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ONCOLOGIA CANALE B 27/10/2015 ADAMO Noi ci siamo lasciati parlando del tumore dell’ovaio la volta scorsa e riprendiamo un attimo il discorso ricordando alcune cose che ci eravamo già detti, per poi parlare di terapia dell’ovaio. Poi se abbiamo tempo oggi vi parlerei anche degli studi che portano allo sviluppo dei farmaci, le sperimentazioni, come si arriva agli studi clinici ecc. TUMORE OVARICO (CONCLUSIONE LEZIONE PRECEDENTE) E allora riprendiamo la sintomatologia ne avevamo parlato la volta scorsa, ma ricapitoliamo un po’ le idee. Vi ricordate come spesso il tumore dell’ovaio possa presentarsi con una sintomatologia aspecifica , legata alla massa più che altro, perché, se ricordate, vi ho detto che il 70% dei tumori sono terzi e quarti stadi, per cui a volte è proprio la massa che spinge o la massa che crea meteorismo o la massa che crea dolori addominali o la massa che crea problematiche anche di tipo urologico. E questa è una % di come si può presentare il tutto. Vi ho detto pure che è un tumore che si può presentarsi con delle sindromi paraneoplastiche , una delle più frequenti è la tendenza alla trombofilia e a volte anche l’ipercalcemia. E poi siamo passati a parlare un po’ di come si può arrivare a questa diagnosi e vi voglio solo rispolverare alcuni momenti, cioè le chiavi principali, gli steps principali per 1

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Page 1: javadevil.altervista.orgjavadevil.altervista.org/sbob/5a1sS/oncoEmato/oncoMedica... · Web viewNoi ci siamo lasciati parlando del tumore dell’ovaio la volta scorsa e riprendiamo

ONCOLOGIA CANALE B

27/10/2015

ADAMO

Noi ci siamo lasciati parlando del tumore dell’ovaio la volta scorsa e riprendiamo un attimo il discorso ricordando alcune cose che ci eravamo già detti, per poi parlare di terapia dell’ovaio.

Poi se abbiamo tempo oggi vi parlerei anche degli studi che portano allo sviluppo dei farmaci, le sperimentazioni, come si arriva agli studi clinici ecc.

TUMORE OVARICO (CONCLUSIONE LEZIONE PRECEDENTE)

E allora riprendiamo la sintomatologia ne avevamo parlato la volta scorsa, ma ricapitoliamo un po’ le idee.

Vi ricordate come spesso il tumore dell’ovaio possa presentarsi con una sintomatologia aspecifica, legata alla massa più che altro, perché, se ricordate, vi ho detto che il 70% dei tumori sono terzi e quarti stadi, per cui a volte è proprio la massa che spinge o la massa che crea meteorismo o la massa che crea dolori addominali o la massa che crea problematiche anche di tipo urologico.

E questa è una % di come si può presentare il tutto. Vi ho detto pure che è un tumore che si può presentarsi con delle sindromi paraneoplastiche, una delle più frequenti è la tendenza alla trombofilia e a volte anche l’ipercalcemia.

E poi siamo passati a parlare un po’ di come si può arrivare a questa diagnosi e vi voglio solo rispolverare alcuni momenti, cioè le chiavi principali, gli steps principali per fare una diagnosi accurata, dove non dobbiamo dimenticare mai la storia del pz, quindi l’anamnesi, che può nascondere o ci può fare apparire delle patologie neoplastiche che ci sono state dentro quella famiglia. Ricordate il carcinoma mammella, colon, con il BRCA1, BRCA2, cose di cui abbiamo già parlato.

Poi naturalmente l’esame fisico, l’esame obiettivo. Insisto molto su questo perché lo so che siete al quinto anno e non avete mai visitato un malato, però poi dovete cominciare a farlo e devo dire che chi frequenta da noi lo mettiamo subito a fare semeiotica, a fare valutazione clinica, perché è importante, anche se poi sappiamo benissimo che la tecnologia, con le indagini strumentali, ci viene incontro, ci viene incontro anche in

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maniera importante, con tutte le indagini che vanno dall’ecografia iniziale, TAC, a un approfondimento con risonanza e naturalmente anche indagini ancora più raffinate come può essere la PET.

Però vi ho anche sottolineato come nella fase iniziale o addirittura in quella fase che non si può chiamare screening (perché non abbiamo ancora uno screening validato per l’ovaio), ma in quella che è la ricerca di una diagnosi precoce, una buona visita ginecologica, una buona ecografia endovaginale fatta da mani esperte insieme ad alcuni parametri come possono essere anche il dosaggio del CA125 , può dare un orientamento e può aprire una strada di allarme oppure chiudere questa strada di allarme, nel senso che non ci sono problemi per la giovane donna.

Quindi voglio solo rispolverare alcune cose per riattaccarmi al discorso.

E quelli li vedete sono i fattori che , vi ricordate li ho sottolineati più volte, portano a una diagnosi tardiva , che è una delle caratteristiche del tumore dell’ovaio.

Avete letto in questi due giorni ci sono stati diversi comunicati stampa, abbiamo avuto il nostro convegno nazionale e sapete che l’Italia in Europa è la nazione dove si sono raggiuti i migliori risultati sulla sopravvivenza dei tumori e in

particolare di tre tumori, il tumore della mammella, il tumore della prostata e il tumore del colon.

Però insieme a questi c’è anche l’ovaio, che sta galoppando in termini di recupero, c’è anche il fatidico ed emblematico tumore del polmone, difficilissimo, big killer incredibile. C’è anche il tumore del rene, che era un tumore (ve lo farà la Franchina) orfano di terapia, anche se oggi abbiamo 6 farmaci a disposizione e stiamo cambiando la storia naturale di questo tumore.

L’Italia quindi è riconosciuta a livello europeo per avere raggiunto rilevanti risultati di sopravvivenza in tumori molto importanti. Non sono favolette, sono cose vere, perché sono dati che vengono da quei famosi numeri che fanno parte di quella che è la epidemiologia dei tumori, fanno parte delle statistiche, di quelle percentuali che poi ci

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permettono di indirizzarci meglio, cioè se noi stiamo andando molto bene su questi tre tumori, ma ce ne sono degli altri dove stiamo ancora zoppicando in tutto il mondo, probabilmente l’attenzione.. non è che non avremo più attenzione per quelli che vanno bene, però dedicheremo delle attenzioni maggiori a questi altri tipi di patologie.

Ma questo successo che possiamo sottolineare nella mammella, nella prostata, nel colon, moltissimo viene proprio dalle diagnosi più tempestive, più precoci, quindi la possibilità di fare cure radicali, quindi la possibilità di fare terapie complete, la possibilità di agire su tumori piccoli e quindi guarire.

Se io mi ritrovo invece questa sfilza di fattori che non sono stati presi in considerazione (come per esempio l’omissione dell’esame pelvico alla prima visita e altri), che hanno deviato da una possibile diagnosi tempestiva, purtroppo mi trovo poi con uno stadio avanzato.

Non ci torniamo sugli stadi, ne avevamo già parlato ed entriamo invece nel trattamento.

Io vi farò una carrellata di carattere generale, perché vi ho detto fin dall’inizio che i nostri trattamenti non sono trattamenti univoci, non sono monotrattamenti, differenziati l’uno dall’altro.

