura di me”.

Come diceva SimoneWeil, la prima cosa checonta è l’attenzione. Per far questo, occorremettersi nei panni dell’al-tro. Aceti porta esempi:“Il marito che torna acasa e dice, se lo è, allamoglie che è contento,senza pensare allo statod’animo, ai pensieri dellasua compagna; il bam-bino che torna dallascuola e non ha ancoramesso il piede in casa chela mamma gli chiede co-m’è andata? cosa haifatto? Racconta tutto...Sbagliato! Dobbiamofarli sentire attesi. Allora, quando arriva a

casa, si può dire: quandohai finito di mangiare, sevuoi raccontarmi com’èandata, mi farà piacere”.E lui sarà libero di rac-contare quello che vuole,recuperando i suoi spazidi segreto, di intimo.

Questo è amare un bam-bino, questo è rispettarela persona, e capirel’importanza della parola. La parola nutre, la parolasostanzia, la parola dàsenso, anche alla soffe-renza; tutta la vita è fattaanche di sofferenza, ma

se alla sofferenza diamoun linguaggio, “con delleparole diventa umana,diventa feconda, diventaun sacco di cose. Guai anoi se quando il nonnomuore noi non parliamoal bambino. Anche se ha tre anni dob-biamo dirgli: sai,quando si è vecchi ci siammala, il nonno èmorto, lo vuoi salutare?Quel bambino porterà ilnonno per tutta la suavita dentro di sé”. Perché avremo umaniz-zato anche la morte.

Vita somascaluglio settembre 2013

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“Mi è stato regalato un li-bro: Costruire visioni, fareil mondo come dovrebbeessere. L’ho aperto a caso emi sono trovata davantiqueste prime parole: “Che mestiere fai? La rivelatrice di disagio.Oh, dev’essere triste. No,al contrario, è solo tra-sformando il disagio infonte di conoscenza e levadi cambiamento che si rie-sce ad operare con auten-tica creatività e allegracompagnia”. L’allegra compagnia mi hafatto pensare a te”. Con queste parole, MaraBossi, responsabile delCentro di accoglienza pertossicodipendenti di SanZenone al Lambro (MI),presenta Franco Inverniz-zi, e continua: “Cinquan-tacinque anni, 20 anni diservizio alla “Casa di An-drea” e successivamente in“Casa Kaire”. Si occupa di

persone fragili ed è con iSomaschi da 4 anni.

Per questo, la prima do-manda è: che mestierefai?”, e Invernizzi esordi-sce raccontando:”Da circa vent’anni condu-co due piccole case in cuiaccolgo persone in difficol-tà, persone che, di fatto,spesso non sono neanchein carico ai Servizi sociali. Provengono dal dormito-rio, dalla strada o vivono incondizioni molto difficili. Difficile è anche la diagno-si e la conoscenza del loroproblema. Queste due casette sonosulla stessa via della miacittadina, chiamata Gor-gonzola (MI). Sono partito come volon-tario e, nel tempo, sentivosempre più la fatica, ancheperché ho lavorato fino al2009, come contabile. Un giorno, il giorno di san

TestimonianzeTestimonianze

Il cancello socchiusoPer ampliare il composito quadrodegli stili di vita somaschi, è statala volta Franco Invernizzi, presen-tato da Mara Bossi, che ci ha of-ferto la testimonianza del suo la-voro e della sua vita quotidiana,condivisa con gli uomini che sonoaccolti a Gorgonzola presso la co-munità Casa di Andrea. Ci ha parlato dell’impegno e delledifficoltà, connesse con le diverseetà e con le diverse storie perso-nali degli uomini in condizione difragilità sociale con i quali divide ipiccoli spazi della casa, arricchitadalla bellezza dei fiori, dai canari-ni, dalle poesie dipinte sulle pare-

ti. Oltre a offrire un supporto co-stante in una casa accogliente,non solo e non tanto in senso ma-teriale, ma perché riscaldata daldialogo, ci si pone l’obiettivo del-l’inserimento sociale e lavorativonel territorio, unito al sostegno du-rante un graduale percorso di au-tonomia. L’approccio utilizzato passa ancheattraverso il coinvolgimento deltessuto sociale: la casa di Andreaè fortemente radicata nel territorio,con connessioni con la comunitàparrocchiale e con un gruppo divolontari che collaborano in modopositivo

