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D 92 U na donna confusa ed esausta. Perché strema- ta da una battaglia im- pari. Quella per trovare l’impossibile equilibrio tra la single affascinante che era, la moglie devo- ta, la professionista sicu- ra e la madre amorevole che ha deciso di essere. Una Yummy Mummy, insomma. Una mamma “deliziosa”, “attraente”, “fica”, che per gestire tutti questi ruoli, insieme, ha bisogno di energia sovrumana, e, probabilmente, anche dell’aiuto delle altre. Che adesso ha pure un suo club vir- tuale nel quale scambiare opinioni e consigli (www.yummymummysite.org), fondato nel 2007 dalla canadese Erica Ehm. Niente a che vedere con i totem patinati della maternità postmoderna: taglia 40, capelli perfet- ti, splendidi pargoli al collo e ultime Jimmy Choo ai piedi. Le star dello spettacolo che finiscono in copertina sono madri che, più che al miracolo della vita, fanno pensare al miracolo di rientrare nei jeans a una settimana dal parto. Requisiti in- dispensabili per entrare nel club delle Yummy Mummy, quelle vere, sono, piuttosto, avere figli, accudirli cercando di preservare un po’ di tempo e cura per se stesse, e fare i conti con i sensi di colpa che questo comporta. L’obiettivo non è ostentare un look impeccabile e nemmeno, semplicemente, strappare alla maternità alcuni irrinunciabili piaceri della singletudine: un po’ di sano shopping compulsivo, un paio di prosecchi all’aperitivo, una spericolata creatività tra le len- zuola. Ma, missione molto più delicata, si tratta di essere madri senza perdere le altre sfumature della propria femminilità. Vestali del multitasking, le Yummy Mummy am- biscono a organizzare un briefing aziendale al telefono mentre con una mano cambiano i pan- nolini e con l’altra preparano una cena per 12 invitati. E, nel frattempo, gettano un’occhiata ai giornali per tenersi informate e scelgono il vestito giusto per la serata. Magari bruciano l’arrosto, ma almeno ci hanno provato. Sul loro sito, che raccoglie le 20mila aderenti al club, si svelano l’un l’altra i “segreti del me- stiere” (da “anche se non hai tempo per truc- carti mettiti almeno il lucidalabbra” a “invece di restare a letto a guardare il soffitto insonne dopo la poppata delle due, sveglia tuo marito e fate l’amore”), si consigliano letture (l’ultimo best seller della yummymumminess è Eat, Pray, Love di Elizabeth Gilbert) e si fa un di- scutibile uso di acronimi e vezzi linguistici: i padri si chiamano “delicious daddy” e l’acroni- mo MILF, con cui gli uomini le etichettano e che sta per Mother I want to fuck viene da loro tradotto in Mummy In Love with Family. Ma, so- prattutto, sul web si confessano i peccati che rendono queste madri-quasi-perfette indiscuti- bilmente umane: l’80 per cento di loro trova si- stematicamente una scusa per non andare in palestra, il 52 per cento ama spendere il suo denaro in vestiti e il 16 per cento mollerebbe il marito per George Clooney. A metà strada tra uno stereotipo autoinflitto - e se, invece, ci si concedesse un periodo di libera imperfezione almeno dopo il parto? - e una legittima tensione verso una femminilità complessa e onnicom- prensiva, le vere Yummy non sono cover-mam- me alla Victoria Beckham e non allevano picco- le fashion victim come Lourdes Ciccone: sono un po’ più spettinate e un po’ più grasse, hanno figli con il moccio al naso ed escono spesso sconfitte dalla loro quotidiana lotta contro un tempo che non è mai abbastanza. Irene Alison YUMMY MUMMY FENOMENI Vogliono essere le madri perfette. Senza rinunciare alla professione e alla femminilità. Confuse ed esauste, hanno fondato un club online. Una scrittrice ha fatto un’incursione nel loro mondo. Con ironia Foto di Denise Prince Martin

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Page 1: YUMMY MUMMYstatic.repubblica.it/dweb/pdf/mammeperfette.pdf · scuola primaria, i bambini volessero intraprendere la carriera ecclesiastica, io sa-rei anche d’accordo: al gior-

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Una donna confusa edesausta. Perché strema-ta da una battaglia im-pari. Quella per trovarel’impossibile equilibriotra la single affascinanteche era, la moglie devo-ta, la professionista sicu-ra e la madre amorevoleche ha deciso di essere.

