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LEZIONE 1 LE BASI COMUNI: INNOVAZIONE, PRODUTTIVITA’, POPOLAZIONE. LA RIVOLUZIONE NEOLITICA SOMMARIO. Informazioni sul corso. I grandi mutamenti nella storia dell’umanità nascono nella sfera economica. Tre grandi fasi e tre “salti” nella storia dell’umanità. Il primo dei cambiamenti strutturali: la Rivoluzione neolitica e i suoi effetti 1.1. Informazioni sul corso L’esame di Storia Economica è normalmente scritto e si basa su una conoscenza molto accurata e completa del contenuto delle dispense. In un corso come quello di Economia un esame del genere può dare infatti l’impressione di essere un esame semplice e leggero, ma non è così: la media dei respinti oscilla regolarmente tra il 35 e il 50% e la media dei voti non è mai alta. Si suggerisce quindi di affrontare l’esame solo dopo essersi preparati in modo adeguato. Lo scritto è costituito da tre domande aperte, in genere su singole lezioni ma talvolta anche su argomenti più ristretti. Per rispondere alle domande sono concesse due ore e la lunghezza del compito è a discrezione della studentessa o dello studente, ma bisogna aggiungere che elaborati troppo sintetici, di poche righe, non consentono quasi mai di raggiungere la sufficienza. Nel momento della correzione dello scritto a ciascuna risposta viene attribuito un voto in trentesimi: la media di questi voti – sempre ammesso che si sia risposto almeno a due domande – costituisce il voto finale dell’esame. 1.2. I grandi mutamenti nella storia dell’umanità nascono nella sfera economica LA STORIA DELLECONOMIA AL CENTRO DELLA STORIA DELLUMANITÀ La storia economica è una disciplina di estrema importanza , sia all’interno degli studi di economia sia per la conoscenza generale del mondo in cui viviamo. Per quanto riguarda il nostro percorso formativo , la storia economica offre una visione molto ampia e articolata dei processi e dei fatti economici che integra e arricchisce le conoscenze delle discipline più tecniche. Essa permette ad esempio di conoscere una gran varietà di forme di organizzazione economicosociale, molte delle quali non di mercato; di comprendere i percorsi storici che hanno portato all’attuale livello tecnologico e agli attuali equilibri di ricchezza e di potere mondiale; di connettere gli aspetti sociali, culturali ed economici di ciascuna fase e vicenda storica; di comprendere meglio i legami tra innovazione tecnologica, crescita, cambiamento sociale, redditi e consumi; di studiare il

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LEZIONE 1 LE BASI COMUNI: INNOVAZIONE, PRODUTTIVITA’, 

POPOLAZIONE. LA RIVOLUZIONE NEOLITICA 

SOMMARIO. Informazioni sul corso. I grandi mutamenti nella storia dell’umanità nascono nella sfera economica. Tre grandi fasi e tre “salti” nella storia dell’umanità. Il primo dei cambiamenti strutturali: la Rivoluzione neolitica 

e i suoi effetti 

1.1. Informazioni sul corso  

L’esame di Storia Economica è normalmente scritto e si basa su una conoscenza molto accurata e completa del contenuto delle dispense. In un corso come quello di Economia un esame del genere può dare infatti l’impressione di essere un esame semplice e leggero, ma non è così:  la media dei respinti oscilla regolarmente tra  il 35 e  il 50% e  la media dei voti non  è mai  alta.  Si  suggerisce quindi di  affrontare  l’esame  solo dopo  essersi preparati  in modo adeguato. 

Lo  scritto è costituito da  tre domande aperte,  in genere su singole  lezioni ma  talvolta anche su argomenti più ristretti. Per rispondere alle domande sono concesse due ore e la lunghezza  del  compito  è  a  discrezione  della  studentessa  o  dello  studente, ma  bisogna aggiungere  che  elaborati  troppo  sintetici,  di  poche  righe,  non  consentono  quasi mai  di raggiungere  la sufficienza. Nel momento della correzione dello scritto a ciascuna risposta viene attribuito un voto in trentesimi: la media di questi voti – sempre ammesso che si sia risposto almeno a due domande – costituisce il voto finale dell’esame. 

1.2. I grandi mutamenti nella storia dell’umanità nascono nella sfera economica 

LA STORIA DELL’ECONOMIA AL CENTRO DELLA STORIA DELL’UMANITÀ 

La storia economica è una disciplina di estrema importanza, sia all’interno degli studi di economia sia per la conoscenza generale del mondo in cui viviamo.  

Per quanto riguarda  il nostro percorso formativo,  la storia economica offre una visione molto  ampia  e  articolata  dei  processi  e  dei  fatti  economici  che  integra  e  arricchisce  le conoscenze delle discipline più tecniche. Essa permette ad esempio di conoscere una gran varietà di forme di organizzazione economico‐sociale, molte delle quali non di mercato; di comprendere i percorsi storici che hanno portato all’attuale livello tecnologico e agli attuali equilibri  di  ricchezza  e  di  potere mondiale;  di  connettere  gli  aspetti  sociali,  culturali  ed economici  di  ciascuna  fase  e  vicenda  storica;  di  comprendere  meglio  i  legami  tra innovazione  tecnologica,  crescita,  cambiamento  sociale,  redditi  e  consumi;  di  studiare  il 

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posto delle risorse – cioè della natura – e della loro trasformazione nell’attività produttiva e nella sua evoluzione. 