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luglio settembre 2013

Girolamo del 2008, faccioun colpo di telefono al p.Tarcisio Aggio, che cono-scevo fin dall’epoca deimiei vent’anni, perché ave-vo collaborato con le co-munità di Cavaione, e glidico: “Padre Tarcisio, so-no in difficoltà, non ce lafaccio più! Ho le case pie-ne, sono un po’ solo e laparrocchia fa fatica ad in-dividuare la figura di unresponsabile. Cosa possofare? Non ho soldi, non hofinanziamenti”.Lui mi risponde: “Potreidirti che non è il nostroambito, ma non propriooggi. Vieni a trovarmi e neparliamo”.

Così è incominciatal’avventura con la fami-glia somasca, che gli hapermesso di dare maggio-re visione al lavoro di ac-coglienza. In una casettavengono accolte le fami-

glie rom e seguiti i bambi-ni, cercando di fare unpercorso di integrazione.Nell’altra casa (Casa diAndrea) vengono accoltiuomini in difficoltà, cheprovengono da condizionidi fragilità: “In questo momento ho incasa 19 uomini, 14 dei qua-li hanno incontrato unqualche lavoro, tenendo inconto che è una cosa diffici-le riaccostare queste perso-ne al mondo produttivo. Ilpiù adulto ha 66 anni, il piùgiovane 18, lasciato in stra-da e che nessuno vuole”.

Ritornando alla domandainiziale, cita un verso diuna poesia della poetessaAntonia Pozzi, morta nel’38, che lo ha colpito:“Il tuo sentiero ti ricon-durrà lungo la valle per laconca prativa, al murocandido, al cancello soc-chiuso” e dice:

“Vorrei proprio che il miomestiere fosse quello di te-nere un po’ socchiuso que-sto cancello… perché capi-sco che il mio non è un me-stiere facile. Specialmente rispetto aldisagio che incontro, conuomini che non sono in ca-rico ai Servizi sanitari na-zionali, che spesso proven-gono da contesti familiaridifficili e non hanno nes-sun riconoscimento. Per queste persone… spes-so le porte sono chiuse.Capita anche a me, alla no-stra equipe, quando dicia-mo: “Non ce la facciamo.Non è per noi. Non possia-mo accoglierle”.È importante lasciare unpo’ socchiuso questo can-cello, non chiuso in modopre-concettuale”.

Insomma, ci sono personeche devono essere accom-pagnate ad “uscire”, per

Vita somasca

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fare dei percorsi più adeguati e a condi-zione di maggior rispetto per la loro si-tuazione. Sottolinea Franco: “Per altre, invece, il cancello è propriochiuso, non li vuole nessuno”.

Alla domanda: che cos’è per te casa? Risponde: “Forse è più facile dire: cosa non è “casa”. Non è solo avere il lavandino dove farti labarba, non è il letto, non è solo il piatto…La casa è qualcosa d’altro.

Queste persone che vengono dalla strada,una strada veramente dura, e che hannoscelto la vita di strada… non riescono piùad avere fiducia nelle relazioni tipiche del-la casa. Ho ospitato un giovane che veni-va dalla Provincia di Pavia. Una notte, da solo e a piedi, pur di non sta-re in casa, è andato fino a Brescia (90 Km).Perché? la sera avevo distribuito il cibo,c’era la pasta e c’era il formaggio. La sua mamma non metteva il formaggio,metteva “la terapia” sulla pastasciutta, e

lui ha rivissuto questo “tradimento”, que-sta non possibilità di fidarsi”.