Se vogliamo raggiungere dei risultati è necessario collaborare, in multidisciplinarietà, non c’è ombra di dubbio. E quindi avere un buon colloquio e una buona conoscenza, tra chirurghi, oncologi, radioterapisti, patologi, radiodiagnosti. Tutti devono parlare lo stesso linguaggio e devono conoscere la malattia che stanno curando.

Se questo avviene in un centro, in un ospedale, in una struttura, i risultati si vedono, non c’è niente da fare, è verissimo questo, ed è incontrovertibile.

E lì dove non si vedono è perché la pz viene presa da un chirurgo a sinistra, poi è passata dal radioterapista a destra e nel frattempo ancora da un altro specialista. E allora è chiaro che in questo percorso anomalo, purtroppo la pz perde tempo, a volte viene valutata in modo diverso e contrastante, e tutto questo va a nocumento delle pz. E capita per tutti i tumori.

E allora fondamentalmente per arrivare a una radical surgery…giusto? Noi vogliamo arrivare a quello, no? Vogliamo radicalizzare questi tumori. Quindi a che cosa serve questa chirurgia?

Naturalmente serve a fare terapia radicale, quindi sicuramente ad arrivare a fare un R0, cioè l’assenza apparente di malattia dal punto di vista macroscopico, radiologico, postintervento, ma serve chiaramente a fare diagnosi e serve naturalmente a fare staging,

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perché la chirurgia ti serve anche a fare diagnosi, perché ci sono dei momenti in cui ho il sospetto e c’è una chirurgia che mi può aiutare a fare diagnosi.

Intanto se non ho l’esame istologico definitivo posso anche non essere sicuro di trovarmi davanti un tumore dell’ovaio, ma per esempio c’è una chirurgia di diagnostica che si chiama laparoscopia diagnostica o (termine non comprensibile) in questi casi , ed è un chirurgia di diagnosi, che può diventare anche una chirurgia operatoria, attenzione! Oggi moltissimi interventi sull’addome vengono fatti in modalità robotica e laparoscopica ( la robotica è ancora più avanti come tecnologia). Naturalmente serve a fare staging, che cos’è lo staging postchirurgico? Si chiama cosi STAGING POSTCHIRURGICO.

Io spesso faccio una domanda che è semplicissima: “mi parli della stadiazione? Quanti tipi di stadiazione conosci?”. Io penso che parlando con voi, vi ho fatto capire quanti tipi di stadiazione ci sono.

La prima quella clinica , che posso fare con le cose che ho in mano, clinicamente, dal performance status del pz , dall’esame obiettivo , poi la stadiazione naturalmente per farla più completa diventa radiologica, poi la stadiazione può diventare anche chirurgica. Dopo che il chirurgo ha operato, mi dice che cosa ha trovato, me lo scrive e da lì faccio stadiazione, perché se ci sono i linfonodi me lo dice lui, perché spesso io nell’addome non li vedo o li vede il radiologo sospetti, ma me li conferma il chirurgo, quindi la stadiazione chirurgica è molto importante e diventa poi ancora più avanti una stadiazione patologica , la quarta stadiazione che è la pTNM (invece sTNM è surgery TNM, cTNM è clinical TNM e così via). Quindi tutto è collegato. Il collega chirurgo toglie cinque linfonodi, possono essere tutti puliti e allora è un N0, se sono linfonodi presi allora è un N2, un N3, quindi cambia lo stadio, ha collaborato, il chirurgo ha collaborato, il patologo ha sicuramente collaborato, così come ha sicuramente collaborato il radiologo che li ha visti sospetti, mentre probabilmente in quel momento noi oncologi non li avremmo mai sentiti clinicamente, perché se la pz viene con un addome meteorico, globoso è impossibile clinicamente sentire un linfonodo. Se ce l’ha inguino-crurale, se ce l’ha ascellare, se ce l’ha laterocervicale, quindi superficiali, li sento invece con le mani, giusto? Benissimo.

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E allora vedete che nello stadio 1 e 2, la chirurgia la possiamo considerare radicale, mi può servire a fare completa diagnosi, mi può servire a fare staging, mentre naturalmente negli stadi 3 e 4, la chirurgia NON può essere radicale, siamo d’accordo, no? E che cosa diventa?

Che chirurgia è? C’è scritto.

Che vuol dire primary debulking?

Riduzione della malattia primaria, allora cosa posso fare? Faccio diagnosi, faccio stadiazione e faccio debulking in questo caso (3 e 4), cioè il chirurgo cerca di portar via quanto più è possibile, compatibilmente con le condizioni della pz, anestesiologiche, quanto può stare in sala operatoria, se desatura dopo un’ora mezza e allora l’anestesista gli dice ALT dobbiamo chiudere

l’intervento, se invece ha più tempo allora va a fare una radicalizzazione molto più completa che può essere da una peritonectomia, una ovarectomia, l’asportazione di linfonodi, l’asportazione di entrambe le ovaie, di una, dell’utero, a volte si fanno interventi anche più importanti perché l’ovaio.. sapete dove è messo? (Le femminucce lo sapranno sicuramente, i maschietti anche, quindi lo sapete tutti quanti) ha contatti importanti con l’intestino e con gli ureteri , questo vi voglio ricordare.

Ricordatevi sempre quando pensate a un organo, pensatelo topograficamente, subito l’immagine topografica, in modo da capire i rapporti che ha.

Allora una massa può avere già infiltrato un’ansa intestinale, può avere infiltrato, toccato l’uretere o soltanto compresso quindi idronefrosi, difficoltà urinarie, oppure infiltrato con subocclusione.

Ci sono dei casi che si arriva all’occlusione intestinale, la pz arriva d’urgenza al pronto soccorso per una sintomatologia da occlusione intestinale, fa la TAC e si vede una massa che sta tra l’ovaio destro e la zona ceco-appendicolare, ma il collega in sala operatoria non riesce a capire se quel tumore è partito dall’appendice e dal cieco o se è partita dall’ovaio, e spesso è soltanto il patologo che ce lo dice. Il collega chirurgo lo prende in blocco (surgery and block) e dopo di che lo manda al patologo e quello all’esame anatomopatologico alla fine ci dice se è o meno una patologia di tipo ovarico (perché ha cellule che ricordano l’ovaio) o se è un tumore di tipo intestinale.

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E questo (l’occlusione) succede, succede nel 15-20% dei casi. Quindi questo è quello che può succedere in una malattia avanzata.

Che cosa deve includere un vero debulking però? Se vogliamo chiamarlo debulking.. perché spesso da noi arrivano pz che hanno tolto l’ovaio o hanno tolto due ovaie, il linfonodo, ma quella è una chirurgia diagnostica, ok?

Questa è la vera chirurgia debulking, cioè totale isterectomia, totale omentectomia, appendicectomia, totale linfadenectomia, che si chiama anche scheletrizzazione dei linfonodi. Cioè deve essere un chirurgo ginecologo (o un chirurgo generale abituato a trattare queste pz) che sa cercare i linfonodi, li sa isolare e togliere. E infine completa resezione di tutto ciò che è macroscopicamente visibile.