Per quanto riguarda la conoscenza generale del mondo in cui viviamo la storia economica è una materia basilare perché sono stati proprio  i cambiamenti nei modi  in cui  le società umane  hanno  trasformato  la  natura  a  loro  vantaggio  e  aumentato  la  ricchezza  a  loro disposizione a determinare le svolte più importanti della storia dell’umanità. Questo è stato vero a partire dal momento dalla comparsa della specie Homo habilis1, circa 2,5 milioni di anni fa, ed è ancor vero oggi. La comparsa della specie umana coincide in questo senso con la nascita dei fenomeni economici come li conosciamo oggi.  

Il tempo trascorso da allora appare come molto lungo se misurato col metro della vita di una  singola  persona  ma  anche  con  quello  di  una  civiltà:  lo  Stato  più  “vecchio”  oggi esistente  con  la  storia più  lunga,  la Cina, ha circa 2.200 anni di vita, che equivalgono ad appena un millesimo della storia umana. E tuttavia è bene anche rendersi conto che questo lunghissimo periodo in cui la specie umana si è evoluta e ha “conquistato” il mondo è una frazione estremamente piccola della storia del pianeta.  

STORIA DELL’UMANITÀ E STORIA DELLA TERRA 

Le  tappe  fondamentali della storia del mondo così come  le conosciamo oggi ci dicono infatti che: 

. la Terra si forma circa 4,6 miliardi di anni fa 

.  le prime elementari forme di vita si manifestano attorno a 3,8 miliardi di anni fa 

. attorno a 700 milioni di anni fa compaiono i primi organismi pluricellulari 

. tra 500 e 430 milioni di anni fa compaiono i primi vertebrati 

. attorno a 5 milioni di anni fa compaiono i primi antenati dell’uomo 

. circa 2 milioni di anni fa si segnalano degli ominidi bipedi in grado di costruire e utilizzare strumenti.  

.  cinquecentomila  anni  dopo  essi  saranno  anche  in  grado  di  addomesticare  il fuoco. siamo qui alla nascita della vera e propria specie Homo 

.  circa  100.000  anni  fa  ‐  alla  fine  di  una  ulteriore  evoluzione  durata  circa  1,9 milioni di anni  ‐ compare  l’Homo sapiens sapiens, un essere vivente non solo  in grado di acquisire e  trasmetter[e comportamenti non  innati e di utilizzare  un  linguaggio  vero  e  proprio,  ma  anche  di  elaborare  forme artistiche e di pensiero piuttosto raffinate.  

. circa 12.000 anni fa, infine, subito dopo la fine delle glaciazioni, gruppi di Homo sapiens  imparano a  coltivare alcune  specie  vegetali e ad addomesticare 

                                                       1  [Nella  classificazione  scientifica  la  specie Homo  sapiens  fa parte del genere Homo  che nel  tempo ha 

compreso  diverse  altre  specie  umane  oggi  estinte  (ad  esempio  Homo  habilis,  Erectus,  Neanderthalensis, eccetera). Il genere Homo fa a sua volta parte della famiglia degli ominidi che comprende anche le scimmie antropomorfe come gli oranghi, gli scimpanzè e i gorilla.]  

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alcune  specie  animali:  come  si  vedrà  tra  poco,  questa  è  la  Rivoluzione neolitica. 

Questa rapida carrellata sulle fasi più remote della storia della Terra ci dice almeno tre cose importanti. 

La prima cosa è che la vicenda dell’uomo sulla terra (2,5 milioni di anni) è una minuscola frazione di quella della vita sulla terra (3,8 miliardi di anni) o anche della sola vicenda degli animali  vertebrati  (500 milioni  di  anni).  La  seconda  cosa  è  che  la  vicenda  della  nostra specie, Homo  sapiens, è a  sua volta una piccola  frazione della vicenda del genere Homo (100.000 anni  su 2 milioni di anni).  La  terza  cosa è  che,  infine,  la  vicenda dell’economia come  la  intendiamo  noi  oggi  è  a  sua  volta  soltanto  una  piccola  frazione  della  storia dell’Homo sapiens: circa 10.000 anni su 100.000 anni.  

Possiamo aggiungere  infine che  l’economia globale  in cui viviamo sarebbe  impensabile senza una  serie di processi e di eventi verificatisi appena 250‐300 anni  fa:  la Rivoluzione agraria anglo‐olandese e la rivoluzione industriale inglese. 

La storia umana e soprattutto il mondo in cui viviamo sono insomma frutto di una lunga vicenda evolutiva  che  inizia  con  la  formazione del nostro pianeta e ne costituiscono una parte piccolissima.  

Va  notato  che  ciascuna  delle  grandi  fasi  indicate  più  sopra  è molto  più  breve  delle precedenti. Questo  vuol dire che i grandi fenomeni di trasformazione della natura e della società hanno teso sempre di più ad accelerare, e questo è stato ancor più vero da quando è comparso il genere Homo e, al suo interno, la specie Homo sapiens. Con la comparsa del genere Homo, unico essere vivente capace di riflessione, si innesca infatti un meccanismo che favorisce il cambiamento e che tende quindi ad accelerare i ritmi della storia.  