A proposito di relazione e di fiducia, ri-corda: “Ho ospitato un altro uomo che in-vece è tornato a casa. Io avevo una gatti-na abbandonata nel nostro cortile e lui, lasera prima, le aveva dato un calcio, ma leinon aveva reagito male. La sera, tornando, quest’uomo mi disse:“Sono tornato perché la gatta mi ha per-donato”. La casa è anche il luogo del per-dono… per persone, come le mie, che nonhanno mai avuto il perdono e non riesco-no immaginarsi di essere perdonati”.

Richiamandosi ad una poesia di Montaleche parla della casa come il luogo dove bi-sogna essere autentici e dove bisogna di-re le cose che non vanno, sottolinea unaspetto del suo lavoro quotidiano di con-divisione: la fatica di fidarsi, l’avere vo-glia di mettersi in gioco ancora una volta,l’importanza di andare avanti pian piani-no e di essere aspettati da qualcuno: “Vivo la casa, la nostra casa come occasio-ne, per queste persone, di rompere qual-cosa, di dire che non ce la fanno più, di di-re che finalmente hanno bisogno di qual-cuno che li rispetti, che hanno bisogno diuna terapia, anche se spesso ritornano acasa in condizioni non ottime (oggi lunedìsto bene, poi mercoledì magari sono ubria-co…). È una casa anche, purtroppo, dalla“soglia bassa”. Non posso avere troppi gra-dini, ed è un percorso difficile e lungo”.

Invernizzi conclude ricordando la fortu-na di avere un bel gruppetto di volontarie un buon rapporto con i somaschi, che lohanno aiutato ad “esserci”, ad “abitare lesituazioni”. Onestamente, si chiede sempre come maiquesti 19 uomini vogliono star lì con luied essere suoi compagni di viaggio. La risposta se la dà, ricordandoun’espressione nei Promessi Sposi, quan-do il capofamiglia invia la sua figliolettaa dare un po’ di cibo a una vecchietta vi-cina, dicendogli: “Mi raccomando, fai inmodo che non sia elemosina!”.

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Angelo è nato a Perugia, dal 1945al 1951 è stato studente convittoreal Collegio Sgariglia di Foligno deiPadri Somaschi: è questo il con-tatto provvidenziale. È vissuto neiluoghi dove Federico Cionchi, chia-mato popolarmente “Righetto”, lacui causa di beatificazione è incammino, ha ricevuto la visionedella Madonna che gli dice: “Ri-ghetto sii buono”. Dopo aver fatto il giornalista-cro-nista per cinquant’anni, si dedicaall’editoria. Essendo della zona econoscendo la vicenda, ha pubbli-cato ultimamente il libro “Unachiesetta diruta, un fanciullo” chemette in risalto uno speciale “stile”,tema del Convegno. Commosso edentusiasta, entra subito nel merito,sottolineando il fatto che moltospesso le visioni della Madonna av-vengono nei posti più impensati emagari più nascosti. Avvengonosoprattutto con persone giovani,umili, e in questo vede una interes-sante similitudine tra Righetto eBernadette. Il messaggio è simile,con un valore universale, che rac-comanda la bontà, la preghiera, ilsacrificio e la speranza.“Siamo di fronte a un fanciullo di 6anni che, nel giro di pochissimotempo, consente un afflusso digente, di folle e di pellegrini, in unaradura posta fuori dalle grandi co-municazioni (20 km da Spoleto).Dal mese di maggio, fonti storichedicono che, nell’estate del 1862, lepresenze in alcuni giorni arrivaronofino a cinquemila. Il vescovo celebrando in quel luogodirà: “Qui sorgerà un santuario”.

Il 21 settembre dell’anno erano giàstate gettate le fondamenta. Tante sono le grazie operate dallaMadonna della Stella in quei primianni, numerose le guarigioni spiri-tuali e le conversioni”.Pennacchioni ricorda che Righetto,a 13 anni, quando muore il padre,viene accolto come orfano nell’Isti-tuto Tata Giovanni di Roma doverimarrà nove anni. Nel 1878 entranella Congregazione dei Padri So-maschi, come laico aggregato.