Questa diventa la vera debulking, cioè quella che la pz arriva da noi, oncologi medici e il collega scrive “ho fatto un debulking”. Tu fai una TC successiva dopo un mese o fai una RMN, o una PET e in effetti trovi una situazione o di minimo residuo, trovi proprio mezzo centimetro e allora scrivi residuo R1, ma se ti scrive R0, nel fare la TAC o la risonanza, lì non si deve vedere niente, è un vero debulking, gli hai fatto una pulizia completa (se invece mi scrive R1, R2 io so che c’ho un residuo di malattia su cui devo lavorare, e non solo su quello, perché è chiaro che quando c’è un 3° o 4° stadio, voi sapete quante cellule possono essere andate in circolo, quindi a quel punto è una terapia a tutti gli effetti sistemica).

E qui parliamo proprio del residuo, vedete qui ci sono le solite curve a seconda dei residui,

2 cm, 1,5 cm, 1 cm, 0.5 e addirittura 0. E qui c’è una bella affermazione: meno malattia residua più chemiosensibilità, ma anche più disease free survivor, cioè sopravvivenza libera da malattia e più guadagno di vita.

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Questa curve le vedete, se là dentro vi rimane 0.5 (che vuol dire 5 mm di tumore, che posso considerarlo quasi un R0), la curva di sopravvivenza va molto bene. Non è la stessa cosa se sono rimasti 2 cm che vi ricordo sono 2 miliardi di cellule e di più forse, di più. Allora questo è il dato incontrovertibile, ecco perché che il momento chirurgico è fondamentale.

Qua ci sono una serie di esempi, diciamo di lavori, che adesso ci confortano su quello che noi sapevamo da tempo (però ci mancavano i numeri, volevamo certezze), se fare una chemioterapia neoadiuvante o fare una chirurgia primaria fossero la stessa cosa o meno.

Cioè la controversia che c’è stata per molto tempo è stata, ma che facciamo? Operiamo subito e poi facciamo tutto quello che c’è da fare (parlo di 3° e 4° stadio, attenzione!) oppure facciamo subito le chemioterapie, oggi le immunoterapie, tutto quello che c’è da fare come terapie mediche preoperatorie e poi operiamo?

E come vedete in questa curva inerente un lavoro pubblicato nel New England, che non è un giornaletto da niente, mostra una sovrapposizione, vedete una sovrapposizione, ciò vuol dire che le nostre cure sono equivalenti a una chirurgia di debulking.

Che cosa vuol dire questo? Che se la pz non può essere sottoposta in quel momento a una chirurgia di debulking, anche per motivi logistici, tempistici, oppure ha della condizioni generali non ottimali per una chirurgia di quel genere, che è una chirurgia molto complessa, però ha delle condizioni abbastanza adeguate per fare le nostre cure, allora le facciamo terapia medica, sicuri che non stiamo sottoponendo la pz a un under treatment, ma la stiamo sottoponendo a trattamento adeguato.

E vedete che anche qui abbiamo una serie di curve che ci dicono come le due curve, quella della neoadiuvante con la chirurgia ottimale camminano insieme.

Se poi la chemioterapia non è fatta altrettanto bene è chiaro che c’è lo stesso problema.

Quindi anche noi quando ci mettiamo a lavorare e scegliamo una terapia medica, dobbiamo sceglierla e farla al meglio, pur sapendo che la pz è esposta a tossicità, però conosciamo i farmaci, conosciamo quali possono essere le tossicità, facciamo correre il rischio della tossicità, nausea, vomito, alopecia, le possibili anemie, la diminuzione dei globuli bianchi, tutti i fenomeni che possono succedere, ma abbiamo intanto terapie di supporto per controbilanciare e ridurre drasticamente moltissimi di questi effetti collaterali.

Però dobbiamo spingere sull’acceleratore perché la terapia sia valida, quindi in questo caso, compatibilmente con le condizioni della pz cerchiamo di fare sempre anche noi il massimo, come il chirurgo deve fare il massimo del suo debulking, noi dobbiamo fare il

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massimo delle nostre terapie. Se noi facciamo le nostre terapie con lo sconto per affetto o per ignoranza, facciamo il male della pz, perché non raggiungiamo quegli obiettivi che vogliamo, e poi sempre all’intervento chirurgico deve andare la pz.

E allora che cosa succede, siccome nella maggior parte dei casi avete visto che un residuo di 2, 1.5 cm, nel 3° e 4° stadio c’è, inutile (uno spera di arrivare allo 0.5, ma non è sempre possibile), allora cosa succede? Cosa scatena la presenza della malattia residua o della cosiddetta minimal residual disease o absent residual disease?

È chiaro che se io sono veramente in una assenza di residuo ho le condizioni migliori, perché ho dal punto di vista anche biologico e farmacologico e farmacodinamico, il migliore momento di chemiosensibilità.

Cioè io più azzero le cellule più si alza l’indice proliferativo, la tendenza a proliferare di queste cellule e quindi la chemioterapia agisce meglio, perché le becca nel momento della proliferazione, quindi è molto importante. Più riduco, meglio lavoro con la chemioterapia, più chemiosensibilità ottengo.

E questo mi può anche portare in alcune situazioni a ridurre anche il numero delle mie chemioterapie, se è necessario, mi può portare a lavorare meglio sulle micrometastasi e mi può portare anche a prevenire quello che purtroppo è il fenomeno (che purtroppo

accade) della chemioresistenza, con possibile

ripartita della malattia. E allora quali sono in genere le cause perché noi andiamo ad avere una suboptimal cytoreduction? Cioè una citoriduzione che non è ottimale? Vedete che le cause sono queste e vedete che nell’84.7% dei casi è la impossibilità a fare la chirurgia adeguata, perché ci sono troppi rischi

o perché la malattia è troppo avanzata. Pensate a un addome che è pieno di ascite, con molte masse, con una compromissione delle vie intestinali, delle vie urinarie, allora questa pz potrebbe, con una chirurgia (se la devo fare veramente debulking), le devo fare una stomia, posso arrivare a farle una

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ureterocutaneostomia, facendo alzare dal letto questa pz e contemporaneamente anche con una ileostomia, quindi questa pz si alza con due stomie cutanee che incidono sulla qualità della vita. Se ho una chemioterapia neoadiuvante che funziona, non vado a fare un intervento di questo genere, però purtroppo a volte succede.

Altri motivi per esempio possono essere problemi di comorbilità , oppure possono essere anche situazioni fisiologiche (età avanzata della pz per esempio), che però nel momento

della decisione interventistica possono giocare un certo ruolo. Abbiamo diverse linee guida a cui noi ci riferiamo, abbiamo anche delle linee guida italiane estremamente importanti.

Che cosa è la linea guida? Sono, diciamo, delle raccomandazioni, che gli americani infatti chiamano raccomandations, noi le chiamiamo linee guida.

Sono delle raccomandazioni che nascono da tutti gli studi effettuati stadio per stadio e che praticamente delineano quale dovrebbe essere il comportamento, in rapporto allo stadio, nei confronti di quel momento, quindi se sono di fronte a uno stadio 1, se sono di fronte a uno stadio 2, come mi devo comportare, come mi devo comportare a uno stadio 3 e cosi via.

E sono codificate e acclarate naturalmente da studi scientifici, tanto è vero che vengono aggiornate di anno in anno o al massimo ogni due anni, perché devono recepire le novità. Esce un farmaco nuovo o esce una chirurgia robotica o esce una chirurgia laparoscopica, quindi lavori fatti con quella chirurgia particolarmente raffinata possono cambiare la storia di una linea guida.

