ilmedicodifamiglia.altervista.orgdelle storie di polibiodamegalopoli‘-

291
Informazioni su questo libro Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google nell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo. Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico, culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire. Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio percorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te. Linee guide per l’utilizzo Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l’utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa l’imposizione di restrizioni sull’invio di query automatizzate. Inoltre ti chiediamo di: + Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l’uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali. + Non inviare query automatizzate Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l’uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. + Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. + Fanne un uso legale Indipendentemente dall’utilizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di farne un uso legale. Non dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe. Informazioni su Google Ricerca Libri La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri aiuta i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web nell’intero testo di questo libro da http://books.google.com

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Informazioni su questo libro

Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Googlenell’ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.

Ha sopravvissuto abbastanza per non essere più protetto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio èun libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblicodominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l’anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.

Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggiopercorso dal libro, dall’editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.

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1

Page 2: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

13@- ‘ g?

/6le E , ‘

COLLANA

DEGLI

ANTICHI STORICI GREGI

VOLGARIZZATI.

Page 3: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-
Page 4: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

’ LE STORIE ’

' DI'

POLIBIODA MEGALOPOLI

VOLGABIZZATE

SUL TESTO GRECO DELLO SCHWEIGHAUSER

E CORREDATE DI NOTE

DAL DOTTORE I. G. B. KOHEN

DA TRIESTE

TOMO 01‘T170

COI TIPI DI PAOLO ANDREA MOLINA

Contrada de!l’ Agnello , N. 963 ,

1842.

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Page 6: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

DELLE STORIE

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI‘

-<j"_

AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO

I. (I) IL senato, udito che Antioco era divenuto pa

drone dell’ Egitto, (e) e fra poco il sarebbe ‘d’Alessan

dria; stimando spettar alquanto a sè l’ aggrandimento

‘del re anzidetto, creò ambasciadnri Caio Popillio ed al

tri, perché fossero mediatori della pace, ed csaminassero

in generale qual fosse la situazione degli affari. Cosi e

rano le cose in Italia.

I

II. (3) Essendo innanzi all’inverno ritornato Ippia

che Perseo mandato una ambasciadore a (4) Genzio

pell’alleanza, ed esponendo che il re pronto era ad ad

dossarsi la guerra contro i Romani, ove gli fossero dati

trecento talenti, (5) e le convenienti sicurezze circa la.

somma degli afl’ari; Perseo, udito ciò, e giudicando es

serin necessaria la cooperazione di Genzio, elesse Pan

A. di R.

586

Qlimp.

cx.n,4

Amb. go

me. 85

Page 7: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

6

A. di R. tauco, uno de’suoi. principali amici, e spedillo con que

586’ sli incarichi: primieramente d’accordarsi pe’ danari , e’

di dare e prendere il giuramento pell’alleanza; poscia di

procacciare che Gennaio mandasse tosto gli statichi

che piacerebbe a Paulauco, e da sè ricevesse quelliche

Genzio nominati avea nella scritta; oltre a ciò s’accon

ciasse con lui pcl trasporto de’trecento talenti. Pantau

co partitosi incontanente, e giunto in (7) Meteone della

Labeatide c colà abboccatosi con Genzio, subito indus

se il giovine ad accomuuare con Perseo le sue speran

ze. Come prima prestato e scritto fu il giuramento cir

ca l’alleanza, Genzio mandò gli statichi designati da

Panlauco, e seco loro Olimpione per prendere da Per

seo il giuramento e gli statichi, ed alhi che avessero

cura del danaro. Senza che persuase Pantauco a Gen

zio di mandar ad un tempo ambasciadori, i quali in

sieme con quelli ch’erano mandati da Perseo andassero

a Rodo per trattare la comune alleanza. (8) Lo che_fiz

cendori, ed entrando i Rodii pure in questa guerra , i

Romani, asscrì egli, vinti varebbono con grande_fàcililà.

Genzio condiscese a tutte queste richieste, ed eletti Par

menione e Morco spedilli con ordine, che quando a

vessero presi da Perseo il giuramento e gli statichi,

(g) e fossero d’ accordo pe’ denari, andassero in amba

sciata a Rodo.

III. Tutti costoro adunque recaronsi in Macedonia.

Ma (lo) Paulauco, rimase al fianco del re, andavan am

moneudo e punzecchiando, affinché non ritardasse gli

apparecchi, ma fosse pronto a preoccupar i luoghi, le

città e gli alleati, e sovrattutlo chiedeva da lui che pre

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21!

7/

filtrassfl l’occorrevole ad (11) una battaglia navale. Im‘- A. digli.

58perciocclnè essendo i Romani in sifl'atto particolare al

tutto sprovvisti, egli nell’Epiro e nell’Illiria avrebbe di

leggieri mandato ad efi'etto qualsivoglia proponimento

da sé, e per mezzo di quelli che avrebbe inviati. Genzio,

sedotto da questi discorsi, occupavasi nein apparecchi

di terra e di mare. Perseo pertanto, come vennero in

Macedonia gli ambasciadori di Genzio e gli staticbi, par

titosi dal campo circa il fiume Enipco con tutti icavalli,

riscontrò gli anzidetti (1:) presso Dio, e con loro u

nit0si, dapprima prestò il giuramento pell’ alleanza(13) nel cospetto di tutta la cavalleria; perciocchè voleva I

egli che i Macedoni bene conoscessero la società di Gen«

zio, sperando che per siffatta giunta crescerebbe loro

l’animo. Indi ricevette gli statichi, e consegnò i suoi ad

Olimpione, del quali i più illustri erano Limneo di Po

lemocrate, e Balauco di Pantanco. Poscia mandò colo

ro ch’erano venuti pe’danari a Palla, perché colà li pren

dessero. Gli ambasciadori destina-ti per Rodo fece an

dar aTessalonica (14) da Melrodoro, ordinando loro

d’ esser pronti a far vela. (I 5) Persuase così ancor a’ Ro

dii di entrar nella guerra. Poich’ ebbe disposte que‘

ste cose, spedì (16) Crifonte ambasciadore ad Éumene,

ch’ era già stato in addietroa tal uopo mandato; e

. (17) Telemnasto creteSe ad Antioco, (18) esoflandolo a

non lasciarsi sfuggire l’ occasione, e a non credere che

la superbia, ed il duro trattamento de’ Romani a sè

solo giugnerebbono; anzi avesse per fermo, che, (lg) se

ora nol aiutasse, sovrattutto adoperandosi pelle pace,

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8 I

A. di R. e, (no) non riuscendo questa, mandandoin soccorsi, e

586

Amb. 86

Amb. 87 ‘

gli ben presto sperimenterebbe la stessa fortuna.

IV. Essendo annunziati i comizii a Rodo, vinse il

partito cui piacque (2|) mandar ambasciadori pella pa

ce. -Per tal modo decise il consiglio le fazioni contrarie

de’ Rodii (conforme è esposto (2.2) nella raccolta delle'

aringhe): nel quale consiglio apparivano molto più po

tenti coloro che teneano con Perseo , che non quelli

che studiavansi di salvare la patria e le leggi. (22.) I Prita

ni crearono tosto ambasciadori che avean a trattar la

pace, per Roma (24) Agepoli e Cleombroto, al console

ed a Perseo, Demone, Nicoslrato, (25) Agesiloco e Te

lefo. Le (26) c0se che a queste tennero dietro esegui

rono nella stessa conformità, ed accumulando gli errori

si tolsero ogni adito alla scusa. Imperciocchè subito

mandaron in Creta ambasciadori per rinnovare con

(27) tutti i Cretesi 1’ antica amicizia , e per esortarli a

considerar i tempi e le circostanze, a consentire col po

polo de’Rodii,ed astringer seco lega d’ofl‘esa e difesa.

Furon egualmente mandate persone (2.8) nelle singole

città a trattar delle medesime cose.

V. (29) Giunti a Rodo Parmianione e Marco, inau

dati da Genzio, e con e3si Metrodoro, e raccolto il con

siglio, (30) fu la ragunan’za al tutto tumultuosa , osan

do già Dinone' manifestamentedi (3|) parlar lu.favore

di Perseo, e Teeteto col suo partito sbigottiti essendo

di quanto accadeva. Imperciocchè l’arrivo (3,2) delle

barche, e la moltitudine de’ cavalieri periti e la tramu

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379

9

laz'ionedi Genzio gli avviliva. Quindi ebbe la ragunan

za un termine conforme a ciò che dianzi dicemmo;sen

dochè parve a’ Bodii di risponder amichevolmente ad

amendue i re, e di far loro a sapere, come avean riso

luto di (33) procacciar loro la pace; onde ammonivanli

vi dessero opera essi ancora. Furon eziandio gli

ambasciadori di Genzio accolti e pubblicamente spesati

con molta cortesia.

(35) Polibio nel libro vigesimo nono dice, che Gen

zio re degl’ lllirii menò , perciocchè molto bevea, una

vita assai facinorosa , essendo. sempre notte e giorno

avvinazzato: ed ucciso avendo il fratello (36) Pleurato ,

che dovea sposare la figlia di Menunio , sposò egli la

fanciulla, e crudelmente trattò i sudditi.

_ \

VI. I Roma|ni,(37) per la possanza della rotella, e

degli scudi ligustici fatti di cuoio , valorosamente resi

stavano.

(38) Il primo fra quelli ch’erand presenti, Nasica

cognominato Scipione, genero di Scipione Africano, il

quale in tempi posteriori moltissimo valse nel senato ,

si assunse dicondnrre l’accerchiamento. Il secondo Fa

bio Massimo, figlio maggiore d’ Emilio, ancor giovinetto,

rimossi, alla stessa fazione dichiarandosi pronto. Di ciò

rallegratosi Emilio , diede loro soldati, (39) non quanti

riferisce Polibio, ma quanti lo stesso Nasica dice d’aVer

ricevuti, nella lettera che intorno a questi avvenimenti

scrisse ad uno de’ re . . . A,Perseo pertanto, il quale

A. di a.

586

Ateneo

I. K, c. Il

Suida

alla voce

Héfful

Plutarco

nell’ E

milio

Paullo

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10

A. di R.

586

Suida

alle voci

n . A a i

xuis

Suida

alle voci

041.72

e

' A v9upcc

Anysin.

Suir1a

alla vnt‘8

' A era da:

Al’a’.

vedeva Emilio starsi tranquillo alla campagna, nè avvi

savasi di ciò che accadeva, un disertore cretese fuggi

to dalla strada venne significando il giro che facevan i

Romani. Egli turbatosi, non mosse tuttavia l’esercito ,

ma consegnati a Milone diecimila mercenarii e due mi

la Macedoni spedilli, ingiugnendo loro d’accelerare i

passi e di occupare i boschi. (40) Su costoro dice Po

libio, che piombaron i Romani, mentre ancor dormiva

no; ma secondo Nasica avvenne un fiero e pericoloso

combattimento circa le vette de’ monti.

Eclissando la luna (4|) sotto il regno di Perseo il

Macedone , invalse nel volga la fama che ciò denotava

l’eclissamento del re. La qual cosa aggiunse animo a'

Romani, ed avvili i Macedoni. Tanto è Vero il prover

bio comune: che nella guerra v’ha molti (4a) spauracchi.

(43) Il console Lucio Emilio, non avendo mai vedu

ta una falange, se non se allora la prima volta sotto

Perseo, sovente confessò di poi ad alcuni in Roma,

ch’egli non avea veduto niente di più formidabile

e potente che la falange macedoniea: sebben’egli non

solo di molte battaglie quant’ogni altro fosse stato spet

tatore, ma molte ancora ne avesse dirette.

Perseo, avendo un solo proponimento, o di vinccr

o di morire, non gliene bastò allora l’ animo, ma

(45) avvilissi, non altrimenti che (46)i cavalieri mandati

innanzi per ispiare.

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di?

I I

Perseo, impiegato avendo tempo e fatica, cadde al

tutto d’animo, conforme fanno gli atleti mal dispo

sti; perciocchè allorquando (48) avvicinavasi il pericolo,

e d0veasi venir a battaglia decisiva, non gliene bastava

il cuore.

Il re de’ Macedoni, siccome dice Polibio, incomin

ciata essendo la pugna, avvilitosi, se ne cavalcò in cit

tà; fingendo di sacrificar (49) ad Ercole , il quale non

accetta (50) da vili sacrificii di viltà, né voli ingiusli a

dempie.

VII. Allorquando Perseo sconfitto se ne fuggì, piac

_ que al Senato di chiamar a sè (51) gli ambasciadori ve

nuti da Rodo per procacciar la pace a Perseo, mentre

che la fortuna come a bello studio traeva in iscena

(52) la stolida superbia de’Bodii, se pur dee dirsi de‘ Ro

dii, e non di quegli uomini che allora preponderavano in

Rodo. Entrato che in (53) Agepoli co’suoi colleghi dis

se, esSer venuto per negoziar la pace; dappoichè il po

polo rodio era entrato in questo pensiero, veggendo

che la guerra andava in lungo, e che (54) a tuttii Gro

ci (55) dannosa riusciva, ed agli stessi Romani palla

grandezza delle spese, ma ora essendo la guerra finita

(56) secondo il desiderio de’ Rodii, c_ougratularsi seco

loro. Agepoli, poich’ebbe detto ciò brevemente, (57) se

ne andò co’suoi compagni. Il senato, valutosi dell’oc

casione, e volendo statuir un esempio ne’Rodii, (58) die

de fuori una risposta, gli articoli principali della qua

le sono questi: Non aver i Rodii mandata quest’ amba

J. di R.

586

Suida

alla voce

anlx

loihles

Plutarco

nel

Paullo

Emilio

Amb. 88

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la

A. di R. sceria per amore de’Greci, né di sé, ma di Perseo. Im

586

Ama 89

perciocchè se l’avessero fatta in grazia de’ Greci, il

tempo più opportuno stato sarebbe allorquando Per

seo guastava la campagna e le città de’ Greci, osteggiau

do in Tessaglia pressoché due anni. (59) Ma l’aver tras

curato quel tempo, ed esser ora venuti\studiandosi di

conciliar la pace, mentre le nostre legioni arcano invasa

la Macedonia, e Perseo rinchiuso avea pochissima spe

ranza di salvezza, manifesto rende a chi diritto mira ,

come avean mandate le ambascerie , non con animo di

trattare la pace , ma per disbrigare Perseo e salvarlo,

secondo la l0ro possa. (60) Per le quali cose dissero,

non esser al presente obbligati nè di beneficarli, né di

dar loro benigna risposta. In siffatto modo il senato tral

tò cogli ambasciadori ,de’Rodii.

VIII. Essendo nel corso dell’inverno venuti' nel Pe

loponneso ambasciadori da (61) amendue ire Tolemei

per aiuti, si fecero molte consultazioni, in cui v’ebbero

molte gare. Imperciocchè a Callicrate, a (62)_Diofanfi,

ed insieme ad (63) Iperbato non piaceva che si dessero

soccorsi; ma ad (64) Arcene, a Licorta ed a Polibio pia

ceva che a’ re si dessero secondo la vigente alleanza.

lmperciocchè allora Tolemeo minore era stato dal volg0

dichiarato re, (65) ed il maggiore, per cagione dell’im

minente pericolo ritornato da Menfi, regnava insieme col

fratello. Ed abbisognando essi d’ogni maniera d’aiuti,

spedirono ambasciadori Eumeue e Dionisodoro agli A.

chei, chiedendo mille fanti e dugento cavalli, ed a duce

di tutte le forze alleate Licorta, e della cavalleria Poli

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x3

bio. A Teodorida da Sicione mandarono,invitandolo ad A. di Il.

assoldare mille stranieri. Ed aveano per avventura i re

maggiore famigliarità colle persone anzidette (66) pelle

gesta di cui abbiam parlato. Venuti gli ambasciadori,

mentrechè il congresso degli Achei era in Corinto,

(67) e rammentati avendo i grandi beneficii della casa

regia verso di loro, e posto sott’occhio l’infelice stato

de’ re, e richiedendoli d’ aiuti, era la moltitudine degli

Achei pronta a combattere non con una parte delle

forze, ma con tutte eziandio , ove fosse stato mestieri,

in favore de’re: (68) (ché amendue aveau il diadema e

la potestà regia). Ma Callicrate ed il partito di lui vi si

opposero dicendo, non dovere generalmente gli Achei

(69) mescolarsi negli affari altrui, e sovrattutto ne’ tempi

presenti, ma tenersi liberi da ogni distrazione, affine

di prestar i loro servigi a’ Romani. Imperciocchè allora

principalmente aspettavasi la (70) battaglia decisiva, sver

nando Quinto Filippo in Macedonia.

IX. Essendo pertanto la moltitudine caduta nel

dubbio di apparir poco curante (le’ Romani, Licorta e

Polibio , ripreso il discorso la istruirono, e molte cose

adducendo rammentarono , come (7|) 1’ anno addietro,

avendo gli Achei decretato di soccorrere con loro sforzo

i Romani, e mandato Polibio ambasciadore , Quinto,

aggradito il loro buon animo , disse , non aver bisogno

d’ aiuti, dappoichè avea superato l’ingresso in Macedo

nia.Donde dimostrarono esser mero pretesto il se'rvigio

de’ Romani, affine di far sospendere gli aiuti. Il perché

esortavano gli Achei,‘ dimostrando la grandezza del pe-'

ricolo, in cui allora trovavasi il reame, a non 'negligere

586

Page 15: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

14

A. di R. l’ occasione, (ya) ma ricordandosi delle convenzioni e

586

4

de’ beneficii, e sovrattutto de’giuramenti, a serbar i

trattati. (73) Esponendo di bel nuovo la moltitudine u

nanimamente la opinione che si soccorresse, Callicrate

(74) sospese la deliberazione , spaventando i magistrati

con dire che non aveano facoltà secondo le leggi di

consultare (75) in p0polare ragunanza intorno agli aiuti.

Dopo qualche tempo raccoltoài il senato in Sicione,

a cui intervenne non solo il (76) consiglio, ma tutti da

trent’ anni in su, ed essendosi fatti molti discorsi, e con

fermando singolarmente Polibio , primieramenle che i

Romani non avean bisogno d’ aiuti (Io che egli sembrava

non dire gratuitamente, essendo (77) nella passata stagio

ne stato in Macedonia (78) presso Marcio Filippo), in

secondo luogo dicendo, che ove i Romani bisogno aves

sero di forze ausiliarie, gli Achei per cagione di dugento

cavalli e mille fanti che manderebbonsi in Alessandria,

non sarebbero nell’impossibilità di soccorrer i Romani,

dappoicllè (79) giustamente valutate sommavano le loro

forze trenta ed anche quaranta mila combattenti: la

moltitudine approvando questi detti inclinava al mandare

soccorsi. Il giorno appresso, in cui secondo le leggi

(80) i consultori propor doveano i decreti, Licorta propo

se, che s’avessero a mandare gli aiuti, e Callicrate che si

dovessero spedir ambasciadori per riconciliare i re con

Antioco. Ed essendo di bel nuovo recate innanzi queste

deliberazioni, nacque una gagliarda contesa; ma il par

tito di Licorta. era molto superiore. Imperciocchè con

frontati (81).i due regni, trovassi che grandemente dif

ferivano. Conciofosscchè sotto quello dl Antioco scarse

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15

prnove _di famigliarità co’ Greci si riuvenissere ne’ tem- A. di R.

pi addietro (sebbene quegli che allor regnava era ma- 586

nifestamente generoso verso i Greci )', ma dal regno di

Tolemeo tali e tante beneficenze ridondareno 3in A

chei ne’ tempi passati che (Sa) a nessuno più. Le quali

cose Licorta condegnamente sponendo diede lor grande

spicco; che dal confronto perfettaente risultava la diff

ferenza. Imperciocchè, siccome facil non era ,d’ annove-_

rare i beneficii de’ re d’ Alessandria, cosi non p0tea tro

varsi alcun tratto di henignità nel regno d’Antioco,

donde agli affari degli Achei derivasse qualche ragione.

vele, vantaggio.

X. Continuarono per qualche tempo (83) Audronida Amb. 9|

e Callicrate a discorrere sulla mediazione della pace; ma '

non dando ad essi nessuno retta, introdussero un’ astu

zia. Venne dalla strada nel teatro un corriere con una

lettera da Quinto Marcio , per mezzo della quale esor

tava gli Achei, che seguivano la volontà de’Romani, ad

ingegnarsi di pacificar i re. Imperciocchè avea il senato

ancora mandati ambasciadori con (84) T. Numisio per

conciliare celeste pace. Ma era ciò (85) contro la loro

supposiziene; dappoichè Tito, non avendo potuto rap

pattumar i re, ritornò a Roma seuz’ aver operato nulla.

Polibio pertanto, non volendo per rispetto di Marcio

contraddir alla lettera, (86) si ritrasse dagli affari. Cotal

esito ebbe la discussione intorno aglijajuti da mandarsi

a’ re. Ma agli Achei piacque di mandar ambasciadori'

per trattare la pace, ed a questo effetto elessero Arcene

da Egira, Arcesilao ed Aristone da Megalopoli. Gli am

‘ basciadori(87) di Tolemeo, delusi del soccorso, diedero

Page 17: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

16 ‘

A. di a.

586

me. ga

a’ magistrati una lettera de’ re che tenevano pronta ,

nella quale chiedevan agli Achei di mandar loro Licorta

e Polibio per la presente guerra.

XI. (88)Esseudo venuto Antioco a Tolemeo per

ottenere Pelusio, Popillio duce supremo de’Romani,

al re che il salhtava da lontano colla voce, e‘ stendea

verso di lui-la destra , porse la tavoletta ch’egli avea

nelle mani, nella qual’era (89) scritto il decreto del sena-'

to, ed ordiuògli innanzi ogni cosa di leggerla, (go) sde

gnando, secondochè io credo, di dare il segno d’ami

cizia , avanti di conoscere l’Inteuzione di colui che gli '

porgeva la destra, se amico era od inimico. Poiché’il re,

avendo letto, disse, che volea consigliarsi coin amici su

cotal novità; Popillio, ciò udito, fece una cosa, che seto

brava, a dir vero dura e superbissima. Iniperciocchè a

vendo la mano una bacchetta di vite , circoscrisse con

quella Antioco , ed in cotesto circolo gli comandò di

dare la risposta intorno allo scritto. Il re attonito del

fatto e della superchierìa, stato alcun poco sopra di sé,

disse, che farebbe tutto ciò che fosse comandato da’ Ro

mani. (92) Allora Popillio ed insieme coloro ch’erano

seco, presa la sua destra, il salutarono amichevolmen

te. Era il tenore dello scritto, che subito ponesse fine

alla guerra con Tolemeo. Dategli adunque il termi

ne d’alcuni giorni, Antioco condusse il suo eserci

to (93) in Siria, dolente e gemeboudo si , ma cedendo

frattanto alle circostanze. Popillio, com’ ebbe riordinate

le cose d’ Alessandria, ed esortatii re alla conCordia,’

cd imposto loro ancora di mandare Poliarato in

ferri a Roma, navigò alla volta di Cipro, volendo quanto

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I7

prima cacciare dell’isola le forze d’Anlioco che vi era- J. di 15‘.

no. Giunti colà, e trovatii capitani di Tolemeo sconfitti

in battaglia, (95) e tutto Cipro a soqquadro, fece subito

uscire l’ esercito da quel luogo , e vi rimase stanziato,

finché le forze salparono palla Siria. I Romani per tal

modo salvarono il regno di Tolemeo, che per poco non

era (lisfatlo; governaudo cesî la fortuna gli affari di Per

Seo e de’ Macedoni, che Alessandria e tutto l’ Egitto

venuti essendo nell’ estremo pericolo, raddrizzaroasi di

bel nuovo per ciò appunto, che antecedentemente com

piuto era il destino di Perseo. (96) Che se ciò non fosse

accaduto e fattosi noto, a me non sembra che Antioco

ubbidito avrebbe a’ comandamenti ricevuti.

FINE DEGLI AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO.

roumo, (0m. ruz. . 2

586

\

tN"

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253

SOMMARIO

AGLI AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO.

Arr.uu o’ ITALIJ.

IL senato romano manda C. Popillia ambasciad0re in E

gitto (S I).

Gonna PERSICA.

Trattato di Perseo con Genzio(S II-III). - Ambasceria di

Perseo a’Rodii - ad Eumene - ad Anlioro III). - I Rodii

mandano ambasciarlori a Roma ed a Perseo con animo di con

ciliare la pace - ed a’ Cretesi per rinnovare l’amicizia (5 IV). -

Gli ambasciadori di Perseo e di Genzìo arrivano in Rodo (5 V). -

Scudo ligure. - Scipione Nasica discente da Polibio secondo

Plutarco. -Eclisse lunare. - Emilio attonito della falange maccdonica. - Perseo dà le mosse Val/a fuga. (5 VI). _- Asluta

nrnbasceria de’ Rodii mandato a vuoto dal senato romano (S VII).

Jr‘rdnl n’Ecn-ro s m SUI/4.

Due fratelli Tolemei regnano contemporaneamente in Egit

to. - Chieggon aiuti dagli Auliei. - Questi deliberano. - Cul

licratc dissuade (S. VIII). - Livorta e Polibio persuadono. -

Gli Aclttl dfli:riscono di parere circa l’aiuto da mandarsi a’

Tolernei (S IX). - T. Numisio nmbasciudore a’ Tolemei e ad

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20

Jntioeo. - Gli Achei mandnn ambascindori per rappottumare

i re. - I Tolemei chieggano Livorta e Polibio a condottieri

del? esercito (S X). - Popillio confina Antioco in un circolo.

Antioco abbandona l’Egitto. - Popillio scaccia da Cipm le

forze d‘Antioco. - L’ Egitto conservato a’ Tolemci da’ Romani

(S Xl).

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h“

’-ès

ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LlBRO VIGESIMO NONO.

-_Qflc’

Continua in questo libro la narrazione della guerra de’ Ro

mani con Perseo sino alla sua fine. Se non che tranne l’ alleanza

che fece questo re con Genzio innanzi d’ entrare nell'ultimo ci

mento, tutto il resto può considerarsi perdute, ben poco essendo

ciò che Ateneo e Plutarco nell' esporre i fatti a cotesta guerra

appartenenti attribuiscon a Polibio. Intorno all’epoca di questi

avvenimenti veggasi l’ introduzione alle note del libro xxvm.

(1) Il senato ecc. Che Polibio incominciasse la storia di cia

scbednn anno degli avvenimenti d’Italia, siccome pretende lo

Schweigh., non apparirà vero a chi si porrà ad esaminqri libri

che di lui ci sono pervenuti intieri; dappoichè negli altri, de’quali

non abbiamo che frammenti più o meno ragguardevoli, manca

sovente la relazione delle geste che al principio del libro corri

spondono. E male, cred' io, si appoggia quel commentatore, per

provare la sua asserzione, a quanto scrisse il Nostro verso la fine

del lib xxvm, c. 14. Imperciocchè la sposizione delle dicerie

dein ambasciadori e delle risposte ch’ ebbero avanti d’ indi

rare la loro elezione e spedizione, conforme colà leggcsi, di

mostra bensi che le pratiche del senato romano, dove quelle di

cerie e quelle risposte si pronunziarono, ai narrassero anterior

mente agli affari dc' paesi che ambasciadori a lui mandavano ,

- ma non altrimenti che la storia dell’anno sempre incominciasse

I

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22

da’ fatti in ltalia accaduti. Alla nomiuazione di Popillio e degli

altri ambasciadori ad Antioco, che furono C. Decimin e C. Osti

Iio, tengono tosto dietro in T. Livio (xx, lv, ao) l’arrivo de’le

gati dalla Macedonia, annunzianti la cattivaposizione dell’eser

cito romano e la spedizione aqnclla volta del console L. Emilio

con un giusto esercito, e di Cn.0ttavio colle forze navali; poscia

seguono, quei fatti contemporanei a quelli d' Italia poc' anzi rac

contati, le cose elle nel prossimo capitolo espone il Nostro. Quindi

bene fece lo Schweigb. a trasportare qui la presente ecloga dal

luogo che assegnato le aveano gli editori che lo precedettero.

(a) Efra poco. Vedi xxvm, 18.

(5) Essendo ecc. Ciò che manca al compimento di questa nar

razione puossi ripetere da Livio (xuv, 13 e seg.) e da Appiano

(De reb. Maced.fragm. xvn) , donde Ù maggiormente apparisce,

aver Perseo per avarizia precipitati i suoi affari; dappoichè coi

danari non solo indotto avrebbe Eumene a non prestar in quella

guerra soccorsi a’ Romani, ma avrebb’ eziandio aggiunto al suo

esercito un notabile rinforzo di Galli abitanti nella Gezia apiede

ed a cavallo. Perfino de’ trecento talenti, che per patto sommi

nistrar dovea n Genzio, non esborsò egli che dieci, trattenendo i

rimanenti come vide che quel re incominciata ebbe la guerra coi

Romani, imprigionando gli ambasciadori che questi avean a lui

mandati.

(i) Gensio. È singolare, conforme osservò già lo Scbweigh., che

in Polibio ed in Appiano trovasi questo nome costantemente scritto

col 5, quando Livio lo scrive dappertutto col 1', sebbene il th e

sprime sempre nell’ idioma latino quella greca consonante. Forse

non Vollc Livio deviare nella scrittura di questo nome proprio

da quella degli altri latini che hanno la medesima desinenza,sic

come Mezentiur, Prudentius. '

(5) E le convenienti sicurezze. Queste erano gli statichi ed il

giuramento. La somma poi degli affitti comprendeva gli articoli

della convenzione, nè veggo col Reislte il bisogno di mutare qui

l'iAìv in iz'Mtuv, quaaichè Genzio chiedesse mollevcria pe’ri

manenti danari che non avea per anche ricevuti. Qui lrattavasi

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661

23

soltanto della stipulazione dell'accordo, non già della consegria

de’ talenti che seguir dovea poscia in Palla.

(6) Che Genzio mandasse ecc. Livio dice: U! 0bst'des ul

tra citroque darentur (che si dessero staticbi dall’ una parte e

dall’altra), omettendo la circostanza notata da Polibin, che darsi

dovessero tali che a'plenipotenziarii di Perseo ed a Genzio pia

cessero maggiormente, donde procedeva sicurezza più valida a

gl’ interessi d’ amendue. In generale è più estesa la relazione che

dà il Nostro di questo trattato che non quella che ne lasciò lo

storico romano.

(7) Meleone della Labiatìde. Era questa provincia illirica,se

condo Plinio (m, 25, no), una di quelle che avaauo città greche,

e tale sembra essere stata la qui mentovata i cui abitanti altrove

(n, a) il Nostro appella Medionii. Veggasi intorno ad essa colà la

nota 6. L’ Orsini vorrebbe che, seguendo Livio1 si leggesse Ille

deone, e si riferisce alla scrittura eguale di Plinio nel luogo ci

tato, dove pertanto non trovasi rammentata cotesta città.

(8) Lo chefacea ecc. Hanno più efficacia presso Livio le pa

rnle di Pantauco, autore dell’ambasciata da farsi a’ Rodii: Po

tersi, gli fa quello storico dire, incitar i Rodii alla guerra in

nome de’ due re uniti. .lggiunla la costoro repubblica,che sola

possedeva la gloria delle cose navali, nèper terra,nè per'mal‘e

rimarrebbe a’ Romani speranza alcuna.

(g) Efosscro d' accordo pe' danari. Secondo Livio (xuv, 03)

non dovean essi andar a Rodo prima d’aver ricevuti i danari:

et pecunia accepta, tam demum Rhodum proficisrerentur. L’ac

cordo pertanto del quale qui ragionasi non 5’ aggirava sulla som

ma da pagarsi, cb’ era già stabilita in trecento talenti, ma_ sul

modo del pagamento. Infatti giunti gli ambasciadori in Pella ,

coqvennero con Perseo di coniare 1’ 0:0 pattuito, ol' argento che

fosse, coll’ impronta illirica, lo'cbe fu loro dal re conceduto;

quantunque poscia gl’ingannasse, mandando a Pantauco rimaso

presso Genzio soli dieci talenti, perchè glieli conscgnasse, e fa

cendo portar loro dietro il resto della moneta sino a’confmi

della Macedonia, dove ordinò che si fermasse sino a nuova sua

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24 , _

't‘“.‘;--______

disposizione, conforflme riferisce Livio al cap xxvu dell’ indicato

libro. ‘

(io) Ma Pantauc0. Allorquando costui instigava Genzio ad

operare con efficacia contro i Romani, gli ambasciadori ritornati

dalla Macedonia non arcano per anche consegnata a quel mini

stro di Perseo la piccola somma della quale di sopra parlammo,

ma continuò egli le stesse pratiche eziaudio dopo la sordida a

zione, ed il re d’ llliria, non si tosto ebbe commesse le prime

ostilità, che defrautlato fu dall’avaro Macedone di pressoch‘e tutta

la somma pattuito.

(il) 1411 una. battaglia navale. Quantunque gl’ Illirii non si

cimentasscro co' Romaui ad una battaglia di mare, abbiamo ciò

non pertanto da Livio (xxrv, So) che Genzio per suggerimento di

Pantuuco mandò ottanta navi a guast'ar i campi situati sulla co

sta di Dirrachio c d‘ Apollonia, città alleate de’ Romani. Le quali

navi soprapprese dall’ armata romana a questa si art‘eudettcro.

(1'!) Presso Dio. ll testo ha in 7‘. Ai’u, quasichè propria

mente nella città di Dio fosse avvenuto lo scontro. Livio pertanto

scrisse ad Dium, cher\corrisponde a presso, verso, e lo Selxw«:igh.,

cita nel dizionario Polibiano parecchi passi del Nostro ne’ quali

in coll’ accitsativo del nome che segue ha il significato di npc.

Che se dentro a Dio si fossero raggiunti i Macedoni o gl’ lllirii,

conveniva forse porre 'u 7; Ai', (lat, in Dio Ma dove, sic

come qui e negli altri luoghi rammentati dallo SeltWeiglt., bassi

ad esprimere moto, non disdicesi la frase dal Nostro usata. Così

leggesi in Senofonte (Cyrop. vu. 5, 41): trafîv ìn7à èu7‘o zaftlor,

venne nello stesso lungo.

(13) Nel cospetto. Livio amplifica la cosa, facendo circondare

la comitiva dalla cavalleria che il re Non seco, circumfuso ag

mt'ne equilum,‘ e forse la faccenda Sarà stato cosi, dappoichè la

ristrettezza dello spazio, a cui per formare circolo (l0\'(‘uSl ridurre

quella milizia, era più a proposito perché tutti vedessero bene ed

udissero ciò che operavasi c parlavasi, che non la posizioneschierata. i

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25

(14) Da Metrodoro.Fu costui. a detta di Livio, poc’ anzi manda

Io in Tessalonica per autorità di Diuone e Poliarato (intorno a' quali

ragioni) il Nostro nel c. 6 del lib- xxvn), principali della fazione

favorevole a Perseo presso i l\odii, affinché annunziasse essere i

suoi concittadini apparecchiati alla guerra. Gli ambasciadori illi

rici imbarcaronsi seco lui, che fu loro dato a capo, nell’anzidetta

città. marittima. ‘

(t5) Persuàse eziandio a’Rodii ecc. Dopo ciò che Metrodoro

ebbe annunziato a Perseo circa la disposizione de’ suoi concitta

dini -ad unirsi con lui contro i Romani, non facea mestieri di

siffatta persuasione. Io pertanto non credo Collo SchWeigh., che

queste pa_role sicno anticipate da quanto segue, ed un’ abbrevia

zione fatta dal compilatore; sembrami anzi che una menda più

significante vi sia uasi:osa. Forse scrisse Polibio, che Perseo avea

ordinata la pronta partenza degli ambasciadori, posciachi: udì da

liletrndoro che i Rodii persuasi erano alla guerra, ed in tal caso

sarebbe da leggersi: ’t'a-u7m (facilmente scambiato per ‘e'xlm)

nati 70i15 'PsrÌ/ifi îiuufl d'uliptfiat'rlfl (in luogo di tru,u,Bdt'rln

già corretto dallo Schweigh.,) 'u: 7‘" z.Aepu (poiché udì ch’cn

ll‘ereblwno nella guerra).

(16) Grifonte. Eroponte (Eropon) il chiama costantemente Li

vio (xuv,‘ 24. 27, 28), che il Crevier la prima volta, avendo pre

sente la scrittura del Nostro, mutò in Crifonte (Cryphon). Il

lìeiske, non so perchè, propose 'HpaQiiflu (Erofonte), Xm,o@iflu

(Gherofonte), ovvero Kpmpu7nv (Cresfonte). Ad ogni modo dee

tenersi la lezione di Livio, o quella del Nostro.

(l7) Telemnasto. Se questi fosse il medesimo che trenta e più

anni prima, duce essendo di cinquecento Cretesi, prestò agli Achci

utili servigi nella guerra contro Nabide (xxxm, 15) è difficile a.

dirsi.

(t8) Esortandoli. Questa parola che ho aggiunta al testo:

ed a cui corrisponde il monens dello Schweigh., non esprime già il

nn'lifm‘ che lo stesso trar vorrebbe dal periodo anteriore, a meno

che non vi si aggiunga iurii'r (ordinando che dicessero), od altro

\

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26 _ _

verbo simile. È più probabile che Polibio scritto abbia 7rspnu

Aiuuv.

(19) Se ora. Sembrb il testo imperfetto al Rciske. il quale a

in fai) mi 16: aggiunse 37;, che non hassia rigettare, comechè

non sia necessario. Se ora pure ,- se ora finalmente suonerebbc

in italiano la frase greca con siffatta giunta.

(no) E non riuscendo questa. S’ inganna lo Schweigb.,sti

mando qui superflua la particella negativa fasi, che manca nel cod.

Bav. I testi d’0mero da lui citati dimostrano bensì che all”n 5‘:

si può sottintendere fiiuAs'lm ovveramente 9iAn; ma a que

sto luogo non si adatta punto siffatta frasc- Perseo avrebbe in tal

senso mandato dicendo ad Antioco, ch’ egli si adoperasse per la

pace, e se vonasse gli spedisse soccorsi. Chi non vede come il

buon successo della prima di queste proposizioni escluder dovea

il bisogno dell'altra? Piuttosto sembrami che abbiasi a supporre

dopo si di [là la mancanza di dóm'lzs, se non può conseguire

la pace, se non gli riesce d’oltenerla.

(ai) Mandar ambasciazlori per la pace, « cioè per la pace

da stabilirsi trai Romani e Perseo, la qual cosa tentarono già di

trattare co’ Romani nell’ antecedente ambasciata. n Scl!Weigh.

Confronta su ciò il cap. |4 del lib. xxvnr e colà la nostra an

notazione 107.

(un) Nella raccolta delle arringhe. Siccome per ordine di

Costantino Porfirogeneto furon estratte le ambasceriee gli esem

pli di virtù e di malizia contenuti nelle storie del Nostro edizi

tri, così sembra che fossero raccolte le scelte orazioni tenute al

popolo, Aspoyspiei, tra le quali, se fossero a noi pervenute, sa

rebbono tutti i discorsi che in quella occasione si fecero nel con

siglio de’ Rodii. Bene osservò dunque il Reiske, che le parole

',qui addotte non sono di Polibio, ma del suo compendiatore, il

quale avverte d’aver omessa una parte delle parole del Nostro,

che contenute sono nella summentovata raccolta. Il Casaub. tra

duce questo passo per modo, che credersi dovrebbe avere scritto

Polibio un trattato. sulla maniera d’ arringar il popolo. Sicnt (li

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97

rlum est, sono sue perde, quum de more conciones ad popu

hmr habendi agerefitus.

(‘13) I Pritani'. Di questo maestrato supremo de’ Rodii tro

vasi fatta menzione in varii luoghi dl questa storia. Sembra clic

ciaschedun anno due ne fossero nominati, ma che un solo ne fosse

in carica ogni semestre (xxvn, 6). Negli affari più importanti è da

supporsi che amendue si adoperassero, conforme veggiamo che

qui accadde.

(24) Agepoli e Cleombrolo. Lo Schwigh. trovato avendo nel

suo cod. Bav. Jr‘a m; KAsu’pfipo'luit: luogo di sul KA. credette che

quelle voci insignificanti fossero le tracce del nome (1’ un terzo amba

sciadore che fors'era secondo lui Au'yiur (accus. Auy€n;) dappoichè

avendone i Rodii mandati quattro al console ed a Perseo, ei si

conveniva pure che ne inviassero tre a’ Romani, dove già in ad

dietro n’ ebbero spedito un egual numero. Io non sono di cotal

avviso; giacché, se quelle due storpiature del cod. Bar. fossero

avanzi d’ un nome, svanirebbe il sul copula premessa sempre a cia

scbeduno degli ambasciadori. Nè sarebbe stata men onorevole

l'ambasceria destinata per Roma, composta di due soliindividpi,

quando nell' altra n’erano quattro, che pure come doppia dee

considerarsi, incaricata essendo di trattare col re di Macedonia ed

insieme col console romano. Livio che sorpassa quest'ambasce

ria, o la cui relazione su tal avvenimento andò smarrita, siccome

è più probabile per le molte lacune che trovansi in questa parte

della sua storia, Livio, dissi, non può recat‘ alcuna luce alpresente

luogo. '

(25) Jgesiloco. Intorno a questo nome veggasi la nota II?)

al lib. xxvm.

(26) Le cose cc. Il 7o'o7,u vulgata è certamente uno sbaglio; ma

non v’ha ragione di sostituirvi7éflu; proposto dal Reiske, anzi.

che 7a'u7m prescelto dall' Orsini, sendochè il Nostro fa regger

all'iiiî; promiscnamente il secondo ed il terzo caso. Se non che

stimando il Beiske e lo Scbwigb, che 7) vv'llzI-i sia una ripetizione

inutile dell’iiîîs che il precrde, diedero all’l2îr il significato di dei/1

_Z‘Ì)

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28

de (poscia); ma non parmi che con siffatta mutazione di senso

abbiau essi migliorata la condizione del testo, che suonerebbe:

Pescia le cose seguenti eseguimno, accumulando ec ; a nulla dire

che lo Schweigh. ne devio nella traduzione scrivendo: Secundum

haec etiam reliqua convenienler istis adminislrarunt. Il qual

conqenienter islis, lasciando 'iEîr in qualsivoglia de’ due sensi

accennati, non trovasi nel greco. Il perché io vi sostituirei '0'pollr,

che molto bene terrebbe dietro a ro’vrg 6‘ comechè diverso dal

vocabolo de’libri che in nessun modo può tollerarsi.

(27) Tutti i Cretesi. Sebbene riscontrasi in più luoghi del

-Nostro il Kpflmais che qui leggasi in vece di Kpfllz; da K,Qlis;ciò

non pertanto non mi dispiace il suggerimento del Reiske di leg

gere flémpq'luf, siccome trovasi Ilariavts, erzzauai, 114,430

1070l, tutti i Ionii, tutti gli Achei, tutti iBeozìi ch’ erano can

federazioni da varii stati composte.

('18) Nelle singole città. Di Creta, secondo il Beislte, essendo

l’ambasceria testé mentovata diretta a tutti i Cretesi in generale:

'provvidenza in quell'isola necessaria, dappoichè, conforme abbiam

giù altrove osservato,i singoli stati non erano gran fatto subor

dinati alle decisioni de’congressi generali.

(29) Giunti a lindo cc. Dice Livio (xuv, ‘29) che all’arrivo

de’ legati macedoni ed illirii aggiunse autorità presso i Rodii la

contemporanea comparsa di quaranta barche maccdoniche, vaganti

per le Cicladi e per il mar Egeo, e la unione de' due re Perseo

e Genzio, e la fama d’ un grande sforzo di fanteria e di cavalle

ria de’ Galli che venivano. ‘

(So) Fu la ragunanza. Brevcmente si spaccia Livio dal ri

sultato di questa conferenza, taceudo i particolari qui addotti dal

Nostro che vi ebbero tanta influenza. ‘

(5|) Di parlar in favore di Perseo. Ai7€n 724 705 flipflnr

è propriamente esporre cose tali che persuadann al consiglio le

ragioni di Perseo; nel qual senso di persuasione trovasi in Se

noi'onte (Cyrop. Il, 4, t7) KniAàrnu Aiyur, ottime cose mi per

snodi.

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29

(5a) Delle barche di Macedonia poc’ anzi rammentato. - De‘

cavalieri periti, cioè de’ Romani uccisi nella battaglia equestre

vinta da Perseo. - La tramulazione di Genzio, il quale dapprin

cipio ricusava l’alleanza di Perseo contro i Romani.

(35) Di procacciar loro la pace. Con ragione 1’ Ernesti ri

ferisce ’iu707; (loro) a’ due re (7ai; ,BanAiuw), per modo

che ne risulta il senso che noi abbiamo espresso. Infatti ò’mìiónv,

‘che qui è nel modo attivo, non può stare senza la persona a cui

dirigesi l’azione; laddove quando è assoluto trovasi nel medio

(dm7uia9m). 'Oltrechè in tal ipotesi non è necessaria la traspo

sizione di parole (utipfiu7or) che piace allo Schweigh. di ricono-’

scer in questo luogo (323n7m u'tl7oî; 6mM’m: in vece di 623.

anni. éu7n'ic).

(54) Gli ambasciadori di Genzio. Vorrebbe il Reiske che a

costoro si aggiugnessero anche quelli di Perseo; ma egli a mio

parere s' inganna. giacché dal principio del capitolo scorgesi che

gl’ inviati soli di Genzio erano giunti a Rodo con Metrodoro,

venuto a Tessalonica per imbarcarli. Perseo non aveva altrimenti

bisogno di mandar ambasciadori a’ Rodii, poichè riseppe da Me

trodoro ch’ erano disposti ad entrar in guerra do’ Romani. V. so

pra cap. 5, e colà la nota 15.i (55) Genzio. Ateneo, dond’ è tratto questo frammento, scrive

FirS/nm, Genthiona, accusativo greco di I‘év5/uv,Gefll/zion, aven

dolo altrove (xiv, p. 440) nominato I‘h7uv, Genthion, come

Livio. Crede pertanto il Casaub. nelle annotazioni ad Ateneo, che

I‘nSfu sia la vera scrittura, come l’ha Polibio. 4 '

(36) Pleurato. Secondo Livio (xuv, 50) chiamavasi il fra

tello ucciso da Genzio Plalore, ed Onuno, Honunus, era il nome

del principe de’ Dardani, la figlia di cui quell’ infelice dovea im

palmare.

(37) Per la po.ssanzd ec. Dal Nostro tolse Livio (xuv, 35 ),

nella descrizione dell pugna tra le milizie leggiere de' Romani e

de’ Macedoni, le espresswni (che qui riscontriamo: Comirms, stabi

lior et tulior, aut panna, aut scalo ligustino, Romana; eral.

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30

(Davvicino era più stabile e più sicuro il romano, per la rotella

c per lo scudo ligustico). Tuttavia crede Lipsia (deMilit.Ram. III. a)

essere lo storico romano qui mutilato, e da Plutarco, che descrive

questa pugna, meglio conoscersi appartener amendue gli scudi

all’armadura leggicra; dappoicltèi veliti romani portavano la

parma, ed i Settecento Liguri che, per relazione di lui, insieme

con essi combattevano e leggermente erano vestiti, lo scudo della

loro nazione. - Del resto era la panna propria de’ Romani; il

perchè rimase nel greco la sua denominazione waip,zq. Secondo

Varrone (De ling. lat. lV, p. 35 ed. Gryph.) fu cosi chiamata

per essere dal mezzo eguale in tutte le parti, quod a medio in

omnes partes par, rotonda adunque e meritevole, se non vado

errato, del nome italiano che le abbiam attribuito. Lo scudo li

gustico poi copriva tutta la persona, conforme riferisce Diod. Sic.

(xxm, ecl. 4), e traeva nella favella greca la denominazione dal

cuoio, fitipm, che n’era. la principale difesa, la parte interiore es

sendo di legno. '

('58) Il primo cc. Questi) due brani tolse lo Scbweigh. da.

Plutarco, perciocchè contengono due asserzioni di Polihio, che

suonano diversamente da quanto su' medesimi particolari riferi

sce un uomo di autorità somma ch’ebbe parte nella fazione qui

descritta. Cotal motivo pertanto non mi sembra abbastanza plau_

sibile per giustificare l' introduzione d’un articolo che tutto ad

altro scrittore appartiene. Tuttavia non volli omettcrlo, avendomi

sino dal principio del presente lavoro proposto di non violare

l‘ integrità del testo, quale ne lo diede l' ultimo benemerito edi

tore di Polibio.

(59) 'Non quali riferisce Palibio ec. Sappiamo da Livio

(xt.tv, 55), che il numero de’ soldati scelti che, in quella occa

sione Emilio gaqu5liede a Nasica suo genero ed a Fabio Mas

simo suo figlio ascendeva a cinquemila uomini. Se poi lo storiCo

romano siasi attenuto in riferendo quel numero, alla relazione del

Nostro od a quella di Nasica, non è possibifli a determinarsi. Reca

ben;i mamviglia, come Plutarco siasi limitato ad accennare la con

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31

"addizione tra i due documenti, senz’ addurre ciò che nel pro

posito l' uno e l’ altro contengono.‘

(40) Su. castoro dice Polibio. E perduta la narrazione fatta

da Livio dell’esito di questa sorpresa; quindi non possiamo sa

pere se ein seguito abbia in ciò il Nostro, ovveramente la spo

sizioue del duce romano. Tuttavolta potrebbero amendue aver

avuta ragione, in quanto che non asserisce Polibio che i nemici

sopraggiunti dal sonno fossero senza resistenza tagliati. ,

(4:) Sotto il regno di Perseo. Queste parolel nelle quali ab

biam renduto l'ìr} Dry-vai; del testo, fanno conoscere che il

brano qui citato e un ristretto compendio a cui ridusse Suidi:

la sposizione che Polibio fece del presente avvenimento, e che più

esteso trovasi in Livio (xuv, 37)cd in Plutarco (Aemil. p. ‘264).

(42) Spauracchi. Kuì che leggesi nel testo significa propria

mente cosd vane, che non hanno alcuna ragione, alcun fonda

menta; ma qui deve intendersi nel senso di vani terrori che una

falsa opinione sparge tra la milizia che accingesi alla pugno , e

che altrimenti dicesi ancora lermr panico, sul quale veggasi la

nota 5î7 al lib. 5. Nelle edizioni di Suida anteriori a quella del

Kustero era mania, nuove,slrane , che questi ridusse alla lezione

più probabile, dichiarata già dal Casaubono in una uoterella più

conforme alla mente di Polibio.

(45) Il console cc. « A Polibio, che Suida non nominò , riferì

questo frammento per il primo l’ Orsini, poscia il Casaub. Cou

fronla Plutarco nell' Emilio p. 264. La narrazione di Livio là,

dove trattavasi della stessa cosa , è Iaceru al lib. xuv, 40 n

Schweigh. Livio non parla punto di questa confessione d’Emilio

nel luogo testé citato; sibbene fa egli nel cap. seguente (4 I) co

noscer brevemente, col fatto di questa battaglia, i vantaggi ed i

disavvantaggi della falange, su’ quali molto si estese il Nostro nel

lib. me, cup. 11 e seguenti.

(44) Formidalu'l e potente. Per evitare la ripetizione, che un

argomento cotanto severo, qual è il presente, male sopporta, ho

creduto di dare al 3uniiqu il senso di forza che ha questo ag

«295‘

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32

gettivo, non solo nel fisico, ma cziandio nel morale, siccome

quando lo si applica all’ eloquenza, alla perizia in alcun’ arte. -

Del resto consisteva la formidabilità e forza di quest’ ordine di

milizia in ciò, che di fronte per la sua densità non poteva attac

carsi con successo, ma lo si faceva a’ fianchi ed alle spalle, ove

t|irhavasi la continuazione dello schieramento per qualche inter

stizio che vi nasceva a cagione dell’ineguaglianza de'luoghi o d’al

tri accidenti che sconcertavano la pugna.

(45) Avvilisqì. Timori succubuit tradusse lo Sehweigh.; e

Suida definì &m8";.ifi, ‘tii;die, temeva. Ma siccome 3uAi'u la

miseria e viltà anzichè semplice timore , che talvolta può esser

ragionevole, così ho scelto il verbo che a quello stato dell’animo

Corrisponde.

(46) [cavalieri mandati innanzi. Lo Schweigh. dice che non

bene comprendeva il testo zaSaiflp ii srfec’z‘7nu 781 iqtiav.

A dir vero, la sua traduzione specttlatores eqm'tnm è affatto

oscura; meno lo èla correzione ch’egli ne fece nelle note: Equi

tcs speculatum praemissi, che io ho ritenuta nel volgarizzamenlo.

Tuttavia sembrami che dare si possa a queste parole il seguente

senso. I cavalieri, soli rimasi salvi dalla strage di pressochè tutti

i fanti, conforme riferisce Livio (Xt.lv, 42), furono in parte man

dati innanzi da Perseo, affinché esplorassero se v’ avea pericolo

nella ritirata ch’egli meditava di fare, e questi stessi cavalieri

non meno di lui erano avviliti.

(47) Gli atleti mal disposti del corpo, grande essendo la in

lluenza della forza fisica in quella dell'animo. La incorretta se

lute iugenera alacrità e coraggio, la inferma abbattimento dello

spirito e timore. Kazu7aîrll; , scrive qui Suida anni; 31.7:

Si'puu 7i|r 'ifiu, àf9ivo'óv'lu, male disposti della costituzione, af

fievoliti, con che egli significa lo stato morboso del corpo non

meno che dello spirito. ‘ '

(48) Avvicinuvasi. Non a questa battaglia soltanto, che fu l’ul

tima, urrecò Perseo, secondo il Nostro, un animo iucostantee pn

vido, ma fatto avea ciò nelle altre ancora; lo che indica, siccome]

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{9?

33

bene osserva lo Schweigh., l’ 211 allorquando, che precede il

verbo.

(49) Ad Ercole. Orfeo nell‘inno consecrato a questo nume lo

invocn aria-n Èpuy‘t, che a tutti soccorne; ma Polibio fa una giu

sta eccezione a questa sua prerogativa , non comportando la di

gnità di un eroe deificato ch’egli presti aiuto a vigliacchi.

(50) Da vili cc. Amà mqì 73v 3uAn’î: ispìs è male ren

dnto per muticulosorum sacra, in che voltò lo Schweigli. quelle

energicbe espressioni. lo non ho neppur qui sostituita paura a

viltà, e credo d’essermi meglio avvicinato al testo.

(5|) Gli ambasciadùrt' cc. Quelli di cui si è ragionato nel cap. 4

di questo libro. Livio (xnv, S) riferisce secondo alcuni, tra li

quali si conosce dal contesto che fosse Polibio. come gli amba

sciadori, non per anche stati ammessi, poiché erasi annunziata la

vittoria, quasi per isclxerno della loro stella superbia furono chia

mati in senato. lo pertanto tengo sbagliata nel ‘testo Liviano la

scrittura missos (mandati), quasi che non fossero a quel tempo

stati per anche spediti da Rodo, cdi Romani per beffarsi di loro

li avassero fatti venire da colà. Eran essi bensì a Roma , ma

avanti la fine della guerra con Perseo non fumo ammessi in se

nato. Leggasi dunque nondnm admissns. ’

(Sa) La sto/(zia superbia. Ho tolta da. Livio questa espres

sione. nella quale non dubito ch’ ein abbia voltata l’iîyum del

Nostro, che, siccome avvertiamo nella nota I?) al lib. xxtm, prende

sovente cotesto vocabolo ueL senso di colpa, delitto , cui poteva

benissimo ascriversi il contegno de'Rodii, i quali pretendevano

di dar legge a‘ Romani nella gravissima contesa che questi aveuno

con Perseo.

(53) Jgepoli. Circa questo nome veggasi la nota II?) al lib.

xxvm, dove io amerei di non avere scritto nel testo Agepolide,

dappo_ichè ‘Ayinln ha il Nostro ucll’accusativo, e non altri

menti 'AysznAuî». Livio il chiama principe degli alliba5ci:tdofi e

lo scrive costantemente Agesipolis. _

(54) A tutti i Greci. Lo Scbweigh. è fluttuante tra la scrit

POLIBIO, rom. ruz. 3

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34

tura vulgata che arreca wìm 7:.is Silvia“, 1: falli gli altri che imba

razzati erano in quella guerra oltre a’ Romani, e la correzione

che, stando alle parole di Livio, omni Graeciae, fece l’ Orsini

in 7an "Bhutan. lo confesso che siffatta emendazioue non era ne

cessaria; tuttavia l’ho ricevuta, perciocchè rende il testo più chiaro

e meglio conviene all' indole ‘del1’ italiana favella.

(55) Dannosa. 'AAwn'ltìu‘fi che ha qui Polibio non è in

commodum, siccome lo espressero itradnttori latini, sihbene inu

tile, anzi dannevole, precipiloso, per la proprietà che il greco

idioma ha comune col romano di negar un attributo sottinten

dendo l’ opposto, p. e. band malus per bonus, inam'n (difetto di

malizia) per sanlilà di vita, e simili.

(56) Secondo il desiderio de’ Rodii. Crede il Beiske che as

surda sarebbe stata la congratulazione de' Rodii co’ Romani, se

la guerra avesse avuto un esito conforme al desiderio de’ primi,

anzichi: a quello de’ secondi, c quindi suggerisce di sostituire 'I’u

puinn a 'PnJiui. Lo Schweigh. pertanto scorge dell’astuzia nel

discorso dell’ambasciadore, Io che apparisce eziandio dalle parole

che Livio mette nella costui bocca: Forlunam perbeneficìsse, quan

do finito alilcr bello (nempe alitcr ac ipsi Rodiî expectaverant ),

grnlnlnndi sibi de victoria egregia Romani: opportunilalem de

dissct.l\'on dissimulavqn essi, nè l’avrebbono potuto, come il suc

cesso della guerra era stato contrario alla loro aspettazione; ma

ad un tempo protestavansi animati sempre dal desiderio di po

tersene congratulare co’ Romani.

(57) Se ne andò. Non avendo' gli aurbasciadori, per cagione

della guerra finita, più motivo d’ interporsi per la pace, rallegra

tisi col senato della conseguita vittoria, se ne andarono senz’al

' tendere risposta. Egli è perciò che io amerci di mutare l’irmiA

901 del testo, da Hrnripr'9nH, ritornare, venir un’altra volta

(V. i grammatici) in éràA9n, nel qual senso l’ho tradotto, e lo

Schweigh. ancora non meno che il Casuub. così il voltarono,co

mecltè lasciassero la scrittura volgata. Da Livio non si conosce

che gli oratori rodii si fossero allontanati, innanzichè il senato

pronuuciussc la sua opinione in cotesta emergenza.

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35

(58) Dicie fuori 'una risposta. "A1ro'xpwu ififiahn , non

semplicemente l’1rlrtpt'vllo, rispose; dappoichè 1' assenza de

gli ambasciadori non permetteva di dirigerla a questi, subito, do

po il breve discorso che avean l‘atto. Quindi è da credersi che ,

dopo avere su tale bisogna maturamente deliberato, avessero estesa

una lunga e ben ponderata risposta, della quale Polibio e Livio

non ci diedero che il compendio.

(59) Ma l’aver trascurato ec. La lacuna che avanti queste parole

segnata aveano gli editori di Polibio ingegnaronsi di fare svanire

il Reiskc e lo Schweigh., il primo cancellando il p‘n dopo e-rpa

7.mtliom (osteggiando) e cangiando il Tu di (ma) in 7;? di, donde ri

sulta questo senso: Ma per ca’giorte dell’ aver trascurato ec.. .

rendersi manifesto: l’altro (lo Schweigh.) adottando che il arp

Qm‘fs elmi (esser manifesto) per la sua grande distanza dal Te di

costituisca una sconcordanza (avanaon9ia) tollerabile. Amendue

questi ripieghi ci sembrano accettabili, e noi ci siamo tenuti di

mezzo tra loro.- L' altra proposizione del Beiske di lasciar il testo

intatto, supplendo ciò che manca da Livio, non panni che possa

accettarsi. Le parole dello storico romano ch' egli vorrebbe iu

trodurre; alias (graecas urbes) obsirieret, alias denuntinlione ar

morum terreret sono già accennate da questa di Polibio: 7th 7571

EÀìnivuv za’puu lara'p9n nati 7Eir a-Éitus (guastava la campagna

ele città de’ Greci).

(60) Per le quali cose cc. Questa chiusa, che pur convenivasi

all’ acerba risposta data dal senato, Livio omise del tutto.

(6|) Da amenduc i re Tolomei, che avean per cognome, il

maggiore Filomelore, il‘secondq Fiscone ed Evergete Il. Eransi

costoro cinti il diadema simultaneamente e faceansi la guerra;

ma assaliti da Antioco Epifane, che profittar volea della loro di

scordia per conquistare 1’ Egitto e giunto era già sotto le mura

d’ Alessandria, rappatturnaronsi (Vedi la nota ultima al lib. xxvm).

Nel qual frangente richiesero gli Achei di soccorso. È quindi senza

fondamento la opinione del Reiske, che , trovandosi nel testo la

inetta ripetizione fl'lnMpnieu turi H7»Àiputt'av, al primo od al

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36

secondo debba sostituirsi 'A.7/axw. Entrambi i fratelli Tolomei pa

cificati domandarono agli Achci aiuti contro Antioco. Vero è che

male suona senz’ alcun carattere di distinzione lo stesso nome ri

petuto; ma forse fu ciò colpa del compilatore. che omise d'ag

giugner all’ uno irpirrf3u7épw, ed all’ altro van/Tip», ovveramente

0|Àopq’lapoî e Oor:ainî.

(65) lperbnto. Era costui stato pretore degli Achei l’anno 575

di H., undici anni innanzi a questi avvenimenti (xxn, I), ed

nvcn già allora, associatosi con Callicrate, impugnata la sentenza

Ill Licorta in favme de’ fnorusciti di Lacedemone.

(64) Areone-Licorta-Palibio. Capi erano questi tra gli Achei

del partito che difendeva la indipendenza della Grecia dall' in

fluenza dc’llomani, i qUali cornechè dopo aver vinto Filippo pa

dre di Perseo, la dichiarassero libera, non pativano che nelle

controversie de' varii stati, ond’ era composta, ad altri che a loro

si appellasse, e pretendevano che secondo la loro volontà si fa

cesse la decisione. Così la iutcscro nell' affare tra Sparta e Mes

sene che’citammo nelle note antecedenti, e tal era altresl la mente

loro nella presente sentenza , che condussero a fine mandando,

siccome vedremo, Popillio ad Antioco.

(65) Ed il maggiore. Il buon senso non può approvare la

scrittura vulgata ch'è la seguente: T‘ov v:ólspov fli'»Aspnîu

t'rr‘o 751 3,31." è|46î8l7x94| fintflìtiu (lui: li" 1ript'rrza'u, Tu

di Ipla‘firi7apor i: 7;: Minrn; xu7mrwrnpsiie9m, Tolemeo

minore era stato dal volga dichiarato re per cagione dell’im

minente pericolo (propter conditioncm rerum et tempurum,

Schweigh.) ed il maggiore ritornato dd Illenjì. Come potea il

pericolo sovrastante dal re Antioco, o la condizione delle cose

e de’ tempi aver indotti gli Alessandrini a proclamar re il minore

Tolemeo anziché il maggiore, del quale non si dice che fosse

meno valoroso e meno buono ed assenualo dal fratello? Propongo

adunque di legger il testo così: T. I. 117. 5.7. Ex. imdedtîz9a.

/Szrrìtia, Tor di I,iffit’i7lflyi 6|‘17à' Itpt'nmrn in 7. M. 1.17.,

e ciò espressi nel volgarizzamento. Infatti il pericolo appunto,

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che per la invasione dell' Egitto fatta dal re di Siria minacciava

amendue i re, costrinse gli Alessandrini a richiamare l’ e

spulso , onde colle forze unite d’ entrambi e con quelle che da

fuori avrebbon ottenute resister alla tempesta che lor veniva ad

dosso. - Quanto è al vocabolo ripinnn: , io tengo cb‘ caso qui

significhi propriamente pericolo, in cui realmente era allora 1’ F.

gitto, nel qual senso il troviamo spesso usato dal Nostro, e non

equivalgn a semplice condizione de’ tempi, conforme piacque a'

traduttori latini.

(66) Pelle gesle di cui abbiam parlata nel cap. 7 del lib. xxv,

dove leggesi che 'l'olemeo Epifane, padre de’ due che insieme re

gnavano, affine di rinnovare l’ alleanza cogli Achei, accordato avea‘

ad essi armi, navi e danari, che Licorta con Polibio‘ed Arato in

caricati furono a farsi consegnare. - Alcuni anni prima erasi lo

stesso re stretto in alleanza colla nazione achea per mezzo di Li

corta . o del Teodorida da Sicione qui nominato, (xxttl, I).

(67) E mmmenlali avendo. La scrittura vulgata lui li qu

Àd’.I9fliîl xp‘us 7in fintnMinv n'zmnumpivuv, à'vla p|7aiAn,

racchiude uno sconcio maggiore di quello che sospetto il Reiskc,

il quale giustamente osserva, che alcuni re d' Egitto eransii ren

duti maravigliosamcnte benemeriti degli Achei, non questi di

quelli. V. la nota antecedente. Quindicred’egli che nel testo fosse

wpin‘ 7»‘,I waM'ltiav 7_S|' fianMigz a'nauu;., cioè la benevolenza

della casa regia Verso Ia repubblica degli Achei; ma in tal

ipotesi avrebbesi a scrivere 7‘c @1A119f4n; li: ,Bac0tim: 1,0.

7. ma, - Lo Schweigh:, prende ‘pniìn9puini nel senso di

@Aia , amicizia, non già di meriti e benq/icii, e non vorrebbe

che si cangiasse nulla; oltreché , siccome a me pare , non si

trattava qui di rinnovare i beneficii già conferiti agli Achei

da' sovrani dell’ Egitto, de’quali anzi questi ahbisognavano. Ma

ad ogni modo sussisteva ancora l’alleanza tra i due stati,

conforme leggesi di sopra in questo stesso capitolo: Ku7ii 7|‘"

lini/www: ruppsxi'ar, e perciò era superflua la sua rin

novazione. Stimo adunque che per cavare dal presente luogo un

' A.

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38

senso ragionevole abbiasi a modificarlo in questa guisa: Kai 7Ìz

70 piAnîvs-puara 7G;- fiafiaMt'z: wpii: 7oin‘ 'Axal'w; ampia".

piva-v, à’v7u fl.l?aiÀd, e così l’ho volgarizzato.

(68) Ché amendue, ec. Temo forte non queste parole colle

seguenti, che ho chiuse tra cancelli, sieno aggiunte dal compila

tore; dappoicbè sino dal principio del capitolo li vediamo tutti

e due investiti della potestà regia.

(69) Mescolarsi nein affari altrui. Non voglio lasciar inos

servata la proprietà del verbo w;uy,ua7ounîv che ha qui Po

libio, e che realmente è l' affaticarsi che fa alcuno nein affan

che a lui non appartengono. Ama Polibio la composizione del

verbo numiv, che significa sempre adoperare con energia (quasi

mlw'iuv, tagliare, in senso figurato) con alcuni altri nomi, sicco

m’è w;afimnliu. maneggiare con secretepraliche, 2AMuumu,

sbraeciarsi per avere il favore de’ Greci. La massima qui predi

cata da Callicrate tendeva a distruggere la libertà della Grecia ,

la quale, composta essendo di stati indipendenti e solo protetti

da’ Romani, dovea pur atiere l’ arbitrio di coltivare le antiche

amicizie e di stringer alleanze con altri stati, ove a quelli non

nè fosse ridondato alcun danno. Ma dopo la disfatta di Antioco

Magno ben 5’ avvide quel popolo sovrano, come i varii umori

ond’ erano agitato le democrazie greche produr doveano contin

ganze favorevoli n’ vasti loro disegni di conquista. Ed infatti non

indugiò molto la massa degli ambiziosi e degli sprecatori a tra

dire la pubblica causa ed a sagrificare la patria ai privati loro van

taggi, aècusando i buoni ed armandosi di falso zelo per l’ onore

e per la superiorità dei Romani. ,

(70) La battaglia decisiva, che fu nella prossima state -data

a Perseo da Emilio Paullo. Q. Marcio Filippo avetm allora con

dotta a termine la sua campagna, essandosi lasciato sfuggire l’ e

sercito nemico, conforme distesamente narra Livio (xmv, t

e seg.). '

(7|) L’ anno addietro.l cioè nella passata campagna ; chè gli

anni militari si calcolavano dalle epoche delle fazioni di guerra ,

in cui non era compreso il verno, che allor appunto correva.

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(72) Ma ricordandosi ec. Questa espressione e ciò che segue

sono, Se non vo errato, un appoggio alla correzione che ho pro

posta di sopra alla nota 67.

(75) Esponendo cc. Lo SCllWeiglt., da classiche autorità in

dotto, da all"stspyimv del testo il senso che abbiam c

spresso. Tuttavia ricevett‘cgli nella traduzione dal Casaub.accla

masset, quasichè, conforme sospettato ebbe dapprincipio, scritto

fosse ’tm09sgqapivuv.

(74) Sospesa la deliberazione. Allo Schweigh. parve la spie

gazione della frase i2ifiahe 73 614,80'uh101 addetta dal Reiske ,

prorogava la deliberazione, la rigettava ad altro tempo, e che

noi abbiamo ricevuta, da preferirsi a quella dell’ Ernesti, il quale

a ix/SÉAMn dà il significato d’annullart2. Ed infatti cotesto di

lazionare fu‘messo in pratica, essendosi qualche tempo appresso

fatta una ragunanza generale in Sicione. La stessa frase occorre

nel lib. i, 58, e fu già dal Reiske nel medesimo modo interpre

tata: HAu’yae ezfiniìtìtoon , plage; rejiciunt in allud tempus, e

noi in questo senso appunto cola volgarizzammo: Sospcrulon i

colpi.

(75) In popolare ragurmnza. 'Er éyo;{i, propriamente nelfo

ro, o dir vogliamo in piazza, dove raccoglievasi indistintamente

ciasclaeduno del popolo per dare il voto sui pubblici affari, senza

esservi chiamato, e che corrispondeva a'comizii de' Romani. Da

questo genere di congresso dilleriva quello che convocavasi,don

d’ ebbe il nome di róynq'lor, che poco appresso riscontrasi , e

col quale impropriamente esprimevasi il senato romano, che se

condo la sua etimologia (da senes vecchi) dovrebbesi rendere con

76petiflu; nome usato dal Nostro per denotare il consiglio de’ vec

chi presso i Cartaginesi, distinto dal senato ( I, al, 1, 68), ed

cziandio talvolta quello degli Acl1ei (xxxvm, 5). V. la nota 23a

_al lib. v).

(76) Il consiglio. Ne' traduttori latini leggersi qui: Cui‘ non

magiirtralus solummodo intera-mal; ma, secondoch‘ea me pare,

la flovhsi (il consiglio) non era semplicemente composta di ma

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4o

gistrati, che il vocabolo Éfxn'iu propriamente esprime, sihhene

bassi a credere che convocati vi fossero, oltre a‘ magistrati, ide

putati di tutte le città achee, cui pertanto univansi ancora tutti

quelli che per la loro età superiore a’ trent' anni avean il di

ritto d’essere scelti alle cariche dello stato, o convenissem da

sia, conforme sembra indicare il rvptspivur9.u del testo, o vi fos

sero invitati,siccome apparirebbe dal ruyxAn'7ov che precede. Fatto

sta che per tal modo il congresso era poco men che generale, nè

differiva da quello che Callicrate avea sciolto, se non se nel sito

della ragunanza. che in luogo del foro iyopìs era il teatro, sicco

me scorgesi dal capitolo che a questo segue.

(77) Nella passata stagione. Fecero bene il Casnuh., e lo

Schw«:igh. a non accettare l’ assurdo nin7u. (notte) che hanno i

libri, nè comprendo come l’ Orsini vi sia passato sopra. Se non

che discorda dal 71": napM54'urzv femminile l'annus ì'7u, neutro

ed inév'larmnsc. che pose il primo nel!a traduzione e vi sot

tinteso nel testo; nè può approvzu‘si il 9rpiuu aggettivo (auli

mm), che in luogo di 9ipas, neutro, amerebhe di sostituirvi lo

Schweigh. Io propongo di scrivcr iiva, che espressi nel volga

rizzameulo; sostantivo che nel greco idioma non meno che nel

l’italiano può riferirsi alla state qui accennata da_ Polibio, c che

fa evitare la sconcordanza grammaticale de' generi diversi.