Il genere Homo, come già detto, si distingue molto presto da tutti gli altri esseri viventi  

per la loro capacità di dotarsi di strumenti 

per  la  loro  capacità  di  trasmettere  attraverso  il  linguaggio  le  conoscenze  e competenze acquisite e, di conseguenza,  

per la loro capacità di raffinare progressivamente scoperte e invenzioni. 

IL MECCANISMO DELLA CRESCITA ECONOMICA E DEMOGRAFICA 

Il meccanismo che si innesca, detto in modo estremamente schematico, è il seguente: 

 

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Vediamo separatamente ciascuno di questi elementi. 

PRIMO: IL MIGLIORAMENTO DELLE COMPETENZE E DELLE TECNICHE 

Quello  che  nel  grafico  è  stato  definito  “miglioramento  delle  tecniche  e  delle competenze”  gli  storici  economici  lo  definiscono  di  solito  come  “cambiamento tecnologico”,  e  cioè  l’insieme  di  quei  cambiamenti  che  i  gruppi  umani  sperimentano applicando  la  conoscenza  ai  processi  di  produzione  e  che  chiamiamo  spesso  anche innovazioni.  

Le  innovazioni possono essere – e  sono effettivamente  state  ‐ molto diverse  tra  loro: possono  applicarsi  direttamente  alla  trasformazione  della  natura  come  ad  esempio  la sostituzione  degli  aratri  in  legno  con  quelli  in  metallo  oppure  alla  trasformazione  dei materiali  semi‐lavorati  come  nel  caso  dell’adozione  del  carbonato  di  sodio,  alla  fine  del Settecento, per la sbiancatura dei prodotti tessili. Ma si può trattare anche di cambiamenti che  non  riguardano  la  produzione  materiale  in  sé  ma  i  trasporti,  come  nel  caso dell’adozione della ruota, della vela o della navigazione a vapore, o addirittura i meccanismi dello  scambio commerciale, come nel caso del danaro, delle cambiali  fino alle sofisticate tecnologie informatiche che permettono oggi il funzionamento in tempo reale degli scambi finanziari globali. 

Se  ritorniamo  ai nostri ominidi,  che  sembrano  così  lontani da noi e  fuori  luogo  in un corso di economia, possiamo osservare che  l’Homo abilis di 2 milioni di anni fa con  i suoi rudimentali utensili in pietra scheggiata è già protagonista del cambiamento tecnologico. Il suo successore, l’Homo erectus, è decisamente più raffinato e i suoi strumenti (asce, lance) assieme all’uso del fuoco gli permettono di cacciare gli animali commestibili e di difendersi meglio da quelli pericolosi, oltre che dalle intemperie. 

Allora come oggi, insomma, l’uomo applica le conoscenze ereditate e la propria capacità inventiva per ottenere  la  stessa quantità di beni  con minore  fatica o disagio oppure per creare prodotti nuovi.  

SECONDO: L’AUMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ 

Questa capacità di “ottenere la stessa quantità di beni con minore fatica o disagio” viene normalmente  definito  “aumento  della  produttività”:  e  siamo  con  questo  al  secondo elemento del meccanismo, innescato dal primo. 

Ma a questo punto è necessario chiarire cosa si intende per produttività. Vediamo in che termini ne parla uno storico economico (Paul Bairoch): 

La  produttività  è  il  rapporto  tra  la  produzione  e  i  fattori  che  ad  essa concorrono.  Tali  fattori  comprendono  il  complesso  degli  elementi  che concorrono  a  far  variare  la  produzione,  ovvero:  il  lavoro,  i  capitali,  le 

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materie  prime,  l’energia,  ecc2. Allo  stesso modo  in  cui  si  può  calcolare  la produttività di aggregati diversi [un impianto, un settore, una nazione], così il  calcolo  può  riguardare  una  parte  soltanto  dei  fattori  della  produzione; l’energia,  per  esempio,  e  soprattutto  il  lavoro,  che  è  sempre  stato,  e continua  a  essere,  il  principale  fattore  della  produzione.  In  quest’ultimo caso  si parla di produttività del  lavoro quando  il  calcolo della produttività riguarda esclusivamente questo fattore.  

Ma l’osservazione che qui più ci interessa è quella finale: 

La produttività è la vera misura del progresso economico, poiché se rimane stabile,  cioè  se  si  registra  un’evoluzione  parallela  di  produzione  e  fattori della produzione, ciò  implica stagnazione delle possibilità di consumo, dato che non si produce maggiormente per quantità di lavoro. 

L’autore,  per  far  comprendere  meglio  quest’ultimo  passaggio,  porta  un  esempio  di aumento della produttività del  lavoro nel  corso di un  lunghissimo periodo di  tempo,  tra l’altro in un settore chiave per la crescita, cioè il settore alimentare.  