Una Yummy Mummy, insomma. Una mamma“deliziosa”, “attraente”, “fica”, che per gestiretutti questi ruoli, insieme, ha bisogno di energiasovrumana, e, probabilmente, anche dell’aiutodelle altre. Che adesso ha pure un suo club vir-tuale nel quale scambiare opinioni e consigli(www.yummymummysite.org), fondato nel 2007dalla canadese Erica Ehm.Niente a che vedere con i totem patinati dellamaternità postmoderna: taglia 40, capelli perfet-ti, splendidi pargoli al collo e ultime Jimmy Chooai piedi. Le star dello spettacolo che finiscono incopertina sono madri che, più che al miracolodella vita, fanno pensare al miracolo di rientrarenei jeans a una settimana dal parto. Requisiti in-dispensabili per entrare nel club delle YummyMummy, quelle vere, sono, piuttosto, avere figli,accudirli cercando di preservare un po’ di tempoe cura per se stesse, e fare i conti con i sensi dicolpa che questo comporta. L’obiettivo non èostentare un look impeccabile e nemmeno,semplicemente, strappare alla maternità alcuniirrinunciabili piaceri della singletudine: un po’ disano shopping compulsivo, un paio di prosecchiall’aperitivo, una spericolata creatività tra le len-zuola. Ma, missione molto più delicata, si trattadi essere madri senza perdere le altre sfumaturedella propria femminilità. Vestali del multitasking, le Yummy Mummy am-

biscono a organizzare un briefing aziendale altelefono mentre con una mano cambiano i pan-nolini e con l’altra preparano una cena per 12invitati. E, nel frattempo, gettano un’occhiata aigiornali per tenersi informate e scelgono il vestitogiusto per la serata. Magari bruciano l’arrosto,ma almeno ci hanno provato.Sul loro sito, che raccoglie le 20mila aderential club, si svelano l’un l’altra i “segreti del me-stiere” (da “anche se non hai tempo per truc-carti mettiti almeno il lucidalabbra” a “invecedi restare a letto a guardare il soffitto insonnedopo la poppata delle due, sveglia tuo marito efate l’amore”), si consigliano letture (l’ultimobest seller della yummymumminess è Eat,Pray, Love di Elizabeth Gilbert) e si fa un di-scutibile uso di acronimi e vezzi linguistici: ipadri si chiamano “delicious daddy” e l’acroni-mo MILF, con cui gli uomini le etichettano eche sta per Mother I want to fuck viene da lorotradotto in Mummy In Love with Family. Ma, so-prattutto, sul web si confessano i peccati cherendono queste madri-quasi-perfette indiscuti-bilmente umane: l’80 per cento di loro trova si-stematicamente una scusa per non andare inpalestra, il 52 per cento ama spendere il suodenaro in vestiti e il 16 per cento mollerebbe ilmarito per George Clooney. A metà strada trauno stereotipo autoinflitto - e se, invece, ci siconcedesse un periodo di libera imperfezionealmeno dopo il parto? - e una legittima tensioneverso una femminilità complessa e onnicom-prensiva, le vere Yummy non sono cover-mam-me alla Victoria Beckham e non allevano picco-le fashion victim come Lourdes Ciccone: sonoun po’ più spettinate e un po’ più grasse, hannofigli con il moccio al naso ed escono spessosconfitte dalla loro quotidiana lotta contro untempo che non è mai abbastanza. Irene Alison

YUMMYMUMMY

FENOMENIVogliono essere le

madri perfette.Senza rinunciare

alla professione ealla femminilità.

Confuse edesauste, hannofondato un club

online. Unascrittrice ha fatto

un’incursione nel loro mondo.

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Eper cenapisellini ripieni di Carla Signoris*

Se non fosse che ho deciso diquotare in Borsa la societàpetrolifera che dirigo e doma-ni ho un briefing con il consi-

glio di amministrazione, glielo fareivedere io alla Maria, cosa significapulire! Non ci vuole mica un ingegne-re! Sono già io l’ingegnere. Lei è laserva, e allora che serva. Sennò, co-me diceva Totò, a che serve la servase non serve? Senza falsa modestia, io sono talmen-te brava a pulire che se gli affari inBorsa buttano male, giuro,mi metto sul mercato comegovernante! Fortunatamente i miei figlisono nati con la camicia,ma preferiscono le polo. Gliè andata bene, perché Ma-ria odia stirare le camicie. Ciprova, ma con l’apprettom’incolla tutti i colletti: li fadiventare tanto duri che an-drebbero bene solo se ibambini, invece di andare ascuola in jeans, ci andasse-ro in clergyman. Che pen-sandoci bene, se dopo lascuola primaria, i bambinivolessero intraprendere lacarriera ecclesiastica, io sa-rei anche d’accordo: al gior-no d’oggi per un uomo èl’unico sbocco lavorativo si-curo, e a me non dispiace-rebbe fare la Perpetua inVaticano anziché il broker aPiazzaffari. Sarei bravissimaa stirare casule e piviali au-rifregiati! Credo però chemio figlio grande voglia fareil batterista e il piccolo il pit-tore, quindi, a parte che lidovrò mantenere fino a ot-tant’anni, mi verranno su uno drogatoe l’altro alcolizzato, e in clinica per di-sintossicarsi non avranno certo biso-gno di camicie, ma di comodi pigia-moni col colletto a polo, che sono giàabituati a portare. Se non fosse chedopo il consiglio d’amministrazioneho invitato a cena un cliente del Kir-ghizistan - mercato in crescita ma for-temente a rischio - mi metterei lì conpazienza a insegnare a Maria la tecni-ca per stirare i colletti. Tempo perso