(78) Presso Marzio Filippo. L’Orsini ed il Casaubouo hanno

recato qualche confusione a questo luogo, includendo tra parentesi

le parole che seguono 1î: B.|9imv, meno le ultime I'l,l (Orsini)

7I'zr\d (meglio Casaub.) 7,? (DM/ararp. Lo Schweigh.omise affatto

cotesta inclusione; osservando la iiiconveuienza nella quale cad

de il Casauh. di non comprendervi le ultime parole. Io vi ho

comprese queste ancora, imitando l’ Ernesti ; dappoichè sembrom

mi doversi per tal modo separare il ragionamento che precede

dalla riflessione a cui dà motivo.

(79) Giuslamente valulale. A me pare che nessuno degl' in

terpreti di Polibio abbia ben inteso il aniis ruu'u7m, né

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305‘

41

’ù'ytn che qui riscontrasi. Il primo tradusse il Casaub. nullo

auo‘incoinodo (senz'alcuu loro incomodo ), che potrebbe stare

ove 5Éyuv facesse le veci di a'vni7lfl (raccogliere, accozzare); quan

do, riferito ad un esercito, significa più presto condurlo contro

il nemico. Il Reislte dà alla summentovata frase il senso di se

cumlae sane fortunae beneficio (per beneficio della favorevole

loro furluna), e ad à'ysu quello di valere, aestimariposse(vale

re, potersi stimare ), per modo che avrebbe detto Polibio, che gli

Achei per loro buona sorte poteano stimare da trenta a quo

ranla mila uomini la loro gioventù atta al combattimento, e lo

Sehweigb. acconsente a questa spiegazione. lo pertanto ho cre

duto che, siccome a naAì': conviene un’ applicazione molto vasta,

potendo significare tutto ciò che s’ adatta alla norma del buo

no, del retto, del giusto, dell’onesto; cosi miti: arnni'v, dove trat

tasi di qualificare una stima, una vaiutazione, abbia a suonare,

quale qui 1’ espressi, regolarsi con precisione, aggiustatezza.

(80)'1 consultori. Erano questi Callicrate e Licorta, i quali

nel giorno antecedente sostenute aveano contrarie sentenze, le

quali allora dovean essere proposte in forma di decreto, affinché

il consiglio 1’ una o l' altra sanzionasse. È quindi, a mio parere,

da preferirsi la lezione flw).svopinus in che l’0rsini mutò quella

de’ Codici, ed andarono errati il Reiske e lo Scbweigh., richia

mando la vulgata fiouìtopcirovs, con cui verrebbesi a dire, che il

» secondo giorno non coloro soltanto che nel primo di disputato

aveano in favore o contro una sentenza, ma chiunque volea re

car poteva in mezzo il progetto del decreto da deliberarsi.

(SI) I due regni di Siria e d’ Egitto, non d’Antioco e di To

lemeo che allora regnavano, quantunque nel testo denominati ven

gano da questi sovrani. La distinzione de' tempi addietro da

quelli dell'allora vivente monarca della Siria, che riscontrasi nel

seguente periodo, rende la cosa abbastanza chiara.

(82) Che a nessuno più. Dispiacque allo Schweigh. il vol

gato srAsîav, ch’ egli corretto volle in zAsiom, come quel nu

mero che meglio si accorda col paàaiaSpuwu cui si riferisce. Ma

rouato, tam. 7111. 4

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42

ciò non mi sembra necessario, potendosi dare al a-Mi'u il va

lore d’ avverbio. Cosi non è sbagliato 1' italiano più, sebbeneuon

istarebbe male 1’ aggettivo plurale maggiori. ‘

(83) A'ndronìda e Callicrate. « Altre persone troviamo no

minate con Callicrate nello stesso affare (vm, 2); ma que’due

(Diofane ed Iperbato) accennati sono insieme con Audronicla ,

'Auîpun’8m nei 702:: ÀOII'OlI; nel lib. xxx, c. ‘20.» Schvveiglz.

(84) T. Numisio. Era costui nel numero de'dieci legati che,

finita la guerra persica, mandati furono dal senato in Macedonia

per dare sesto agli affari di quel regno soggiogato (Liv. xnv, I7),

ed opportunamente riflette lo Scbweigh., che questo medesimo

probabil è che fosse inviato con un’ ambasceria a’ re di Siria e

d’ Egitto, affine di pacificarli, innanzi che vi andasse C. Pupil

lin, il quale condusse la impresa a buon fine, conforme scorgia

mo da quanto riferisce il Nostro nel cap. seguente e Livio nel

lib. xI.v, c. 12. Che se circa questa legazione anteriore nulla tro

vasi nello storico romano, ciò, continua lo Schweigh., dipende

dall’esser a noi giunto mutilato il lib. 1LIV di lui, dove contene

vausi gli avvenimenti di que’ tempi. - Il leggersi nel testo di

Polibio Nemesio per Numisca procede, secondo lo stesso com

mentatore, dall’ uso de’ Greci di cangiar in i l’ a e PI de' la

tini.

(85) Coner la loro supposizio’ne. Ym’9u-u non vale qui

argomento, sentenza, conforme piacque a’ traduttori latini, sib

bcne lIassi a prendere nel senso che indica la sua composizione.

Supponevann Callicrate e quelli del suo partito di conseguire me

diante un’ ambascerìa la pacificazione de’ re, e con ciò intende

vano di far cosa grata a’ Romani; ma non riflettevano che, es

sendo andati a vuoto i maneggi di questi, anche da’ proprii nulla

potenno sperare. L\'è forse è tanto assurda, siccome parve allo

SchWeigh., la congettura del Reiske, che in luogo di “‘73 7;:

ua-oSinac sospetti; doversi leggere sulle 731 Aóyn 7;: (ma

ed interpretollo: erat enim id consentanenm consilio et volan

lnli Romanorum; giacché era infatti opinione e volontà de’R0

mani, che cotal ambasciata si facesse. ‘

Page 44: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

301

43

(86) Si rilmsse dain ajfari. Ho stimato di preferire la ver

sione del Casaub., a quella dello ScbWeigh. 'Anxa'ifswu 'm 731

n;aypé7m ha il testo, che il primo degli anzidetti interpreti tra

dusse: pnblicarum rerum cura et administratione se abdicavit

(licenziossi dalla cura e dall’amministrazione de’ pubblici affari),

e l’ altro: urgere snam sentsnliam amplius noluil (non volle più

insistere nella sua opinione). Infatti il plurale 75v wpaypi'lm, che

lo Scbweigh. non calcola per nulla, sta per la traduzione che

ho adottato , e se l’élaxuft'iu presso il Nostro senza l' aggiunta

di quel sostantivo (xxx, IO) significa ritirarsi dal governo della

repubblica, tanto più debbe aver siffatto verbo questo significato

coll’ aggiunta del medesimo. Qual maraviglia se Polibio e coloro

che in fatto di governo della repubblica erano della sua sentenza

si ridncessero alla vita privata, come vinti si videro in ciò che

formava il nerbo della loro politica? - Del resto non è a du

bitarsi che i suoi avversarìi ottenuta avessero per secreti maneggi

1’ anzidettn lettera di Q, Marcio, e l’avessero fatta giugnere a tem

po per opprimere la fazione di Licorta.

(87) Di Tolemeo. Propriamente de’ Tolemei; che amendue i

fratelli avean chiesti aiuti agli Achei contro Antioco, il quale,

sotto specie di ristabilir il maggiore nella patria e nel regno,

erasi impossessato dell‘Egitto. V. la nota ult. al lib. xxvn, e xxvm,

19. Ma bene osserva lo Sebwaîgh., che il fratello maggiore sarà

stato nominato per amendue.

(88) Essendo venuto ec. Bene s’ appose il Reiske attribuendo

quest’ oscuro principio al compilatore. Giunto era Antioco, secon

dochè leggesi in Livio (xt.v, II) in Rinoeolura, prima città del

l’Egitto verso la Celesiria, e colà vennero a lui gli ambasciadori

di Tolemeo maggiore, che col mezzo suo sperava di andare al pos

sesso del regno. Tolemeo pertanto era in Pelusio, che Antioco

volea gli fosse ceduto; quindi e inesatto quanto qui dicesi della

venuta del secondo di questi re al primo.

(89) Eh! scritto il decreto del senato. Tofi ruynAn’inu zîo’ypu

xu7tyaypér'la. Questo era senza dubbio il senatus consullum che,

Page 45: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

44a detta di Voler. Mass. (L. VI, e. 4, 3) era contenuto nelle la

volcttc, tabella: senalus consultus continente; tradidit. [I per

chè è da maravigliarsi che in Livio (xav, 12) riscontrisiscriptum

habcntes. L’ Orsini vorrebbe che nel testo di Livio fosse incorso

in: errore col cangiarsi se in scriplum. Lo Schwcigh. propone

di rimediarvi, scrivendo l’ uno e l’ altrozlo che sarebbe una tra

duzione dal Nostro, non senza pleonasmo. Le edizioni Liviane

posteriori all’ Orsini conservarono l’antica probabilmente sbagliata

lezione.

(go) Sdegnando. Questa giusta riflessione di Polibio fu o

messa da Livio. Popillio non potea riconoscer in Antioco un a

mico del popolo romano, se assuggettato non si fosse al decreto

di cui egli era portatore. È pertanto da rifiutarsi la lezione dl!

1rp'7qav &Ei'unu (non prima stimato) proposta dal Reiske, e che

non dispiacque allo Schweigh. in confronto del arpi7qu cint

(i5| introdotto nel testo del Casaub., che disapprovc‘i il medio

bv.zfirniptnf dell’Orsini, da questo sostituito all’aiiuîr3m che re

cava il suo Codice. "Ou'is èwafnvfluv 7‘o ‘t'pyu (non istimaudo

indegno cosa) che riscontrasi in Tucidide (I, p. 4) è frase che le

gittima il senso da noi dato a questo verbo, e che i traduttori

latini non raggiunsero col nolnit.

(gt) Delfatto di circoscriverlo con una Verga- e della su

perchieria. di arrogarsi tant’ autorità sopra di lui clt’ era pur re.

Queste sono al certo due cose distinte, nè vi veggo l'endiade

(espressione d’ una cosa con due parole), che secondo lo Schweigh.

indusse il Casaub. ad interpretare 'Ìò YI?IdfGIIOI mai 71‘" tim

fo,gin imperiosuntfactum.

(go) Allora Popillio cc. Ben diversamente narra la faccenda

Plinio (H. N. xxxrv, 6, ti).A detta di lui pagò il duce romano ,

clt’ egli denomina Gneo Ottavio, l' audacia sua colla vita, ed il se

nato, siccome far soleva a tutti coloro cb’ erano stati uccisi in qual.

che ambasciata, gli rizzò la statua ne' rostri in sito molto esposto

alla vista, in loco oculatissimo. Ma come avrassi a prestar fede al

racconto del naturalista ruotano appello alla relazione che noia.

Page 46: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

45

sciaròno Polibio e Livio, istorici veritieri e tanto più vicini a’ tempi

di quelli avvenimenti, a tacere di Cicerone (PlIilipp. vm, 8) cdi

altri posteriori. siccome Valer. Mass. (I, c.), Velleio Patercolo

(Hist. Rom. I, 10), che s' accordano cogli anzidetti scrittori? Se

non che confuse Plinio due fatti ben diversi, il presente ed altro

raccontato da Cicerone nella nona delle Filippiche, cap.a, non ha

dando, conforme già osservò il Lipsio, che l’ Antioco uccisore di

Ottavio era figlio dell’ Epifane circoscritto da Popillio, e nipote

d‘ Antioco Maguo , siccome il qualifica Tullio: Nepotem A"

tiochi regia, ejus‘, qui cum mnjoribns noslris bellum gesseral.

(95) In Siria. La vulgata lezione ’Apyz'a: già disapprovata dal

l’ Orsini, ritenuta dal Casaub. e corretta dal Reiske in Ev'i‘"

potrebbe pur essere stata corruzione di 'Apnfi/au (Arabiam), con

forme nelle note appiè di testo sospettò lo Schweigb., che s' a

vesse a leggere, comechè egli non ne additi il motivo. Stando

alla relazione di Livio (xev, n), sebbene tronca a noi pervenuta,

Antioco da’ dintorni di Pelusio incamminavasi alla volta d’ Ales

saudria per 1’ Arabia deserta, probabilmente per la stessa strada

che fecero gli Ebrei usciti (1’ Egitto innanzi di giugner al mar ros

so. (Exorl. xm, ao; mv, 4). Qual maraviglia dunque se per la

'stessa via egli ricondusse l’esercito in Siria’? Siccome pertanto

nel testo di Polibio che possediamo n0n trovasi fatta menzione

della calata in Egitto per il deserto dell' Arabia , cosi non volli

introdurre novità nel mio volgarizzamento. v e

(95) Poliaralo. Era costui da Rodo ed avea sostenuto tra li

suoi il partit'o di Perseo controi Romani (XXVII, 6, II). Da Po

libio non si conosce ch’ ein fosse in Alessandria coll’ambasceria

che vi mandarmi i Rodii per conciliare la pace (XXVIII, Ig), sib

bene sappiamo da una relazione posteriore (XXX, 9) come scon

sigliato e vigliacco, forse per timore de’ Romani dopo la sciagura

di Perseo, egli trattenevasi presso Tolemeo. - Ho tradotto im

tilursn mandarin firri, perciocchè questo è il senso del verbo

qui usato dal Nostro, quasichè scritto avesse in3lpmn wipnn.

Page 47: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

46

Altrove ancora (I, 7; xxx, g) il riscontriamo nello stesso signifi

cato.

(95) Era tutto Cipro a soqqundra. Il testo ha 4‘ip’pim (73:

1473: 705 Kinrpsv), che quanto al senso è ciò eh' espressero tutti

i traduttori, ma quanto alla proprietà della frase fu sospetto a

tutti. Il Casaub. notò un segno di lacuna dopo il leo’psvat. Il

Reiske propose varie cmendnzioni, tra le quali panni doversi pre

ferire u:er eptfiptm (male condotti). Cosi leggesi in Senofonte

(Agesil. I, 35) uni: Qi;w9m 7B 'uv'la’ó (andar male i suoi

affari). 0iptu mai Eiyuv, a dir vero, è guastare, mandar in

ruina per via di guerra; ma in si fatto senso pipa" non si

trova mai solo.

(gli) Che se ciò cc. Sta bene yinpinv nel passato, sugge

rito dal Ileiske in luogo del presente 717mpivov. In qual modo

pertanto un avvenimento tanto clamoroso non si fosse divulgato,

o non venisse creduto, È: difficile a comprendersi. 'H sia nel m

fllv9iv7o;, 0 se non fosse stato ancor credulo suppone il Rei

ske che scritto abbia il Nostro, ma siffatta modificazione nulla to

glie alla stranezza del concetto.

FINE DELLE ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO VIGESIMO NONO.

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5“

DELLE STORIE

DI POLIBIO DA MEGALOPOLI

--_n.

AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMO

l. (l) Intorno a quel tempo venne Attalo da parte

di suo fratello Enmene; ed aveva ein ben titolo di ve

'nir a Roma ,quand’auche non fosse accaduta la (a) scia

gura che il. regno sofferse da’Galli , per cagione di

congratularsi col senato, e di conseguir qualche o‘nori

fica distinzione, avendo militato insieme co’ Romani, e

di buon grado partecipato a tutti i loro combattimen

ti: sebbene allora recossi a Roma anche di necessità

pella sgraziata contingenza de’ Galli. Anmlolo tutti ac

colto benignamente, pella famigliarità seco lui contratta

nel campo, e perché lo stimavano a sè propenso, ed es

sendoglisi fatto un (3) riscontro superiore alla sua aspet

tazione ,egli montò in grandi speranze, non conoscen

do la vera causa di siffatta accoglienza. Il perché per

poco non guastò i proprii affari, e ruinò tutto il reame.

A. di R.

587

Qlimp.

Cl.lll,l

Amb. 95

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48

A. di R. lmperciocchè, essendo gli animi della maggior parte de’

587 Romani alignati dal re Eumene, e credendo ch’ egli

fosse stato d’obbliquo procedere in quella guerra, in

trattenendo pratiche con Perseo, e stando all’ agguato

de’ tempi ad essi contrarii :, alcuni dc’maggiorenti, tratto

Attalo in disparte, l’esortavano a deporre l’ambasceria

per il fratello, ed a parlare per sè stesso: (5) volergli il

senato procacciare un proprio impero e dominio , pel

l’ avversione che aveano contra il fratello. A questi di

scorsi Attalo molto insuperbl, e nelle private conversa

zioni dava retta a coloro che a siffatto cose lo instiga

vano. Finalmente obbligossi con alcuni de’ principali

che verrebbe in senato a ragionare su questa faccenda. '

Il. Tal essendo la disposizione d’ Attalo, il re pre

sagendo l’ avvenire (6) mandò inoltre il medico Stra

tio a Roma, nel qual egli riponeva la maggior fiducia,

(7) ed avendogli esposti i suoi pensamenti incaricollo di

adoperarsi con ogn’ industria, affinché Attalo non se

guitasse il consiglio di coloro che voleano (8) guastare

laloryo casa. Costui venuto a Roma, e preso Attalo in di

sparte, fece molti e varii discorsi: ed era Stratio (9) no

mo prudente ed atto a persuadere. Tuttavia_con gran

pena conseguì l’intento, e ritrasse Attalo da quel im

peto irragionevole , ponendoin sott’ occhi che al pre

sente regnava col fratello, in ciò solo da lui differente,

ch’ egli non cigneva il diadcma, né era chiamato re;

del resto aver egli egual potestà, ed in avvenire sarebbe

senza contrasto lasciato successore del regno, la quale

speranza non. era lontana, dappoichè il re pelle debo

lezza del corpo aspettava sempre il fine della vita, e non

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315

49

avendo prole, non potea neppur volendo lasciare altrui A. [Il R.

‘il supremo dominio (perciocehè (10) non era per anche

manifestato il figlio carnale che poscia gli succedette nel

regno). Ma principalmente, disse, maravigliarsi, (1 1) per

ché in colesti tempi a tant’ oltraggio trascorresse; (1 e) do

vendosi anzi grandemente ringraziare gli Dei, se co

spirando e ad un solo sentimento appigliandosi potes'

sero rispignere le (13) minacce de’ Galli, ed il pericolo

che da questi loro s0vrastava. Che se egli ora veniva a ri

bellione e discordia col fratello, chiaro era che (14) scon

volgerebbe il regno, e priverebbe sé cosi del pre

sente potere, come delle speranze nell’ avvenire, e pri

verebbe ancora i fratelli del dominio e della signoria

che vi hanno. Avendo Stratio fatti questi ed altri simili

discorsi, persuase ad Attalo di lasciar le cose come

stavano.

III. Laonde entrato l’ anzidetto nel senato, congra

tulossi dell’ accaduto, e ragionò della benevolenza e

della premura da sè dimostrate (15) nella guerra con

tro Perseo. Fece eziandio istanza con molte parole, che

mandassero ambasciadori per reprimere la tracotanza

de’Galli, e per rimetterli nella situazione di prima. Parlo

ancora delle città (16) d’ Eno e di Maronea, che chie

deva per sé in dono, ma il discorso contro il re, e circa

la divisione del regno passò al tutto sotto silenzio. (17) Il

senato, stimando ch’egli intorno a queste cose entrerebbe

un’altra volta a parlare separatamente, promise di mandar

ambasciadori, ed onorollo magnificamente eo’doni con

sueti; annunziò ancora che gli darebbe le mentovate città.

Ma poiché (18) conseguite avendo tante cortesia egli si

587

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50

A. di R. Parti da Roma, senza far nulla di ciò che aspettavasi; il

587 senato deluso nelle sue speranze, (19) non potendo far

altro mentre ch’ egli era ancora in Italia, dichiarò libere

Eno e Maronea, annullando la data promessa. (10) A’

Galli mandò un’ambasceria condotta da. Publio ÎJicinio,

cui quali incumbenze desse facil non è a dirsi; ma non

difficile a conghielturarsi da quanto poscia accadde: ed

i fatti stessi lo manifestarono. ‘

IV. Vennero eziandio ambasciadori da Rodo, (2.1) dap

prima Filocrnte , poscia Filofrone ed Astimede. Imper

ciocchè i Rodii, (2.2.) ricevuta la risposta ch’ ebbe Age

polide subito dopo la battaglia, e scorgendo da quella

l’ira e la minaccia del senato, spedirono tosto le anzi‘

dette ambascerie. Astimede pertanto e Filofrone, cono

scendo da’ discorsi della gente, così in pubblico, come

in privato, ch’ erano a tutti sospetti ed odiosi, caddero

al tutto d’ animo. Ma quando (2.3) una de’ pretori, sa

lito su’rostri, eccitò la moltitudine a dichiararla guerra

a’ Rodii; fuori di senno pel pericolo della patria, a tale

si ridussero , che addossarono vestiti scuri, e (2.4) nelle ‘

raccomandazioni, non come chi si raccomanda agli

amici e li prega adoperarono, ma supplicarono con ’la

grime ‘(li non risolver il loro eccidio. Dopo alcuni giorni,

introdotti da Antonio tribuno della plebe, il quale trasse

da’ restri il pret0re che instigava la plebe alla guerra,

parlò dapprima Filofrone, poscia (25) Astimede. Allor

avendo secondo il proverbio mandato fuori (9.6)il canto del

cigno, ottennero (27) tali risposte, che sembrarono li

berati dall’ estremo pericolo d‘una guerra; ma il senato

con aspre e gravi parole rinfacciò loro partitamente le

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3’?

' 5I

colpe di che eran accusati. Era questa la s0stanza della A. di R'.

risposta, che se non rimaneva per (2.8) pochi amici di

loro, e massimamente per (29) essi, molto bene sapeva,

come andavano trattati. Astimede credette d’aver egre

' giamente parlato a pro della patria‘7 ma nè a’ Greci

ch’eran venuti da altri paesi, nè a quelli che soggior

navan in Roma piacque punto. Scriss’ egli poscia e pub

blicò la sua difesa , la quale alla maggior parte di co

loro che l’ ebbero tra le mani parve assurda ed affatto

inetta a persuadere. Imperciocchè fondò egli la sua di

sputazione non solo (30) nella giustificazione della pa

tria , ma più ancora nell’ accusa degli altri: che con

frontando e mettendo al paragone quanto ciaschedun

fece di per sé e (3r)cooperòa vantaggio de’Romaai, esal

tòi meriti de’Rodii, e quanto era in lui in molti doppii

li crebbe; laddove ingegnossi d’ abbassar e di falsare le

azioni degli altri. (32) Degli errori fu il contrario, avendo

egli aeerbamente e con animosità biasimati gli altrui .,

e tentato di scemare quelli de’ Rodii, affinché nel con

fronto quelli de’ suoi apparissero piccoli e degni di per

dono, equelh' degli altri imperdonabili e grandissimiga

malgrado di che, soggiuuse , (33) furon a tutti rimesse

le peccata. Il qual genere di difesa non conviensi as

solutamente ad uomo che sostiene la dignità di politi

co; dappoicbè fra coloro che hanno società di qualche

fazione occulta-non lodinmo quelli che per paura o per

dolore rendqnsi delatori de’ loro compagni, sibbene ap

plaudiamo ed uomini dabbene predichiamo quelli che

tolleran ogni tormento e supplizio, anziché farsi a’loro

complici cagione della medesima sciagura. Ma costui

587

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52 i '

A. [Ii B. per (34) un timore occulto ponendo sott’ occhi a'domi.

587natori i falli altrui, e (35) rimestando ciò che il tempo

avea fatti; obbliar a’ potenti, come dispiacer non dovea

a chi l‘ascollava? .

V. Filocrate, avuta questa risposta, se ne andò in

contanente; ma Astimede colà rimase in osserv,azione

affinché nulla gli sfuggisse delle nuove che giugneano,

'o di ciò che diceasi contro la patria. I Bodii, risaputa

ch’ ebbero cotal risposta, veggeudosi liberati dal mag

gior timore della guerra, sopportarono facilmente il re

sto, quantunque fosse assai duro. Così sempre l’ aspct-'

[azione di maggiori mali fa dimenticare le minori scia

gure. Il perché decretaron tosto a Roma una corona

di (36) diecimila monete d’oro , e creato (37) 'l‘eeteto

ambasciador insieme e comandante dell’ armata, lo spe

dirono in sull’ incominciar della state colla corona ,' e

dopo di lui elessero (38) Bodofonle ingegnandosi per

Ogni modo di contrarre alleanza co’Romani. '(39) Ciò

fecero con animo di rimanerne esclusi senza decreto e

senza lcgt-I'lioue, se i Romani mutassero parere ; e quindi

vollero per mezzo del comandante navale taslare il loro

divisamento; avendo quegli in vigor della legge (40) co

tal facoltà. Era pertanto la repubblica di Rodo con sif

fatta prudenza gowrnata , che avendo prestata l’opera

sua a’ Romani per cenquarant’ anni nelle più nobili ed

insigni geste, non fece seco loro alleanza. E per qual

motivo i Rodii così si reggessero, non è giusto che omel

tiamo. Non volendo essi a nessun signor e potentato

levare la speranza de’ loro aiuti e della loro società, ri

cusarono di vincolarsi con alcuno, e di lasciarsi preoc-\

n‘i'

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_ 311

55

cnpare (49.) con giuramenti e convenzioni; ma rima

nendo liberi intendevano di recarsi a profitto le altrui

speranze. Allora pertanto mism'o ogn’ industria a con

seguire cotal onore da’ Romani, (43) non mossi a strin

gere qualche alleanza, nè temendo per allora di chic

chessia fuorché de’Romani, ma volendo col mag

' gior impegno toglier i sospetti di coloro che pensavano

male della loro città. AppenaTeetcto era approdato,

che i (46) Caunii ribellaronsi, cdi Milassei ancora oc

cuparono la città d’ Euromo. Circa (47) quel tempo il

senato emanò un decreto che dichiarava liberi i Cari

ed i Licii, che dopo la guerra d’ Antioco assegnati aveva

a’ Rodii. Quanto è a’Caunii ed agli Euromei , i Rodii

presto acconciarono la faccenda. Imperciocchè i Caunii,

mandatovi Lico con gente, riduSseri; all’ubbidienza,

quantunque i Cibirati gli aiutassero; e fatta una spedi

zione nelle città d’ Euromo, vinsero in battaglia i Mi

lassi e gli Alabandesi,i quali amendue venuti erano con

un esercito (49) sovra Ortosia. Come giunse a loro il

decreto circa i Licii ed i Cari, sumrrironsi nuovamente

d’animo, temendo non fosse lor tornato vano il dono

della corona, e vane le speranze dell’alleanza.

VI. . . . Avendo noi prima rivolta l’attenzione de’

leggitori sovra il proponimcuto (50) di Dinone e di Po-.

liarato. Imperciocchè accaduti essendo grandi casi e

sconvolgimenti non solo presso iRodii, ma quasi in

tutti gli stati; e’sarà utile d’esamiuar e di conoscere

le massime di ciascheduuo fra coloro che governavano

le repubbliche, per iscorgere quali ebbero una ragione

A. di Il.

587

Eslr. Vul.

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54‘

A. d; 3, vole condotta, e quali trasgredirono il dovere, affinché

587 i posteri, (5|) in siffatti esempli specchiand0si, possano

quando simili casi avvengono trar dietro a ciò che bassi

ad abbracciare, e fuggir le cose che 5’ hanno realmente

a cansare, né in sul fine della vita chiudendo gli occhi al.

I’ onestà, (52.) nulle rendano le azioni ancora de’ giorni

passati. Eran (53) adunque tre generi di coloro che cad

dero in colpa nella guerra di Perseo: l’uno di quelli

che non vedeano di buon grado la decisione degli af

fari, e la podestà su tutta la terra ridursi nelle" mani

d’un solo governo, ma che nè cooperavano co’Romani,

né li chntrariavano in nulla, e lasciavano gli avvenimenti

come in balia della fortuna, l’ altro di quelli che con

piacere vedeano decisi gli affari, e volevano che Perseo

vincesse, non potendo pertanto trarre i proprii concit

tadini e connazionali nella loro sentenza ‘, il terzo con

sisteva in quelli che trassero seco i loro governi e li

gittarono nell’ alleanza con Perseo. '

Vli. Come adunque ciascbeduno di questi partiti

governò i suoi affari, e facile a conoscersi. Strascinarono

nella causa di Perseo la nazione de’ Molossi (54) An

tinoo e Teodoto, e con essi Cefalo. (55) E riusciti es

sendo gli affari al tutto contrari a’ loro disegni, e so

vrastando il pericolo, ed avvicinandosi l’eccidio , tutti

uniti (56) mostraron il viso alla fortuna e valorosamente

morirono. Il perché sono ben meritevoli d’esser lodati,

posciaché non abbandonarono sè stessi, nè si ridussero

ad una condizione indegna della vita passata. In Achea

pertanto e presso i'I‘essali e Perrebii caddero in colpa

maggior numero di persone per esser rimasi cheti, come

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3:?

‘ ’ ‘ ' .55I

se stessero in osservazione de’ tempi, e favoreggiassero A. di It.

Perseo. Sebbene costoro nessun discorso di tal fatta

fuori mettessero, nè colti fossero seriwndo o mandando

a dire alcuna cosa di ciò a Perseo, ma si conservarouo

irrepreusibili. Quindi a buon dritto questi sostennero

ed il processo ed il giudizio, (57) e cimentaronsi ad ogni

evento. (58) lmpercioccbè non è minor segno di vigliac

cheria torsi la vita senz’aver la coscienza di delitti

bruttata, quando per ispavento delle minacce della fa

zione contraria, quando per paura de’vincitori, di quello

che amar la vita oltre il dovere. In Rodo, ed in C00,

ed in molte altre città v’ ebbe alcuni che tenevano con

Perseo, i quali osato avendo di parlar nelle proprie re

pubbliche in favore de’Macedoni, e d’accusar i Ro

mani, e perfino di consigliar a stringere società con

Perseo; non poterono strascinar le loro repubbliche a

cotal alleanza. I più cospicui fra costoro eranoîpresso

i Coi Ippocrito e Diomedoute , fratelli:,' Presso i Bodii

Dinone e Poliarato. _ '

VIII. Il costoro divisamento chi non biasimerà? i

quali primieramente , avendo i concittadini a testimoni

di quanto fu da loro fatto e detto, poscia essendo state

intercette e tratte alla luce le lettere, c0si quelle che da

Perseo a loro furono mandate, come quelle che a Per

seo da loro, ed insieme presi gli uomini che da amen

due le parti reciprocamente spedivansi, non ebbero

animo di cedere, nè di togliere sè stessi di mezzo, ma

stettero in dubbio più che mai. Laonde persewrando

essi nell’amare la vita, a malgrado delle perdute spe

ranze, (5g) rovesciaron eziandio la Opinione (1’ arditezza

587

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56

\

A. di R. e d’ audacia ch’ erans: procacc:ata, per modo che non

587 restò loro presso i posteri il benchè minimo luogo alla

misericordia- ed al compatimento; ché convinti in sul

’viso da’ proprii man0scritti e ministri, apparvero non

solo sfortunati, ma più ancora svergognati. Era certo

Toante, di coloro che spesso in Macedonia navigavano,

mandato dagli anzidetti. Questi nella (60) mutazione

delle cose, conscio a sè stesso di ciò ch’ebbe operato,

per timore se ne scantonò in Gnido, ed avendolo i

Gnidii posto in prigione, richiesto da’ Rodii venne a Ro

do. Colà essendo ridotto a confessare per mezzo di tor

menti, fu nel confronto trovato d’accordo con tutti i se

gui delle scritture prese, ed egualmente colle lettere

spedite da Perseo a Dinonc e da questo a quello. Don

d’ e a meravigliarsi da qual ragione indotto Dinone tul

lerò la vita, e sostenne che si facesse di lui (61) esem

plare mostra cotale.

IX. Ma Poliarato avanzava di gran lunga Dinone

in isconsigliatezza e viltà. Imperciocchè (62.) avendo P0

pillio ordinato al re Tolemeo, di mandar Poliarato a

Roma, il re a Roma non giudicò di mandarlo, (63) per

rispetto della patria e di Poliarato , ma decise di spe

dirlo a’Rodii, chiedendolo questi ancora. Allestita dun

que una barca, e consegnatolo a Demetrio, uno de’su0i

confidenti, spedillo, e scrisse pur a’Rodii del suo‘ com

miato. Ma l’oliarato, approdato nel tragitto a Fa

selide, e venutoin non so qual pensiero, prese rami

d’ ulivo, e ricovrò (65) nel pubblico asilo. Costui, se al

cune l’ avesse_interrogato,che cosa volea, io son persuaso

che nel avrebbe potuto dire. Imperciocchè se desidera

/

.1'

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52:

57

va di andarnella patria, ache abbisoghava egli di (66) rami A. di R.

587d’ulivo, quando (67) cotest’ era lo scopo di chilo con

duceva? Se (68) a Roma aveasi a recare, anche non vo

lendo ciò dovea fare di necessità. Adunque qual altra

‘ cosa rimaneva (69) fuorché di navigar a Rodo, non v’a

vendo altro luogo che con sicurezza 1’ accogliesse? Del

’ resto siccome i Faseliti mandato ebbero a Rodo esor

tando a prendere ed a scortare Poliarato; così i Rodii

con accorto divisamento spediron una nave scoperta che

il dovesse accompagnare, ma vietarono al comandante

di i‘iceVerlo, perciocchè a quelli d’ Alessandria era or

dinato di rimetterlo in Rodo. Giunta la nave in\Fase

lide, e non volendo Epicaro che n’era il coniandante ac

cettarlo,e Demetrio, ch’era stato nominato dal re (go) per

isrorta, comandandogli che (71) di là si togliesu e

navigasse , instando eziandìo i Faseliti, perciocchè te

. .

‘. /

mevano, non |Romam per tal cagione da loro se la re- 4

cassero; sbigottito dell’ emergenza, rientrò nella barca

di Demetrio. Ma (72) in mentrechè salpavano, valutosi

di un opportuno pretesto , ricoverò (73) di bel nuovo

in Canna, e col_à nello stesso modo supplicò gli abitanti

di soccorrerlb. Questi avendolo pur respinto, percioc

chè erano stati (74) assoggettati a’ Rodii, mandò a’ Ci- .

birati, ipregandoli di riceverlo nella città e, d’ inviargli

una scorta: ed avea ein (75) un titolo verso la città,

per avere presso di sé allevati i figli del tiranno Pan

crate. Questi gli diedero retta , e soddisfecero alle sue

richieste; ma venuto che fu in Cibira gittò sè stesso

ed i Cibirati (76) in un imbarazzo maggiore di prima,

quando egli fu press0i Faseliti. lmperciocchè nè osaro

roumo, 10.11. nn. 5

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58

A. di R.

587

Amb. 9';

no di-riteuel‘lo, pella paura che aveano de’ Romani,

né poterono (77) mandarlo a Roma, palla loro inespe

rienza nelle cose di mare, come quelli ch’ eran al tutto

meditcrranei.'Alla perfine furono costretti a mandare

un’ ambasceria a Rodo ed al proqousole in Macedonia,

chiedendo che se lo prendessero. Ma__f.ucio Emi-l'2.

avendo scritto a’ Cibira_ti,_che gelosamente custodissero

Poliarato ed il recassero a Rodo, ed a’ Rodii che aves

sero cura di farlo scortar per mare, affinché con sicu

rezza fosse trasportato nel territorio de’Romani, Po

liarato per tal modo venne a Roma, mettendo in iscena

la sua sconsigliatezza e la sua viltà per quanto fa in

lui, ed essendo stato consegnato non solo dal re "I‘ole

meo, ma da’ Faseliti ancora, e da’ Cibirati, e da’Rodii,

per cagione della propria (78) stoltezza. - Perché. ora ho

io fatto tante parole circa Poliarato e Diuone? Non

affinché io prenda ad insultar le loro sciagure, lo che

sarebbe cosa enorme; ma affinché palese rendendo la

loro inconsideratezza, io procacci che meglio si consi

glino, e più senno adoperino quelli che fossero per ca-v

dere in simili disgrazie.

X. Dopo l’ eccidio di Perseo, come prima fu ogni

cosa decisa, da tutte le parti maudaronsi ambascerie,

per congratularsi co’ duci dell’ accaduto. Essendo per

tanto gli affari del tutto inclinati a favore de’ Romani,

eda galla pella condizione de’ tempi in tutte le repub

bliche coloro che de’ Romani reputavansi amici, erano

questi creati pelle ambascerie e pelle altre bisogna. Il

perché concorsero nella Macedonia dall’Achea (79) Cal

I

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I .' ' 4L" “l W“Î"Αî‘ffi'-‘W:'"W '0‘ "'

. 59

licrate, Aristodamo, Agesia, Filippo; dalla Benzia Mna- A. di R.

sipp0‘, dall’Acarnania Creme; dagli Epiroti Caropè e 587

Nicia; dagli Etoli Licisco e Tisippo. Tutti costoro tro

vandosi insieme, e con fervore gareggiand‘o intorno allo

stesso oggetto, ne opponendosi loro alcuno, pereiocchè

tutti quelli della fazione contraria , cedendo alle circo

stanze, (80) eransi affatto ritirati, spuntarono senza fa

tica il lor intento. Alle altre città e corpi nazionali (8i)i

dieci per mezzo degli stessi (82) pretori imposero chi

dovessero mandar a Roma, ed erzÎnîîîesti i medesimi

che gli anzidetti aveano indicati e notati, ciasceduno

(83) secondo le proprie dissensioni di parte, tranne as

sai pochi, ch’ eransi con qualche fatto manifestati. Alla

nazione degli Achei mandarono ambasciadori i più il- '

lustri de’ dieci. Caio Claudio e Gneo Domizio, per due

cagioni : primicramente perché temevano, non solo

che gli Achei non eseguisséro ciò che loro per iscritto

era stato ingiunto, ma ancora che venisse in pericolo

Callicrate ed i suoi compagni, i quali erano in concetto

d’aver operate le accuse contro tutti i Greci, lo che fu .

realmente, in secondo luogo perché in_nessuno‘degli

,

-Ì'fî

i"1"

scritti intercetti trovossi nulla di preciso contro nessuno

degli Achei. (85) Circa questi adunque il console, dopo

qualche tempo, spedì lettere ed ambasciadori, comechè

egli,(86) quanto era al proprio suo parere, non approvasse

le accuse di Licisco e di Callicrate, siccome co’fatti

posògsi rendettè palese: ‘

XI. I re d’Egitto, liberati dalla guerra con Antioco, Amb. 95

mandarono dapprima ambasciadore a Roma Numenio,

uno de’loro confidenti, affine di render grazie pe’bene

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60

A. di R.

587

Amb. 96

Ateneo

l..nr,c. l.

fizii ricevuti. Libemron eziandio il lacedemone Menal

cida, il qual erasi con ogn’ industria abusato de’difiicili

tempi de’ re per (87) arricchirsi; avendo Caio Popillio

chiesta da’principi la grazia della sua dimissione.

Xll. Intorno a quel tempo (88) Coli re degli Odrisi

mandò ambasciadori a Roma , chiedendo che gli fosse

restituito il figlio,(8g) ed iscusandosi della società avuta

con Perseo. I Romani, che stimavano d’aver compiuta

mente ottenuto il lor intento, essendo la guerra con

Perseo riuscita secondo il lor desiderio, e che (90) a

nulla più tendeva la loro dimensione con Coli , accor

daron a questo di pigliarsi il figlio, che dato in Macedo

nia per ostaggio, fu preso co’figli di Perseo, volendo di

mostrare la loro clemenza e magnanimilà, ed insieme

(9|) farsi vedere placati con Coti per mezzo di siffatta

grazia. .

XIII. (92) Lucio Anicio, poich’ebbe debellati gl’llli

rii, e condotti prigioni il loro re Genzio co’figli, ne’giuochi

trionfali ch’egli celebròin Roma, fece cosr: (93) degne del

maggior riso, conforme narra Polibio nel libro trentesi

mo. lmperciocchè fatti renir dalla Grecia i più chiari

artefici, ed eretto nel circo un palco vastissimo , v' in

trodusse prima tutti i sonat0ri di flauto, i quali erano

Teodoro beozib, Tcopompo, Ermipr e Lisimaco, i più

illustri di que’tcmpi. Avendo messi questi nel proscenio

insieme col coro, comandò che tutti uniti sonassero.

Costoro (91|) accompagnando le note col moto con

\cnienle , disse Anicio che cotest0 suono non era bel

lo, ed ordinò che ,(95) piuttosto combatt.essero. Ed es;

scudo essi imbarazzanti, alcunov tlc’littori mostrò loro

I

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61

che voltatisi l’un contro l" altro si assaltassero, e (96) fa

cessero come una guerra. Isonatori avendo ciò pre

sto compreso, e conseguita la facoltà conveniente alla

loro (97) petulanza, fecero una grande confusione. Im

perciocchè (98) voltandoi cori di mezzo verso quelli

delle estremità, essi (99) soffiando all’impazzata ne’flanti

e (100) tra loro discordando andavansi addosso reci

procamente. Ad un tempo i cori schiama'zzaudo ed

(101) entrando insieme nella scena, precipitavansi sugli

avversarii, e (102.) giratisi di bel nuovo ritiravansi. Ma

allorquando (103) uno de’coristi, succintosi , fece ‘una

voltata ed alzò le mani a modo di pugilato verso il so

natore che a lui avventavasi, nacque un immenso plauso

e clamore degli spettatori. Mentre questi anca; (104) bat‘

tagliavano, ecco entrar nell’ orchestra (105) due bal

lerini accompagnati da sinfonia, e quattro pugili passeg

giare sulla scena con (106) trombe e corna.l quali con

tendendo tutti insieme, indicibil è ciò (107) che ne pro

Veniva. Che (108) se, dice Polibio, io prendessi a par«

are de’ tragici attori , e’ sembrerebbe ad alcuni che io

voglia motteggiare.

XIV. (109) Gli Etoli erano avvezzi a procacciarsi il

vitto di ladrouecci e (1’ altre simili scelleratezzc. E finché

era loro concesso di rubar e depredare i Greci, di siffatle

cose accumulavano le sostanze, ogni terra avendo per

nemica. Ma in appresso, s0vrastandoi Romani alla Gre.

eia, impediti di (1 10) trargiovamehto dalle cose di fuori,

voltaronsi contra sé stessi. (111) E dappriucipio quanto

v’ ha delle guerre civili di più terribile praticarouo, ma

(112) poco innanzi a questi tempi, gustato avendo reci

î’*""1 'L

\

A. di R.

587

EsÎr. Val.

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62 ' '

' A. di R.

587

Suilla

alla voce

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p 17 i a p es

Suida

alla voce

@luiins

5tmbone,

Vll,p. 322

\

procamente il sangue nelle uccisioni (113) ad Arsinoc,

eran aîtutto apparecchiati, ed inferociti per modo, che

non davano neppur a’ capi luogo di deliberare. Il perché

fu l’Etolia piena di confusione, di perfidia e di ammaz

zamenti , e tutto ciò che presso di loro escguivasi non

era operato con ragione e disegno, ma con temerilà ed

alla mescolata , non altrimenti che se (114) un grave

ucmbo fosse lor addosso piombato.

In Epiro cose simili si fecero. Imperciocchè quanto

più moderati erano qui (“5) gli uomini in generale che

non nell’ Etolia, tanto più empio e scellerato di tutti

era il loro capo: ché, a mio parere,non fu e non sarà

giammai ugmo più bestiale ed atroce di (116) Campo.

XV.»Emilio Pau_l_g, ammirata avendo la (1 17) fortez

za di- Sici0ne, ed il potere della città degli Argivi, venne

in (118) Epidauro.

Da lungo tempo in (Hg) aspettazione dello spet

tacolo d’Olimpia, andò a quella volta.

Lucio _Emilio_ venuto nel tempio ch’ è in Olimpia, c

veduta la statua di Giove, rimase attonito, (mo) e'disse,

che Fidia solo gli sembrava d’aver imitato (19.1) il Giove

d’0mero, perciocchè grande essendo la sua aspettazione

d’ Olimpia, trovò che la verità superava l’ aspettazione.

(12.2) Polibio racconta che Paulo Emilio distrusse

settanta città degli Epiroti dopo l’eccidio de’Macedoni

Page 64: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

63

e di Perseo. La maggior parte essere stata de’ Molossi; A. di R.

cenbinquanta mila uomini aver egli ridotti in ischiavitù.

587

I1

XVI. Nello stesso tempo (1à3) venne aurora il re A, di R.

Prusia a Roma, per congratularsi col senato e (12.4) co’

duci della vittoria. (12‘5) Cotesto Prusia non era punto

degno della maestà regia; lo che può arguirsi da ciò che

segue. Primierarpente, allorquando giunsero a lui gli

ambasciadori romani, andò egli lor incontro colla testa

rasa, (19.6) in cappello, toga e scarpe; in somma nell’ar

nese di coloro che sono di (12.7) recente francati presso

i Romani, e che chiamano liberli. Salutati ch’ ebbe gli

ambasciadori: Vedete, disse, me vostro liberto, che tutto

far vuole per vostro amore, ed imitare i vostri costumi;

voce più abbietta della quale non è facil a pronunciare.

Allora entrato nel senato, stando alla porta di rincoutro

a’ padri, ed abbassando amendue le mani, (128) adorò

prostrato la soglia e quelli c'h’ erano seduti, gridando:

Vi saluto, Dei salvatori; eccesso di (129) viltà, ed insie

me d’effeminatezza e d’ adulazione, a cui non perverrà

l’età futura. Conforme a questo fu il colloquio ch’ ebbe,

poiché entrò; intorno alla qual cosa lo scriver eziandio

è indecente. (130) Appalesat0si al tutto spregevole, ot

tenne perciò appuuto una risposta benigna.

XVII. Appena ebbe questi ricevuta la risposta, che

giunse la unovacome veniva Eumene. La qual faccenda

molto imbarazzo recò a’ senatori; perciocchè (131) es

sendo a lui nemici, e prese avendo immutabili deter

minazioni, non vulcano in alcun modo palesarsi. Con

ciossiachè avendo essi a tutti mostrato (132) essere cc

588

Olimp.

cL111,11

Amb. 97

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64 .

A. di R. stui il primo ed il maggior amico de’ Romani; se , ve

588 unto al loro cospetto , avessero accolta la sua difesa e

data la risposta conformemente alla lor Opinione ,

sarebb0nsi fatti scorgere , per aver tanto 0pmato cotal

uomo ne’ tempi addietro, e se, (133) servendo all’ ap

parenza esterna gli avessero amichevolmente risposto,

avrebbouo trascurata la verità e lciò che util era alla

patria. Il perché dovendo da amendue le sentenze se

guir loro (134) qualche imbarazzo trovar0no cotale scio

glimento del problema. Quasi che dispiacessero loro ge

neralmente le visite de’re, emanarono un decreto, che

nessun re a loro venisse. Poscia avendo sentito ch’Eu

mene, giunto in Italia, approdato era a Brundusio, gli

spediron (135) il questore , che recasse il decreto, e

lo invitasse ad esporgli , se per avventura abbisoguava

di qualche cosa dal senato; e se di nulla avea me

stieri , gli annunziasse che quanto prima uscisse del

l’Italia. Il re, abboccatosi col questore, e conosciuta la

volontà del senato, al tutto si tacque, dicendo che non

avea bisogno di nulla. Per tal guisa fu interdetta ad

Eumeue l’ andata a Roma. Seguì ancora per questa ri

soluzione un altro (136) avvenimento d’ importanza.

Impiarciocché so_vrastando al regno un grande pericolo

da’Gallogreci, egli era manifesto, che per cagione di

questo (137) sono rifiuto gli alleati del re doveano tutti

avvilirsi, ed i Gallogreci doppiamente incoraggiarsi alla

guerra. Quindi coloro che (138) per ogni verso volean

umiliarlo, entrarono in questa sentenza. Avvennero

queste cose (139) in s’ull’incor'ninciar del verno. Indi

diede il senato udienza a tutte le ambascerie presenti:

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65

(O

(che non v’ area città, ne potentato , nè re, che non

‘ avesse a quel tempo spedita un’ ambasceria per con

gratularsi dell’ accaduto ),‘ alle (140) quali tutte fece

cortese accoglienza: tranne a quella de’ Rodii, che

(141) trascurò mostrandole incerto I’ avvenire. Circa gli

Ateniesi ancora (142) trattenne la sua decisione. _

XVI“. Gli (143) Ateniesi vennero in ambasciata,

principalmente pelle salvezza degli Aliarti. Ma

essendosi poco badato a quanto ragionavano su questo

particolare, cangiarono discorso, e parlarono di Dolo e

di Lenno, e della campagna degli Aliarti, chiedendone

per sè il possesso ; perciocchè avreano due (145) incom

benze. Quanto è a Delo ed a Lenno, nessuno gliene

darà carico, (l46)da'ppoichè in addietro ancora eransi

queste isole appropriate, ma circa la (147) campagna

degli Aliarti alcuno a buon dritto li biasimerà. Imper

ciocchè non aiutar per ogni modo a risorgere la città

(148) quasi più antica della Beozia, ch’ era abbattuta,

ma al contrario spiantarla, togliendo a’ miseri perfino

la speranza nell’ avvenire; egli è chiaro che non con

viensi a nessun Greco, e molto meno agli Ateniesi:

che (149) render comune a tutti la propria patria, e di

strugger quelle degli altri, non sembra consentanco a’

costumi di quella città. Del resto diede (150) loroil se

nato Delo e Lenno. In questi termini erano gli affari

degli Ateniesi. ’

A. rii R.

588

Àmb. 93

se?

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66 ' .

A. di R.

588

Amb. 99

Amb. 103

XIX. Intorno quel tempo (151) Teeteto, entrato nel

senato, parlò dell’ alleanza; ma mentre il senato indu

giava a deliberare, quegli morì di morte naturale, avendo

già più di ottant’ anni. Venuti poii fuorusciti da Cauno

e da Stratonicea a Roma, ed entrati nel senato, fu per

decreto imposto a’Rodii che conducessero (152) le guer

nigioui fuori di Cauuo e di (153) Stratonicea. Filofroue

ed Astimede, ricevuta questa risposta, navigarono in

fretta a casa , temendo non i Rodii negligendo di me

nar fuori i presidii, dessero incominciamento ad altre

colpe.

XX. (154) Nel Peloponneso, (155) poiché vennero

gli ambasciadori, ed esposero le risposte avute, non già

tumulto, ma ira ed odio manifesto ne nacque contro'

Callicrate. _

(156) Qual fosse l’odio contro Callicrale ed (157) An

dronida e gli altri del costoro partito, può quindi ar

guirsi. Celebrand0si in Sicione (158) le feste Antigonie,

ed avendo tutti i bagni comuni (15g) tinozze e vasche

ressa a neste collocate nelle cali li uomini iù,q 1 q 8 P

puliti solevauo entrare separatamente; quando alcuno

della fazione di Andronida e di Callicrate in quelle

(160) calava, nessuno di coloro che sopravvenivano usava

di scendervi, se pria il bagnajuolo non gittava' fuori tutta

l’ acqua che v’avea, ed altra pura vi versava. Lo che

facevano, stimando come insozzarsi, ore immersi si fos

sero nella stessa acqua in cui gli anzidetti eransi ba

gnati. Le fischiata poi e le beffe che facevausi nelle

-

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351

, 5 67

pubbliche ragunanze de’Greci, quando alcuno prendeva J. di R.

a preconizzare unodi costoro , facil non è a narrarsi. 588

I fanciulli stessi pelle strade, ritornando dalle scuole,

ardivanò di chiamarli in faccia traditori. Tale fu il di

spetto : l’odio che invalse contro gli anzidetti.

FINE DEGLI AVANZI DEL LIBRO TBENTESIMO.

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33

6?

SOMMARIO

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMO.

A? VENIUENTI D‘ 11.11.11. .

Attalo è mandato a Roma da Enmene. «(Gonfiasi di

urina speme (S I). - Eumene manda a lui Slmtio, il quale

l‘ammonisce (S Il ). - Ormione d’ Attnlo al senato. - Ri

sposta del senato. - Erto e Maronea. - Ambasceria de’ Ro

mani (1’ Gnllogreci (S III). - Ambascerin de’Rodii. - I Ra

mnni adirati contro i Rodii. - Antonio tribuno della plebe. -

Canto di cigno. - l’olibio binsima l’ orazione d‘Astimecle

(S IV). - Nuova ambasceria de’ Rodii. - Potere del navnrco

di Rodo. - Prudenza de’ Rodii nella stringer alleanze. - II Borlii ambiscono con ogni studio la società de’ Romani. »- I

Cmmii ribellansi da’ Rotli'i. - I Romani francnno iCarii ed

i Licii ( 5 V - Incoslnnzndi Dinone e (li Poliarato. -- Va

rii partiti degli uomini nella guerra persico (5 VI ). - Il

suicidio è indizio d’animo imbecille - Ippocrito da C00 (S VII).

- Dinone e Poliarnto rorlii sono convinti lrl' ngerfivoreggiato

Perseo. - Dinone (S Vlll). -'- Polinrato. - E consegnato »a' 1

Romani (S IX). - Ambascerie de‘ Greci a’ Romani in Ma

cedonia. - Ambascerie de’ Greci a Roma. - Causa dein A

chei. - Callicrate calunnia gli Achei ( 5 X). - Alnbnscerin

de’ Tolemei n Romn. -- 1lfennlcida lacerlemone (S XI -

/lmbnscerin “di Coli (S XII). - Genzio menato in triorfi. -

Giuochi Circensi. -‘ Combattimento de’ sonntori di flauto. -

Ballerini. - Pngili (SrXIII

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70

Arma: DI ancu.

Uccisioni e lumulli presso gli Etoli. - Campa il più scel

lernlo fra gli uomini (S XIV -- Sicione. - Argo.- Giove

Olimpia. - l’aula Emilio distruggekelùmta città nell’ Epi

ro (5 XV ).

AFFARI D’ITALM NELL’ANNO mxxxynr.

Brulla àdulau'one di Prusia XVI » Vietasi ad Eu

mene di venir a Roma. - Decreto ch’ esclude i re rlall’ Ita

lia. - I Romani abbassano Eumene. - Gli amlmscimlori so

no ammessi nel senato (S XV"). - Gli Jleniesi chiedono

Aliarlo, Delo e Lenno. -La pretesa circa la campagna (l’A

linrto ingiusta. - Belo e Lenno sonorlati ain dleniesi(XVlll). -

Teeleto muore a Roma. - Fuoruscili di Canna (XIX).

AFFARI .DEL PELOPQNNESO.

Callicrate traditore degli Achei. _ Odian da mm (% XX ).

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ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMO.

I

Dc’ fatti contenuti ne’ frammenti di questo libro ragiona Li

via nel x1.v della sua storia, e parte di quelli leggevasi nel xzvr,

ch’ètra i perduti. Havvi pertanto tra gli autori, che presero ad

illustrare gli avvenimenti che aquesta epoca appartengono, grande

confusione in fatto di cronologia. Imperciocchè, secondo il Ca

saub., l'anno in cui ebbe fine la guerra mace‘donica fu il 586 di

R., al qual egli assegna i consoli Go. Elio Pelo e M. Giulio Pen

no', laddove, giusta il Sigonio, il consolato di costoro e l’eccidio

di Perseo debbono trasportarsi all’anno 585. Il P. Petavio (Rae

tiones tempor., T. 2, p. 454) Spinge innanzi di un anno il cal

colo del Casaub., ed a lui si è attenuto (comechè nol dica) lo

Schweigh.; ben ragionemlmente, dappoichè nel 587 di R. fini

scon appunto icinquantatrè anni su’ quali disse già Polibio che

5’ aggira propriamente la sua storia, e la parte a cotal epoca po

steriore sino al 6o8, anno della distruzione di Corinto, non è se

non se un’ appendice di quella. Nel corso delle note al presente

libro avremo ancor occasione di ritornare su questo argomento,

che abbisogna di maggiore dilucidazione. ‘

(I) Intorno a quel tempo. Quest’ ambasceria di Attalo è de

scritta da T. Livio ne‘cap. 19 e 20 del lib. x1.v per modo, che

sembra una traduzione di ciò che dice qui il Nostro.

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7 2 ‘

(a) La sciagura ce. Di questo avvenimento non trovasi fatta

che superficiale menzione così in Livio, come in Pulibio. Il pri

ma lo chiama gal/ipus tumullus, cb’ è quanto invasione repen

tina, quale soleva fare quella leggiera ed impetuosa nazione ne'

paesi a lei vicini, non senza strage d' uomini cdi robe, incuteuti

agli assaliti maggiore spavento che non sogliono fare le guerre or

dinarie e prevedute. Al qual proposito asserì Cicerone (Plai

lipp. vm, I) esser il tumulto più grave della guerra , e poter

avvenire questa senza quello, non già l'opposto. Ed a questa par

ticolarità sembrami che volesse aeceunar il Nostro usando il vo

cabolo r6pr7upa, ch'è proprio cosa, avvertimento in senso si

nistro, siccom’ erano pell’appunto siffatte irruzioni. Poco appresso

chiama ein cotesta guerra, I‘aAn7im‘n mp'nenv, nello stessa

significato, non già l‘aÀa7rzin ‘ra'Àlp0I.

(5) Risconlro. [l vocabolo greco cimiv'lqns‘, che ho cosi vol

tato, equivale qui ad accoglienza fatta per mezzo di persone di

stime mandate incontro al forestiero che s’ intendea d’ onorare,

nel qual scuso trovasi questajoce usata nelle lettere del Caro;

laddove incontro sostantivo per esprimere siffatta accoglienza non

si adopera. [traduttori latini ne fecero una circoscrizione: Quum

que majore quam sperasse! ipse comilalu obviam ei esse!

prqfèctum (essendoglisi andato incontro con maggior incompa

gnamcnto di quello cb' egli stesso sperava).

(4) lntrallenendo pratiche. Mi sono attenuto alla spiegazione

che dà il Reiske al AuAe'óflu. del testo: parlando a Perseo

segretamente, avendo seco lui pratiche. Propriamenle è uni.

parlare di cose frivole , ciarlare, lo che pare che a simili ben

serii trattati non convenga. Tuttavia credo che il discorrere cou

lidcnzialmenle‘, e quasi all’orecchio, conforme qui fece Eumeue

con Perseo, non differisce gran fatto dal ciarlare.

(5) Volerglt'. Stimai opportuna la correzione fatta dall‘ Orsiui

e ricevuta dal Casaub. al /3w7iiolr9air del testo in BauMid'9ru, quan

tiigqUe non l’approvasse lo Schweigh; dappoich‘c fleoÀiulrl non è,

siccome in questo pare, cogitare, id agere (pensare, esser in ciò

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357

fi’9occupato), sibbene consultare, deltbemre in pieno consiglio, lo

che certamente non fece allora il senato su cotal argomento.

(G) Mandò inoltre. 'Emariparn ha il testo che, per mio av

viso, i traduttori male rendettero per post (fratrem) mittit. Non

dopo il fratello è da credersi cb’ Eumene mandasse Stratio a Ro

ma, ma con lui, siccome scrivesi da Livio: Slratius cum eo fiu't

medicus. La preposizione iarl innanzi ad un verbo significa non

di ram aggiunta all' azione che lo stesso verbo esprime.

(7) Ed avendoin esposti ec- Secondo Livio due erano le in

cumbenze che costui ebbe dal re: esplorar i maneggi delfra

tello, ed ammonirlo ove si allontanasse dalla fedeltà. Qui pure

si distinguono due cose: primieramente quelle ch’Eumepe fece

conoscere, mostrò (indi/fui) a Stratio, cioè l’ambizione d’ At

talo ed i passi segreti che questa gli suggeriva , e che d’uopo

aveano d’ esser esplorati; poscia il comandamento (iv7ttMîplus

d’ ammonirlo se lo scoprisse infedele. Quindi nè deesi, secondo

che propone il Reiske, leggere 73 p‘n EiAAe 6nd. , quasi che

fosse questa la sentenza del Nostro: Tra le altre cose che gli

prescrisse, avendolo ancora incaricato ec.; nè può accettarsi la

versione del Casauh., re comunicata, cliè la semplice comunica

zione del fatto eseguita da Eumene era superflua a significarsi, non

così la sposizione dell' animo d’ Attalo riconosciuto dal fratello;

nè tampoco si può passar allo Scbweigh. che timò‘tt'fiai: esprima

alquanto meno di ’u'luha'psnr, non altrimenti che se Eumcue

raccomandate avesse al medico alcune c05e più, altre meno caldamente. , I

(8) Guastarc la loro casa- Non mi piace il cangiamento di

fimo-mia; in Spinta; (consenso), ovveramente rvaanfau

(accordo) proposto dal ltèiske, potendosi, conforme osserva egli

stesso, interpretare fiasnAl/m casa regia, stato del regno. Era

stato suggerito ad Attalo di chiedere la divisione del regno. col

darne a lui una parte (c. 5), lo che sarebbe al corto stato ca-,

gioue di perpetua nimistà tra i fratelli, che con ogni sforzo avreb

buuo procacciata la reciproca loro mina. Lo SchWeigh. lascia a

POLIBIO, tam. 7111. 6

\

,45

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MH

/

fluo-Uni» il suo più comune significato di regno, reame, ap

poggiato sopra un passo ch' è verso la fine di questo capitolo,e

che a suo luogo prenderemo a considerare.

(9) Uomo prudente ed atto a persuadere. Chi s’ accigne a

persuader altrui qualche partito meriterassi la lode di prudente,

ove con efficaci parole gli rappresenti i vantaggi che a lui ridon

deranno dall‘esecuzione del procedimento suggerito, e le funeste

conseguenze che risulterebbono dall’appigliarsi al consiglio op

posto. Amendue questi argomenti svolse Stratio con ammirabile

maestria.

(IO) Non era per anche manifestato. 'Am3uîu’7puu, fu

dallo Schweigh. nelle note e nel vocabolario male renduto per

nata, procreala, nel quale senso non trovasi questo Verbo in nes

sun altro luogo del Nostro, nè presso qualsivoglia autore. Potrebbe

muover dubbio sull’esistenza di questo figlio, al tempo degli av

venimenti che qui si narrano, l’avereprimu detto Polibio ch’Eu

mene non avea prole, non altrimenti che scrisse Livio (u.v, lg)

di lui, nullam stirpem liberdm Imbean (non avendo discen

denza di figliuoli). Ma è egli forse impossibile che cotesto bam

bino, nato uell’ estrema vecchiezza del padre, non fosse da questo

riconosciuto dapprincipio per il sospetto che la moglie da altr’uo

mo l'avesse concepito,e che in appresso ricredutosi il dichiarasse

sua prole legittima? Livio al Certo, che avea Polibio sott’ occhi,

non avrebbe scritto: Nondum enim agnoverat rum (che nol

avea egli per anche riconosciuto) se trattato si fosse di persona

non ancora nata. - Ku72t @iwn abbiamo già detto altrove

(nota 108 al lib. xvm) che non significa ilfiglio naturale delle

nazioni moderne, ma che sta in opposizione al figlio adottiva

ch’e5primevasi per 1473 Sian.

(Il) Pere/tè in celesti [empi cc. Il testo volgato non può stare:

fla'm ,6Miw'lu 7oi“ rum-57;: nmfoiu , verbalmente: Quante

cosa ofl'enda ein i presenti tempi. Oltre 1’ imbarazzo di due so

stantivi retti da un solo verbo, è da considerarsi che non si of

fendono già i tempi, sibbene le persone o le cose ne’ tempi. Pro

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pose già lo Schweigb. giudiziosmnente di leggere,»a7ir 7aiif ivi.

n.374; xl:pniaî , ne'lempi presenti; ma converrebbe ancora in

luogo di mitra (quante cose) scrivere xiv“; (come).

(le) Dovendosi . . . . ringraziare cc. All’Orsini, sembrò sba

gliato l’inm congiunto con zip: nel senso di dover ringraziare,

e vi sostituì ii3iuu (sapere). Il Gronovio reputò eziandio tron

ca la frase e vi aggiunse 6171 (dovere) daversi saper grazia

agli Dei. Io tengo collo Scbweigb. che niente è da cangiarsi, e

sprimendo la frase, siccom'è nel testo, in buon greco abbastanza

quello che volle significar il Nostro. Tuttavia m’ è convenuto, per

rimaner fedele all’ indole della nostra favella, avvicinarmi alle e

mendazioni summentovate.

(15) Le minacce de’ Galli. Tîiv nitr‘o 73| l‘aàa7iv Qo’,3u,

propriamente il timore incasso de' Galli, cioè dalle loro mi

nacce, che qual causa abbiam sostituito all’ effetto (timore) sottin

teso. l traduttori latini non colsero con precisione nel senso del

l’Autore scrivendo: Praesentem gallicum tumullum. Non scrissi

Galaziì, sebbene Galazia avesse nome la regione da costoro abi

tata, perciocchè l‘ami7ui (Galazii), non altrimenti che KiA7m

(Celti), erano i Galli tutti da‘Greci chiamati (V. Strab., IV, p. 189).

(I 4) Scorwolgerebbe il regno ee. A questa espressione si rife’

risce lo Scbweigh. per dimostrare che ,Bflo'tìtll'a al principio di

questo capitolo significa reame anzicbè casa reale, conforme avver

timmo alle nota 8. Noi non ci opporrcmo al suo parere , che

qui l’anzidetto nome greco abbia cotale significato, ma nella poca

convenienza che lo abbia al luogo citato osserveremo. che quanto

segue è tutto relativo alla famiglia regia, parlandovisi de’ danni

che dalla condotta d'Attalo deriverebbero non solo ad Attan

medesimo , ma eziandio agli altri suoi fratelli. Il perché non è

assurdo che qui pure a flawlur'u si attribuisce: l’ altro Senso

meno usitato.

(I5) Nella guerra contro Perseo. Essendo nel testo xc.7is

7‘“ [Uffici wo'M|unv, l’ Orsini posi: ii; 7o! innanzi nu7‘a: ag

giunta molto conveniente, precedendo come qui il verbo ampie

O

viriur“f"" V » "h-"e-u -fi.-WI"“"M " V

_7. u.,,,, ' , 7

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f.’ .fil \

xiv-9m cui il Nostro fa sovente succedere sir, e talvolta tpin'

eoll’accusativo della cosa nella quale si adopera la persona. Ma

allo Scbweigh. piacque meglio che si omettessero queste parole ,

comechè ein le abbia ricevute nel testo, e nelle note propone

di scrivere semplicemente tutti: 7‘" flipe’iuf, ovveramente “IP

n»ìn aro')up.u; anzi dà per cerlissima la lezione ni7ì 73v wpias’

flipeiaz 1rtiMpn. lo amerei che si leggesse: El: oppure arpia:

7%; nulla (contro) Hspvio; ara'Aapuv.

(l6) Erto. Cinque città che portavano questo nome annovera

Stefano, situate in varie provincie, ed un' isola presso 1’ Arabia

felice. La presente era città marittima della Tracia alla foce del

1’ Ebro, la quale non altrimenti che Maronea, sulla stess:n costa

alla foce dell’ Ismari, apparteneva dapprima a’ re d’Egitto ( v, 54),

e poscia fu usurpata da Filippo padre di Perseo, il quale per

tanto dovette sgombemrla per comandamento del senato romano,

presso cui eransi di ciò laguati i fuoruseiti di quelle, che aveano

parteggiato per Eumeue (xxut, Il ). Quindi non è a maravi- ‘

gliarsi se Attalo le chiedesse ora in premio della sua inconcussa

fedeltà verso i Romani. _

(17) Il senato. Suppo_neva questo che il motivo principale

della venuta d'Attalo a Roma fosse il chiedere per sé una parte

del regno di suo fratello, la cui fede erasi renduta sospetta a’Ro

mani; e forse era tale il suo divisamento innanzichè il discorso

di Stratio 1’ animo suo a contrario pensiero volgesse. Ma più del

l' ambizione poté in quel principe, non già l'amor fraterno, sib

bene il timore delle conseguenze che risultate sarebbouo dalla di

visione del regno posseduto da Eumene. Se non che il senato, per

quanto desiderasse cotal divisione, e forse amato avesse di tra

sferir in Attalo tutto il dominio, non volle pubblicamente far

gliene la proposta, e come vide ch’ egli, non cedendo alle secreto

subornazioni, si taceva affatto sull’argomento che stava loro tanto

a cuore, tenero del proprio decoro se ne ristette, e preferì di fargli

conoscer il suo risentimento colla sottrazione del dono promesso.

Livio (xzv, ’10) riferisce, ch’egli, non solo presente, ma ezian

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34t‘

e

%‘idio nella partenza fu come pochi re o privati trattato con tutti

gli onori e doni, e non fa motto della cessione a lui mancata

d’ Eno e di Maronea. Nella sposizione del qual fatto sembrnmi

che lo storico romano fosse più guidato da patt‘io rispetto che

da amore di verità.

(18) Conseguite avendo se. l MSS. che recano tapis 751

Tuzév'li’n chfluspuz'tzv sono al certo sbagliati, e l’ Orsini,

seguito da Casaub. , ne fece rapa7vzi‘ur; ragionewlmente, se

condochè a ma pare. Il Reisko propose di scrivere rupuu7it (fa

migliare al Nostro per tapzwrtfzt, tosto, subita) 7lllzài , e la

sentenza verrebbe ad essere: Come prima ebbe ricevute le cor

tesia se ne andò da Roma; lo che rassomiglierebbe ad una pre

cipitosa fuga anziché ad una tranquilla partenza. Oltracciò è il

zapau7ia troppo distante dal verbo a'ippqflv che di per sè e

sprime celerità, impeto, senzachè abbia mestieri d’essere da al

tro vocabolo rafforzato. Ma forse basterebbe il semplice 7uxiin

seuz’ altra precedenza.

(ig) Non potendo far altro, « cioè non poteva impedire che

ciò accadesse, o non potea render nullo ciò ch’ era fatto ». Rei»

ske. Questo non panni il senso del testo. Il senato, dice il No

stra, non poteva in altro modo punir Attalo, il quale ingannata

avea la sua aspettazione, che non dando a lui le città che già gli

ebbe promesse colla tacita condizione, ch’ egli dovesse chiedere

per s‘c parte del regno di suo fratello.

(20) A’ Galli mandò un’ ambasceria. Di questa, siccome del

l'antecedente risoluzione del senato, non parla Livio. Era questa,

per quanto scorgiamo dal presente luogo, secreta, ma poscia se

ne vide il risultamento, che consisteva nell’accordar a quella

gente di vivere colle proprie leggi, libere dal giogo d’ Eumene,

ma coll'obbligo di non uscir armati da’proprii confini. (V. xxxr, a).

(2|) Dapprima Filarrate. Secondo Livio (xav, 25) i prin

cipi dell’ambasciata erano Filocrate ed Astimede; di Filofronè

_non fa egli menzione alcuna. La venuta anteriore di Filocrate

avea, secondo lo Schweigh., per iscopo la consegnazione a’Romani

l

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l‘8

,.l

di/î)inone e Polka-Mo, capi della fazione a questi avversa, con

forme scorgesi da varii luoghi de’ libri ‘17, ’18, 29 del Nostro, e

dal lib. xnv, 22 di Livio. In tal caso dopo ci mpi 7‘ov 01Anpé

7m converrebbe porre 7in Aenóm lal7in fla)tuuipu7or mzpulr

3óv7ss.

'(2’2) Ricevuta la risposta cc. Que5Io l‘atto importante, da cui

ebbe origine la costeruazione de’ Rodii ed il loro contegno in

Roma, è sorpassato da Livio. La risposta stessa leggesi nel

lib. xxrx, 7, e ne risulta lo sdegno de’ Romani per l’audacia de’

Rodii che, veggendo Perseo chiuso in Macedonia e ridotto a mal

partito, imporre voleano a quelli colla minaccia d’accordare a co

stui il loro favore, e ad un tempo vi si scorge la volontà lorointenta alconsiderarli come nemici.

(25) Uno de’pretari. Era questi, a detta di Livio (xav, 2| ).

M. Giuvenzio Talea, che avea la giurisdizione tra i cittadini ctl

i forestieri, ed al cui tribunale per conseguente questa faccenda

propriamente apparteneva. Con procedimento al tutto arbitrario,

senza consultar il senato e senza render avvertiti iconsoli, pro

pos’ egli la guerra da dichiararsi a’ Rodii. A lui si opposero i

tribuni M. Antonio e M. Pomponio; ma i tribuni ancora non

avean diritto di frapporsi ( intercetlere) innanzichè fosse loro con

ccduta la potestà di persuadere o dissuader la legge a’ particolari,

lo che allora non era il caso, non essendo questi stati interro

gati. Insurse quindi una fiera gara tra il pretore ed i tribuni, l’e

sito della quale non si conosce da Livio, ch’è qui mutilato. Tut

tavia sembra che i tribuni avessero riportata la vittoria, dappoi

che riferisce il Nostro che Antonio trasse il pretore da’ rostri, e

veggiamo che i legati rodii ebbero poscia facoltà di parlare.