Esce un farmaco nuovo, particolarmente efficace…i farmaci li cominciamo noi a testare in genere nelle forme molto avanzate, addirittura preterminali, poi se il farmaco funziona fa dei passi avanti enormi, passa alla fase successiva che è la fase della malattia ancora curabile, poi passa addirittura alla malattia radicale (cioè dopo che si è fatto l’intervento chirurgico, nella cosiddetta terapia adiuvante), e infine se questo farmaco dimostra dopo cinque anni di essere particolarmente interessante, passa nelle raccomandazioni, nella

linea guida e mi cambia naturalmente l‘atteggiamento.

Quindi vi voglio lasciare questo concetto, cioè come lavoriamo noi e tutti quelli nel campo dell’oncologia, quindi il chirurgo deve attenersi a delle linee guida, il radioterapista deve

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attenersi a delle linee guida, l’oncologo deve attenersi a delle linee guida, hanno delle linee guida anche i patologi, cioè ognuno di noi come società scientifica ha le sue linee guida che

poi, vedete, qua sono raggruppate.

(ndr. Per la parte che segue fare riferimento alla img della linee guida soprastante)

Se voi vedete qua siamo di fronte ai trattamenti primari, sospetto stadio 1 A e 1 B (quindi la situazione che uno vorrebbe augurarsi, se deve venire un tumore si spera che sia in quello stadio, perché è guarigione), e in questo caso la chirurgia è radicale, la chirurgia diventa staging, come io vi ho detto poco fa (ovviamente non vi chiedo tutte le linee guida, sto cercando di farvi capire come si deve lavorare e come si devono inquadrare le situazioni).

E vedete come è completamente diverso se andiamo a vedere stadio 2, 3 e 4, sospetto potenzialmente resecabile, e allora tumor reductive surgery, se invece c’è sospetto, ma non facilmente resecabile, vedete, parte la chemioterapia, 6-8 cicli, completare con la chirurgia e seguire altra chemioterapia, quindi sono due modalità: o faccio tutto in una volta.. l’altro giorno, da noi sta per prendere servizio un bravo chirurgo ginecologo, ci siamo incontrati e mi parlò di una sua pz, inviatami da lui e che avevo già visto qualche giorno fa, a cui avevo detto di voler fare da 6 a 8 cicli di chemio e non il sandwich, allora mi chiede perché non opto per il sandwich, visto che lui è affezionato a questa procedura, l’ha sempre fatta, e io gli ho detto: “guarda ci sono gli ultimi dati che sono usciti e che praticamente sono sovrapponibili”, quindi 6-8 cicli di seguito di chemioterapia e poi va

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NCCN Guidelines Version 1.2015. Epithelial Ovarian Cancer/ Falloppian Tube Cancer/ Primary Peritoneal Cancer

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alla chirurgia radicale, oppure 3-4 cicli di chemioterapia, chirurgia e completi con altri 3-4 cicli (sandwich).

Ma lui mi dice che preferisce il sandwich, perché ci permette di andare a vedere a metà strada, anche visivamente, come sta agendo la chemio. “Si”, gli ho detto io, “questo è verissimo, ma oggi abbiamo dei mezzi che ci permettono comunque di capire come sta andando la terapia, c’è la PET, c’ho mezzi molto raffinati, e biologicamente se è particolarmente chemiosensibile le regole biologiche della chemioterapia o della terapia medico-oncologica, dicono che devi andare fino alla fine”, abbiamo fatto una chiacchierata in corridoio e alla fine abbiamo deciso che ci sediamo, decidiamo insieme… questo per dirvi come anche il chirurgo è preparato, conosce le problematiche, conosce il tumore, ma

le terapie si decidono di volta in volta. In ogni caso tutte e due gli approcci sono validi. Queste sono le linee guida nostre, quelle dell’AIOM, Associazione italiana di oncologia medica, che ogni due anni le aggiorniamo, e vedete nel basso rischio prevalentemente

chirurgia, nel medio rischio o moderato rischio chirurgia e poi terapia adiuvante e qua siamo allo stadio 1 e precisamente a quale stadio mi riferisco? Allo stadio 1 B (già bilaterale) e 1 C (che ha già fissurato e ci possono essere già le cellule positive nel peritoneo col washing o con po’ di ascite), l’alto rischio invece, FIGO 2, vedete anche qui, chirurgia, chemioterapia adiuvante.

Stadio 3 e 4 possiamo fare una chirurgia di riduzione, dopo di che la chirurgia di riduzione cosa mi fa fare, cosa c’è in questa colonnina, che cosa è questa colonna? Cioè è arrivato il chirurgo e mi ha fatto il debulking, quindi che cosa è questa colonna successiva? La stadiazione chirurgica, quindi io da questa chirurgia posso ottenere tre tipi di risultati, posso ottenere un 3 A, posso ottenere fuori un 3 B, un 3 C o addirittura un 4, perché scopro in sede addominale una metastasi epatica

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che non l’aveva vista né la PET, né la TAC, né la risonanza. Se il tumore è endometrioide, se è mucinoso, non lo vedo, può sfuggire, anche alla PET. E quindi posso arrivare ad avere stadi diversi e quindi che cosa è questa colonna? Il comportamento, la linea guida, la raccomandazione a seconda dello stadio.

Però vedete che si somigliano molto i comportamenti successivi, perché con III A vado a fare chemioterapia, carboplatino, ma poi parleremo della famiglia dei platini, più TX, che vuol dire taxano, in questo caso taxolo, che è un altro farmaco che appartiene a un’altra classe, i platini ormai messi tra gli alchilanti per il meccanismo di azione, ci assomigliano molto, perché non si è mai saputo dove sistemarli, però sono dei farmaci che lavorano moltissimo sul DNA, rompono, spaccano il DNA, mentre i taxani sono dei farmaci che lavorano sul fuso mitotico, però non come veleni del fuso, come sono gli alcaloidi della vinca, ma lavorano sul processo di depolimerizzazione e polimerizzazione della tubulina, quella che poi fa staccare il fuso nella duplicazione.

Poi vedete che nel secondo gruppetto (III B, III C, IV) esce fuori una novità, il BEVA, che vuol dire Bevacizumab.

Se noi andiamo a vedere le linee guida dell’anno scorso , non 2010 o 2008, ma proprio quelle del 2014, questo BEVA non c’era, perché che cosa è successo? Il BEVA ha dimostrato che è un antiangiogenetico, è un anticorpo monoclonale contro il gruppo del VEGF, quindi lavora sul recettore del vascular growth factor e ha dimostrato di essere un farmaco attivo nell’ovaio e allora voi vedete come addirittura viene aggiunto e addirittura diventa un farmaco di mantenimento per 15 mesi, in linea guida, vuol dire che è stato approvato dalla Food and Drug administration americana, è stato approvato dalla EMEA (agenzia europea dei medicinali), è stato approvato anche in Italia dall’AIFA, cioè tutti i sistemi di approvazione farmacologica internazionale, hanno riconosciuto a questa molecola una evidenza tale da metterla in una linea guida di 3° e 4° stadio.