perché i colletti come li voglio io, Ma-ria non me li stirerà mai. Chissà che cosa mangiano in Kirghizi-stan! Era meglio se il cliente e la mo-glie li portavo a cena fuori. So già co-me andrà a finire: il kirghiso vorràparlare delle quotazioni dell’uranio sulmercato asiatico e mio marito inveceparlerà tutta la sera delle avventuredella farfallina Betty. Mio marito scrive novelle per l’infan-zia e dipinge acquerelli bellissimi cheraffigurano lucertoline, lumachine ebruchini deliziosi. Lui racconterà lasua avvincente trama, e a me tocche-rà tradurre. Io il kirghiso lo parlo be-ne, ma non benissimo! So dire “coo-perazione internazionale - il petrolio te

lo pago cinque centesimi al barile - lascoria radioattiva te la tieni”, ma nonso dire farfallina. Fortunatamente lamoglie del kirghiso è uzbeka e io par-lo uzbeco correttamente perché annifa trattavo le quotazioni delle bachi-colture uzbeche per la produzione diseta, quindi bruco, crisalide e farfalli-na sono parole che conosco perchéerano l’argomento del mio settore. Evorrà dire che se i kirghisi non capi-ranno l’avvincente intreccio della no-

vella, mio marito gliela disegnerà sullatovaglia. Mi spiacerebbe perché l’horicamata io a punto smok, e ha unbordo in pizzo macramè che mi haimpegnato per tutto il dottorato in“tecnologie avanzate per l’optoelettro-nica e la fotonica”. Due palle di esa-me che, se ogni tanto non mi fossi ri-lassata con uncinetti e tombolo, queldottorato mi avrebbe fatto le nanosfe-re cubiche!Mia madre, donna di mentalità apertama educazione vecchio stampo,avrebbe voluto che studiassi econo-mia domestica perché a scuola erobravissima in applicazioni tecniche.Diceva: «Per una donna la cosa piùimportante è saper gestire una ca-

sa!». Aveva ragione. Conuna buona organizzazionesi può fare tutto e io oggiposso dire che sono più pia-nif icata della campagnaelettorale di Hillary Clinton epiù eff iciente di EmmaThompson che a furia di fa-re ruoli da governante ormaiha un master in economiadomestica.«Voi donne d’oggi siete cosìdémodé a voler fare i mana-ger a tutti i costi», diceva ie-ri mia madre. «Non aveteancora capito che in futurola realizzazione lavorativaper una donna sarà fare lamodista!». Pensandoci benel’intuizione è geniale: se mimetto a disegnare cappellinisfogo la mia creatività, rea-lizzo un prodotto rivolto aun target medio-alto, de-centro la produzione in Co-rea, dopo due anni quoto imiei cappellini in Borsa, ce-do il knowhow per milioni dieuro e a quel punto possodedicarmi alla famiglia. For-se fare la modista è un’idea,ci penserò, ma anche la

cuoca non mi dispiacerebbe. In cuci-na sono fantastica. Ai kirghisi preparoil risotto con la foglia d’oro, che lo fac-cio meglio di Gualtiero Marchesi e poigli dico che l’ho inventato io, tantoquelli che ne sanno, più che pecorabollita cosa vuoi che mangino in Kir-ghizistan. Lo so che almeno alla cenaci potrebbe pensare Maria, ma lei ol-tre il riso bollito non va: la lascio cuci-nare solo quando sono malata, per-ché ho una salute di ferro. Ed è an-

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Detto per inciso: datoche gli operai non sannorifinire gli spigoli, il bagnol’ho piastrellato da sola