“Persona umile, non sarà sacerdote,neppure un fratello somasco. Eser-citerà per quarant’anni la funzionedi sacrestano nel santuario di SantaMaria Maggiore di Treviso, sarà diesempio a tutti per la sua bontà,umiltà, laboriosità e vita di pre-ghiera. Io ho parlato con personeche si ricordavano ancora diquando Righetto andava con un ce-stino a ritirare i viveri che avanza-vano dai ristoranti, per destinarli gliorfani ai quali insegnava i mestieridi elettricista e falegnameria”.Infine afferma: “Le visioni di fr. Ri-ghetto sono state certificate e veri-dicizzate da tre processi diocesani,di cui l’ultimo, fatto a Treviso, hadato l’ok per la causa di beatifica-zione. In Umbria è stato costituitoun comitato importante ai fini dellaridiscussione della Causa. Stiamoapprofondendo lo stile di fr. Ri-ghetto e preparando un altro vo-lume sulla sua vita, che vuole essereanche un contributo alla famiglialaicale somasca”.

RisonanzeRisonanze

Angelo Pennacchioni, presentato da p. MarioRonchetti, ha, infine, raccontato lo stile di Ri-ghetto Cionchi (1857-1923) che, nato da fami-

glia poverissima, all’età di sei anni vissel’esperienza delle apparizioni della Madonna enel 1878 entrò nella Congregazione Somasca.

La bontà di Righetto

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Cristiani oggiCristiani oggi

Primavera conciliareDomenica mattina Monsignor LuigiBettazzi, vescovo emerito di Ivrea,si è soffermato sullo stile “concilia-re” per i cristiani di oggi. Ha parteci-pato al Concilio durante la secondasessione, nell’autunno del 1963, do-po essere stato consacrato vescovoausiliare del cardinale Lercaro. Mon-signor Bettazzi ha detto di aver vistoconcretamente al Concilio VaticanoII l’universalità della Chiesa, infatti,grazie alla partecipazione di confra-telli provenienti da altri continenti, ilConcilio era antropologicamente“ecumenico”. Altri elementi significativi del Conci-lio erano il dinamismo, le idee cheemergevano e il dibattito. Papa Gio-vanni XXIII voleva un concilio non“dogmatico” (mirato a definire verità

di fede, escludendo tutti coloro chenon le avessero accolte), ma “pasto-rale”, con l’intento di presentare leverità di fede in modo comprensibi-le. Monsignor Bettazzi ha citato laGaudium et Spes e il suo messag-gio “...non l’umanità per la Chiesa,ma la Chiesa per l’umanità”, la Lu-men Gentium “...non i fedeli per lagerarchia, ma la gerarchia per i fe-deli”, ha parlato del primato della pa-rola di Dio, esplicitato nella Dei Ver-bum, e ha ricordato la SacrosanctumConcilium e la riforma liturgica. Mon-signor Bettazzi, senza rinunciare algusto della battuta e della barzellet-ta, ha portato efficace testimonian-za dello stile emerso dal Concilio Va-ticano II, ricco ancor oggi di messag-gi fecondi di fede.

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Nel presentarlo, p. FrancoMoscone ha riassuntol’intenso sacerdozio dimons. Bettazzi:“Il fatto che sia nato in dio-cesi di Treviso, ci ricollegaanche alla nostra storia(san Girolamo e la Madon-na Grande). È passato poi a Bologna,dove il card. Lercaro, geno-vese, uno dei protagonistiprincipali del Concilio, lofece vescovo ausiliare e,per questo, poter partecipa-re al Concilio. Ho avuto tre incontri conlui: la prima volta nel 1989,a Santiago de Compostela,in occasione della Giorna-ta Mondiale della Gioven-tù. Ho dovuto aspettarequasi 20 anni per incon-trarlo la seconda volta, nel2005, a Nervi, dove lo invi-tammo per celebrare i no-stri 100 anni della presen-za somasca in parrocchia.Nell’incontro sul tema delConcilio esordì con unafrase che personalmenteho utilizzato in altre occa-sioni: “Siccome è sera nonvorrei addormentarmi,quindi parlo in piedi, men-tre voi potete tranquilla-mente addormentarvi”.La terza volta è oggi, e sonoanch’io come tutti voi mol-to desideroso di ascoltarlocome “testimone vivente”dell’avvenimento del Con-cilio che compie 50 anni,ma che forse incominciaoggi ad essere pastorale”.