(24) Nelle raccomandazioni. Dispiacque al Reiske ed allo

Schweig. quel rupanàifln tosto seguito da uapcuaìni'v, e pro

posero di sostituir al primo di questi vocaboli ‘n'liufm’, siccome

leggesi in Diod. Sic. (Eclog.. Phot. , lib. xxxr, x), il quale

compendiando questo fatto il narra quasi tutto colle stesse pa

role di Polibio, ed il Wesselingio ancora vorrebbe mutare l’e

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,75' 77

spressione del Nostro in quella di Diodoro. Ma 'n'lclin è pro.

priamente colloquio, congresso, udienza, senso a questo luogo

molto meno conveniente che non quello che risulta dal rupe

I.Mifli , secondo la sua etimologia invomzione dell’altrui aiuto,

lo che, se non m’inganno, corrisponde alla voce raccomandazione

qui da me usata. Cosi voltai nel lib. xxm, 7: p‘s'l'ufiwflos

tal sapa=Afinus muvpsmv loin' Ao'yws‘, avendo parlato

come chi supplica e si raccomanda.

('25) Astimede. La costui orazione, della quale Polibio, od il

suo epitomatore, non rammenta che i sommi capi, fu data per

esteso da Livio; se non che il principio, dove senza dubbio leg

gevasi il nome di chi la pronunciò, n’ andò smarrito. Noi ver

remo confrontando la opinione del Nostro su questo discorso co’

passi dello storico romano che vi hanno relazione.

(‘26) Il canto del cigno,-del quale si favoleggia che canti una

sul volta innanzi alla morte. Così gli ambasciadori rodii, esposta

ch’ebbero la loro difesa, aspettavansi la sentenza dell'estrema

sciagura che dovea colpirli. Lo Schweigh. suppone che questo

proverbio si adatti pure a coloro che sono in qualsivoglia peri

colo, ed appoggia la sua asserzione sul presente passo e sopra

un altro nel principio del e. 20, lib. un.

(27) Tali risposte. Molto più si estende in queste il Nostro

che non Livio, il quale (xzv. a5) dice aver il senato risposta

a’ Rodii per modo che non divennero amici, ma rimasero socii.

(28) Pochi amici di loro. ltraduttori latini rendettero àu7îv

per Romunorum. (de’ Romani), ma a me sembra piuttosto che

cutesti fossero amidi de’ Rodii, tra i quali fu il principale Mi

Porcio Catone che li difese con energico discorso, di cui ci serbò

alcuni brani A. Gallio (vu, I); l’ intiero che , a detta di Livio

(l. e.), leggevasi nel quinto libro delle Origini essendo perduto

insieme con questi libri; (che adulterini debbono reputarsi quelli

che sotto cotal nome pubblicò Annio da Viterbo). Da’ pochi pe

riodi che di siffatta orazione rimangono scorgesi , come il Cen

sure, verso i suoi concittadini più severo che verso i miseri Ro

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d{i,6quclli rampognavn per la superbia in cui erano montati do

po la vittoria, questi scusava per non aver essi giammai ostil

mente operato, n‘e mosse le armi controi Romani. Non si com

prende pertanto, come Polibio non ebbe fatto molto dell’ arringa

di Catone in favore de’Rodii; chi non supponesse che tanto

stomacato fosse dell’ orazione d’ Astimede, e tanto forse gli dispia

cesse il contegno di questa nazione, che non la reputasse degna

di cotal difensore, ed amasse meglio di non parlarne tampoco.

(29) Per essi. Pegli ambasciadori medesimi, i quali eransi

tanto umiliati, ed in certo modo confessato avean il torto della

loro gente.

(50) Nella giusti/irruzione della patria. Tu ‘riis warp'a'u

Jlum sono qui propriamente le ragioni valide, igiusti mo

tivi che indussero la patria a comportarsi nel modo che fece. La

traduzione latina di questo passo sembrami deviare da siffatta

idea, anzi al tutto vaga. Suona essa cosi: Nani ille palriae caus

ram non magi: eommemorandis ii: rebus est tutatus, quae ad

eia: excusationem pertinebant, quam aliorum criminationibus.

( Imperciocchè egli difese la causa della patria meno rammentan

do le cose che alla scusa di lei appartenevano, che non coll’ac

cesare gli altri).

(5|) Nel principio della guerra. 11 Noi (diceva Astimedc)

nel principio della guerra mandammo a voi ambasciadori, che vi

esibissero quanto fosse alla guerra necessario , apparecchiati di

chiarandoci a tutto co’ navigli, colle armi, colla nostra gioventù,

siccome nelle guerre antecedenti ». Ma fatto sta che tutto questo

immenso apparato si ridusse a quaranta navi che allestirono per

il caso che i Romani li richiedessero d’aiuti (xxvu, 3). Quanto

è poi alle operazioni degli altri a vantaggio dc’Romani,non tro

vasi, a dir vero, in ciò che di quella orazione a noi pervenne

che il legato rodio le confrontasse con quelle della propria na

zione, e nel rigor del terminc le abbassasse. Tuttavia, rlappoichi:

egli fece menzione onorevole cotanto de' sacrificii recati da’ suoi

a’ Romani nelle guerre contro Filippo, giustizia volca ch’ egli

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7/?/

non defraudasse Attalo ne gli Acl1ei (l8llfl‘d0Vlllè lodi, dicendo

come non meno di questi erano stati i Rodii benemeriti de’Ro

mani, e nella presente guerra non minori offerte loro facessero

che gli Achei.

(3a) Dagli errori cc. Disse degli Ateniesi cb’ erano precipitosi

e sopra le loro forze audaci nelle imprese, de’ Lacedemoni ch'e

rano temporeggiatori, ed entravan appena negli affari che inspi

ravan loro fiducia. Gli Asiani tutti accusava di votezza d'inge

gno, ma de’ suoi asseri solo che avean il parlare un poco gonfio,

perciocchè (notate millanteria) sapevansi dappiù degli altri stati

vicini. E tant’ oltre giunse nell’ incolpar altrui a torto, che 1’ of

fesa recata a’ Romani nell’antccedente ambascerìa non attribuì al

governo, dond’ essa procedeva, sibbene all’ oratore che, a della

sua, usò verso il senato espressioni stolte e superbe.

(53) Furon a tutti rimesse cc. Qui accenna egli singolarmente

a’ Macedoni e agl'lllirii, de’ quali lagnavasi che i Romani li di

chiararono liberi, mentrechè servito avean avanti di guerreggiarc

contro di loro. Del resto se la dicerie di Astimede fosse intiera

a noi pervenuta, maggiormente apparirebbe quanto asserisce il

Nostro intorno alla sua assurdità. E già la prima sentenza, donde

incomincia la parte che ne fu serbata , è non meno falsa che ar

dita: È a dubitarsi ancora (essa suona) se abbiam peccato:

le pene e le ignominie tulle (del peccato) già sopporliamo.

(54) Per un timore occullo, cioè ch’ egli occultava. Aggira

vasi questo timore sulle sciagure che aovrastavano a’Rodii da’Ro

mani, e ch’ essi con ogni mezzo eziandio il più ingiusto volevano

da se allontanare , riversandolc sopra altri che dimostravano di

loro più colpevoli.(55) Rimestando. È rimestare secondo il Varchi (Ercolano 6o)i

ritrattar alcuna cosa a malgrado di colui al quale tocca , e dice

più di rinnovar , non altrimenti che il volgato satuwuei'v

più esprime dell’rinpnicms od ènpniur (rammentando) pro

posti dal Reiske.

(56) Diecimìla monete d’ oro. Secondo Livio erano queste

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I

<fi’2.

78

ventimila, la qual somma sarebbe veramente enorme per una

corona; duppoichè Venti dramma ottiche d’ argento formando

una moneta o dramma d’ oro zpunîiî (V. Sopipg. ad He

sych. alla voce zfvu'ós), ne segue che ventimila d' oro corri

spondono a quattrocentomila d’ argento, o dir vogliamo a sessan

tasei talenti e due terzi, che a 5400 franchi per talento equival

gono a franchi 360,000. Sebbene non erasempre una corona il

dono che in tali occasioni porgevasi, segnatamente quando, siccome

qui, trattavasi d’una ragguardevole somma; ma tal fiala era desse la

valuta effettiva che sotto il nome di aurum coronarium offerivasi

da’ popoli vinti, 0 che, non altrimenti che ora i Rodii, aveau otte

nulo qualche grazia segnalata da chi avrebbe potuto opfirimerli

(Vedi Lips. , De magnit. rom. Opp. , t. m, p. 402, 6).

(57) Teelel0. Mi sembra ragionevole la restituzione che fece

lo S:hweigh. di questo nome recato dal cod. dell’ Orsini e dal

bavarese, rifiutando il Teadolo che hanno tutte le edizioni di Po

libio, non eccettuato la Orsiniana, e Livio stesso, la cui autorità

forse impose ain editori. Tre altre volte trovasi rammentato Tee

teto tra gli uomini di stato che figuraron in Rodo (xxm, 5;xxvn,

Il; xxvm, a); nessuna Teodoto. Che se da’ luoghi testè citati

non iscorgesi ch’egli fosse comandante dell’ armata rodia, leggesi

qui che quella dignità gli fu conferita nell’ occasione appunto che

lo si creò ambasciadore per portarel’ oro destinato alla corona.

Dalle espressioni di Livio, Theodotum praefedum classi: in

cam legationem miserunt, dovrebbe concludersi ch’egli avesse

anche prima il supremo comando della forza navale,e questa ine«

sattezza possibil è che convalidasse l’errore in che incorsero ili

hri stampati.

(58) Rodqfonte- Costui pure avea sempre tenuto co’ Romani,

conforme bassi dal lib. xxvn, c. 6, dov’ egli è nominato con

Astimede, e dal lib. xxvm, c. a, dove il veggiam unito a Tee

mm.

(59) E ciò jècera cc. All’ oscuro testo di Polibio che abbiam

fra mano apporta luce la traduzione che ne fa Livio: u Volendo

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79'essi (scriv’cgli) chiedere da' Romani la socielà per modo," che

di quella cosa non si facesse un decreto dal popolo, a si re

casse in iscritto ; Io che se non avessero impetrato, la vergo

gna dell’ essere stati rigettali sarebbe maggiore. in Con questa

scorta pertanto sembrami che procedano benissimo le parole del

Nostro. Tentavan i Rodii ad ogni modo di stringer alleanza

eo’ Romani, ma volevan ad un tempo, se a questi altrimenti

piacesse,'senza decreto e senza legazione rimanerne privi. La

ragione di cotesta volontà aggiunse Livio, ed il Nostro la sot

tinteso: La vergogna d’ un pubblico rifiuto. Quindi io stimo

inopportune le correzioni proposte qui dall’ Orsini, dal Reiske e

dallo Schweigb. ‘

(40) Cola! facoltà, cioè, conforme dice Livio, di trattare sif

fatta bisogna senza che ne sia fatta alcuna proposta: non già,

siccome hanno gl’ interpreti latini, di stabilire la mentovala so

cietà (sancieudae societatis potestatem ).

(4|) Non fece sera loro alleanza. Diane Cassio (fragm.

n. un) dice che i Rodìi non erano prima di quest’ epoCa le

gati da nessun giuramento d' amicizia co' Romani, e ’che perciò

poteansi da loro sciogliere quandochè fosse. Il passo d’ Appiano

addotto dallo Schweigb., per far conoscere in quali particolarità i

Romani distinguevano gli amici dagli alleati non fa al proposi

to, dicendosi in quello, che i Romani permettevano a'forestieri

d’esser amici, ma senza bisogno di soccorrerli, come verso gli

amici si usa.

(42) Con giaramenti e convenzioni, che l' avrebbon obbli

gato ad avere per amici e nemici quelli de’ loro alleati, ed in

ciò particolarmente differiva la società dall’ amicizia , conforme

veggiam ancora dal luogo di Cassio citato nella nota antece

dente.

(43) Non massi a stringer alleanza per essere fatti più si«

curi dalle altrui aggressioni; siccome Livio amplifica il detto da

Polibio: quae IMIÌONS eos ab aliis fitcerel. L’ iwuyépuu del

testo è poco esattamente renduto da' traduttori latini con ma

..-.5..

93

’,-. .-«,.-.

53.?

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8<.

,%gnopere opus Imbebant; che iniyw9’u è propriamente essere

spinto, impulso, invitato, non già avere grande bisogno.

(44) Col maggior impegno toglier isospetti. Questo passo che

il Reiske dichiarò oscuro nel e certamente, ova col Gronovio e

collo Scbweiglr, t‘mîp9irn s’interpreti magnitudi1wm,gfanrlczza,

anzi grandezza superlativa, il qual senso avrebbesi dovuto esprimere

con mazimo, non singolari stadio. Nulla dirò del Casaub., che lesse

bene, ma tradusse male.- Ad 'nnm’zr pertanto conviene sosti

tuirc imuu'ns, sospetti, siccome bene suggerì l’0rsini, dappoichè

l1r/nla e pensiero, consiglio, macchinamcnto, secondocbè osserva

lo stesso Schweigh., il quale ioaipli'r9m 72;; Ìfl'no/Ùî tradus

se: irrita reddercnt causi/io. Ma alla mente di Polibio ed al te

sto di Livio meglio coufassi suspìciones, che il Casaub. accolse

nella sua versione, sebbene lasciò intatto l’originale.

((5) Era approdato, cioè giunto in porto per andare a Ro

ma; quindi non scrisse male il Cusaub. Via: Romam appuleml;

comechè necessaria non sia l’aggiunta di Romam, che io ho 0

messa seguendo lo Scbweigh. In patria al certo non era ein al

lora ritornato, dappoichè più tardi ancora il veggiamo a Roma,

dove morì (c. ig).

(46) I Caunii. Era Calmo città marittima della Curia con

darsena ed un porto che potea chiudersi. Fenile al sommo avea

la campagna, ma l' aria malsana (V. Strab.. lib. xrv, p. 65|).

Forse vi corrispondel’orliema Marmarizza, dove non ha guari

svernarono i vascelli da guerra britanni ed austriaci, dopo la glo

riosa espugnazioue di Sayda e di S. Giovanni d'Acri (Sidone e

Tolemaide). - I Milassii. Intorno a Milasso, città essa pure della

Caria , veggansi le note 57 e 145 al libro xvx. Livio a questo

luogo scrive il nome de’ suoi abitanti con 1' semplice, Mylascn

ses, non altrimenti che Plinio. - Euromo. Dal presente luogo

puossi arguire essere questa città allora stata una repubblica che

soggette aveva altre città, le quali occupate furono da que’ di Mi

lasso, probabilmente perchè erano fedeli a’ Rodii, sebbene sem

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bra che la capitale non avessero iuwsa. La rammenta Straboue

(mv, p. 657), e Plinio (v, 29, che 1’ appella Eurome.

(47) Circa quel tempo cc. Livio non fa menzione di questo

senatusconsulto, ma dice solo che a’ Rodii fu comandato di ri

tirar entro un certo termine i governatori della Liciae della Ca

ria . lo che fece loro sospettare che i Romani fossero per to

glier loro coteste province. Erra pertanto, a mio parere, 1’ Or

sini, credendo che qui in Livio abbiasi a sostituire Rhodit's a

Romanis. ed origine del suo errore si fu lo spiegare udemtae

a Romania, tolte a’ Romani; mentrechè significa in realtà da'

Romani, e vi si sottindende a’ Bodii.

((8) hlamlalovi Liso. Al Rciske dispiacque l'è marip4usflas

del testo, cui preferirebbe il semplice riptlmv7ir, ovveramente

imxip4vav'lu, senza render ragione di siffatto mutamento da

lui proposto. Lo Schweigh. difende la seconda di queste le

zioni , supponendo omesso 'nr' àv7o‘us; spedendo lor addosso,

contra di loro. Ma il senso più ricevuto di irnripfln ‘e man.

dar dietro, oltre alcuno che si è già mandato , e ciò non fu

in questo caso. Noi abbiamo ritenuta la scrittura volgata, nè

vi supponemmo nessuna omissione. Quanto è al nome di -Lico,

non istimiamo collo stesso Reiske che debba cangiarsi in Lico

- frone, comechè questi trovisi in altra occasione (XXVI, 8) man

dato da’ Rodii ambasciadore a Roma.

(49) Savr’ Ortosia. Qui appunto, a detta di Livio, fu data la

battaglia, nella quale i Rodii rimasero vincitori.

(50) Di Dianne e di Poliarata. Di costoro, ch' erano capi del

partito favorevole a Perseo, ha il Nostro ragionato in varii luo

ghi. In questo periodo, tronco a noi pervenuto, e' si pare che

Polibio espressa abbia siffatta sentenza, od altra simile: Così fu

ro'no da noi esposte le varie opinioni che divisero i Rodii nella

guerra di Perseo, avendo prima cc., e ragion vuole che ante

riormente in occasione dell’ ambasciata rodia , fatta dopo l’esito

di quella guerra, egli siasi diffuso nella narrazione delle politiche

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mene in che agitaronsi quegl’ isolani, poiché parlato ebbe dc’ sum

mentovali uomini avversi alla causa de’ Romani.

(5|) In si[fizlti esempli specchiandasi. Il testo ha o'o‘uu‘t 7|iarav

ìu7t9-lpimv, verbalmente, quasi da modelli esposti, parole che

voltate furono in latino: tamquam ex proposito excmplo discant

(apparino quasi da esempio proposto). A me è sembrato affarsi

meglio al senso dell'Autore la frase italiana che ho usatn,i mo

delli esposti che qui riscontransi rappresentando proprio le im- '

magini che affisiamo, perché ci rimangano impresse nell’animo,

e ci siano di guida nella nostra condotta. In questa sentenza

scrisse Terenzio (Adelpb, Act. 5. Se. 5):

Inspicere, tanqunm in speculurn, in vitas omnium

Jabeo, alque ex aliis stimere excmplum cibi.

(59) [Valle rendano le azioni. Il testo ha 'lnif , . . . 1’de

fisu aiuer a-u3n, dove manifestamente innanzi al verbo manca

alcun vocabolo che qualificbi le azioni. 1 commentatori in varii

modi vi suppliscono. [I Gronovio suppose che in luogo di d'èu7fiv

fosse scritto 7' éu7‘v, lo stesso, ma ciò non dà un senso abba

stanza chiaro. Al Valesio piacerebbe «Eden/pane (rpéfur), azioni

disonorate. 'Enuuîwnw, vel‘gngn0se, è=Auic. senza gloria ,

Èpavpaós, oscure, èm@ihsis, inutili propose il Reiske. Allo

Sebwetgh. è sommamente probabile che le due voci niu'lîiv arnie;

siano corrotte da un verbo composto, il quale non gli veniva alla

mente. lo pertanto, senz’aver il dotto capo ed il felice ingegno

cui lo stesso Scliweigh. rimette il ritrovamento di cotal verbo,

stimo che questo potrebb’essere è9|'lliv, annullare, render vano;

nella quale supposiziona avrebbe qui a_leggersi 4.917501, e spa

rirebbe la lacuna.

(55) Erano adunque tre generi. Livioìncora (x1.v, 5|) stabi

lisce tre diverse fazioni tra i Greci per rispetto alla guerra che

finì coll’ eccidio di Perseo; ma nel determinarle non s'accortln

col Nostro. Tria genera principum, sono parole del primo , in

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civilalibus erant :duo quae adulandu aut Romanorum impe

rimn, aut amict'liam regum , sibt' privalim ape: oppressi: [avic

bant ciuitalibus, medium verum utl‘iquc generi aversum, liberta

tem et lega; tucbatur. Dividevansi quindi secondo lui i partiti

realmente in due classi. L’una mirava al proprio vantaggio el'a

voriva quando i Romani, quando i re (notisi che qui non si

tratta solo di Perseo, ma degli altri re ancora manifesti o segreti

' nemici de’ Romani), secondochè a questi od a quelli era propi

zia la fortuna. L’ altra classe, che difendeva la‘libertà e le leggi

patrie, stavasi di mezzo, ed era non meno amata da’ suoi che in

grazia presso gli stranieri. Ma giusta Polibio non v’avea alcuno

che per procacciarsi ricchezze ed onori parteggiasse pcgli uni o

pein altri, e tutti i tre generi da lui annoverati contrarii erano

a’ Romani. Il primo non potea tollerare 1' universal dominio di

questa nazione, e coincide col terzo di Livio, dappoicbè siccome

questo nella condotta non si dimostrava parziale. 1 due ultimi e

rano amici dichiarati di Perseo, e il sostenevano con tutte le loro

forze; se non che dill‘erivauo nell’ essere tornati Vani od efficaci

i loro maneggi a pro dell’ anzidetto re. A Polibio pertanto, greco

di que’ tempi e non poco interessato nelle vicende della sua pa

tria, prestar dobbiamo maggior fede. Couosceva egli certamente

quali passioni capivano nell’ animo de’suoi connazionali, e tra

quelle non diede luogo al turpe amore di se, che forse avrà mac

chiato l' onore di qualche individuo, ma non si estese a tale, che

un genere numeroso di colpevoli se ne potesse formare.

(54) Antinoo e Teodolo, ec. Intorno ad Antinoo e Cefalo veg»

gasi il lib. xxvu, c. 15. Di Teodoto Colà non si parla. I Mo

lossi, a dir Vero, erano nazione epirota; ma nel luogo testè ci

tato ragionasi di tutto l'Epiro.

(55) Riusciti essendo gli affari ec. Anicio, 'poich’ ebbe vinto

Genzio ed erasi impossessato dell' llliria, penetrò nella Molossi

dc. Colà gli anzidetti, che per avere sedotte le popolazioni a ri

lmellarsi de’ Romani sperar non poteano da questi perdono, per

suadere volendo a’ loro compatriotti di chiuder a' Romani le porte

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€‘2

334delle loro città e non essendo da essi ascoltati, oacciaronsi nelle

prime file de’ nemici ed incontrarono la morte (Liv. xzv, '16). -

Il Reislte e lo Schwcigh., fecero ragionevolmente un’_ aggiunta al

testo, senza la quale mozzo sarebbe il preSente periodo. Se non

che in vece d’incominciarlo: 0175! apa7;ui7uv, iquali (Antidm

lo, Teodoto e Cefalo) riusciti ec., io preferirei di scriverez‘l'b

3i npn7psi7m x.. 7. A., siccome l’ho espresso nel volgarizzamcnto;

potendo il sub?“ che segue stare benissimo senza l’articolo si

che ne sarebbe troppo lontano.

(56) Mostraua il viso alla fortuna. Non piacque al Reiske

nè allo SchWeigh. il volgato nairm7u, ed il primo ne fece za

pi{av7s;, l’ altro nrnimflu. Io non posso approvare nessuna di

queste lezioni; dappoichi: zdpt’Cltt èseparare, dividere, allonlzi

nnre, ed anche assegnnr un luogo, i quali sensi non possono

qui convenire, dove trattasi di andar incontro, avvicinarsi rille

armi. 2urrîuu, a dir vero, equivalea congredi, attaccarsi in bat

taglia , e evrnism71s 707; capa’ón sarebbe quanto entrar in

lotta colla presente fortuna; ma ciò non fecero certamente que’

tre che disperavano della loro salvezza e correvano a morte vo

lontaria; che non era lotta illoro combattimento, sibbene abbando

no risoluto al ferro nemico; 'lrrémt all’apposito, aoristo sec0ndo

't’o’fqpl, donde o-niuv7u, significa stabilire, collocare,presentare,

e richiede l’accusalivo di ciò che si stabilisce, colloca, il qual

accusativo qui manca, ma potrebl)’ essere supplito per iau7obs

(si: stessi, per modo che la sentenza sarebbe: Presentaron si:

stessi alla fortuna, o come io l' ho espressa.

(57) E cimentnronsì ad ogni evento. Kai mia-u ibiAsyxu

7àt; iAxizias; verbalmente: e tentarono, cimentarono tutte le

speranze, io che non ha senso. Alqne in innocentia sua spes

positns habnere (e collocarouo le loro speranze nella propria in

nocenza) è proposizione‘chiara e conveniente al fatto qui espo

sto; ma non è ciò che ha espresso Polibio, che nulla disse della

costoro innocenza. Ora considerando come 's’Ams ed iA=ri{sn

non dicesi solo del bene che si aspetta, ma di qualsivoglia esito

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8,5/8“

dell’avvenire, conforme leggasi nello Scoliaste di Tucidide (i,

pag. I, ed. Erist., Port.);‘cosi interpretai l)zl86; in qqesto signi

ficato, e panni di non aver errato.

(58) Imperciocchè ec. Fra i frammenti grammatici di Polibio

trovasi questa sentenza stravolta, per modo, che ne risulta quasi ,

il senso contrario, dicendosi colà che desiderare ed amare la

vita è sempre indizio di viltà e d’ animo maligno. Siffatta mas

o

sima al tutto assurda e probabilmente fattura di qualche inetto

compilatore, è contraddetta dall’ esempio addotto nell’ antecedente

periodo, in occasione del quale il Nostro profl'erì la massima mo

rale che qui leggesi.

(59) Rovesciaron. Con ragione fu al Reiske ed allo Scbweigh.

sospetto l'airicrpt-dm: del testo, ivanpi@uv significaudo voltare.

girare, senso che qui non conviene. Vi sostituirono ivi'l'pnluu,

da àvalpifln, rovesciare, abbattere, atterrare, donde risulta la

sentenza, che abbattuta fu a Dionne ed a Poliarato, dalla viltà

che allora dimostravano, la riputazione di forti ed arditi ch'e

ransi acquistata nel resister a’ Romani. Tuttavia leggesi nella tra

duzione latina imminuerunt (diminuirono), che ha valor ben in

feriore a quello del Vocabolo greco.

(60) Nella mutazione delle cose, che dapprima erano favo

reVoli a Perseo, e per il partito che avea tra i Greci, e per la

battaglia equestre da lui vinta sopra i Romani, della quale si è

parlato ne’ libri antecedenti.

(6|) Esemplare mostra coiale. Hapdduypa lurpeias è nel testo,

che derivato da 60Îypo, mostrù,îba in sè la idea di pubblica e

sposizione. Quindi esprimcsi il trionfire col verbo rafadujrfeut

7/Cnv; dappoichè ue'trionfi de’supremi duci romani faceasi mostra

delle città prese a’nemici, delle quali portavansi le immagini dell'oro

e dell' argento che avean 5000 recato da’/paesi soggiogati, edcgli

stessi dominatori delle vinte contrade che strascinavano il carro

trionfale. Il ludibrium de' traduttori latini non panni che abbia

tutta la forza di siffatta pubblicità cui esponevansi i colpevali,

nè accenni allo scopo per cui viene istituita, ch’è l’esempio. Nel

lib. Il, c. (30 tradussi za,dsiypultgiluevos, ad esempio mostrato.

’POLIBIO, TOM, VIII. 7

I‘IÎh’v-Ù

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89°

(62) Avendo Papillio. Vedi su questo argomento quanto ne

scrisse il Nostro nel lib. xxtx, c. n.

(65) Per rispetto della patria e di Poliaralo. Avean i Ro

dii, confortati da Q. Marzio allorquando osteggiava in Macedo

nia, mandata un’ ambasceria in Alessandria per far cessare la

guerra tra Antioco e Tolemeo (xxvm, 15), e forse fu train am

basciadori Poliarato. Quindi era in tale supposizione costui non

meno che la sua patria ben meritevole de' riguardi che allora

ebbe per esso il re d' Egitto.

(64) Approdato . . . . a Faselide.

Scbweigh., aver fatto, siccom’ egli si esprime, quanto dovea can

giando il volgato rpq;fiv col e semplice in 1rqu;5v col e

doppio; giacché derivaudo questo participio da arpvlzuv. ch’è

A me non sembra lo

proprio l’appellere de' latini, anche nell' altro senso di appellem

animum, rpoo'lxln 7ln "'61. era da preferirsi il wpu;giìv. o me

glio wpacîzln al disarmonico Ipewzîr_ - Faselide era città

della Panfilia ne’ confini della Licia, quindi poco lungi da Rodo,

fabbricate sopra un monte, celebre pe’ suoi pirati che servivansi

d’ un genere di naviglio bislungo e veloce del nome di quella

denominato phaselus , Qua'hr. Del resto chi navigava da

Rodi in Alessandria non passava dinanzi a Fuselide, che giaceva

di là da quell' isola; non altrimenti che se taluno oggidì, tragit

tar volendo da un porto della Dalmaziaa Venezia, inutilmente

‘prolungasse la via recandosi prima a Trieste. Il qual giro vi

zioso tanto maggiormente qualifica la dissenuatezza di Poliarato.

(65) Nel pubblico asilo, secondo il testo al pubblico foco

lare, lai 7ÈI lanin 'wr/nv. Ed i particolari ancora avean il sacro

focolare , dove presso tutti i popoli greci ricoveravansi ifuggia

echi dalla patria che imploravano protezione. Cosi narra Tuci

dide che Temistocle rifuggl all’ ara del re de’ Molossi, da cui

ottenne salvezza contro gli Ateniesi cd i Lacedemoni che glielo

avean chiesto. Ciò pertanto non esprime il penetrale urbis, con

che reudettero il Valesio e lo Sweigh. le anzidette parole; che

penetrale è propriamente la stanza più interna della casa, dove

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/8_/?!/

riceveansi gli ospiti che maggiormente velenosi onorare, e pene

trale urbìs, secondochè bassi da Livio (xm, no), era l’edificio nel

quale nutrivami a pubbliche spese i cittadini benemeriti della pa

tria, lo stesso che il Prilaneo in Atene ed in altre città della

Grecia.

(66) Rami d' ulivo. Avvolgevansi questi in fasce eporgevansi

da'supplicanti per muovcr a pietà. I Greci li chiamavan ancora

ixe7aipza. da in'liutn , supplicare, ed i Romani velamenla da'

veli che coprivan i rami anzidetti, donde la frase velamenta praelen

dere che veggo qui usata da’ traduttori. Tuttavia oltre n’ rami

d' ulivo coperti sembra che a tal effetto altri veli si facessero sven

tolare. Rama: oleae, dice Livio (xxtv, 50 in fine), ac VELAMENI'A

ALIA supplicum porrigenles. l’orlavan eziandloisupplicanti sem

plicemente fasce, infulas, siccome bassi da Cesare (Bell. civ., u,

12), alle quali forse avrà accennato Livio nel luogo testè citato.

(67) Questo era lo scopo. Toîilo 72| 'rp'alulu'lo' su. Nel

latino fu omessa questa indicazione di proponimento che dovea pur

e5primersi per la precisione del discorso. Rodo era il termine che

i conduttori proposto avcan al loro viaggio, ed in patria non e

ragli mestieri di supplichcpet‘ esser ricevuto. Il m: che non si

gnifica nulla andrebbe cancellatoj, conforme già osservarono il

Reislxe e lo Sclwnigh. Questi vorrebbe nelle note sostituirvi arco

nel senso di stima, crcrlo, realmente, senza dubbio. Altrove (m,'

108) spiega egli siffatta interiezione in certo modo, in qualche

guisa; significato che a questo luogo disdicc; ma l’ altro pure

non mi piace, ed io credo superflua affatto la particella in qual

sivoglia modo si legga.

(68) Se a Roma aveasi a recare. Nel testo manca il verbo ,

e vi è Semplicemente al (fin lì" Pu'yqv(noanfiu ch’è la scrit

tura volgata giustamente corretta dallo |St‘liwcigh.). Dalla qual

mancanza dedursi dovrebbe clic se ne abbia ad empier il vuoto

col sottintendervi pakli'v im91iy.fl, desiderasse d’andare , re

lativo alla patria, e così 1’ hanno intesai traduttori latini scriven

do: St'n Romam pro/ict'sei malclmt. Ma come mai supporre che

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. 324

2‘“ .Poliarato avesse scelto di mettersi in mano de' suoi nemici capi

tali i’ Anche l'inz n7ao"rn'rnu, restiluirsi, suggerito dallo Selrwcigh.

nelle note, le verbo che male qui si adatta, dappoichè Poliaralo

veniva da Alessandria, e non era altrimenti stato a Roma giam

.mai. Che se dall’ orazione degli ultimi ambasciadori rodii, che

vennero in quella capitale per chiedere grazia e perdono, appari

sce aver essi tratti col'a i partigiani di Perseo, affinché il senato

ne faCesse il suo piacere, non sembra che in questo novero fos

sero compresi Dinone e Poliarato. Ecco le parole dell' oratore:

Nondum segrego civilalis caussam a Polyarnto et Dinona, n- m,

9170: Lu TRADEIIEMUA' rom: annvxuutfi. Dond’ è chiaro che coloro

che avean ad esser consegnati erano diversi da Dionne e Polia

rato. E quand’anche vi fossero stati condotti, come avrebbe Po

liarato trovato mezzo di sottrarsi dalla prigione e di andar in

Alessandria? Suppongo adunque che manchi nel testo ànyu'7.

od altro verbo di simile valore, ed in tal senso ho volgarizzato

questo passo.

(69) Fuorchè di navigar a Rodo. Qui m’ i: parato di dover

fare un’ aggiunta al testo, onde cavarnc un senso ragionevole. Po

linrato non avrebbe dovuto npprodar a Fasèlide, dond’ egli a

' Rodo od a Roma aveva ad esser condotto. In Rodo sua patria

non aveva egli bisogno di mettersi in un' attitudine supplicante ,

siccome scioccamente fece a Faselide. A Roma, se il comandante

della nave che il trasportava avea ordine di condurlo, egli ciò

non potea impedire. l\estava che si recasse a Rodo, nel quel

luogo solo ein poteri sperare d’ esser salvo. Suppongo quindi che

manchino nel codice del Valesio queste parole od altre di tal

fatta: WÀI‘|I tir "Patio! Èfl'otàiîv.

(70) Per iscorm. Continua lo Schweigh. nell’ errore che To‘

lemeo spedito avesse Poliarato, perchè fosse condotto a Roma, e

dice di Demetrio che lo scortava: qui ad eum Rou.«n millendum

val tmnsveheudum a nega conslilulus emi. Il 343 7‘). a'na‘rop

ml. disapprovato dallo stesso commentatore, che propone di sosti

tuirvi Ìn’i, rp‘or, in 7. ai. non sembrami al tutto fuori di pro

posito, preso nel senso di propter, per ragione.

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551

8693

(7|) Che si tagliare (li là e navigasse. Era Poliarato in terra

presso i Faseliti, discesovi dalla barca di Demetrio, il quale non

si sa perché, trascurato il comandamento avuto da Tolemeo di

scortare in Rodo l’ uomo affidatogli, tosto' uscì di via per me«

narlo altrove. Se non che potrebbe darsi che un vento contrario

sopraggiunto gl’ impedisse di recarsi al luogo destinatogli, e lo

facesse entrare nel porto di Faselide.

(7a) Mentreclxè mlpavano. Questo sembrami essere il vero si

gnificato di xa'lìe 7òv Esca-Asi", che non compresero nè il Vale-‘

sia, né lo Schweigh. ll primo lo interpretò in erreensione (nel_

l’ uscita della nave); la quale non poteva effettuarsi avanti 1’ ar

rivo in Rodo. E neppure lo Schvveigh. la intese bene traducen

do: in e0 cursu (in quella corsa, quando navigavano). Nelle note

si corressa scrivendo: Dum in ca emnt ut rolvcrent (quando ac

cingevansi a salpare), e questa versione mi è sembrata più giu

sm. E altresì verisimile, conforme opina il medesimo, che a Po

liarato si fosse offerto il destro di entrar furtivamente in una

nave ceunia , e di recarsi per tal modo in Canne, ma in siffatto

caso nol avrebbe costretto il vento controrio ad approdarvi, de

viando da Rodo.

(75) Di bel nuovo. Jh’tAn. Non era questa dunque la prima

fuga, e s’ avrebbe a cre'dere che tale fosse ancora l’ondata a Fa

selide, dove Demetrio, prestando fede ad un qualche pretesto da

quello sciagurato addotto, sarà approdato. In tale supposizione

avrà egli la seconda volta pure ingannato il suo conduttore, sen

zaclxè necessario sia di congetturare che fuggito fosse in una nave

caunia , lo che senz'altro. escluderebhe il bisogno di un pre

IBSIO.

(74) Assaggellati a'Rodit. Queste parole sembrmni cb’ espri

mano meglio il 7177::9m iur‘a 751 P551'm che non la tradu

zione latina Rhodiis contributi- Cauno città della Caria era stata

da' Romani, insieme col rimanente di questa provincia sino al

Meandro e colla Licia, conceduta ‘in dominio a‘ Rodii, qual com

penso degli 'ajuti loro prestati nella guerra (1’ Antioco (Polib., XXII,

7, ’17). Ma poco dopo l’ avvenimento qui narrato si ribellarono.

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» ‘È‘«i

90

(75) Un titolo. 'AQoppìv. Pretesto, colore, motivo nel senso

dato a questo vocabolo dallh Crusca al S 6. Pare qnindi che co

testo Pancrate, o comandasse allora tuttavia a’ Cihirati, o che gli

serhassero grata memoria se allora fosse già morto; dappoiehè

altrimenti non avrebbero protetto un amico del loro oppressore.

_ Ma era costume de' Greci d’ Europa che reggeansi a governo li

boro d’appellare tirarmi i signorotti di piccole provincie, o bene

o male trattassero i loro sudditi. ‘

(76) In un imbarazzo cc. Non sapevano forse i Cibirati, quan

do Poliarato' li richiese d’ ospitalità, ch’egli dovea esser conso

gnato a’ Romani; ma, venuti di ciò in cognizione per relazione

di lui o d’ altri, procacciarono di levarselo d’ intorno.

(77) Mandarlo a Roma, cioè, secondocbè osserva lo Schweigh.,

in qualche porto d’ Italia; perciocchè le navi che venivano dal

l’Asia non approdano altrimenti a Roma, ma quasi sempre a

Brindisi, donde per terra gli uomini andavan a Roma. Il perché

non disapprova l’anzidetto commentatore la lezione vulgata in,

71‘" Pupm'm (sottinteudi zaipav) nel territorio di Roma, mutata

dal Reislte in 'u; 7»‘,v Paipnr, che a noi è sembrato più conve

nevole, Roma essendo stata la meta di quella spedizione.

(78) Stollezza. Non posso acconsentire allo Schweiglr, che

Polibio qui abbia scritto u’iyvemv in luogo di n’înmv, ch’ è proprio

difetto di mente, sciocchezza, quale si fu quella di Poliarato, che

gittossì nelle braccia di tanti ch’ egli pur sapea n0n poterlo sot

trarre da’ Romani. "A7nur. significa errore ed eziandio colpa per

volontaria ignoranza, siccome abbiam dimostrato nella nota |5

al lib. xxvn , ma il contegno di Poliarato niì dall’uno, né dal

l’ altra era derivato, conforme scorgesi ancora dalle espressioni

del Nostro alla fine di questo capitolo.

(79) Callìcrate ec. Di alcuni de’ qui nominati ha già il No

stro altrove parlato come di traditori della Grecia; di Callicra

te xxv:, I e seg.; xxxr, 8; di Licisco xxvu, l3; xxvnt, 4,8; di

Campo xx, 5; xxvu, 15. ‘

(So) Ernna‘t' affatto ritirati. Circa il significato che qui con

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9‘

viene al verbo àvuzu_uîv vcggasi la nota 86 al lib‘. xxrx. lo non

ho aggiunte nel volgarizzamento le parole esprimenti a gubcrnn

culi: neipublicne che hanno i traduttori latini, giacché non ri

scontransi le equivalenti nel testo, ed il verbo solo basta per ren

der il senso compiuto. Altrove (xxvm, 5) l’abbiamo in altro modo

interpretato per le ragioni che adducemmo colà nella nota 18.

(8|) I dieci. e I decemviri che da Roma furono mandati

nella Grecia, per dar sesto alle cose di quel paese. a Reiske.

(82) Pretari. Bene osserva il Reislte che questi erano i su

premi maestrati della Grecia; non già i pretori romani. S’in

gauna pertanto, a mio credere, lo _fichvveigh._in sostenendo che

celesti pretori erano i duci romani (il proconsole L. Emilio edil propretore Gn. Ottavio), e che anzi abbiasi a leggere ti“ Èvrioî7o'tî

npa7q?aî accennando al duce supremo, secondo l.ivio (x1.v, 5|)

che dice essere stato dato l’ordine literis Imperatoris. Fat

to sta che i dieci non poteano trovar esecutori più fedeli degli

stessi pretori greci; dappoichè le prime cariche erano tutte oc

cupate da uomini addetti alla fazione de’ Romani, conforme af

ferma il Nostro, e Livio ancora colle parole: Romanorum . . .

fautore: soli tum in magistratt'bus, soli in Iegnlionibus‘ erant.

Nessuno al certo meglio di costoro potea conoscere quelli tra i

Greci che avversi eran a’ Romani, ed aveano favorita la Causa di

Perseo.

(85) Secondo le proprie dissensioni di parte. Male , a mio

credere , spiega lo Schweigh. questo passo nelle note. ‘Sarebbo

no, a detta sua, le 13141 rapayoqmi del testo quanto l’odio pri

Vato e le nimicizié che indussero quegli uomini a denunciar fal

samcnte coloro che i Romani trassero nella capitale per proces

sarli ; pochi essendo i veramente colpevoli che con qualche fatto

segnalato dimostrata ebbero la loro propensione per Perseo ed il

loro odio verso de’ Romani. Ma rapayyyati non sono semplici ni

micizie per qualsivoglia cagione nate, sibbene, stando al signifi

cato della parola che suona opposizione di setta, di fazione (sic

come nel senso non figurato le marcio di due eserciti l’ n'no al

l’altro opposti), discordie che han origine da siffatta opposizione,

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_. '16

Ed in odio privato si risolvono, non già in zelo per la pubblica

causa. [monde non potea considerarsi falsa cotal accusa quanto

all’opinione degli accusati, ma quanto a’ fatti, co’ quali ben pochi

avean manifestati i loro sentimenti. - Che i pretori avessero o

messi nelle loro denunzie coloro che con qualche distinto bene

fizio eransi acquistati de’ meriti verso i Romani, conforme sup

pone il Reiske che volesse esprimer Polibio, la sentenza troppo

assurda perché faccia mestieri di confutarla. N‘e sembra il Ca

saub. , averla intesa diversamente traducvudo: 75| 'm3q).ir 71

arimmu’7uv, ezimìo aliqua merito insigne: (ch‘eransi segnalati

con qualche gran merito): versione conservata dallo Schweigh.,

a malgrado della opinione diversa esterunta nelle annotazioni. Le

parole greche testi: addotte significano propriamente: Di coloro

che avean falla qualche cosa mantfesla, la qual cosa nouè uc

cessario che fosse un atto grandemente meritevole.

(86) Non 5010. Ho seguito il Reiske, il quale giudiziosmnente

suppose qui omesso l'aó po'ur dalla congiunzione &A)tit {al che

segue, e con questa elissi egli difende gl’indicativi IitSl,àlivîat/trl

e nntîuviunw: che hanno i codici in luogo del congiuntivo od

ottativo che richiederebbe la semplice particella fui.

(85) Circa quesli adunque cc. La sposizione del tradimento

che costò la libertà ad Oltre mille Achei ne fu serbata da Pau

sania (vn, lo). Callicrate volea che pronunciata fosse anticipata

'|nente la sentenza -di morte contro coloro ch' egli avrebbe nomi

nati; ma i Romani, meno crudeli che non era quel mostro verso

i proprii concittadini, non glielo accordarono, e dispersero quelli

ch’egli aveva accusati per le città della Tirrenia' (Etruria). Il no

stro Storico ancora fu in quella proscrizione compreso, ma po

scia liberato per mezzo di Scipione Emiliano divenuto suo amico

e discepolo, che l’ebbe sempre al fianco (V. la prima prefazione,

t. I, p. 5). _ Le lettere erano, secondo lo Schweigh., l’ ordine

mandato dal capitano per sentenza de' dieci, affinché tutti gli uo

mini principali degli Achei, che nominati avea il traditore Cali

crate, fossero chiamati a Roma.

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361

(86) Quanto era al suo proprio parere. lo mi sono atétîtî

alla traduzione del Casauh. Ad propriam quidem ipsius volim

latem quod attinel, anziché adottare la correzione del Reislte, che

aiu'loi cangia in ipmflo’ó, emenar buono allo Schweigh. il senso

di prima persona ch’ egli attribuisce a questo pronome citando

due esempli del Nostro (XVI, ’20, xvu, 5), dove realmente lo si

dee cosi intendere, perché chi lo pronuncia parla di se, quando

nel presente luogo di terza persona Polibio èche favella. Se non

che vollai 7ec’pnr parere, non già volontà, che n’è ben dill'e

rcnte , siccome fece il Caaaubono.

(87) Per arricchirsi. flphr 71‘)! idt'ou 'swuvo'p90nr, per il SUO

proprio avvantaggiamento. In varii luoghi del Nostro riscontrasi

imntlp90nf, ch‘ è propriamente correzione, raddrizzamento nel

senso di utilità, vantaggio,‘lucro, quasi correzione della propria

fortuna.

(83) Coli. L’ elogio di questo re d’ una popolazione tracica ,

‘con brevi ma energichc parole espresso, vedi nel lib. xxvn, e. 10.

Secondo Livio (xnv, 42) aveva egli dato agli ambasciadori da

nari per il riscatto del figlio, giusta la somma che destinerebbe

il senato, il quale lo restitui gratuitamente, memore dell’amicizia

avuta co’ suoi maggiori.

(89) Ed iscusandosi ce. Avea Coli unite le sue forze a quelle

di Perseo, e manifestamente parteggiava per lui, quando Genzio

re degl’ lllirii non erasi per anche spiegato. Tuttavia adduceva

egli allora in sua difesa d’ aver ciò fatto a suo malgrado costret

to a dare statichi (Liv- un, ng, 51 ; xav, 42), tra’ quali Veggia

mo qui esservi stato il suo figlio.

(go) Anulla più tendeva ec. Hp‘u audi! ’t'71 6m'lu'mr che il

Casaub. e lo Schweigh. tradussero, acque quidquam amplius ipso

rum (Romanorum) interesse! (nè recar più ad essi (a’Bomani)

vantaggio alcunola nimicizia ec.), sta bene quanto alla sentenza

dell' Autore, ma non rende il 6m'ln'yuv, ch’è appartenere, spet

tare, tendere, e si riferisce al nulla, non altrimenti a’ Romani.

(9|) Farsi vederplacnti. 'Aitlu’ipuu nel senso di onorare qui

«m

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‘ o;

94 'al certo non conviene, la generosità non meritata avendo forza di

umiliare anziché di recar onore; ma non perciò soscrivo al

l’irdaópsmr del Reislte, quasichè i Romani obbligarsi volessero

questo non potente re con sifl‘atto benefizio. Più mi piace il senso

di lfiaìtaintm9m, o meglio lania‘nuv9m, placarsi, attribuito ad

èulivmr5au da Esichio, il quale vi aggiugne, à; inthó7» l,’8.

7lfeflpfar , come chi ha già preso castigo (dall’offcnsore); lo che

per l’appunto fu il caso de’ Romani con Goti. Male adunque rifiutò

lo Schweigh. siffatta Spiegazione: solo parmi che innanzi al

]’airlnvi;zemr possa mancare @miv'ln, che ho supplito nel volga

rizzamento colle parole,farsi vedere.

(g‘z) Lucio Anicìa. Avea questo trionfato di Genzio lo stesso

anno che Emilo Paullo ebbe trionfato di Pers_eo. La pompa fu

eguale in amendue, comechè Emilio fossa stato l‘ anno antece

dente, 586_ di R., console, ed Anicio solo pretorc.

(95) Degne del maggior risa. Um'l‘or 7i7tu'lor lîim, parole

che il Dalecamp. traduttore latino d’Ateneo nella edizione del

Casaub., 1598, molto esattamente rendctte per quovis risu digna

(degne d’ ogni riso). Maximum risum concilwv‘t, che ha qui lo

Schwaigh-, non è nel testo. lo mi son ingegnato d’ avvicinarmi

all’originale meglio che il comportava l’indole della nostra fa

vella.

(94) Accompagnando cc. Qui pure il traduttore primo d’A

teneo meglio colse nel segno che non lo Schweigh. Infatti che

cosa significa : Modulalo ac numeroso digitorum motu tibia: per

cttrrere? (scorrcr i flauti con modulato e misurato moto delle

dita). il moto non si riferisce qui altrimenti alle dita, sibbene a

tutto il corpo'che passeggiando (3mnpuo’ptnv) per la scena a

dattavasi alle note (là; xpuiaur), cioè a’ suoni musicali con moto

conveniente (za7àz 7;; ripfcoCat'tflti lHq’flllî). Se non che l'ag

giunta di [ente all’incedentium nella versione antica e superflua,

ed io ho preferito di qualificare quel ruolo pell' accompagnamento

che partecipava dell’ armonia da' suoni.I (95) Piuttosto combattessero. Qui la intese meglio lo Schweiglr,

\

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che tradusse èyn:'{w9m p.22Mu, ul polins cerlarent. Vchemen

tius ha l‘ altro interprete, vocabolo donde s' arguirebbe aver essi

già, ma debolmente combattuto, quando il combattimento esser

dowa un esercizio nuovo da introdursi.

(96) Facessero come una guerra. Nella versione del Daleclt.

è; Pugnae speciem repraesentnrenl, in quella dello Schvveigb.,

e:lerent. Io ho espresse le precise parole del testo: Kzi z‘oîin

cicain fui/‘51". ‘ '

(97) Conveniente alla loro petulanza. I sonatori di flauto

presso i voluttuosi Greci rallegravano i banchetti colla musica,

e menavano vita lasciva, conforme bassi da Giovenale (Sat. in,

v. 63 e seg.) ‘

«Jampridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes,

Et linguam et mores et cnm tibieine chordas

Obliquas, nec non gentilia tympana secum

Vexit. 1)

È buona pezza che l’Oronte Sirio

Sboccb nel Tebro, e col finalista seco

Menù lingua e costumi, e corde obbliqur,

E il gentilizio timpano. ‘

E che costoro‘appartenessero alla vile ciurmaglia che l' opera

sua prestava a'più sozzi piaceri, il veggiam ancora nella vita del?

1’ imperadore Lucio Vero scritta da Giulio Capitolino, il quale

di lui narra, come ritornato dall’ Asia condusse seco sonatori di

Violino e di flauto, e buffoni mimici, e giocolatori, ed ogni ge

nere di servaeci, della cui voluttà la Siria ed Alessandria si pa

scevano. Presso i Romani pertanto, nazione più morigerata della

greca, meno spregevoli erano i tibiani: dappoichè la principale

loro incumbenza era di assistere sonando a’ sacrifici. Tuttavia

eran essi, secondochè scorgesi da Livio (xx, 50), molto dediti al

vino, ed era loro permesso di girare per la città ogni anno tra

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96v î°°

[giorni consecutivi, mascherati con licenzinso diportamento. Cosi

tra i Greci, come tra i Romani counpnrivan essi sulla scéna , e

volgevansi sonando verso i cantanti che dovean accompagnare. A

nicio fece venir i suoi dalla Grecia, perchè i Romani non erano

abbastanza addestrati ne’ movimenti vivaci ch’ ein volea far ese

guire. -- Premesse queste notizie, massimamente circa i tibicini

greci, apparirà l’ assurdità della traduzione che del presente passo

fece il Dalecbamp con queste parole: Tibia: canta inflanles,

qui ardari pugnantium mililum convenirel,‘ che al certo iri

A7ua non è l’ardore di soldati che combattono. - Del rimanente ‘

manca nel testo volgalo il sostantivo da unirsi all’aggettivo Eusiu,

e bene si appese il Valesio suggerendo l’ aggiunta di ìan/av,

ficoltà.

(98) Voltaudo cc. Abbiam veduto nella nota antecedente

che i sonatori volgevansi verso i cantanti accompagnandoli. Ora

costoro girandosi senza ordine, quando verso i cantanti di mezzo,

quando verso quelli dell’estremità, faceano sì che il canto degli uni

mescolavasi con quello degli altri, e che ne nascesse lo schiamaz

zo indicato nel periodo che tosto segue.

(gg) Sofliarzdo all’ impazzata. Il verbo Quer"u che qui usa il

Nostro non significa suonqr ilflauta, tibiis canene, siccome lo

ha tradotto lo Schweigh., ma semplicemente soffiare; e soffiar

cose pazze, è6mvóq'ia, insauia quaedam la frase ben strana, con

traria al buon senso. lo leggo quindi à3mm»î7u, iavverbio,e ri-’

ferisco il Qua-517" e 70% invia: cui forse non male si farebbe

andar innanzi la preposizione u's (soffiando ne’ tubi). Nelle note

marginali alla prima traduzione latina si propone à6mvuî'lu;

che s' interpreta. Qui vix quales esserti intelligerentnr. Nella tra

dufione stessa e più ragionevolmente scritto: insanis modi; (in

modi pazzi).

(mo) Fra IOI'O' discordando. Ampipuv7z; è relativo n’ sona

lori e non altrimenti alle cose sonate; che in tal caso avrebbe

il testo Jm@îpu7e, eppure voltò lo Scthigh., dissonantia. Il Da

Iecl‘a. cir‘coscrivendo pose: Tibinrum cancentu disse/ala. lo cre

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366

Î.é-Îrfi.z?k --"’,W“‘ ' ' i,»

97’(lo d’essermi meglio avvicinato al testo che non amcmlue i tra

duttori latini"

(mi) Ed entrando insieme nella scena. Era il proacenio,

siccome lo indica il nome, un luogo situato davanti alla scena,

nel quale collocavasi il coro ed i senatori di flauto che rego

lavan il suo canto, mentrecbè la scena, posta di dietro, riservata

era agli attori. Nello spettacolo dato da Anicio il coro ed i su

natori occupavano dappriucipio, conforme è detto di sopra, il

proscenio; ma nella confusione nata di poi, per cagione della

zolla appiccatasi tra i senatori , e questi ed il coro trascorsero

nella scena dove prima non erano. Ciò sembra che non abbiano

compreso nè il Dalech. né lo Schweigh. traducendo il primo

vvnarunb'lu 71h autqnil; Scenam quatienles irruebant (en

travan a precipizio calpestando la scena), ed il secondo: In sce

nam procurrentes (correndo innanzi nella scena).

(IO?) Giralisi. Qui troviamo nel testo il vocabolo pi7n/SaAl;

usato dal Nostro nel descrivere gli esercizi della cavalleria greca.

(tam. IV, p. ‘106; lib. 1, c. 2|), e che colà nella nota 104 spie

gammo, il girar tanto che la faccia venga ad essere dov’era

prima i! dorso, e questo dav’ era la faccia. Tergn vertentes ,

terga dante: de’ traduttori latini significa la stessa cosa, ma ad un

tempo la fuga accennàta già sufficientemente dall’àtuzu'pwu.

Peggior è il significato mutato consilio dato in una nota mar

ginale dell' edizione Casauhoniana.

(103) Una da’ coristi. Male voltò qui il Dalech., saltalar qui

dnm (certo ballerino), meglio lo Schweigh.: Nescio qui: e choro

(non so chi del coro). Xopiuau, a dir vero, significa cosi cantar

in coro, come ballare. Xupivu, paAaflai' . . . àpzli'lai, Esichio;

ma nel presente luogo trattavasi al certo d’uno de’ cantanti, es

sendo poscia stati introdotti due saltatori ‘ofznfl'al con quattro

pugili, per porre come il colmo alla stravaganza dello spettacolo.

L’ aggiunta la 705 xupo’ó (fuori del coro, dal coro), che sembra

superflua, è forse destinata a toglier ogni equivoco "che nascer

potrebbe dal doppio senso di corista e di ballerino che ha il vo

cabolo zopw7iyr.

4 "un-l'U- -v

. (vg'L1;

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/ (1,04) Baltagliaunna. Ho voluto render la immagine che ri

suite dalla frase greca 'n; nepanîfisu: àyu u'(w9m. ch'è propria

mente pugnare schienali in ordine di battaglia. Quanto l’ abbia

espressa lo Schweigh. scrivendo: lllis inter se dimir‘anhlurs, ed

il Dalech. che usci al tutto fuori del seminato colle parole: Com‘

missis illi: duobus . . . decerlanlibns, ognuno sei vede.

(ro5) Orchestra. Luogo della scena destinato a’ ballerini , e

che pare diverso dal proscenio nel quale trattenevasi il coro. E

comechè il coro stesso al canto sovente unis.se il ballo, siccome

lo indica l’ etimologia di afxîll'sll che ad amendue si applica;

ciò non pertanto convien Credere che, siccome noi, avessero i

Greci il ballo figurato, o dir vogliamo pantomimico, e che 5"”

nol fossero quelli cosi denominati dal Nostro che lo eseguivano in

itn sito appartato dalla scena.

(106) Con trombe e corna. Differivano la tromba ed il corno

in ciò che la prima era diritta, il secondo curvato in se stesso, a

guisa del nostro come di caccia (Vedi Vegezio , De ne milit.,

l. in, c. 5 ). Quindi non dalla materia, che in amendue era me

tallica, sibbene dalla forma deriva il nome di corno dato a que

Sto strumento musicale. Vedi Polibio, mv, 3, dove ho tradotto

cornalori (sonatori di corno) i Bw»nnflcr che qui pure riscon

transi. Erano pertanto presso i Greci ed i Romani le trombe e

le corna, siccome lo sono tuttavia. propriamente strumenti belli

ci, ed è perciò che in questa stranissima zuffa, che imitar dovca

' la guerra, furono introdotti da Anicio. Gli antichi ebrei davan fiato

alle trombe non solo negli scontri guerreschi, ma eziandio nelle

sacre loro solennità (Nnm. x, IO), e chiamavanle con voce espres

siva Chazeozzerròt, che ricorda il Tarotnntara d'Ennio (V. il

Forcellini a questa voce). Le corna poi, bu'ccinas , appellevano

Sciofnrot, le quali nelle battaglie e negli assalti,affincltè col rau

co "lor suono incutessero maggior terrore, non erano altrimenti

di metallo , ma corna d' arieti, siccome leggasi nella descrizione

della presa di Jcrico (Jos., cap. vr, vv. 4, 15).

(107) Ciò che ne proveniva, 7‘o q‘vpfiait'ror, qualejuerit spe

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r ' ma,J9

èlaculum che scrisse lo Schwcigb., mi dispiace meno del senso

espresso dal Dalech., gratissimum et laetissimum spectnculum ,

che forse non era quello contemplato dal Nostro. Giudichi il dotto

lettore se io più di questi interpreti mi sia accostato alla mente

dell’ Autore.

(108) Che se, dice Polibio cc. Se il testo d’Ateneo è come il

leggiamo, andò di gran lunga errato il Dalech. in traducendolo

eosi : De illis qui in iisdem ludis tragnedias egerunt , si quae Po

lybius memorat adnitar oralione persequi, me volli: illudere

quidam aulumabunl (Di coloro che rappresentarono le trage

y die se io m’ingegnassi di raccontare ciò che ne rammenta Poli

bio, crederà taluno che io voglia di voi le beffe). Probabilè tanta

essere stata 1' indecenza e la stravaganza di que’ ginocbi, che Po

libio stesso per non meritarsi la taccia di beffeggiatore abbia sti

mato di passarli Sotto silenzio. Il licenzioso Ateneo non li avreb

be taciuti, se trovati li avesse descritti dal Nostro. Infatti è P0

libio che così parla (altri! i fleìltifiia;),e non altrimenti Ateneo.

(mg) Gli Etoli cc. L’ avarizia degli Etoli, le loro rapine ela

loro ferocia ha il Nostro in diversi luoghi notate (u. 49; IV, 5;

DI, 55). » Schweigh. '

(no) Di trar giovamento cc. La traduzione che dà il Vale

sio di nuAv9iy7e; 7î: 'urmwp/aî colle parole; Cum aliena di

ripere hauzlquaquam sinerentur, è con ragione riprovata dallo

Schwaìgh., il quale ad ‘tmuvpla attribuisce qui il senso di ei@i

Mm, vantaggio, utilità, lucro, e non già il più comune di ajuto

in{ guerra. In fatti 'emuupsi'v per giovare, esser utile trovasi in

Senofonte (Cyrop., I. vi, e- 50) dove leggesi: Ee9ù; ,uîv 7“,

379 'inir ni@9nei7ipa wapoiio‘a, IoÀÀI‘I uni ii7mx'nr7t sui

sépwv'h unuupi'. I vestiti che alcuno ha in gran copia gio

vano, sono utilia lui sana ed ammalata. Il qual giovamento non

è a dir vero, il guadagno, che ad alcuno ridonda da qualche ope

razione ; sibbene il comodo , l’agio che gliene deriva, e questo

sarebbe stato ben poco per quella rapace nazione. Se non che i

grandi bisogni degli Etoli, non meno avidi che scialacquatori

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10 -’1

l 00

(ilolib. xm, I) l'aceauo al che co’ rubamcnti procacciavansi in certo

modo aiuti per campare. Cosi potrebbe qui restituirsi ad immu

pia il suo senso più usato. \

(In) Edapprincipio ec. Osserva lo Schwcigh., che la me

moria di questa guerra intestina degli Eloli non è più tra le sto

rie di Polibio, ma che alcuni cenni se ne trovano in Livio. Nel

lib. xu, 25 dice questi che il._/iwore dein Etolicoritro sé stessi

minacciava di ridurli alla perdizione; e nel lib. xav, 98 leggasi

come Licisco o Tisippo uccisinueano cinquflento cinquanta dei

principali loro cittadini, altri cacciati in esilio, e come i' beni

degli uccisi e dein esiliati posseduti erano dagli accusatori.

(un) Malpoco innanzi a questi tempi. Né la traduzione

del Valesio: Recenti antem memoria, ne quella che suggerisce lo

Schweiglt. nelle note: Paullo vero superiori memoria, è al pa

rer mio da accollarsi. La versione poco meno che letterale da

me eseguita panni la migliore. Mi si opporrà che superiori me

moria 'è ottima frase per esprimere l’ età passata (Cic. , pro Bal

bo, c. I5); ma io rifletterò che dall' epoca delle uccisioni d’Arsi

noe al tempo in cui Polibio descrisse questi avvenimenti non era

trascorsa un' età, sibbenc pochi anni, conforme scorgesi da' testi

di Livio addotti nella nota antecedente. Laonde quantunque inni

7lfn verbalmente significhi superius, l"0"llf0I xpin_u non è quanto

superiori memoria (alla, memoria de’ tempi passati); senzacltè non

vi si adatterebbe il fipaxt; paullo, quasicbè un tempo determi«

nato, qual è una età, esser potesse più o meno breve. Recenti

memoria (a memoria de’ tempi recenti, teste Passati), se fosse

modo di dire appoggiato su classica autorità, sarebbe più con

forme alla mente del Nostro. Paullo aule lmec tempora a

vrebbesi secondo me a voltare questo passo, e così l'ho volga

rizzato.

(nS) Ad Arsinoe. Preteude lo Schweigb.,cbe Polibio l'atto

abbia menzione di questa strage nel lib. 1x, 45, dove rammenta

l' anzidetta città all’ anno di lì. 545, o 5“; ma siffatta supposi

zione e al tutto gratuita. V. colà la nostra nota.

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Aîî’fîî ' 'zia-1.“ .u

, . ,.; .

,/|

1,6!

(I mi) Un g'mve nembo. AGI’ÀIG'4/ non è procella, siccome lo

interpretano il Valesio e lo Schweigh. Cotesto sconvolgimento

dell’aria non va necessariamente unito ad uno scroscio di piog

gia, ed il vocabolo greco che qui riscontriamo significa per l’ ap

punto, secondo Esichio, chip.» rwrp@iir pt7iz iit'loîi un turbine

di vento con pioggia. E giusto è il paragone, dappoichè la ca

duta impetuosa.di Vortici acquosi arreca il colmo della confu

sioue ad una procella.

(H5) Gli uomini in generale: Non tutti, sibbene ci IOÀÀei

751 iir9pa'ran, la moltitudine, quasi il volga degli uomini. Nella

traduzione latina è omessa questa restrizione.

(tifi) Campo. Di costui vuggansi i luoghi del Nostro citati al

cap. lo di questo libro nella nota 79.

“ (H7) La fortezza di Sicione ed il potere della t'flfà dein

Jrgivi. Delle due città qui mentovate lasciòscritto Livio in ram

mentando ch’ erano solamente nobili. Di Sicione pertanto rife

risce Strabone (vm, p. 582) ch’ era fabbricate sopra un colle

forte di natura, 'ur‘i Ao'tpor 't'pvpuor. Argo divenne città opu

lentissima dopo la distruzione di Micene, già residenza del po

tente Agamennone, ma di lei a' tempi dell’anzidetto geografo

(p. 571) non esistevano neppur le vestigic. Quanto è alla voce

fiaipoî, propriamente peso, può essa esprimere cosi massa di for

ze, come di ricchezze; il qual doppio senso ha eziandio l’ ape:

de’ Latini, e se non vo' errato il palme, la potenza degli Italiani

ancora. .

(tl8) Epidaura, celebre per il magnifico. tempio d' Esculapio

da lei cinque miglia distante, ma meno nobile delle altre due

(l.iv., I. c. ).

(Hg) In nspellazione. Mu7iupos che ha qui Polihio è pro

prio sospeso, incerto dell’avvenire, qual è appunto chi si reca

a vedere una cosa della cui eccellenza ha tnolto sentito a ragio

nare. Ma il cupin'ns, in che fu voltato questo aggettivo , non e

5prime che parte di siffatta idea, e vi manca I' altra forse più im

portante della scena che si crea la fantasia dell’uomo messo in

POLIBIO, rom. 7111.‘ 8

405'

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106

102

aspettazione. - Del resto era _ Emilio da Epidauro passato nella

Lacedcmonia, e di qui per Megalopoli salito in Olimpia (Liv., I. c.).

(120) E disse ec. Questo elogio di Fidia non riscontrasi in

Livio, ma vi si legge com’egli, non altrimenti che se avesse ad

immolare nel Capitolio, comandi: che si preparasse un sagrificio

più amplo del solito.

(ml) Il Giove d’0mero, la cui maestà è tutta espressa ne’versi

del poeta sommo, dove ti si presentano le divine chiome scosse

in-sulla testa del re immortale, onde trema il grande Olimpo:

immagine che non lasciarono d' imitare i più sublimi tra ipoeti

romani, Virgilio nel cenno che fa tremare l’Olimpo, Orazio nel

sopmcciglio che tutto muove. Cotesto immenso risultamento sem

brò ad ‘E_r'n_ilio Paullo di scorgere nell’ insigne lavoro di Fidia

qui rammentato, la cui minuta descrizione trovasi in Pausaniaî’”

(Eliac. prior., e. xi.)

(ma) Polibio racconta cc. Lo stesso numero di città distrutte e

di prigioni menati via riferito è da Livio (xnv, 35). Immensa fu,

secondo lo stesso storico, la quantità dell’ oro e dell’argento ac

cozzata, e la preda raccolta dalle città che misero a sacco. Quanto

è al frammento che lo Sehweigh. trar vorrebbe a questo luogo

dain avanzi Polibiani ch’ egli collocò alla fine del testo, a me

non pare, siccome a lui, che il confronto con ciò che dice Livio

circa lo stato di Corinto, al tempo che vi si recò E:nilio,_,iie au

torizzi a credere quelle parole del Nostro; dappoicltè lo storico

romano non fa molto delle particolarità toccate in quel fram

mento, cioè a dire del sito di quella città e della opportunità del

suo castello per rispetto a’ luoghi che sono dentro e fuori del

1’ lstmo. - Del resto 055erva bene lo Scbweigb. che gli avanzi

uniti in questo capitolo andavano posti innanzi all'ambasceria ri

ferita nel Cap. lo; conciossiacbè L,___Emilioflgirasse la Grecia

avanti l'arrivo de’ dieci legati, conforme Livio insegna chiara

mente nel lib. xt.v, c. 27.

(125) Venne ancora il re Prusia. Ragioncvolmente nota lo

Scbweigb. che Prusia, il quale subito dopo il suo arrivo fu in- "

trodotto nel senato, conforme dice Livio (XLV, 45), giunto era

j,.’v'

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\03’

in Roma, secondochè bassi dal Nostro nel cap. |7 di questo li‘

bro, al principio dell’ inverno dell'anno antecedente a questo, in

cui furono consoli C. Claudio Marcello e C. Sulpicio Gallo ;' lad

dove agli ambasciadori delle altre nazioni che vennero pure ono

revolmente accolti, si diede senato, poiché inuovi consoli entrati

erano in funzione alla metà di marzo. Per tal modo possono

combinarsi i due storici.

(l‘24) E co’ duci. Non solo, siccom’ è parere dello Schweigh.,

con L. Emilio e Gn. Ottavio che ottennero l’ onore del trionfo ,

ma con tutti i duci ch’ erano stati nella Macedonia, secondocbè

opina il Reiske, il quale prova la sua asserzione colle parole di

Livio circa Prusia (l. e.): Omnium, qui in. Macedonia fuerunt

imperatores, flwore est adjutus.

(l‘15) Catasto Prusia ec. Diversamente la raccontavano gli sto

rici romani, conforme bassi da Livio (I. c.), il quale tuttavia

accenna quanto riferisce Polibio su questo particolare, senza e

sporre la sua opinione, che noi francamente pronunciamo in fa

vore dello Scrittore greco più vicino a’ tempi in cui quelle cose

avvennero, e non rattenuto da’ rispetti che sovente guidarono la

penna del Romano.

(m6) In cappello , toga e scarpe. Diod. Sic., che nell'eglo

ga xxu delle ambascerie copiò quasi le parole del Nostro circa

questo avvenimento (t. il, p. 625 ed. Wesseling.), aggiugne al

m'Aur (pileus) l’ epiteto di Mun‘oc (bianco ). Doveva egli piut

tosto apporlo alla 71;filvm (toga), che sappiamo essere stata

bianca (Tertull., De Resurrect.carn. in Lips. Opp. t. 1, p. 256, 6):

del cappello non è noto che il fosse. - KaAm/ov: ha Poli

bio esprimendo grecameute il Vocabolo latiuo' calceos. Le scar

pe de’Greci e de’ popoli d’ Oriente erano suole , assicurate al

piede ed alla parte inferiore della gamba col mezzo di sottili co

regge, dond’ ebbero il nome di izodópa7a. Appiano riferendo

questa viltà di Prusia (Mithrid. a) causa il latinismo adottato da

Polibio, e chiama i calceos ònrîu’f‘a7a ì7aAml» suole ila

liane. ' ,

m

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I 04

(l'17) Di recente fmncah'. A detta di Lipsia (De Ampbi

theatr. Opp., t. m , p. 579) nulla v’avca di’più noto e testi

firato quanto che i nuovi liberti portassero cappelli, ed intorno

alla toga valga il testo dello stesso scrittore citato nella nota che

a questa precede. Alle autorità su cui nppoggiasi questo fatto

può esser aggiunta la presente di Polibio. Da Livio pertanto ciò

non apparisce, dicendo ein solamente che Prusia portava le in

segne dell’ ordine‘ de’liberti, ÌIIJÌGIIÌB eju: ordinir; quasièhè sif

fatti distintivi non fossero stati proprii de’ nuovi liberti.