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che meglio che non apparecchi: nonha alcun senso estetico e finisce chemi mette i sottopiatti d’argento chefanno a pugni col risotto d’oro. Percarità, apparecchio da me! Anche la doccia prima di dormire aibambini gliela faccio io, perché Mariacon quelle manone me li spella, e poime li ustiona con l’acqua calda per-ché ho rifatto il bagno da poco e leinon ha ancora imparato a usare il mi-scelatore nuovo. Detto per inciso: da-to che gli operai non sanno fare glispigoli dritti, il bagno me lo sono pia-strellato da me. Dunque ricapitoliamo… domattinametto la sveglia alle 5 e per prima co-sa lucido il campanello di casa con ilcotton-fioc perché ètanto unto che prima opoi il postino suona e cirimane incollato, e an-che se glielo insegno,Maria non lo sa fare.Poi stiro le camicie dimio marito e le polo deibambini. Preparo la co-lazione per tutti, che lecrêpes come le faccioio non le fanno neppu-re in tivù, sveglio ibambini e li vesto, chesennò Maria me limanda a scuola contanti colori addosso cheneanche Oliviero To-scani e gli extracomu-nitari della United Co-lours. Mi caccio addos-so una tuta e di corsaaccompagno i bambiniallo scuolabus che lasalita di casa mi fa bru-ciare almeno 20 chilo-calorie. Poi mi facciouna doccia e intantocon uno spazzolino dadenti vecchio pulisco lefughe delle piastrelle che prima eranobeige e ora sono testa di moro. Poi, vi-sto che sono in forma perfetta nono-stante le due gravidanze, mi metto iltailleur bianco di shantung con il dra-go sulla schiena perché le azioni dellasocietà voglio lanciarle sul mercatoasiatico. Poi annullo il briefing con ilconsiglio di amministrazione perchétanto decido io e mi prendo due fendi-metrazine, così non mi viene fame, enon perdo tempo a mangiare. Anzi, neprendo una sola così il mio dietologonon lo arrestano ma gli danno solo i

domiciliari. Del pranzo dei bambininon mi devo preoccupare perchémangiano i loro bei precotti a scuola ein piena digestione fanno i compiti.Neppure del pranzo di mio marito mipreoccupo perché ho cucinato tutto ilweekend e il freezer è stracolmo dimonoporzioni di pisellini ripieni che glipiacciono tanto. Quindi vado in pale-stra a scaricare le tensioni e mentrefaccio spinning prenoto il locale per ilcompleanno di mia suocera, che senon la festeggiamo si offende. Doccet-ta rapida e corro a prendere i bambinia scuola prima che li diano in affido.Gli faccio saltare batteria, pittura, cal-cio, scacchi, tennis, e li porto diretta-mente a confessarsi, che l’idea di tra-

sferirci tutti in Vaticano non è da scar-tare. Li lascio un’oretta in canonicache prendano confidenza con gli arre-di sacri, e intanto fanno conversationin latino con il curato. Io nel frattempofaccio un po’ di spesa e vado da miamadre a portarle le medicine che nonle fanno niente, ma dato che sonotaumaturgica le basta vedermi e lepassano i dolori, e se la mia presenzanon è sufficiente le faccio provare unafendimetrazina che le dà energia e mela mette di buon umore. Torno a pren-dere i bambini e con la scusa di un

saluto passo da Gualtiero e mi faccioregalare due foglie d’oro da risotto cheil mio fruttivendolo le ha finite. Al ritor-no metto i bambini nel bagagliaio, tan-to alla prima curva si addormentano, evado in aeroporto a prendere i kirghisiche scarico in hotel. Tornando a casami fermo a comprare un tubetto di blucobalto per la farfallina di mio maritoche non può uscire perché poverino,se si deconcentra non trova il finaledella storia. Doccio i bambini, li sfamocon semi di lino che, l’ha detto ancheil Mahatma Gandhi, è ricco di omega-3 e fa bene alla salute, li metto a lettoe insulto mio marito che non vuoleraccontargli come va a finire la storiadella farfallina Betty. Gliela racconto io

a modo mio, che è mol-to meglio del suo. Lui sioffende e si chiude instudio a riscrivere il fina-le. Quando torna io e ikirghisi siamo già allafrutta e la storia di Bettyl’hanno capita senza bi-sogno di disegnare sullamia tovaglia di macra-mè. Riaccompagno ikirghisi in hotel, che so-no stranieri e il taxi gli fafare il giro delle settechiese mentre l’albergoè dietro l’angolo. Faccioun salto alla festa dicompleanno della miasegretaria che ci tenevatanto e in regalo le portoun triangolo per la mac-china, tanto nel baga-gliaio ne ho due. Bevouna cosa e torno a casaveloce perché mio mari-to ha bisogno di me. Poverino, questo finaledella farfallina Betty nonlo convince ed è cosìstressante per lui quan-

do il blu cobalto tende al carminio an-ziché al porpora. M’infilo il baby doll dichiffon nero, quello con i pompon distruzzo sul sedere e lo rilasso. Tutti mi accusano di essere un’accen-tratrice. Dicono che non so delegare.Non è vero. Se per esempio Maria sioccupasse almeno di mio marito… conquelle manone e un po’ d’inventiva, saiquante cose rilassanti potrebbe fargli…

(*) Carla Signoris è un’attrice pluriventen-ne già maritata con prole prestata - defini-tivamente - alla scrittura

Dopo due gravidanzesono così magra che possomettermi il tailleur con ildrago sulla schiena perchévoglio lanciare le azioni dellasocietà sul mercato asiatico

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