E monsignor Bettazzi hapreso la parola el’attenzione di tutti noi.“Quando mi si invita a par-lare del Concilio è come

invitarmi a nozze. Certamente tutti quanti ab-biamo l’idea dell’importan-za del Concilio, incontrodi tutti i vescovi del mondoper affrontare i grandi pro-blemi della Chiesa. Non è stato un Conciliodogmatico, come i prece-denti. Nasce da uno “scherzo del-lo Spirito Santo”, grazie alPapa Giovanni XXIII che il25 gennaio, dopo 3 mesiche era Papa, annuncia:“facciamo un Concilio”. Un Concilio che guardasseal futuro, non dogmaticoma pastorale, cioè in chemodo dire le verità di sem-pre alla gente di oggi”.

Ripercorrendo quei tem-pi, prosegue: “Io arrivo al Concilio nellaseconda sessione. Ero di-ventato vescovo nel ’63, il 4ottobre, ricorrenza di sanFrancesco (con quello chein tutto il mondo rappre-senta questo Santo...)Mi sono trovato davanti aduna Chiesa multicolore evariegata nei suoi parteci-panti arrivati da tutti i con-tinenti, portando la lorosensibilità specifica. Sulpiano umano è stato il pri-mo Concilio veramenteecumenico. Incontrai, infat-ti, confratelli nati e cre-sciuti in Africa, nell’Ameri-ca meridionale, in Asia. Con le loro storie, con leloro culture quei vescovirendevano il Concilio an-tropologicamente “ecume-nico”. Mi colpì, poi, il dinami-smo. Emergevano idee,c’era dibattito, si maturava

insieme, passo a passo: idocumenti scritti dallecommissioni preparatorie,presiedute da cardinali diCuria, furono sostituiti datesti elaborati dalle nuovecommissioni, invitate dalPapa a guardare al futuro.Siamo arrivati a dire dellecose che al principio lamaggioranza non pensava,grazie al dinamismo dellaChiesa. La grande espe-rienza del Concilio è stataquella di “maturare assie-me”, Papa e vescovi, nellacollegialità. Il compito del-la gerarchia, a tutti i livel-li, è dire l’ultima parola,ma l’importante è che siastata preceduta da tantealtre che l’hanno fatta ma-turare”.

Dell’esperienza vissuta Bet-tazzi ricorda anche, conumorismo, le parentesi gu-stose dei tanti piccoli episo-

luglio settembre 2013 Vita somasca

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Cristiani oggiCristiani oggi

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di che mettono a nudo,spesso con battute “fulmi-nanti”, le tante piccole de-bolezze degli illustri parte-cipanti, facendoci in talmodo partecipi del loro es-sere umani. Battute da lui raccolte nelsimpatico volumetto “Lebolle del Concilio”.Dopo aver ripercorso velo-cemente gli obiettivi e letappe dei 20 Concili (dog-matici, fatti per definire leverità di fede) succedutisinei tempi (attraverso unafilastrocca mnemonica),sintetizza poi come reale ri-sultato “la pastoralità”(come rendere vivibili, vis-sute, quelle verità) di quel-lo attuale:“Il suo nucleo: la presenzadi Cristo, riscoperta dellacentralità della Parola diDio e della preghiera (fami-liarità con la Bibbia), nuo-vo concetto di Chiesa (po-polo di Dio, comunione).Il compito di vescovo nellaChiesa è quello di aiutare icristiani ad essere “laici”,veramente umani. Il loro compito, così, è vive-re bene la vita umana, cononestà, diligenza e impe-gno, nella famiglia, tutte lefamiglie, nella cultura, tut-te le culture, nell’econo-mia, tutte le economie. Testimoniando la propriafede nell’atteggiamento delservizio, nell’intendere “lai-co” come “umano”, nel-l’esempio, un esempio disolidarietà, come principionon negoziabile. Unisco questa testimonian-za con la Carta dei DirittiUmani dell’ONU (10 di-cembre1948), che così inco-