Ma voi vedete che NON c’è invece nel 1° e nel 2°stadio, perché gli studi in questi stadi sono stati fallimentari, cosa vuol dire? Ma come qui funziona e lì no? Giustissima domanda. E allora perché?

Perché nello stadio 3° e 4° io devo lavorare su malattia esistente, nello stadio 1 e 2, dopo che il chirurgo mi ha lavorato bene, io devo lavorare sulla eventuale presenza delle

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micrometastasi, quindi la cosiddetta pura e vera terapia adiuvante, in cui devo lavorare al buio e i dati si vedono a cinque anni, se la pz ricade, non ricade eccetera. Bè questi Ab monoclonali, non solo nell’ovaio, ma anche nel polmone, anche nel colon, se fatti in adiuvante, purtroppo non danno gli stessi risultati che si ottengono quando c’è una malattia evidente. Nella malattia evidente la controlla, lavora, distrugge quel pezzo di malattia, mi dà delle risposte, mi aumenta la sopravvivenza libera da malattia, mi aumenta anche la sopravvivenza globale, ma in adiuvante ci abbiamo provato, sono stati fatti diversi studi con il Bevacizumab in adiuvante (ma anche nella mammella, ma anche nel colon), ma lì ha toppato.

Vuol dire che cosa? Che l’Ab monoclonale sulla micrometastasi non ce la fa, non c’ha il meccanismo d’aggancio, perché per avere il meccanismo d’aggancio probabilmente ci deve essere una espressione recettoriale molto elevata e nella malattia micrometastatica, iniziale, questa espressione di neoangiogenesi non è cosi elevata e quindi non ha il punto di attacco.

Se vi ricordate vi ho parlato di un G0, che è il momento in cui la cellula sta dormiente e poi la cellula passa in G1, G2 e lì comincia la cosiddetta arborizzazione del cluster di cellule, comincia a formare i vasi, prodotti anche da sostanze che vengono dalle cellule, man mano che la massa aumenta, sempre più vasi, sempre più vasi, sempre più vasi e allora lì arrivano gli antiangiogenetici e trovano i punti di attacco.

Nella cellula o nel cluster che è in G0 o è in completa apoptosi, quindi è in una situazione in cui la chirurgia l’ha proprio messa a zero, può ripartire, però c’è poco punto dove posso attaccare e quindi non funziona. Io a quel punto do solo tossicità a questa pz, perché purtroppo anche questi farmaci danno tossicità, possono dare ischemia, possono dare trombosi, posso dare rialzi pressori, possono dare una serie di problemi, perché sono farmaci che “tagliano” i vasi, bloccano il sistema angiogenetico e quindi in questo caso nell’adiuvante do solo tossicità e non ottengo nulla, nell’avanzato addirittura è arrivato nella linea guida.

Come vedete, lo vedete anche qua, questa è quando ho fatto una citoriduzione ottimale e viene fuori questo stadio, questa quando il chirurgo chiude e dice “ho portato via l’80%, di più non ho potuto fare, perché se toccavo quella massa vicino a quel vaso, la pz mi moriva in sala operatoria”. Perfetto, si chiama citoriduzione subottimale e può succedere, e vedete che abbiamo anche qui lo stesso programma.

S: “prof, come si chiama la terapia con carboplatini, taxani, se non è adiuvante?”

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Allora forse l’unica che possiamo considerare come terapia adiuvante è quella del 3° stadio A, perché quello sicuramente è riuscito a portarlo via e alla fine il patologo ha detto

è un 3 A, allora quella è una terapia adiuvante, vedete con la chemioterapia intraperitoneale. E questa si può considerare adiuvante, ma sempre con dei rischi, perché è sempre un terzo stadio, che ha un 30-40% a due anni di ricadere. Questa invece (negli stadi avanzati) no, questa è terapia medica della malattia avanzata.

Quella del 3 A è apparentemente una adiuvante. Se proprio questa donna è superfortunata potrebbe

andare anche bene. Una quota del 15-20% di donne che vanno bene, che non ricadono più

c’è, però 35-40% a due anni ricade nel terzo A. E infatti vedete come il rischio di ricaduta è del 25-30% con l’adiuvante, e questo rischio aumenta sempre di più man mano che andiamo avanti negli stadi.

Adesso un po’ di storia sulla chemioterapia, così vi do delle notizie su questi chemioterapici che si usano anche in tantissimi altri tumori. Perché questi due farmaci, platini e taxani sono farmaci per la mammella, sono farmaci per il mesotelioma, sono farmaci per il sarcoma, sono farmaci per l’ovaio… (NON sono farmaci per il colon, dove lì esistono altre molecole), sono farmaci per l’endometrio anche, per l’utero, l’ovaio e cosi via.

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Cominciamo a dire una cosa. Sono farmaci, i PLATINI, che abbiamo cominciato a studiare negli anni ’80, e come vi ho detto prima, appartengono, vengono inseriti, nella classificazione degli alchilanti. Fondamentalmente hanno un’azione diretta sul DNA e direi che noi ne abbiamo tre in questa famiglia:

- Il cisplatino- Il carboplatino- l’oxaliplatino

Il cisplatino è il capostipite, il carboplatino è il primo fratellino, l’oxaliplatino è il cuginetto.

Il cisplatino si caratterizza per essere prevalentemente NEFROTOSSICO, prevalentemente, ma non è la sola tossicità, perché è anche neurotossico, ha anche una tossicità ematologica.

Il carboplatino invece è prevalentemente caratterizzato da una tossicità EMATOLOGICA, è abbastanza anemizzante, è abbastanza leucopenizzante. MIELOTOSSICO

L’oxaliplatino si caratterizza invece per una tossicità prevalentemente NEUROLOGICA, è particolarmente NEUROTOSSICO.

Quindi appartengono tutti alla stessa famiglia, ognuno con la sua prevalente tossicità, il cisplatino è più nefrotossico, il carboplatino più mielotossico, l’oxaliplatino più neurotossico, ma tutte le altre tossicità le hanno pure, ok? Quindi noi quando dobbiamo mettere una terapia del genere dobbiamo conoscere già cosa può fare un farmaco. Perché se io c’ho una pz che mi viaggia con 1,7 di creatinina, con l’azotemia a 65-70, alla seconda somministrazione se ne va in insufficienza renale acuta.

Quindi se tu non conosci bene il farmaco non puoi programmare le cosiddette TOSSICITA’ ATTESE, perché noi siamo in grado di lavorare sulla tossicità attesa, sappiamo quello che può succedere a quel pz maschio o a quella pz donna, sulla scorta delle conoscenze.

Poi ci può essere la tossicità particolare, che diciamo che è fuori da quelle che sono le previsioni e le attese e questo dobbiamo sempre metterlo in conto in medicina, cosi come dobbiamo sempre mettere in conto una situazione di ipersensibilità.

Tu cominci a fare le prime gocce di un platino e questa pz comincia ad avere tremori, arrossamenti, rush cutaneo, si sente soffocare, succede in 1 caso ogni 200 persone, forse ogni 300, però succede, quindi l’attenzione è quella che in ambulatorio ci deve essere gente competente, dagli infermieri, alla caposala, al medico, perché al primo contatto, cioè quando la pz viene per la prima volta, bisogna essere estremamente cauti, perché dobbiamo vedere se c’è un fenomeno di ipersensibilità. Poi se tutto va bene, certo può

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anche esserci la sensibilizzazione a distanza con l’effetto memoria, però in linea di massima se al primo contatto va bene allora si prosegue più tranquilli alle successive sedute.