(m8) Adorò prostrato la soglia. Il verbo arpanoui'v che

qui riscontrasi è da Senofonte sempre usato nel neutro per

prorlrnrsi in alto di venerazione (Cyrop., n, 4, 13; v, 5, 18;

VIII, 5. 14; Agesil. 54 ) ; e ciò dovean fare tutti coloro che pre

sentavansi al re di Persia (V. Coro. -Nep. in Conon. 3; Plutnrrb.

in Themismcle Qui lo troviam attivo reggente gli oggetti ado

rati, e così leggiamo ancora in Erodoto (Polymn.) ii!9ffl'fl'fl

wpanunîv, e nel luogo di Plutarco, testè citato zpofltniÎv

inu’m Sui; dove pertanto l’oggetto dell’ adorazione è la per

sona del re o la sua immagine, e non altrimenti la soglia ba

ciata , conforme apparisee dalla scrittura che abbiamo per ma

ni. Livio fa dire al Nostro: Osculo Iimen curiae canligisse , il

qual bacio, stando al testo, non solo dovea essere impresso alla so

glia, ma gittata eziandio a’ senatori dentro alla curia seduti; Io

che non so come Prusia avrebbe potuto eseguire colle mani ab

bassate: attitudine descritta da Livio alquanto oscuramenle colle pa

role submisis.àe se. Come sarebbe se Polibio avesse scritto:

Ufnvln‘rnfl (neutro), 705 50805 Q:Àripta7i id»nipnof 14‘! 707€

xa.9npiuu ind)9|7{aplnf; ovveramente, dappoicbè nel arpa

nuveTv è compresa la prostrazioue ed il bacio, npoo‘iz. 'urt‘ -ra'6

5113475, nel 707; x. 7. A-, prostrossi adorando sulla soglia,

e gridando ec.? Sospettò già il Reislte che al vulgata 7aîc nu

91,uinv? sarebbe meglio sostituir il dativo, riferendolo al verbo

che segue anziché a quello che precede, e male, per mio avviso,

lo Schweìgh. si oppose a siffatta emendazione; ma io non ho vo

luto nrbitrare nel Volgarîzzamento.

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Iiw/5'IGT

(mg) Villd-q/fiminalezzn. 'Avnrdfi'd , cui credetti che cor

rispondcsse la prima' di queste voci, non è sinonimo di yannur

pi); cli’ espressi per la seconda; perciocchè mancanza di virilità,

cioè della forza morale che qualifica il sesso migliore, non pone

la esistenza di mollezza muliebre , ch’è sibaritica ‘dissolulezza, e

più assai che la semplice negazione di valore e la timidità che

all’ onore fa preferire la vita. Prusia a tanta bassezza discendendo,

Greco e re com’egli era, davanti a’ Romani, che cotal umiliazione

non chiedevano neppure dallo straniero il più volgare , ben me

ritavasi la taccia di effeminato.

(i50) Olienne per ciò appunto. Terribile rimprovero e que

_sto alla superbia de’ Romani, che compiacevansi dell’ umiliazione

de’ popoli e di chi li reggeva; non altrimenti che abborrivano e

con severe pene affliggevano chi appalto al loro sovrano potere

pretendeva di sostenere la propria dignità, siccome nel libro an

tecedente vedemmo che avvenne a’ Rodii.

(15|) Essendo a lui nemici. Lo Schweigh. nel dizionario Po

libiano asserisce che il participio 3mfiefiAq’puu deriva dall' in

finito passivo 3m,8éAktr9nu, cui ein dà il significato di incu

sari, male audire (esser accusato, in mala voce ). Ma qui era in

mala voce Eumene, non _già il senato, cui si riferisce quel parti

cipio. Il passo di Platone, citato da lui nelle note, credo che po

trà rettificar le nostre idee su quel verbo. Nel Pedone (t. i,

p. 67, ediz. di Enr. Stef.) leggasi: ’11: 72:,» 3mfia/3M’v7m tu‘u

ravrazafi 7; nî.ua7a (nel dativo), imperciocchè se in ogni parte

sono nemici al corpo; donde scorgesi che 6mfiifihqpaa suona

questo verbo, passivo di forma, attivo di senso, nella prima per

sona dell’indicativo presente espresso da Platone. - Del resto in

torno all’ andata di Eumene a Roma e della esclusione di lui,

siccome di tutti gli altri re, non abbiamo da Livio se non se un

brevissimo cenno nella epitome del lib. xavr, ch'è il primo de’

perduti.

(l52) Essere costui il primo cc. La benev'olenza de’ Romani

verso Eumene, che aveva a questi fruttato il possedimento di tutti

, _._n’ . a-.nvfm-Mafl»w -

313

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106

i paesi di qua dal Tauro, meno la Licia e la Caria (un, 7 ), e

gli onori con cui fu da quelli ricevuto (xxn, I) ebbero origine

da’ meriti d' Attalo suo padre nella guerra contro Filippo e da’

suoi proprii in quella contro Antioco, esposti da lui medesimo

nell’ orazione che tenne in senato (Xii, 2-5); ma il non retto

suo diportamento nella guerra di Perseo alienarono da lui gli

animi di quelli.

(155) 111' apparenza esterna. Tii 731 in7ìr Qav7un'g:, ver

balmente all' Opinione , all' immaginazione di que’ di fuori. 1

traduttori latini hanno: Famae pnbblicae serviendo, ch'è la me

desima sentenza espressa dal Nostro; ma io ho creduto di non

offendere la proprietà della nostra favella avvicinandomi maggior

mente al testo.

(l34) Qualche imbarazzo. Sebbene la scrittura del cod. Bav.

i.i94iyfl 7i ipa. sia mostruosa, conforme osserva lo Scbweigb.

io non so appagarmi neppure di quella dell’ Orsini accoltada

lui e dal Casaub. Infatti ove leggiamo n'imàénv 7nln àv7.is 22;

nvou-9n'nu, dovremmo cosi voltare questo passo: Seguir loro

qualche cosa d’ incredibile, d’ improbabile; lo che panni che

poco s’ accordi col buon senso- Come sarebbe se la vera lezione

etncrgesse dalla viziata del cod. Bav., nella quale si conservas

sero le due estremità con piccola modificazione facendone a'unpt’nu

ch’ è appunto l’imbarazzo (la difficoltà, l’inconveniente) da noi

eSpresso.

(135) Il questore. Fra le attribuzioni de’ questori era ezian

dio quella di procurare gli alloggiamenti e le provvigioni agli

ambasciadori ed a’ re che venivan a Roma (V. Kipping., Antiq.

rom., p. 579). Ora, non volendo il senato ricever Eumene, man

dò a lui lo stesso magistrato che avrebbe avuta l’ incombenze di

prestarsi a’ suoi bisogni nel caso che fosse stato ammesso.

(156) Avvenimenlo d'importanza, fu voltato in latino: Quod

' ndprime ad rem _fiwiebat (che principalmente alla cosa appar

teneva ), lo che panni assai oscuro e per niente corrispondere

alla espressione del testo. flpîypu. è affare, pratica di qualche

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31,4

a..,,n- =r

paîm

importanza, che si trae dietro gravi conseguenze; quindi arpay

ps'inna’r 7: che qui abbiamo significa un avvenimento im

portante, qual era per 1’ appunto il pericolo che ad Eumene so

vrastava da' Gallogreci.

(137) Sozzo rifiuto. Cosi m’ è sembrato dover volgarizzare la

voce raufialtwp‘ar derivata da retifiaàn, ch’ è propriamente

lo sterco renduto duro e secco per la lunga dimora negl’iutesti

ni. Esicbio lo definisce ixthwpu 7‘o èîa'mpu, cosa vile, ino

norala. Contumeliosam rejeclionem (ingiurioso rifiuto) ne fe

cero gl'iuterpetri latini. lo 1’ ho avvicinato , per quanto il per

metteva la decenza, alla sua origine che, se non m’inganno, ade

guatamente esprime il somtno disprezzo con che il senato trattò

quel sovrano in altri tempi assai benemerito della repubblica.

(158) Per ogni verso. Non panni che possa meglio rendersi

nell’ idioma italiano il -min7» rév7ur che ba'il Nostro non qui

solo, ma in parecchi altri luoghi della sua storia, e che significa

dappertutto, in tutta la estensione della cosa cui viene appli

cato. Così nel lib. vr, c. il trovasi questo modo di dire per ai

gnificare la misura di dodici dita che una lamina di bronzo posta

aul petto ha da tutte le parti, cioè in lunghezza ed in larghezza.

Così in parecchi altri luoghi raccolti dallo Scbweigh. nel dizio

nario Polibiano, anche dove non trattasi di estensione materiale,

bassi ad intendere il complesso di tutti i casi cui è soggetto l’ar

gomento del quale si tratta. Tal è il passo nel lib. xxxv, 9. dove

io tradussi ‘t'angn mi.r7q wa'u'ias, .tfuggì al tutto in ogni in

rontro. L’Ernesti pretende che la prima di queste voci sia l'an

tico dativo mîvrp (col n soscritto), al quale fu poi sostituito

miq; ma ciò non può essere, dappoichè vi si dovrebbe sottin

tender un sostantivo femminile, quzmdola struttura della parola,

meno l' a, è quella'del dativo mascolino mi 17|, che potrebbe ri

ferirsi al 7po'arp elitticamente ammesso : sebbene in mini“ ‘rptiray

e 141.734 a-u'.fla 7po'a'u sieno le buone frasi corrispondenti all' i

tuliauo ad ogni modo. Per mio avviso è catasta una ripeti

zione alquanto modificata dello stesso avverbio, la quale mira ad

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108

accrescer energia alla sua espressione. Il medesimo senso emerge

dall’ italiano qfllztto, afl‘alto, che non disdirebbesi a tutti que' luo

ghi dove il Nostro ha il srév7» miv'lu: , se si eccettui quello

del lib. vt di sopra citato.

(159) In sull’incominciar del verno. Vedi la nota m'5 al

principio del cap. antecedente.

([50) Alle quali tutte. Per mio avviso non v‘ba qui mestieri

di emendazione, siccome piacque al Reislte, che propose di cau

giare 1’ in (a’queli) in 7067“; (a questi), giacché dopo la paren

tesi non finisce altrimenti il periodo. Nè tampoco io veggo nel

presente passo un vizio di connessione, aìmuAav9/as, confor

me sostiene lo Schwcigh. Nel Volgarizzanmnto mi sono esatta

mente allenato al testo, enou panni che da cotesta fedeltà sia

risultato alcun inceppamento.

(I4I) Trascurò. Hapînpfl non è propriamente trattare

con qualche disprezzo, siccome [serve allo Schweigh. che il tra

dusse: Contemtius egli. La preposizione rqìs dà talvolta al ver

bo cui è Congiunta il senso di negligenza , poco riguardo nel

consumare l’azione. Cosi a-apunéui; nel principio del susse

guente capitolo equivale a udire sbadatammte, senz'attenu'ohe.

Il Casaub. scrisse semplicemente dimisit .( licenziò), e forse non

andrebbero male, unite amendue le versioni latine, dimiu't ron

temtius, cum contenuta (licenziò con disprezzo).

(ila) Tmttenne la sua decisione, siccome avea fatto co’ Ro

dii, a’ quali nè bene né male_avea detto intorno al trattamento

che in appresso doveansi aspettare. Il Casaub. tradusse: Sed et

Atheniensibus irati patres erant , la qual traduzione il Reiske

accettò e volle che, per trarne il senso in lei espresso, si leggesse

inizi, attivo, e cosi piacque pur all’Ernesti; lo Schweigh. bene

s'apposc conservando 'ts'iixt'ls, tua dandogli il sigmficato di

trallenersi. Ecco com’cgli su ciò ragiona: a Riteneiido il vol

gato ’ixiizt'ls (cioè inizi 'uu7iv) sul n.473» 70iir'A9uaiaut questa

è la forza di quelle parole: ma verso degli Ateniesi ancora il senato

si trattenne (continuit se), cioè non si dimostrò gran fatto

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511

, ‘11'5

pronta; la premura e la benevolenza, con cui trattò gli amba

sciadori degli altri popoli, trattenne e moderò.

(145) Gli Ateniesi. Lo Schweigh. ritiene per certo che que

st’ambasceria è la continuazione dell'antecedente, alla quale egli

amerebbe di attaccarla cosi incominciando: '01 p‘u yizp 'A9,.;7.,

(Imperciocchè gli Ateniesi). A me non sembra la cosa tanto

evidente; dappoichè la venuta degli oratori ateniesi, non meno

che delle altre nazioni, a Roma avea per solo motivo il congra«

tularsi col senato delle_vittorie ottenute sopra Perseo e Genzio.

Non è impossibile che gli Ateniesi in qualche altra occasione

avessero spedita un’ ambasciata per chiedere i favori che qui sono

riportati.

(1M) Pella salvezza degli Alinrtì. Allorquando Perseo vin

cevai Romani in una battaglia equestre, il pretore Lucrezio in

cominciava il soggiogamento della Beozial dalla espugnazione di

Aliarto, ed impossessatosi di questa città, la distrusse dalle fon

damenta, ne vendette gli abitanti, e recò alle navi le suppellettili

preziose, che vi rinvenne (Liv. un, 65 Gli Ateniesi domanda

ma al senato la liberazione di quegl’infelici, e forse il ristaura

mento ancora della città stessa, ma più stava loro a cuore la sua

campagna, col possesso della quale inutili rendevano le grazie im

plorate da’Romani in favore degli Aliarti.

(t45) Due ineumbenze. L’una era la riedificazione d’Aliarto

e la liberazione de’ suoi abitanti ; l’altra i possedimenti che chie

davano.

(t46) Dappaichè in addietro. Dopo la espulsione di Serse

dalla Grecia e’ sembra che queste isole rimanessero agli Ateniesi.

Di Delo sappiamo da Tucidide che questi due volte la purifica

rono, vi stabilirono il pubblico tesoro della Grecia, vi istituirono

feste egiuochi, ne cacciarono i primi abitanti e poscia li rimiser0

in patria; le quali cose tutte indicano padronanza. l Macedoni,

osserva lo Schweigh., pare che le abbian loro tolte. A

(147) La campagna degli Aliarti. Essere questa stata molto

pingue lo indica l’ epiteto di erb0sa che le dà Omero. (Il. t|,'

v. 505).

POLIBIO, TOM. fili. 9

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I 10

(148) Quasi più antica. La fabbricò, secondo Stefano Bizan

tino, Aliarto, figlio di Tersandro, nipote d’Eolo.

(149) Ché render comune cc. Abbiamo da Senofonte (De

repub. Alben., c. 1, m) che gli Ateniesi accordavano a’ cittadini

forestieri eguali diritti, perciocchè abbisognavano di forestîeri per

cagione delle molte arti che coltivavano e della marineria.

(150) Del resto diede loro il senato Dolo e Lenno; ma

diede ad essi ancora la campagna di Aliarto, secondochè riferi

sce Strabone (1x, p. 411 ), a’tempi del quale la città non più

esisteva, donde apparisce che non fu altrimenti rifabbricata.

(151) Teeteio. Della costui ambasciata veggasi il c. 5 di que

sto libro.

(152) Stratonicea, egualmente che Cauno, città della Caria e,

a detta di Strabone (xw, p. 660 ), colonia de' Macedoni, uscita

probabilmente di Stratonica, che Tolemeo (111, 15) annovera tra

le città della Macedonia e pone nel seno Singitico. Stefano le

confonde amendue.

(155) Filofrone ed Astimede. Circa costoro, che precedettero

nell‘ambasciata Teeteto, veggasi il cap. 4 di questo libro.

(154) Nel Peloponneso ec. Qui si accorse lo Schweigh. che

non tutte le materie nel presente libro trattate appartengono al

trentesimo; dappoichè al cap. 15 appunto finisce la storia de’

quasi 1.111 anni che corsero dal principio della seconda guerra

punica sino al fine della guerra di Perseo: spazio di tempo che

il Nostro erasi proposto a termine della sua storia, conform’ egli

stesso lo dice ne’ libri 1, I, e 11|, 1 e 4. Ora avendo ein prese le

mosse dall’ Olimpiade cm. che (posta la edificazione di Roma se

condo lui nel secondo anno dell’ Olimpiade v1) corrisponde al

I’ anno 534 di R., ne segue che il soggiogamento della Macedo«

nia, cui tennero dietro i torbidi dell’ Acbea, avvenisse nel 587

di R., nel quale anno trionfò Emilio di Perseo. L. Anicio per

tanto, che trionfi), giusta Livio (xnv,43), nelle feste quirinali che

cadevano in febbraio, e precisamente il dodicesimo giorno avanti

le Calende di marzo, ebbe ancor egli quest’onure sottoi consoli

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MS‘

}’I I

del 587, non già sotto quelli del 588, conforme stima lo Schweigh.,

giacché i nuovi consoli entrano in funzione negl’ldi, cioè a’|5

di marzo.

(155) Poiché vennero gli ambasciadori. Parecchie ambasce

rie aveano gli Achei mandato a Roma per chiedere grazia; ma

invano, che non si ebbe ad esse alcun riguardo. V. Pausau.,vn, IO.

(156) Qua1 fosse l’odio contro Callicrate. Se questo estratto

dee collegarsi colla breve ambasceria che il precede ed esserne

la continuazione, non può star al certo il testo volgato: Toî

mp‘: KuAAupé7qv pt’nuf5 sibbene converrà scrivere col Rei

ske: Tu’ (di) arpia; Kncààmpai7»;v pivot, ovveramente troie! d":

in 73 n'p. I. p. , siccome noi l’abbiam volgarizzato, tanto più

che 7letutt'fl7'9sst m": 7nos non è buona frase, qual parve allo

Scbweigh., quanto lo è 7:»pmpw9mla.

(157) Andronida. Di questo compagno di Callicrate vegga

si xx1x, IO nel principio. '

(158) Le feste Antigonie. Su queste consultisi la nota 150

al lib. xxtx. Antigono sovrannomato Bosone, tutore di Filippo,

che fu poscia padre di Perseo, poi ch’ ebbe vinto in battaglia

Cleomene re di Sparta, e liberati gli Acbei dalla costui tirannia,

ritornando a casa ottenne, a detta del Nostro (u, 70), così dal

comune di questa nazione, come da ogni città in particolare

quanto confirir puossi a chi si è meritato un onore immortale.

Fra siffatti onori scorgesi qui che furono le feste Antigouie isti

tuite da quelli di Sicioue.

(159) Tinozze e vasche. Comechè secondo] Esichio pniz7pd

nel senso di vaso da bagno suoni lo stesso che róc7ws, ciò non

pertanto osserviamo da questo luogo che nelle prime , siccome

comuni, più d’un uomo scendeva, nelle altre un solo. Anche a

detta di Polluce (Onomast. vn, I68) bagnavasi più d’uno nella

fluis'lfii, cosi denominata per la sua somiglianza alla madia , in

cui s’intride la farina per ridurla a pane. Quindi è da rifiutarsi

la lezione del Valesio, il quale leggendo nuzpiir sull’autorità d’un

codice, mutar vorrebbe unite in umile, quasi grandi taber

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“6

I 34’

navali, tende, e quella del Gronovio, che propone xAz'ust', mi

'ln;, letti, giacigli. Più si appese al vero il Reiske, che non altri

menti in mula, sibbene in (magli: trovò il vizio della scrittura

e vi sostituì pax'lfif. ritenuto dallo Schweigh.

(t60) Calava. K43:imt, al pari dell’italiano calare si usa in

senso attivo non meno che passivo, esignifica così mandar già,

come discendere. - Quanto è alla correzione del testo volgato ti

746744: 'Éa-‘ls 7n‘ na9ig, preferisco quella dello Schweigh. 'ue

7467.1: 'É'ls fi; me9u'p (quando alcuno in queste calava) al

l’altra del Reiske si 7aiv7au m'7: 745 “‘95,, (se in queste

talvalta alcuno discendeva), non parendomi il dativo bene retto

da cotal verbo. Il xe'ltinfl pertanto non era. per mio avviso,

da tentarsi, che non è sbaglio, sibbene particolarità del dialetto

ionico, del quale non è a maravigliarsi se rimanesse qualche trac

cia presso gli Achei discendenti dagli Ionii, e l’Arcadia, patria di

Polibio, era compresa nell’Achea.

I/

FINE DELLE ANNOTAZIONI AL LIBRO TRENTESIHO DI POLIBIO.

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38:

DELLE STORIE '

DI POLIBIÙ DA MEGALOPOLI

<Ù”

AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOPRIMO.

I. In quel tempo iCnossii ed i Gortinii (1) guerreg- A.5:gi

giavano co’ Rancii, ed obbligaronsi tra di loro con giu

ramenti di non cessar dalla guerra avanti d‘aver (a) pre

' sa Banco colla forza. (3) I Rodii risaputa la delibera

zione del senato circa i Caunii, e vegèendo che non ti

niva l’ ira de’ Romani, poiché ubbidito ebbero in ogni

cosa a quanto recava la risposta, crearono tosto un’ am

bascerie cui preposero Aristotile, e la mandaron a Roma,

incaricandola di far un nuovo tentativo circa l’alleanza.

Giunti costoro in Roma nel cuor della state , entrarono

nel senato, ed incautamente esposcro come il popolo

ubbidito aveva a’ suoi comandamenti, e con molli e varii

discorsi esortarono all’alleanza. Il senato diede loro una

risposta, in cui tacque dell’ amicizia, e circa I’ alleanza

disse, che non gli conveniva per ora d’ accordarla ai

Rodii.

9

Olimp.

CLIII,I Il

ti?

Amb. 100

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114

A. di R.

58

Amb. ?oa

Ateneo

V. 5.

Il. Agli ambasciadori de" Galli d’Asia accordarono

di governarsi colle proprie leggi, restando nelle loro

magioni, e non combattendo fuori de’ proprii confini.

III. (5) Antioco, udito avendo da’ giuochi (6) eseguiti

in Macedonia da Emilio Paulo, capitano supremo de’Ro

mani, volendo in (7) magriificenza e generosità avanzat‘

Paulo, mandò pelle città ambasciadori e (8) legati sacri,

per annuriziar i giuochi che doveansi da lui celebrare

(9) presso Dafne. Incominciò la festività con una pompa,

così condotta. Precedevano cinquemila uomini di fiorita

gioventù, armati alla romana in corazza uncinate. Dopo

i quali seguivano subito cinquemila Misii, Cilici armati

alla leggiera, con corone d’oro, tremila; appresso a que

sti Traci tremila, e Galati cinquemila, ed altri con scudi

d’argento, cui tenean dietro dugenquaranta paia d’ ac

coltellanti. A tergo di questi erano mille (to) cavalieri

Nisei, ed urbani tremila, la maggior parte de’ quali avean

aureo bardature e corone; gli altri aveano le bardature

d’argento. Indi Venivano (t t)i cavalieri così detti Com

pagni, ch’ erano da mille, tutti colle bardaturc d’ oro.

Vicini a questi era il corpo degli Amici, eguale ad essi

di numero e d’ornato :, ed appresso seguivano mille scelti,

cui andava dietro il così detto Agema, reputato il più

forte corpo di cavalieri, ascendente a mille uomini circa.

Da sezzo marciava la cavalleria catafratta, nella quale i

(12) cavalli e gli uomini traggon egualmente il nome

dalle armi onde sono coperti. Sommavano questi mille

cinquecento. Tutti gli anzidetti aveano*mantelli di por

pera, molli eziaudio con liste d’oro e figure d‘animali.

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, u?

Carrozze da sei cavalli erano cento, da quattro (13) quat- A. di R.

trecento; (14) poscia un carro tirato da quattro elefanti, 589 ‘

ed uno da due. Seguivano in fila trentasei elefanti for

niti. Il resto della pompa difficil è adescriversi, tuttavia

,lo faremo sommariamente. Andavan in processione ot

tocento giovani di primo pelo, con corone d’oro; bovi

grassi intorno a mille; (15) mense sacre poco meno di

trecento; denti d’elefante ottocento. Il numero delle sta

tue non è possibile di riferire. lmperciocchè di tutti co

loro che presso gli uomini chiamami o credousi Dei o

Genii,e degli eroi pure, conducevansi i simulacri, quali

dorati, quali vestiti di stole listate d’ oro; ed a questi

tutti apponevansi le respettive favole secondo le tradi

zioni in sontuosi apparati. Li seguitava il simulacro della

Notte e del Giorno, della Terra, del Cielo, dell’Aurora

e del Mezzodì. La moltitudine pertanto delle dorerìe e

delle argenterie, puossi da ciò arguire. Uno degli Amici,

Dionigi il segretario, avea nella processione mille paggi,

che portavano argentgrìe, nessuna delle quali pesava me

no di mille dramma. Appresso erano seicento paggi reali

con vasellame d’oro, poscia da dugento donne, che da

urne d'oro versavan olii odorosi. Dietro a queste anda

van a mostra ottanta donne sopra lettighe ’co’ piedi

d’oro, e cinquecento sopra lettighe co’piedi d’argento,

sedute e magnificamente ornate. Queste erano le cose

più illustri della pompa.

IV. Finiti i giuocbi edi duelli e le cacce, pe’ trenta

/ giorni ne’ quali celebrava gli spettacoli, i primi cinque

giorni venivano tutti nella palestra unti da (16) conrhe

d’ oro con olio di croco; i cinque seguenti con olio di

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116

A. di R.

589

Amb. 10|

vciunamomo, ed un egual numero con olio di nardo. Si

milmente ne’suecessivi apportavansi olii di fieno greco ,

di (17) majorana e (18) d’ iride , tutti squisiti per soa-’

vità d’ odori. Apparecchiavansi per banchetti, quando

mille letti da tre, quando mille cinquecento, con son

tuosissimo fornimcnto. Del maneggio delle cose occu

pavasi il re medesimo; percioccbè sopra un cattivo ronl

zino scorreva la processione, comandando gli uni d’au

dar innanzi, ain altri di trattenersi. Ne’ conviti stava egli

sugl’ ingressi, ed alcuni introduceva, altri (19) collocava

alle mense, ed i serventi che portavano le vivande egli

menavn. Girando intorno alle tavole, (love s’ assideva,

dove si (2.0) buttava, e talvolta deponeudo nel mezzo

il boccone, o il bicchiere, balzava su,e cangiava posto,

e girava intorno alle mense ove beveasi , ricevendo in

piedi il beveraggio offertogli dall’ uno e dall’ altro, ed

insieme scherzando con (2.:) chi cantava o recitava. Ed

essendo il banchetto molto innoltr-ato, e molti già par

titi, era il re dagli strioni portato dentro tutto coperto,

e messo in terra , come se fosse uno di loro. Eccitato

dal musicale accordo, saltava su e ballava, c (n) faceva

le maschere co’ buffoni, a tale che tutti vergognatisi fug

givano. Tutte queste cose furon eseguite, parte con ciò

cb’ egli erasi appropriato dall’ Egitto , (2.3) allorquando

tradì il re Filometore, cl1’ era ancor fanciullo; parte con

quanto gli amici contribuirono; ma sovrattuttò collo

24) spoglio ch’ egli fece de' templi.

V. Poiché furono compiuti i (n.5) giuochi poc’auzi ce

lebrati, vennero (26) Tiberio coin altri ambasciadori, con

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l){i€l‘

ordine d’esplorare lo stato delle coàe.l quali con tanta

destrezza e benignilà furono accolti da Antioco, che ben

lungi dal sospettare, che questi alcuna(z7)impresa contro

di lui mulinasse, o scorger qualche dimostrazione di ran

core (28) pelle cose accadute in Alessandria , condan

navano tutti colmo che siffatti discorsi facevano, per ca

gione dell’estrema cordialità con cui li avea ricevuti, per

modo, che in aggiunta ad altre gentilezze, cedette il suo

palazzo ain ambasciadoi'i,e presso che dissi il diadema,

in apparenza; quantunqu‘ ein ('19) nell’animo non fosse

tale, ma al contrario alienissimo da’ Romani. '

VI. Vennero a Roma molte ed altre Vambascerie, le

più illustri delle quali furono de’ Bodii Astimede, degli

Achei Eurea, Anassidamo' e Satiro, di Prusia Pilone; cui

il senato diede udienza. (31) Gli ambasciadori di Prusia

accusavano il re Eumene, dicendo che questi avea loro

tolte alcune (32.) castella, e (33) non si asteneva punto

dalla Galazia,nè ubbidiva a’ decreti del senato; ma im

pinguava coloro che per lui parteggiavano, laddove quelli

che seguivan il partito de’ Romani, e vulcano governarsi

in conformità de’ decreti del senato, per ogni modo ab

bassava. V’ avea pure alcuni ambasciadori dalle città

d’Asia, i quali accusavan il re, facendo fede (34) della

pratica che teneva con Antioco. Il senato, uditi Clt’cbb8

gli accusatori, non rigettò le incolpazioni, nè fece scot;

gere la sua sentenza, ma in sè la tenne , diffidando al

tutto d’ Eumene e d’Antioco. Tuttavia a’ Calati sempre

alcuna cosa aggiugneva, a rinforzo della loro_lihertà.

(35) Tiberio pertanto ed isuoi compagni, ritornati dal

A. dl R.

589

A. di R.

590

Olimp.

CLIII,IV

Amb. 104

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118

A. di R. l’ambasceria, non poterono niente da vantaggio nè essi

590 stessi comprendere , nè esporre al senato intorno alle

faccende d’Eumene e d’Antioco, di quello che sapeva

no quando erano prima in Roma: tanto (36) aveauli i re

colla loro benigna accoglienza svolti da ogni investiga

zione.

VII. (37) Pescia chiamò il senato i Rodii ed ndilli.

Astimede, entrato, (38) si diportò con maggior modera

zione e meglio che non nell’ ambasciata di prima, per

ciocchè lasciando d’accusare gli altri, si condusse a chie

der perdono, siccome fanno (39) quelli che vengono fla

gellati, dicendo, aver la sua patria sofferti sufficienti ca

stigl1i , e maggiori del suo fallire. [In aggiunta percorse

sommariamente i danni di quella; in primo luogo che

perdute avea la Caria e la Licia, per cui ebbe spesa

grande quantità di danaro, essendo stata costretta a far

con esse tre (40) guerre, ed ora trovarsi spogliata di molte

entrate, che dalle medesime percepiva. Ma forse, disse,

non è ciò senza ragione. lmperciocchè le deste al no

stro popolo, per (4|) dimostrarin l’ animo vostro grato

e benevolo , ed ora gli togliete cotesto beneficio, stiman

do di far ciò a buon diritto, dappoichè intervenne qual

che sospetto e discordia. Ma Cauno abbiam al certo

(4:) comperata per dugento talenti da’ capitani di Tole

meo, e Stratonicea ricevemmo in solenne gratificazione

da (43) Antioco- e da Scleuco; e da amendue queste città

proveniva al popolo ciaschedun anno una rendita di cen

tOVenti talenti. Di tutte queste rendite siamo spogliati,

quando volonterosi ubbidiamo a’ vostri comandamenti.

Quindi maggior tributo imponeste a’ Rodii per il loro

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113119

delitto d’ imprudenza , che non a’ Macedoni vostri ca- A. di R.

pitali nemici. Ma la più grande sciagura della nostra

città si è l’ aver perduta la rendita del porto, poiché

Delo faceste esente da gabelle, e levaste al popolo

l’arbitrio, per mezzo del quale gli affari del porto e tutti

gli altri della città erano colla conveniente autorità am

' ministrati. E che ciò sia vero difficil non è a conoscersi;

perciocchè laddove ne’ tempi addietro pe’ proventi de’

porti trovavasi un milione di dramme, ora appena

se ne trovano cencinquanta mila. Talmente, o Romani,

l’ ira vostra ha feriti i luoghi più vitali della nostra

città. Che se il fallo fosse di tutti ed il popolo da voi

alienato, forse avreste ragione di perseverare nell’ ira e

d’essere implacabili. Ma se chiaro conoscete, che pochis

simi sono stati gli autori del peccato, e questi tutti dallo

stesso popolo puniti colla morte; perché siete inesora

bili verso di coloro che non sono colpevoli, e ciò

mentrecbè a tutti gli altri vi dimostrate al sommò dolci

e magnanimi? Il perché, (48) o Romani, il nostro po

polo, perdute avendo l’ entrate, la (49) libertà, la egua'

glianza, per cui ne’ tempi addietro sempre ogni pati

meuto ha sostenuto, voi tutti prega e supplica, che dopo

essere stato sufficientemente battuto , cessiate l’ira , e

(50) gli accordiate la pace e fermiate seco lui alleanza,

affinché a tutti fia’manifesto, che avete deposta la col

lera contro iRodii, e siete ritornati alla volontà ed ami

cizia di prima. lmperciocchè di questo ha (5|) ora bi

sogno il nostro popolo, non già di un’ alleanza d’ armi

e di soldati. Poiché Astimede queste ed altre simili cose

ebbe dette, parve alutti il suo discorso conveniente alle

590

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I 20

A. di R.

590

Amb. 105

circostanze. Moltissimo pertanto (52.) aiutò i Rodii a con

seguire l’alleanza Tiberio Gracco, testé giunto. Imper

ciocchè attestò, primieramente che i Rodii avean ubbi

dito a tutti i decreti del senato; poscia cb’ erano stati

da loro condannati a morte tutti gli autori dell’ odio

contro i Romani: laonde vinti furono gli oppositori , e

fecesi 1’ alleanza co’ Romani.

VIII. Dopo qualche tempo entrarono gli ambascia

dori degli Achei con incumbenze (53) conformi alle ri

sposte, che aveano prima ricevute. E queste erano,

che si maravigliavano, come gli Achei provocassero la

sentenza del senato intorno a coloro, ch’ essi medesimi

avean già sentenziati. Il perché era allor venuta un’ am

bascerìa condotta da Eurea, per dichiarare di bel nuovo

a’ padri, che la nazione nè aveva uditafila difesa degli

accusati, nè pronunziata sentenza alcuna contro di loro;

onde pregava essa il senato di far provvedimento , af

finché (55) quegli uomini venissero giudicati, e non pe

rissero senza processo. E sovrattutto lo supplicava di

manifestare chi fossero coloro cb’ erano in colpe avvi

luppati; ma se distratto in altre occupazioni non potesse

ciò fare, ne lasciasse l’ arbitrio agli Achei,i quali inge

gnerebbonsi di (56) punire condegnamente gli autori

delle reità; Il senato , poicb’ ebbe uditi i discorsi degli

ambasciadori conformi alle incombenze avute, non sa

pea che si fare; perciocchè da (57) qualsivoglia parte

sarebbesi esposto a biasimo: che lo sentenziare non isti

mava appartener a sé, e l’assolverli senza giudizio (58) sa

rebbe stata manifesta ruina de’proprii partigiani. II per

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I

afl/ché indotto dalla necessità, e volendo levare alla 'molti

tudine ogni speranza circa la salvezza de’ prigioni, af

finché ad (59) occhi chiusi ubbidisse, scrisse nell’Achea

a Callicrate, e negli altri stati a chi credeva esser amici

de’ Romani siffatta risposta: Non (6o) crediam utile né

a noi nè a’ vostri popoli, che questi uomini ritornino a

casa. Uscita questa risposta, smarrironsi forte e caddero

in grande avvilimento, non solo quelli ch’ erano stati

chiamati a Roma, ma fra tutti i Greci ancora era quasi

un pubblico lutto, apparendo da cotal risposta tolta ai

miseri ogni speranza di salvezza. Essend0si divulgata

pella Grecia la risposta data agli Achei circa gli accu

sati, la moltitudine ne rimase abbattuta , e furono tutti

(6!) come da disperazione assaliti. Ma Campo e Calli

crate, e tuttii capi della stessa setta sollevaronsi a nuove

speranze.

IX. Tiberio ridusse i(62)Cammani sotto l’ubbidienza

de’ Romani, parte colla forza, parte coll’ inganno.

Essendo venuti a Roma molti ambasciadori , il se

nato diede udienza ad Attalo e ad Ateneo. Impercioc

ché Prusia, non solo con ogn’ industria accusava Eu

mene ed Attalo, ma instigava ancor i Gelati ed i (63) Scl

gei, e parecchi altri popoli dell’ Asia a fare lo stesso.

Per la qual cosa il re Eumene mandò i fratelli, per di

fenderlo dalle liti contro di lui mosse. Questi entrati nel

senato parvero aver fatta conveniente difesa contro tutte

le accuse; e finalmente non solo (64) respinsero le colpe

che erano state loro apposte, ma ritornaron eziandio

J. di R.

590

Amb. |06

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I 22

‘A. . di R.

587

Eslr. Val.

Estr. Val.

colmati d’ onori in Asia. Ciò non pertanto non depose

il senato i(65) sospetti contra Eumene e contr’Autioco;

ma nominò ambasciadori (66) Caio Sulpicio e Manie

Sergio, e spedilli, cosi per invigilare sugli affari de’Greci,

(67) come per giudicare fra iMegalopolitani ed i Lacc

demoni circa la campagna che disputavansi; ma sovrat

tulto per (68) esaminare minutamente gli affari d’ An

tioco e d’ Eumene, affinché (69) non si riducessero a

qualche apparecchio e società contro i Romani.

X. (70) Caio Gallo, oltre alle imprudenza testé ri

ferite, venuto in Asia, espose pelle città più illustri de

gli edittiz, comandando a chi voleva accusar Eumene,

di recarsi da lui in Sardi ad un certo tempo determi

nato. Poseia essendo egli stesso giunto in Sardi, (71) se

dutosi a scranna nel ginnasio, ascoltò per dieci giorni

gli accusatori; accogliendo ogni vituperió e villania che

dicevansi contro il re, ed in generale mandando in lungo

tutte le faccende e tutte le accuse , come colui gch’ era

uomo (72) di mente stravolta, e cercava gloria nella dis

sensione con Eumene. ‘

XI. In (73) Siria il re Antioco, volendo procacciarsi

danari, si propose di far una spedizione contro il tem

pio di Diana (74) nell’ Elimaide. Giunto in que’ luoghi,

e fallitagli la speranza, perciocchè i barbari che intorno

a quel sito abitavano non cedettero alla sua scellerata

za, ritirossi, ed in (75) Taba città della Persia lasciò la

vita, (76) caduto in furore, siccome alcuni dicono, per

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certi (77) segni dati dal Nume in disapprovazione, del di R.

l’ampietà contro l’ anzidetto tempio commessa. .590

XII. (78) Demetrio figlio di Seleuco, trattenuto già Amb. 117

lungo tempo in Roma per ostaggio, lagnavasi buona

pezza che lo si tratteneva contra il giusto, perciocchè,

diceva, averlo dato il padre Seleuco in pegno della sua

fede , ed ora che Antioco gli era succedute nel regno,

non dovere sè rimanere statico pe’ figli di lui. Tuttavia

aveva egli in addietro taciuto, e singolarmente per im

potenza, come quegli ch’ era ancor fanciullo; ma allora,

essendo nel fiore degli anni, venne nel senato chiedendo

con molta instanza d’ esser ricondotto nel regno; sen

dochè (79) più a lui che a’ figli d’Antioco apparteneva

il supremo potere. Ed avendo fatte molte parole nel

l’anzidetto argomento, e massimamente (80) trascorrendo

in dire che Roma gli era patria e nutrice, che come suoi

fratelli considerava tutti i fiin de’ senatori, e questi co

me padri, dappoichè era venuto in(81)età ancor infan

tile, ed allor avea Ventitrè anni: si commossero tutti in

ciò udend0', tuttavolta parve al senato di trattener De

metrio, e di procacciar il regno al figlio lasciato da An

tioco. La qual cosa esso fece, per quanto io credo, aven

do in sospetto la florida età di Demetrio, e giudicando

convenire meglio a’ proprii interessi l’ infanzia e l’ im

potenza del fanciullo successore del regno. E fu ciò ma

nifesto da quanto accadde in appresso. Imperciocchè 's

tosto crearon ambasciadori (89.) Gneo Ottavio, Spurio

Lucrezio e Lucio Aurelio , e li mandarono ad ammini

strar il regno (83) secondo il volere del senato: argo

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124

A. di R.

590

mentando, che nessuno sarebbe per impedir l’esecuzione

de’ loro ordini, mentre il re era ancor fanciullo, ed i

(84) maggiorenti l’ avrebbon avuto a grado che il regno

non fosse dato a Demetrio. Gneo adunque si partì col

1’ incumbenza , che innanzi ogni cosa (85) bruciasse le

‘ navi coperte, poscia (86) tagliasse igaretti agli elefanti,

ed in somma fiaccasse la forza regia. L’incaricarbn ezian

dio di visitare la Macedonia; perciocchè i Macedoni,

non assuefatti al governo popolare ed (87) alle adunanze,

fra di loro tumultuaflno. Dovean (88) oltracciò gli amba

‘ sciadori investigare gli affari de’Galati e quelli del regno

Amb. 108

di Ariarate. Dopo qualche tempo fu loro ingiunto per

lettera del senato, che facessero il possibile per pacifi

care (89) i re (1’ Alessandria.

XIII. in quel tempo vennero ambasciadori da Ro

ma; dapprima (90) Marco Giugno, per comporre le dif

ferenze fra iGalati ed il re (gl) Ariarate. Imperciocchè

non avendo potuto i Trocmi (ga) di per sè staccar al

cuna parte della Cappadocia, (93) ma essendo subito stati

respinti ogni qual volta prendevano ad attaccar i Cap

padoci ; rifuggitisi pressoi Romani, tentarono d’accusar

Ariarate. Per la qual cosa spedito fu Giugno e gli altri

ambasciadori, co’ quali avendo il re fatto il conveniente

discorso, non che amorevolmente conversato, licen

ziolli preconizzanti le sue lodi. Pescia venuti gli altri

ambasciadori, Gneo Ottavio e Spurio Lucrezio, i quali

parlarono nroamente col re circa la differenza ch’egli

avea co’ Galati: quegli intorno a siffatta vertenza spic

ciatosi brevemente, disse che di buon grado si rimette

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I

rebbe alla loro sentenza, del resto molto ragionò sugli

affari della Siria, ove sapea cb’ era per andare Ottavio,

mostrando loro l’incerto stato di quel regno, e la (g5)leg

gierezza di coloro che gli soprastavano, e promettendo

che li seguirebbe con un esercito, e starebbe attento ad

ogn’ incontro, sino a che essi fossero ritornati salvi dalla

Siria. Gneo grato accogliendo in tutto la benevolenza e

pronta volontà del re, disse che per ora non avea me

stieri d’accompagnamento. In avvenire, se ne occorresse

qualche bisogno, glielo farebbe a sapere senza indugio;

perciocchè il giudicava uno de’ veri amici de’ Romani.

XIV. Nello stesso tempo vennero ambasciadori da

(98) Ariarate, testé succeduto nel regno della Cappado

cia, per rinnovare l’ antica amicizia ed alleanza , e per

pregar il senato d’ accettare la benevolenza e la pronta

volontà che il re così in pubblico come in privato pro

fessava a tutti i Romani. Il senato, udito il discorso, rin

novò l’amicizia e l’ alleanza, ed approvata in ogni cosa

la buona intenzione del re , trattolli benignamente. La

qual cosa avvenne principalmente, perché Tiberio, al

lorquando fu spedito perinvestigare la mente del re, al

suo ritorno disse ogni bene (97) del padre e di tutto il

regno. Il senato, prestandogli fede, accolse cortesemente

gli ambasciadori, e lodò l’ animo del re.

XV. Ariarate re di Cappadocia, poiché ricevette gli

ambasciadori ch’ egli avea mandati a Roma , arguendo

dalle loro risposte esseril suo regnoin salvo, dappoichè

avea conseguita la benevolenza de’ Romani, sacrificò agli

roumo, tam. nu. IO

|À°Î

A. di R,

590

A. di R.

591

Olimp.

cuv,r

Amb. 109

Àm6. x 12

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126

A. di R.

588

Amb. tao

Amb. In

Dei in ringraziamento dell’ avvenuto, e banchettò i suoi

duci. Poscia spedì ambasciadori a Lisia in Antiochia ,

ingegnandosi di riavere le (98) ossa della sorella e della

madre. Lagnarsi pertanto (99) dell’ empietà commessa

reputo inconveniente , non volendo irritar Lisia, affin

ché non gli fallisse il disegno, quantunque fosse molto

dolente del caso ; ma incaricò gli ambasciadori che spedì

di chieder colle buone. Cedette Lisia, e le ossa gli fu

rono riportate, le quali egli ricevette con pompa, e sep

pelli a grande onore presso la tomba del padre.

XVI. I Bodii, (100) respirato ch’ebbero dalla cala

mità sofferta, mandarono Cleagora a Roma per amba

sciadore, affine di chiedere che fosse loro ceduta la città

di Calinda. Quanto alle possessioni che aveano nella Li

cia e nella Caria, pregaron il senato che fosse loro per

messo d’averle come per lo passato. Decretaron ezian

dio di rizzar il colosso del popolo romano nel tempio

di Minerva, (101)alt0 trenta cubili.

' XVII. (102.) Essendosi i Calindesi ribellati da’ Cau

nii, e poscia accingendosi questi ad assediarli; dapprin

cipio i Calindesi chiamaron i Cnidii, i quali affrettatisi

al soccorso resistettero alquanto a’ nemici. Ma temendo

l’ avvenire mandaron ambasciadori a’Rodii , per arren-‘

dare sè stessi e la città. I Bodii, spediti aiuti per terra

e per mare, levarono l’ assedio, ed accettarono la città.

Avvenne poi che il senato ancora confermò loro il pos

sesso di Calinda.

Page 136: ilmedicodifamiglia.altervista.orgDELLE STORIE DI POLIBIODAMEGALOPOLI‘-

,v‘

W?XVIII. (103) Poicbe i Tolemei partirono il regno, A. di R.

venne a Roma Tolemeo minore, per annullare la divi

sion_e fatta tra lui ed il fratello, dicendo , come non di

buon grado, ma stretto dalle circostanze eseguito avea

ciò che gli era stato imposto. Pregava dunque il senato

d’ assegnargii Cipro: perciocchè, quand’ anche ciò ac

cadesse, la sua parte sarebbe molto più scarsa di quella

del fratello. Ma avendo (104)Canuleio e Quinto fatto fede

a’ detti di Menillo, ch’ era colà ambasciadore di Tole

meo maggiore, (105) come il minore per beneficio di

questi avea e (106) Cirene e la vita, e tal era l’alienazione

ed il dispetto del volgo verso di lui, ch’ essendogli con

tro speranza ed aspettazione dato il regno di Cirene, egli

volentieri accettollo, (107) e fermò i patti con sagrificii

e (108) mutui giuramenti: Tolemeo a tutto ciò contra

disse, ed il senato veggendo che la divisione era (mg) al

tutto ineguale, e volendo insieme partir il regno con

(1 10) astuto consiglio, facendo i fratelli stessi autori della

divisione, acconsenti alle richieste del minore per la

propria utilità. Imperciocchè molto sono in voga siffatte

deliberazioni presso i Romani, con cui per la stoltezza

altrui accrescono e consolidano il lor impero destramen

te, (111) facendo grazia a coloro che han errato e mo

strando di beneficarli. Il perché osservando la grandezza

della signoria d’ Egitto , e temendo non un giorno gli

toccasse un principe, che più del conveniente alzasse il

capo: elessero ad ambasciadori Tito Torquato e Gneo

Merula, per condnrre Tolemeo in Cipro, ed insieme per

recar ad effetto il loro divisamento e quello del re. Ed

incontanente gli spedirono, incaricandoli di rappattu

H:

592

Olimp.

cr.1v,z

Amb. 115

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128

A. di R. mar i fratelli, e di procacciare al minore Cipro senza

587guerra.

I

Amb. 114_** XIX. Giunta intorno a quel tempo la nuova del caso

di. Gneo Ottavio, il quale fu ucciso , ed essendo venuti

gli ambasciadori del re Antioco, che avea mandati Lisia,

e molto ragionando essi circa l’innocenza degli amici

del re in quel misfatto, (112.) trascurò il senato gli am

basciadori, non volendo dare circa cotesto affare alcu

na risposta, né punto svelare l’ animo suo. Demetrio,

(1 13) spaventato a questo annunzio, subito chiamò a sè

Polibio, (114) e gli espose l’incertezza in cui era , se

doveva un’ altra finta parlare col senato de’ suoi affari.

Questi ammonillo (1 1 5)non urtasse due volte nello stesso

scoglio , ma riponesse in sè stesso tutte le speranze, e

facesse qualche tentativo che degno fosse di chi aspira

ad un regno, dappoichè le (116) presenti circostanze

gliene offerivano molte occasioni. Demetrio comprese

questi detti, ma allora si tacque. Poco stante comunicò

la faccenda ad Apollonio uno de’ suoi famigliari. Questi,

ch’ era senza malizia e molto giovane, lo (117) consi

gliò di fare ancor una prova col senato; perciocm.è era

persuaso , che avendolo senza ragione spogliata del re

gno, l’ assolverebbe dal rimanersi ostaggio. Conciossia

chè fosse cosa del tutto assurda, che mentre il fanciullo

Antioco era succeduto nel regno di Siria, (118) Deme

trio avesse ad essere statico per lui. Indotto da questi

discorsi entrò egli nuovamente nel senato, e fece instanza

che il francasse dalla necessità d’essere statico, dappoi

che avea giudicato di procacciar il regno ad Antioco.

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129 53

Disse molto più in questo senso, ma il senato perseverò A. di R.

nel suo partito, e meritamen_te; giacché in addietro an- 592

cura avea risoluto di (119) aiutar il fanciullo a conser

-var il regno , non perchéDemetrio non dicesse il gin

sto, ma perché util era a’ proprii affari. E siccome tutto

era rimaso nella stessa situazione, cosi ragion volea che

il senato ancora non mutasse il suo divisamento.

XX. Del resto Demetrio (120) mandata fuori invano

la ultima voce, e conoscendo che Polibio gli avea bene

consigliato di non urtar due volte nello stesso scoglio ,

pentitosi del passato, ed essendo per natura d’alti sensi,

ed avendo sufficiente ardire per eseguir le sue risolu

zioni, chiamò subito Diodoro, ch’ era testé venuto dalla

Siria, e deliberò seco lui circa il suo affare. Era stato

Diodoro aio di Demetrio, ed accorto com" egli era, e

delle cose della Siria esattamente informato, gli fece

conoscere, che essendo colà tutto in confusione (1 21) pel

l’ ammazzamento di Gneo , e diffidando la moltitudine

di Lisia e Lisia della moltitudine, mentre il senato cre

deva che la violazione da’ suoi ambasciadori derivasse.

dagli amici del re, esser questo il miglior tempo (122.) per

comparire di sorpresa in mezzo al trambusto. Impercioc

chè quelli di là tosto il regno a lui (19.3) trasferirebbo

no, quand’anche con un solo fanciullo arrivasse; (I al.) né

oserebbe il senato di recar aiuto a Lisia e di consoli

darlo, poiché tanto delitto ebbe commesso. Nulla resta

va, se (19.5) non che partissero secretamente da Roma,

senza che alcuno avesse sentore del suo disegno. Ap

provato cotesto suggerimento, mandò per Polibio, e ma

nifestatain la sua determinazione , pregollo d’ aiutarlo

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130

A. di R. nell’impresa , e di seco lui consultare , come avesse a

592 maneggiare la fuga. Era allora per avventura in Roma

(126) Menillo d'Alabanda ambasciadore del re Tolemeo

maggiore, per (12.7) venire a ‘confronto e disputare con

Tolemeo minore. Polibio avea già prima con Menillo

stretta famigliarità e fida amicizia; quindi, stimatolo op

portuno alla presente bisogna, il raccomandò a Deme

trio colla maggior (12.8) premura ed insistenza. Costui

fatto partecipe del disegno, s’assunse d’apparecchiar la

nave, e d’ allestir il resto che occorreva per la naviga

zione; ed avendo trovato nella foce del Tebro un va

scello cartaginese (mg) di quelli che conducon oggetti

sacri, il uoleggiò. Scelgonsi coteste navi con ogni cura

a Cartagine, e mandano i Cartaginesi su quelle in Tiro

le patrie primizie agli Dei. Noleggiolla dunque aperta

mente pel proprio ritorno. Il perché preparava senza

destare sospetto (130) le vettovaglie, e parlava pubblica

mente co’ marinai, ed accordava il tempo della partenza.

XXI. Poiché il nocchiero ebbe pronta ogni cosa, e

solo mancava che Demetrio le sue cose allestisse; spedì

ein innanzi il suo ajo in Siria, affinché colle (131)pr0

prie orecchie e co’ proprii occhi esplorasse quanto colà

fra il volgo accadeva. Apollonio pertanto ch’ era stato

seco lui allevato, dapprincipio partecipe era del suo di

segno; (132) ed essendovi due fratelli, Meleagt'o e Me

nesteo, Demetrio comunicò loro l’ affare, ma a nessun

altro de’ compagni, quantunque fossero molti. Erano

questi tiin 11’ Apollonio, ch’ era stato in (133) grande

favore presso Seleuco; ma poiché Antioco avea preso

il governo era passato in Mileto. Approssimatosi il giorno

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1,3"il 3f

destinato co’ navigatori, dovea Demetrio celebrare la sua A. di R.

partenza con un (134) convito presso certo suo amico; 59"

perciocchè a casa sua non potea farsi la cena , avendo

ein costantemente per costume d’ invitar tutti quelli che

gli erano dattorno.l conscii dell’affare doveano, usciti

della cena , salir sulla nave, con un fanciullo per cia

scheduuo: che gli altri spediti aveano in (135) Anagni,

ove dicevano di seguirli il di vegnente. Polibio era per

avventura in quel tempo infermo e stavasi a letto, ma

sapeva tutto ciò che facevasi, riferendogli Menillo di con

tinuo quanto andava accadendo. Il perché temendo egli

non si protraesse il banchettare , ed essendo Demetrio

per natura (136) inclinato alla gozzoviglia e molto gio

vine , nascesse pell’ ubbriachezza qualche impedimento

alla partenza; scrisse un breve (137) viglietto, e sigilla

tolo mandò un suo ragazzo in (138) sull’imbrunire delcielo, ordinandogli di chiamar fuori il coppiere di De-l

metrio, senza dirgli chi fosse né da chi venisse, e di co

mandargli che il desse a Demetrio , affinché subito lo

leggesse. Fatto tutto secondochè fu ordinato, prese De

metrio il viglietto e lesse. Eran in esso contenute le se

guenti sentenze : ‘

(139) » Chi_/à si piglia il premio di chi indugia.

(140) La notte egual perr'glio a tutti reca.

Ma più vantaggio a colui che s’ arrischia.

(141) Ardisci, attentati, opra, o li riesca,

O meno: anzi che te, tutto abbandona :

(142) Sii sobrio, e il diflidar rammenta. Questi

Sono gli articoli della prudenza.

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132

..4 di R.

Sga

XXII. Demetrio, com’ ebbe ciò letto, e comprese le

sentenze, quali erano, e da chi venivano, infintosi tosto

d’ esser soprappresso da nausea, se ne andò, uscendo

con lui i suoi amici. Giunto alla tenda,i domestici non

opportuni al suo intento mandò in Anagni, ordinando

loro di prender le reti ed i cani, e di venirgli incontro

alla volta del (143), monte Circeo; ché colà soleva egli

con diligenza cacciar (144) il cinghiale; donde avvenne

che incominciò la famigliarità ch’ egli ebbe con Polibio.

Poscia aperse a (145) Nicanore ed a quelli ch’ erano se

co il suo disegno, ed esortolli ad entrare con lui nelle

medesime speranze. Avendo tutti di buon animo accon

sentito alle sue richieste, annunziò loro che andassero

in fretta alle proprie abitazioni, ed ordinassero a’ ragaz

zi, che verso il mattino proseguissero alla volta (1’ Ana

gni, e co’ cacciatori venissero ed incontrarlo sul Cir

ceo , ma essi, presi gli abiti da viaggio , ritor

nàssero a lui, e dicessero a’ domestici, che Demetrio

sarebbe con loro il di vegnente nell’anzidetto luogo.

Eseguita che fu ogni cosa conforme avea detto, anda

rono di notte verso Ostia alla foce del Tebro. Menillp

camminato innanzi parlava co‘ marinai, dicendo, come

(146) gli erano venute nuove dal re, per cui egli dovea

al presente rimaner in Roma , e mandar a lui i (147) gio

vani più fidati, da’ quali conoscerebbe quanto risguar

dava (148) il fratello. Il perché disse che non sarebbe

altrimenti entrato in nave,sibbene verrebbono (149) in

torno alla mezzanotte i giovani che avean a navigare.

Il nocchiero era indifferente, perciocché gli rimaneva

il nolo dapprima stabilito, e tutto era già da molto

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132

133

tempo pronto a salpare. Venne Demetrio in (150) sul A. di R.

finire della terza vigilia, con otto compagni, cinque

servi, tre ragazzi. Menillo, avendo con loro parlato, e

mostrata la provvigione de’ viveri, e raccomandatili al

nocchiero ed alla ciurma caldamente, essi montaron in

nave. Il timoniere (151), appena fattosi giorno, alzò le

àncore, e si diede a navigar bonariamente, non sospet

tendo punto di ciò ch’ era, ma come se ein conducesse

alcuni soldati da Menillo a Tolemeo.

XXIII. In Roma il giorno appresso nessuno si curò

di cercar Demetrio, nè quelli ch’ eransi con lui partiti.

Imperciocchè coloro ch’ erano colà rimasi il credean

andato sul Circeo; e quelli che trovavansi in Anagni gli

si fecero incontro alla volta dello stesso-luogo, come se

ivi fosse per giugnere. Il perché fu la fuga di lui al tut

to occulta, finché uno de’ suoi ragazzi, frustato in A

592

nagni, (15a) corse sul Circeo per riscontrarsi là con De- .

metrio; ma non veggendolo si voltò verso Roma, sti

mando d’avvenirsi in lui cammin facendo. Non avea-q

dolo pertanto in nessun luogo trovato, denunziò la co- ‘

sa agli amici ch’ erano in Roma,ed a quelli ch’ egli a

vea lasciati in custodia della casa. (153) Ed essendosi

cercato Demetrio il quarto giorno dacchè erasi par

tito, si ebbe sospetto dell’ accaduto. Il quinto ragunossi

tosto a cotal fine il senato , nel qual giorno era già De

metrio fuori dello stretto di Sicilia: Rinunziarou adun

que al pensiero d’ iuseguirlo, supponendo ch’ egli aves

se fatta molta strada navigando, perciocchè avea il vento

favorevole , (154) donde prevedevano che il volergli im

pedire d’ andar innanzi era impossibile. Dopo alcuni

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134

A. di R. giorni crearon ambasciadori Tiberio Gracco, Lucio Len

592 tuloe Servilio Glaucia, i quali dovean primieramente esa

minare gli affari de’ Greci, (155) e quindi passar in Asia

per osservare i movimenti Demetrio, per investigare

le intenzioni degli altri re e'per pronunziar giudizio sul

le quistioni che gli anzidetti aveano co’ Galati (156). No

minarono adunque Tiberio, perciocchè egli nell’ambasce

ria di prima esaminata ebbe ogni cosa di presenza. In '

questi termini erano le cose d’ Italia.

I

(157) Demetrio aspettando l’ arrivo di colui che do

veasi a lui mandare. . . .

Aleneo XXIV. (158) Catone, conforme narra Polibio nel li

1- ":°”" bro trigesimoprimo delle storie, sdegnato gridava, perché

alcuni avean introdotte in Roma le delizie forestiere;

comperandosi per trecento dramme (159) l’ orcio di sala

me Pontico, ed il prezzo di un bel giovanetto superan

do quello di una campagna.

Amb_ Il5 XXV. Dopo di ciò (160) Tolomeo minore, venuto

in Grecia cogli ambasciadori romani, vi assoldò una gros

sa mano di gente, fra cui prese anche il macedone Da-’

masippo , il quale uccisi avendo in (161) Facio i mem

bri del Consiglio, fuggì dalla Macedonia colla moglie e

co’figli. Il re, venuto (162) nella Perea de’ Rodii,e rice

vuto ospitalmente dal popolo, si propose di navigar in

Cipro. Torquato veggendo ch’ egli componeva una p0

derosa massa di milizie straniere, ricordatosi dell’ inca

rico ricevuto di dovere senza guerra far il ritorno, I’ in

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603

413513"

dusse finalmente a licenziare la soldatesca, con cui A. di R.

(163) egli era marciato innanzi sino a (164) Side, a de

, sistere dall’ impresa di Cipro, ed a venir seco a collo

quio ne’ confini della Cirenaica. Essi ambasciadori, disse,

sarebbono frattanto andati in Alessandria, ed avrebbo

no disposto il re alle sue richieste; poscia sarebbonsi re

cati a’ confini, conducendo lui pure seco. Persuaso adun

que Tolomeo minore da questo ragionamento, rinunzia

to all’ affare di Cipro , licenziò la gente da sé assolda

ta , e navigò dapprima in Creta, avendo seco Damasip

po ed uno degli ambasciadori Gneo Merula. Indi as

soldò in Creta da mille uomini, e fatto il tragitto nella

Libia , afferrò in (165) Api.

XXVI. (166) Torquato trasferitosi in Alessandria in

gegnossi di persuadere a Tolemeo maggiore di pacificarsi

col fratello e di cedergli Cipro. Ma siccome Tolemeo

' (167) alcune cose prometteva , ad altre dava poco ascol

to, e per tal modo mandava l’afi'arein lungogcosì ilminore

accampatosi co’Cretesi nella Libia intorno ad Api se

condo il concertato, ed altamente sdegnatosi perché

(168) nulla gli si facea sapere , dapprincipio spedì Gneo

in Alessandria, affinché per mezzo di lui (169) Torqua

to s’inducesse a venire. Ma (170) conformatosi quegli

ancora al volere di coloro che prima vi erano giunti,

e protraendosi il tempo, e passati essendo quaranta gior

ni senza che venisse alcuna nuova, incominciò egli a

dubitare dell’esito. Imperciocchè il re’più vecchio con

(171) ogni genere di compiacenza erasi feudali suoi

gli ambasciadori , ed aveali trattenuti a loro malgra

do anzichè volentieri. Frattanto riseppe il giovine T0

592

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136

A. di R. lemeo che i Cireuei eransi ribellati, e le (172) città con

592 essi accordavansi (173) , partecipando della ribellione

(174).Tolemeo Simpetesi, egizio di nazione,cui era stata

affidata dal re la cura di tutti gli affari (175), allorquan

do egli navigò a Roma. Come giunse al re questa nuo

va , e poco stante che i Cireuei eransi accampati all’a

perto, temendo non, mentre ch’ egli volea aggiugnere

Cipro a’ suoi stati, fosse per perdere Cirene; posta ogni

altra c05a in non cale, mosse verso Cireue. Venuto

al luogo chiamato il (176) grande Catabatmo, trovò

(177) i Libii che co’ Cireuei occupavano le strette.

Tolemeo, imbarazzato in tal frangente, imbarcò la

metà de’ soldati, ed ordinò loro di girare le strette,

(178) e di comparire da tergo a’ nemici; egli stesso col

I’ altra metà attaccolli di fronte (179) , avviandosi alla

salita. I Libii sbigottiti del doppio assalto, lasciarono

que’ luoghi, ed egli impadronissi della salita, ed (180)

insieme del forte delle quattro torri che sotto a quella

giace , 1101!" era grande abbondanza d’acqua. Quindipartitosi, viaggiò sette giorni peril deserto (181). Areni

dolo pure raggiunto le navi di Mbchirino,trovar0nsi i Ci

renei accampati con ottomila fanti e cinquecento ca

valli. Imperciocchè i Cireuei, sperimentato avendo l’ a

nimo di Tolemeo da (182.) ciò ch’egli ebbe fatto in A

Iessandria, e veggendo che il suo governo e tutta la sua

condotta non erano da re, ma da tiranno; non pote

vano assoggettarsi a lui di buon grado, ma osarono di

tollerar ogni cosa fermi nella speranza di salvare la li

bertà. Il perché allora, come prima s’ avvicinò, si mise

ro in ordinanza, ed alla fine fu sconfitto.

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15,1

137.

XXVII. Circa quel tempo venne Gneo Merula da A- A. di R.

Iessandria per informare il re, come il fratello non avea

condisceso a nulla di quanto egli avea chiesto, ma di

ceva doversi stare agli acccordi di prima. Il re udito ciò

elesse tosto i fratelli (183) Comano e Tolemeo, e gli

spedì ambasciadori a Roma con Gneo per significare al

senato l’ avarizia e l’ orgoglio del fratello. Nello stesso

tempo (184) Tolemeo maggiore licenziò Tito Torquato

infruttuosamente. In tale situazione erano gli affari d’ A

lessandria e di Cireue.

FINE DEGLI ÀVÀNZI DEL LIBRO TRENTESIMO PRIMO

\ e

5 z

Amlii 116

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SOMMARIO

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOPRIMO.

Ayyrmucnrrr Dcu’ armo DI 1101!.4‘589. \

GUERRE intestine de’Cretesi. -I Rodii cl1ieggono di bel nuo

va la società de’ Romani. - Ma indarno (S I). accordata

la libertà 11’ Gnlati (S I I). - Antioco Epi/àne mena una pom

pa magni ca. - Celebra giuochi. - Riceve l” ambasc'iadore Tib.

Gracco (5 III, IV, V).

AVVENIMENTI DELL’ ANNO DI ROMA 590.

Ambnrceria de’ Rodii e dein Achei. - Ambarceria di I’r -

sia contro Eumene. -I Romani fiworeggiano i Galati (S VI).

- I Rodii dimnndano perdono. -- Farsi la società co’ Rodii

(S VII). - Gli Acl1ei chieggono mercè pein esuli chiamati

a Roma. - Risposta scorg/brtante del senato. - Gli esuli non

sono rimessi. - Insolenza di Campo e di Callicrate. - (S VIII).

- Gracco assoggetla i Cammani. - C. Sulpicio , Mania Ser

gio, ambasciadori in Grecia e in Asia (S IX). - Sulpicio

Gallo tratta Eumene con espressa (S X). - Antioco Epifiz

ne tenta ili spogliare il tempio di Diana in Elimaide. - .Muo

re in Tuba città della Persia (S XI). - Demetrio chieded’es

ser restituito in Siria. - Il senàto glielo niega. - Gneo Ot

tavio ambasaimlore in Asia, in Macedonia, epres’so Ariarate

(S XII). - M. Giugno ambasciadore. - Trocmi. - Gn. Ot

tavio rimbosciadore (S XIII).

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139’” ma

AVVENIMENTI DELL’ANNO DI nona 591.

Arinrate succede al padre. '- Rinnova l‘ amicizia co’ Ro

mani (S XIV). »- Nefiz finta. - Ripete da Lisia le ossa della

madre e della sorella (8 XV). - /Imbnscerìa de’ Rodii a

Roma (5 XVI). - Calinda s’ arrende a’ Rodii (S XVII).

AVVENIMENTI DELL’ANNO DI 110114 561.

Il regno (1’ Egitto diviso fin due fratelli. - Cannlejo c

Quinto,ambasciadori. -- Consigli astuti del senato. » T. Tor

quato e Gn. Merula , ambasciadori (S XVIII). °- Uccisione

di Gn. Ottavio. - Demetrio delibera con Polibio. - Non se

gue il consiglio di Polibio (S XIX). - Diodoro, «fa di De

metrio. - Menillo, ambasciadore di Tolemeo maggiore, aiuta

Demetrio (S XX). - Jpollonio. - Demetrio prepara la fu

ga. - Polibio ammalato. - Demetrio bevitore. - Àmmonizi0

ni di Polibio XXI). -À Demetrio s’in/Ìnge d’andar alla

caccia. - S’ imbarca in Ostia (S XXII). - Tardi si conosce

la sua fuga. - Il senato destina ambasciadori in Asia (S XXIII).

- Catone si lagnn del lusso de’ Romani (S XXIV). - Tole

meo Fiscone va in Cipro. - Torquato lo induce a licenziar

i soldati mercenarii. - Gn. Merula, nmbasciadore (S XXV).

- Tolemeo Filometore non vuol cedere Cipro. - Fiscone pres

so Api in Libia. - I Cirenei da.lui si ribellano. - Grande

Catabalmo. - Forte di quattro torri. - Tolemeo sconfitto da'

Cirenei (S XXVI). - Gli ambasciadori ritornano da Alessandria

iq/i‘uttuosamente. - Commano e Tolemeo fratelli (S XXVII).

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ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOPBIMO.

-<ac,

Cmca l’epoca degli avvenimenti che trattansi in questo libro

e generalmente in quella parte di tutta l’opera alla quale ora ci.

accostiamo, veggasi la nota 154 al lib. XXX.

(1) Guerreggiauano. Io non tenterei la scrittura volgata isra

Aipnmv, a malgrado dell’ ifsmì.i,mîmr che recano il end. del

1’ Orsini ed il Bav., e dell’osservazione dello Schweighaeuser che

'uuroAspsi'r np‘a; 71m e quanto bellum suscipere, gerere cum

aliquo, imprendcre, far guerra con alcuno. Nell‘ esempio ch’egli

adduce dal lib. xv, 6 manca il wp‘os innanzi all’accusativo éA

M'Mw, ed il vero significato di quel testo igsa'aàtpiirapslv uAA.

. e: ci siam ostinatamente fitta la guerra col divisamento di de

bellarci; la qual modificazione adeguatamente esprime la parti

cella ix premessa al Verbo. Qui pertanto la c0nsumazione della

guerra coll’ ultimo eccidio non era determinata nel principio di

quella, sibbene lo fu in progresso di tempo. Sfuggi allo Schweigh.

che imrsAlpti'r arp‘u 7nd, conforme qui il riscontriamo, 1’ ado

però il Nostro nel lib. xx, c. 4 per eccitare alla guerra; senso

ben diverso da quello ch’ egli nel presente luogo amerebbe d’at

tribuire a cotesta frase.

‘(a) Presa Banco colla jbrza. Cosi Volgarizzando mi è sem

brato d‘ avvicinarmi meglio al zu'iì np‘t7u iAs'h che non fecero

i traduttori latini con vi expugnassent;dappoichè espugnare con

tiene già in sè l’idea di jbrza, e rende il 'vi pleonastico. Che Po

libio possa aver scritto 'r’Anm nell’ottativo , siccome parve allo

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I 4 V’::‘1

Schweigh. per non rigettare al tutto la viziosa scrittura 'o’kiv del

cod. Bav., io nol credo, perciocchè farebbe una brutta sconcer

danza coll’infinito 7u'wln che precede.

(3) I Radii. Era stato imposto a costoro dal senato romano

di levare le guernigioni da Calmo e da Stratonicea , città della

Caria (xxx, 19) , la prima delle quali comperata aveano da’ ge

nerali di Tolemeo, l'altra avuta in dono da Seleuco ed Antioco

(xxxu, 7), e furon essi assoggettati a questa perdita in punizione

della temerità cb’ ebbero d' intromettersi nella quistione tra i Ro

mani e Perseo. Ma nulla giov\ò ad essi la ubbidienza in questo

particolare; che fu loro negata l’alleanza, cioè a dire "la comu

nità d’ amici e di nemici (lega offensiva e difensiva), chiesta già

per mezzo dell’ anteriore ambasciata; e dell’ amicizia stessa, che

il solo stato di pace tra due nazioni importava, non si fece molto.

(4) Agli ambasciadori da’ Galli d’Asia. Minacciavan costoro

d’ invader il regno d’ Eumene che i Romani avean umiliato esclu

dendolo dall’ Italia, perciocchè sapevano ch’ egli avea tenute se

grete pratiche con Perseo. Non amavano pertanto che que’ bar

bari si diffondessero nell’Asia, memori delle stragi che ue’secoli

addietro menate aveano, non solo nella Grecia, ma eziandio in

Italia ed in Roma stessa. Il perché concedettero loro bensì di

viver indipendenti, ma li confinarono entro il proprio territorio.

Confr. il cap. |7 del lib. xxx.

(5) Antioco. « Che la narrazione contenuta in questo articolo

e nel seguente fosse tolta da Polibio il dice apertamente Ateneo

nel lib. x, c. 10, p. 459, dove con poche parole ripete ciò ch’ egli

avea più diffusamente esposto nel lib. v, c. I, p. Ig4. » Schweigh.

(6) Escguiti in Macedonia da Emilio l’aula. Sono questi som

mariamente descritti da T. Livio (nv , 32 ), le cui parole non

sarà grave al lettore se io qui volgarizzate riferisco, potendosi

da esse giudicare il grado di magnificenza che vi spiccò, in con

fronto di quella con cui Antioco produsse i suoi giuochi. u Pas

sando dalle cose serie fece egli in Anfipoli con grande apparec

chio i giuochi che avea molto prima preparati, mandando nelle

POLIBIO, T011- VIII. Il

s

4

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142

repubbliche dell’Asia ed a’ re persone che li annunciassero , e

girando egli medesimo per gli stati della Grecia, con farne parte

agli uomini di maggior conto. Imperciocchè vi concorse ogni ge

nere d’ artisti, ch’ esercitavano l’ arte de' pubblici ginochi in co

pia da tutto l’ orbe della terra , e di atleti, e di nobili cavalli,

ed ambuscerie con vittime, ed ogni altra cosa che suolsi fare in

Grecia ne’ grandi giuochi per cagione degl’lddii e degli uomini.