mincia: “Il valore di ognipersona umana, prima ditutte le discriminazioni disesso, di razza, di naziona-lità, di cultura e di religio-ne è il diritto alla vita, allasalute, alla cultura, alla fa-miglia, alla partecipazionealla vita sociale e politica, ildiritto all’immigrazione…”. Ma questo è Vangelo, l’hanchiamata “il Vangelo se-condo l’ONU”. Tutti hannofirmato questa Carta (sal-vo sei paesi arabi che nonhanno voluto firmarel’uguaglianza dell’uomo edella donna). Secondo me,questo è il modo con cui icristiani hanno saputoesprimere un ideale chetutti gli esseri umani han-no potuto accogliere”.

Rispetto al “nuovo corso,allo stile di cui ha parlatoPapa Francesco, Bettazziconclude:“P. Congar diceva che unvero Concilio per essereben capito e ben attuatoha bisogno di 50 anni. Lo stile di Papa Francescorichiama e rilancia di nuo-vo proprio lo stile che ilConcilio voleva dare alla Chiesa. È certamente un’azione si-gnificativa dello SpiritoSanto. La Chiesa come voce dellacoscienza della maggioran-za povera (H. Camara). Vi-viamo insieme il rilanciodella la Chiesa dei poveri…in cui i poveri si sentano acasa loro”.

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Intermezzo

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Per concluderePer concludere

Riflessioni

Le tre giornate del Convegno sono sta-te arricchite dalla proiezione di alcuni vi-deo, mi piace ricordare per primo quel-lo relativo alle parole di Papa France-sco durante la veglia di Pentecoste, il18 maggio 2013. Il Papa risponde alla domanda: “in chemodo possiamo vivere una Chiesa po-vera e per i poveri? In che modo l’uomosofferente è una domanda per la nostrafede? Noi tutti, come movimenti e asso-ciazioni laicali, quale contributo concre-to ed efficace possiamo dare alla Chie-sa e alla società, per affrontare questagrave crisi che tocca l’etica pubblica, ilmodello di sviluppo, la politica, insom-ma un nuovo modo di essere uomini edonne?”.

Papa Francesco, nella sua risposta, sot-tolinea alcuni punti fondamentali e af-ferma: “la Chiesa non è un movimentopolitico […] La Chiesa è sale della ter-ra, è luce del mondo, è chiamata a ren-dere presente nella società il lievito delRegno di Dio e lo fa prima di tutto conla sua testimonianza, la testimonianzadell’amore fraterno, della solidarietà,della condivisione”.

Testimonianza e condivisione rimanda-no alla sfera interpersonale, alla comu-nione, allo “stare con”, punto chiave del-lo stile di vita somasco. Papa Francesco dice inoltre: “[…] la fe-de è un incontro con Gesù e noi dob-biamo fare la stessa cosa che fa Gesù:incontrare gli altri”. Ecco nuovamente la dimensione rela-zionale, essenziale e fondante.

Gli altri video erano legati al Movimen-to Laicale: uno è stato dedicato al 5°Convegno, che si è svolto a Quero, Pa-derno del Grappa e Treviso dal 28 apri-le al 1° maggio 2012, […]. Le altre proiezioni hanno illustrato le at-tività che si svolgono a Toritto, a Velle-tri e a Nervi: la finalità era quella di con-dividere con tutti i presenti il lavoro quo-tidiano, andando “oltre le opere” in sen-so materiale e mostrando i visi di tutticoloro che sono accolti in questi luoghi,nei quali si avvertono un clima di fami-glia e uno stile relazionale che traggo-no energia da san Girolamo Emiliani.