L’altro grande farmaco della famiglia che fa quell’accoppiamento carbotaxani o platini – taxani, sono i TAXANI, il taxolo, il paclitaxel (questo è il termine più scientifico)…io ho avuto la coordinazione di tutti e due questi farmaci quando sono entrati in attività, in sperimentazione in Sicilia, sia dei platini nell’82, per 2 anni, sia alla fine degli anni 80, inizio anni 90 per i taxani. Messina, questo centro, fu indicato come centro coordinatore.

Cosa sono i taxani? Ve l’ho detto prima, appartiene al gruppo degli antimitotici, quindi agiscono proprio sulla mitosi, sono violentissimi, agiscono sui microtubuli in maniera piuttosto importante, con fenomeni di depolimerizzazione.

Possono essere dei farmaci che possono creare dei fenomeni di sensibilizzazione, per cui bisogna essere particolarmente attenti, soprattutto nei primi momenti della somministrazione e anche qui abbiamo nella famiglia diverse espressioni. Oggi addirittura ce n’è uno ancora più giovane e molto più attivo e anche sicuramente meno tossico.

Cominciamo dal vecchio taxano, che è il papà di tutti, che è il TAXOLO, poi nel tempo si sviluppa un’altra molecola che fa parte sempre dello stesso gruppo, che si chiama DOCETAXEL. Dunque uno è il paclitaxel, che è il taxolo, l’altro si chiama docetaxel, che è il taxotere (taxotere e taxolo sono i termini commerciali, mentre paclitaxel e docetaxel termini scientifici).

Oggi da pochi anni è entrata anche una nuova molecola che si chiama nab-PACLITAXEL e cosa vi fa pensare il termine NAB? Fate farmacologia no? Avete parlato delle nanotecnologie e dei nanofarmaci? Ancora no?

Comunque appartengono ai farmaci che vengono prodotti attraverso i sistemi di nanotecnologia, per cui è un nanofarmaco, cioè un farmaco piccolissimo, come dimensioni, come struttura, come peso, per cui è un farmaco che cammina anche meglio degli altri due e che ha bisogno anche di meno supporti.

Voi pensate che il taxolo normale, il paclitaxel, il capostipite, ha bisogno di un infusore particolare con un cromoforo, perché se noi lo infondiamo attraverso un catetere normale, il pz può morire, perché i fenomeni di sensibilità e di anafilassi sono altissimi (infatti nella scatola trovi sia il farmaco, che il cateterino con il cromoforo, che ferma alcune sostanze, alcuni cristalli che costituiscono il farmaco, impedendo questi fenomeni di sensibilizzazione).

Allora per questi motivi, questo farmaco e anche il platino, proprio per motivi della sensibilizzazione, si accoppiano e si fanno precedere dalle cosiddette TERAPIE ANCILLARI.

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Sono le terapie che precedono le chemioterapie, sono delle terapie con gli antidoti, l’antinausea, l’antivomito e in questi casi antiallergia.

Qual è secondo voi il farmaco che mettiamo contro le allergie? Il cortisone.

Quindi ogni settimana, ogni due settimane, ogni tre, c’è una bella carica di cortisone ed è uno dei costi che purtroppo subiscono i nostri pz e le nostre pz, perché quando fanno sei cicli e ogni volta a ogni ciclo col taxano si arriva a fare da 16 a 20 mg di cortisone a volta, (mentre con altri farmaci si fanno 4 mg, 8 mg), voi capite che in 6 cicli, in 8 cicli, quanto cortisone ha fatto questa pz.

E questo comporta fenomeni edematosi, fenomeni ipertensivi, modificazioni glicemiche, modificazioni del peso, perché queste persone hanno una ritenzione idrica che dopo sei mesi di cura ti ritrovi con 6-7 chili in più, che è tutta acqua, chiaramente prendiamo degli accorgimenti, dei diuretici ecc, con cui tamponiamo il tutto.

Ed ecco che oggi è arrivato il NAB, il neonato della famiglia, ormai già registrato per la mammella, registrato per il polmone e presto lo registreremo anche per le altre patologie e che si chiama, ripetiamo, NABPACLITAXEL.

Nanofarmaco, NON ha bisogno di cortisone, NON ha bisogno di cateteri speciali. Quindi risparmio di risorse economiche, perché il catetere speciale costa, ma più che altro risparmio di tossicità alla pz, meno rischi di ipersensibilità con fenomeni anafilattici e anche meno rischi di effetti collaterali, perché faccio meno cortisone.

E questo è il passo avanti. Terzo elemento importantissimo o primo dei tre, è un farmaco molto più piccolo. E cosa fa un farmaco quando è molto più piccolo? Riesce a ottenere un fenomeno di escape dal sistema immunitario, lo può bloccare, i macrofagi i farmaci li fanno saltare, cioè li rendono anche meno attivi, creano fenomeni di resistenza oppure la famosa pompa di espulsione del farmaco. Quindi farmaco molto più piccolo, nanofarmaco, che supera anche queste problematiche del sistema immunitario in generale, e in particolare

del sistema immunitario macrofagico. Adesso vediamo questo aspetto: carbotaxolo comparato a cistaxolo.

Questo che vi mostro è uno studio, un fase 3, cioè quel trial che consacra un farmaco, perché

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LO STUDIO DI FASE III RANDOMIZZATO E’ QUELLO CHE CONSACRA UNA METODOLOGIA, CONSACRA UN FARMACO, consacra una metodologia di combinazione radio-chemio oppure un farmaco nanotecnologico o biologico nuovo, un antiVEGF, un antiVEGFR e tutti gli altri, cioè devono passare tutti da studi di fase 3 randomizzati, in cui metto a confronto quello che è lo standard in quel momento, la cosiddetta gold standard therapy , cioè la migliore terapia che ho in possesso in quel momento per quella malattia, con la novità .

E loro cosa hanno confrontato in questo grossissimo studio? Hanno confrontato il cisplatino-taxano, il capostipite (che aveva dato grossi risultati), col carboplatino, il meno tossico, (sì, dà un po’ più di anemia, ma non andiamo incontro a insufficienza).

Il carbo lo avevano provato in fase 1, in fase 2, aveva dato risultati molto vicini al cisplatino e allora lo hanno provato l’uno contro l’altro.

In questa comparazione c’è una perfetta sovrapposizione di attività. Cioè in termini di PFS, progression free survival, il tempo libero da malattia, c’era perfettamente una sovrapposizione, le curve sono perfettamente sovrapponibili e addirittura se vogliamo essere pignolissimi, il carbotax “funzionicchia” pure meglio, peggio no, forse addirittura meglio. (vedi

slide) La stessa cosa se compariamo la loro attività sia nella malattia micro o gross residual, cioè dopo la chirurgia se mi rimane molta malattia o se me ne rimane poca. Anzi addirittura, ripeto, c’è una tendenza per il carbo. Addirittura anche nella ricaduta, cioè se vado in ricaduta, li provo come vanno e come vanno? Uguali! Anche qui funzionano uguali.