Cosi avvenne che si ammirasse non solo la magnificenza, ma la

prudenza ancora nel dare gli spettacoli, pe’ quali'i Romani al

lora erano rozzi. Furono pure allestiti i banchetti alle ambasciate

colla medesima opulenza e cura. » Dalla qual descrizione scor

gesi che alla festa 11’ Emilio non mancò già la dovuta magnifi

cenza, sibbene la necessaria moderazione a quella d’Antioco, dove

tutto era strabocchevole sfarzo e lusso insultante. l giuocbi buf

fon esc'ni ed indecenti che Anicio celebrò a Roma nel circo, poi

ch’ ebbe trionfato di Genzio e degl’ lilirii, sono rammentati nel

lib. xxx , c. 15 , tratti egualmente da Ateneo. Mettendoli a pa

rallelo con quelli d‘ Emilio e d’ Antioco diremo che i primi con

vengonsi ad una nazione non ancor bene uscita dalla barbarie,

quale appunto a que’ tempi, siccome Livio stesso osserva nel luogo

qui sopra citato, erano i Romani; i secondi accomodati sono al

gusto d’ un popolo che ha tocco l’ apice della civiltà; gli ultimi

5’ all'anno alla mollezza ed alla raffinata lascivia d' un secolo che

ne’ suoi piaceri ha già varcati ilimiti della sobrietà, e tali erano

allora i Greci, segnatamente quelli dell’ Asia.

(7) In magnificenza e generosità. La lezione volgata f“?!

Au,yig 6npléî non può al certo stare , perché priva di senso,

ed io ho adottata la correzione dell’ Orsini nei 7? 6a,sgî. in

fatti due erano le parti di quelle feste, la magni/icrnza delle 0

pere, fel74àelf7fl, e la splendidezza de' doni , ed in amendue

superò Antioco il duce romano; chè maggiore di gran lunga era

stata la spesa del re di Siria nelle armature, ne’ vasellami, nelle

vetture, ne’ simulacri ed in tutte le altre cose che formavano la

pompa, e la generosità sua più grandemente spiccava nella pro

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)

x43“’

fusione degli olii odorosi e nell’ adoperarsi peìsonalmente in su.

vigio de‘ banchettnnti. La emendazione psyaAaò'upluc (grandezza

de’ doni), Casnub. nelle note ad Ateneo (lib. v, c. 5., p. 116), e

quella proposta dal Beiske pi7:hoap7fu 7;: 60plllf (magnifi

cenza della donazione), sono affatto da rigettarsi. Peggio fece lo

Schweigh. omettendo al tutto siccome oziosa la parola 60ftg'î.

(8) Legali sacri. Circa la voce 9|ufliî che ho così voltata

Veggasi la nota |5Q al lib. xxvm.

(9) Presso Dafne. Mediocre borgo era questo luogo distante

soli quaranta stadii da Antiochia, capitale della Siria. Vi appar

teneva nn bosco grande e denso, irrigato da acque sorgenti, con

in mezzo un tempio sacro ad Apollo e Diana, ed un asilo. Colà

gli Antiochei e gli abitanti de’ paesi vicini avean per costume di

ragunarsi a celebrar feste (Strab., xvr, p. 750). - Osserva lo

Schweigh. che 'ur‘: Anîqu: significa ad anhnen, presso Dafne.

Ed infatti essendo il bosco di una estensione ragguardevole , lo

che non era il borgo, dovea quello trovarsi fuori di questo.

(no) Cavalli Niscì. Vero è, conforme osserva il Reiske, che

celebri eranoi cavalli Nisei, e non altrimenti i cavalieri di quella

nazione; ma qui volle significar il Nostro che costoro’erano uo

mini montati sopra cavalli Nisei , i quali, a detta di Strabone

(xx, p. 525-50), nascevano nella Media e uell’Armenia, e vi si tro

vavano in tanta copia , che ciaschedun anno se ne mandavano

ventimila al re di Persia. Nel testo del Dalechamp leggesi imri'u'

UN'IÎOI, cavalieri Pisani, lezione che il Casaub. disapprova ne’

commentarj, sostituendovi Nysaei. Non è pertanto affatto impro

babile che costoro fossero di quelli che corso avean a gara ne'

giuochi olimpici che celebravansi ogni quattro anni in Pisa città

dell’ Elide nel Peloponneso, ovveramente secondo alcuni in Olim

pia, città del distretto di Pisa nell’ Elide (V. Strab., vm, p. 555).

(I I) I cavalieri così detti compagni. Vedi la nota 147 al lib. v,

e la nota 115 al lib. XVI.

(12) I cavalli e gli uomini. Aveano questi la testa ed il petto

coperti e quasi muniti (innln, xn'lnstiu7u) di ferro. Siffatta

\

' .. lwf._«--.,.. , ...7 . . < .

,

?‘

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144

armatura usavano singolarmente i cavalieri Parti, non per assal

tar il nemico, ma per combattere fuggendo con tutta sicurezza.

Se ne riscontra in Suida la esatta descrizione con queste parole:

L’ usbergo del cavaliere Parto è tale. La parte anteriore na

sconde il petto, le cosce, la estremità delle mani e le gambe,

la posteriore la schiena , il collo e la testa tutta. V’ ha delle

fibbie colle quali allacclano amendue le parti, e così fanno

comparir di ferro tutto il cavaliere. Né impedisce punto il

ferro il distendimento e la contrazione delle membra ; tanto

è accuratamente fatto secondo la natura delle membra. Arman

essi il cavallo ancora tutto diferro sino alle unghie. La pie

ghevolezza pertanto di quella copertura dipendeva dall’esser com

posta di lamine congegnate insieme a. guisa di squamme (V. Lips.,

De militia romana, p. 85).

(15) Quattrocento. Tengo col Reiske che sospetto doversi qui

leggere 7|7fmu'wa in luogo di 7iwapéxn'ia, non essendo pro

babile che in quella pompa v’ avesse quattro volte più carrozze

a sei cavalli che non a quattro.

(14) Pescia un carro. Male voltò il Dalechamp questo: Cur’

rus unus, bigaque una,elephantis copulalis. Il testo ha ‘mupév

7ay lippa sai o'urupis. Secondo il Moscopiq citato nelle note ad

Esichio, cdiz. dell’Alberti, equivale lippa. nel singolare a 729;:'2m1,

carro da quattro cavalli, e «negli, a detta dello stesso Esichio

e di Suida, è quanto x”... in 360 'imrm, vvfogw'a, carro da

due cavalli, 0 coppia aggiogata; sicchè la traduzione verbale

suonerebbe: una quadriga ed una biga d’ elefanti , siccome la

intesero il Beislse e lo Schweigb.

(15) Mense sacre. La scrittura volgata è Sinp/at, Iegazioni

sacre, e crede il Beiske che fossero queste mandate da trecento

città per onorare que' giuochi colla loro presenza; ma dal l. xxvm,

16 e dalla nota 132 allo stesso libro scorgesi che le ambascerie

sacre spedivansi a’ re ed alle repubbliche per invitarli agli spet

tacoli, nè abbiamo notizia alcuna che gl’invitati vi corrispondcs

sero con legazioni , sibbene è da supporsi ch’ essi medesimi in

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I45?;Î

folla vi concorressero. Egli è perciò che ho preferito il Saule

del Casaub., difeso dallo Spanemio nell’ inno di Callimaco a

Diana, v. 134; voce che secondo Esichio significa le mense in

cui custodivansi i sacri suffumigj,e che nello stesso senso riscon

trasi presso Giul. Polluce, Diogene Laerzio, e Tzetze. Per tal modo

svanirebbe pure la indecer_na di collocare siffatte onorevoli am

basciate tra i bovi grassi ed i denti d’ elefante: indecenza già no

tata dallo Schweigh. , il quale tuttavia conservi: la lezione dei

lkfi. I

(i6) Da coache. Il testo ha lx. Z7uel'dv, che secondo Esicbio

sono grandi cappe , recipienti da bagno. E ragion vuole che

ampli fossero cotesti vasi, onde contenessero la quantità 11’ olio

necessaria per ungere numero cosi grande di comitati. La qual

cosa indica, se non m’ inganno, il nome greco, la cui etimolo

gia è iiAxas, peso, jbrza. Ho preferito la denominazione conca

a quella di qualsivoglia altro vaso, attenendomi al S II di questa

voce nel Vocabolario: Ogni vaso grande di larga boom ed a

pertura. - Anche i Romani pare che serbassero i loro unguenti

in vasi cosi appellati: Funde capacibus unguenta de concbis

leggesi in Orazio (I. n, Od. 7, v. 22), dove notisi il capacibu:

relativo alla grandezza del vaso. - La definizione che ne dà Pol

luce (x, |76), iyyti'n òyp3| 72 nel 2:;fiv, vaso di cose umide

e secche, non ne accenna la forma, nè l’ ampiezza.

(17) Di majorana. ’Afupinnu, Amaracinum.ll Mattioli in

Diosco'ride, lib. m, e. 40, ha provato che l’ amaracus de’ Greci

e de’ Latini è l'erba odorosa conosciuta tra noi pergil nome di

majorana, ed in Toscana chiamata anco_ra Persa. Sampsuchum

l’appella Dioscoride. e distingue tuttavia l’ unguento sampsuchino

dall’ amaracino ; ma con ragione avverte il Mattioli, lib. i, c. 5,7,

come dalla composizione diversa che d’ amendue questi 01] de

scrive 1’ autore greco apparisce essere stato l’amaracino più per

fetto. Quindi io suppongo che nella presente occasione sia stato

questo all’altro preferito. - Secondo Plinio (xxx , a) sono sam

psuchum ed amaracum la stessa erba.

, , .__'__| v

i ’---.1m-- -:.a.. W.‘ÙÙ‘»w - -

413

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146 .

(18) E d’irin'e. Nel lib. v del testo Casauboniano d‘ Ateneo

e l’ ultimo olio irpulzl, cavato dalla radice d’ iride, cui nel lib. x

è sostituito zpnu‘n, di giglio, da x;iuv, nome greco di questo

fiore. Lo Scbvveigb. ponendo nel suo testo i;u‘n senza | in prin

cipio, il traduce liliaceum, con manifesto errore. Dioscoride (Ma

tbiol., lib. I, c. 43 e seg.), che insregna la preparazione di parec

cbi oli odorosi i più squisiti, arreca bensì quello d’ iride, ma non

altrimenti quello di giglio, il cui fiore è ben lungi dallo spirare

l’ olezzo che manda la radice d’ iride. Plinio (xm, x ) molto si

estende sulla descrizione di cotesti unguenti , e ne riferisce un

novero ben maggiore di quello che trovasi in Dioscoride.

(ig) Collocava alle mense. Con una parola, ivinàul, espri

me Polibio questo senso.l latini che non hanno 1’ equivalente di

ènuAi'mv non possono deserivere quest' atto se non se con una

circoscrizione. Quindi leggesi ne' traduttori: lom in Ieclulis ad

signat. lo ho sostituito mense a' letti per non rendermi oscuro.

(20) Si buttava. Così mi è sembrato di dover voltare il l'e

nuîarm'h che in latino si è renduto per adcumbebat. Quando,

volle dir il Nostro, Antioco sedeva semplicemente a mensa (con

forme a’ di nostri 5’ usa), quando si sdrajava su’ letticciuoli, ma

il facce con impeto , vi si lasciava cadere sopra , lo che non

esprime abbastanza l'adcumbebat.

(21) Con chi cantava o recitava. Si cantano versi e si reci

tano prose, ed amendue sono comprese nella voce ixpé;ula

che qui riscontrasi. Vero è che presso il Nostro questa prendesi

sempre nel senso di canto, ed una volta eziandio le diede egli

il significato di cantore (xw,’u) ; tuttavia non è improbabile che

qui valga tutte e due le maniere d’ esporre composizioni, non

essendovi aggiunta la particolarità del canto. In Senofonte(Sym

pos., n, a) è certo che lo stesso vocabolo valga 1’ una e l’altra

cosa. Gui,m7a, sono sue parole, mi fl’lpenipziil. i’;6wn, cose

piacevolissime a vedersi e ad udirsi.

(un) Efacava (e maschere co’buffoni. Kal òflupiu7a fu7ic

751 MAu7uuiv , verbalmente: e s’ infingeva con coloro che

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'47 2‘?!

fanno ridere; dove l’ infingersi è quanto rappresentar una per

sona diversa dalla propria, lo che gli antichi strioni eseguivano

principalmente travisandosi con maschere.

(‘13) Allorquando tradi il re Filometore. Era Antioco en

trato col suo esercito in Egitto, apparentemente per difendere i

diritti di questo re giovinetto contro le pretensioni del fratello,

ma in sostanza per impadronirsi del suo reame (V. Polib. xxvu,

17; xxvm, i, e Livio xuv, tg; x1.v, u, m).

('24) Colle spoglie . . . de’ templi. Lo spogliamento del tem

pio di Gerusalemme, ricco di preziosissimi arredi e di tesori è

distesamente narrato da Giuseppe Flavio (De bell. Judnic. mi, 7).

Teutò egli pure di rapir le dovizie che racchiudeva il tempio di

Diana in Elimaide , ma ne fu dagli abitanti rispinto; sul qual

avvenimento ritorneremo al capitolo ti di questo libro, dove il

Nostro lo racconta. Osserva opportunamente il Visconti (Icono

graf. grec., tam. il, ping. (ti) , come questo re e cercavo di ri

parar agli enormi dispendj ch’ei faceva per sostenere il culto dei

Greci collo spogliamento e la distruzione de’ templi dedicati agli

Dei stranieri. a

(25) [giuochi poc’anzi celebmli. Se. come sostiene lo SchWeigh.

contro il Reiske, questi giuochi furono i medesimi che riferisce

Ateneo tratti dal libro xxx: di Polibio, potrebbe la presente am

basceria stare in continuazione del racconto antecedente. Ma in

tal caso basterebbe che fosse nel testo 7067.1 73| a'uyo'un , di

questi giuochi , ovveramente omettendo 7.67»: seguirebbe ade

guatamente a'tp7‘i 347011701, senza frapporvi lo stesso pronome,

conforme lo si legge nel testo, che io credo viziato. Ma: a con

fectis istis ludis tradussero il Casaub. e lo. Schweigh. troppo

brevemente. Stando letteralmente al greco, avrei potuto scrivere:

Dopo il compimento de’ giuochi, essendo questi stati poc’ anzi

celebrati; ma siffatta aggiunta è al certo strana e superflua. -

Del resto ove dubbio alcuno rimanesse di qua’ giuochi si tratti,

il toglierebbe, dice lo Schweigh., la serie ed il seguitamento degli

estratti de’ Vizi e delle virtù levati da Diod. Sic., t. u, ed. Ves

seling., p. 585.

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148 .

(26) Tiberio Sempronio Gracco. Lo stesso che l’anno di R.

59| fu la seconda volta console con Juvcnzio Talna , padre

de’ fratelli Gracchi ch’ ebbero la conosciuta misera fine. Molte

cose operò egli in quell’ ambasceria; perciocchè procacciò a’ Ro

dii l’alleanza co' Romani, ridusse i Cummani all’ubbidenza, rin

novò l’ amicizia con Ariarate re della Cappadocia. Ma Antioco

ed Eumene seppero deluderlo usandogli eccessive cortesie (V. in

questo stesso libro i cc. 6, 7, 9 e 14).

('17) Altana impresa contro di lui mulinasse. ll Casaubono

seguito dallo Schweigb. voltò 7; apuypu7u.h maliri emn res

nova: (ch' ein mulinasse novità); ma ciò non m’appaga. 11,47

p;7miuf innip trovasi sovente presso il Nostro per uomo versato

ne’pubblici affari, atto a grandi imprese politiche e militari,

e qui ancora mi è sembrato ch’ entrar dovesse l’idea di qualche

astuto concepimento diretto contro Tiberio, laddove la traduzione

latina accenna a qualche novità che avesse in mira i 'Romani :

cosa che non è espressa nel testo.

(28) Pelle cose accadute in Alessandria. Vedi la ultima nota

al lib. xxvm.

(ag) Nell’ animo. Ti? apampiru, cioè a dire quanto alla pro

pensione, al sentimento (V. il Dizionario della Crusca al S 4 di

questa voce. f

(50) Ma al contrario. Nel Casaub. leggasi soltanto 7wmv'lin;

il resto vi aggiunse lo Schweigh., togliendolo da Diod. Sic. (I. c.,

alla nota '25): parole che si possono-soltintendere, senza che per

compiere il senso v’ abbia necessità di apporle. Tuttavia non volli

ometterle,perciocchè danno al periodo un non so che di roton

dità e di perfezione.

(5|) Gli ambasciadori di Prusia. Nell’cpitome del lib. xuv

di T. Livio indicata e questa ambascerla colle seguenti parole:

(t Gli ambasciadori del re Prusia lagnaronsi di Eumene. che gua

stava i suoi confini,e dissero ch' egli avea cospirato con Antioco

contro il popolo romano.» Ma secondo il Nostro, conforme lo

sto vedremo , la società di questo re con Antioco non era stata

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-=.-H-w’-. ' -'

?

’ ' 14‘9"V3‘

denunziata dagli ambasciadori di Prnsia, sibbene da quelli-delle

repubbliche dell’ Asia.

(52) Castel/a. l traduttori latini hanno semplicemente loca;

ma io credo che zapl’a. stia qui in vece di onlipca, siccome il

troviam altrove presso Polibio (lv, 6| , 75). Ed infatti dall’ epi

tome succitata di Livio scorgiamo,ch’ Eumene avea recate danni

a’ confini del regno di Prusia, dove pell’ appunto ergonsi le for

tezze a difesa dell’ ingresso nel paese.

(35) E non si asteneqa punto cc. Vale a dire ch’ Eumene

senza riguardo s’ immischiava negli affari de’ Galazj, contrastando

loro la libertà che il senato aveva ad essi accordata, siccome vei

dremo qui appresso. Confrontisi ancora su questo particolare il

c. 17 del lib. xxx. _

(54) Della pratica che teneva. Kouowpayx'a. non è propria

mente società, siccome fu latinamente voltata; che società sup

pone un incominciamento d’ operazioni, le quali non erano per

anche state eseguite, sibbene v’ avea trattati di società tra amen-.

due i re, e ciò significa il vocabolo greco cui ho voluto avvici

narmi.

(35) Tiberio pertanto. Tutto questo periodo era stato dal Ca

saub. inserito nell’ambasceria susseguente (125), donde lo Scbweigh.

con ragione staccollo per metterlo qui; dappoichè è ben naturale

che il senato, dopo aver sentite le accuse de’ Greci contro Eu

mene ed Antioco, interrogasse gli ambasciadori da se mandati in

Asia per esaminare i procedimenti di quel re.

(56) Aveanla . . . svolto. Il Casaub. che avea sotto gli occhi

il cod. Bav., conforme accennammo nella seconda prefazione a

questo lavoro (t, i, p. 22-23), rifiutò la scrittura l2fléuv'la da

quello recata, ed accettò l’altra migliore di iàllifen7o suggerita

a lui probabilmente dal Cod. Urbinate. È pertanto lx7ipun,

tagliar fuori, escludere, ed in questo senso converrebbe spiegar

il testo cosi : Colla loro amichevol accoglienza esclusero gli am«

basciazlari da ogn’ indagine su’ loro a_/fari e sulle loro inten

zioni. Il qual senso lo stesso Casaub. immaginossi d’ esprimere

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1 50

colle parole, eum sibi adjunrernnt (a se lo aggiunsero); lo che

certamente, quanto al fatto, se non quanto all’ animo, esser dovea

la conseguenza dell’ averli esclusi dall’ eseguir il loro divisamento.

All’ Ernesti piacque la lezione del Casaub., ma tradusse decepe

runi (ingannarono), ch’ è conseguenza dell’ escludere, ma più di

retta. - Secondo il Reiske il valore di ìz7ipnu sarebbe qui stac

care con bene_/icii alcuno dal partito con cui prima era con

giunto; ma in tal caso avrebbono gli ambasciadori tradita la causa

della patria , la qual cosa non è da supporsi. Senza che questo

verbo non trovasi in siffatto senso in nessun altro luogo ne presso

il Nostro, ne presso qualsivoglia altro autore. - Fefellerunt ha lo

Schweigh. nello stesso significato che gli attribuisce l’Ernesti ,

ma nelle note appiè di pagina propone iEi'lpwa da is7pifln

svolgere, che mi è sembrata la lezione più vera.

(57) Poseia chiamò il senato cc. Questo è uno da' molti luo

ghi ne’ quali il Casaub. s’ approfittò della correzione fatta dall’ Or

sini , ch‘ egli non nominò tampoco nella prefazione tra gli edi

tori ch’ egli avea consultati. "pernahwaipciro: avean i MS., ed il

8 mmentatore italiano ne fece nponanópm riferendolo a n57

x7u;'ln, senato, che a maggior chiarezza io ho creduto di ripetere.

(38) Si diportb. Qui pure si attenne il Casaub. alla emenda

zione dell’ Orsini che 1’ in; dc’ libri cangiò in i'm. Il Reiske di

fese la scrittura volgata, ma diede a nînu (stare) il senso di es

ser ascoltato con applauso, opposto a quello di aria-7|” (cadere),

non esser applaudito. lo ho ricevuto il significato in cui il prese

lo Scbweigb., che ho pur altrove accolto (xvn, 5; xvul, 16).

(39) Quelli che vengonojlagellati. Le molte sciagure e danni

che aveano sofferti i Bodii , e che l’ oratore annovera nel suo

discorso , li fanno adeguatamente paragonare a rei flagellati, i

quali in mezzo alle battiture che ricevono chieggon perdono, af

finchè loro sieno rimesse quelle che ancor hanno a toccare. Per

tal guis parnyo'puu non equivale a tali che sono per essere

flagellati, siccome Vorrebbe il Rciske, e bene tradusse lo Scbweigh.

qui flagellantur.

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4‘?

"SfiîWnfiwwww: -

1-5: i-îg -

(40) Tre guerre. I Licii eransi due volte da’ Rodii liberati,

siccome osservasi dal lib. xxvr, e. 8, nella ferma opinione che i

Romani li avessero aggiudicati a’ Rodii, non come sudditi, ma come

alleati. Nè queste,guerre sono quelle in cuii Rodii alleati dei

Romani combatterono con Filippo, Antioco e Perseo,secondochè

Opina il Reiske, riferendo 511707: a’ Romani anziché a’ Rodii.

(41) Per dimostrargli. Il testo è qui indubitatamente corrotto.

Manca il Verbo che regger deve i sostantivi pi7i: xépi7u stai

ivnier, e ragionevolmente vi suppli il Reiske con ip9uvlfu7n.

Bene osserva lo Schweigb. non esservi senso nelle parole xzi

xept’fu'ltf iw7is che nel testo seguono l’ asterisco, e vi sostituì

mi ‘étpaipu’ipuu da'/ii. (e togliendole). Io ho adottate amendue

le correzioni. Il Casaub. sembra che co’ punti apposti indicar vo

lesse uua maggior lacuna che non supposero gli editori a lui suc

ceduti, sebbene la sua traduzione eguale a quella dello Schweigb.

nol manifesti. Circa l’affare vedi xxu, 7; xxm, 3; e xxx, 4, 5.

(4a) Comperala- Secondo i traduttori sarebbe radiatore (ri

cuperare), il valore del verbo ifzy«pifuv che qui usa Polibio;

lo che farebbe supporre che iRodii avessero un’ altra volta pos

seduta Catino, e poscia perduta; ma questa è opinione gratuita,

ed il Nostro adoperò già altrove (Il! , 42) lo stesso verbo per

comperare. - l Rodii aveano per ordine del senato ritirate le guar

nigioni da quelle città (xxx, 19).

(43) Da Antioco e da Seleuco. « Sono questi Antioco Ma

gno e Seleuco figlio di lui, padre di Demetrio. » Reis/re. Il me

rito più antico che i Rodii eransi acquistato verso Antioco con

sisteva nell’ avere prestata l’ opera loro per via (1’ ambasciate, af

finchè si differisse la guerra tra lui e Tolemeo Filopatore (v, 65),

donde nacque occasione ad Antioco di ritornar in campagna con

accresciute forze (v, 68, 7|). In appresso adoperaronsi efficace

mente nella pace che i Romani accordarono ad Antioco M. scon

fitto da questi per mare e per terra (xxx, 14; xxn, 5, 7). Seleuco

era già, vivente il padre, associato agli affari del governo e della

guerra (xvm, 54; XXI, 4, 6, 8).

"I'a- . .;b_f-u_rn- - -..

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152

v (44) Delo. Era questa isola, a detta di Strabone (mv, p. 668),

un grande e ricco emporio che avea fatto nascer il proverbio:

Mercatante, approda (a Delo), esponi le tue merci, e tutto ven

derai. Quindi è ben da credersi che i Rodii , imponendo dazii

sulle mercatanzie che vi arrivavano, fossersi procacciati una piu

gue rendita. Dovettero essi (xxx, I8), cosi avendo loro coman

dato i Romani, restituirla agli Ateniesi insieme coll’ isola di Lenno.

- La preponderanza delle loro forze navali aveali resi padroni di

non poche‘utili stazioni di mare; ma in qual occasione avessero

acquistato Delo io nol trovo.- Del resto bassi a credere che da

Canna ancora, città di grande traffico, non meno che dalle altre

città marittime della Caria e della Licia, e dall’ isola di Lenno

traessero i Rodii ragguardevoli entrate, tassandovi la introduzione

e la estrazione delle merci; dappoich‘o per la cessione di questi

paesi essi percepivano appena la settima parte del dazio de’ porti

che in addietro incassavano. - Non poteano i Romani trovar

mezzo più sicuro di abbassare quella potente nazione, ond’ erano

stati offesi, che fiaccando il nerbo delle sue finanze.

(45) Trovavasi un milione di dramme. Tali yin; iàìup.r

n'ev . . . iupinsv'las, verbalmente: Imperciocchè il provento dei

porti . . . trovando, valendo ecc. Dove osserva il Beiske, che

le rendite de’ porti vendeansi ciascbedun anno (cioè affittavansi

per una certa somma), e che il prezzo dell’ affitto chiamavasi

73 iupmùr. Io ho creduto di conservar il senso primitivo del

verbo greco, che non disdice alla nostra favella, per esprimere

ciò che Polibio o l’ oratore rpdio qui volle significare. ‘

(46) Ha fèriti i luoghi più vitali. M... . . .;os. 75. xv

pian io'vran, che alla lettera suonerebbe: Ha gravemente toccati

i luoghi principali. Gl’ interpreti latini ne han fatto: In patis

sima [oca maxime incubuit. lo stimai d’esprimere la stessa cosa,

anzi di renderla\più evidente e più adattata allo spirito della fa»

vella italiana cangiando in ferita il grave toccamento, ed i luo

ghi principali in vitali. Avrei anche potuto scrivere, senz’allon

tanarmi dal senso dell’ originale: Ha pesato su’ luoghi, sulle parti

più sensibili.

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l‘E‘ÎÉÎ-î-rî'taài-i: i)“ÎÎ’“ .’-", '...

I53/19:

(47) E ciò. Queste parole corrispondenti a nel 7457i1. non

andavan omesse, siccome lo furono nella traduzione latina , de

rivandone al discorso maggior energia. Sibbene non accadeva che

vi si aggiugnesse (benignitate et magnanimitate) caeteros populos

Ionge antecellitis: pensiero che nel testo non trovasi espresso.

(48) 0 Romani.’0 ia’udpsf, o uomini, leggesi nel Nostro, cui

l’ Orsini aggiunse 'Pa,uìzu (Romani). Ed infatti quell’iivdp; così

schietto suona male. Demostene aringando gli Ateniesi diceva

sempre: ; iirdplr "A9qnîaoc.

(49) La libertà, la eguaglianza. Dal lamentarsi che facean

iRodii di questa perdita apparisce che iRomani spogliati li eb

bero non solo di molte terre e della maggior parte delle loro

entrate, ma che di ciò non contenti volean abolire il loro go

verno, siccome avean fatto di quello di Perseo e di Genzio, con

siderandoli avvolti nella stessa congiura contro di loro.

(50) E gli accordiate pace. Questo e, per quanto a me pare,

il senso del verbo qui usato da Polibio. Amàóra-9m'i‘u miAlptu

significa sciogliere la guerra, fare la pace, pacharsi , e 644

Aiuto‘94: solo ancora vale lo stesso. Redire in gratiam cum ali

quo, (ritornar in grazia con alcuno, concedergli il perdono) di

cesi di due potenze, 1’ una delle quali è di gran lunga superiore

all’altra ch’ essa tratta come nemica, e che può di leggieri sog

giogare senza che gli sia opposta efficace resistenza, conform’era

il caso de’ Romani e de’ Rodii. Ma che 3mì.ów.9nu renda questo

senso è semplice opinione de’ grammatîci e lessicografi. Iuyy'î.

fu" i’xln, 8;35m; è propriamente accordar grazia. Il Nostro

si vale spesso di questa frase, e qui pure l’avremmo riscontrata.

(5|) Ha ora bisogno. Nel lib. xxx, 5 abbiam veduto che i

Rodii in addietro non vollero stipular alleanza co' Romani, co

mechè per cenquarant’ anni avessero seco loro associate le pro

prie armi, e ciò facevano , siccom’ è detto colà , per non_levar

a nessun polentato e signore la speranza de’ loro ajuli e della

loro società. Ma allora il fatto era ben diverso. 1 sospetti nati

presso iBomani contro di loro nella guerra di Perseo li aveano

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154

ridotti alla necessità di stringersi a quelli con vincoli vie più saldi,

ond’ essere da essi protetti e salvare la loro repubblica; che ora

mai que’ sovrani dell’orhe non aveano mestieri delle loro arme

e de’ loro soldati.

(52) Tiberio Gmceo. Confronta i cc. 5 e 6 di questo libro.

(55) Conformi alle risposte. V. al principio del cap. ‘10 lib. xxx

la nota l55. Le risposte amano le ambasmrie di prima avute

dal senato, e le incombenze procedevano dain Acltei.

(54) E queste erano ecc. Fatto sta che costoro condannati

aveva e citati a Roma sotto specie di aver tenuto con Perseo ,

il traditore Callicrate ed i suoi partigiani, non già la nazione de

gli Achei. Il senato pertanto, conforme osserva lo Schweigh., in

fingevasi di creder essere stata quella condanna eseguita per de

creto pubblico degli Achei. Il Beiske ha stravolto il senso di

questo periodo, attribuendo a’ Romani ciò che convenivasi agli

Achei, e viceversa.

(55) Quegli uomini, ch’ erano stati mandati a Roma come se

fossero stati giudicati nelle dovute forme e trovati colpevoli.

(56) Di punire condegnamente ecc. Difficile a rendersi in

volgare mi è sembrato l’ avverbio pinmny'pu; ch’ è quanto, nel

modo che si odiano gli scellerati; ma lmttar i rei, zpifur91s

7.7: i;7iur, in siffatto modo, è cosa che non abbastanza si com

prende. I traduttori latini omisero il arup’wu'lm,e voltarono o,

a dir meglio, parafrasarono questo luogo cosi: Qui odium suum

erga improbos in scelerum auctoribus sin! palamfacturi (i quali

negli autori delle scelleratezze sono per fare palese il lor odio

contro gl’ improbi). Io ho creduto d’ esprimere pwairuu'pu: con

maggiore proprietà traducendolo eondegnamente.

(57) Da qualsivoglia parte sarebbonsi esposti a biasimo.

Ciò parmi che significbino le parole: Ari: 7B a-m'laxe’9si lit

Àîjtxio's’lt, non quidquid statuenent, prodebantur eorum animi,

siccome ha il Casaub., o eonsilia, secondochè scrisse lo Scbweigh.,

il quale pertanto nelle note corresse la propria traduzione sosti

tuendovi: Quidqgid stalucrent, in reprehensionem erantincur

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155 fs<,"îf

turi. Io bo creduto che ciò non basti, ma che fosse d’uopo an«

cura di approssimarmi meglio al testo, rendendo iran'lazo'9n nel

modo che il feci.

(58) Sarebbe stata manifesta mina. Temeva il senato non

questo atto d’ ingiustizia provocasse l’ ira della moltitudine contro

Callicrate e quelli della sua Setta, e li facesse capitar male.

(59) Ad occhi chiusi. Stando alla lettura del Casaub. , «op.

plfim'lts, ne risulterebbe assurdo senso; cbè temevau i Romani,

non gli Achei, cioè il loro volgo, abbaccamlosi ubbidissero. Tut

tavia tradusse lo stesso e lo Scbweigh. il copiò,labia compone

rent (frenassero le labbra), che starebbe bene se eu,upuiuv7fl,

supposta dal Casaub. la vera scrittura, ciò significasse; ma il va

lore di questo verbo è stringere gli occhi, e non altrimenti le

labbra, come fa chi veder non vuole un oggetto donde gli deriva

dolore, e ciò era pell’ appunto il caso degli Achei, che a malin

cuore recarsi doveano ad accettare la cruda sentenza del senato,

che vietava il ritorno in patria a tanti uomini benemeriti e cari

a’ loro concittadini. Qui sogna il Beiske non so qual capo aperto

con occhi e labbri chiusi, che osservansi in coloro i quali, af

finché non commuowznsi troppo in veggendo l’ acerbilà delfatto

a cui contro la loro volontà si prestano, ammiccana cain oc

chi e le labbra si mordano , onde non se ne sprigioni la più

piccola voce, e nessun grido che indichi il loro dolore!!!

(60) Non credinm utile ecc. Cosi operando, usciva il senato

d'ogni imbarazzo, per lo che riteneva gl’ individui al suo partito

pericolosi e schivava la taccia d’ ingiusto, ponendosi in grado di

gindicarli, e ad untempo li allontanava dalla patria, dove poteau

ammutinnr i p0poli e compromettere la salvezza degli amici dei

Romani. - Nel testo del Casaub. leggesi così la ri5posta del se

fl3t01"0u tipi! fiz ivwaàu,ufiainplr n;z@ipuv, 'Év'lt 754: up:

7ipu; 3u'pur z. 7. A. (che nè a voi nè a’ vostri p0poli crediam

esser utile), con manifesta assurdità, non eSsendo voi ed i vostri

popoli cose diverse. La vera lezione è cavata dal cod. dell’ Or

sini che reca fip’îv (a noi) in luogo di òyi'v (a voi).

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156

(61) Come da disperazione assalili. Il verbo i:ridpapu , da

ima'lpizin, qui usato da Polibio, riscontrasi ancora nel lib. 1x,

c. 10. Leggesi colà: "Ape lai 7n' i>.su u'w73: inn7pixei 73.

22 tiszf iraBaìtiv7uv,cbe noi volgarizzammo: Ed insieme lo

assale pietà di coloro che l’ han dapprincipio perduta (la roba),

dove ho voltato iiu7îv come se fosse scritto n’w7‘n. Ed in fatti

1’ accusativo 7‘wf à’:9pu’nw cb’ è qui retto da inid,cpu mi con

ferma nella mia opinione, ed il sospetto esternato dallo Soltweigh.

nelle note appiè di pagina, che nel passo del lib. I: testi: citato

Èv7€ sia miglior lezione, quasichè quel verbo reggesse il dativo,

è al tutto irragionevole.

(62) I Commani. La più probabil opinione circa questo fatto

è, secondo lo Schweigh., che una delle dieci prefetture della Cap

padocia, cosl denominata da Strabone , Tolemeo e Plinio, fosse

tolta da Tiberio (Semprooîo Gracco) nella sua ambasciata in A

sia a' Galati che ne aveano spogliati i Cappadoci, parte, per quanto

a me sembra, colle armi di questi, parte con qualche stratagemma,

che il legato romano avrà concertato co' medesimi abitanti di

quella prefettura.

(65) I Selgei. Non comprendo come l’ Orsini abbia potuto

prender l’ abbaglio di qualificare scritto male il 20.717; del suo

cod. , e di pretendere che VEA7u’ fosse il nome della città i cui

abitanti sono qui rammentati; mentrecbè da Stefano bizantino si

scorge che il gentilizio di qucsta piccola città della Licia suona

"Ehyur ed’Eìtyai'af, e non terminafaltrimenti in ‘tus, desinenza colla

quale secondo lo stesso geografo denotasi l’ abitante di 2É7t7n ,

grande e popolosa città della Pisidia, di cui altrove ancora parla

Polibio (v, 72, nota oro). Questo brano pertanto sta molto male

appiccato all’ambasceria che segue, per colpa verisimilmente del

l' iuetto compilatore.

(64) Respinsero le colpe. V. la nota 68 al lib. x, c. 14, dove

collo stesso verbo tradussi l’ ano7s7p/ppun; da Èsro7pt'fisu, che

colà pure riscontrasi. Qui il troviam voltato dal Casaub. e dallo

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"dl

Scl:\Vcigh. crimiua diluernnl, con frase a dir vero elegantemente

latina, ma meno esprimcnle la forza del greco, al quale ci siamo

studiati di maggiormente avvicinarci.

(65) I sq:petli. I.‘ Orsini, falsamente citando Livio nell’ epi

toine del lib. xl.v|, asserisce cb' Eumene avea cospirato con An

tioco contra il popolo romano. Ma secondo questo storico ebhelo

Soltanto Prusia di ciò accusato.

(66) ano Sulpici0. Di'cognome Gallo, lo stesso del quale

trattasi nell’ estratto seguente. a Fu egli console l’ anno di R. 588. »

Schweigh. Il suo collega d’ambasciata non trovasi che fosse giam

mai console.

(67) Come per giudicare ecc. Altra falsa citazione fa qui l'Or

siui di Livio al lib. xnv, senza indizio di capitolo. Vuol egli che

lo storico romano abbia così voltate le parole di Polibio: Qui

' de finibus cognase:ereul, statuermlque (che prendessero cogni

zione de’ confini, e stabilissero). Queste parole. che non sareb

liouu traduzione di quelle del Nostro relative alla campagna con

troversa tra i Megalopolitani ed i Lacedemoni, al libro indicato

non esistono, e sarebbe stato anacronismo l’ avervele poste rife

rendole a Sulpicio Gallo; dappoichè quanto abbiamo dal succi

lato libro finisce nel consolato di C. Sulpicio, mentrecbè 1’ am

basceria di lui qui descritta avvenne due anni appresso nel 590

di B. . ' ‘

(68) Esaminare minulamcnte. Intorno al sostantivo aroìw

rpuypn-i'nn che veggiamo qui ridotto in verbo cousultisi la notam7 al lib. v. I I

(69) Non si riducesscro. M»’ 74: ìE àv7iv . . . yîny7m. Let

teralmente: affinché da loro non nascesse qualche ecc. Pretende

lo Scltweigh. che la ragione grammaticale richiedeva di porre in

vece del volgato yiu'lm il modo congiuntivo ed il tempo inde

finito. Quanto è al primo, sembrnmi che non manchi; ma il se

condo converrebbe solo se mAwrp.zy,uuicn7u si riferisse a lui

7:: li n'u7iv, laddove esso regge 724 na7às 7‘u Av7ie;;u 1.7. A.

(le faccende di Antioco ccc.). Che se relativo fosse ancora all’ul

roumo, Inm. VII I').

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158

lima parte del periodo, preceder dovrebbe a ,41} la congiunzione

ami. Per esaminare gli nffizri ecc.,e che non fossero per na

scere ecc. Sebbene in tal caso converrebbe meglio d‘avere scritto :

x4l rnownonlas, ed invigilassero ecc.

(70) Caio Gallo. Valorosv era costui, avendo nel consolato

soggiogati i Liguri, tante altre volte inutilmente vinti (Liv.,

Epit. lib. un), e godea eziandio fama di specchiata pro

bità , per cui gli Spagnuoli, oppressi dall’ avarizia de' maestrnli

romani, eletto l’ aveano a patrono insieme con M. Catone, P.

Scipione ed Emilio Paolo, principali tra i senatori di quel tem

po_ (Liv. ram, 2). Aggiugnevasi a ciò la sapienza di lui, e so

vrattutto il suo addottrinamento nell’ astronomia che, essendo egli

tribuno militare sotto Emilio Paulo nella guerra macedonica, gli

fece predire all’esercito il giorno innanzi alla battaglia decisiva,

come ad un’ ora determinata della notte susseguente vi sarebb’ee

elisse della luna,la quale puntualmente avvenuta gli procacciò la

più alla stima presso isoldati romani (Liv., xuv,57). E tant’uo

mo mancava di accortezza ne’ politici maneggi non solo, ma e

ziandio nella sorveglianza necessaria a chi governa un esercito ac

campato; a tale che avendogli Emilio, dopo la disfatta e la presa

di Perseo, affidato il comando del campo , innanzi d’ accingersi

ad un viaggio di diporto per le principali città della Grecia, egli

cosi sbadatamente avea custodito il re prigione, che il supremo

duce al suo ritorno ebbe a rimproveramela aspramente (Liv. xzv,

'18). Altri saggi della sua imprudenza diede lo stesso nell’amba

sciate che qui aecennasi, ed in Asia contro il re Eumeue, e nella

Grecia d’ Europa, siccome riferisce Pausania (vn, n) ; che avendo

egli l’ incumbenza di giudicare tra i Lacedemoni e gli Argivi

(anzi Arcadi, quali erano iMegalopolitani nominati da Polibio in

questa disputa), trattolli con superbia e li derìse, lasciando final

mente la decisione all’ arbitrio dello scellerato Callicratc. E se

minò egli zizzania tra le città dell’ Acbea, per modo che parec

chie d’ esse staccarousidalla lega che le stringeva. - Della qual

mostruosa unione di ottimcc di pessime qualità la storia ci oll'rc

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159

in uomini celebri parecchi 'csempli mmnorandi. Losi in Giulio

Cesare non sai se più ti convenga ammirare il bellico valore, la

clemenza, la dottrina,o biasimare la smisurato ambizione che lo

indusse a soggiogare la patria, la vita macchiato di libidini , lo

scialacqno delle private e pubbliche fortune, senza risparmiarla a

templi ed a città cbeaperte gli ebbero le porte (Sueton. Jul.,

Caes. 50-54). - Così pronunciò Nrpote d’Alcibiade, che non v'a

vea chi di lui fosse più eccellente ne’vizj e nelle virtù. - E nel

Magno Alessandro non fa minore il coraggio nelle battaglie, e

l’ astinenza e la generosità Verso de’ vinti, che la vanità spinta

nll' eccesso da spacciarsi per un Nume, e la iracondia funesta perfi

no agli' amici.

(7|) Seriulosi a scranna. 'Aarnu9in: è nel testo, che il

Reislte cangiar volle in wp»zc3:'nr,, verbo che meglio dell‘ul

tro si nddice a giudice cl1’ esercita il suo ministero. Non mi va

pertanto n’ Versi la Spiegazione ch’egli fa di l'zun9t’mt,, asse

rendo che iz‘. in tale composizione significhi arcano, n. rurro se.

dendo dieci giorni continui sino alla fine. Questa preposizione è

sovente pleonastica, e tal finta denota l’azione di levarsi da ogni

altra occupazione per attendere di proposito a quella cui la men

te è rivolta, come in nìn,9Ahruv , qf/isare, indizu-9u , ac

cogliere. '

(72) Di mente stravolto, cioè (li poco retto giudizio,nori be

ne presente ti se stesso, quasiforsennato; che tal è il senso di

wgptnqitb; Ti 3nuolp, non già vano ingenio, come fu latina

mente voltato. Erasi quest’ uomo stravagante fatto un trastullo di

quelle accuse, e stimava di fare spiccar il suo ingegno procac

ciando ad Eumene i maggiori travagli, senza recar nulla a fine.

Per quanto a Polibio, siccome a Greco, siffatto contegno riuscis

se doloroso e procedente da furore, non si conosce che i Roma

ni il biasimasscro, forse perché non dispiaceva loro che si aizzas

sero i partiti contrarii, e, da cotal uizzamcuto nascesse la occasio

ne di rovesciare tutto il sistema politico della Grecia d’ Europa e

d' Asia, come infatti non molto appresso avvcnne.

S\

.,;

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160

(73) In Siria cc. V. la fine del cap. 4 di qttesto libro. e la

nota 24 a quel luogo relativa.

(75) Elimaide. Provincia della Media icui abitanti, gente bel

licosa, esercitavano, a detta di Strabone (xv, p. 732 ), il ladro

neecm.

(75) Tuba. Secondo Curzio, che solo tra gli antichi ne fa men

zione-(v, 34 ), città dell’estrema Paratacene confinante coll’ Eli

maide, e da lei, conforme riferisce Tolemeo (VI, 4 ) , separata per

via del monte Parcoatra, che Antioco per conseguente varcar do

vette nella sua ritirata.

(76) Caduto in jurore. La stessa cosa narra S. Gerolamo al

cap. xr di Daniele, citando il Nostro e Diodoro; al: come Giusep

PC Flavio (Antiq. Jud., xu, I5) nega egli che Antioco meritas

se la morte per l’attentato da lui commesso contro il tempio di.

Diana in Elimaide , per non avere recato ad effetto il sacri

legio, e che più verisimilmente perisse a cagione dello spoglio @

seguito nel tempio di Gerusalemme. Secondo 1’ anzizletto dottore

della Chiesa mori egli consunto da tristezza per lo smacco sof

ferto. Tuttavia rende Gioseffo (l. e. ) giustizia alla probità di Po

libio, e finisce dicendo, ch’ egli non disputerebbe con chi stimas

se la cagione riferita da lui più vera di quella miracolosa ch’e- ‘

gli adduce. - Non è pertanto da tacersi, come Polibio stesso, mol

to muto nell‘ asserire fatti sovrannaturali, non prestasse inticra fe

de alla causa di cotanto avvenimento, conforme lo dimostrano le

sue parole, a'; i'nu' o"; a della di alcuni. - Giustino (xxxu, i)

confonde in questo fatto Antioco Epifane con Antioco Magno suo

padre, il quale, secondo lui, per bisogno di denari o per avari

zia, sotto il pretesto della necessità di pagare grandi somme a’ Ro

mani che l’aveano vinto, andò allo spoglio del tempio di Giove

Didimeo (l), e fu dalla gente concorso ucciso con tutti i suoi sol

dati. E forte mi meraviglio come ls. _Casaub., lo stesso che pub

blicò Polibio , in commentando questo luogo pieno d’ errori (v.

l’ediz. patav. del Manfrè, 1732 ), si conteutò di cangiar Didimeo

in Elimeo, citando il Nostro. - Al dire d' Appiano (Syriac., 66)

era quel tempio sacro a Venere, ed Antioco Epif. lo spoglio

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realmente, e morì consunto. La qual inesatta relazione appello a

quella che abbiamo da Polibio non merita al certo nessuna cre

denza:

' (77) Segni . . . . in disapprovazione. 'Eaiflpaia‘us che qui

ha il Nostro, può prendersi in buona e cattiva significazione, sic

come apparisce da varii luoghi del medesimo. Signa alque ostenta

del Valesio e dello Scbweigh., mi è sembrata una tautologia che

non esprime la mente dell’Autore, la qual io credo d’aver ren

duta con maggior esattezz.

(78) Demetrio figlio di Seleu'co. u Filopatore, nipote d’ An

tioco Magno, fratello d’ Antioco Epifane , colui che poscia oc

cupò il regno di Siria ed ebbe il cognome di En'b‘zp, Salvatore. n

Schweigh. Antioco Magno, facendo pace co’ Romani, avea man

dato suo figlio secondogenito Antioco , poscia Epifane, in ostag

gio a Roma, e Seleuco suo fratello, pervenuto al regno, avea a

questo sostituito il proprio unico figlio Demetrio, del quale qui ra

gionasi. e forse il fece richiesto dagli stessi Romani, che»voleauo

possedere del suo un più sicuro pegno pe' gravi tributi che gli eb»

bero\ imposti. ‘

(79) Più a lui che ai tiin «1’ Antioco. Epifane cb’ era testè

morto. A Demetrio certamente più che a costoro eompetevasi la

successione, siccome a colui ch’ era disceso da Seleuco, il quale

fu primogenito di Antioco Magno. .

(80) Trascorrendo. Le affettuose espressioni che qui Deme

trio indirizzava a Roma ed n’ senatori erano estranee al suo di»

ritto sul trono della Siria, ed in certo modo la parte del suo di

scorso, che oltrepassava quanto gli conveniva di esporre. Ciò sem

brami cb’ esprima propriamente il verbo srpoflpizln in questo

luogo, al qual senso aceostossi il Beiske in dicendo apacdpapìv7.;

esser quanto Ipsarlfo'rlu;, intptpofiiuu trattasi fuori nel dire. Lo

Schweigb. panni che non cogliesse nel segno interpretandolo nelle

note: imprimis urgere, saepe memorare (sovrattutto inculcare,

rammentar sovente), e nel testo ,’ copiando il Casaub. , subinde

repetiisset (spesso ripetesse); che non la ripetizione, ma la vee

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162

menu: delle parole con quel verllo si accenna. Vedi la nota 78 al

lib. xxfll, dove l'ov7aizin è applicato a’ fatti, e la nota 55 al

lib. xxvm, dove rendetti lo stesso Verbo per andare grandemente

a'ver1i: frase che riferendosi ad un discorso esprime, come dissi

là, il molo del? oratore verso la moltitudine cui parla.

(8|) In età anr0r infantile, cioè di cinque anni. Impercioc

ch‘e Scleuco mori, per tradimento del suo tesoriere Eliodoro,nel

l’ anno sesto del mo regno , ed Antioco Epilane regnò dodici

anni. Sbagliò dunque il Visconti (Iconogr. grec., t. il, p. 425),

in asserendo, che Demetrio avea dieci anni, esbngliò altresi Ap

piano (I. e. ) facendo regnare Seleoeo dodici anni.

(82) Gneo Ottavio. Che Gneo e non Tiberio, siccome hanno

i codici MSS.,fosse il prenome di questo ambasciadore il confer'

mano i fain che pongono il suo consolato nell’anno 589 di R.,

e da Cicerone ancora (Philipp., xr, '2 ) il raccogliamo, il quale

parlando di questa ambasceria riferisce, ch’ ein vi fu ucciso, e che

il primo della famiglia Ottavia fu console. - il Casaub. si valse

nel suo testo della correzione dell’ Orsini, non altrimenti ch'egli

se ne giovò poco sopra nell’ accettare l’ x’:y.in, che noi tradu

ccmmo florida eld, in vece dell’ épzi‘" recato dal suo codice.

(85) Secondo il volere del senato. Ho ritenuta la lezione del

Casaub. ai: uiu'lai up»pti70, riferendolo n niyqu7n, senato. Ni:

mi muove la riflessione del Beîslre, npprovata dallo Schweiglr.,

che quel sostantivo trovasi troppo distante dal verbo per esser

ne retto, e che perciò abbiasi eleggere i; a'w7.l a'poqu'iy7o , che

Verrebbe: a riferirsi agli ambasciadori, senza che poi si dica cosa

significhi; perciocchè la traduzione della Schweigh. non è diver

sa da quella del Casaub.; E: volantnle senalus. In fatti non è

probabile che il senato mandato avesse gli ambasciadori in Siria,

senza dar loro istruzioni. Il senso pertanto di qupri'v è dire in

nanzi, indicare, per modo che p0teansi voltare anche così le pa

role di questo passo: Conforme avea il senato prima detto, in

dicato. E forse-scrisse Polibio: ai: èu7ai': (707: wpwfliv7m:

wpnpi7. ( in) 7;: ouynÀn'70u) siccome ad essi (agli ambascia

dori) fu indicato ( dal senato).

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16É n;

(84) I maggiorenti, i capi che presiedono agli afari, 3| irpi

uu'7u, princlpes aulae secondo i traduttori latini. Lusingavansi

costoro d’ avere maggior influenza sotto un re fanciullo (di soli

nove anni secondo Appiano) ( Siriac. 46), comechè governato da’

Romani, ch’ essi avrebbero favoriti, per conseguirne in guiderdo

ne onori e ricchezze» Da un re vigoroso e dispotico nulla potea

no sperare.

(85) Bruciasse le navi coperte. Quando i Romani conchiu

aero la pace con Antioco Magno, ebbero egualmente cura di

bruciare le navi di questo re stanziate nel porto di Patara ( xxu,

26 in fine ), nella qual occasione Polibio usa come qui il verbo

dmrfiirm, che propriamente significa consumare colfuoco, an

der inlìeramenle. Appiano (I. c.) non distingue le coperte dalle

altre. Tuttavia erano le coperte di maggior importanza, percioc

ché servivano al trasporto delle truppe; quindi tanto interessava

2’Romani la loro distruzione.

(86) Tagliasse i gnrelti agli elefanti. Appiano (l. c.)narra,

che gli elefanti furono tutti ammazzati. l’orso fu data la morte a

quelle belve, poiché si ebbero loro recisi i garetti, onde non fug

gissero.

(87) Ed alle adunanze. Queste aveano nelle provincie conqui

state da’ Romani per iscopo l’ amministrazione della giustizia , e

tenevansi in qualche città opportunamente situata, perché vi con

corressero i deputati delle altre città, che insieme formavano le cosi

dette diocesi (da dufaflfl;, amministrazione), nelle quali divise

erano le stesse provincie. Continuarono siffatti congressi sotto gl' im

peradori, siccome veggiam da Plinio il vecchio che li chiama

conventus.

(88) Oltracciò. È ragionevole la opinione dello Scbwcigh. che

abbiasi a ritenere il cp’u dopo ‘1'8u ili recato del cod. Bav., e

forse anche da quello dell’ Orsini, ma tacitamente da questo can

cellato, non essendo necessario di porre dopo cotal preposizione

il pronome 7.67, per farla significare in aggiunta a ciò, sicco

me lo stesso Schweigh. dimostra, citando tre altri luoghi dove il

tfor solo ha questo senso.

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164

. (89) I re d' Alessandria; cioè i fratelli Tolemei, a' quali ri

torna Polibio nel cap. |g di questo libro.

(go) Marco Giugno. 1 Forse M. Giugno Penna che fu con

sole l’anno di R. 587. n Schweigh. Ne’ fasti consolari ed in tutti

gli autori che a questi si ottennero il trovo nominato Penna:

( Panno ).

’ (9|) Ed il re Ariamle. Il testo non ha che fluo-Mai, ma già

il Casaub. vi aggiunse il nome che apparisce da quanto segue.

(92) Di per tè. Nelle traduzioni latine èstato omesso 6.'àv7iv

che io ho voluto conserva:e, non eredendolo superfluo. I Troc«

mi, popolo della Galazia, che secondo Livio (xuvm, 16) erasi

stabilito sulla costa dell’Ellesponto, colle sole sue forze non potea im

possessarsi della parte della Cappadocia, che con esso confinava;

quindi ebbe ricorso a’Bomani che nelle ultime guerr_e dell’ Asia

era stato a’ Calati favorevole(V. sopra c. 6), avvalorando le sue

richieste colle accuse che dava ad Ariarate. Dee pertanto la na

zione gallo-greca qui nominata essersi dopo il suo primo stabili

mento trasportata nell‘ interno. delle contrade che fiancheggian il

Ponto Eussino; altrimenti non avrebbe potuto aver i Cappadoci

per vicini.

(95) Ma essendo subito cc. Un enorme guasto presentano qui

i libri sino al Reiske, il quale con felice ardimento eavò un lo

devole senso dalla scrittura che non ne porgeva alcuno, ed io

l’ho seguito. L' Orsini riceve la lezione non punto intelligibile

gnJay»'rav7a 7h 35m”, ma cangia 851151 in Ava/paia, Doci

mio, città della,,Frigia rammentata da Strabone, Tolemeo e Stefa

no, che i Cappadoci avrebbon allora allorzata per difendersi cim

tro i Galati; ma non avevan essi allora dominio nella Frigia,

nl: quand' anche l‘ avessero avuto, i Trocmi limitrofi erano a que

sta provincia.

(94) Non che amorevolmente cc. Esitai non poco sul modo nel

quale io dovea render italiano il lui 7’ ZAAa che nel testo precede

al @i7luu9pu'mvf. Considerando finalmente che Ariarate, non con

tento di difendere la sua causa presso gli ambasciadori romani,

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. ' ,' ’435

f. _3

t65 "

li aveva eziandio con abbondewle cortesia trattati, m'imnîaginai

che, per esprimere la differenza dal più al meno nella condotta

del re verso gli anzidetti, conveuisse di mettere non che innanzi

al più, ch’ è ‘qui l’amorevole conversare, non altrimenti che fu

fatto nel greco. Così leggesi in Senofonte (Cyrop., vn, 4, I ).

Atin'nur Bi, iivdpa. Ilipnv,xai l'iiìdtn. a'wa 29,011, 225 a'nrs'At|unv,

xa‘x mino ili, 'iuznpn riposa. 1llandaAdusio, uomo Persiano,

non che né senza senno, nè imperita di guerra, al tutto affa

bile. Trattavasi di rappattumare le popolazioni della Caria, ve

nute tra di loro alle mani; il perché era l’ail'abilitù del media

tore»la_ qualità più necessaria a tal effetto, nella quale realmente

Adusio primeggiava, non essendo ein pertanto spoglio delle al

tre virlù che, non riuscendo le pratiche di pace, avrebbon do

vuto render efficace la forza. Ma nel luogo testi: citato sta lai

7'3'Mur accanto al meno, e nella lingua italiana ancora può, se

condo le osservazioni del Cinonio (cap. 188, t-8), e all‘ermando

e negando accompagnar il più ed il meno. - Vero èclxe Polibio

adoperò nel senso di non che negativo sul 70 di: (xn, gin fine),

e nell’afl'ermatim piyd‘ 3'74 (mv, 5), ma ciò non impedism che

il modo di dire usato nel presente luogo abbia lo stesso signifi

cato che gli altri due, e vi si potrebbero aggiuguere l’ ha; sir, àuz

lini addotti dalla Crusca, comechè non piacciano al Lamberti

nelle illustrazioni al Cinonio. I traduttori latini ne fecero cac

terum (del resto), più badando alla lettera, secondo la quale suo

nerebbe: E quanto alle altre case, che non allo spirito espri

mente la diversa intensità di due atti ad un oggetto relativi, il

maggiore da’ quali atti o la loro moltiplicilà significàta è dalle

altre cose 7’ÉAAa che in cotesta frase si accennano. Senza che

il cacterum dapprincipio, siccome nel passo di Senofonte surrife«

rito, sarebbe all‘atto assurdo.

(95) La leggierezza di coloro che gli soprastavano. Ho rice

vuta la lezione proposta dal Beiske 'umua'7vfla vanità, leggierez

za, in vece del volgato 5murflq7u, _/izmigliarilà, dimestichezza ,

per le seguenti ragioni: In primo luogo 7:}: àuui.7q'lu 7;; "Poi

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166

nella: a'v7îc è quanto; la firmigliafilù de'capi di quello (del

regno): proposizione lroncz, perciocchè non v'è espresso che la

famigliarità di costoro era con Ariaratc (fp‘u l'o7‘or). Pescia non è

vero, conforme sostiene lo Schweigh., che quanto leggasi nel cap.

15 di questo libro dimostri siffatta famigliarità. Aveva il re di

Cappadocia, secondochè colà narrasi, mandata una ambasceria a

Lisia amministratore della Siria, perle ossa della madre e della so

rella, le quali gli furono da lui concedule, nè a tal effetto cm

tl' uopo che fossero amici. Chi: se tali fossero stati , conveniva me

glio nella presente occasione di farli accompagnare da un amba

lciau che non seguire da un esercito.

(96) Ariarale gesto di questo nome, cognominato Filopotorc,

luccedetlc al padre Ariarale V, sovrannomato il Pio. ch’ ebbe un

lungo regno, e salito era sul trono l’ anno di B. 553(V. L. Iv,

c. a, e la nota 26 al lib. xxv ). Livio nell'epitome dellib. xt.w,

così tocca l’ argomento di questo estratto: Essendo Jriarale re

della Cappadocia morto, suo figlio Ariarnte assunse il regno,

c n'nnorù per ambasciadori I’ amicizia col papolo romano.

(97) Del padre. Questi, a dir vero, sposata avendo Antiochide

figlia d’Antioco Magno, fu dal suocero strascinato in un‘ allean

za contro i Romani, che minacciava di riuscirgli funesta; ma in ap

presso avenduoe]oro chiesto perdono per via di ripetute ambasciate,

gli fu accordata la pace mediante l’ esborso di seicento talenti

(un, al ).

(98) Le ossa della sorella e della madre. Per qual avveni

mento ‘queste donne regali morissero nella Siria, anziché presso

il marito ed il fratello, la storia a noi pervenuta non ne fa molto.

Forse le avea mandate Ariarate V testé defunto in Antiochia, cre

dendole colti più sicure che nel proprio regno durantcla guerra

co’Romani, e cessata questa non poté riprenderle, essendo già

morte. Liaia pare che governasse la Siria nella fanciullezza del re.

(gg) Dell' empielà commessa. Della uccisione di Gn. Otta

vio. V. il cap i9 di questo libro.

(non) Respirala ch' ebbero dalla calamità. sq[fisrla. l Rodii e

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7 __v i? 7 V W ’Wn'.m »f&“‘MI€.L'ISIÎ-ÀÈQKSÎWΑuJ_ ,

167

rane stati spogliati da’ Romani delle possidenze che aveano nella

terra ferma dell‘ Asia loro vicina; e dell’ isola di Delo, per cui po.

tirano gran danno nelle loro entrate. Riconciliatisi pertanto co’

Romani, ed ottenuta la loro alleanza (V. sopra il cap. 7 ), prese

To animo e domandarono in sostituzione della importante stazio

ne di Catino, il porto di Calinda a quella vicino, e di rincontro

a Rodo situato. Circa la quale città recan notizie Erodoto (vm,

87), Plinio (v. 29 ), Tolemeo (v, 8) che la pone nella Licia,

e Stef. Bizant.

(IO!) Alla trenta cubili, corrispondenti a quindici delle no

stre braccia. Grande tu ne’ Rodii la smania di rizzare statue co

lossali, eziandio, siccome da questo luogo si vede, dopo la caduta

dell’immenso colosso di bronzo dedicato al Iole, alto, secondo

Plinio, settanta cubiti, per cui e per altri danni, sofferti dal tre

muoto che il rovescio, misero a contribuzione i più ricchi stati

della Grecia (v. 88 e 90).

(ma) Essendasi i Calindesi. Da questo avvenimento si co-'

nasce che Cauno era a que’ tempi la città principaleepiù potente

della Caria, che ad altre città ancora di quella provincia esten

deva il suo dominio. Que’di Calinda comprendendo, che a lui].

30 andare, anche cogli aiuti procacciatisi non avrebbon resistito

alle forze de’ Caunii, ebbero per ventura di darsi a’ Bodii loro vi

cini, e che meglio d' ogni altro stato di que’ paraggi poteano pro

teggerli. A

(t05) Poiché i Tolemei ec. Pacificatisi questi fratelliacconciaron

si a far guerra al loro comune nemico Antioco Epifane, che sotto

specie di favorir il maggiore, ma in realtà per impadronirsi del’

I’ Egitto, era entrato nel regno, donde i Romani, ad istanza de’

Tolomei, il fecero uscire (un, 8, n, xxx; n ). Nacque allora

la divisione della quale ragiona qui il Nostro.

(104) Cannlejo e Quinto. Il primo fu probabilmente L. Ca

nulejo Divite, che l' anno antecedente (590 di R.) era stato creato

pietore (Liv., un, 28 ). Quinto potrebbe darsi che fosse Quinto

Opimio, console nel medesimo anno in cui questi fatti avvennero

(Liv., epit. l. xavx: ).

(0...

l'1 \

w

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168

(105) Come il minore (e. Polibio facendo l’ elogio di Tole

meo maggiore, dove narra la sua morte (u, va), ne fa asape

re che due volte donò al fratello minore, da luivinto in guerra,

e vita e regno, e la seconda volta gli allogò eziandio la propria .

figlia.

(noti) Cirene, tra l’ Egitto e la Sirti maggiore, Circnea giu

sta Strabone (x, p. 475 ). secondo Plinio ( V, 5 l e Tolemeo( w,

4) regione ci provincia Cirenaiea, chiamata ancora Pentapoli,

dalle cinque città, tutte ragguardevali, che conteneva, cioè Bere

nice, Arsinoe, T,olcmaide, Apollonia e Cirene capilale,un di po

tentissima ed emula di Cartagine. Nel deserto che la fiancheggia

a mezzodì, oggi denominato Barca. era la città d’Ammonc, ce

lebre per il tempio e 1’ oracolo di Giove Ammone. A’ nostri gior

ni appartiene quella regione allo stato di Tripoli,e nulla conser

va dell’ antico suo splendore. Greci colonizzati eran isuoi abita

tori, e la sua civiltà non la cedeva a quella de' Greci d' Asia e

d’ Europa.

(107) Efermò ipatli cc. Così Livio nell' epitome del lib. xnvn:

x: « Tra i fratelli Tolèmei che erano in discordia fermossi un

patto, che 1' uno regnarebbe in Egitto, l’altro in Cirene. 1) Per

assicurare la inviolabilità de' patti era costume tra i popoli an

tichi (e ne abbiamo esempli tra i Greci, tra gli Ebrei e tra iCartaginesi (m, in ), di giurare sopra le vittime toccandole(Po

lib., W, 17, nota 73). .

(108) E mutui giummenti. Nel testo leggesi con lunga ampli

ficazione: Kal Aaifiu loin' i’pnaus ampia 7’ì3n<pfi nati dal» a‘rpl

70d700, e prendesse i giuramenti del fratello adesso intorno a

ciò, il qual senso mi è sembrato di esprimer abbastanza con le

tre parole che qui cito. Del resto osserva con ragione lo Schweigh.

che non può tollerarsi la sconcordanzn dell’ infinito iii2erm (ac

cettare) cogli Ottalivi 7tu'fioz e ò‘u'q, e propone di mular il primo nel

l’ottutivo tilfm'lo,0tiveramcnte gli altri negl’infiuiti Mi,8ur 9 Menu.

lo propendo al secondo cangiamcnto, sebbene lo Schweigb. nelle

note preferisca il primo; dappoicbb l’ottntivo ha sempre seco

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/ i

1,59’mqualche incertezza, che cader non può in un fatto preciso/coma U

il presente. Tuttavia panni che meglio converrebbe il discorso se

cosi si leggesse: Kui r0aya'w 7,uq9h'hvv,zai Aafiu7u 7.in gpx'aur

w. 7' ad. usi dido'v'las w. 7.; chi: per mi inodo nonfl‘iuscirch

be superfluo il secondo uni; potrebbonsi ancora scrivere Àdfioftllott

e didnpino in conformità di 7pq3irlan.

(mg) AI tutto ineguale. Le parole che recano i codici suo

‘nauo volgarizzate: La divisione fatta al tutto, cui èben chiaro

che qualche cosa debbasi aggiugnere per trarne un senso. la, Or

sini pose dopo pepw,uln (divisione) la particella negativa ai ,

che non basta al certo, seguendo 7|Aiu; . al tutto , affatto. Il

Casaub. adotta l’ aggiunta dell’ Orsini e traduce: divisionem non

piene peractam, enunciando una falsità, perciocchè la partizione

era in realtà perfettamente eseguita. Più si appese al vero lo

Schweigh., congetturando che qualche predicat0nmnehi a pspnrpi: I,

il quale, secondo il Reiske, sarebbe É7onv, assurdo, o is'Àoyar,

irragionevole, 0 _523ion, ingiusto, meglio mi pince iivnnr, ine

guale, che lo stesso SChWeigh. propone.

(no) Con astuto consiglio. Il,aypa7miis, con iscaltnszza

politica, da uomini versati ne’ pubblici affari, conforme in altri

luoghi del Nostro veggiam adoperato questo vocabolo ed i suoi

affini. Lo Scbweigh. con inopportuna circoscrizione il voltò: Cu

piens vere et ad suo: usus ndcomohzte (desiderando realmente

e con convenienza a’ suoi vantaggi). 16 credo che il Casaub., in

traducendolo calo consilio, meglio si approssimasse alla mente di

Polibio, ed a lui mi sono attenuto.

‘ (I I l) Facendo grazia ecc. Ho seguita la molto giudiziosa cor

rezione che lo Sehweigh. qui fece al testo, dopo che avea rice

vuta la traduzione del Casauh.,' donde risulta questo ‘senso: Di

porlamlosi con tanta destrezza\, che sembrano beneficare‘ chi

ha mancato, mcnlrechè per la costoro mancanza accrescnn il

proprio impero, sentenza, a dir vero, da non rigettarsi, ma che

esclude il zii'icv’yuai con desinenze passiva, quando'xupifiu

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l 7 O

si trova sempre attivo, e regger come qui l'accusativo (7|): i6tu

èpxiiv). Lo Schweigh., di cib accortosi, bene propose di scrivere

zafi{a'luuu, e lo riferì ad àpnp7o’w'lnf.

(I l'1) Tmscurò il senato gli ambasciadori, cioè, non badò

alla loro dicerie e li rimandò senza risposta, che questo è il senso

di Ispiflf|,l’l, conforme ho già esposto nella nota [40 al lib. xxx,

dove riscontrasi lo stesso verbo.

(tt5) Spaventato a questo annunzio. Temeva egli non la

grave offesa recata al popolo romano coll’ uccisione del suo am

basciadore fosse cagione al reame dell’ultimo eccidio, e che la

Siria si riducesse a provincia, siccome testè lo erano state la Ma

cedonia e 1' llliria.

(114) E gli espose l’incertezza. Et cum ea delibera! (e seco

lui delibera) non panni la giusta versione di noi arpeesvilpspu

dunrapriir, che io mi sono ingegnato di rendere più esattamente

nell’ idioma nostro.

(“5) Non urtusse due volte ecc. La prima conferenza col

senato gli avea fatto conoscere che i Romani amavano meglio di

lasciar il governo della Siria al fanciullo Antioco: una seconda

non potea riuscirgli più felice, probabil essendo che il senato,

meditando di vendicare l’ orribil attentato commesso contro il suo

ambasciadore, si determinasse a non volere più re nella Siria. Ma

l’inesperto Demetrio nutrito aveva, innanzi di parlare con Po

libio , la speranza di procacciarsi la grazia de' Padri, che non

erano stati da lui offesi, e di conseguirne il pati‘io regno, qua

lora deciso avessero di conservarlo. '

(“6) Le presenti circostanze, cioè la confusione in cui al

lora si trovava il regno per il caso d’ Ottavio, e questa gli fu .

poco appresso confermata da Diodoro, cb’era testè giunto dalla

Siria (e. no).

(117) La consigliò. Voggendo costui che il senato riconosceva

per re Antioco fanciullo, e che per conseguenza Demetrio rinun

ziar doveva alla pretesa di salire sul trono col consenso de' l’a

dri, altro st'atngeuuua recò in mezzo affine di prucacciar all’ a

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k “ r;5’

mico la libertà, della quale, come prima sarebbe in patria, giu

varsi potrebbe per isbalzar il cugino.

(i 18) Demetrio aveste ad essere statico per lui. Antioco Epi

|

fane, mandato dal padre qual figlio minore in ostaggio a Roma,

era quando mori Seleuco, per la fanciullezza di Demetrio, legit

timo successore del fratello. Ma morto 1’ Epifane , ritornò il di

ritto di regnare a Demetrio fattosi adulto , ed al figlio fanciullo

del re defunto convenivasi di andare statico in luogo di Deme

trio, siccome questi fanciulletto eravi andato in luogo dello zio.

Ma i Romani, volendo per il proprio vantaggio lasciare la corona

al re di tenera età, nè rimanere senz’ aver nelle mani un prin

cipe della casa regnante, non poteano licenziare Demetrio; quindi

falso era il ragionamento di Apollonia.

(“9) Di aiutar ilfanciullo ecc. lo non credo che corrim

4‘uìui'fluv qui significhi semplicemente conservare, siccome sti

marono gl' interpreti latini; che Qv7té77uv avrebbe ciò abbastanza

espresso. Nel libro vn , c. 2 , ha questo verbo senza dubbio il

senso che gli abbiamo qui dato. Trattasi coli: ancora d’un re gio‘

vine al quale i Romani, per ristabilirlo sul trono dc’ suoi mag

giori, prestarono 1’ opera loro.

(120) Mandala fuori la ultima voce. T‘o n.6uun, il canto

del cigno, che gli antichi credevano fosse la espressione della

sua tristezza per la morte che tra poco il dovea cogliere (Plat.,

Phaed., c. 55). Così Demetrio piangeva la disperata sua situazio

ne, poiché gli andò a vuoto il secondo tentativo.-Troviam que

sto proverbio ancora al lib. xxx, c. 4, dove leggasi la nota ‘16..

La scrittura vulgata ’:2miur egregiamente mutò lo Scllweigh. in

ifginu da ìfgrîuv, mandarfuori col canto, che ha pure Pla

tone al luogo citato, rifiutando l’ lEn’zmrai dell’ Orsini, che val

emissione di suono e non di canto, e troppo si allontana dal le

sto vmato.