Si  è  infatti  calcolato  che  per  produrre  una  tonnellata  di  grano  sono  state  via  via necessarie: 

in generale fino al XVIII secolo, tra le 1200 e le 1800 ore di lavoro 

negli Stati Uniti nel 1840, 86 ore 

negli Stati Uniti nel 1900, 40 ore 

negli Stati Uniti nel 1990, 2 ore 

Ciò  vuol dire  che  tra  il 1840  e  il 1990  la produttività  assoluta del  lavoro negli Usa  in campo agricolo si è moltiplicata per 43 volte mentre tra l’epoca preindustriale e il 1990 essa si  è  addirittura moltiplicata  tra  le  600  e  le  900  volte.  Se  si  tiene  conto  fatto  che  tale aumento  di  produttività  è  stato  dovuto  anche  a  fattori  di  produzione  diversi  dal  lavoro come  i concimi chimici e i macchinari che prima non esistevano, l’aumento di produttività si ridimensiona, ma resta dell’ordine di 400/700 volte. Per avere un termine di paragone si può  ricordare  come  nei  circa  12.000  anni  trascorsi  tra  la  Rivoluzione  neolitica  ‐  di  cui parleremo tra un poco  ‐ e  l’inizio del Settecento  l’aumento di produttività complessivo  in campo agricolo a livello mondiale può essere stimato tra 1,4 e 1,8 volte 

Quello  del  grano  statunitense  è  un  caso  estremo  perché  proviene  che  tra  Otto  e Novecento ha avuto un eccezionale sviluppo tecnologico in tutti i settori, ma in gran parte dei paesi industrializzati i dati non sono molto lontani da questi: se negli Usa il rapporto tra 

                                                       2  [per esemplificare: posto un quantitativo di prodotto – poniamo cento chili di acciaio – quante ore di 

lavoro, quanta corrente elettrica, la produttività ci indica quante unità di danaro sono necessarie per produrlo in una  situazione data. nel  caso occorressero 5 ore di  lavoro avremo ad esempio  che 100/5 = 20  chili di acciaio l’ora. se in una situazione diversa, con tecnologie diverse, ne occorressero invece 3 avremmo 100/3 = 33,3 chili di acciaio l’ora. la produttività, nel secondo caso, sarebbe maggiore. stesso calcolo si può fare anche per l’energia o i capitali o altri fattori impiegati nella produzione] 

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la  produttività  complessiva  attuale  e  quella  di  inizio  Settecento  è  infatti  di  circa  90‐100 volte, nel complesso degli altri paesi industrializzati è in media di circa 40‐50 volte.  

TERZO: CRESCITA DELLA POPOLAZIONE 

Il terzo elemento del meccanismo è costituito dalla crescita della popolazione, innescata a sua volta dall’aumento della produttività.  

Aumentare  la  produttività  vuol  dire  acquisire  la  capacità  di  avere  a  disposizione  una maggiore  quantità  di  beni  e  spesso  di  qualità migliore. O  anche,  guardando  a  un  altro aspetto, vuol dire vivere meglio, faticando meno e incontrando una minor quantità di disagi e  pericoli. Ciò non  è  vero  sempre  e dovunque, però  in  termini molto  generali questo  è l’effetto degli aumenti di produttività e del conseguente aumento di beni disponibili. 

Ciò, sempre molto in generale, implica che gli esseri umani possono: 

nutrirsi meglio 

avere  una  costituzione  fisica  più  robusta  e  resistente  alle  malattie,  alle intemperie, alle fatiche, ai pericoli 

vivere più a lungo 

fare più figli 

correre meno rischi all’atto della nascita e durante il primo anno di età 

Quando tutto ciò si verifica  le popolazioni tendono a crescere, cioè  il numero assoluto degli esseri umani aumenta.  

RIASSUMENDO E CONCLUDENDO SUL MECCANISMO DELLA CRESCITA 

Sin  dalla  comparsa  dell’Homo  abilis,  insomma,  la  storia  dell’umanità  si  identifica  col meccanismo di cui si è discusso sinora:  

 

che in sostanza è un meccanismo squisitamente economico.  

Conquistando  la capacità di produrre attrezzature sempre più sofisticate, riuscendo ad addomesticare  il fuoco e a utilizzarlo per molteplici finalità (riscaldamento, difesa, cottura degli  alimenti)  ed  elaborando  linguaggi  simbolici  la  specie  Homo  riesce  lentamente  a ottenere due risultati importanti: 

. migliora lentamente le proprie condizioni e la propria resistenza fisica 

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.  rompe  per  la  prima  volta  i  vincoli  che  incatenano  le  specie  viventi  ai  propri habitat diventando adattabile a un gran numero di ambienti naturali, anzi potenzialmente a tutti 

LA CAPACITÀ DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA E LA DIFFUSIONE SULLA TERRA DEL GENERE HOMO 

L’efficacia del cambiamento tecnologico anche nelle epoche più remote storia umana è dimostrata dal modo  in cui è avvenuta  l’evoluzione demografica del genere Homo, cioè  il suo aumento quantitativo e la sua progressiva diffusione sulla Terra.  