Vediamo invece la tossicità, questo è il gruppo col platino, vedete più leucopenia, più malattie metaboliche e insufficienze renali, se andiamo

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a guardare il gruppo col carboplatino è più un problema di tipo ematologico. Poi chiaramente le altre tossicità ci sono pure, noi andiamo a guardare le più importanti, terzi e quarti gradi (ndr. gradi di tossicità), primo e secondo grado li trattiamo con molta facilità, ma il 3° e il 4° grado sono quelli che possono interrompere il programma terapeutico. La tossicità di 4° grado può andare anche a finire con la mortalità, quindi bisogna stare molto attenti.

E quindi da questi studi e queste comparazioni il CARBOTAXANO E’ DIVENTATO LA GOLD THERAPY. Posso comunque fare un cisplatino, va bene lo stesso, ma la maggior parte di noi ormai utilizza il carbotaxano, perché corriamo meno rischi nei confronti della pz in termini di tossicità.

Allora, siccome vi ho parlato del BEVA, ora vi volevo far capire come mai gli antiVEGF funzionano, come mai gli antiangiogenetici hanno portato a questo risultato nell’ovaio, a punto tale da essere registrato come farmaco e nel 2015 è finito nelle linee guida.

Questa è la grande famiglia dei recettori dei VEGF che sono coinvolti sia nell’angiogenesi che nella linfoangiogenesi, quindi quando questi sono attivi formano vasi. E ci servono normalmente. Questa è la loro azione, questo è il meccanismo. Loro lavorano sia con recettori di superficie, e riescono a lavorare anche con un sistema a cascata all’interno del citoplasma. Che cosa fa un BEVA?

Il BEVA, che è un Ab monoclonale, riesce a lavorare su due recettori del VEGF, R1 ed R2.

Oggi abbiamo degli antiangiogenetici che si chiamano trap-drug, cioè i farmaci a trappola come il (termine non comprensibile 1:08:30, cercando

in rete credo sia l’AFLIBERCEPT) che è un antiangiogenetico di ultima generazione, che

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addirittura lavora su tutti i recettori della famiglia. Ce l’abbiamo comunque registrato e codificato solo per il colon, ancora per le altre patologie no, perché sul colon ha funzionato, mentre sugli altri tumori ancora no.

Che cosa succede nel momento in cui lui blocca questi due sistemi? Vedete che inibisce quella che è l’attività della neoangiogenesi nella malattia neoplastica in generale, la proliferazione, migrazione, angiogenesi e permeabilità, perché anche questo succede.

Cioè il vascular growth factor endotelium lavora creando vasi, ma di fatto fa spazi, cioè crea anche permeabilità nel condotto, quindi più facile immissione di cellule neoplastiche.

Un’altra immagine che vi fa capire perché c’è questa caratteristica così di vicinanza nell’ovaio, perché l’ovaio, ma non è il solo (ci sono tante patologie d’organo), ha questa caratteristica che facilmente da una patologia intraorgano, diventa una malattia con un coinvolgimento del microambiente che c’è attorno all’organo.

Questo succede per tutti i tumori, ma ci sono tumori che tutto ciò lo hanno in maniera più lenta, altri invece in cui tutto ciò lo hanno più veloce, quindi dipende tutto dalle caratteristiche e dalla struttura dell’organo e voi sapete che l’ovaio è una struttura intraperitoneale, quindi è a contatto molto facile con il mesotelio, e questo succede anche nella pleura per esempio, nei tumori della pleura, che si chiamano mesoteliomi.

E vedete qua questa che si chiama EMT, EPITELIAL MESENCHIMAL TRANSLATION.

È un altro bellissimo campo di ricerca in oncologia perché noi oggi stiamo lavorando sul blocco di questa molecola, cioè abbiamo dei farmaci che riescono a bloccare in questo momento il passaggio, stiamo lavorando molto sul microambiente, e poi non so

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se riuscirò a parlarne (ma sicuramente la Franchina qualcosa ve l’ha accennata parlando del polmone), ma ci sono i farmaci nuovi immunologici, che lavorano molto sul microambiente, lavorano molto sul sistema delle cellule T, sul sistema delle cellule dendritiche, sui macrofagi, per tamponare l’effetto della cellula neoplastica. E allora vedete come questo fenomeno del translation da un lato attiva il sistema neoangiogenetico e dall’altro lato è attivato esso stesso dal sistema neoangiogenetico, quindi è un doppio meccanismo. Cioè il sistema VEGF favorisce questo fenomeno di EMT e lo stesso EMT c’ha dei fattori che stimolano la neoangiogenesi.

Quindi la neoangiogenesi è particolarmente coinvolta in questo processo di invasione, di evoluzione del cancro dell’ovaio e vedete che è coinvolta in tutti i momenti, nel momento dell’invasione, della adesione, della permeabilità vascolare e tutto questo porta alla facile metastatizzazione, ecco perché gli antiangiogenetici hanno avuto questo successo quasi inaspettato sull’ovaio.

Questo è un riassunto di tutti i lavori che sono stati fatti sia in front-line, cioè vuole dire nella malattia metastatica di primo acchito, (io sono in prima istanza di fronte a una malattia metastatica, con bevacizumab, quindi chemioterapia + BEVA), sia nella ricaduta e funziona sia nella malattia metastatica di prima istanza, sia nella ricaduta.

Io non vi sto a far vedere tutti gli studi chiaramente, però il dato estremamente importante è che..questo è un altro di questi studi in cui vedete la solita curva con il gruppo che ha fatto il BEVA, con quello che non lo ha fatto, e vedete importanti differenze in questi pz.

E sulla base di questi importanti risultati nel 2011 è stato approvato prima dall’EMEA in Europa e poi in America (quasi sempre avviene il contrario, prima passano dalla America e poi in Europa come approvazione), ed è entrato nella terapia standard che include il trattamento CARBO-PACLITAXEL 6 cicli + BEVA e in più addirittura 15 mesi di mantenimento. In pochissime patologie neoplastiche noi abbiamo raggiunto l’obiettivo che un farmaco funzioni di mantenimento, quasi sempre abbiamo toppato perché si verifica il fenomeno della resistenza. E oggi abbiamo due tumori, uno è questo, l’altro è il tumore del polmone NSCLC, no small cell (forse la Franchina ne ha parlato), è l’adenocarcinoma che risponde al PEMETREXED e al platino, e, se risponde, il pemetrexed è registrato come terapia di mantenimento, un po’ come l’antiangiogenetico in questo caso.

E allora chiudiamo questo argomento sull’ovaio, vi ho già detto tantissime cose,

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queste sono slide altamente specialiste… vedete c’è anche la famiglia del CERB2, perché c’è un ANTI c-erb-B-3, coinvolto nel tumore dell’ovaio sul quale si sta lavorando.

Volevo chiudere con questa diapositiva il tumore dell’ovaio. Ritornando ai fattori prognostici, clinici e anatomopatologici. Quindi una giusta stadiazione è un fattore prognostico fondamentale, la FIGO stage, l’età della pz, l’ottimizzazione del residuo (è meglio se arriviamo all’R0 naturalmente), anche il CA125 (se prima dell’intervento la pz ha 1000 e dopo l’intervento ha 5, qualcosa di buono è successo, la massa l’ho tolta e posso considerare quel CA125 sicuramente un elemento di monitoraggio nel tempo), e ancora altri elementi come il reperto istologico, il grading, la presenza o meno di ascite, il tempo della ricaduta e naturalmente questa (vedi freccia sopra) che ogni tanto succede, soprattutto se non sei bravo a fare la chirurgia laparoscopica e non è una cosa da niente, ma è davvero un gran casino per la pz. Poi altri fattori biomolecolari, ne abbiamo parlato, BRCA mutation, la resistenza ai platini, espressione alta del VEGF, quindi tutta una serie di fattori che naturalmente favoriscono i fenomeni proliferativi.