(12|) Pell’ ammazzamento di Gneo. Qui hanno tutti i MSS.

e le edizioni dell' Orsini e del Casaub. Qo'fiu (paura) in vece di

@a'ru, in che cangiollo il Gronovio, seguito dallo Scbweigh. Il

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\

I 7 2

Casaub. pertanto tradusse caedem (uccisione). Tuttavia potrebbe

lasciarsi 4h'fin che ha l'autorità de’ codici, ove gli si facesse pre

cedere èiri» 7d, e ne sarebbe il senso: Per il timore proceduto

dalla {uccisione 'di Gneo. Polibio usa di frequente cotesta frase

per indicare il timore che sovrasta ad alcuno da qualche minac

cia e pericolo (Vedi il, '15, 5|, 59; m, i6; 1:, 22; xxx, 17).

(me) Per comparire di sorpresa ecc. Il testo ha iau@avîvar

7.7: a;uiyparn, letteralmente: Comparire addosso agli njfari.

I traduttori latini cosi circoscrissero questa sentenza: al in ipso

magno reperite hominibus sese ostenderent (che nello stesso re

gno subitamcnte agli uomini si mostrassero). Ma le parole in ipso

regno sono senza bisogno introdotte, e hominibus non equivale

_a fpniyfusni, uè sese estendere a im@mifvm. lo ho voluto nel

volgarizzamento rendere la comparsa subitanea ed il turbamento

degli affari, in mezzo a’ quali essa avrebbe ad accadere.

(I25) Trarrebbono. Il verbo ps7applz7cu qui usato è più del

transferre in che latinamente fu Voltato. Val esso trasportare

gitlamlo, e panni che il trarre nostro, se nel raggiugne, molto

gli si accosta. Vorrei cosi averlo tradotto nel lib.xvu,c. 15; che

bene avrebbe suonato: Se . . . . Aristeno nurn (ilWece di

trasferiti) non avesse gli Achei dall’alleanza di Filippo a quella

de’ Romani. Nel cap. 6 del lib. xxx ho potuto meglio avvicinarmi

all’originale scrivendo: E gitlarono (yt7uppdwir'lar) i loro go

verni nell’allmnza con Perseo.

(194) Né oserebbe il senato ecc. Corrotlo è qui il testo, e

non può aceeltarsi ne la lezione che presenta 1’ Orsini, nè quella

che ha lo Schweigh., il quale se ne peuti nelle note, e ritornò a

quella dell’editore italiano. Eccole di confronto. Testo : ’01; 7°

Apen’o'lt! il: ,3n9q'atn, indi nunrzliuv. Orsini: iiudi consan

d'zllld'lli. Lo Schweigb. vacilla tra la scrittura del testo e quella

dell’ Orsini. A nessuno d’essi pertanto diedero impaccio que'fu

turi , che stanno male cosi aecozzati. Leggasi adunque per mio

consiglio: 06 7°A,un’ruv i"li fia49eiv, àv8‘i wuarwgimy. - Del

resto giustifico l'evento il ragionare di Diodoro; dappoiehè il Se

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a

il proclamò re (xxxu, 4, 6).

(125) Se non che partissem. ÀItÀ-Qo’b7dî plurale essendo nel

testo , avea sospettato lo Scbweigh. , che la vera scrittura fosse

àflA9a’v'lu in singolare, riferendolo a Demetrio; ma nelle note

difese la prima scrittura, riflettendo che Demetrio non aveva al

trimenti a partirsi solo, sibbene con Diodoro ed altri compagni.

(126) Menillo. E qui e poco appresso in questo capitolo i

libri hanno Menililla, Mui9thss; ma di sopra al cap. 18 e

più sotto parecchie volte ai c. 9| e ‘22 riscontrasi ne’ MS. Me-'

nillo, MivaAAu; quindi giudico bene lo Schweigh. di accettare

il secondo di questi nomi, ed io l’ho seguito, quantunque sem

brimi che il primo abbia suono più greco. ll Casaub. scrisse in

tutti i citati luoghi M1;{9uAAu.N0o v’avea poi ragione di scri

vere Ìvltrt'1l'fl’or , Menippo , sicc0me piacque al Reiske , il quale

osserva che inuditi erano gli altri nomi tra i Greci; giudizio

temerario in tanta distanza di tempi. i

(127) Per venir a confronto e disputare. Euyna9w9dnu è

propriamente presentarsi per affrontare con armi o con ragioni

un avversario, e 3mequyt'ie9’m significa ragionare su’ proprii

diritti. trattare la propria causa. Quindi ho stimato di rendere

xufari*iimt mal didaiaàsya9tiizi srpi:s 7. rta'7. 117. colle_poche

parole che feci, anzi.hè circoscriverle largamente, siccome fecero

i traduttori latini colle seguenti: U! patrocinium caussae ipsius

agrret apud patres‘, et adversus minarem Plòlemaeum certamen

pro i110 susciperet(affinchè patrocinasse la sua causa presso i pa

dri, e contro Tolemeo minore assumesse per lui la contesa).

(128) Premura ed insistenza. Scorgo una certa gradazione in

questi due atti di chi si mette con ostinazione ad una impresa

nella qualeè necessaria l'assistenza di una persona importante. Al

primo vocabolo sembrami che corrisponda lo enu<lnl del testo.

che reca l’idea di attività e diligenza instancabile, il secondo cre

do rappresentato da Q|ÀI7IPI’G, che consiste negli ufficii e nelle

mutuo, 10m. HM. 13

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‘74 .dimostrazioni d' onore, con cui si assedia, quasi che colla sua opera

ed influenza ci può esser giovcvole nella esecuzione del nostro

divisamento. Quam marimo potere: sludio de’ traduttori latini

non rende il complesso di queste fatiche.

(mg) Oggetti sacri. Narra Q. Curzio (w, 8) che. allorquando

Alessandro Magno si accingeva all’espugnazione di Tiro, erano

colà venuti ambasciadori cartaginesi per celebrarvi , secondo il

costume patrio, l' annuo sacrificio. Qui si rammenta una spedì.

zione sacra, ma che recava soltanto primizie, nè si fa molto d'am

basciaclori. Il perché è da credersi che Cartagine all’ età del No

stro non inviasse più siffatto periodico tributo con tanta pompa,

come far soleva ne’ tempi antichi di maggiore prosperità; altri

menti non sarebbesi potuta noleggiare la stessa nave per Deme

trio e per la sua comitiva. Circa gli onori che le colonie rende

vano alle loro Metropoli veggasi la nota 52 al lib. xn.

(150) Le vellovaglie. Tir impq'mz che cosi ho volgarizzato,

seguendo il Casaub. e lo Schweigh., sebbene per avviso de’gram

‘ matici significa i sacri/idi che sifanno nel corso del mese, o

una volta sola al mese nelle Neomenie, ha, se non ve errato,

un senso più esteso, e può eziandio applicarsi alle provvigioni

che di mese in mese si rinnovano , o si forniscono ancora pel

l’ uso di parecchi mesi, siccome per l’ appunto si pratica ne’ viaggi

di mare. Nel cap. 22 di questo libro verso la fine troviamo lo

stesso vocabolo nel senso che qui gli abbiam attribuito. 4

(15!) Colle proprie orecchie e co’proprii occhi. Ho V0lulu

colla maggior possibile precisione rendere i due verbi greci ai7a

..Wfi'i' (ascoltare con orecchie attente), e ma7ax7iuen (esaminare

cogli occhi), che gl’ interpreti latini contentaronsi di compren

dere nella frase poco felice omnes rumusqulos colligerel (racco

gliessene ttttti i piccioli rumori), quando nulla di rumorucci o di

bisbigli nel testo si trova, e mmusculos nucupari, non già col

lich hanno i buoni scrittori. V. Forcellini, Lexic., a questa voce.

(13‘1)Ed essendovi duefratelli. Cosi il Casaub. come lo

Schweigh. credettero che i due qui nominati fossero fratelli (l’A

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pollonio. Il primo scrisse: Qnod eliam duohus ejus_fratfibus . . .

cdmmunicaverant (la qualcosa comunicata ebbero eziandio a’ fra

telli di lui). L’ altro tradusse: Cui qunm duo essent fruire: (il

quale avendo due fratelli). Ma io ho rendute le precise parole del

testo, dalle quali cotesti tre fratelli non risultano. Ne lo stesso

nome d’Apollonio nel padre di que’ due fratelli e nel giovine al

levato con Demetrio provano che questi fosse figlio dci vecchio.

(153) In grande favore, ovveramenleforluna, ricchezza, p0

' tera, chè tutto ciò significa ivzmp/a; ma favore, trattandosi della

-btmevolenza di un sovrano , è il Complesso di tutti questi van

taggi. Plurimum gratin apud Sekucmn valuit panni che non dico

tanto.

. (134) Convilo. Ecco un banchetto imhandito tra amici con

tutta famigliarità, e senza certa accoglienza ospitale, che il Nostro

denomina ó-nriazl‘y, non altrimenti ch’ egliqualificò tale il lauto

banchetto dato da Antioco Epifane agli ambasciadori d' Alessan

dria; lo che sempre meglio dinioslra, come questo vocabolo non

ha il solo senso generale di rivetto, che taluno vorrebbe attri

buirgli. V. la nota 158 al lib. xxvut.

(155) Anagni. Polibio qui e due volte nel cap.an, secondo i

codici ele edizioni, scrive in plurale il nome di questa città (’Anu

7n'u, Amyn’m;) ragguardevole degli Ernici nel Lazio, a detta

di Strabone (v, p.a38), che la scrive in singolare, ’Am7_u'a. Si

tuata a levante di Roma e da lei distante circa cinquanta miglia,

era essa del tutto opposta ad Ostia presso la foce del Tevere, che

giace da quindici miglia distante dalla Capitale.

(136) Inclinan alla gozzovig/ia. Zu‘uvra7‘loii iv7u , e po

trebbe anche stare npznnnîi da cu.u7ro’nov , conforme hanno

i MS-, e che all‘Orsini piacque di mutare nella lezione che reca

il testo.- La qual viziosu inclinazione tanto crebbe in Demetrio,

poiché divenne re, che in un frammento del lib. xxxm citato da

Ateneo lib. x, e che a suo luogo produrremo, è detto di lui ch’ e

gli era gran bevitore e la maggior parte del giorno ubbriaco.

Donde avvenne ch' egli diede in ogni maniera d' eccessi e, ren

<

0

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I 76 ' '

dolosi csoso a’auoi, ed avendo contro di se irritati e provocati

colle armi i re di Cappadocia, di Pergamo e d’ Egitto, fu vinto ed

ucciso dopo dodici anni di regno. V. Polib. in, 5; xxxm, 16;

Justin., xxxv.

(157) Yiglietlo. l MS. hanno m77duov, ch’ è UD pezzetto di

carta in forma di lettera, sulla quale con pochi detti si manifesta

ad alcuno la propria sentenza circa qualche oggetto,e tale deve

aver mandato Polibio a Demetrio, non già un xuaîmu, secondo

che lesse il Reiske, diminutivo di mmfi, favola, che non sareb

besi potuta sigillare, siccome veggiamo che fu fatto.

(158) In suil’ imbrunire del cielo. Il testo ha oveu7nî{.flofi

7»'6 9uîì, oscurand0si il Dio; dove lo Schweîgh. è in forse se

quel Dio interpretar debbasi il sole, siccome l’ appellarono Ero

doto, Eschilo ed Euripide, ovveramente il cielo, secondochè più

piace all’ Ernesti. lo inclino al significato posteriore; dappoichè

nell’annottare del primo non trovasi ne’ testi d’Appiano citati dallo

Schweigh. (Proem., c. 9‘, De bel. civ. Roman. , xv, 85) il Sui

accompagnato con eun»7i{uy, sibbene con fumi.” e uM'uv'lu,

i quali verbi che valgono discendere , andar solló , abbassarsi

ponno esser applicati al tramonlnre del sole; quando l’oscurarsi

non a questo astro, ma al cielo si riferisce nell’ atto del tramonto.

Poliziano nelle stanze (I, 5) cantò del mar di Ponente che nastro

cielo imbrana. .

(t39) Clu'fa ec. Suppone lo SchWeigh. che questa sia una

sentenza di Menaudro o di Euripide, nella qual è da osservarsi

la forza del dpîr da 6,02”, opera con vigore ed assiduità, che

mi duole di non aver saputo adeguatamente rendere nella nostra

favella.

(Ido) La notte egual periglio. Per esser chiaro mi fu d‘uo

po risolvere in due versi l’unico che qui cita Polibio dalle Pixe

nissae d’ Euripide verso 753, attenendomi ‘alla giusta spiegazione

che ne dà lo schweigh. Suona esso così nell’originale:"ln: Qîpu

r‘vfi, 702’; 6‘: 7«Ap5n a-Aiu: Egual cosa reca la notte , più a

‘chi ardiscc. - Questo verso pertanto e notato d’oscurità da tutti

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|.

gl’ interpreti. Negli scolii antichi d’ Euripide raccolti dall’ Arcive

scovo Arsenio trovo, che ad i'nv si sottintende 'lptl‘e’tlru, impe

dimento recato nelle notturne imprese di guerra a chi assale ed

a chi è assalito, mentrecbè la vittoria rimane a chi più ardisce.

(l4l) Ardiscì ecc. Bella lezione a chi ha per le mani una

grande impresa, che il più delle volte riesce per la inspirazione

del coraggio e per la instancabilità nell’ operare, e, quand’ anche

non riesca , onora chi vi soccombe. È ignoto 1’ autore di questi

versi.

(142) Sii sobrio ecc. Sopra questa celebre sentenza di Epi

carmo veggansi le note 138 e 159 al lib. xvm.Nel tradurre que

sl\o luogo mi sono più strettamente tenuto al testo che non feci

la prima volta, anche per fare spiccare subito dapprincipio la rac

comandazione della sobrietà, di cui Demetrio avea tanto bisogno.

vAp9pn voltai articoli nel senso di giunture, cui corrisponde il

vOCabol0 greco, ma nella prima versione scrissi nervi, concios

siacbè giunture e nervi esprimono forza nel corpo rimane, quello

nel surreggerlo, questi nell’ impartirin il vigore necessario per

esercitare tutte le sue funzioni; onde nervo talvolta ha il valore

di forza. V. il Dizionario della Crusca a questa voce, 5 5.

(143) Monte Circeo, oggidi promontorio di Circellu. Di que

sto dice Strabone (v, p. ì23|) ch’ era ridotto ad isola dal mare

e dalle paludi, cioè Pontine, attraverso delle quali passava, esten

dendosi da Roma a Capua , la nobilissima via Appia fabbricate

da Appio Claudio il cieco nel censurato, l’anno di R. 442 (Liv.,

lx, 29). Convien credere che a’ tempidi Polibio coteste pludi

non fossero inaccessibili, prescindendo anche dalla strada che,vi

menava; ma quando scrisse l' anzidetto geografo sembra che fos

sero al tutto inondate, e fu in quell' età appunto che Augusto

trovossi nella necessità di farle asciugare, affine di provvedere alla

salubrità dell’aria di Roma.

(t54) Il cinghiale. Qui hanno i M5. Tu iiti (il figlio), vi

ziosissima scrittura che l’ Orsini cangiò in 73 np‘n, in addietro,

anlea Casaub.: superflua aggiunta, esclusa dall‘t niSu che pre’

,

’!

l

[i

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178

cede. Il Reiske vi scorge, non so‘ come , le tracce di M7.“ 751

pi)... , cogli amici. Più ragionevolmente propose lo Schweigh.

_ di leggere 7‘" iii, osservando che icinghiali abbondano nelle pa

ludi. Fatto sta pertanto che queste fiere secondo Senofonte ( Dc

venat., p. 782, edit. Leunclav.) stannosi quasi sempre accovac

ciate ne’ luoghi selvosi, perciocchè più caldi sono nel_verno, più

freschi nella state. Visitan esse tuttavia le paludi ancora, segna«

tamente nella stagione calda per rinfrescarsi (Nouv. Diction. d'hist.

natur., t. xx, art. Sfinglicr). Quindi è molto probabile che i bo

schi del Circeo attorniati Balle paludi Pontine in buon dato ne

albergassero. Ma conveniva che il testo recasse 7‘u iiv iiypm (il

porco salvatico), come, per distinguerlo dal domestico, il nomi- .

na Senofonte (l. e.), e forse nasconde in‘n gli avanzi di iiypu.

(145) Nicanore. Questi dev’ essere stato il suo amico più ti

dato _. e forse colui che gli era stato compagno sino dal tempo

in cui fanciulletto dalla Siria andò in ostaggio. È da sorprendersi

che Polibio non ci faccia conoscere nessun particolare intorno a

quest’ uomo per Demetrio assai importante.

(“(6) Come gli erano venute nuove. Al verbo zperur'iaaivm

il Gronovio aggiunse 7. per cagione del di) che segue. Ma ri

flette bene lo Schwcigh. nelle note appiè di pagina che quel 7:

può omettersi , ove 31574 leggasi in luogo di 31‘a , conforme ne

abbiam un esempio nel lib. n, 53. Allora così dovrebhonsi recare

in volgare le parole del testo: Come gli era stato annunziato dal

re ch’ egli dovea ecc.

(147) I giovani più fidati tra quelli del suo seguito. I codici

recano erwmda7é'lous(i più mal fidati), il contrario di ciò che

avea ad essere; quindi lo Schweigh. sospetta che debbasi leggere

660 70:“ mfia'laî'luifi i due più fidati; ma questo ancora non

può accollarsi, e perché erano più di due coloro che s’ imbar

carono, e perchè poco montava a’ marinai quanti fossero. Vale

meglio, secondo me, la correzione dell' Orsini in iuman'z'law. E

non è vero quanto osserva il Beiske che iwnna: eùóennu non

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--__sînfiififiìrîifii - '-Î

179 53

si dice, ma solo tino; ed n’imms; il perché egli lesse mars7i'lwr.

(|48) Il finleilo. Tolemeo minore ch’ era a Roma, siccome

vedernmo, per accusare suo fratello maggiore.

(149) Inlorno alla mezza notte. È Da notarsi 1’ accusativo

plurale piva; n’n.'iu con cui Polibio e qui ed in parecchi-altri

luoghi significa la mezza notte. ’13.: paia, vuz75: (nel mezzo delle

notti) trovasi in Senofonte (Cyrop., v, in, 59). Ulpi pian: nm'l‘af,

in singolare, che ha il cod. Bav., sembra quindi sbagliato, anche

per il genitivo dopo m": applicato al tempo.

(150) In sulfinire della terza vigilia, cioè tre ore innanzi

giorno, quattro essendo le notturne vigilie militari de’ Romani,

ciascheduna di tre ore, più o meno brevi secondo la lunghezza

delle notti

(151) Appena fattosi giorno. Vuole il Reiske che a 6,446.

l'xov7a; si sottintende 746 .9u'6 , che nel cap. antecedente è ag

giunto a euexoié{u7or; ma io non veggo siffatto bisogno, po.

tendo quel verbo stare anche solo in senso neutro, non altri

menti che l'illucere de’ Latini. Ubi illuz‘il, scrisse Livio, R0

manns praduclus in ariem (come si fece giorno, il Romano uscito

in ischicra).

(152) Corse su! Circeo. Avanti queste parole è nel testo simu

'lZ| iwi 'Î'u a’n/T'n 7a'arn , andandoin incontro verso lo stesso

luogo , proposito affatto superfluo che imbarazza il discorso , e

che sembra quasi ripetuto da quanto leggasi poco sopra: gli si

ferrero incontro alla volta dello stesso luogo. Parve esso già so

spetto al Beilte che cosi lo modificò. .Mî‘udfilybftilif iwr‘a 74'6

721 i: 7ais Amyn/au aiwm7ar'v'luv ’ewi 7‘av av7‘n 7dwar,fla

gel/alo da alcuno di càloro che al luogo concertato in Anagni

erausi lmvnli. lo ho creduto far meglio ornettcndolo affatto. -

Avea questo ragazzo prevenuti gli altri, ed era avanti di loro

giunto sul Circeo.

(153) Ed essendosi cenato. l commentatori sono alquanto

imbarazzati nel calcolo delle giornate che il senato assegna al

l' assenza ed al viaggio di Demetrio sin allo stretto di Sicilia.'Nega

\

4‘!“

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180

lo Schweigh. che costui, partito essendo da Roma cinque giorni

innanzi, potesse nel sesto essere pervenuto‘ allo stretto ed averlo

già passato. Ma poco appresso leggesi cb’ egli aveva il vento fa

vorevole, col quale navigando sole cinque miglia all’ora potea

varcar uno spazio di ben seicento miglia, cioè il doppio almeno

di quella distanza; und’ è ben facile che nel quinto giorno ap

punto si trovasse già innoltrato nel mare Ionio al di là dello stret

to. Il perché io stimai giusta la lezione del cod. Bav. ix.'l‘as 7aii

no'p9pau (fuori dello stretto) e la ritenni. ’Eu7uiu che ha l’Or

sini c da lui il Casaub. ho per arbitrario non meno che assur

do, dappoichè quando deliberava il senato e calcolavasi duv’ es

ser potea Demetrio era non il sesto, sibbene il quinto giorno

dalla sua fuga, Il Beiske pertanto non andò lungi dal vero, sup

ponendo che Polibio scritto avesse: "Htli; wipsr 7a'i ara’p9pou ,

già di là dallo stretto; chè ìr‘i è dovuto all’ Orsini, nel cui

cod. non si trova , ed 'uri col genitivo lai wop9piiv non è ab.

bastanza greco.

(l5i) Onde prevedermo. A volgarizzare letteralmente il testo

conveniva scrivere: E perché supponevano ec. (iifu; p‘u ufl’a

Aupfiénv7u), il qual modo (1’ esprimersi significherebbe che il

supporre d’aver fatta molta strada navigando ed il prevedere di

non raggiungerlo fossero due cose al tutto diverse, quando la

seconda era piuttosto conseguenza della prima , lo che mi sono

ingegnato di rendere colla congiunzione onde. "Forse fu questa

negligenza di stile , del quale difetto il Nostro non può al tutto

scolparsi. .

(155) E quindi. Non panni che fosse da tentarsi l’ i'vSu in

che l' Orsini muti; l’ i';9u del suo codice, dallo Schweigb. can

giato in ii9u,ma conservato nelle edizioni alla sua anteriori. Do

veano gli ambasciadori, dice Polibio, esaminare prima gli affari

da’ Greci d’ Europa, e quindi i'|Ss-, passar in Asia, dove tre in

' cumbenze gli aspettavano, indicata ciascheduna dal rispettivo ver

ho in futuro (naprzóonrirjn, Efis‘laiesn, dreaxpnietu). Solo conve

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' 181 l

niva a maggiore chiarezza aggiungervi un sai, siccome feci nel

volgarizzamento.

(156) Nominaron adunque Tiberio. Qui mi sono allontanato

dal testo , a ciò indotto dal ragionamento dello Scbweigh. , che

non posso a meno di qui addurre per intiero: a Nominaroit adun

que Tiberio. E perché Tiberio? E qual è la causa a cui si rife

risce quel 64‘n adunque 5‘ Non ne apparisce nessuna. Crediamo

che Polibio avesse aggiunta coteste causa, ma chml' epitomatore

la negligesse, o la oscurassero i copiatori; cioè che Tib. Gracco

fosse già prima stato eletto ambasciadore per visitare le contrade

di ciii trattasi (V. il cap. 5). E lo stesso verbo 7s7avimt nel

preterito perfetto sembra indicar abbastanza, che Polibio avea già

espressa la stessa sentenza; perciombè altrimenti doveva esservi

yiva9m ovveramente 7nir-9m. Ma lo stesso verbo wyniuu ci

fa sospettare che l’Autore in tal modo scritto avesse: At‘0 72| Ti

,Biptov ana7ln‘flinu70 wpw,5w7in due 7‘. xu7‘c 7i|r arpu7ipav ;d»

arprfitmv mir'iuv aiu'ln'ir7qv 757uimt.» Le quali parole ho fe

delmente trasportate nella mia versione. '

(157 Demetrio aspettando. Da Zonara (1x, 25) sappiamo,

che Demetrio non passò subito in Asia , ma che fermossi nella

Licia , donde spedì le prime lettere al senato. È dunque proba

bile cbe coli1 egli aspettnsse un messo con nuove della patria ,

dov’ egli avea già mandato innanzi Diodoro per informarsi dello

stato delle cose e per investigare 1' animo del popolo. ‘

(158) Catone cc. Nel lib. xxxu, c. 11 Polibio ritorna su que

sto argomento, ed attribuisce la causa di cotale lussuria a’ tesori

recati a Roma dopo l’estermiuio del regno Macedonico. Diede

essa motivo alle legge Fannia suntuaria promulgata l'anno di R.

595, essendo consoli M. Fannio Strabone e C. Valerio Messala,

secondochè Macrobio (Saturn., 111, 17) riferisce da Sereno Samo

rico ed A. Gellio (u, 24) , per la qual legge le spese ne’ giorni

festivi sono limitate 11 cento e venti essi, e negli altri giorni da

dieci a trenta. In ragione di due soldi veneti per asse, giusta la

stima che ne fa il Forcellini, sarebbe siffatta spesa al corto molto

M»1;"

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|82

frugale, ove applicarla si dovesse alle singole famiglie , ed atte‘

sterehbe quanto fosse a que’ tempi in Roma la modicità de' mezzi

pecuniarj.

(159) L’ orcio di salame pan/ira. orcio un vaso di terra

cotta, nel quale vidi in Toscana tenersi l’ olio. Ho preferita que

sta denominazione a quella di qualsivoglia altro vaso che serve

all' uso di riporvi e conservarvi siffatti generi, per la materia di

cui quel recipiente e formato, e ch’ esprime il vocabolo ztpcipuol.

- Le cose salate (7épzu) del Ponto sono rammentate dal No

stro nel lib. H, C. 58, dov’egli parla de’ prodotti che quelle con

trarle forniscono agli stranieri.

(i60) Tolemeo minore. Vedi sopra il cap. 18 , dm" è detto

che il senato elesse ambasciadori T. Torquato e Gn. Merula per

accompagnare quel re in Grecia e consegnarin Cipro.

(16|) Facio. Piccola città della Tessaglia rammentata da Tu

cidide (lv, p. 505, ediz. Port.)Ì da Livio (xxxvr, 15) e da Stef

Bizaut: l.’ Orsini vorrebbe sostituirvi n’gp, parte interna del tem

pio , rendendo oscuro un passo che di per se è chiaro. Imper

ciotichè formando la Tessaglia parte del regno di Macedonia, non

è assurdo che Damasippo fosso dal Nostro qualificato macedone,

e Facio posto ne a Macedonia. Lo Schweigb. seguendo il Ca.

aaub. tradusse: Phaci (quod Macedoniae est oppidum).

(l62) Nella Perea de’ Rodii, cioè nel continente che questi

possedevano dirimpetto alla loro isola , ma che dopo la guerra

fu loro tolto da’ Romani, che dichiararono liberi i Licii ed i Carii.

(V. la nota 15 al lib. xvn; lib. xxx, e. 5, e xxxn, 7).

(t65) Egli era marciulo innanzi. l MS. hanno xpaayay:ir

7:: che l’ Orsini bene mutò in zporayayóv7u. singolare, riferen

dolo come si deve a Tolemeo , e così scrissero gli editori dopo

di lui. Mi mamviglio pertanto che lo Schweigh. abbia conservato

il plurale de’ codiéi. Meglio s’appose lo stesso a oangiare in a-pay.

il volgato rpauy; dappoichè camminando dalla Licia alla volta

della Panfilia, Tolemeo andava innanzi e si avvicinava a Cipro.

(164) Side. Città marittima della Paulilia , di ricontro alla

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f * ‘ > 183

punta nord-ovest di Cipro, dove Tolemeo sbarcato sarebbe/dopo

un breve tragitto. ’

(l65) in. Borgo dell’ Egitto secondo Strabone (xvu, p. 799),

nllfl sua estremità occidentale verso la Cirenaica.Tolemeo (w,5)

lo pone trai luoghi marittimi che sono nella prefettura della Li

bia, dove si vede che Polibio ancora lo colloca. E forse era que

sta prefettura chiamata Libina, come danno i M5. e le edizioni;

nè dovea lo Scbweigb. di suo arbitrio farne Libia, senz' apporvi

la qualificazione di prefettura.

, (l66) Torquato. Qui ho cancellato, siccome fece lo Scliweiglp,

le parole tal 7‘or Tflu. bonariamenle interpretate dal Casaub.,

Torqualus interim et Tilut, quasichè oltre a Torquato vi fosse

un altro Tito; nè tenni, ad imitazione dello stesso commentato'

re, alcun conto della correzione del Beiske 7‘n uni Tfln, il quale

chiamasi da noi ancora Tito, comecbè frase di buon conio, quando

Con essa vuolsi indicare una persona che per due nomi si cono

sce, non essendo questo costume di Polibio. Elyxorol'flî i; la“:

2amu'vAn io lessi già in un sarcofago di sicomoro de’ tempi d’An

tonino Pio , tratto da una delle minori piramidi sepolcrali del

1’ Egitto.

(I67) Alcune cose prometteva ec.La versione che fa lo S‘chweigln

di questo luogo non mi sembrò abbastanza esalta, ed ho preferito

quella del Casaub. Il primo scrisse: manu rou.msnrs, una:

audire nolente, il secondo qunedam, che ripetuto esprime pro

prio il rlL p‘n . . . 72: (li, quando parlim potrebbe riferirsi alle

stesse cose, che Tolemeo parte avesse promesse , parte non vo

lute ascoltare; lo che sarebbe assurdo. Notisi ancora che [afg

xuiuv non equivale altrimenti a non ascoltare, sibbene ad ascol

tare con negligenza, poco badando a ciò che viene detto (V. la

nota 14| al lib. xxx.E così la intese il Casaub., voltandolo ne

gligenler andiente.

(x68) Nulla gli faceva sapere. Lo Schweigb. per conservare

il volgato 5mra@nimr9m propone di aggiugnere al ‘ua3‘n del testo

p;6îrn, per modo che avrebbe detto il Nostro: Perché nessuno

\

__

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184

\\

alcuna cosa gli avea riferita. Ma in tal ipotesi conveniva scri

vere nell' attivo dmm@q’mt, oppure 3mra@qu'mn Meglio , per

quanto io stimo, ssrebbe di conservare il Semplice pqtl‘h col pas

sivo 5mm@qSimt. Il secondo futuro passivo 3mra@q’flr9fl, che

alla scrittura volgata si avvicina, qui certamente non conviene.

(169) Torquato s’ìnducesse a venire. Questi lusingavasi To

lemeo che gli riferirebbe le determinazioni del fratello. Non so

pertanto a che cosa pensasse il Casaub., quando così tradusse que

sto luogo : Tnnquam per hunc et Torquntum quod cupielmt esse

r_‘[ficlttrum (quasichè per mezzo di costui e di Torquato egli fosse

per conseguire ciò che desiderava). Ne punto 5’ accostò al vero

il Reiske affermando la necessità di dare qui al verbo 'sm7/ucfim

il senso di approssimnrsi al partito d’ alcuno. Riesce tuttavia

duro il xa.i 7&v flf‘i 7. T., non altrimenti che Se con Torquato

qualcbedun altro dovesse venire.

(170) Ma cun/ormatosi quegli cc. Per ben comprendere le

prime parole di questo periodo convien riflettere a quanto è con

tenuto nel seguente, dal quale scorgesi che Tolemeo maggiore avea

con abbondare di cortesia tratti dalla sua gli ambasciadori romani.

Quindi è da riferirsi 706700 a Merula , sopraggiunte dopo Tor

quato e gli altri ch’ erano seco, e l’ ho indicato con quegli a scanso

di equivoco che potrebbe far nascere il pronome usato dal No

stro. Non trovo pertanto necessario di aggiugner a 73m xpo'7|pu

un participio che denoti la venuta e la Spedizione de’ primi am

basciadori in Alessandria, siccome lo Scbwcigh. amerebbe che

si faccia. Anche nel volgarizzamento sarebbe bastato di colora di

prima.

(17|) Con ogni genere di compiacenza. Il Reiske seguito dallo

SchWeigb. corresse il volgato nap.zynapnar e ne fece #81 7210;

Il re certamente non avea bisogno di giugnere siccome gli am

basciadori, nè altro senso può darsi a quel verbo. Advcnerat enim

major fralrum, tradusse assurdamente il Casanb. Tacio del mal

suono che renderebbero que’ due part‘icipii loro vicini; il quale

si canserebbe, a dir vero, leggendo, Conforme propone lo stesso"

Rciskc, wapfiîrfiupinus. ‘

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18g16?

(172) Le citlà. Le altre quattro che con Cirene l'orinavano

la Pentapoli, cioè Berenice, Arsinoe, Tolemaide, Apollonia. V.’

la nota |06 di questo libro.

(i75) Partecipando. Male tradussero il Casaub. e lo Schweigh.

unumxlmr, conscium fuisse (fosse consapevole). numvii'r da

xnÎros, comune, vale comunicare, prender parte a qualche cosa,

ed è più assai d’ esser conscio.

(l74) Tolemeo Simpetèsi. ll secondo di questi nomi èdi co

nio egizio , alla qual nazione veggiam tosto che costui apparte

neva (V. la nota 159 al lib. ‘v ). I commentatori, ciò non con

siderando, ne dissero e ne fecero di belle. L’ Orsini propose di

caogiarlo in wparn'rm , compotalorem (compagno nel bere). Il

Casaub. lasciò il nome intatto, e vi premise un asterisco, ma nella

versione pose soltanto Plolemaeum con cinque punti appresso.

Lo Schweigh. pretese di grecizzarlo, dubitaodo che finisse in g’rmv

e non altrimenti in "’741.

(175) Allorquando egli navigò a Roma. Vedi il cap. 18 in

tal principio e la nota 105 corrispondente.

(176) Il gmude Catnbntmo. Questa città marittima era , se

condo Strabonc (xvn, p. 798), l’ ultima dell’ Egitto. e dopo d’essa

cominciava la Cirenaica. Tolemeo la pone in distanza di due gradi

circa da Api. Suona cotesto nome discesa , calala, che deriva

forse dalle erte strette che varcare si_dovea per passare da un

paese all' altro. Strabone non le aggiugne il qualificativo di grande,

che parrebbe accennare ad una picciolu, ma che uno si trova ne’

geografi, fuorché in Tolemeo. ‘

(177) I Libii. S' intende sempre degli abitanti della prefettura

libica che comodamente possono chiamarsi Libini, conforme hanno

i M5. e le edizioni, tranne quella dello Schweîgh., il quale con

foude qui i Marmaridi co’ Libini, di cui Tolemeo fa due distinte

prefetture, dando agli ultimi per confine la Cirenaica, non già

11’ primi. Strabone (l. c.) dice che Marmaridi sono i barbari che

abitati intorno alla Cirenaica, ma non li chiama Libii.

(178) E‘di comparire da tergo a’ nemici. Felicissinm corre

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186

zione fece qui lo Schweigh. al testo, che reca queste parole senza

senso: nel ea7molir 705 Li} roAtpr'otr le:@airsr9m. Il Ca

saub. tuttavia conservolle traducendo: Darenlque rurnm ti! ho

sles neo opinanles ex improviso invaderth (e s’ ingegnasse d’at

taccare i nemici, che non se lo aspettavano, improvvisamente). Al- ‘

l’ Orsini non piacque la scrittura volgato, ma egli non la cor

resse. Il Reislte suggerì an7arslîr 906 7. r. lt., ovveramente

zn7lr. 7o'nv 1raiî 7. ar. lr. , divisar un luogo donde compa

rir a’ nemici. Ma lo Schweigh. lesse xa7iz ru'lor7. r. lm@., frase

in varii altri luoghi usata dal Nostro per esprimere la posizione

presa al dorso del nctnlc0, e che bene opponesi al difronte (1473;

o'7ti}:_s) che tosto segue.

(17g) Avvimtdosi alla salita. La discesa dunque, donde Ca

tabatmo trasse il nome, conduceva da' confini Cirenaici in questa

città (V. sopra la nota [76).

(180) Del forte con quattro torri. Cosi tradussi Ti7prurupyr’a,

che non parmi essere stata Una città, alla quale andrebbe an

nessa la solita znàwy.lny (chiamata), sibbene un grande serba

toio fortificato cl’ acqua potabile, molto pt‘ezioso in una contra

da dove, a detta di Strabone (l.c.),difettavasi di questo così ne

cessario liquore. La Tt7pakup7ia, ovvero Ts7pamipyru (plurale

neutro) dell’anzidetto Geografo sembra diversa da quella'che ab

biamo per mano, non essendo situata sotto il monte duv' erano

le strette, sibbene dopo Phycus, tra cui e Calabatmo compari

scono diverse città. v

(18|) Avendolo pure raggiunlo. Hapu.rrhsfr che qui riscon

[rosi è propriamente navigar appresso, alfinuco, lo che non è

improbabile che facessero le navi di Mochiriuo nell'atto che Tu

lemeo, non lungi dalla costa. vareava il deserto. Ma chi era co

testo Moebirino in addietro non punto nominato? Sarebb' ein stato

mandato per mare da Tolemeo minore con parte delle sue forze,

onde scetnare all’ esercito i disagi della marcia per una contrada

deserta? A me sembra questa congettura la più probabile, ma ,

ore la si aduttnsse, non cunVcrrebbe n": il volgato lari Mszupi

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vov , che indicherebbe luogo anziché persona, siccome la intese

il Casaub., nè 7&v flpl Moxuplv", secondocbè piacque al Reiske

. ed allo Schweigb., dappoichè in questa supposizione non si trat

terebbe, giusta l’uso della lingua greca, che di Mocbirino e del

suo seguito. lo propongo adunqua di scrivere vin , ovvero im‘a,

Mnxzp/Iy, con, o sotto Mochirino, oppure ,m'lls Muzlf/IOII, con

ll'locbirino.Potrebb’ eziandio darsi che s’ avesse a leggere 117;ràw

n'u7m, approdando, giugnendo per mare a lui; chi: «rapa-Mu

nîv7m in siffatto senso non può riceversi. lo tale perplessità io

ho volgarizzato questo luogo per modo che ne emergcsse un si“

gnificato coerente alla circostanza, in cui quel re allora trovavasi.

- Quanto è alla città supposta di Mochirino, che lo Scbweigb.

trova nella Cappadocia , citando Tolemeo , invano la si cerche

rebbe presso questo Geografo; sibbene pone ein in quel regno

una Telrapirgia molto dentro terra nella prefettura de’ Daucreti.

.(|82) Da ciò ch' ein ebbe fallo in Alessandria. Era costui

uno de’ più orribili mostri che occupato avessero un trono, e vi

corrispondeva la sua figura, il brutto celfo, la statura picciola,

il ventre smodatamente grosso, per il quale Fiscone (ventraccio)

fu sovrannomato. I suoi laidi costumi e le crudeltà da lui com

messe descritte sono da Diod. Sic. (Excerpt. de virt. et vit., edit.

Wesseling. (t. n,p. 597), e da Giustino (cap. 58, p- 559 e seg.).

La uocisione più atroce ond’egli si è bruttato è quella del pro

prio figlio, ch’ egli ebbe da Cleopatra sua moglie ed insieme so

rella (Vedi Valer. Massimo, lib. 1x, extr. cap. n, 5). Giovine bello

e d’ ottime speranze era questo infelice, e perciocchè Fiscone so

spettava averla moglie suscitato il popolo a rovesciare le sue sta

tue ed a distruggere le sue immagini, il fece alla sua presenza tru

cidare, e mandò il capo, le mani ed i piedi troncati dal corpo

e copertild’ un pannolino in una cesta per regalo alla misera mi:

dre nel suo giorno natalizio. .

'(185) Camuno. Nel lib.xxvm, |6 riscontriamo uno di questo

nome che sedeva a consiglio col re Tolemeo minore, allorquan

do Antioco Epifane occupato avea l’ Egitto, tranne la capitale.

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r.t.'\

N.

188

(184) Tolemeo maggiore licenziò cc Al Reiske è dovuta la

vera lezione di questo luogo che storpî; r rea parte la viziosa

scrittura del testo, parte 1’ arbitrio dell’ Orsini, affine di adattare

alla sua supposizione, ciò che ne’ MS. rimaneva di sano. Ne ri

sultò a'sziAumv in vece del non ishagliato iniAw-s che recavau

i codici, ed in fpta,3|u7al copeuo'puu , gli ambasciadori che

via'gginvano, cioè Tib. Gracco, L. Lentulo e Servilio Glaucia ,

mandati, secondochè leggesi nel c. ‘25, in Siria.i quali si pretese

che passassero per Alessandria e licenziasscro Torquato e gli arn

basciadori che seco lui erano; quasichè avessero avuta l'autorità

di mandare a casa i loro colleghi. Ma fatto sta che aìxi7tws molto

bene 5’ accorda con 5 8'Pid'fitl7lfoà‘ fl7oìtlpxîn', ed amendue que

ste lezioni danno un senso ragionevole. Le edizioni a’nteriori al

Reiske si attennero all’ Orsini, e lo Schweigh. necettò la emer

dazione del commentatore alemanno.

FINE DELLE ANNOTAZIONI

ÀGLI AVANZI DEL LIBRO TRIGESIMO PRIMO.

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4537

DELLE STORIE

DI vommo DA MEGALOPOLI

ÙI’

AVAN Z1

DEL LIBRO TRENTESIMOSECONDO.

l. Venne intorno a que’ tempi da parte di Tolemeo 4- di R.

minore per ambasciadore (I) Comano , e dal maggiore

similmente (a) Menillo d’ Alabauda. I quali poiché en

trarono nel senato, ed ebbero fatte molte parole , e svil

laneggiatisi reciprocamente, sostenendo (3) Tito Torqua

to eGneo Merula colla loro testimonianza molto ardente

mentela causa del minore, piacque al senato di (5) far

uscire Menillo da Roma entro cinque giorni, di toglie

re l’alleanza con Tolemeo maggiore, e di mandare am

basciadori al minore per significargli ciò che avea decreta

to. Nominaron adunque Publio (6) Apustio e Caio Lem

tulo , i quali partitisi incontauente per Cirene annunzia

rou(7) a Tolemeo con ogni diligenza le prese risoluzio

ni. Questi rinfrancatosi, assoldò subito gente, ed era

con tutto l’animo rivolto all’ impresa di Cipro. Così era

no le cose in Italia. '

ror.mo, tam. ma. 14

Olimp.

cuv,tu

Amb. I I7

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190

A. di R.

593

Amb. "8

Il. In Africa, (8) Masinissa veggendo la moltitudine

delle città fabbricate intorno alla (9) Sirte minore, e la

bellezza della contrada che chiamano EmPorii , e da

lungo tempo adocchiando con avidità i ricchi proventi

di que’luoghi, si aceinse a (lo) stuzzicarei Cartaginesi,

non molto prima de’ tempi testé mantovati. Dalla cam

pagna presto si fece signore , possedendo egli i siti a

perti: ché iCartaginesi erano sempre poco atti alla

guerra terrestre, ed allora al tutto effcminati per (I I) c‘a

gioue della lunga pace. Ma delle città non poté impadro

nirsi, perciocchè i Cartaginesi con ogni cura le custodi

vano. Avendo amendue rimesse al senato le loro con

tese, ed essendo a questo effetto venuti sovente amba

sciadori da entrambi; i Cartaginesi erano sempre al di

sotto presso i Romani, (12) non per giustizia, ma per

ché i giudici credevano che siffatta sentenza fosse ad essi

utile. Imperciocchè (13) avea non molto tempo addietro

lo stesso Masinissa, inseguendo con un esercito il ri

_ belle (14) Aftirato, chiesto a’ Cartaginesi il passaggio

Amb. I |9

pelle medesima campagna , ed i Cartaginesi glielo ne

garpno, (15) siccome per quella che a lui non appar

teneva. Tuttavia alla fine i Cart-aginesi a tale si ridussero

per le risposte de’ Romani , per cagione delle qui ri

ferite circostanze, che non solo perdettero le città e la

campagna, ma vi aggiunsero ancora cinquecento talen

ti, sotto titolo del frutto di que’ luoghi (16) dal tempo

che incominciò la contesa.

III. Per ciò che risguarda 1’ Asia, Prusia spedì a

Roma ambasciadori insieme co’ Galati , per recare la

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10."

19|

gnanze contro Eumene; (17) e questi Vv‘icendevolmente

il fratello Attalo, per difendersi dalle accuse. Ariarata

spedito avendo a Roma una corona di diecimila mone

te d’ oro, mandò eziandio ambasciadori per significare

al senato l’accoglienza cb’ ebbe da lui (18) Tiberio, (19) e

cb’ ein era pronto a fare quanto gli comanderehbero i

Romani.

IV. Giunto che fa (no) Menocari in Antiochia pres

so Demetrio, ed esposto cb’ ein ebbe al re il colloquio

avuto con Tiberio nella Cappadocia; stimando il re es

ser al presente la cosa più necessaria il trarre al suo

partito, per quanto era in lui, le persone anzidette;

posta da canto ogni altra faccenda, mandò ad essi dap

prima in Panfilia, poscia nuovamente in Rodo, (al) as

sumendo di far ogni cosa pe’ Romani; ed alla perfi

ne (22) gli riuscì di farsi da loro chiamare re: ché Tibe

rio, il quale gli era (23) molto affezionato,grandemen

te contribuì a (24) farlo pervenire al possesso della po

testà suprema. Demetrio, conseguita l’occasione anzi

detta, mandò tosto ambasciadori a Roma per recarvi

una corona, e colui che colle sue mani ucciso avea

Ottavio, e con questi (25) il critico Isocrate.

V. (ali) Intorno a quel tempo vennero da Ariarate

gli ambasciadori , che portavano la corona di diecimi

la monete d’ oro, e dichiaravano la buona volontà del

re negl’ interessi da’ Romani, a testimoni della qua

le (2.7) citavano Tiberio ed i suoi compagni. Questi a

vendo ciò confermato, il senato accettò-la corona (28) con

1']

J. di l

593

Amb. no

A. 5di4lt.

9

Olim p.

cuv,w

Amb. la!

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A. di R.

594

Jrnb. ma

I 2

gra9nde favore, ed in compenso gli mandò i regali che

presso i Romani sono riputati i maggiori, (ag) il basto.

ne e la seggiola d’ avorio. Cotesti oratori il senato li

cenziò incontanente avanti l’ inverno. Dopo di questi

venne Attalo, (30) quando i consoli erano già entratiinel magistrato , (31) accusandolo ed i Galati che avea

‘mandati Prusia , e molti altri giunti dall’Asia. Il sena

to , poiché ebbe tutti uditi, non solo assolvette Attalo

dalle accuse , ma licenziollo colmato di cortesia. lmper-I

ciocchè quanto era alienato dal re Eumene, e l’ odia

va , altrettanto (32) accarezzava Attalo e lo esaltava.

VI. Vennero eziandio dal re Demetrio ambasciadm

ri , (33) Menocari ed altri, recando a Roma una coro

na di diecimila monete d’ oro, ed insieme conducendo

seco colui che avea messe le mani addosso a Gneo Ot

tavio. Il senato era lungo tempo in forse' circa il modo

di trattare gli affari. Ciò non pertanto accettò gli am

basciadori e la corona, (34) ma gli uomini ch’ erano

stati condotti non ricevette: quantunque Demetrio spe

dito avesse non solo Leptine l’ uccisore di Gneo, ma

Isocrate ancora. Era costui grammatico, di coloro (35) che

danno pubbliche lezioni, ciarliere per natura , millan

tatore e (36) sazievole, ed a’ Greci stessi in odio , co

me quello che (37) Alceo ancora, quando seco lui (38) di

scendeva alparagone, (3g) argutamente motteggiava e

derideva. Venuto in Siria, (4o) disprezzava la gente ,

e no" contentavasi d’attendere a’proprj studii, ma pro

nunziava sentenze su’ pubblici affari , dicendo, che Gneo

avea sofferto la meritata pena, e doveansifar perire gli

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'461

. 193."?

altri legati ancora, affinché non rimanesse nissuub che A. di R.

594annunziasse a’ Romani l’accaduto. Cosi cesserehbono

da’ loro superbi comandamenti , e dalla loro (41) sfre

nata prepotenza. Sil‘fatti discorsi spacciando cadde nel

I’ anzidetta disgrazia.

VII. Ciò che avvenne a’ summentovati è degno di

memoria. Leptine, poiché ebbe poste le mani addos

so a Gneo , girò tosto per (42) Laodicea, dicendo pub

hlicamente , (43) aver sè data (44) a Gneo la meritata

pena , e fatto ciò per inspirazione degli Dei. Ed aven

do Demetrio prese le redini del governo,fu a lui esor

tandolo, non paventassc la uccisione di Gneo, nèfaces

se qualche severa risoluzione contro i (45) Laodieei;

perocchè egli andrebbe a Roma, ed informerehbe il se

nato, come per volontà degli Dei ciò avesse fatto. Ed

alla fine, per cagione della'sua alacrità ed intrepidezza,

fu costui menate a Roma senza ceppi e. senza guardia.

(46) Ma Isocrate , come fu denunziato, usci al tutto di

spnno; ed essendoin state messe(4y) le beve intorno

al collo, ed attaccate le catene, di rado pigliava nutri

mento, ed intieramente negligeva la cura del corpo. Il

perché giunse a Roma spettacolo meraviglioso, guar

dando il quale era forza confessare, che nel corpo e

nell’ anima non v’ ha nulla di più formidabile dell’ no

mo , quando è una fiata inferocito. Imperciocchè l’aspet

to di lui era oltremodo terribile e fiero , come d’ uomo

che da più di un anno nonerasi levata la lordura , ne

(48) tagliate le ugne, nè i capelli; e la disposizione

dell’animo (50) che spirava dagli occhi e da’ movimenti

facea tal vista , che chi l’ osservava a qualunque bestia

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194

41. di Il.

594

Bar. Val.

sarebbesi (5|) più francamente appressato, che non ad

esso. Ma Leptine perseverando nella mente di prima,

era pronto ad entrare nel senato, ed a tutti quelli che

con lui parlavano confessava il fatto, e sosteneva, che

nessun male gliene sarebbe per derivare da’ Romani.

La quale speranza non gli andò fallita. (52.) lmpercioc

che il senato, secondochè a me sembra, stimando, che

alla moltitudine parrebbe vendicatal’ uccisione,ove gli

autori di quella prendesse e punisse, non accettò co

storo ; (53) ma serbossi la causa‘intattav affinché aves

se la facoltà di giudicare le accuse, quando gli sarebbe

piaciuto. Il perché rispose a Demetrio, ch’ egli conse

guirebbe la benevolenza de’Romani, se sotldisl‘acesse al

senato (54) giusta la promessa di prima.

(55) Vennero eziandio ambasciadori dagli Achei Se

none e Telecle , per purgarsi delle accuse, e singolar

mente per impetrare grazia a Polibio ed a Stratio: che

gli altri quasi tutti e ragguardevoli (56) il tempo (57) avea

già consumati. Erano pertanto gli ambasciadori incari

cati di semplicemente supplicare, affinché non paresse

che si opponessero minimamente al senato. Ma poiché

entrarono e fecero i convenienti discorsi, non ottenne

ro nulla; anzi decise il senato di perseverare nel suo

divisamento.

Vlll. La (58) maggior e più bella prova dell’animo

di Lucio Emilio si rendette a tutti manifesta, poiché pas

sò di questa vita. lmperciocchè quale fu la opinione cir

ca (59) la condotta di lui mentre vivea , tale fu trovata

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463

195)

depo la morte: le che ciaschednno dirà esser (60) mag-_ la!“ R.

giore indizio di virtù. Conciossiacbè avendo egli fra’

suoi contemporanei (61) recata di Spagna in Roma la

più grande quantità d’oro , ed essendo in Macedonia

divenuto arbitro de’ maggiori tesori, possedendo ampie

facoltà in amendue i paesi, (Sa) tanto poche sostanze

lasciò, (63) che non si poté pagar tutta la dote alla moglie

dalle suppellettili di casa , se di soprappiù non si ven

deano alcuni fondi ', di che abbiamo partitam.ente ra

gionato ne’ libri antecedenti. Laonde dirà taluno sva

nire la gloria degli uomini che presso i Greci ammi

ransiin siffatto particolare. Impereioccbè se degno è

d’ ammirazione l’ astenersi da’danari che offronsi ad al

cuno pell’ utilità di chi li porge, lo che dicesi esser ac

caduto all’ ateniese Aristide ed al tebano Epami

nonda; quanto è più da ammirarsi colui che fatto ar

bitro di un reame intiero, ed ottenuta avendo la facoltà

di usarne come a lui piace, non desidera nulla ? (65) Che

se quanto abbiam detto sembra esser a taluno incredibile,

dee questi recarsi alla mente, come lo scrittore sa bene,

che iBomani massimamente sono per prendere in mano

i presenti libri, perciocchè in essi contengousi il mag

gior numero e le più illustri delle loro gesta; le quali

possibil non è che ignorino, nè tampoco è verisimile

che perdonino (66) a chi falsamente le riferisce. Quin

di non vorrà alcuno esporsi ad esser convinto di mani

festa bugia e disprezzato. E ciò valga per tutta la no

stra storia, allora quando ci si parrà che diciamo qualche

cosa di straordinario intorno a’ Romani.

I.'}' IX. Siccome il progresso della narrazione e de’tem

{N

594

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196J,id| 1:. pi (67) ne ha condotti a ragionar di questa casa, così

594 vogliamo (68) ciò che nel libro antecedente rimase in

promissione, supplire in grazia di chi ama d’instruir

si. Conciossiacbè io promettessi di narrare per qual ca

gione e come cotanto crebbe in Roma la gloria di Sci

pione, e risplendette più tosto che (69) non convenivasi 5

ed oltre a ciò in qual guisa l’ amicizia e famigliarità di

Polibio coll’ anzidetto tanto progredì , che non solo pel

l’ Italia e pella Grecia se ne estese la fama, ma a’ più

lontani ancora si rendette nota la loro (70) affezione ed

intrinsichezza. Che il principio adunque della loro con

giunzione nascesse dal prestito di certi libri e da’discorsi

che sopra (1’ essi fecero, abbiamo già manifestato. Ma

procedendo la famigliarità, ed essendo quelli che dalla

Grecia erano stati chiamati (71) distribuiti pelle città,

Fabio e Scipione, figli di Lucio Emilio, (72.) impetraro

no dal pretore che Polibio rimanesse in Roma. Fascia,

essendo la loro intrinsicbezza cresciuta di molto, accad

de la seguente avventura. Usciti un giorno tutti (73) in

sieme di casa Fabio, questi avviossi al foro , e Polibio

con Scipione torsero dall’altra parte. Essendosi innol

trati, Publio sommessamente e con modestia facendo

udir la voce , e divenendo rosso in faccia: Perché, dis

se, (74) essendo noi due fratelli, in discorrendo tu conti

nuamente tutte le domande e le risposte a Fabio rivol

gi, e me preterisci? Affè, che tu hai di me la stessa o

pinione che sento ma gli altri cittadini. lmperciocchè

io sembro a tutti cheto e pigro, conforme odo , e mol

to dilungarmi dalle massime e (75) dalla pratica de’ Ro

mani , giacché (76) non prendo a difender cause. Ma

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46?

..,;._ . ..

197'

la casa da cui discende, dicono, non richieder un tal A. di R.

594capo , sibbene un affatto diverso: lo che sovra ogni co

sa m’ affligge.

X. Polibio, cui recava stupore'(yy) l’ingresso del di

scorso in bocca ad un giovinetto (78) che allora non a

vea più di diciotto anni: no, pein Dei, o Scipione,

ripigliò, non dir questo, né siffatta cose ti passino per

la mente. Imperciocchè nol faccio io già perchè (79) ti re

puti da nulla o ti negliga; ben lungi ne sono; ma perché

tuo fratello è maggiore, ue’colloquii da lui incomincio, ed

in lui finisco, nelle risposte e nelle consulte a lui m’ at

tengo, stimando che tu partecipi la sua opinione. Ed

ora mi compiaccio in sentendo da te , (80) che ti sem

bri esser più dolce di quello che convengasi a chi di

scende da cotal famiglia; perciocchè manifesto ne fia

che grande è l’ animo tuo. lo pertanto con piacere a

te mi darei, e ti presterei l’ aiuto mio per farti dir

ed operare cose degne de’ tuoi maggiori. Conciossiachè

(81) per ciò che spetta agl’insegnameuti, cui ora vi veggo

dirizzar ogni vostro studio, uè tu, né il fratello difetta

rete di chi volonteroso vi porgerà l’opera sua; giac

ché molti di siffatti uomini veggo al presente affluirdal

la Grecia. Ma per le cose che , siccome tu di’, ora t’af

fliggono , io credo che non potresti trovare coadiutore

e cooperatore più opportuno di noi. Mentrechè Poli

bio ciò diceva, egli prendendo la destra di lui fra le sue

mani e stringendola con molto affetto: Se io, disse,

vedessi quel giorno, in cui posponcndo ogni altra co

sa , a me l’animo rivolgessi , e convivessi meco , io da

quel tempo tosto mi stimerei più degno della mia casa

ti!

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198

1. di R. e de’miei maggiori. Polibio parte rallegravasi in osser

594 vendo l’ impeto del giovinetto, e l’accoglienza eh’ egli

a lui faeea, parte era confuso considerando la poten

za della casa e l’ opulenza della famiglia. Del resto do

po questa (82) mutua dichiarazione il giovane non se

parossi da Polibio, ed a tutto preferì la sua conversa

zione. ,-Î

XI. Da questo tempo in poi sperimentandosi di con

tinuo reciprocamente negli stessi affari, giunsero ad a

marsi l’ un l’ altro con amore paterno e di consangui

nei. La prima inclinazione e gara dell’ onesto che in lo

ro destossi , fu il procacciarsi lode di continenza, e a

vanzar in cotal parte quelli ch’erano della loro età. La

qual corona tanto insigne e difficil a conseguirsi , (83) ot

’tenevasi allora in Roma agevolmente pelle male pro

pensioni della maggior parte degli uomini. Impercioc

cbè quali ad amare fanciulli, quali a praticar meretrici

(84) tutti si abbandonavauo , molti (85) a canti osceni

ed a gozzoviglie ed a siffatte lussurie, (86) avendo ben

presto dato di piglio nella guerra Persica alla leggicrez

za de’ Greci in cotesto particolare. E tal fu l’intempe

ranza in cui circa queste faccende cadde la gioventù ,

che molti comperaromi il mignone per un talento. Il

qual tenore di vita , (87) quasi che dissi, risplendeva a’

tempi ora mentovati, primieramente perché, disfatta

essendo il regno Macedonico, l’ arbitrio d’ogni cosa

sembrava non poter essere loro disputato; poscia per

ché grandemente cresciuta era la prosperità così nelle

private sostanze come nelle cose pubbliche, quando re

cate furono a Roma (88) le ricchezze della Macedonia.

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467

19

Ma Scipione , trattosi all’ opposta ragione di vita, e pi?

gnando contro tutte le Iibidini, e rendendosi per ogni

modo consentanco ed unisono a sè medesimo, fece al

l’incirca (89) ne’ primi cinque anni universale la fama

della sue (90) compostezza e continenza. Indi applicossi

immantinente a superare gli altri in magnanimità e ca

stità nel maneggio de’ danari. Alla qual virtù egli ebbe

un (9!) bell’ ammaestramento nella convivenza col suo

(gz) padre carnale, comechè sortito già avesse dalla na

tura a ciò una grande inclinazione. Molto cooperòîan

eor (93) la fortuna a siffatto divisamento.

XII. Dapprima gli morì la madre del suo padre

d’ adozione , ch’ era sorella di suo padre carnale Lu

cio Emilio, e moglie di Scipione suo ave di adozione,

cognominato (96) il maggiore. Costei lasciata avendo una

grossa facoltà , ne fu egli l’ erede, e con essa era per

dare il primo saggio del suo animo. Soleva Emilia, (95) ché

questo era il nome dell’ anzidétta donna), (96) sfoggia

re con magnificenza nelle (97) pompe matronali , come

quella che in florida fortuna vissuta era con Scipione.

Imperciocchè, oltre all’ ornamento del corpo e del coc

chio, (98) la seguitavano canestri e tazze e le altre

cose tutte necessarie a’ sacrificii , quando d’ argento ,

quando d’oro, nelle più solenni pompe, ed a questi

teneva dietro la folla delle fantescbe e de’garzoni. Tut

to celeste apparecchio (99) donò Scipione subito do

po la sepoltura (1’ Emilia alla madre , la quale molto

tempo addietro (mo) erasi separata da Lucio Emilio,

e menava vita più ristretta di quello che si conveniva

alla nobiltàde’ suoi natali. Il perché essendo essa stata

là 4.

«

A. di R.

594

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200

1. di R. prima lontana dalle solenni pompe, celebrandosi allora

594 per avventura un insigne e popolare sacrificio, quando

uscì coll’ apparato e colla suppellettile di Emilia , ed

inoltre co’mulattieri e colla biga e (101) col cocchio

pensile che a quella avean appartenuti; le malrone che

vedeano la faccenda, stupefatte erano della bontà e ma

gnanimità di Scipione , e tutte stendendo le mani gli

auguravau ogni maggior bene. Ciò dappertutto sembra

to sarebbe un atto onesto , ma in Roma eziandio am

mirabile; (ma) perciocchè nessuno vi dà volentieri al

l’ altro alcuna parte delle sue sostanze. Così incomin

ciò a divulgarsi la fama della sua (103) onestà , e creb

be grandemente, mercè dell’ esser le femmine ciarliere

e (104) sazievoli in tutte le cose a cui si gettano.

XIII. Poscia doveva egli alle figlie di Scipione mag

giore, sorelle (105) del padre'adotlivo, pagare la metà

della'dote. Imperciocchè il padre (106) pattuito avea

di dar a ciascheduna delle figlie (107) cinquanta talen

ti; e di questi la madre subito diede a’ mariti la metà,

dell’ altra metà morendo rimase debitrice. Onde Scipio

ne dovette pagar questo debito alle sorelle del padre.

Ma siccome giusta le leggi de’ Romani hannosi a sbor

sare i danari dovuti per dote alle donne in tre anni,

poiché secondo il loro costume sonosi prima dati gli ad

dobbi avanti il decimo mese , così ordinò tosto al ban

chiere, di fare ad amendue il pagamento de’ venticinque

talenti entro dieci mesi.Ed essendosi (108) Tiberio Grac

co e Scipione Nasica (ché questi erano i mariti delle

anzidette donne), come prima decorsi furono i dieci

mesi, recati dal banchiere , ed avendoin chiesto, se Sci

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1"».

D3

‘J ’4

201

‘pione gli avesse qualche cosa ordinato circa i denari, A. di n,

e dicendo costui che sei prendessero, e (log) contan

do ad entrambiiventiciuque talenti: essi dissero eh’ee

gli errava, perciocchè al presente non tutta la somma,

ma la terza parte secondo la legge ricever doveano. E

replicando quegli che Scipione gli avea così ordinato;

non si fidando di lui andarono dal giovine, stimando

ch’ egli avesse sbagliato: (1 IO) nè a ciò s’indu'ssero sen

za ragione. Imperciocchè in Roma non che cinquanta

talenti avanti tre anni, non ne danno neppur uno innanzi

al giorno stabilito: tale e tanta è la diligenza che tutti

pongono nel danaro , ed il frutto che traggono dal tem

po. Recatisi pertanto da Scipione, ed interrogatolo

qual ordine avesse dato al banchiere; e dicendo egli,

di sborsar tutti i denari alle sorelle; gli risposero , m0

strandosi di lui solleciti, che andava errato; dappoichè

a tenor delle leggi permesso gli era di valersi de’dana

ri (1 I I) per buona pezza. Ma Scipione sosteneva di non

errare, e che cogli estranei ein esattamente osservava

le leggi, ma co’ parenti ed amici trattava, per quanto

era in lui, semplicemente e con generosità. Quindi gli

eccitava a prender tutto il danaro dal banchiere. Ti

berio e Nasica , ciò udito , zitti se ne andarono, atto

niti della magnanimità di Scipione , e condannando la,

propria (un) scrupolosità, quantunque a nessuno de’

Romani fossero inferiori.

XIV. Dopo due anni morto essendo il suo padre

carnale Lucio Emilio, e lasciando eredi della sua fa

coltà lui ed il fratello Fabio , fec’ egli un’ azione bella

e degna di memoria. Imperciocchè Lucio essendo sen

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202

A. di R. za figliuoli, per avere gli uni trasferiti in altre case, e

594 gli altri cb’ educati aveva ([13) a successori della sua

famiglia essendo tutti morti, a questo lasciò le sue so

stanze. Scipione, veggendo che il fratello avea una for

tuna più scarsa della sua, rinunziò a tutta la facoltà ,

(114) stimata meglio di sessanta talenti , affinché per tal

modo l’avere suo eguale fosse a quello di Fabio. Divul«

gatosi questo fatto, vi aggiunse un altro saggio più co

spicuo del suo animo. Imperciocchè volendo il fratello

dare ne’funerali del padre spettacolo (1’ accoltellanti,

né potendone sopportar la spesa pella quantità de’da

nari (115) che in quello si consumavano, Scipione vi

contribuì la metà dalle proprie sostanze. Ed ascende

siffatta spesa tutta, chi voglia far la cosa con magnifi

cenza, a niente meno che (x 16) trenta talenti. (I 17) Spar

sa che fu la fama di questa cesa, morì la madre di

Scipione; ed egli fu tanto lungi dal riprendersi ciò che

in addietro le avea donato, (118) intorno alla qual co

sa noi abbiamo testé parlato , che questi effetti n0n me

no che tutto il resto della facoltà diede alle sorelle, seb

bene niente di quella loro appartenesse (Hg) secondo

le leggi. Il perché avendo le’sorelle di lui nelle pubbli

che pompe preso l’ornamento e tutto l’ apparato di E

milia , rinovossi la fama della sua magnificenza e della

benevolenza verso i suoi. Essendosi adunque Publio

Scipione sino dalla prima gioventù siffattarnente prepa- ‘

rato, giunse ad acquistarsi gloria di continenza e di pro

bità. E spendendo forse sessanta talenti (ché tanto die

de fuori del suo) ebb’ egli da tutti lode di (12.0) onesta

bontà, ciò procacciaudosi non tanto pelle quantità da’

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. n 7203 “ii,

danari, che pell’ opportunità nel darli, e pel contegno A. di B.

nel conferire la grazia. Di continenza venne in grido 594

senza spender nulla, ma dilungando da sè molti e va

rii diletti, guadagnò inoltre la sanità e la buona com

plessione del corpo, la quale accompagnato avendolo

per tutta la vita molti piaceri ebelli compensi gli diede

(121) delle facili voluttà ond’ ein prima erasi astenuto.

XV. Resta la parte spettante alla fortezza , che in

ogni repubblica, ma singolarmente in Roma è la prin

cipale; e nella quale era mestieri di fare grandissimo e- '

sercizio. Ma a coteste sua impresa egregiamente coope

rò la fortuna. Imperciocchè siccome , (12.2.) i re di Mace

donia applicavansi con moltissima cura alla caccia , ed

iMacedoni (n.3) liberi lasciavano pella raccolta delle

fiere i luoghi più opportuni; così erano cotesti siti col

la medesima diligenza di prima custoditi, durante tutta

la guerra , ma per quattro anni punto non vi si caccia

va ,‘essendo il re da altri affari distratto ,laonde erano

pieni d’ogni maniera di selvaggine. Finita pertanto la

guerra , Lucio Emilio stimando che la caccia ed ottimo

esercizio e (124) sollazzo recherebbe alla gioventù, pre

sentò i cacciatori regii a Scipione, ed a lui diede tutta

la licenza della caccia. La quale avendo l’anzidetto ri

cevuta e credendosi quasi re, vi si occupò tutto il tem«

po che dopo l’ ultima battaglia rimase l’esercito in Ma

cedonia. Ed avendo egli in questo particolare amplissi

ma facoltà, (12.5) per modo che, essendo nel fiore del

l’ età , e per natura a ciò disposto , non altrimenti che

un giovip cane animoso con perseveranza traeva dietro

alla caccia. Il perché ritornato in Roma, ed aggiuntosi

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204

1. di B. al suo il fervore di Polibio a questa‘partc, quanto gli

594 altri giovani ne’giudizii e nelle (n.6) salutazioni s’ affan

navano, trattenendosi nel foro, ed ingegnandosi di racco

mandare sé stessi con ciò alla moltitudine, tanto Sci

pione aggiratosi nelle cacce, e facendo sempre qual

che c0sa d’ illustre e degno di memoria,ne riportò più

bella gloria degli altri. Imperciocchè questi non conse

guivano lode, se non offendevano qualche cittadino; ciò

solendo portar seco la ragione de’ giudizii; ma ein sen

za far male a nessuno, conciliavasi presso tutto il po

polo fama di valore gareggiando in lui i fatti(x 27) colla pub

blica voce. Perciò in breve tempo tanto avanzò i suoi

eguali, quanto nessuno giammai rammentasi tra i Ro

mani, sebben egli (n.8) nell’ amor della gloria cammi

nasse per una via affatto contraria a’ costumi ed ain

statuti de’ Romani.

XVI. lo mi sono molto disteso nell’ esposizione del

tenor di vita che seguì Scipione (mg) dalla prima gio

vinezza , stimando che siffatto racconto dilettevole sarà

a’ vecchi ed utile a’ giovani; ma sovrattutto per procac

ciar fede a quanto (130) sarò per dire intorno a lui ne’

libri appresso, affinché i leggitori, cui poscia strani sem

breranno gli avvenimenti a lui occorsi, al merito di

tant’ uomo non detraggano le felici geste con consiglio

operate, ed alla fortuna le attribuiscano, ignorando le

cause, donde ciascun fatto procedette, da pochissimi

in fuori, che ascriversi debbono alla fortuna ed al caso.

Avendo noi sin qui scorse queste cose per digressione,

ritorniam al punto della nostra narrazione, donde ci e

ravamo dipartiti. ’

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, 205 a i

XVlI. (13|) Dagli Ateniesiedagli Acheivennei‘o am- A. di R.

basciadori Tcarida e Stefano, pelle rappresaglie chiesteda’ Delii. Imperciocchè (13a) essendo stato a questi ri

sposto da’ Romani dopo ma ceduta l’isola agli Ate- Amb_’.,5

niesi, ch’ essi ne sgombrassero, e seco recassero le loro

sostanze; traspiantatisi in Acheale fattisi inscrivere cit

tadini , (133) vulcano eolà farsi render ragione dagli A

teniesi, (134) giusta il trattato che questi aveano cogli

Achei. Ma dicendo gli Ateniesi, che siffatto (135) rendi

mento di ragione non apparteneva a’ Delii, chiesero

questi dagli Achei che fossero loro concedute rappre

saglie contra gli Ateniesi. Sulla qual cosa mandata a

vendo allora un’ ambasceria, ebbero in risposta, che san

zionava il senato le disposizioni fatte dagli Achei secon

do le leggi intorno a" Delii.

XVIII. Poiché (136) gl’Issii (ed (137) i Daorsi) ebbe- A. di R.

ro sovente mandati ambasciadori a Roma, per significare, 5_96

come i Dalmati violavan il loro territorio, e le città aloro soggette, e queste erano (138) Epezio e Tragurio, Amb_’,,4

e_ facendo i Daorsi le stesse accuse; spedì il senato per

ambasciàdore (139)Cajo Fannio,affine d’esaminare gli

affari (140) dell’ llliria, e massimamente de’ Dalmati.

Questi ubbidiron a (141) Pleurato, fintantochè visse;

ma morto lui e succedutogli Genzio nel regno. ribella

ronsi da esso, fecero guerra a’ popoli confinanti , e sog

giogarono i vici1ii, de’ quali alcuni eziandio pagavan lo

ro tributo, ed era il tributo bestiame e frumento. Per

queste cagioni si partì Fannio.

15l’omino, 10m. ' r1n.

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206

.l. di R.

596

me. 126

XIX. Ritornato Caio Fannio dall’llliria, (142) significò

che tanto eran lungi i Dalmati dal soddisfare a quelli che

asserivano esser da loro continuamente offesi, che non

volean neppur udire farne parola, dicendo, che non a

vean nulla di comune co’Romani. Oltracciò espose, co

me ad essi non erasi dato (143) alloggio nè provndimen

to delle cose necessarie, ma che i Dalmati avean lo

ro perfino tolti colla forza i cavalli che presi avean da

(144) un’ altra città , ed erano pur pronti a metter loro

le mani addosso , se cedendo alle circostanze non se ne

fossero andati in tutto silenzio. Le quali cose ascoltate

avendo il senato con attenzione, pigliò sdegno della ca

parbietà e del mal talento de’ Dalmati, ma sovrattutto

stimò esser quello il tempo opportuno di far guerra agli

anzidetti per molte cagioui. Imperciocchè la parte del

l’ llliria volta all’Adriatico non era punto stata da loro

visitata, (145) dacchè avean espulso Demetrio Fario.