Le immagini del Collegio di Nervi han-no mostrato la casa, “costruita sulla roc-cia”, sugli scogli rivolti al mare, resa vi-va ogni giorno dagli studenti, animatada tanti visi, da tante storie che si inter-secano con quelle degli educatori, reli-giosi e laici. Dalle immagini di Toritto eVelletri è emerso l’entusiasmo degli edu-catori, il desiderio di fare insieme molteesperienze che raccontano uno stile de-rivato dal carisma somasco.

Dopo tre giorni trascorsi insieme siamotornati nelle nostre realtà locali, più ric-chi di idee, con il vivo ricordo di momen-ti emozionanti di condivisione. “Esseresomaschi” è stile di vita e identità, luceche illumina gli angoli bui della nostrafragilità, luce che guida i nostri passi.

Daniela Leuzzi

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L'obiettivo del Convegno è stato quellodi riflettere su come possiamo viverequotidianamente, sia da laici sia da re-ligiosi, il carisma che san Girolamo ci halasciato e che siamo chiamati anche adattualizzare. Fondamentale per non rimanere ungruppo fossilizzato a 500 anni fa pensosia fondamentale la sua attualizzazionee coloro che erano presenti ne sono sta-ti una chiara dimostrazione: non solo religiosi ma laici di ogni età.

Il primo punto sul quale mi piace riflet-tere è proprio questo, l'età: infatti, è mol-to importante notare che, a parte un pic-colo gruppo di persone “più stagionate”,come ricordava mons. Bettazzi, vi era-no tanti giovani che oggi ricoprono unruolo chiave: devono accogliere e far lo-ro le esperienze dei loro padri, ma, allostesso tempo, innovarle, rivisitarle e ren-derle adatte allo stile di vita che oggi tut-ti siamo chiamati a vivere: non possia-mo, infatti, limitarci solamente a copia-re ciò che è già stato fatto, perché ne ri-sulterebbe un'opera anacronistica equindi controproducente.

Penso che una bellissima dimostrazio-ne di questo ci sia stata data da Carlo Al-berto, che è peraltro doveroso ringrazia-re per l'efficientissima organizzazione acui ha attivamente contribuito, che si èispirato, con la sua consorte, al model-lo di Casa di Accoglienza che hanno crea-to Arnaldo ed Elisabetta, ma lo ha rivi-sitato e reso attuale nella sua Cascina.

Tra i molti altri spunti, due sono le coseche mi hanno maggiormente colpito. La prima, ma non necessariamente lapiù importante, è stata la possibilità diconoscere i membri del mio gruppo. Penso che questo sia successo a tutti, inmaniera differente da come già ci si co-nosceva: rompendo, cioè, le barriere isti-

tuzionali o relazionali che nel nostro am-biente si possono creare, per vivere in unclima familiare di amicizia e condivisio-ne durante tutta la giornata; altro aspet-to è stata, sicuramente, l'accoglienza cheabbiamo ricevuto: una curiosa misturafra familiarità e professionalità.

Il personale e i novizi sono stati capacidi far sentire noi ospiti come a casa, macon quel distacco e quella educazionedegna del miglior servizio, aiutandoci inogni momento per far fronte ai nume-rosi imprevisti e a tutte le problemati-che di carattere personale che ognunodi noi ha proposto loro, sempre prontiad ascoltare e a rendere più gradevole ilnostro soggiorno.

Infine credo sia giusto ringraziare di cuo-re tutti coloro che si sono adoperati perrendere possibile lo svolgimento di que-sto bellissimo Convegno: un particola-re ringraziamento a p. Giuseppe Oddo-ne e a sr. Giusy Cogoni, che si sono im-pegnati affinché una rappresentanza delCollegio Emiliani di Genova Nervi po-tesse essere presente anche quest'anno.

Umberto Boero

... e arrivederci

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Vita somascaluglio settembre 2013

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“La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa

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ma anche quelle esistenziali”Papa Francesco