Secondo gli studi più recenti l’attuale specie Homo sapiens si è affermata a partire da un nucleo di ominidi ristretto e ben localizzato che viveva in Africa orientale attorno a 200.000 anni  fa. Grazie  alle  sue  caratteristiche  psico‐fisiche  e  alle  sue  capacità  questa  specie  ha avuto talmente successo da diffondersi progressivamente ‐ nel corso di un periodo molto lungo ‐  in tutti  i continenti ma soprattutto in ambienti estremamente diversi dalle zone di origine,  che  erano  umide  e  calde.  Nella  più  fredda  Europa  Centrale,  ad  esempio,  che peraltro era già abitata peraltro da altre specie Homo poi estintesi,  il Sapiens arriva circa 35‐40.000 anni fa.  

 

Alla fine di questo lungo periodo di colonizzazione del pianeta, attorno al 10.000 avanti Cristo,  epoca  in  cui  peraltro  terminano  le  grandi  glaciazioni,  si  stima  che  sulla  terra vivessero tra i 5 e i 15 milioni di Homo sapiens. Un numero di tutto rispetto, considerando che 150.000‐200.000 anni prima  la  specie era partita da una popolazione  forse di poche migliaia  di  elementi.  Il  successo  dell’Homo  sapiens,  testimoniato  dalla  sua  capacità  di crescere di numero e di colonizzare tutte le terre emerse, è quindi già frutto di una grande capacità di produrre innovazioni tecnologiche e dei conseguenti aumenti di produttività.  

Circa 10.000 anni fa questa dinamica ‐ già estremamente accelerata pur nei suoi tempi ai nostri occhi  lunghissimi  ‐  subisce un mutamento ancor più  radicale, un vero e proprio salto: quella che gli storici dell’economia chiamano la Rivoluzione agraria del Neolitico. 

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Per  ricostruire questo avvenimento ci aiuteremo con  l’analisi dello storico Carlo Maria Cipolla,  un’analisi  che  consente  oltretutto  di  inserirlo  entro  l’intera  vicenda  della  storia dell’economia, sino ai giorni nostri. 

1.3. Tre grandi fasi e tre “salti” nella storia dell’umanità 

Cipolla  sostiene  che  la  storia  dell’economia  –  e  quindi  la  storia  umana  –  può  essere suddivisa in tre grandi fasi:  

la  fase delle società primitive  ‐ prima del 10.000 avanti Cristo –  in cui  i gruppi umani si procurano le risorse per la propria sussistenza grazie alla raccolta di vegetali spontanei e alla caccia 

la fase delle società agricole tradizionali  ‐ dal 10.000 avanti Cristo circa al 1750 circa – in cui al centro dell’economia stanno l’agricoltura e l’allevamento 

la fase delle società industriali ‐ dal 1750 in poi – caratterizzate dalla produzione di grandi quantità di beni grazie a procedimenti industriali 

Queste fasi sono conseguenza di cambiamenti profondi e relativamente rapidi e nel caso della seconda e della terza di un salto tecnologico: 

le società primitive sono il frutto della comparsa del genere Homo  

le società agricole sono generate dall’addomesticamento di piante e animali, cioè dalla Rivoluzione agraria del Neolitico 

le  società  industriali  sono  la  conseguenza  dell’affermarsi  della  produzione  di massa  di  beni  per mezzo  di macchine  e  di  energia  inanimata  entro  la fabbrica moderna, cioè della Rivoluzione industriale 

Ciascuno di questi tre salti imprime una svolta all’umanità rendendo possibili dei grandi miglioramenti  in  diversi  settori  strategici,  tutti  strettamente  collegati  tra  loro.  Possiamo elencarli: 

energia a disposizione, come vedremo meglio un po’ più avanti; 

(quindi) produttività; 

(quindi)  capacità  produttiva,  cioè  la  quantità  massima  di  prodotto  che  può essere ottenuta da un sistema economico;   

(quindi) disponibilità di beni procapite;  

 (quindi) struttura demografica della popolazione. 

Ogni “salto” provoca inoltre ‐ come vedremo volta per volta ‐ profondi cambiamenti che vanno ben al di là del campo strettamente economico e investono la società, la cultura, la vita quotidiana in generale. 

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1.4. Il primo dei cambiamenti strutturali: la Rivoluzione neolitica e i suoi effetti 

Se  il  primo  “salto”  si  verifica  in  un  passato  lontanissimo, del quale  abbiamo poche  e incerte testimonianze, sappiamo invece abbastanza bene che il secondo si è verificato tra i 10  e  i  12.000  anni  fa  e  viene  comunemente  definito  come  la  Rivoluzione  agricola  del Neolitico  per  distinguerlo  da  un’altra  “rivoluzione  agricola”  che  ‐  come  vedremo  a  suo tempo ‐ si è verificata in Nord Europa tra la fine del Seicento e la metà del Settecento. 

Bisogna ricordare anzitutto che per centinaia di migliaia di anni, a partire dal momento della  sua  comparsa,  l’uomo  si è procurato  cibo e vestiario come un qualsiasi animale da preda, pur con la notevolissima eccezione data dal fatto che esso disponeva di strumenti e dominava  il fuoco. La sopravvivenza di tutti  i gruppi umani presenti sulla Terra dipendeva insomma dalla raccolta di vegetali spontanei, dalla caccia e dalla pesca. Ciò significava che gli uomini erano organizzati  in gruppi molto piccoli, che vivevano abitazioni o più  spesso ricoveri  estremamente  rudimentali  e  disponevano  di  una  dotazione  di  strumenti molto limitata. 