Né volean essi in alcun modo che gl’ltaliani si (146)ef

feminassero per lunga pace, dappoichè correva allora

il duodecimo anno dalla guerra di Perseo, e dalle fazio

ni in Macedonia. Il perché deliberarono di romper la

guerra a’summentovati, cosi per rinnovare quasi nella

propria gente l’ impeto e la buona disposizione, come

per costringere gl’ Illirii, spaventandoli , ad ubbidir a’

loro comandamenti. (147) Queste pertanto furonole cau

se , per cui i Romani guerreggiarouo co’ Dalmati, men

trecl1è agli estranei mostravano come pell’ ingiuria fat

ta a’ loro ambasciadori decisa avessero la guerra.

XX. Il re (148) Ariaratc venne a Roma, (149) es

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20

scudo ancora state. Allora poiché assunto ebbe il ma]

gistrato Sesto Giulio , fu ein a lui (15Q) nell’ arnese e

nell’aspetto che convenivasi (151) alla sua presente scia

gura. Erano pure da Demetrio venuti ambasciadori con

dotti da Milziade, acconciandosi ad _amendue i partiti;

percioecbè erano preparati a difendersi da Ariarate e ad

accusarlo ostilmente. Sped‘1 Oroferne ancor ambascia

dori, Timoteo e Diogene, che recavano (152) una co

roca a Roma, e rinnovar doveano l’amicizia e l’allean

za; ma singolarmente per stare a competenza con A

riarate, e difendersi da lui in alcune cose, in altre ac

cusarlo. (153) Ne’ privati abboccamenti pertanto Dioge

ne e Milziade la (154) sfoggiavano maggiormente, come

quelli che in molti venivan a paragone con un solo,

e vedevansi in florida sembianza contro uno ch’ era ab

battuto , ed eran eziandio assai superiori nella sposizio

ne delle cose 5 perciocchè francamente (155) tutto di

cevano ed a tutto rispondevano , Senza riguardo alla ve

rità; e ciò che dicevano , (156) non era soggetto a pro

va non avendovi chi si difendesse. Vincendo adunque

di leggieri la menzogna, (157) parve che il successo se

condasse la loro volontà.

Che Oroferne , avendo poco tempo regnatoin Cap'

padocia , e disprezzate le discipline patrie , introdusse

la lascivia (158) bacchica e delle arti teatrali, dice Po

libio nel libro trigesimo secondo.

' XXI. (159) Gli affari dell’Etolia erano in buono sta.

to, spento essendo fra di loro (160) l’ ammutinamcnto

2’!

I. di R.

5911

Ateneo

I. x,c. 11.

Estr- VaI.

(P?

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208

A.di R. civile dopo la morte di Licisco. E passato di questa vi

596 la (161) Mnasippo da Coronea, fu migliore la situazio

ne della Beozia; ed egualmente quella dell’ Acarnania,

tolto di mezzo Creme. Imperciocchè succedette quasi una

purificazione della Grecia, levati che furono da’vivi co

testi uomini pestiferi: chè l’epirota Carope ancora morì

peravventura lo (162.) stesso anno in Brindisi. Ma gli affa

ri dell'Epiro erano nello stesso sconvolgimento e disor

dine che furono ne’ tempi addietro per la crudeltà e

scelleratezza di Carope , dacchè ebbe fine la guerra con

Perseo. Imperciocchè separati ch’ ebbe (163) Lucio A

nicio gli uomini più illustri, licenziando gli uni, e con

ducendo gli altri a Roma , per poco che fossero sospet

ti; (164) Car0pe avuta la facoltà di far ciò che volea,

commise ogni genere (l’ iniquità, parte da sè, parte per

mezzo degli amici, come colui ch’ era assai giovine, ed

a cui erano concorsi gli uomini più malvagi e leggieri,

affine d’ appropriarsi l’altrui bene. Aggiugnevagli,come

(165) presidio e peso alla fede (1’ operar secondo una

certa ragione , e coll’ approvazione de’ Romani, l’ ami

cizia ch’ egli (166)-c0n questi avea avuta , ed-inoltre

con Mirtone e suo figlio Nicanore; iqnali del resto es

sendo uomini dabbene e reputati da’Romani , e ne’ tem

pi addietro molto alieni da ogni ingiustizia, non so co

me allora si diedero a coadiuvar Carope ed a farsi so

cii delle sue scelleratezze. Ma poiché il medesimo chi

in piazza pubblicamente uccise, chi nelle proprie case ,

ehi assassinar fece nelle campagne, e pelle strade , e

(167) le sostanze de’ morti rapi , introdusse ancor un"al

tra macchina. Imperciocchè cacciò in bando i più opu

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20’9’

lenti, non solo uomini, ma donne ancora. E questo A. di R.

terrore incutendo , gli uomini spogliava da sè, le'don

ne per mezzo di sua madre Filotide. Era costei del tut

to acconcia a (168) siffatta figura, e più che a femmi

na non s’ appartiene possente di cooperar ad alti di

violenza.

XXII. Poiché da tutti , per quanto era in loro, mun

se_roi danari, niente di meno trassero innanzi al popo

lo tuttii proscritti. La moltitudine nella città dl(169) Fe

nice, parte per paura , parte adescata dalla fazione di

Carope, condannò tutti coloro che furono denun

ziati come aventi l’ animo alieno da’ Romani, non al

1’ esilio, ma alla morte. Costoro adunque andaron tut

ti in bando, (170) allorquando Carope recossi in fretta

a Roma co’(171)danari in compagnia di Mirtohe , di

visando di far porre il suggello alla sita scelleratezza dal

senato. Nel qual tempo apparve un bellissimo esempio

delle massime de’ Romani, ed un dolcissimo spettaco

lo a’ Greci che colà soggiornavano , massimamente

a quelli che vi erano stati chiamati. Imperciocchè

Marco Emilio Lepido, ch’ era pontefice massinio e

(172.) principe del senato, e Lucio Emilio , colui che

vinse Perseo , ed avea la maggior autorità e potenza,

sentendo le cose operate da Carope in Epiro , nol la

sciarono entrar nelle loro case. La qual cosa essendosi

divulgate , tutti i Greci che in Roma trovavansi n’eran

oltremodo lieti, lodando a cielo l’ odio de’ Romaniver

so i malvagi. Entrato poscia Carope nel senato , que

3?

596

sto (173) non acconsenti alle sue richieste , nè volle dar ..

una espressa risposta; ma disse che incaricherebbe gli

(,N

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2 IO

À. di R.

596

EstrJ’sl.

A. di R.

598

ambasciadori che avrebbe mandati, d‘esaminare quan

to era accaduto. Carope ritiratosi , tacque cotesta ri

sposta, ma ne scrisse una adattata (174) al suo pr0p0

nimento, annunziando che i Romani approvavano le

cose da lui fatte.

XXIII. (175) Il re Eumene avea il corpo imbecille,

(176) ma col vigore dell’ anima vi resisteva‘, come que

gli che nella maggior parte delle cose non era inferio

re a qualsivoglia re de’ suoi tempi, ma nelle più impor

tanti ed egregie più grande e più splendido. Costui pri

mieramente , (177) ricevuto avendo dal padre il regno

a poche e meschine cittadella ristretto, fece il suo go

verno pari alle maggiori signorie della sua età ;‘ non

giovandosi gran fatto della fortuna, né per caso, ma

per via della sua sagacità ed industria, e delle cose da

lui operate. In secondo luogo fu amantissimo di gloria,

e molte città greche beneficò, e molti uomini in parti

colare (178)impinguò che non alcun re de’ suoi tempi.

Per ultimo (17g) avendo tre fratelli e per anni e per a

bilità idonei agli affari; li conteune tutti in ubbidienza

e rassegnazione , e gli ebbe a sostegni della dignità reale.

La che ben di rado trovasi che sia accaduto.

Attalo, fratello d’Eumene , avuto il supremo pote

re , diede il primo saggio del suo animo e della sua in

dustria (180) restituendo Ariarate nel regno.

XXIV. (181) Intorno a quel tempo venuti essendo

ambasciadori dall’ Epiro , da parte di quelli che tene

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2 211'

vano Fenice, e de’ fuorusciti , ed avendo recitati i loro A. di A

discorsi (18:1) in presenza 3 il senato rispose loro, che da- 5_98

v

rebbe su ciò incumbenza ain ambasciadori mandati nel- "ml"

s - - . . cr.v,4l lllma con Calo Marmo. Amb_ "7

_..

XXV. (183) Prusia poiché vinse Attalo, ed‘acco- Est,_y,,|_

stossi a Pergamo,apparecchiato un suntuoso sacrifizio

nvviossi al tempio d‘ Escnlapio,ed avendo immolati bo

vi, e conseguito un prospero augurio, se ne ritornò nel

campo; ma il giorno appresso condotto il suo esercito

al (184) Niceforio, guastò tutti i templi, ed i sacrarii

degli Dei, e spogliolli delle immagini ancora e delle sta

tue di pietra. Finalmente levò e portò secola statua (1’ E

sculapio lavorata egregiamente (185) da Filomaco, cui il

giorno antecedente immolò vittime ed offer'1 voti, pregan

dolo, conform’era ragionevole, d’essergli propizio ebene

volo (186) pertuttii versi. lo pertanto siffatto disp0sizioni

ho già in addietro (187) altrove, quando parlaidi Filippo,

chiamatefuribonde.lruperciocchè sacrificarealNumeeper

tal via propiziarlo. prostrandosi ed orando con fervore

innanzi alle (188) sacre mense ed agli altari, conforme

Prusia avea costume di fare, ginocchiòni e donnesca

mente, ed insieme (18g) guastar queste cose, e col loro

corrompimento insultar agl’ Iddiigcome non dirassi es

sere opere coteste d’animo rabbioso, e di mente affat

to perduta di senno? E ciò allora fece Prusia. Concios

siachè,non avendo egli (190) niente che degno fosse d’uo

mo valoroso eseguito nell’ assalto di Pergamo, condu

cesse l’esercito in (191) Elea, vilmente e con animo fem

minile trattando le cose umane edivine. Ed avendo ten

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212

A. di R. tata Elea, e' fatti alcuni assalti, nè potendo conseguir

598 nulla, perciocchè Sosandro compagno di educazione del

re entratovi con gente respinti avea i suoi attacchi,

(192.) mosse per alla volta di Tiatira. Nel ritorno spo

gliò a viva forza il tempio di Diana in (193) Geracoma;

così pure quello (194) d’ Apollo Cinio presso (195) Te

mno, né spogliollo soltanto, ma lo guastò col fuoco.Ed

avendo queste cose praticate si ridusse a casa, poi

ch’ ebbe fatta guerra non solo agli uomini, ma agli Dei

ancora. Pali l’ esercito terrestre di Prusia nel ritorno .

fame e dissenteria, a tale, ch’ ei sembrava, che per co

teste cagioni incontanente (196) colpito lo avesse l’ira

di qualche Nume.

XXVI. Attalo sconfitto da Prusia elesse il fratello

Ateneo , e spedillo con (197) Publio Lentulo, per espor

re al senato l’accaduto : ché i Romani,venuto (198) An

dronico colla nuova della prima invasione de’ nemici,

non vi badarono, ma sospettavano che Attalo, volendo

attaccare Prusia, acconciasse pretesti, ed il prevenisse

con accuse. Ed avendo ad un tempo (199) Nicomede

e gli ambasciadori di Prusia venuti con Antifilo assicu

rato nessuna di queste cose esser vere ; tanto meno cre

deva il senato a quanto riferivasi circa Prusia. Dopo

qualche tempo essendosi la faccenda vie meglio chiarita,

vennero i padri in dubbio circa le nuove che giugne

vano, (2.00) e mandarono ambasciadori Lucio Apulejo

e Caio Petronio per esaminare com’ erano gli affari de’

re anzidetti. '

. FINE DEGLI AVANZI DEL LIBRO THIGESIMOSECONDO.

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45’(

.Cl'l

SOMMARIO

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOSECONDO.

AVVENIMENTI orzz’amvo D! Rosu. DXCIII.

Amuscuooaz de' Tolomei a Roma. -Decrelo del senato. -

P. Apuslio e C. Lenlulo ambasciadori (S I). - Lite di Ma

sinissa co’Carlnginesi circa gli emporiirlella Sirte minore. -

Sentenza ingiusta de’ Romani. - Afiernlo. - I Carlaginesi

perdono gliEmporii Il). - Prusia ed Eumene. - Ariarate

(S III). - Demetrio è salutato re da’ Romani. ‘- Tiberio Grac

co gli è favorevole. - [sacrale critico (S IV). -

AVVENIMENTI usu.’ A. n! R. DXCIV.

Ambascimlori d’Ariarale. - Jltalo viene a Roma V). -

Il senato accetta la corona mandata da Demetrio, ma non gli

uomini condotti. - [sacrale grammatica (8 VI). - Lettino fa

natico. - [sacrale fil di sèa Roma orrido spellacolo. - Let

tine non s’ inganna nella sua speranza. - Risposta del senato.

- Ambasceria dein Achei per chiedere la liberlà de’ bandi

ti (S VII). - .

Astinenza di Emilio l’aula (S VIII). - Gloria anticipata di

Scipione Emiliano. - Amicizia stretta con Polibio. - Discor

so di Scipione a Polibio (S IX). - Risposta di questo. - Re

plica di Scipione - di Polibio (S X). - Pregi del giovane Sci

pione. - Lussuria de’ giovani romani dopo la guerra di Per

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a 14

seo. - Moderlin e con!inenz.a di Scipione. - Sua Iibernlilà ed

astinenza (S XI). - Morte di Emilia. - Pompe matronnli. -

Madre di Scipione. - Le matrona [odono Scipione (S XII). -

Generasilà di Scipione verso le zie. - Legge da’ Romani cir

ca la dote. - Tiberio Gi-ncco e Scipione Nasicn generi di Sci

pione nmggiore. - Ammirano la liberalità di Scipione mino

re (S XIII). - Morte di Lucio Emilio. - Liberalilà di Sci

pione verso il fratello Fabio. - Spesa del giuoco de’glmlia

lori. - Liberalilà verso le sorelle. - Conlinenm (li Scipione

causa della sua robuslez.zn (S XIV). - Esercizio di lui nel va

lore. - Polibio compagno di Scipione nella caccia (S XV). -

Molivi che indussero Polibio a questa digressione XVI).

AVVENIMENTI LINEA. DI. R. DXCV.

I Delii trasmigrnnonell‘flchea. - Chieggono rappresaglie

contro gli Aleniesi (S XVII.

AVVENIMENTI DELL’A. DI R. DXCVI.

Gl’ Issii ed i Daorsi lagnansi de’Dalmali. - C. Fannio

nmbasciadore. - I Dalmali (S XVIII).

AVVENIMENTI DELL’ A. DI. R. DXCVII.

Fannio è male ricevuto da’ Dalmali. - I Romani dichiara

no a‘ Dalmati la guerra XIX). - Arinmle. - Seslo Giulio

console. - measciodori di Demetrio. - Oro/èrne re della

Cappadocia. - V’inlrodnce una licenza baccl1icn (Sl XX). -

Mmjono l'elalo Licisco - il beozio Mnasippo - l’ acar

nane Creme - l’ epirola Carope. - Malvngità di Carope. -

Mirlone e Nicnnore socii di Carope. - La madre njulnlrice

della ma crudeltà (S XXI). - Fenice cillir dell’ Epiro. - Ca

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rape va a Roma. - Vi è svergognnlo. - Falsa un decreto del ‘

senalo (S XXII). - Elogio del re Eumene. - Allalo rimelle

Arlarnle ( SXXIII)

AVVENIMENTI DELL’A. D! R. DXCVIII.

Ambascfadori da Fenice rlell’ Epiro. - C. Marcio console

(SXXIV. - Allalo vinlorla Prusia. - Prusia infuria conlroi

templi. - Elea. -- Tiah'ra. - Geracome. -- Apollo Cinio in

Temno (S XXV). - Ateneo, fratello di Allalo. Ambasciazlore

a Roma. - Ambasciadori romani in Asia (S XXVI).

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ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRENTESIMOSECONDO.

_<,nc>_

Gli avvenimenti narrati da Polibio nel presente libro erano

stati trattati da Livio ne’ libri un e xr.vu, conforme scorgesi

delle epitomi che ne rimangono. Il tempo ch’esso abbraccia è

dall’anno 595 di Roma sino al 598,acccnnato nel secondo degli

anzidetti compendj , dappoichè in esso fu \console C. Marcio Fi

gulo che vi si riscontra , nominato alla fine del cap.‘nt. Ciò si

accorda con quanto lo Schweigh. trovò notato nel margine del

cod. Urbinate e del Bav. all’ ambascerie mg, colla quale incomin

cia il lib. xxxm.

(i) Camuno. V. xxxr, 27.

(a) Menillo. Ricorda 1’ Orsini, come 1’ ambasciadore di To

lemeo è qui nominato Menillo, mentrechè negli altri luoghi has

Si, secondo il suo parere , a leggere Menilillo, quasichè in que

sto frammento egli non disapprovasse l’ altra lezione. Circa co

testo nome consultisi la nota 126 al libro antecedente.

(5) Tito Torquato e Gneo Merula. Nel testo non leggonsi

che i pronomi Tito e Gneo , ma dal principio de’ capitoli 26 e '27

del Iib.xxx1, rilevansi i loro cognomi, che io ho aggiunti seguen

do le Schweigh.

(4) Piacque alsenalo cc. Dal lib. xxx1, cc. 18 e'26, osservasi

che i Romani imposto aveano a’ due fratelli di fare tra loro la

pace, concedendo al maggiore 1’ Egitto, ed al minore Cipro ol

tre alla Circnea; ma che il maggiore ricusò di consegnare Cipro

all’altro, e lo cacciò eziandio da Cirene, mandando soccorsi a’

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2,;j'24!

suoi abitanti ch’- eransi da lui ribellati. Quindi il senato, che

come arbitro giudicata avea questa controversia, a buon diritto

sostenevala causa del minore; comechè il maggiore amato da? ’

sudditi, e cui per prerogativa di successione spettava il possesso

di tutti i paesi lasciati dal padre, preponderasse nella bilancia

del'giusto. E notò già il ‘Nostro nel primo de’luoghi testé cita

ti, come i Romani in questa divisione gratificarono il minore T0f

lemeo , non per meriti ch’ egli avesse , sibbene per il loro pro

prio‘vantaggio, non volendo che al maggiore toccasse tanta par-‘

te del regno che renduto l’avrebbe di soverchio potente.

(5) Di far uscire. Nel greco la a'aro7pizzn, andarsene (che

'se ne andasse ) correndo, capressione zotica, anziché no, alla qualeI io sostituirei ain'lpiaruv ovveramente èa-orrpîqu nel senso di

. mandar via, discacciare.

(6) Apustio. Correzione dell' Orsini che trovato avea nel suo

cod. 'Anuiflnr (Astubio Il Casaub. ne profitti), siccome di

molte altre emenflazioni del commentatore italiano, cui non ren

dette il dovutov merito. Parecchi individui della famiglia Apostia

sono ramoientati nella storia di Livio.

(7) A Tolemeo. Era il minore, del quale qui trattasi, stato

vinto in battaglia da' Cirenei (anno, 26 alla fine); il perché non

è probabile ch’ egli ancora colà stanziasse, ma doveva esser rien

trato in Egitto arrestondosi a’ confini. Non è dunque da prendersi

in senso rigoroso l’in fl‘u Kupn’nn nella (provincia di) Ci

rene. '

(8) Masinìssa. E “Polibio e Appiano (Punic. 67) scrivono

Manmaìmpr (Massauasse ); ma io mi sono attenuto alla scrit

tura latina, che dovrebbe più avvicinarsi alla originale , come

quella che i Romani al certo meglio de’ Greci conoscevano.

(g) Sirti minore. Per ben comprendere la situazione di que

sta Sirti e degli Emporii egli è necessario consultarpparagonare

tra di loro le relazioni che ne danno i geografi e gli storici an

tichi. - Di volo toccheremo la etimologia della voce Sirti che

derivata da n':fiu , trarre , slra:cinare , significa i banchi che

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918

colò l'ormansi dall’ arena e da’ sassi che vi sono tratti dalle onde

sollevate da’ Venti, per cui la navigazione rendesi in que’ golfi som

mamente pericolosa. - La descrizione pertanto che ne porgeva

il Nostro dehh’ essere stata precisa, ma è disgraziatamente perduta,

tranne le poche tracce che ne abbiamo qui e nel lib. m , 25, e

di quanto ce ne ha conservato Plinio ( v, 5, L) circa la distan

za della Sirte minore da Cartagine e le sue dimensioni. Sallitstio

( bell. lugurt. 19, 78 ), Strabone (xvu, p. 855 )e Plinio (I. c.)

notano lo spazio tra le due Sirti , e vi collocano la città deno

minuta Lepti mggiore (che la minore era tra la Sirte piccola e

Cartagine); ma secondo Polibio in questo luogo , Livio (xxnv,

6'), ) e Tolemeo (IV, 3) catasto spazio appartiene alla Sirte mi

nore. La città poi di Lepti è, giusta Livio, unica su quella spiag

gia, e al dire di Tolemeo e di Strabone chiamavasi ancora Nea

pali, laddove Plinio ne fa due città. - Che diremo di Solino il

quale (Polyhist., c. 30) pone tra le due Sirti la regione Cirenese?

- Quanto è agli Emporii, dovean essi, standoa Livio, estender

si nell’ interno del paese tra le due Sirti intorno a Lepti. ch' e

ra il deposito sul mare de’ loro ricchi prodotti. « Emporia, so

no le sue parole, vocaut eam regionem: ora est minoris

Syrtis et agri uberi: una civitas ejus Leplis. Ma, al dire

di Polibio, molte erano le città coli: fabbricate, lo che indi

cherebbe ch’egli non accennasse alla costa tra le Sirti situata ,

dove queste scarseggiavano , e forse una sola ve n' era, sibbene

al seno medesimo di questa Sirte. ed in tale ipotesi converrebbe

assegnare agli Emporii una contrada a questo seno più vicina, la

quale altro non potrebb‘ essere che Bisacio , la Bizacitide di

Tolemeo, secondo Plinio (I. c.) di una esimia fertilità , a tale

che rendeva il cento per uno. I primi di questi Emporii proba

bil è che corrispondano al Fezzan d' oggidì, paese tributario del

la reggenza di Tunisi, e molto fertile di datteri, di grani e di

bestiami; ed i secondi alla parte occidentale della stessa reggen

za , egualmente assai feconda. Per avviso di Renell e di Larcher

(V. Pinkerton géorg. traduite par Walckenaer. T. VI, p. 346) sa

rebbe il Fezzan là dov’ erano gli antichi Garamauti, ma la terra

di costoro era, a detta di Strabone (xvu, p. 859 ) , arida.

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alo/“3

(lo) Stuzzicnre. Questo verbo ho creduto corrispondere al

aerawupî{nn del testo, che i traduttori latini voltarono in pa

Iientiani tentare, e che propriamente è affender alcuno legger

mente con anima di provocarlo, e trarre dal suo risentimento

diritto di o/]iznderlo maggiormente. Questo è‘ ciò che allora Ma

sinissa praticava verso i Cartaginesi.

(in) Per cagione della lunga pace. Finì la seconda guerra

punica l’anno di Roma 555 sotto i consoli Gn. Cornelio Len

tulo e P. Elio Pelo dell’era Varroniana , cioè l’anno 549 del

l' era di Polibio (V. Liv. , nx , 44 ; Polib., xvr , 15, nota 135 ).

Correndo pertanto al tempo degli avvenimenti qui esposti l’a. di

R. 595 Varroniano , 589 Polibiano, ne segue che i Cartaginesi

vivean allora da quarant’ anni in pace.

(12) Non per giustizia cc. Era certamente cosa utile a’ Ro

mani il gratificarsi un emulo de’ Cartaginesi qual era Maainissa,

onde averlo alleato nel caso che si fosse riaccesa la guerra tra lo

ro e questo popolo, siccome infatti avvenne nella terza guerra pu

nica, dove trassero gran partito dall’ amicizia di questo re. E qui

noli5i con quanta franchezza Polibio censuri la condotta de’Ro

mani verso le nazioni straniere , le cui contese decidevano non

sulla norma del giusto, ma mirando afproprii vantaggi. Cosi ve

demmo nel libro antecedente (c. 12 ) come erano contrarii al- |

l'equa richiesta che Demetrio loro faceva di essere collocato sul

trono paterno, col divisamcnto di disporre a loro talento del

regno di Siria, signoreggiuto da un fanciullo. - La Storia di tutti

i tempi c’ insegna che presso i popoli conquistatori la politica va

di rado unita alla' morale , e che onesti riputati sono i partiti che

presentano la maggior utilità.

(15) Imperciocché avea ec. Qui è additata l’ origine della

contesa tra Masinissa ed i Cartaginesi, che proruppe poscia in a

perta guerra, lo che indica abbastanza la congiunzione ‘nnl, equi

valente a dappoichè, giacché. Non capisco pertanto come lo

Schwcigh. abbia potuto disapprovare l’ articolo fai; (zpa'nil)

siccome iUCOIDO(lO , sostituendovi ami, ancora; quasichèin tem_

pi da quelli remoti, per altro motivo que’due potentati fossero

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220

tra loro venuti in discordia, la qual cosa non apparisee che fos

se accaduta.

(l4) Afliralo. Non piat:que catasto nome all‘ Orsini, che a

vrebbe potuto cangiare in Ajfire (Aphiris) come lo scrive Li

vio (xxxw, 62 ) , o in Arthiri: recato secondo lo Schweigh. dal

solo codice di Magonza. Impossibile sembrami a decidersi sif

fatta d’ altronde inutile quistione , trattandosi di un nome nu

mida.

US) Siccome per quella che a lui non apparteneva. Da Li

vio (I. c.) sappiamo che Scipione vincitore avea in questa stessa

campagna determinati i confini d’amendue; quindi è chiaro che

Masinissa inseguendo il duce ribelle passar dovea per il territorio

Cartaginese, ch'egli dapprincipio per tale conosceva, avendo do

mandato al governo di Cartagine il permesso di varcarlo. Ma fatto

sta che, conforme osserva lo stesso Livio, l’affare sarebbesi ben

presto spacciato coll’interveuto del solo Scipione, perla cognizione

ch' egli avea della cosa e per la sua autorità. Il senato pertanto,

a detta dello storico romano, lasciò l’ affare sospeso , dopo aver

mandata un’ ambasceria per esaminarlo, lo che non 5’ accorda con

quanto dice il Nostro che la lite fu terminata con danno {de’

Cartaginesi. Forse fu fatta l’ ultima decisione poiché venne da

Roma una seconda ambasciata che trovasi toccata nella epitome

del libro XLVII con queste parole : Missi a scuola qui inter Ma

sinissam et Carlhagìncnses de agro judicarent.

(16) Dal lampo ec- Secondo Livio (l. e.) i Cartaginesi percepi

vano dagli Emporii un talento al giorno ; quindi durava quella con

tesa, sino al di in cui la decisero i Romani, cinquecento giorni, o

dir vogliamo 16 mesi e 20 giorni. La scrittura vulgata 7îr ucp

mu73vx'lun , del frutto de’ tempi, difesa dallo Schwèigh.

mutò il Reislte in 75| zaiva o zar/m (de’ luoghi)e con m

gione , percioccbè il frutto non cavasi già da’ tempi ma da’luo

ghi. che il producono, e l’22 ti che segue indica abbastanza che

questo frutto dovea calcolarsi da una certa epoca.

(I?) Equesti vicendevolmente il fratello. Senza verun bisogno

ha qui lo Schweigh. fatto delle trasposizioni e delle alterazioni

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dei vocaboli, donde risulta questo Volgm‘izzamento : E questi vi

cendevolmente nannò (ifawinuhur) il fratello Altalo , peì‘

(IÙ'èndersi dalle accuse. Ariarate authò (’e’m‘ml‘s )a Roma una

corana di diecimila monete d’ ora ed ambasciadori cc. Gli suo

navano male tanto vicini in un periodo due verbi 'sfesirr

6thu:,'isri|w41| ), che significano la\ stessa cosa; ma Polibio non

avea questi scrupoli, ad a me sembra che nell’ italiano ancora non

rechi fastidio questa maniera di ripetizione.

(i8) Tiberio. Circa l’ambasciata di Tiberio Gracco in Asia

vedi xxx1, a5.

(ig) E ch’egli era pronto ec. Quanto è a me avrei omesse

le parole xeSo'Aau wapazuÀia‘ntr7ns dica-aprir (e in somma

per eccitarlo a fargli sapere), che non ha 1’ edizione dell’ Orsi

ni; ma avrei ancora cancellate le altre iur‘rp al; in 6iuvra: che

seguono, sebbene dall’ Orsini conservfle. Ed infatti lo stesso Ca

saubono che ha forse introdotte le prime da qualche codice ch’ egli

aVea sott’ occhi, non le tradusse, e nol fece neppure lo Schweigh.

Sono esse al tutto assurde , giacché non è da sopporsi che A

riarate chiesto avesse al senato di manifestarin ciò di cui esso

senato da lui abbisognava, e , quand’ anche ciò fosse stato, non

ne derivava la conseguenza (du'7: ) ch’egli era disposto a fare i

loro comandamenti, i quali non erano certamente dettati da nes

sun bisogno che avessero i Romani. Così ho dato al 64571 il sem

plice senso di che (quod ), da Polibio Spesso attribuito a questa

congiunzione.

(no) Menocari. « Amico di Demetrio il quale, fuggito da Ro

ma, erasi appropriato il regno di Siria, e mandato l’ avea a Grac

co ed agli altri ambasciadori romani ch’erano in Asia per esplo

rare la volontà di questi. Nel cap. 6 il veggiamo nuovamente in

viato a Roma dallo stesso Demetrio. » Sch’weigh.

(ai) Assumendo. L’tralzv'puos che ha qui il Nostro e cui

precisamente corrisponde il verbo col quale l’abbiam espresso è

più che il promiltens de’ traduttori latini, ed equivale proprio

Pontino , tam. nu. 16 '

___._h-hu Ùm°_rzv_’fi'fl f « : f

»4w

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222

a suscipìens, in se recipiens, ch’ è quanto pigliando l’incarico

con obbligare l’onore, la fede.

(un) Gli riuscì. Bene si oppose lo SchWeigh. a ristabilire

l’ i2upyén'la che qui reca il cod. dell’ Orsini, eche , questi inel

tamente mutò nel congiuntivo ifiupyénu'la, donde il Casaub.

a sproposito fatto avea ’tfiupyémfle in plurale.

(25) Molto nflèzionnto. Tiberio era stato capo dell’ambascia

ta che i Romani mandata aveano in Asia per far esaminare gli

affari di que' potentati, ed essere testimone oculare delle mene di

Demetrio. Ora essendosi egli convinto del mal governo della Si

ria sotto il re fanciullo e gl’ infedeli amministratori, e conosciu

ta l’ affezione del popolo verso Demetrio che se ne mostrava de

gno, il prese a proteggere, e fu cagione principale del suo perve

nimento al trono (xxxr, 25 verso la fine

(al) Afarlo pervenire al possesso. Hp‘or 7‘o aa.9nueSau

x.ul x7»’me9m . ._ u’w7fi‘, scrisse il Nostro, che letteralmente suone

rebbe: A conseguir ed acquistare a lui, senso che mi sono in

gegnato di esprimere con qualche proprietà di termini. Lunga e

' poco conveniente sembrami la parafrasi de’ traduttori latini: Plu

rimum illum adiuvit ad impetrandum quod cupiebat, et ad jus

regni ci conciliandum (molto lo aiutò ad impetrare ciò che bra

mava, ed a procacciarin il diritto del regno). 'A'xi‘, èveramente

potestà suprema qual’ io l’ ho renduta.

(15) Il critico Isocrate. Nel cap. 6 di questo libro, dove lo

troviamo chiamato grammatico, è spiegata la sua professione ed

esposto il delitto per cui fu mandato a Roma coll’uccisore di 0t

tavio. c Critici (dice a questo luogo il Reiske) appellavano gli

antichi gl’ interpreti di tutti gli autori de’ secoli r'emoti, singolar

mente di Omero ed imaestri di scuola. a Filolagi diconsi oggi

dì , in senso diverso da quello che loro attribuivano i Greci,

presso cui significava questo vocabolo amatore degli studii , delle

disputazioni scientifiche , cultore della filosofia e delle lettere.

(26) Intorno a quel tempo ec. Nel cap. 5 è accennata la spe

dizione chc di questi ambasciadori fece Ariarate, e ciò sembra

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aa3ii aài/ '

che avvenisse nella primavera o nel principio della state dell’ a.

di R. 595, dappoichè tosto leggiamo ch’ essi licenziati furono nel

I’ autunno dello stesso anno.

(27) Citavano cc. La lezione volgata ’nripvrn'lo (mandavano)

affatto assurda era già sospetta al Casaub. che vi pose innanzi

un asterisco e tradusse cilabant. Il Gronovio ne fece giudiziosa

mente ixuiiw7a, ed ebbe a seguace il Beislte. Lo Schweigb. ri

conobbe il suo torto di non aver accolto nel testo siffatta emen

dazione. Potevasi forse sostituire con maggior proprietà ampiam

Aiuv'la,, ’trrn'oavla; ma non è da disapprovarsi la scelta di un

vocabolo che più si avvicina al viziato, siccome imuîn'la ad

iwipru'lo, comechè sia in cotal senso meno usitato.

(a8) Con grande favore. Mi7b piyéaa; znip17as; della dif

ferenza che da zaisz passa a zup7a; nella medesima frase ab

biamo ragionato nella nota 116 al lib. xxu. Qui al certo non

converrebbe zafi; che ha il cod. Bav., trattandosi di una grazia

che accordi) il senato ad Ariarate in accettando il dono manda

togli.

(ag) Il bastone. Male spiega lo Schweigb. nelle note Te; ne

a-imu sceplrum eburneum, regi: insigne Bax7np/u, paifidot' lo

interpreta Esicbio, pia-7.“ Suida; espressioni che valgono basto

ne, bacchetta, verga, non altrimenti lo scettro, distintivo in ma

no a’ regnanti, e come tale da’Romani non tenuto in gran con

to. L’ eburneo bastone pertanto impugnavasida’duci romani nel

le pompe trionfali, e sopra una seggiola ;‘ la stessa materia a.

dagiavansi i primi maestrati, che percil chiamavansi cnrules.

Quindi il senato con siffatti doni intendeva di conferire a' re cui

li mandava le più sublimi dignità, e di onorarli al maggior

segno.

(30) Quando i consoli ec. Cioè nel mese di Marzo, passato

l'inverno , adunque nell’ anno nuovo posteriore a quello in cui

erano stati ricevuti gli ambasciadori di Ariarate. La osservazione

dello Scbweigh. che le gesto dell’inverno sono sempre da Poli

bio narrate tra le cose dell' anno che segue è qui fuor di luogo.

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Che se vera è, come sembra, la lezione volgata i'fl srp‘a 7.6 zu

143"; (quando non era ancor incominciato l’ inverno), non

v’ebbe in questa stagione ricevimento d’ambasciate. Ma se, confor

me senza motivo suppone lo Schweigh. nelle note appiè di pa

gina, bassi a legger in 705 zupfinr (nel corso dell’inverno)

convien credere che la legazione di Attalo tenesse subito dietro

a quella del re di Cappadocia, ed il Nostro non avrebbe lascia

to (1’ indicarlo , siccom’egli indicò il subitaueo licenziamento del

l’ altra.

(5|) Accusandolo. Trovasi già fatta menzione di questa accu

sa qui sopra al cap. 5.

(5a) Accarezzava. Bene cangiò l’ Orsini il c0rrotto iqbnla

xu'u7o( lavorava , affaticavasi con amore) in Ì@lÀa@parît7e (gli

dimostrò autorevolezza); ma lo SchWeigh. credette di far meglio

scrivendo i@iAuruii7°, recato dal cod. Bav., ch’è verbo già usato

da Polibio. E pertanto @iAoa-oni'a9m 74m rendersi alcuno «

mico, ed in tal senso manifestamente lo adoperò il Nostro nel

lib. in, 42, dov’ein riferisce come Annibale con ogni mezzo si

rendetle amici ( pinerusn'ipinr) coloro che abitavano intorno

al Rodano. I Romani al certo non avean bisogno di procacciarsi

l’ amicizia di Attalo da loro protetto, sibbene della propria ver

so di lui gli davano segni accarezzandolo. Quindi stimo che sia

da preferirsi la correzione dell‘ Orsini. .

(55) Menocari ed altri. v. sopra la nota '10 tratta dalla

Schweigh. Appiano (Syriac. 47), narra queste cose in compen

dio, e non rammenta lsocrate condotto a Roma con Leptine uc

cisore di Ottavio.

(54) Ma gli uomini. Dice Appiano (l. e. ) che i Romani non

accettarono 1’ uccisore, perciocchè assegnarne voleano il processo

a’ Sirii. Da quanto asserisce il Nostro nel cap. 7, appare che que

sta non fosse la intenzione del senato, il quale volea lasciarli nel

le \manl di Demetrio, per punirli a tempo più opportuno.

(55) Che danno pubbliche lezioni. Nel lib. xxxr, c. 5. riscon

trammo la voce ɻpaaifsa7ct , ed osservammo nella correspettivai

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225

nota al che cosi esprimevano i Greci il recitare in prosa non

meno che il cantar versi. Ma 1’ inquina che qui leggesi è sem

pre relativa al recitar della prosa, anzi di quella esclusivamente

che tratta di qualche scienza che il lettore insegna. Quindi èefm

_7n'pnv è il luogo dove si eseguiscono coteste letture, ed a'nipui.

rasa-9m, ànfaé09m l’assistere che vi fanno gli uditori, conforme

bassi da Esichio.

(36) Saeievole. lo avrei potuto rendere il nu'laxopi: per

rincrescevole, fastidioso, ma la voce che ho preferita, di otti

mo conio italiano , è la precisa traduzione della greca.

(57) Alceo. u Sembra costui essere stato il filosofo epicureo

che insieme con altri della sua setta fu cacciato da Roma l’ anno

58 t, secondo che riferisce Ateneo ( xn, p. 547 ), ed Eliano ( Var.

Hist., xx, m ). n Reiske. Coloro che secondo il testo circondavan

Alceo (751 Z'ip‘l Tor A)tmeiu ) erano verisimilmente i suoi di

scepoli, che accompagnavan il maestro per fargli onore.

(58) Discendeva al paragone. Ziyxpunr è propriamente il.

cenfronto che si fa di due cose le quali si avvicinano, o di due

proposizioni, o sentenze che mettonsi a parallelo, onde conosce

re le loro similitudini e discrepanze. Ciò accade nelle disputazio

ni filosofiche, ed e a credersi che per tale motivo si cimentars

sera lsocrate ed Alceo. il Casaub. adunque che in 'roÎs' ovyxierrn

tradusse in commissionibus, cioè nelle discussioni, dispute , non si

appese male; ma la congettura del Reiske che wyuvpn'ernv, ne

gl’ incontri abbia scritto Polibio, quasichè Alceo, abbattutosi per

accidente in qualsivoglia luogo ad lsocrate, l’ avesse motteggiato

e deriso, diportandosi da buffone inurbano , anzichè da piacc

vole ragionatore, siffatta congettura non è punto da adottarsi. Ma

mi va a sangue la ipotesi dello Schweigh. neltlizionario polibia

no, che Alceo pubblicato avesse un opuscolo intitolato e'o'7upi

cm, confronti, nel quale levava i peizi del ridevole grammati

co; che una composizione tanto leggiera non meritava un titolo

cosl grave.

(59) Argutamente- Ea-uiefius, proprio destramenle, a pro

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226

patito, cioè con quella finissima arguzia ch’ era necessaria, arti".

che il gonzo non si accorgesse di essere burlato. Urbanitate di

c!orum che hanno i traduttori latini non esprime questo senso.

La ironia ch’è il biasimo sotto specie di lodee l’ assurdo in l'or

ma di verità, tanto felicemente usati da Socrate contro i sofisti,

e da Alceo ancora contro Socrate; la ironia , dissi, non panni

consistere nella sola urbanità de'dettî.

(40) Disprezzava la gente. « Reputandola troppo sempliCe e

grossolana per aspettarsene danno, sibbenestimando doverin riusci

re sicuro ed impu'nim tutto ciò che tra (1’ essa facesse o dicesse;

perciocch‘e pareagli esser quella tarda a segno che non si avvedreb

ho da’ discorsi suoi sediziosi ed inimici contro i Romani, e trop

p’ onesta e dabbene per riferire a questi i fatti ed i detti suoi in

giuriosi contro di loro. Ma in amendue le cose egli s’insannava.

Se v’ ha tra i mortali degli astuti, scellerati, falsatori ed improbi,

perfidi e spergiuri,i Siri al certo il furono più di ognialtra na

zione, ed in ciò si accorda la testimonianza di tutta l’ antichità. n

Reiske.

(4:) .Sfrennta prepotenza. Acconsento allo Schweigh. che in

vece di èmi'6au; sostituito dall‘ Orsini allo sbagliato inu'6»; del

suo MS. abbiasi a porre à,lrlqv , conforme già il fece nel lib. x,

26, al qual luogo consultisî la nostra nota 145. Qui sovrattutto

dove si tratta di abuso di dominio lo scioglimento da ogni fre

no bene adattasi all’ iwan'u, e meglio che nel passo testé cita

to, nel quale la svergognatezza fa degna compagnia alla licenza

da’ costumi. - Parrà a taluno inconveniente la qualificazione di

un sostantivo fatta dall‘avverbio che il precede, ma èquesta pro

prietà della lingua greca di cui molti esempli potrebbonsi citare,

ma per non istaccarci da questo medesimo vocabolo presentere

mo al leggitore in Diodoro (T. n , p. 586 cc. Wessel. ) ai èviò‘m

i‘yJam‘i (le voluttà sfrenato). È forse elittica coteste frase e vi si

sottintende wponrouwpén; ('lfwn'a), o'zwoÀawepiym (siderali)

licenza sraennsmenrs arrogalasi,volullà srnsmnmenrs godute,

o altri verbi simili.

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2727,3«51

(Ala) Laorlicen. In questa città sappiamo da Appiano (’Syriac.

46) che Leptine ucciso avea’ Ottavio, mentrechè ungevasi nel gin

nasio. Lo stesso riferisce Cicerone (P/iilipp., ix, a).

(45) Jver se' data cc. Qui bassi a leggere arstanyuîvds, con

forme osserva lo Schweigh., dappoichè parla di sè Leptine, ch’e

ra la parte attiva , laddove nel cap. antecedente la parte passiva,

cioè Ottavio, è recata in mezzo da lsocrate, edovea quindi esser

significata per artxu9imt, che l’ Orsini male qui riprodusse ,

traendo in errore gli editori che vennero dopo di lui, non e

scluso il Casaubono. - flau'iv 7nu. 7h dt’nam dice il Reiske che

è quanto srpti: 7nn aceoglier alcuno condegnamenle a’suoi ma

riti; ma questa supposizione non è necessaria. Sta in cotal frase

1’ accusativo per il dativo, non altrimenti che in quelle di Seno

fonte (Cyrap. m, a, 15) Kaxis sipi'ir muîv7u e( ivi vi, I, 7)

xazit 7ein iraAt,uniuf urnai'ipn per sips'i': e 7aÎs rally/“g;

laddova nel medesimo (Cyrop., I, 4, ma ), trovasi l’accusativo del

la cosa col dativo della persona, 4>oyi|r 707; are).tpius I7rafil.

(M) A Gnea. Il cod Bav. non ha 721 ['miu, siccome ci

avverte lo Schvveigb., il quale amerebbc che fosse omesso. Non

bene al certo suona la ripetizione di questo nome nel medesimo

periodo, ma Polibio non badava troppo a queste delicatezze di

stile, e senza quell’ aggiunta tronca sarebbe riuscita la frase, che

non è delle meno eleganti.

(45) Laodìcei. Il gentilizio di Lodicea Amd/um non trovasi

in Stef. Bizant. dopo una lunga diceria ch’ ein fa supra questa

città; ma'è desse Aaadnufi, siccome .sz7n:bs è l’ abitante di

Mm7nna, Mantfnea, 'Amefeiifi quello di 'Asrnipsm, Apamea,

riferiti dallo stesso Geografo , e il loro nominativo plurale è

Ammins'ir, Mav7us'ir, Ana;uir , quindi il genitivo dello stesso

numero Azadnsian , conforme scrisse bene il Casaub. in lungo

del Aaodnnuiuv de’ MSS.

(46) Ma lsocrate. Leptine era un pazzo fanatico che diluita

buona fede aveva ucciso I’ambasciadore romano. All’opposito

in Isocrate era profonda malizia, che sfog:wasi con imprecazioni

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228

e minacce, ma per viltà non sarebbe mai trascorsa ad un fatto

atroce. Perciò appunto veggiam il primo, pieno di fiducia in sè

stesso, presentarsi volonteroso dinanzi al supremo tribunale diun

popolo qual era il romano, ch' egli avea tanto gravemente offe

so, e l’ altro conscio della sua dappocaggine darsi all’ estrema

disperazione per le intprudenti parole da lui preferite.

(47) Le bove. Voce derivata dal latino bojae, e che appunto

perciò anche in italiano non trovasi che nel plurale. Significa

l’ anello che a’ rei di gravi delitti mettesi intorno al collo, com

posto di due pezzi aperti_in sul davanti e di dietro, congegnati

per modo che girano intorno ad un perno, dalla quale struttura

deriva forse la pluralità di questo nome. È precisamente il gre

co nàu‘e; che qui leggesi da nAeiu chiudere, che praticasi nella

sua parte anteriore.

(48) Tagliate ec. Questo verbo ho io aggiunto nella tradu

zione in grazia della proprietà di nostra favella che non avreb

be tollerata la frase levare (anpia-Sw), le 'ugne ed i ca

pelli.

(49) E la di.rposizione delll'animo. Ti: 7| za'iiz 7àv 6ninmv,

letteralmente le con appartenenti al pensiero , cioè a dire: i

pensieri ch’ ein volgea per la mente, gli atti ch’ ein macchi

nava, i progetti che nell’animo covava. Aninm è proprio ciò

che passa per la mente 342: 7.3 mi: , che contiene tutte le fa

coltà dell’anima e la volontà ancora mossa dain alletti, in che

veramente consiste la disposizione dell’animo. - Sembrava co

stui un animale , che stretto da ferri vie più arrabbia e mette

spavento a chi gli sta dappresso.

(50) Che spirava dagli occhi un Ex. 7;: 751 àaaé7ui sfiori

non mai xnn'o‘eur, dalla dichiarazione, manifestazione degli

occhi e del movimento. La qual dichiarazione è la favella muta

ma energica di queste parti che come spirito ne esala.

(5|) Più francamente. Avrebbe qui scritto il Nostro ira-90

;ii7ipv, di miglior grado, con minore riservatezza che non i7u

pa'7ipu, più prontamente, ch’ esprime la maggiore celerità, ma

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. 229

non l’ animo più sicuro nell’ appressarsi ? Oltrecbè l’i'7upa': che

segue tosto diviene, lasciando la scrittura vulgata, una ripetizione

disaggradevole. - ’EvSipac nel Senso di animo ben disposto ad

alcuna cosa trovasi nel lib. m, e. 34 verso la fine, che noi vol

tammo di buon grado.

(52) Imperciocchè il senato ec. Il supplizio di costoro non

era creduto sufficiente per punire l’ atroce delitto della uccisio

ne di Ottavio. Sospettava il senato che avassero complici ne'

grandi stessi del regno, e ne volea venir in chiaro, serbando a'

prigioni la vita. A- tal uopo collocava esso tutta la sua fiducia

in Demetrio che (c. 4), avea promesso di far tutto pe’ Romani ,

e glielo ricordò nella presente occasione , siccome tosto leggesi.

(55) Ma serbassi la causa intatta, cioè non la trattò allora,

restituendo i colpevoli a Demetrio, che far dovea le opportune

investigazioni ed i necessarii confronti, onde porre il senato nel

la possibilità digiurlicare sopra quella faccenda secondo tutta la

sua estensione. - Le parole per.an 3:71 , innanzi alle quali il

Casaub. pose un asterisco, ma che omise nella traduzione, qui

non convengono, siccome nota lo Schweigh. Il Reiske inutil

mente si aiTaticò di dar loro un senso. Propos’ egli di spiegarle

in questo modo: Paco mancò che non li ricevesse neppur en

tro le mura della città.

(54) Giusta la promessa di prima. Ka7ì 7D‘II ii èpzî; ifiou

n'm. Il Reiske nota di sospetto l’ iEwe/m, emeritamente; Cltè

Demetrio non avea nella presente vertenza ottenuta nessuna fa

coltà dal senato. Quindi è giusta la sua sopposizione che inni

irzwn, promessa, o wr9:ixgr, palio, 0 flirrd’flr, principio stabili

ta (V. xx, 22) sia la vera lezione. Male tradusse il Casaub. co

piato dallo Scbweigh.: Si idonea ratione caveril. Se in ipsius

(senatus) polestale esse futurum , sicut esset olim (se 'egli in

I,

modo idoneo assicurasse che sarebbe in potere del senato, sicco-,

me lo era in addietro). Io ho seguito il Beiske anche nella ver

sione della l‘ormola ìmnln arsoii.

(55) Vennero eziandio ec. Trattavasi degl’inl'elici che accu

s:

33

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230

sati da Callicrate erano stati mandati a Roma, e senza processo

distribuiti in‘ esilio per molte città d’Italia, dOVe il maggior nu

mero di loro peri di afflizione e di stento. - Non si comprende -

perché tra questi Stratio fosse condannato e Senone rimanesse in

patria , trovandosi pur amendue nel novero diquelli che consul

tarono ed esposero le loro opinioni sul partito che gli Acbei a

vevan a pigliare nella guerra tra Perseo ed i Romani (xxvm,

6). Se non che furono forse risparmiati coloro che consigliaro

no di temporeggiare e non dar a' nemici occasione d'accusa, alla

qual setta apparteneva Senone.

(56) Ragguardevali. Il testo ha puipqr rifious, degni di me

moria , di menzione. I traduttori latini scrissero etpraecipuos

quosque (e quanti v’ avea de’principali ) che è troppo.

(57) Avea già consumati. Il volgato xu7nm).aiuu è al cer

to un errore, notato bensì dallo Schweigh., ma da lui non ri

cevuto nel testo. Bene ha il cod. Bav. xe'iqm7lóeu.

(58) La maggior e più bella prova cc. Che Emilio Paullo

morisse l’ anno di Roma 594 , o in sulla fine dell’ anno antecedente,

chiaro dimostra il titolo degli Adelfi di Terenzio , dove leggasi

che questa comedia venne (la prima volta) recitata ne'giuochi

funebri di quel grand’ uomo sotto il consolato di L. Anicio e M.

Cornelio (Cetego ), che fu appunto in quell’ anno. Se ne avvide

lo Schweigb., ma il Reiske andò qui in ciampanelle.

(59) La condotta. Male, secondochè io credo, fu renduto in

abstinentiu il 7piifl’oi che qui usa il Nostro. Il senso primitivo

di questo vocabolo è modo , genere , al quale nel presente passo

si sottintende di condursi nella vita. E siffatta qualificazione ha

certamente un senso più largo che non quella dell’astinenza, seb

bene questa virtù sopra le altre in Emilio spiceasse.

(60) Il Maggiore indizio di virtù. In vita può l’ adulazione

far apparire virtuose qualità in un uomo potente e temuto, Ed

un astuto contegno coprirne i difetti, ma oltre la tomba ammu

tolisce l'adulazione de’ cattivi non meno che l’ invidia de’ buoni,

ed una critica spassionata squarcia il velo sotto al quale nascon

devausi i vizii de’ primi e le virtù degli altri. ' ‘

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Lit?

33’186;

(6|) Recata di Spagna in Roma ec. Molto sarebbe da ma

ravigliarsi se Emilio non avesse trionfato degli Spagnuoli e de’

Macedoni, siccom’ egli, a detta di Livio (xx. , 28), fece, essen

do proconsole, de’ Liguri luganni, cb' erano assai meno potenti,

e donde, al dire dello stesso Livio, pochissimo oro e niente d'ar

gento portò in patria. Ma non ist‘a cosi la faccenda. Una lapida

trovata a Roma e riferita da Giusto l.ipsio (Jnimadver. in C. Vel

Ieii. Patere. Hist., p. 16, Opp. tom. v, ediz. Plantiu.) ha la se

guente iscrizione :

L . AEMILIVS . L - F . PAVLLVS

cos . u . CENSOR'. AVGVR

TRIVMPHAVIT . ma .

Dond’ e manifesto ch’ egli e delle vittorie riportate in lspagna co

me pretore con potestà consolare , siccome bassi da Plutarco ,e

del soggiogato regno di Macedonia menasse trionfi tanto più splen

didi, quanto in questi 1' effigie di maggior numero di città e

quantità più grande assai d’ oro e d’ argento poteva condurre in

mostra che non nel trionfo de’ Liguri. Quindi non doveano il

Sigonio ed il Manuzio tacciar di errore Vellejo Patercolo, il

quale (I, 19) scrisse , che avanti la guerra macedonica Emilio

trionfato‘ avea due volte , essendo pretore in lspagna e console

(in Liguria ), cui aggiunse il terzo nel secondo consolato , nel

quale (sono parole di Vellejo) maximum nobili:simumque re

gem in triumpho duxit. Ma la descrizione diquesti due maggio

ri trionfi è perduta cosi in Polibio come in Livio.

(62) Tanto poche sostanze lasciò. Tanii7or ùiriAuri 7‘u

i3i'u fii’n. Verbalmente: tanto lasciò propria sostanza, facoltà,

dov’è da uotarsi che 7oo'oii7of esprime e molto e poco, nel qual

ultimo significato riscontrasi ancora in Senofonte (Cyrop. VI, 5 ,

Sa ). Potea dunque il Vallesio tradurlo con maggior precisione

tam panca: in vece di ma faeullales. - Del resto Biu che si

\

gnifica tanto vita clic i mezzi per sostenerla e nell’ ultimo di

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232

questi sensi più famigliare al Nostro nel plurale, sebbene quil’ab

bis posto nel singolare.

(65) Che non si poté pagare cc. T. Livio (Epit. lib. xnvx)

dice che dalla pubblica vendita delle sue sostanze (ex auctione

ejus) appena potè cavarsi tanto da poter pagare la dote alla mo'

glie. Ma da quanto qui narra il Nostro pare che la vendita del

le masserizie e di alcuni fondi bastasse a pagarla tutta. - Dispiat:=

ciono al Reiske i due infiniti attivi dómeSx:,e dmì.6em,e vor

rebb' egli che un sostantivo in questo caso li unisse ; quindi pro

pone d’ introdure 'iiav /3in, non poteva la sua facoltà pagare

ec., ovveramente 7sz arai'dac, non potevano [fiin cc. Non di.

sdirebbesi pertanto di mutare , senza siffatta aggiunta il cliente“:

attivo in 8m).u9îvm passivo, e 751 @2pnn accusat. in si Qipm

nominat. per modo che corrisponderebbe al latino non potuisse

solùi dos. Ma non credo che faccia d’ uopo‘cangiar nulla , dap

poichè lo Schweigh. in una dottissima nota al e. 4 del lib. l ha

con molti esempi dimostrato che Polibio sovente usa 1’ infinito

attivo in luogo del passivo e dell’ impersonale. Tuttavia siccome

colà, per avviso di lui sempre si sottintende un qualche accusa

tivo che compie il senso, cosi qui pure non sarebbe fuori di pro

posito se si sottintendesse uno degli accusativi indicati dal Reiske.

(64) All’ ateniese Aristide ed al [ebano Epaminonda. Il pri

mo, secondochè riferiscono Nepote e Plutarco , quantunque ma

neggiato avesse molto pubblico danaro, mori poverissimo. II per

chi: la sua astinenza potrebb’essere paragonata a quella di Emi

lio, il quale essendo arbitro, siccome vedemmo di sopra, de’ te

sori ingenti che raccolse in lspagna ed in Macedonia, di leggieri se

ne sarebbe potuto appropriare una parte, senza necessità di i‘en

derne conto; laddove ad Aristide, per le cui mani passavano le

rendite dello stato ateniese, delle quali egli era risponsabile, ciò

non poteva facilmente riuscire. - L’ eroe di Tebe qui rammen

tato narra Nepote che non acCettò il danaro offertoin dal re di

Persia col mezzo di un fanciullo da lui amato teneramente, e da

Plutarco sappiamo eh' egli rifiutò due mila monete d'oro esibi

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333’ 631

tein da Giasone tiranno de’ TesSali , sebbene in grande ristret

tezze si trovasse.

(65) Che se quanto abbiamo detto cc. La frase qui usata dal

Nostro ha dello strano anziché no. Scriv’ egli 'Ei 3’àm'ng 7|

Aly.iplnv 3ifu ioninu 7ir‘ii se all’ incredibile il della sem

brerà assomigliare ad alcuni, dove all’ilmuov volgato il Gro

novio seguito dal Reislre e dallo Schweigh. sostituì èm’ng. Io

preferirei l’ altra lezione proposta dal Gronovio, e, lasciando in

tatto il volgato Zimrru, scriverei sia: per innirnu, ch’ è modo

di esprimere più naturale. Diodoro (Le. ), in copiando il Nostrp

quasi colle stesse sue parole, ha più schiettamente ancora: ’Ei 3|

a‘imo‘r‘or 704 Quln7m 'll: Mya"uun, se incredibile ad alcuno pa

re ciò ch’è della.

(66) A chi falsamente le riferisce. In questa mancanza non

' incorse certamente Polibio, nè qui, ne in nessuna parte della

sua storia. Ciò non pertanto poteva egli, mentrechè c0n tutta gin»

stizia e verità esaltava la mirabile a5tinenza di Emilio Paullo, es

ser meno ingiusto versoi suoi compatrioti, nè dire, sebbene con

mitigata espressione (dirà taluno), che appello alla gloria del

Romano in siffatto particolare svanita fosse e disciolla (un'in

MMiv9m ), quella de’ capitani greci da lui ricordati.

(67) Ne ha condotti. 'Epacrqzl7m, propriamente ci ha posti,

collocati. Non so a cosa pensasse lo Schweigh. passivo dichia

rando questo passato , e qui ed in altri luoghi del Nostro ‘( m ,

1|8 ; x, 20 , 24 ), dov’ è usato in senso attivo contro il costume

degli altri scrittori. Fatto sta che il passivo di cotesto participio

suona 'csz-uS‘ur , e qui leggerebbesi ’iQirniSin'lm nell’ipotesi

di quel commentatore.

(68) Ciò che nel libro antecedente ec. Perduta è la parte

del lib. xxx: in cui contenevasi questa promessa.

(69) Che non convenivasi. Il testo ha solo il anîîxt1, che

convenivasi, ma, parendo questa espressione quasi oltraggiosa al

merito di Scipione , il traduttore cosi la modificò: Quam cou

scntancum videri polerat, ed io ho creduto_ragionevolc di acco

starmi a questa modificazione.

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234

(70) ijeu'one ed intrinsiclnua. "Arpen sai eupupt@opii;

il primo de’ quali vocaboli, trattandosi di amicizia, denota la

scelta che si fa per inclinazione, il secondo la famigliarità che

si stabilisce tra persone che stannosi 1’ un all’altro dattarno e

sono unite, conforme lo indica l’ etimologia d’ amendue.

(7|) Distribuiti pelle città , d' Etruria secondo Pausania

(vu , 10); quindi male tradusse il Vallesio per municipia ha.

liae. lo ho renduto il semplice ttpi 7lss wa'ìtus del testo.

(71) Impetrarono. Nè il volgato diinnu, da dimri’2r7tr r, sfug

gir, aberrare, nè driefluflfl, da 3mn-iwînv, spicciare, a[fret

tare che congetturò il Yalesio ed approvòlo Schweigh. qui con

vengono. Meglio la intese il Reiske che propose diirfafav,fe

cero si che ottennero , ed io 1’ ho adottato.

(75) Insieme. Sìmul fu tradotto il za'lir'l5v'l‘o del testo e che

interpretar dovrebbesi nella stessa tlirezione, a quella stessa

volta, che poscia abbandonarono, dirigendosi Fabio da una par

te , Scipione e Polibio dall'altra , lo che esprime l’ lari 9a'lipgr.

che segue, ch’è la scrittura vblgata, e cui si sottintende 1erpqî

banda, fianco) 0 Ìri Sai'lspu, nominat. plur. di Sulla," , con

forme piacque meglio al Gronovìo ed al Reiske. Certo è, che per

volgersi amendue da un lato doveano trovarsi insieme, ma se il

Nostro non avesse voluto indicar che la loro unione si sarebbe

contentato di scrivere iipa, ovveramente ipefi.

(74) Essendo noi due fratelli. Il testo ha qui certamente bi

sogno di correzione , e ben se ne avvide il Reiske, al quale non

andando a’ versi quel 7paiya,utv, ch’è una brutta foggia di mau

giare , cioè rosicchiare , volle che si sbandisse al tutto cotesta

idea materiale e si scrivesse e' ipu7ó,au , essendo noid. t’ in

terroghiama. Lo Schweigh., il quale taccia questa interpretazio

ne di freddezza, crede che la lezione volgata sia un modo pro

verbiale e che significhi n. d. fr. siamo insieme allevati (una

alimur fratres); ma questo senso sarebbe molto meglio reudulo

da vuv7;s@ipsSa. lo, a dir vero, mi sento più inclinato a rice

vere la emendazione del Reiske, dappoicbè è falso che i due figli di

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‘ /,(5Αzat

L. Emilio, passati per adozione nelle famiglie Fabio e Scipio

ne, si allevassero insieme, essendo ciascheduno di loro stato al

loggiato in casa del nuovo padre, siccome qui appunto veggiamo

Scipione uscito dall’ abitazione di Fabio dove fu con Polibio a

visitarlo, e così è da intendersi che Fabio talvolta si recasse in

casa dell’altro fratello. Forse scrisse il Nostro semplicemente lÎfHI,

o con più regolarità duoî D;.M;I iiu7m è3iAqn:,come l’ho sup

posto nella traduzione.

(75) Della pratica. Secondo il Reiske =rpé€u significa qui

industria, attività, diligenza , assiduità. Inslituta tradusse lo

Schweigh. Io credo che corrisponda a uso ,consuetudine, e che

nella nostra favella gli si confaccia il vocabolo che ho scelto, per

aVVentura dal greco derivato.

(76) Non prendo a difimder cause. Tutti i Romani apparte

nenti a distinte famiglie che dedicavansi agli affari di stato inco

minciavano la loro carriera nel foro, onde dar saggio della loro

abilità, e procacciarsi ad un tempo clientele ed amici. Era‘per

tanto Scipione troppo giovane per siffatta occupazione, alla quale

sappiamo che Cicerone si diede in età appena di venzei anni. È da

notarsi la frase greca che qui riscontrasi , epi'flif Ài9vltl, parla

re , discutere giudizii , sentenze.

(77) L’ ingresso del discorso. Nella traduzione latina fu sorpas

sato il za7Jpxti, principio, introduzione,con cui Scipione faceasi

strada a chiedere l’ assistenza di Polibio ed a manifestargli il suo

desiderio , ch' egli a tal uopo seco lui vivesse.‘

(78) Che allora non avea più di diciotto anni. a Non do

po la morte di L. Emilio avea Scipione diciotto anni, siccome

pare che da questo luogo del Nostro cavasse Diod. Sic. , ma era

la sua età allora di venticinque anni. Parla pertanto qui Polibio

di una cosa avvenuta in addietro , non molto ddpo che Perseo

fu vinto da Emilio. » Schweigh.

(79) Ti reputi da unita. Ka7aynónur che qui riscontrasi

è, secondocbt‘: osserva lo Schweigh. nel dizionario polibiano, più

che zela@putiv. Ed infatti il primo di questi verbi esprime il

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236

di5prczzare che si fa alcuno perchè lo si conosce di ciò merite

vole; l’ altro significa disprezzo per altensza d’ animo, orgo

glio , da Qppu'iv che sovente prendesi nel senso di altos spiri

tu: gerere, aver grande opini0ne di sé. In Polibio capir non

dovea il secondo di questi sentimenti; sibbene egli si protesta

che Scipione non meritava l’ altro. ‘10 mi sono ingegnato di pa

rafrasarc adeguatamente il verbo ch’è nel testo.

(80) Che ti sembri esser più dolce. Il 73 premesso al 1,46

'l|fn fece credere al Valesio che avanti quella particella fosse o

messa qualche parola, ch’ egli suppose iinuîo; , vcrgtigna. Al

lo Schweigh. parve doversi al 7), far precedere mi Aum'iv, op

pure mi fai vrpaw'lspos lima, per modo che il senso sarebbe:

Che sembri affliggerti per essere tu più delta. Ma cancellando

il 73 la piaga è sanata, e non e mestieri di alcuna aggiunta, Io

che io.bo eseguito, cangiando solo, secondo lo Schweigh., la de

sinenze or in 0;.

(81) Per ciò che spetta agl' insegnamenti. Innanzi la' con

quista della Grecia rozzi erano i Romani nelle scienze e nelle

arti che inciviliscono le nazioni. Ma come‘prima da quelle sog

giogate contrade afflui in Italia ogni maniera di (lotti, le famiglie

più c05picue di Roma affrettaronsi di far tesoro delle loro co

gnizioni; non altrimenti che in età molto posteriore l’impero

greco degli Ottomani distrutto diede occasione a grande numero

di quegli scienziati di migrare in Italia e di recarvi il loro sape

re, a sommo vantaggio della coli: rinata civiltà. - Polibio offe

rivasi a Scipione ed al fratello per l’ammaestrameuto nella scien

za politica ed in quella della guerra, nella quale già grandcggia

vano i Romani. Queste erano appunto le cose degne de’ maggiori

di Scipione, in cui egli rattristavasi di non avere per anche nul

la operato.

(8a) Mutua dichiarazione. 'Opuhoyfx. è quanto confessione

nella quale si dichiara il proprio apimo; quindi urQopcAoyiz non è

altrimenti stipulatio, contrattazione, stabilimento di patti, con

forme tradusse lo Schweigh., sibbene reciproca confessione.

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"

217 "-«’t"

(85) Ottenevasi allora in Roma agevolmente. Anzi la corruzio

ne generale render dovea col mal esempio tanto esteso ben perico

losa la seduzione, e difficoltare al giovine più costumato per na

tura il tenersi ne’ limiti della virtù. - Se non che siccome, se

condo il proverbio , in terra di ciechi un losco è re, in siffat

ta contingenza poco merito bastava per conseguire lode. - Il Va

lesio tradusse l’iv5ipa'lar, cui l’ Ernesto e lo Schweigh. diedero

un senso metaforico , nel suo significato primitivo,facile a m

pirsi per insidia, come si fa nella caccia, 9ifq., d' ond’ è deri

vato quell’ aggettivo. Non errò ein pertanto si grossolanamente

come lo Schweigb. ebbe asserito. J

(84) Tutti si abbandonavano. Ho'v01uto in qualche modo

rendere nel nostro volgare l’ energico lfiszixuv'l. che ha qui il

Nostro da ixzi’m-9m , spandersi, trarsi fuori, e_[fundi.

(85) A canti osceni. Nella nota 21 al lib. xxxr ho già os

servato che Polibio piglia quasi sempre la voce èupuiy.a'ln

nel senso di canto, comecbè significar possa e versi e prosa, ne’

quali alcun componimento si canta o si recita. Qui al certo trat

tasi de’ canti che, modulati sopra temi osceni, escono dalle hoc

che di gente avvinazzata.

(86) Avendo ben presto dato di piglio ec. Sorprende, a dir

vero, la celerità somma con cui questo contagio morale si diffu

su tra la gioventù di Roma. Terribil esempio del potere depra

vatore eh1 esercitano su’ costumi i piaceri sensuali raffinati dal gu

sto ch’ è pur figlio della civiltà. Ma aveano i Romani a cotali

disordini il gran rimedio della censura e delle leggi suntuarie, e

bastaron allora la legge Faunia e le severe discipline inculcate

e messe in pratica da Catone per. ricondurre la temperanza in

quella patria d’ eroi. V. lib. xxx: , c. 24 , e colà la nota 158.

1\'è poco è da credersi che vi contribuisse la vita moderata e da

ogni lussuria aliena che menava Scipione.

(87) Quasichè dissi risplendeva. Io volli ritenere l’inÀal.u

duri , metafora invero alquanto ardita , ma rattemprata dall’inv

che la precede, anziché tradurre i fianchi vigiiit ac flaruit de’

rounto, tam. 7111. 17

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218

traduttori latini, cui potevasi con maggiore proprietà sostituire quasi

eminuit, emicavit. Tutto ciò di cui si fa pompa, che si mettein

mostra , siccome quel licenzioso tenore di vita, in qualche modo

risplende.

(88)\Le ricchezze. Non meno i} zc'qyt'nt. che 73 zappyî'uv e

xc”,th significano le cose necessarie alla vita e le spese che

si fanno onde procacciarsele, ma qui prendesi questa espressione

in un senso più largo, non solo di cose necessarie, ma eziandio

di quelle che al viver agiato e magnifico appartengono.

(89) Ne’ primi cinque anni. M Il Quinquennio intendi ch’è

dall’ addossata toga virile all’anno ventesimo; perciocchè in que

sto spazio di tempo i giovani abbisognano della maggior custodia.

A Roma certamente dalla fama di quella età faceasi giudizio di

tutto il resto della vita , conforme insegna Cicerone nella orazio

ne per M. Celio e. 5, con queste parole: Nella qual età se al

cuno non erasi da sè difeso colla sua gravità e castigatezza

e colla disciplina domestica, in qualsivoglia modo fosse stato

da’ suoi custodito , non potea tuttavia fuggire la vera in_fizmia.

Ma chi que’ primi incaminciammti dell’ età prestava incorrotti

ed inviolati, della costui fama e pudicizia, quando già era per

venuta ain anni del vigore, ed uomo era tra uomini, nessuno

parlava. n Valesio. Da questi detti dell’ oratore romano scorge

si che , per mettere in salvo il buon nome di un giovine, suffi

ciente non era la rigorosa custodia in che lo tenevanoi genito

ri 0 altri di ciò incaricati, ma ch’ egli stesso dovea armarsi del

le virtù necessarie a conservare la purezza de’ suoi costumi, sic

come veggiamo che operò Scipione.

(go) Compostezza. Così mi, è sembrato doversi tradurre 'eu7e

fin, cui corrisponde la definizione che di quel vocabolo di: la

Crusca: Aggiustatezza o modestia d’ abito e di costumi. Cice

rone (De o_/]ic. - 40) la spiega con queste parole: In qua in

telligitur ordinis conservatio, e la vuole diversa dalla modestia,

qua in verbo , dic’ egli, modus inest , come chi l’appellasse li

mitazione ric’desiderii e delle azioni. Ma dagli Stoici, continua

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9”9

lo stesso, si definisce modestia la scienza di quelle cose che fan

nosi o diconsi, e hanno ad essere collocate al loro luogo. Non ho

pertanto voluto usare qui semplicemente il vocabolo modestia ,

siccome fece lo ScbWeigh. , ma appigliato mi sono a voce tale

ch' esprime posizione ordinata e secondo leggi stabilite, qual'è

“in, donde formasi ìU7flE/l.

(9|) Ammnestramento. Il volgato indizi" con ragione fu

disapprovato dal Reiske, il quale propone di sostituirvi 3tdazi‘n,

istruzione , ovvero (zaAln) òa-o'Jnyyo , (bello) esempio. Al

l'Ernesti piacque di non cangiare nulla, spiegando indugi", a‘

juto, quasi rifugio, onde Scipione prender poteva ammonizioni.

predetti, esempli , consigli. Io ho preferito diduxiiv,consideran

do che la convivenza col padre dal qual era nato, cioè con L.

Emilio , porgerin potea efficace istruzione perla condotta da te

nersi, alla qual istruzione riducevasi lo stesso esempio. Il rifugio

poi presuppone necessità o pericolo, ne’ quali frangenti non tro

vavasi al certo di continuo il buon Scipione.

(ga) Padre carnale. Nel testo e utili pian, seconda natu

ra, intorno alla qual frase così nell’ idioma greca come nel No

stro veggasi la nota 108 al lib. xvm.

(95) La fortuna. Questa , siccome vedremo ne’ seguenti capi

toli, gli offeri parecchie splendide occasioni di dimostrare la gran

dezza del suo animo.

(95) Il _Mnggiore. Intorno a questa qualificazione di nome veggasi la nota II! al lib. ixvm.

(95) Che questo era il nome ec. Cotale spiegazione sembra

superflua, conservando presso i Romani le fanciulle che anda

vano a marito il nome gentile della famiglia donde traevaui na

tali, e la moglie di Scipione discendeva dalla famiglia Emilia, so

rella essendo, conforme qui dicesi, di L. Emilio. Senon che Po

libio scriveva pe’ Greci a'quali alieno era siffatto costume.

(96) Qfoggiare. Qui prendo questo verbo in un senso più lar

go dell’usato , riferendolo non solo a’ vestiti, ma agli altri oggetti

ancora che a quelle pompe appartengono. Mcyum;ufi 71‘" mg!

I

Q1.’à

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220

rrarn i"zru scrisse Polibio: Aver magnifica condizione. Circa il

significato del vocabolo srlpl'rrafl; v. la nota 559 al lib. m, -

Hspmom‘; che leggasi poco appresso è suo sinonimo.

(97) Pompe matronali. Celebravaqsi in Roma queste feste che

appellavansi Matronalia il primo di marzo, sulle quali è da ve

dersi Ovidio, Fast. lib. m, vv. 229 e seg., dove esposti sono i mo

tivi e le varie commemorazioni per cui furono istituite, tra le

quali era la principale che in quel giorno le Romane rapito da’

Sabini si frapposero alle armi de’ mariti e de’ parenti, e colle lo

ro lagrime cessar li fecero dal pugnare. - Ma a Diana ancora

sacrificavano le vergini romane con pompa il di 13 d' agosto

( Oraz., lib. n, Ode u. Properz., lib. n, eleg. 15), ed a Venere le

donne il primo ed il 25 d’aprile (Ovid., Fast. xv. Plutarco, Quist.

rom. , num. 45.

(98) La seguitavano. Non comprendo comei traduttori latini

facessero praejèrebantur dal c'viEflxoìta't49tt éu7fi che significa ciò

in che l’abbiamo voltato. Il singolare nel quale è posto questo ver

bo è atticismo, e si riferisce agli oggetti che seguivano, conforme

ne fa fede'l’ ciu7fi che gli tiene dietro.

(99) Donò ec. u Circa questa liberalità di Scipione leggesi nel

Lelio di Cicerone (c. 3):' Che dirò io de’ suoi costumi dolcis

simi (facillimis ), della pietà verso la madre, della bontà ver

so i suoi? e Valesio.

(mo) Erasi separata. Questo mi è sembrato il valore di u

xàIptlo'sal che male si è renduto in latino per repudiata est, cui

corrisponde nel greco àarewipm7a. Differiva presso i Romani il

ripudio dal divorzio. Il primo facevasi per qualche cagione diso

norcvole, ab rem pudendam, al dire di Feste. L'altro era una

semplice separazione per cause di minor conto , od anche senza

causa , e facevasi talvolta dalla moglie, siccome fu il caso di quel

la Valeria di cui scrive Lelioa Cicerone (Famil. vm, ep. 7), che

fece divorzio dal marito senza causa lo stesso giorno ch‘ ein do

Vea Venire dalla provincia- ln amendue i casi pertanto si rima

ritavano, e cosi fece appunto la stessa Valeria che poscia si spo

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’*_x<

3,4/1 Qh‘?

sò a D. Bruto. La separazione della quale qui fasci menzione

pare che fosse divorzio e non ripudio, ma non si conosce che

la moglie di Emilio da lui separata pigliasse altro marito.

(mi) Col cocchio pensile. Convien credere che l’ àm,’n; del

testo corrisponda a quel genere di vetture\a due ruote che i Ro-'

mani chiamavano pilenlum, nel quale, a detta di T. Livio ( v, a5 ),

perinesso fa alle Matrone di andare a’ sacrificii ed a’ giuochi in'

bencmerenza d' essersi a’ tempi di Camillo per un pubblico bi

sogno spogliale de' loro ornamenti d’oro. Il carpenlum, del quale'

venne loro concesso l’ uso nella stessa occasione (Liv., I. c.), era

una carrozza in cui giravano per la città ne’ giorni festivi e' di

lavoro, quindi diverso’dal pilentum. lo ho aggiunta al Coccbio

la qualificazione di pensile, perciocchè librnto era sopra le due

ruote per modo, che chi vi sedeva sembrava agitarsi sospeso in

aria (V. Forcellini alla voce pilentum ). '

(ma) Perci0cchè nessuno vi dà cc. Notisi la franchezza colla

quale. Polibio qui rinfaccia n’ Romani la tenace avarizia , donde

tutti li pronunciò macchiati; agli stessi Romani che , poco pri

ma (Cv 8.) ein disse, piglieranno al certo nelle mani-d suoi li

bri! dove descritte sono le loro geste.

(m5) Onestìu Male fu voltato in virtus il xaàexaVa.5fu del

testo , il cui valore abbiam altrove apprezzato. Virtus è, secon

do Varrone (De ling. (al. w), viri vis, a virililale, e nella une-

stà risplende bensì il sentimento di ciò ch’è buono e convenien

te, ma la forza dell’ animo trionfatrice delle passioni non pe l'or

ma l’essenza. Anche nella lingua del Lazio differiva molto pra

bitas da w'rlus nello stesso senso che abbiamo testé addotto (V.

Forcellini al vocab. virlus '

(104) Sazievoli. Non mi piace l’urAvînw con che Suida,‘ ci

tando questo luogo di Polibio, interpreta il »a7.znépw che qui

abbiamo dinanzi; aggetlivo col quale propriamente si esprime

ciò che reca sazietà,‘ fastidio, non già chi èinesplebile, non può

saziarsi. Peggio definisce Esichio ua7uxep‘gf; àpr‘n, turbolen

to, molesta. - Circa la poca favorevol opinione che il Nostro

\..'F

-«îl

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222

avea del bel sesso in generale \veggasi il lib. n, c. 4, dov’egli

con un breve ma robusto tratto dipinge la furibonda tracotanza

della regina Tenta.

(|05) Del padre, adottiva. Dopo le parole greche a queste

corrispondenti trovandosi Acfia’v7os, che isolato non ha nessun

senso, lo Schweigh. vi premise un asterisco, in segno di lacuna,

che il Reislte aveva empiuta scrivendo 7t‘n nMpupim erq,;Aa

fiÉv7a èv'ln'y; piuttosto rupnAafio't7u èu'ln’ó che meglio convie’

ne al Senso ed al caso in cui è quel participio, e tradurrebbe

si: Avendo egli ricevuta l'eredità. Lo Schweigh. non accolse

nella versione siffatta aggiunta, ed in vero è dessa ardita non

meno che superflua , ed io pure ho creduto di ometterla affatto.

Forse era nel testo 7|Alv7n’rar7e; 7‘n fifor, riferitoa wa7p‘o; che

immediatamente precede (del padre adottivo ch’ era morto) nella

quale supposizione converrebbe cancellare l’ala/l‘41 che segue senza

nulla aostitnirvi. - Del resto era cotesto padre adottivo figlio di

Scipione Africano il Maggiore che morì nel 571 di B. (V. xxrv,

g, nota 74), cioè oltre vent’anni innanzi all’ avvenimento qui

narrato , e quindi avanti la nascita dell' Emiliano. Non era ein

conosciuto per geste gloriose, comechè guerreggiasse sotto il pa

dre. Sappiamo dal Nostro (xxr , |2 , n. 55) che fu fatto pri

gione nel principio della guerra d’ Antioco.

(106) Pattut'l0 avea cc. Quando presso iRomani la dote non

davasi subito, la si diceva , o si prometteva. Dicevasi con sem

plici parole , promettevasi per via di stipulazione e contratto, ed

in questo modo avea Scipione dotate le figlie. Ma mori egli frat

tanto, e secondo Plutarco non avea nè meritata nè fidanzata la

figlia , che da’ parenti fu poscia data a Tib. Gracco. L’ erede ,

padre adottivo dell’ Africano Minore , dovea secondo la legge ro

mana pagar la dote in tre anni, nè si comprende per qual cfl

gione la madre se ne assumesse il pagamento , che ollranciò fu

fatto irregolarmente , non essendo prescritto il pronlo sborso del

la metà. Emiliano altresi non pare che dovesse godere l’ agevo

lezza di pagare in rate la metà residua che da tanto tempo aveva

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,43'2A1

ad esser consegnata alle zie. Se non che il contratto nuziale ed il

testamento dell’ Africano Maggiore, del quale non sono a noi per

venute le particolarità , avranno stabilita ogni cosa ed assogget

tato alla legge il pagamento dell’altra metà, a malgrado della

ritardata sua esecuzione.

(m7) Cinquanta talenti. Secondo Barthélémy (Voyage du

jeune Anachars. , t. vu) il talento d' Atene equivaleva a 5400

lire di Francia, quindi, cinquanta erano pari a 270,000 di quel

le lire. Questa valutazione fece Polibio in grazia de’ Greci che

leggere doveano la sua storia, prendendo, credo, per norma il ta

lento di Atene ch’era il più comune. In moneta romana ascen

deva cotesta somma ad un milione e dugento mila sesterzii, duodccb

cies seslerlium , H5. MCC, lo che si deduce da quanto riferisce

A. Gallio (v , a) del prezzo a cui Alessandro Magno compero

il suo Bncefalo, e che sommava tredici talenti, eguali a H5

CCCXII, trecento dodicimila sesterzii.

(noS) Tiberio Gracco. « Questi, allorquando L. Scipione

(l’Asiatico, fratello dell’ Africano Maggiore) conducevasi in car

cere, 5’ interposa a suo favore coll’ aiuto dell’ autorità tribunizia,

comechè inimico fosse degli Scipioni. Per il qual benefizio P. Sci

pione Africano , per richiesta del senato gli promise la propria

figlia, conforme narra Livio (xxxvm, 57). La impalmò egli per

tanto dopo la morte dell’Africano. » Valesio. - Che se Plutar

co (in Tib. Gracc.) asserisce esser quella fanciulla stata promes

sa dopo la morte del padre, cio contradice manifestamente a

quanto lasciarono scritto su questo particolare gli storici sommi

di Grecia e di Roma , nè accadeva che il Valesio per non dare

una mentita al filosofo di Cheronea si affaticasse di conciliare le

due opinioni diverse col recare in mezzo la strana supposizione

che, morto 1’ Africano, la figlia minore di lui fosse un’altra finta

e come definitivamente promessa allo stesso Graccn, circa il qua

le consultisi la nota 26 al lib. xxxt. - Scipione Nasica « detto

Coreulum, figlio di quel Nasica, che uomo ottimo fu giudicato

dal senato. Quest’ ottimo pertanto era consanguineo dell’Africano,

siccome insegna Livio (xxxvm, 58) figlio di Gn. Scipione, che

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224

fu ucciso in lspagna insieme col fratello. 1» Valesio. Un figlio

del Nasica qui rammentato, giovine valoroso, militò sotto Emilio

Paullo nell' ultima guerra. macedonica, nella quale pugnò ancora

Scipione Emiliano essendo in età di diciassett'anni (Liv. xuv- ,

36, 44), un anno adunque innanzi alla famigliarità ch’egli avea.

cominciato a contrarre col Nostro (xxxn, 10 ).

(mg) E contando ad entrambi venticinque talenti. Il testo

retofirloslvir dmypnth'r inu.7ipp 731 imam xu.i wir7l 7GÀG’I7UI,

suona letteralmente: Efacendo la cancellatura ad entrambi da’

venticinque talenti, ch' equivale a quanto abbiam espresso nella

traduzione, ed è necessaria conseguenza dell'eseguito pagamento.

Volendo pertanto meglio approssimarei alla frase greca, potevamo,

senza offendere la proprietà della favella italiana, cosi voltare questo

passo: E dipennando ad entrambi la partita de' venticinque ta

lenti. ll Reislte in una nota eruditissima determina il valore di

3mypa't@uv in questo senso con esempi tolti da classici scrittori,

ed avverte che i latini lo esprimevano con rescribere opposto a

perscribere, che , conforme insegna il Valesio a questo luogo, si

gnificava presso i Romani registrare ne’ libri quel denaro ch’è

dovuto e non per anche pagato.

(1 lo) Né a ciò s’ indussero senza ragione. Ka‘t 7a'ò'l' iwuq;u

àvx. &Aiyus, secondo le parole : E ciò patiron non irragionevol

mente. L’Ernesti nel dizionario polibiano dà al vréexsu in que.

sta frase il senso di fare, e cita a questo proposito il verso 254

delle Nubi d’ Aristofane, dove xviert lluib 7307. sta per i'Àxu

strascina , si trae dietro. Giusta questa spiegazione il presente

passo andrebbe così tradotto: Né ciò fecero senza ragione. Se

non che sembra assurdo che far e patire, diametralmente tra di

loro opposti, abbian ad esprimersi colla stessa voce. Il perché

io credo che l’azione in siffatto modo di dire avvwga in conse

guenza di qualche passione od influsso, e qui li zii di Scipione

s" indussero ad interrogare lui stesso per cagione della diffidenza,

o dir vogliamo passione diffidente, conceputa verso del banchie

re. E nell’esempio ancora tratto. da Aristofane il pensiero che

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513

23524’îstrascina 1’ umore nel nasluru'o produce in quest’ erba una su

.rCellivilà (cb’ è stato passivo) di riceverlo.

(tu) Per buona pezza. Non faceva d’ uopo che il Gronovio

tentasse la scrittura volgata, cangiando ’mi xfe'nI in i’74 zp. Pa

recchie volte trovasi nei Nostro 'u-i 56. , 7pti': i;,uipu, ’uri m

Aiu zpe'rov (xv, 65, 75; un, 15; I, n, lg).

(ma) Scrupolosità. Nel testo è molto evidente l’opposizione

della ptyaAe-tlzozix (magnanimità) di Scipione alla fuxpn7toyim

( soverchia occupazione nelle cose piccole) di Tiberio e di Na

sica. Non ci fu possibile di renderla nel nostro idioma, e la vo

ce da noi prescelta per denotare l’ ultimo di questi sentimenti ci

è sembrata la più espressiva. »

(Ii-5) A successori della sua famiglia. Auuîo’xow lai 705

yiuvs è al certo testo viziato; ma non era necessario che il

Valesio ponesse aiuleii innanzi a nati , donde risulterebbe la su

perflua indicazione che i successori di lui eran ancora quelli del

la 5l13 famiglia. Meglio si farebbe acancellare il uni seqz’ aggiun

ta , siccome io feci. Haeredesfamiliae sacrorum et nomini; sui,

che hanno i traduttori latini non è nel greco. A

(i |4) Stimato meglio di sessanta talenti. Male si comprende

come alla vedova di L. Emilio non si fosse potuta restituire la

dote di venticinque talenti (xvm, 18), sommando la facoltà la

sciata dal marito sessanta talenti. Ma conviene credere che cotesta

restituzione, confortix’è detto al luogo citato, non potesse ese

guirsi pienamente senza la vendita di alcuni effetti e possessioni,

perciocchè tra le sostanze di Emilio trovaronsi pochi contanti,

e ciò che ne ereditarono Scipione e Fabio consisteva perla mag

gior parte in beni fondi. Che se l' aggiunta di sessanta talenti al

la facoltà di Fabio rendeva eguale la sua facoltà a quella di Sci

pione , ne segue che quanto ereditò Scipione dal padre adottivo

ascendesse ad una somma maggiore , non potendosi supporre che

Fabio nulla del suo avesse redato.

(||5) Che in quello si consumavano. Nel testo è 751 che-

Àlelefcinn xnpaî'luv , de’ denari consumati: espressione oscu

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226re che ho stimato di rendere più intelligibilclcol supporre smar

rite le parole i: aiu7aî; (pompaggmn )

(HG) Trenta talenti. La metà di questi avea data Scipione

al fratello dopo la cessione che gli fece di tutta la eredità di

sessanta talenti. Donde si conosce molto ragguardevole essere sta

ta la sostanza che a Scipione derivata era dal padre adottivo,

appetto a cui povera dovea reputarsi quella di Emilio che non

trasse profitto da’ tesori somministratigli dalla Spagna e dalla sog

giogata Macedonia, ma tutti recolli nell’ erario di Roma.

(ny) Sparsa che fu la fama. Essendo nel testo 0»';us arepi

àv7oî didauims, non sembrami, siceome parve al Reislse, che

abbia a premettersi al sostantivo uno degli aggettivi da lui pro

posti, lusya’qug, grande, Aapxfi; , splendida , 7.116715, tale,

dappoichè in altri luoghi ancora del Nostro lrovasi Q»',u.n senza

siffatta precedenza (VI, a 52 ). Sibbene è da approvarsi il 3‘: che

lo stesso commentatore vi pospone ed il 6m&3quirnî che

sostituì al volgato 3m3«;|uimr. - Altra correzione ancora io sti

mo qui necessaria. Male suona arlpi éa7aiî (intorno a lui) re

lativo a Scipione; chi: la fama si divulga propriamente intorno

ad un fatto, siccome qui divulgossi intorno alla nuova generosi

tà del giovine celebrato. Sentendo ciò i traduttori latini scrisse

ro: hujus 'rei fama , ma non si avvidero della sconcordanza di

siffatta traduzione col testo, che io propongo di mutare in m":

70'u7av, intorno a ciò , genitivo del neutro 7397..

(118) Intorno alla qual cosa. (V. sopra al cap. 8).

(Hg) Secondo le leggi. Sappiamo da Livio (Epit., lib. m)

che C. Voconio tribuno della plebe avea per insinuazione di Ca

tone censore emanata la legge che nessuno potesse costituir eredi

le donne , e Cicerone (in Verrem, I, 42) riferisce che secondo

questa legge non poteano ereditare nè vergini, nè donne dopo

il censo allora istituito; ma che vi erano soggette le sole classi

censite, donde i contribuenti, al dire‘di A. Gellio (vn, 13 ), chia

mavansi classici. Incominciava pertanto il censo secondo Ascon.

Pediau. (In Verrem., m, p. 40 , a , edit. Ald.) dalla facoltà di

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,as’7'is;

centomila sesterzj, ccntum milia sesterlium. Ora siccome la fa

coltà lasciata da Emilio sommava sessanta talenti, ed il talento

(V. A. Gell., m, 17) equivaleva a ventiquattromila sesterzj, cosi

quella facoltà ascendeva a 1,440,000 sesterzj ; somma per cui es

so dovea essere collocato in una delle classi superiori del censo.

‘ (mo) Onesta bontà. KaAcnayasffl, che male, secondo me,

fu latinamente voltato in elegantia , vocabolo ch’ è più relativo

alla eonvenevolezza e decenza delle esterne maniere che non al

1’ intrinseco merito del carattere e delle azioni che ne derivano.

Ma qui spiccavauo amendue queste egregic qualità;la bontà del

l' animo, che a tempo opportuno e quando il bisogno maggior

mente lo richiede conferiva la grazia , ed insieme la delicatezza

nel porgerla senza che il graziato ne arrossisse.

(I'JI) Delle facili. erzlfpur, che sono alla mano, pronte,

e quindi dal più degli uomini godute e difficilmente lasciate. Epi

tcto di questo più espressivo non potea darsia cotesti piaceri in

gannevoli, che insidiano alla sanità del corpo ed alla vita, esof

focano nell’ animo ogni germe di generoso sentimento.

(122) I re. Bamàiaiv (assoluto), regii è la lezione-volgata,

alla quale il Reiske, non disapprovandola , amato avrebbe di so

stituire filfiunMuni'lur , che ebbero negnalo. lo mi sono a

tenuto alla scrittura di Diodoro , siccome alla più semplice ed e

salta.

(125) Liberi lasciavano. Non fu bene intesa dagli interpre

ti del Nostro la forza dell’nvnuo'7u 1, da uqupa, rilasciare, met

tere in libertà , ch’ è ben diverso da dicare (dedicare, destinare).

L’ Ernesti con qualche stiracchiatura dice : àn'ima è propriamen

te far libero e rilasciare, affinché possa destinarsi e consecrar

si ad alcuna cosa. n Ma i luoghi non si possono altrimenti man

dar liberi e svincolare come si farebbe di qualche oggetto mobi

le'; sibbene non 5’ impiegano in nessuna cosa, ed in tal senso

lasctansl in libertà per dare loro una particolare destinazione.

(124) Sellano. Questa voce ho creduto meglio di qualsivo

glia altra corrispondere a zl«v,gayuyfa , ch‘è propriamente ri

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228

creazione dell' animo e quell’ onesto piacere che si prende di al

cuna occupazione dopo le fatiche imposte dal dovere. Voluptas

de’ traduttori latini è' termine troppo generale, e che il più delle

Volte si applica a’ piaceri de’sensi.

(125) Per modo che ce. Non mi parve d’ accettare la muta

zione di) Àic'ls in 171 proposta dallo Schweigh. , per cui verreb

besi a dire, come quello ch’ era nel fiore cc.; dappoichè adot

tando, siccome feci, la lezione volgata, non è necessario, confor

me crede l’ anzidello, di considerar il 3“. mai mspuyulpen:

(il perché venuto) a come secondo membro (apodosi) del pe

riodo, la qual seconda parte incomincia da xa5uiarep (uno

altrimenti), ed è retta dal verbo turi/30 (Mila-9m) 7m 'Éppqv

nel nostro Volgarizzamento traeva dietro. Così col 612 :al in

comincia un nuovo periodo.

(126) Salutazìoni. Era costume presso i Romani, che coloro

i quali a qualche dignità aspiravano , riscontrandosi in tale che

nelle ragunanze popolari votava per le nomine , il salutavano cor

tesemente e la mano gli stringevano, per averlo a se favorevole,

e ciò chiamavano prehensare; al qual uopo bazzicavano nel l'o

ro , o dir vogliamo nella piazza principale, ch’ era il luogo più

frequentato della città. I Greci esprimevano quest’ atto per zan

p'lwp‘n che qui leggiamo da zaipl, loro formoladi saluto cor

rispondente al vale de' latini.

(127) Colla pubblica vece. Nel testo è 1rf‘of Aóyn , propria

mente Vcrso il, col discorso , cioè della gente , del popolo. E

potrebbe darsi che Polibio scritto avesse unln A57n, sebbene

questo sostantivo trovisi solo presso altri scrittori ancora per vo

ce sparsa fra il volge (V. Xenoph. Cyrop. , w, 2, 10; v, 2,

_ 5o).

(l’28) Nell’ amor della gloria. Mi sorprende come lo Schwei

gh. ritenuto abbia nel testo lo spropositato iv Q|AOgIIL‘;C (nell’a

mor delle cose straniere) ch’ era nel manoscrith del Valesio, ma

da questo già sospettato doversi mangiare in piln6aii'g, amore

di gloria ), e così interpretato. Se non che cursus ad laudem

f

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I

229 3

et gloriam nella versione latina non rende perfettamente il senso

del vocabolo greco. _

(mg) Della prima giovinezza. ’21: 7;; wpa’7ns f;szas non è

in adolescentia, conforme fu tradotta. lmperciocchè sebbene la

prendesi talvolta nel senso di in; dove, siccome qui, trattasi di

tempo, equival esso all’a , ab de’ latini,e più adeguatamente sa

rebbesi reso per a prima ab ineunte notate. Oltracciò è ai>.mia

semplicemente età , che va determinata con qualche aggettivo ,

siccome nel nostro caso con vpa'7», prima; dalla qual regola

pertanto bassi da eccettuare quando significa età militare nella

formale il »iMz/gz.

(150) Sarò per dire intorno a lui. E da dolersi, che pochis

simi brevi cenni di Polibio intorno alle geste di questo sommo

romano sono a noi pervenuti. Smarrito è eziandio quanto di lui

scrisse Livio , tranne quel poco che se ne conserva nelle epite

mi de’lib. xzvm a u, e r.vr a mx; tuttavia più da questi si rac

coglie clae non da’ frammenti del Nostro. La maggior contezsa

che abbiamo de' fatti che la vita dilui onorano, ne porge Appia

no alessandrino nelle cose punicbe c. LXXIV e seguenti.

(i5t) Degli Ateniesi. Ho seguita la cronologia congetturata

dallo Schweigh. per questa ambasciata, sebbene non panni che

v’ abbia dati probabili per adottarla; ma il feci non sapendo a

qual altra epoca appigliarmi. La cessione fatta agli Ateniesi del

le isole di Delo e di Lenno, che iRom_ani tolte aveano a’ Bodii,

per punirli del loro contegno ambiguo nella guerra di Perseo ,

avvenne l’anno' di Il. 588 (lib. un, e. 18 ), cioè sette an

ni innanzi a questo fatto: spazio di tempo che sembrami troppo

lungo tra 1' anzidetta cessione ed i reclami de’Delii.

(l32) Essendo stato a questi risposto da’ Romani. Convien‘

adunque credere che avanti la presente ambascerie un’altra ne

avessero mandatai Delii a Roma subito dopo la loro cessione per

raccomandare sè e le loro sostanze.

(135) Voletmo coli: cc. E’ si pare che gli Ateniesi, disub

bidienti a’ Romani, avessero messe le mani addosso alle facoltà

î3

\

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230

de’ Delii emigrati, per cui questi chiamavansi in diritto di chie

der rappresaglie; ovveramente è da supporsi che alcuni tra gli

antichi cittadini di Delo andassero dain Ateniesi creditori di

somme che questi non voleano pagare.

(154) Giusta il trattato cc. Dovea questo contenere un arti

colo su’ crediti reciproci di quelle nazioni, i quali in caso d’ in

solvenza diritto avessero di farsi pagare coll’appropriazione median

te sequestro e confiscamento de’ crediti che per avventura avea

il debitore nel paeso seco legato per silfatta convenzione. Laonde

i Delii, divenuti cittadini achei, intendevano di partecipare a co

teste diritto che gli Ateniesi loro negarono, probabilmente perchè

quelli non aveano peranche la cittadinanza achea quando fu stret

to quel trattato. Ma i Romani non fecero buona agli Ateniesi que

sta ragione , e vollero compresi i.Delii nelle leggi con cui gli

Achei si governavano.

(155) Rendimento di ragione. Amandoa’z'a che ho cosi ren

duta,ha diversi sensi da me spiegati nella nota a al lib. xxxv, in ri

ferendo i principali luoghi del Nostro dove questa voce riscon

trasi. Resta che il presente ancora , del quale non fecicolà men

zione, io prenda ad esaminare. Qui si tratta manifestamente di

amministrazione di giustizia nelle pretese de’ Dclii contro gli A

teniesi; quindi cade l’ anzidetto vocabolo nel senso del quale ab

biamo un esempio nel lib. xx, c. 6 , dove consultisi la nota 22.

(156) Gl’ Issii, abitanti dell’ isola d’ Issa, oggidi Lissa, che

appartiene alla Dalmazia.fiporgente com’ ella è nel mare Adria

tico e pressoché nel suo centro situata,ha grande importanza per

la navigazione, e perciò fu ne' moderni tempi fortificata e ridot

ta a stazione navale. - U Orsini che trovò nel suo codice Nur

fl'nn male il cangiò in Aira‘fu1 (Lissiorum) da Lissa odierna

Alessio nell' Albania, città ultima dell’ llliria a’ confini della Ma

cedonia, che troppo era lungi dalla Dalmazia. - Strabone (vu,

p. 3x5 ) vanta Issa nobilissima tra le isole liburniche. Bibellatasi

da Teuta regina dell’ Illiria,erasi data a’ Romani (u , 8 , 4).

(i37) Daorsi. In vario modo trovasi scritto pressoi geografi

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513

e storici il nome di questa nazione. Decisi recanoi MSS. diPo

libio, donde il Casaub. fece Danni. Daorisi sono essi chiamati

da Strabone (I. c. ), che li pone. intorno al fiume Nerone (Na

renta odierna) e da Plinio (111, {16 ); Tolemeo (11, 17) Daursii

li appella e li colloca nell’interno della Dalmazia. Daorisii di

Vellejo Patercolo (11, 115) è mera congettura dell’editore Beta

vo (Aut. Thysius, 1668) guasta essendo la lezione volgata.

Darsi li vuole Appiano (lilyric. a ); ma coloro che così deno

mina Stefano Biz. non mi paiono la stessa nazione, dappoichè a

detta sua nella Tracia li mette Ecateo , e pessima è la ragione

che adduce il suo commentatore Pinedo per farli credere tali,

cioè 1’ essere 1’ llliria e la Tracia paesi confinanti. Daorsei sono

essi presso Livio (xzv, '16)- L’ Olstenio (Notae et castigat. in Sleph.

Dict.) pretende che Daorisi li scriva Strabone , e stabilisce in

Daorsi la vera scrittura. La etimologia di questo nome è se

condo lo stesso Auop9à, una delle figlie assegnate «la Appiano

(I. c.) ed lllirio figlio di Polifemo, primo re di quella contrada.

[monde non è improbaliile che Daorsi scrivesse questo storico ,

tanto più se, siccome suppone l' Olstenio , Aaopcà (Daorsò)

abbiasi a leggere nel suo testo. - Aewcpa'lfir (de' Dassariti ), po

polo illirico da tutti i Geografi denominato , sembra che reces

se il cod. dell’ Orsini, posciachè cosi scriss’ egli nel suo testo. Nè

io sono lungi dal credere che questa sia la vera lezione, chè in

tal ipotesi non sarà quanto riscontrasi appresso delle accuse de’

Daorsi una vana ripetizione , per cui lo Schweigh. stimava do

versi cancellare la prima menzione di loro fatta.

(158) Epeu'0 e Trngurio. La prima era secondo Tolemeo (l. e.)

città marittima nel sito dov’ è oggidi Almissa ,ma Plinio (I. c.)

ne fa un’ isola. La seconda è, al dire dello stesso\ geografo, isola

con una città del medesimo nome , e corrisponde all‘ odierna isola

di Brezza. Slrabone non parla di Epezio.

- (159) Caio Fannio di cognome Slmbone. Con esatto calco

lo dimostra lo Scbweigh. che il presente estratto appartiene al

I' anno 596 di R. La guerra dichiarata a’ Dalmati dopo il ritor

2312i.”J 5’

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232

no di Fanuio riportarsi dee senza dubbio all' annop seguente, a

questo avvenimento fu secondo il Nostro nel duodecimo anno do

po la ultima disfatta di Perseo l’anno di R. 586, quindi nel 597. Fu

questi console l’ anno di B. 595, secondochè bassi da’ fasti, e di

verso dal C. Fannio Strabone che sostenne questa dignità 1' an

no 632 , per quanto può congetturarsi dalla distanza de’ tempi.

(ufo) Dall’Illt'ria. Questo paese, conforme già osservammo

nella nota 5 al lib. n, estendevasi dall’ Arsia , confine dell’Istria

sino al Drilone, cenfine della Macedonia, e la Dalmazia ne facea

parte , finattantochè era soggetta a’ re illirici. Gente bellicosis

cima avean essi il loro domicilio dentro terra , ma fattisi libe

ri ruppero guerra a' vicini ed invasero la costa marittima e le

isole adiacenti, che dopo la caduta del regno illirico vennero

sotto la protezione de’ Romani (Vedi le ricerche sulla origine di

Trieste, cap. v , ne’ miei opuscoli di vario argomento. Venezia ,

1853 ). -

(I4l) Pleurato, figlio di Scerdilaide,o Scerdiledo (Scerdiloedus),

conforme il chiama Livio, e padre di Genzio. V. la nota 15 al

lib. n.

(142) Signifivò. Ho schivato il participio diaruoo'w'luv che

lascia il periodo sospeso. Il Casaub. si ottenne nella traduzione

alla irregolarità del testo; non così lo Schweigh., il quale accor

tosi di questa sconcordanza voltò I'fllî (lì 7o'u7u; Stampe“, come

> se ripetuto fosse dmeu’u'luv, ostendxlrselque praelerea.

(143) Alloggio-pravvedimento. Due vocaboli usa qui il No

stro , xu7aiÀvyd-wxpozl‘l, che non si sogliono applicare se non

se ain ambasciadori e pubblici dignitarj che viaggiano. Quanto

è al primo il troviamo nella traduzione biblica dei settanta (Erod.,

xv, 15) per onorevole, decarosa abitqu'one, quale suona l'ebrai

co testo. Presso Tucidide (i, p. 29, edit. Port.) leggesi xu7nAtlfm

per recarsi ad alloggiare, dove osserva lo Scoliaste che questo

verbo adattasi principalmente a chi viaggia in carrozza(ì»l a”;pz7n:),

siccome fanno appunto i gran personaggi, qual era Temistocle di

cui colà parlasi , c che condannato assente ricoverò da Admeto

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, Ila53'éîlc

re dei Molossi. - L’ altro vocabolo riscontrasi ancoranel Nostro

(xxn, I) coll’ aggiunta di 7Év finlm, cioè de’ doni che si fanno

a cotali soggetti (V. al libro testé citato la nota 41, e lib. xxv, 6,

nota 55 Laonde coloro che aveano la incumbenza di fareeco

tale provvista dicevansi pamclzi, wépaxai, da aupixm,fornire,

porgere.

(144) Da un’ altra città , che non era sotto la giurisdizione

de’ Dalmati. Già è noto che miAt; non prendesi sempre per città

nel rigore del termine, ma sovente per una città col suo circon

dario che reggesi colle proprie leggi.

(145) Dacchè avean espulso Demetrio Farlo. Avvenne ciò

l’anno di Roma 555 , per opera del console L. Emilio Paullo,

padre del Macedonico, siccome scorgesi da quanto riferisce il No

stro nel lib. 111, c. 18 c seg.

(146) Si effeminassera. Ricevo la emendazione fatta dal Beiske

al volgato Èxihhv09m, che non significa già semplicemente cor

rompersi, languire, siccome vorrebbe lo Schweigh., sibbene pe

rire, distruggersi, lo che evidentemente è qui troppo. Meglio

adunque leggerassi a’twa.9»7ttirirSnu,llùll altrimentiche in'li5fluiv9m

dal» 751 n‘eÀ1i! ’upn’mv (ell'eminati per cagione della lunga pace)

scrisse già il Nostro nel cap. 2 di questo libro.

(147) Queste pertantofurono le cause. Due ne indica il No

stro, la umiliazione de’ Dalmati ed il desiderio di non lasciare il

languidire nell' ozio i propri soldati. l.’ ultima non palesarono alle

genti esterne, che sospettare non doveano avere il valore romano

bisogno d’essere spronato , oltreché avea desse il colore di pre

testo anzichè di legittima causa; 1’ altre bensì rendettero mani

festa, amando essi che tutti sapessero non lasciarsi da loro ini

vendicato le offese fatte a’p1‘oprj ambasciadori. Il perché io tengo

col Rciske che 7.7; 047); significhi agli altri popolifuorchè ai

‘ Dalmati, non già, siccome piacque allo Schweigh., a quelli che

sono fuori, cioè non intervengono al congresso , al volga non

partecipe del consiglio. Non può pertanto negarsi che corrotto

e il testo nel presente luogo, dove leggesi:7.i's 7: p»): ’uz7‘u 731

POL11:10, lom. VIII. 17‘

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258

n-óAqun àm8unónr. Il Casaub. indicò con quattro punti dopo

l:7‘4t la mancanza di parecchie parole; lo Schweigl1. pose nello

stesso sito un solo asterisco, e sospettò quindi una lacuna mino

re, riempiendola secondo la spiegazione cl1' egli fa di 7.7: 'n'l‘u,

siccome la riempiè il Reike a tenore della sua. lo tengo che qui

non vi sia omissione alcuna, edipenno 7‘u In'7tl}eer, introdottosi

forse per la balordaggine o saccenteria di qualche copiata, e cosi

scrivo: 707; 71 pi" in7‘u àmióuvouv, ai: 3:2: 1:. 7. A., e per

tal modo la tradussi, siccome panni, con sufficiente chiarezza. -

Del resto avrebbe mai Polibio, in distinguendo le riferite cause,

1’ una occulta 1’ altra palese, indirettamente accusati d’ ingiustizia

i Romani in certe loro guerre imprese solo per mantenere la gio

Ventù nell’ esercizio delle armi?

(148) Ariamle. Questo re della Cappadocia , sesto di colal

nome, era_succeduto al padre sovrannomato il Pio l'anno di Ro

ma 591 (V. lib. un, e. 14, e colti la nota Nelle medaglie

ha egli il titolo di Filopatore (amico del padre) ed insieme quello

di Ensebe (il Pio). V. Visconti, Iconogr. grec., t. 1|, p. 295.

(149) Essendo ancora state. a Avanti la fine dell’ anno 596

era Ariarate venuto a Roma; ma siccome sugli affari appartenenti

a nazioni esterne, se non v’avea urgenza , non si riferiva al se

nato clte sotto i nuovi consoli, quando davasi pure udienza agli

ambasciadori, cosi aspettar dovette Ariarate sinchè i nuovi con

soli Sesto Giulio Cesare e L. Aurelio cntrassero in funzione. Al

qual tempo si riferisce il 757: Sì. » Schweigh. Infatti come sa

rebbono i nuovi consoli entrati nelle loro funzioni mentr’ era per

anche state, conforme intender si dovrebbe riferendo il 7671 al

tempo della venuta di quel re? Se non che ove si consideri che

i MS. davano 7574 6‘: 7a’v7m rapuànQ. 7. 1., è da sospettarsi

che il testo non sia sano , e che per renderlo tale non bastasse

l’ aver cancellato il ?e’v7uv , siccome fece l’ Orsini. Per la qual

cosa panni che Polibio scritto abbia: Tfls dl àvciia-u mxpllÀ., non

avendo 1»en arene assunto cc. , e ciò rende ragione de' privati

colloqui (u'l’ ì3im 'sv7niEns) cl1’ ebbe seco lui Ariarate, sicco

me tosto leggesi. '

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, 259

(I50) Arnese. Questo_vocabolo si adatta secondo la Crusca ad

ogni maniera di masserizt'e, abili, fornirnenli, cc., e nel senso di

Vestiti appunto trasandati e dimessi, quali Ariarate addossnva ana

loghi alla sua sventura, è da prendersi il m;muxì del testo, in

torno alla qual voce usata per foggia di vestiti veggasi la nota

246, al lil). v.

(i5l) Alla sua presente, sciagura. Narra Giustino (xxxv, i)

che Demetrio Solare re di Siria , sdegnato contro Ariarate per

avere questi ripudiata sua sorella, accolse supplichevale Oroferne

fratello di lui, il quale ingiustamente era stato cacciato dal regno,

e stabili di rimettervclo colla forza. Secondo Appiano (Syriac.,che Oloferne chiama il fratello di Ariarate, Demetrio per mille

talenti l’ avea a questo sostituito, ed i Romani decretarono che

amendue, siccome fratelli, insieme regnassero; ma Polibio, al e. 25

di questo libro e nel lib. v, e. 5 , riferisce che Attalo secondo

rimise Ariarate sul trono, lo che egli non avrebbe fatto senza la

volontà de’ Romani, a' quali veggiamo che quell' infelice ebbe ri

corso.

(152) Recmmn una commi , cioè l’oro per fare una corona,

che i Romani chiamavan,aurum eoronarium, e che, conforme ab

biam altrove osservato, davasi dalle nazioni e da’ re al popolo

dominatore in attestato d' ossequio per procacciarsi la sua benc

valenza. '

(i55) Nei privati abboccamenti. Innanzi che data fosse in se

nato publiliea udienza ain ambasciadori, recavansi questi priva

lamento da’ consoli e da’ senatori che alla loro causa speravano

favorevoli, ond’ esporre loro minutamente le proprie ragioni , e

prepararli per tal guisa a dar loro il voto che desideravano.

(I5‘) La sfoggìavanomaggiormente. Miifu (pulce/m :tÀI-or,

letteralmente , maggior aspetto dietro sè traevano , cb’ è frase

energica, denotante la vista magnifica e pomposa che risultava

dallo splendore dei vestiti e dalla gaiezza del portamento; idee

che panni d’ aver adeguatamente espresse col verbo che ho scelto.

(155) Tull0 dicevano, contro Ariarate, ed a tutto risponde

\

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260

vano in difesa delle accuse contro di loro portate. La lezione vo

gata della seconda sentenza è irpu srm7eiu, ad ogni maniera'di

cose, cioè di accuse, e non doveva tentarsi, siccome fece il Reiske,

proponendo di cangiarla in miv'l.z. '

(156) Non era soggetto a prova. Questo è il vero senso di

àleiu9unv, non già ea neo confutata manelmnt (quelle cose

non rimaneanconfutate Producevan costoro le accuse con ar

ditezza, perciocchè nessuno li costringeva a renderne ragione, a

provarle. Anche lo: i’xu 7‘ov énAegnpn'pevu è mal renduto

per quia aderat nemo, qui verilatem tueretur (perchè non v’a

vea nessuno che difendesse la verità ). La difesa (niwsAayi'a) è

relativa alla persona, non alla cosa.

(157) Parve che il successo cc. Che il contrario di ciò av

venisse veduto abbiamo di sopra alla nota 150.

(158) Bacchica. ’lnmiv ha il testo, che io credo sbagliato, e

doversi cangiare in l’fixztlt‘1' da ’laxzaî, Jacco uno de’ cogno

mi di Bacco.- Delle arti teatrali. Cosi tengo che abbiasi ad in

terpretare 7uxn7m1‘n, da 7ixrt'lm' arte/ice, ma singolarmente tea

trale, o, come diciam noi, attore , senso in cui riscontrasi nel

lib. xv1, 21. - Eliano presso il quale (Var. hist. , 11, 41) leggesi

il nome di quel principe con doppio f, 0_11p045ip|fi (Orroferne),

l’ annovera tra i più celebri bevitori, e Diod. Sic. (Ere. de vii.

et virt.) nota la sua avarizia e crudeltà.

(159) Gli affiri dell’Etolia. Per ben giudicare dell’ epoca

nella quale quietaronsi ivar_ii stati della Grecia qui nominati per

la morte degli uomini turbolenli e scellerati che tiraron loro ad

dosso tante sciagure, fingendosi partigiani di Roma, affine di sa

ziare la propria ambizione ed avarizia; è d’uopo considerare co

me, vivendo costoro ed essendo in credito presso illomani, pro

babil non è che gli avanzi de’ Greci allontanati dalla patria dopo

la disfatta di Perseo, pel quale accusati erano di aver parteggiato,

vi f055ero ristabiliti. Quindi essendo questo ritorno accaduto l’anno

di Roma 6o4, conforme scorgesi da quanto ne riferisce il Nostro

nel lib. xxxv, c. 6, non andremo, credo, errati se a quel rior

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261

dinamento delle cose della Grecia assegneremo un tempo non

molto anteriore all’ anno testè indicato. Per tal guisa avrebbono

durato i disordini in quel paese dalla fine della guerra Macedo

nica sino al ripatriare degli esuli, cioè dal 586 sino al 604, nel

qual intervallo morirono i perturbatori di cui nel presente luogo

è fatta menzione. In tale supposizione converrebbe trasportare

questo estratto molto più sotto, alla fine de' frammenti del lib. xxxv.

Che se, come riflette lo Scbweigh., Diod. Sic., il quale segui esat

tamente le pedate di Polibio, tratta delle scelleratezze di Carope

innanzi all’espulsione di Ariarate, ciò non prova che Carope mo

risse avanti coteslo avwnimento.

(160) L’ ammutinamento civile. « Questa guerra intestiua tra ‘

gli Etoli rammenta Livio nel libro xav, c. 28, dov’ egli dice che

550 uomini principali dell’ Etolia uccisi furono da Licisco e Ti

sippo coll’ aiuto de’ soldati romani. n Valesio.

(161) Mnasippo. Di costui ch' era beozio,posciachè città della

Beozia era Coronea , e di Creme acarnane, siccome degli altri

tutti che, per essere fautori de’ Romani ne’ varii stati della Gre

cia furono ad essi mandati ambasciadori, parla il Nostro nel li

bro xxx, e. lo. Intorno alla più probabile scrittura del nome

Creme, che qui nel genitivo leggesi Cremata (Xfipa'la), consullisi

la nota 52 al lib. xxvm.

(162) Lo stesso anno in Brindisi. Ciò significherebbe che tutti

costoro morisscro in un anno; sebbene l' espressione che qui usa

il Nostro potrebb’ esser relativa a qualche altro avvenimento del

medesimo anno narrato avanti quello di cui ragionavasi del pre

sente estratto. - Brindisi essendo il porto nel quale imbarcavansi

a que’ tempi per fare il tragitto in Grecia, ci sembra che Carope

cólto fosse dalla morte nell’ atto ch’egli ritornava a Roma dopo

essersi ritirato in patria, siccome leggcsi alla fine del cap. 22. La

confusione poi nell’ Epiro sarà stata dopo il suo trapassare ancora

fomentata da’ molti iniqui compagni cl1’ egli avea. Veggasi ciò che

di costui scrisse Polibio nei libri xxx, e. 10, 14, e xxxr, c. 8.

(165) Lucio Anicio. A detta di Livio (x1.v, 54) e di Plutar

co (in Aemil., p. 271) e del Nostro ancora citato da Strabone

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2621'.

(vn, p. 522) che gli altri posteriori copiarono, fu L. Emilio che

in un giorno saccheggiar fece dal suo esercito settanta città del

I’ Epiro cb’ erasi ribellato, trasse da ciasceduna dieci uomini dei

principali, e menù in iscbiavitù cencinquanta mila del popolo; ma

ad Anicio consegnate furono quelle persone di maggior conto ,

ch’egli non altrimenti condannò, siccome suona il volgato xa7a

lflid's, dappoichè non egli, sibbene il senato ne avea l’autorità,

e perciò li condusse a Roma. Nè vi andarono tutti , ma quelli

soltanto, secondo Livio, quorum cognilionem causae resero/ara! (l’e

same della cui causa egli avea riservato), e secondo il Nostro co

loro su’ quali cadeva il più piccolo sospetto. Separò adunque

l’auzidetto capitano gli uomini sospetti da quelli che nol erano,

e ciò ne induce a supporre che ,m7is 7Ètp 'lli dunqluu (dopo

aver separati) dettato qui abbia Polibio in luogo di ua7azpt'uu

(aver condannati), e che la lacuna segnata avanti 75: imóavivÉvdfav, sia da riempirsi con iAstpfinu, Étsripdnu I(avcr

liberati, rimandati) non già con ènAei'v, Sam'liicrm (aver uccisi,

fatti morire),siccome propose il Rcislte ed accettò lo Scl1weigh.,

della qual esecuzione non fanno molto, ne Livio, ne Plutarco

(Il. cc.). Per tal modo la sentenza espressa dal Nostro sarebbe:

Dopo aver Anicio falla la separazione, e quali tra gli uomini

illustri licenziati, quali su cui cadeva il benché minimo sospetto

condotti a Roma. - Sebbene cosi ancora questo luogo non e re- _

stiluito alla sua genuina lezione. Nè su7azpi'm; . nè 3m:pluu

stan bene cosi isolati senza l’ accusativo ch’ è soggetto dell'azio

ne, e questo non può essere se non se gli uomini illuslri da con

dannarsi o separarsi. Leggasi adunque per mio avviso: M. y. 7.

dimq/m: 'Anx. lain 'sm@m‘ovs lir3par, sul loin' ,u‘n insazip

-dmz, 7oils' di irayaylc9m in 7:)! Pu'pun.

(16ì) Campe avuta la facoltà cc. Tolti dalla patria tutti co

loro che parteggiato aveano contro i Romani, nessuno più a co

stui si opponeva, e poteva egli dar libero sfogo al suo mal talento

ed alla sua cupidigia, cui serviva di pretesto lo zelo per la causa

de’ conquistatori, siccome tosto vedremo.

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263J

fi .

(165) Presidio. ’E4>uipfu ha il testo, che nel senso proprio

è gueruigione, presidio , e qui metaforicamente significa njulo,

suffragio. Io non ebbi riguardo di tra5portare cotesta figura nel

volgaritzamento, comechè Secondo la Crusca a' medici sali val

esso per ajnto, rimedio potente. Non vi corrisponde 1’ autorità,

in che fu latinamente Voltata , e male vi si applica 1’ aggettivo

marima, ch’ è molto più dell’Îuu (come) che modifica siffatto

presidio od autorità.

\ (166) Con questi. tipi; 7ein' w;aupzpinur, verso gli anzi

detti, cioè verso i Romani, le quali parole furono troppo am

pliate da' traduttori latini in cum plerisque primariis viris ro

manis (colla maggior parte degli uomini primarii di Roma). La

vicinanza del nome a cui la espressione greca si riferisce mi fece

preferire il pronome relativo che ho usato.

(167) E le sostanze de’ morti rapl. Polibio ha qui verbo tle

che con ragione dispiacque a’ commentatori. Infatti ii»nlpmra

Blu?» 70:” film; (riduceva in ischiavitù le sostanze) i: frase af

fatto impropria e da non tollerarsi. Il Reiske notò la incongruenza,

ma non propose nessuna emendazione. Lo Scbweigh. voleva 11

Blu; sostituire ù1’eue, figli, a’ quali si acconcerebbe la schiavitù;

ma siccome lo scopo principale di quello scelleralo era la rapina,

cosi sospetta lo stesso che Polibio, scritto abbia |Efl|8pasre6f

n.7. 7ci:s ara/34:, xu‘i ’an/m'le lai): ,Blous (fece schiaviifigli

ed appropriossi le sostanze), e ciò concilierebbe tutto. Ma io mi

contentai di rilevare la cosa di maggior momento.

‘ (163) A sifl'atta figura. Dpo'nuru che ha qui Polibio sta per

fisionomia (@w‘tegnuftt'n), cioè pel complesso de’ lineamenti che

formano il carattere del viso, e vuolsi esser indizio della natura

dell’ animo. Secondo il Beiske equivale cotal voce al carattere

morale della persona espresso negli atti, e cosi la intendiamo noi

pure. Il perchè leggiamo con lui inmi: e 6013,4qu in femmi

nile. Diod. Sic. scrive neutri questi aggettivi e con lui si accorda

lo Schweigh. che muta in unì il volgato nulli. Le quali lezioni

adottando così avrassi a volgarizzare il presente passo: Era que

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264

sta jhccia (persona) ancor alla n cooperare. Ciò non pertanto

il latino dello Scbweigh. rende l’altro significato.

(169) Fenice. Città ragguardevole 'dell’ Epiro nella Caonia,

parte più settentrionale di quel paese. Di lei fece già menzione

Polibio nel lib. 11, c. 5. Quelle che da L. Emilio mandate furon

a sacco erano pressochè tutte de’ Molossi, secondochè Strabone

(vu., p. 522) riferisce dietro il Nostro.

(170) Allorquando Campo recossi a Roma. Non sarebbesi

costui arrischiato di ordinare l’esecuzione della condanna di morte

pronunciata dal popolo senza l’approvazione del senato, ed a tal

effetto balzo egli (ZPFIFÌI) colà con denari per corrompere i

suoi protettori ed ottenere, col mezzo di loro, la conferma della

sentenza testè mentovata. Il perché non è da maravigliarsi se co

loro ch’ erano già dannati all’ estremo supplizio fuggirono dalla

patria, siccome osserva lo Schweigh., il quale pretende che que

gl’ infelici non aspettarono per andarsene la partenza di Campo.

ma il fecero appena che furono denunziati, o quando sapevansi

prossimi ad esserlo. Da tale supposizione movendo mutò lo stesso

commentatore l’ii7s del testo in li 8;) (questi fuggirono, ed egli ec.);

ma io non cangiai nulla , considerando che non la sentenza del

popolo, di per se inconcludente, sibbene la partenza di Carope

per Roma, onde ottenere a quella l’assenso, esser dovca la grave

circostanza che determinò costoro alla fuga.

(171) (30' danari. Fa meraviglia come a que’ tempi, illustrati

delle virtù di un Emilio Paullo, tanta corruzione fosse già intro

dotta nell’ordine senatorio, che questo ribaldo sperar potesse di

conseguire coll’ oro da quel supremo maestrato la facoltà di tru

cidare i concittadini alle cui ricchezze agognava. E comecbè a

detta di Livio (nella prefazione) in nessuna repubblica tanto tardi

entrò avarizia e lussuria quanto nella romana; tuttavia fece il

primo di questi vizii cosi rapidi progressi dopo l'assoggettamento

di Cartagine e della Grecia d’Europa e (1’ Asia ,.clie non molti

anni appresso gli avvenimenti qui narrati, per quanto riferisce lo

stesso storico (Epit. , lib. 1.nv ), Jugurta sottrattosi clandestina

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265

mente da Roma, dov’era stato chiamato per rendere conto dei

danari da lui sparsi nel senato , partendosi sclamò: 0 città vee

nale, e che presto perirebbe se trovasse un compratore!

(I72) Principe del senato. Secondo Dione Cassio era il pri

mo eletto tra i senatori, ed a detta di Plutarco (in Tib. Gracco)

colui che primo era scritto nel ruolo di questi. Il qual onore con

feriva bensì maggiore dignità a quella degli altri, ma non mag

gior potere. Secondo Livio (Epit., lib. xr.vm) fu M. Lepido sei

volte eletto da’ censori a questa carica temporaria e non a vita.

(i73) Non acconsenti. Il Gronovio cita parecchi luoghi di

Polibio ne’ quali n7nn7u7/S‘lr-9'flt è preso nel senso di accon

sentire, e questo senso appunto richiede il contesto delle cose qui

esposte. Carope era venuto a Roma per domandare al senato la

sua adesione alle stragi da lui stabilite nella città di Fenice, ed

il senato non gliela diede. Quindi è da rigettarsi il ruuuî3s'lo

del Valesio da ruyxé9w9m seder insieme, la qual lezione adot

tando egli tradusse àu cunmiSt'la lai: iiEtoupivots haudquaquam.

inter honoratos (altro significato di a_iml,unus da iiins, degno)

jussus est sedere. Il rwî91'la del Reiske' da cm'li9tr9m signi

fica pattui con assenso d’ ambe le parti , anzichè accordò con

volontà della più autorevole, e cuuaniu dello stesso da voy

zu9/evm vale cedette, rilasciò quanto avea pattuito; quindi nep

pure queste scritture sono da accettarsi.

(I74) Al suo proponimenlo di far eseguire 1‘ atroce giudizio

estorto al popolo di Fenice. Er animi sententia (secondo la sen

tenza, 1’ opinione dell’ animo suo) voltarono i traduttori latini le

parole arp‘s; 7»‘,1 lfluiv inniSu-n; ma non colsero, per quanto a

me pare, la mente dell’ autore. 'Yaro'Su-u nel senso che le ho qui

dato trovasi in più luoghi del Nostro (m, 94; v, 5; xxn, 6) e

di altri scrittori.

(175) Il re Eumene. Regnò questi, secondo Strabone (XIII ,

p. 624 ), quaranta nove anni. Che se egli salì sul trono 1’ anno

di Roma 557, quando mori suo padre Attalo I (Polib., xvm, 24;

Liv., xxxm, 21) sarebbe la morte di lui avvenuta l’ anno '606,

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266 /

ben più tardi di quanto la troviamo qui indicata. Lo Sclrweiglx.,

attenendosi al calcolo del Simson, vuole che trenta sei anni ab

biasi a leggere nel luogo di Strabone testé citato, ma in tale caso

sarebb’ egli morto nel 595, non già nel 596, siccome da lui so

stiensi. È certo pertanto che Attalo Il , successore di lui, con

forme scorgesi dal piccolo brano alla fine di questo capitolo, op

pena prese le redini del governo restitui Ariarate nel regno di

Cappadocia, e ciò avvenne, giusta il Nostro (xxxrr, ‘20), quand’era

console Sesto Giulio Cesare, 1’ anno di Roma 597. Converrà don

que estender a quarent’ anni il regno di Eumene, quale additollo

il Petavio (Rationar. temp., t. u, p. 514).

(176) Ma col vigore dell' anima vi resisleva. Lo Schweigh.

nel dizionario polibiano con molti esempli tratti dal Nostro di

mostra chc Aaprpo'7qr, Aupwpin è da lui spesso usato per ala

critd , vigore ,forza , cosi nelle operazioni dell’ anima, come

ue’ movimenti della materia; e al presente luogo certamente non

si adatterebbe il senso più comune di splendore, chiarezza che

ha questo vocabolo. Maestrevole , a dir vero , è cotal tratto che

dipinge un corpo debole e malaticcio sorretto dagli sforzi effica

ci d’ uno spirito intrepido. _

(177) Ricevuto avendo ce. Pergamo era dapprincipio un ca

stello fortissimo situato sopra un alto monte, dove custodivasi

per Lisirnaco re di Tracia, uno de’ successori di Alessandro Ma

gno, il tesoro da questo lasciato. Pervenuto questo incarico a

certo Filetero , che da fanciullo per disgraziato accidente era

eunuco, e disfatto il regno di Lisimaco, colui se ne impossessò,

e morto lasciò la signoria ad Eumene figlio di suo fratello del

lo stesso nome, il quale la trasmise ad Attalo figlio d'Attalo fra

tello minore di Filetero,e questi primo assunse il titolo dire. Fu

egli socio del popolo romano nella guerra contro Filippo , ed

il figlio Eumeue nella guerra Antiochjca , pe’ quali meriti eh

be alla pace tutto il paese di qua dal Tauro, tranne la Licia e

la Caria , ed oltre a ciò la Chersonneso tracica , Lisimachia, ed

altri luoghi della Tracia (V. Polib. , xxrr, 7, 27; Strab., xul, p.

624). - Qui non dispiacciau al leggitore alcune riflessioni sull'e

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267

logie che abbiamo dinanzi, il quale a tre capi , relativi atre ge

neri di virtù, si reduce. Nel primo si esaltano le virtù politiche

di Eumcue tendenti all’ accrescimento dello stato , e sono l'avve

dutezza usata nel profittare de’ favorevoli incontri e l’ attività con

cui insisteva nelle imprese. Nel secondo lodansi le sue virtù so

ciali, cioè il generoso animo di lui verso le nazioni non meno

che verso i particolari, onde acquisterai fama di sovrano bene«

fico , e meritarsi l’amor e la stima universale. ll terzo si aggira

sulle virtù domestiche di questo gran re , e principalmente sul

contegno suo modesto e sull’ energia del suo carattere , che ub

bidienti e rispettosi gli rendettero i fratelli al pari di lui atti al

maneggio de' pubblici all‘ari. .

(178) Impinguà. Il verbo lupa'loni'qn , letteralmente fece

corpo , che sovente trovasi presso il Nostro nel senso di arene

scer forza, ingrossare, arricchire, ho creduto che qui non ma

le renderebbesi per un verbo italiano esprimente la materialità

del greco, non rifiutandosi a ciò la indole della nostra favella.

(l'79) Avendo tre fratelli ec. Erano questi Atta/0 sovran

nomato FiladeVo , che dopo la morte di Eumeue amministrò

il regno nella fanciullezza di Attalo suo figlio , Filetero ed A

teneo (Strab., l. e. ). -}Nel testo manca assolutamente una pero

la qualificante ciò ch’ erano celesti fratelli per età e per opero

silà, zu7la Yin sihnuniv xal xu7ì wpé{n. il Valesio propose

èupéfu'lm, fiorenti , vigorosi, ed al medesimo testo riportato

da Suida lo aggiunse il Kustero, benché tra cancelli. Noi lo am

mettiamo senza difficoltà.

(l8o) Restituendo Ariarate nel regno. Da Slrabone (l. e.)

si conosce che Ariarate era fratello della moglie di Attalo , mie

nor fratello di Eumene. V. sopra le note 150 e 156.

(18|) Intorno a quel» tempo. Quest’ ambaseeria vorrebbe il

Valesio trasportare colà dov’ è riferita la comparsa di Campo

nel senato (xxxn , TI ), non riflettendo , siccome a quel luogo

giustnmente osserva lo Schweigh., che allora vivea h. Emin ,

morto nel 594 , quando 1' ambasciata qui riferita avvenne nel

598 , essendo console C. Marcio Figulo il quale; secondochè nar

\

,,

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268 ' .

ra Livio (Epit., lib. xcvu), mandato fu a combattere i Dalma

li per le violenze da loro usate contro gl’ lllirii ( V. sopra cc.

18 , 19). Se non che C. Marcio non eseguì siffatta legazione nel

suo consolato; anzi, siccome C. Fannio, che fece in Dalmazia la

prima ambasciata nell’anno di Roma 597,‘ era stato console nel

595, e P. Lentulo console nel 59': riscontriamo ambasciadore

nel 598 (V. sotto il cap._xxvx e xxxur, l ); cosi è probabile che

più tardi del 598 vi andasse C. Marcio , destinandosi a cotesta

ufficio non già i consoli in funzione cui affidavasi il supremo co

mando nelle guerre , sibbene uomini consolari ,, cioè tali ch’ era

no stati rivestiti della prima dignità nella repubblica. Per tal guisa

potrebbe questo frammento appartenere ad un’epoca posteriore

alla stessa che le assegna lo Schweigh. , e forse a quella in cui

secondo noi (V. sopra nota 158 ) morto era Carope‘e agli al

tri uomini violenti che tiranneggiavano le loro patrie.

(182) In presenza , cioè a faccia a faccia , trovandosi amen

due simultaneamente davanti al senato , e parlando per modo

che si udivano reciprocamente. Quindi male la intese il Reiskc,

che za7è zpàa-uvru del testo definì: Dicendo essi medesimi per

sé, e non per mezzo di ambasciadori (i quali sarebbono stati

ambasciadori di ambasciadori). E neppure lo Schweigh. pdnetrò

nel vero senso di questa frase , riferendola non a colui che par

lava, ma al senato in faccia al quale parlava; 16 che î:ra super

fluo d’ indicare _, quando innanzi al senato appunto. recitavansi i

discorsi. _ V ,

(185) Prusia poiché vinse Alla/o ec. Di questa guerra par

lano Diod., I. c., Tom. n , p. 588 e Appiano Aless. nella guer

ra mitridatica c. 3. Erasi Attan ricoverato in Pergamo, dove il

re di Bitiuia lo assedio; ma questi spaventato dalle minacce de'

Romani ritirossi, e fu da loro condannato a consegnare ad Atta

lo venti navi coperte che diede subito , e cinquanta talenti che

pagò in rate. Che questo avvenimento sia da riferirsi all’anno

598 non ammette dubbio , dappoichè nel lib. xxxm , I _., dice il

Nostro che mandati furon ambasciadori in Asia dal senato per

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269

comandar a Prusia di cessare la guerra con Attalo , quando era

pretore Aulo Postumia, il quale, osserva lo Schweigh., secondo

Cicerone (Accad., n, c. 45) ebbe cotal dignità nel consolato di

P. Scipione Nasica e M. Marcello , cioè per appunto 1’ anno 598.

(184) [Vice/brio. Avea già Filippo re di Macedonia, devastato

questo luogo nel 555 di Roma, quando mosse guerra al primo

Attalo, padre di questo e di Eumene (xvr , t Sembra pertan

to che nel secondo guasto fossero risparmiati gli alberi, i quali

forse dopo il primo taglio non erano _ricresciuti abbastanza rigo.

gliosi.

(185) Filomaco. Secondo Plinio (xxxrv , 8 , Ig) Piromaco

(Ryromachus) chiamasi questo scultore che insieme con altri ar

tefici rappresentò le battaglie di Attalo e di Eumene contro i

Galli (probabilmente in rilievo). Egualmente vizioso è il Phy

romachus proposto dal Valesio in luogo del volgato. - Non com

prendo pertanto come Plinio e dietro di lui il Valesio asserir po

tessero aver catasto scultore fiorito nell’ Olimp. CXX , quando

Eumene successe al padre 1’ anno di Roma 557 corrispondente al

I’ anno terzo dell' Olimp. -CXLV , ed Attan I_cbe regnò 44 an

ni (xvm , 24) salito era per conseguente sul soglio l’anno di

Roma 513, cioè 1’ anno terzo dell’ Olimp. CXXXIV. Convien a

dunque credere che Plinio abbia sbagliato, ovveramente che Pi

romaco il quale fece le battaglie di Attalo e d’ Eumene controi

Galli fosse diverso da quello che fiori nell’ Olimp. CXX , dap

poicbè nominati sono in luoghi tra di loro distanti, sebbene nel

lo stesso capitolo.

(l86) Per tutti i versi. I traduttori latini omisero le parole

del testo nella 731 fair7n 7po’mv , credendole forse superflue. Io

non le ho stimate tali, sembrandomi cb’ esse aggiungano ridi

colezza alle stravaganze di Prusia.

(r87) Altrove. V. lib. v, c. u, e xvr, r.

(188) Sacre meno. E da questo luogo e da un altro del No

stro (w, 35 ) è chiaro che coteste mense non hanno a confon

dersi cogli altari. Probabilmente servivan esse, secondochè sup

pone il Forcellini , (alla voce mensa) 'a riporvi sopra I vasi che

l

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27O

usavansi pe'sacrificii. Forte mi meraviglio come il Valesio e lo

Schweigh. traducessero omnem aram alque LAPIDEM (Ogni al

tare e pietra

(i89) Guastar queste cose, cioè le mense e gli altari. Eademfa

na diripere (spogliare gli stessi templi) hanno itraduttori latini ;

ma ciò non scrisse Polibio , le cui parole ho con fedeltà espresse.

(190) Niente che degno fosse cc. A»6f‘u p‘u yltp à»6‘u es

sendo nel testo, il Valesio vi aggiunse in" , opera, che lo

Schweigh. amerebbe di omettere. lo ho creduto che riscontrandosi

poco prima ipya, meglio sarebbe iifwr, e lo introdussi nel vol

garizzamento, 0u'3‘tr isolato non conveniva.

(igl) Elea, città dell’ Eolide sul mare e arsenale del regno

di Pergamo, distante centoventi stadi ( 15 miglia) dalla capita

le (Strab. , xm , p. 6|5 ).

(191) Mosse, non già navibu: contemlit (salpò) conforme il Vs.

lesio male tradusse elmîpsy. Tardi se ne accorse lo Schweigh. che

copiò questa versione, ma vi rimediò nelle note. Era Tiatira, se

condo _Strabone (xut, p. 625), città della Lidia tra Pergamo e

Sardi (V. la nota 6 al lib. xvt), quindi mediterranea . uè vi si

poteva andare per mare; oltracbè fitta/pur è secondo Esichio

semplicemente àtléorn, indq;uiv, almzupl'iv, viaggiare, uscir

del paese, ritirarsi, e non racchiude 1’ idea di salpare, stac

carsi dal lido.

(igî) Geracoma. Questo luogo ancora era nella Lidia poco

distante da Tiatii‘a, ed apparteneva al regno di Pergamo. V. la

nota 8 al lib. xvr.

‘ (tgl) Apollo Cinio. « Fu così sovrannomato dall’ essere sta

to rapito da‘ cani, allorquando Latoua lo adagiò appena nato in

terra. Altri altre cause rammentano che vedi presso Suida in Ku

nino; , tolte da Socrate argivo e Cratere grammatico. Sotto que

sto nome fu adorato in Atene, e gli era dedicata la tribù de'

Cinidi , dalla quale faccvansi i sacerdoti di Apollo Ciuio, sic

come attcsta Esichio alla voce Iter/5m. n Valesio. '

(Igfi) Temno. Città colica secondo Strabone ( xm , p. 62| ),

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4 271

situata verso i monti sopra Smirne , Cumu c Focea , sulle spon

de dell’ Ermo. Temnios la chiama Tacito nel secondo degli An

nali , e Cicerone Temnitas i suoi abitanti (pro L. Fianco, 13).

Dovea essa pure essere soggetta a Pergamo, dappoicbè Prusia vi

spogliò e distrusse quel famoso tempio. V. la carta dell’Asia mi

uore nel tomo in, al lib. v.

(I96) Colpito lo avesse cc. La vizioso scrittura E: 91517.:

(915271: è chi vede Dio, e qui starebbe a sproposito) occupò,

molto i commentatori. 'Bx 9roaipar7au (per missione degli Dei)

ne fece lo Schweigb. dietro il Tupio , citando Dionigi d’ Alicar

nasso che ha questo aggettivo, ed osservando che i». 9|urip

174» può dirsi non altrimenti che ti èm7naiw (per necessità)

ii ian'w (per libera volontà) ed altri simili. Il Reiske lesse

i: 9:51 7.6 (da qualcb’ uno degli Dei ) e con lui si accorda

1' Ernesti, ed a me ancora pare che questa lezione abbia a pre

ferirsi all’ altra, la quale costringe a dar a pîvn il significato

di punizione, pena che questo vocabolo non ha , esprimen

do esso ira, rabbia. Che se assurdo è il dire , esser a Prusia

avvenuta (niqu'liv9m) l’ ira mandala da un Dio, tale non è

l’ ira di un qualche Dio incontrala da Prusia , onde fu Pru

sia colpito.

(lg7) Con Publio Lenlulo. I codici recan Publio soltanto,

ma già 1’ Orsini vi apPose Lentulo, il quale finiva in quest’ an

no la sua legazione asiatica; quindi nel principio dell’ anno ap

presso 599 il Veggiamo a Roma insieme con Ateneo fratello d’ At

tale riferire la sciagura a questo accaduta.

(198) Aridronico. Nell’ambasciata che mandò Attalo per an

nunziare al senato la prima invasione di Prusia non trovasi in

Appiano nominato Andronico, né che il senato non vi badasse

(Milftl'ttl. 5 ). Ritornò Andronico dopo alcuni anni a Roma in

viato da Attalo per opporsi ain ambasciadori di Prusia circa la

multa che questi era stato condannato di pagar al re di Perga

mo,, e dalla quale supplicava ein il senato d’ esser assolto ( ivi,

c. 4).

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27 2

(199) Nicome’de , figlio di Prusia che il padre , a detta di

Appiano (I. c.) mandato aveva a Roma, percbè colà vivesse

lontano dalla patria , dov’ era molto amato, mentrecb’egli odia

lo era dal popolo per la sua crudeltà. Per la qual cosa , osser

va lo Schweigh. , il troviamo qui nominato separatamente dagli

altri ambasciadori.

(200) E mandaron ambasciadori. Questi dovean solo verifi

care lo stato delle cose, lo che come ebbero eseguito, spediti fu

rono altri ambasciadori , nominati nel principio del seguente li

bro, per imporre a Prusia di non far guerra ad Attalo.

FINE DELLE ANNOTAZIONI

AGLI AVANZI DEL LIBRO TRIGBSIMOSBCONDO E DEL VOLUMI OTTAYO.

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INDICE

DELLE COSE CONTENUTE IN QUESTO OTTAVO TOMO.

Anni del libro vigesimonono . . Pag.

Sommario dein avanzi del libro vigesimonono . . »

Annotazioni agli avanzi del libro vigesimonono . . »

Avanzi del libro trentesimo . . . . . . , . . »

Sommario degli avanzi del libro trentesimo ., . . n

Annotazioni agli avanzi del libro trentesimo . .4 . »

Avanzi del libro trentesimoprimo . . . . . . . 1»)

Sommario dein avanzi del libro trentesimoprimo . . n

Annotazioni agli avanzi del libro trentesimoprimo . n

Avanzi del libro trentesimosecondo . . . . . '. n

Sommario degli avanzi del libro trentesimosecondo . n'

Annotazioni agli avanzi del libro trentesimoseeondo. n

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INDICE DELLE TAVOLE.

Medaglie.

l. Genzio ultimo re dell’ Illiria. - Antioco IV Epya

' ne. - Ariarate VI Filopatore. - Demetrio I Sa

tere. . .. . . . . . . . Pag.

ll- Tolomeo VI Filometore. - Tolomeo VII Fiscone. -

Cleopatra sua seconda moglie . . . . . . »

Carte geografiche.

III. Isola di Creta . .' »

IV. Egitto, Marmarica , e Circnaìca . . . . . »

V. Caria, Licia, Pamfilt'a, ed isola di Rodi . . »

VI.IroladiCipro. . . . . . . . . . . . n

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‘ Fogli 17 'A. in 8.°a

centesimi |5 . . .

n 54 Va in 4.° a

centesimi |5. . .

N. a tav. di Medaglie,

e n. 6 Carte geogr.

i di varia grandezza

I L a ,

| coatula . . . . . .

Somma italiana

' in moneta

austriaca

PREZZO DEI.

in moneta italiana

PRESENTE TOMO

per li signori Associati

all'intiera edizione agli autori separati

ww

_in 8.0 in S.° in 4.° in 8.° in 8.° m 4.°

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comn- con comu- con

ne colla velina ne colla '

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' NB. Le spese di Dazio e Porto sono a carico de’signori

Associati all’ estero.