In un libro di molti anni fa rimasto giustamente famoso, lo storico Carlo Maria Cipolla ha proposto  di  spiegare  il  passaggio  dalla  società  primitiva  a  quella  agraria  (e  poi  a  quella industriale)  attraverso  il  cambiamento  dei modi  attraverso  cui  gli  uomini  si  procurano l’energia  per  sopravvivere  e  svolgere  le  proprie  attività.  E,  sempre  in  questo  senso,  ha proposto di considerare piante e animali come “convertitori di energia”, cioè come delle “macchine” che trasformano determinati flussi di energia in flussi di tipo diverso. Le piante, in particolare, possono essere considerate come convertitori capaci di  trasformare    luce, acqua, anidride carbonica e minerali in materie organiche contenenti carboidrati, proteine e  grassi  assimilabili  dall’uomo  e  convertibili  di  conseguenza  in  energia  utile  alla sopravvivenza  e  al  lavoro  umano.  Gli  animali,  invece,  possono  essere  considerati  come convertitori  capaci  di  convertire  da  un  lato  piante  che  l’uomo  non mangia  in  proteine pregiate per  l’alimentazione umana e da un altro  lato – come gli stessi umani  ‐  l’energia chimica fornita dal cibo in energia meccanica, cioè in lavoro fisico. 

Se  guardiamo  alle piante  e  agli  animali  in questa prospettiva  vediamo  che per molto tempo il genere Homo “non ha fatto altro che utilizzare questi convertitori prendendoli così com’erano  in natura, con grande  incertezza e grande dispendio di energie. Nel frattempo esso è riuscito a risparmiare energia e a rendere più efficienti le operazioni di raccolta e di consumo  attraverso  la  scoperta  del  fuoco  e  il  miglioramento  degli  strumenti,  ma rimanendo  nell’ambito  dell’uso  parassitario  dei  due  gruppi  di  convertitori  biologici”.  Le società primitive di raccoglitori e cacciatori si limitavano cioè a prelevare direttamente dalla natura, col rischio di esaurire piante e animali disponibili via via che le tecniche di prelievo divenivano più efficienti.  

Nonostante  gli  Homo  sapiens  fossero  ancora  relativamente  pochi  in  assoluto  e organizzati  in  gruppi  relativamente  piccoli  quello  dell’esaurimento  di  piante  e  animali oggetto di  raccolta e di caccia non era un  rischio  solo  teorico: a quanto pare già 40.000 

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anni  fa  i mammuth erano scomparsi dall’Africa e dal Sud‐Est asiatico e   13.000 anni  fa  in Australia  e  in  Eurasia  settentrionale, molto  probabilmente  proprio  per mano  dell’uomo, mentre  in America settentrionale essi  (assieme ad altre specie)  furono sterminati appena mille anni dopo  l’arrivo degli uomini, attorno all’11.000 avanti Cristo.  In molte parti della Terra,  insomma,  proprio  attorno  al  10.000  avanti  Cristo  diverse  popolazioni  umane cominciavano  probabilmente  ad  avere  problemi  di  approvvigionamento  di  cibo  a  causa dell’eccessivo sfruttamento cui sottoponevano piante e animali. 

È probabile quindi che non sia stato un caso a partire dal 10.000‐11.000 avanti Cristo – cioè circa 12‐13.000 anni fa ‐ diversi gruppi di uomini in diverse zone del pianeta iniziariono ad  addomesticare  delle  piante  e  degli  animali  mediante  il  controllo  del  loro  ciclo riproduttivo: non si trattava più di prelevare esseri viventi direttamente dalla natura ma di  individuarne  alcuni  che  fossero  adatti  per  certi  tipi  di  uso  e  che  potessero  essere controllati, fatti crescere in modo artificiale e utilizzati in modo regolare.  

A  differenza  della  storia  del  genere  Homo  l’invenzione  dell’allevamento  e dell’agricoltura non si verificò in un unico punto e poi si diffuse progressivamente in tutto il pianeta. A quanto pare essa ebbe  luogo  in aree diverse del mondo  in modo  indipendente tra loro, ma in tempi diversi.  

 

Per  quel  che  ne  sappiamo  oggi  le  prime  di  agricoltura  e  di  allevamento  comparvero infatti attorno al 10‐11.000 avanti Cristo  in Medio Oriente, nella zona  tra  i  fiumi Tigri ed Eufrate, nell’attuale Irak. Un secondo focolaio della Rivoluzione Neolitica furono i bacini dei grandi  fiumi  cinesi,  verso  il  9.000  avanti  Cristo,  seguito  da  un  altro  bacino  nell’Oceano Pacifico,  nell’attuale  Nuova  Guinea.  Tra  il  4.000  e  il  5.000  avanti  Cristo  agricoltura  e allevamento  comparvero  anche  nella  parte  a  sud  del  deserto  del  Sahara,  in  America Centrale  e  in  America  Meridionale.    Ultimo  focolaio  indipendente  fu  in  America Settentrionale  tra  il  3.000  e  il  4.000  avanti  Cristo.  Da  ciascuno  di  questi  focolai  la Rivoluzione Neolitica si diffuse verso le aree circostanti in maniera più o meno rapida e con maggiore o minore efficacia come si vede bene dalle frecce della carta.  

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Riguardo alla velocità e all’efficacia della diffusione bisogna tenere conto del fatto che la Terra  ha  aree  diverse  per  clima  e  quindi  per  tipi  di  suolo  e  di  vegetazione,  non  tutte egualmente  favorevoli all’agricoltura e all’allevamento. Vastissime estensioni di superficie terrestre,  anzi,  non  le  consentono  in  alcun modo.  Per  questo motivo  i  focolai  situati  al centro o ai margini di vaste aree favorevoli hanno potuto trasmettere con relativa rapidità e con grande efficacia le nuove tecnologie verso l’esterno mentre altre meno: il caso della diffusione delle  tecniche agricole dalla Mesopotamia verso  il bacino mediterraneo da un lato e verso  l’India dall’altro è forse il caso più fortunato e di maggior successo, mentre la diffusione  dell’agricoltura  in  America  Centrale  e  Meridionale  si  è  scontrata  con  le formidabili barriere costituite dai deserti e soprattutto dalle grandi foreste tropicali.  

  

Le  piante  commestibili  “addomesticate”  variarono  a  seconda  del  focolaio:  in Mesopotamia  anzitutto  grano, ma  anche orzo,  legumi e  lino;  in Cina miglio e  in  seguito anche riso e soia; in Nuova Guinea il taro, la patata dolce e quindi la banana e lo zucchero; nelle Americhe dapprima mais, fagioli e zucca e successivamente anche patata e manioca. Per quanto riguarda gli animali, i primi ad essere addomesticati furono la pecora, la capra, il maiale  e  il  dromedario,  tutti  in  Mesopotamia,  quindi  il  cane  in  Estremo  Oriente. Coltivazione e allevamento garantirono via via quantità di cibo più abbondanti e più sicure nel tempo, tipi di cibo più vari che  in precedenza, materie tessili più abbondanti e meglio lavorabili, molta energia meccanica aggiuntiva nel campo agricolo e  in quello dei trasporti grazie al  lavoro di bovini, cammelli, dromedari e cavalli. Ciò che  forse più conta è che  la disponibilità  complessiva  di  energia  (chimica  dai  commestibili,  termica  dalla  legna  delle piante,  meccanica  dalle  bestie  da  soma)  aumentò  in  proporzioni  inconcepibili  in precedenza.  

Le conseguenze di questi cambiamenti lenti ma irreversibili furono enormi: 

.  la  popolazione  dei  gruppi  che  adottavano  queste  innovazioni  tecnologiche crebbe a ritmi molto più rapidi che in precedenza 

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.  questi  gruppi  umani  abbandonarono  il  nomadismo  ‐  cioè  la  pratica  dello spostamento  periodico  indispensabile  per  “seguire”  i  ritmi  di  piante  e animali  selvatici  e  per  compensare  l’eccessivo  sfruttamento  di  essi  –  e adottarono uno stile di vita prevalentemente stanziale, legato alla terra. 

.  i  raggruppamenti umani divennero più  ampi, non  solo a  causa della  crescita demografica ma anche per esigenze legate alla gestione della terra e degli animali 

. sorsero i primi villaggi e successivamente le città, caratterizzate da un numero alto di abitanti e da una struttura edilizia complessa e gerarchizzata 

.  si  formarono  delle  eccedenze  agricole  non  indispensabili  al  consumo immediato  e  che  potevano  essere  scambiate  anche  su  distanze medio‐lunghe,  attivando  quindi  le  prime  forme  di  scambio  e  le  prime  catene commerciali 

. per poter gestire  in modo più efficiente  le nuove attività economiche, quelle burocratiche e  l’esercizio del potere nelle grandi città a partire dal 3.000 avanti Cristo furono  inventate  la scrittura e  i sistemi di numerazione che devono  essere  considerate  a  tutti  gli  effetti  come  delle  innovazioni tecnologiche 

.  la  società  diventò  più  articolata,  con  diversi  tipi  di  ruoli  sociali  e  complesse gerarchie interne. comparvero anzi presto delle classi che erano esentate dalla ricerca del cibo e dallo stesso  lavoro fisico. anche nei piccoli gruppi di raccoglitori e cacciatori precedenti alla Rivoluzione Neolitica esistevano delle gerarchie e delle mansioni  specifiche, ma  il  fatto  che nelle  società agricole  le  comunità  fossero  molto  più  ampie,  la  ricchezza  molto maggiore e le attività molto più complesse fece in modo che si creassero delle  disparità  di  potere  economico,  politico  e  culturale incomparabilmente più grandi che in passato. 

Tanto  l’agricoltura  e  l’allevamento  quanto  tutte  queste  trasformazioni  economiche, sociali  e  culturali  si  diffusero  progressivamente  su  aree  sempre  più  vaste,  con  ritmi diseguali a seconda degli ostacoli e delle difficoltà che incontravano sul loro cammino ma in modo irreversibile. Lo schema che segue mostra in quali fasi successive l’agricoltura e l’uso dei metalli hanno raggiunto le varie aree del mondo. 

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Come si vede, attorno al 4.000 avanti Cristo  l’Europa Mediterranea e Centrale era stata  conquistata dall’agricoltura  mentre tutte  le  grandi  aree  del pianeta  stavano  ormai  da tempo  sperimentando  le due  nuove  tecnologie, comprese  le  Americhe, l’Africa e  l’Estremo Oriente. L’aumento di produttività in 

campo agricolo,  favorita da  innovazioni  tecnologiche come ad esempio  la  lavorazione dei metalli (5500 a.C., nei Balcani), i sistemi di irrigazione (5000 a.C., Mesopotamia) e la ruota (3500 a.C. Mesopotamia, Cina ed Europa centrale) determina una disponibilità di prodotti alimentari  che  va  sempre  più  oltre  la  capacità  di  consumo  dei  soli  agricoltori.  Queste crescenti eccedenze – come abbiamo visto – possono essere immagazzinate e poi utilizzate per gli scambi commerciali oppure investite per aumentare le superfici coltivabili o lo stock di  animali  domestici.  Tutti  questi  fenomeni,  uniti  all’aumento  di  popolazione  e  alla creazione di eserciti capaci di dominare aree relativamente vaste favoriscono  la creazione di centri abitati sempre più grandi e organizzati, con un tessuto viario regolare, monumenti, funzioni  diverse  a  seconda  delle  zone:  le  città.  I  primi  centri  abitati  con  queste caratteristiche appaiono probabilmente  tra  il 9000 e  il 6500 a.C.  in Medio Oriente, ma  le prime grandi città ben documentate e abitate da decine di migliaia di persone sorgono tra il 3800  e  il  2600  a.C.,  sempre  nell’attuale Medio Oriente  per  diffondersi  successivamente verso oriente, in Pakistan e in Cina. 

La diffusione del fenomeno urbano, cioè la nascita delle città, segue di qualche millennio la comparsa dell’agricoltura. Nella mappa che segue e nella sua didascalia se ne può vedere la progressione. 

 

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Le  città,  a  loro  volta,  sono  la premessa  indispensabile per  la  formazione delle  civiltà, società caratterizzate da grandi dimensioni demografiche e  territoriali ma  soprattutto da stati  potenti  e  ben  organizzati  e  da  una  cultura  sofisticata,  ben  definita  e  duratura  nel tempo. Anche se il concetto di civiltà non è definibile con grande precisione, ci sono molte società  che  nella  storia  hanno  sicuramente  avuto  le  caratteristiche  appena  dette,  basti pensare  all’Egitto  antico,  alla  Cina,  all’Islam,  alla  Roma  antica,  alle  tre  grandi  culture precolombiane.  

Questo rapporto agricoltura > città > civiltà mostra insomma la straordinaria importanza della rivoluzione agricola del Neolitico per le storia dell’umanità. 

Quanto si è detto finora riguardo alla diffusione delle città e alla formazione delle civiltà mostra  oltretutto  come  a  partire  dal  2000‐1500  a.C.  si  viene  costituendo  una  sorta  di “allineamento di civiltà” che va dalla penisola iberica (cioè dal Portogallo) al Giappone e che comprenderà  via  via  l’Egitto  dei  faraoni,  la  civiltà  greco‐romana,  l’Europa  cristiana,  il Mediterraneo  islamico,  l’India,  l’impero  cinese  e  altre  civiltà  tutte  in  rapporti  intensi  e continui le une con le altre nonostante le enormi distanze e le differenze culturali.  

 

In questa ampia cintura euro‐asiatica la nascita di città, di grandi stati e di culture molto sofisticate coincide – come è ovvio, considerato tutto quanto si è detto  ‐ con  la presenza della forma di agricoltura più avanzata: quella con l’aratro, mostrata in marrone nella carta seguente. Città  e  civiltà divengono  infatti  a  loro  volta  efficaci propulsori  e disseminatori dell’agricoltura, dell’allevamento e del commercio nelle aree circostanti. 

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E,  infine,  il  livello  tecnologicamente  più  avanzato  dell’agricoltura  non  può  che corrispondere, nelle aree più fertili, con un’alta densità di popolazione che oltretutto in Cina e in India è rimasta la più alta del mondo fino a oggi. 

 

Col passare dei millenni la potenza economica e militare delle società tecnologicamente più avanzate e dinamiche  finirà col diffondere  l’agricoltura su superfici sempre più ampie del pianeta, relegando i cacciatori‐raccoglitori in aree marginali. Carlo Mario Cipolla osserva come “verso il 1780 quasi tutto il genere umano aveva ormai abbandonato da lungo tempo lo  stadio dell’economia predatoria”. Alle  soglie della Rivoluzione  Industriale,  insomma,  la quasi  totalità  degli  abitanti  della  Terra  vivrà  in  società  agricole  più  o  meno  avanzate tecnologicamente mentre  solo  pochi  gruppi  umani  vivranno  ancora  di  caccia,  raccolta  e pesca anche se in aree di spesso di grandi dimensioni come quelle del Circolo Polare Artico, della Foresta Amazzonica o dei deserti australiani. 

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