SVILUPPO DEL FARMACO IN ONCOLOGIA – ONCOLOGY DRUG DEVELOPMENT

Adesso vorrei finire questi ultimi 20 minuti parlando di quello che è il percorso che

compiono i farmaci, come si arriva ai farmaci che usiamo. Vi ho già accennato il concetto di fase 1, fase 2, fase 3, ma ora vorrei darvi qualche notizia in più. Come si arriva? Quali sono i passaggi, gli steps per arrivare a un farmaco registrato?

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Vedete che il PRIMO PASSAGGIO è la identificazione del composto, nel senso che noi stiamo parlando e in questo momento in centinaia e centinaia di centri di ricerca o universitari, aziende farmaceutiche e multinazionali, si sta lavorando su tappeti di composti, TAPPETI, migliaia e migliaia, che vengono TESTATI IN VITRO, testati sulle linee cellulari. Oggi esistono linee cellulari di tutti i tipi e si testano su queste per vedere se c’è attività. Quindi si fa uno SCREENING di questi composti.

Parliamo ad es. dei taxani. Ne mettono 100 davanti, 99 non funzionano, 1 di questi mi manda in titolazione, perché se mi manda in necrosi la coltura, mi cresce il titolo, lo posso dosare, e allora quello è un farmaco che può andare avanti, e quindi una volta trovato comincia ad andare al secondo processo. E a questo punto siamo in una fase di PRODUZIONE e FORMULAZIONE.

Siamo ancora nella FASE PRECLINICA, (IN VITRO) ma preclinica sia umana che animale, qua siamo ancora in pieno laboratorio. Sulla coltura posso capire anche certi fenomeni di farmacodinamica, di farmacocinetica, certo non posso capire la tossicologia, quella la posso capire sull’animale e poi anche sull’uomo, ma posso capire i fenomeni biochimici e anche farmacodinamici e farmacocinetici .

Poi naturalmente si passa alla fase IN VIVO, prima ANIMALE, dove vado a cercare tossicità e attività e poi passa alla fine alla fase in vivo dell’UOMO, con la FASE 1, FASE 2, FASE 3, e FASE 4 e da queste poi si arriva alla GENERAL MEDICAL PRACTICE, farmaco che arriva a disposizione del malato. Ci siamo? Questi sono i passaggi.

E queste che vedete sono le sorgenti, possono esserci tante sorgenti: i taxani vengono da un tasso, un alberone di 180 metri, ma comunque la maggior parte vengono dal mondo vegetale, vedete? Gli antibiotici antitumorali, tutte le antracicline, la doxorubicina ecc. sono degli antibiotici, vengono da colture di muffe, dallo Streptomyces fungus.

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Vedete questi ancora sono gli alcaloidi della vinca, cioè gli inibitori del fuso, simili ai taxani però colpiscono il fuso, si chiamavano una volta veleni del fuso e vengono da una bellissima pianta, un bellissimo fiore, la vinca rosa. Vedete questi sono i CPT 11, gli irinotecani, topotecani, sono gli inibitori della topoisomerasi I e II e questi vengono da una Camptotheca acuminata, altri farmaci ancora vengono invece da organismi marini, alghe. L’eribulina, un farmaco importante registrato per la mammella, deriva da alghe giapponesi, si fa solo là, fanno vasche di alghe dentro le quali producono il farmaco.

Quindi ancora moltissimi vengono dal sistema naturale, chiamiamolo così, ma molti altri vengono dal sistema tecnologico, biotecnologico, bioingegneristico e queste

sono tutte le nuove molecole, i farmaci a bersaglio molecolare, i nuovi farmaci immunologici (vi ho parlato di TRASTUZUMAB, vi ho parlato di

CETUXIMAB e tanti altri).

Questi vengono da mutazioni di oncogeni, fenomeni di alterazione della trascrizione, cioè dalla tecnologia industriale, bioingegneristica e biotecnologica. Che cosa succede poi? Siamo arrivati ad avere il farmaco, quello è il primo momento, vedete in cui si fa uno screening dopo la fase laboratoristica, per capire se quella molecola è più attiva nei confronti di una linea cellulare rispetto a un’altra.

E allora si comincia a parlare di drug oriented, cioè di farmaco che è orientato, che funziona meglio sulle linee cellulari del polmone o funziona meglio su quelle del colon, o su quelle della mammella o sul melanoma o sull’ovaio.

E allora a questo punto posso avere dei farmaci altamente specifici per la loro attività o posso avere ancora dei farmaci che sono non specifici, ma funzionano e funzionano un po’ su tutto, su tutte le colture o su 10 colture, in 8 mi funzionano, mentre ce ne sono alcune che funzionano solo ed esclusivamente su una linea.

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Naturalmente cambia lo sviluppo, ma lo sviluppo successivo, gli steps successivi sono più o meno uguali. Per esempio quelli orientati sono sicuramente dei target therapist, non c’è farmaco più oriented di quello della target therapy, che se quello lavora per es. solo su

CERB2, o B3 (vedi trastuzumab, vedi altri), è un farmaco oriented.

E allora vediamo che cosa succede. Il successivo lavoro è quello di svilupparlo prima in vitro e poi me ne vado in vivo. In vitro che cosa devo capire? (Che già l’ho quasi capito se ho creato un farmaco oriented, se ho alcune certezze su come lavora il farmaco), però devo capire bene i livelli target, cioè devo capire bene dove funziona e me lo studio bene in vitro e devo capire bene anche i livelli

cellulari, cioè nel senso che posso fare tanti tipi di colture, tanti tipi di cluster, anche dimensionati in maniera diversa, per capire anche che grado di azione ha dal punto di vista cellulare su quel gruppetto di cellule neoplastiche, per passare quindi al vivo. Qua ci sono l’animale e l’uomo. I primi lavori vengono fatti sull’animale, sulle cavie di laboratorio, piccolini, che però hanno un metabolismo sovrapponibile al nostro ed è li che vado a studiare i primi due momenti, la fase 1 e la fase 2.

CAVIA

Nella FASE o STAGE 1 che cosa devo studiare su questo topolino? Ci sono i topolini a cui il tumore viene inoculato, si fa crescere quel tumore e si studia quel tumore. Ci sono i topolini cosiddetti “minuti” (?) senza sistema immunitario, su cui vengono sperimentati altri farmaci; ci sono topolini che per caratteristiche loro, hanno alterazioni mutazionali o vengono provocate delle alterazioni mutazionali e vanno incontro a un certo tipo di tumore, quindi ho tutta una serie di topolini che naturalmente mi permettono di lavorare. Che cosa vado a cercare già nel topolino? La prima cosa che devo cercare è la MASSIMA DOSE TOLLERATA o LA DOSE MINIMA DI TOSSICITA’. Se il topolino mi muore dopo la prima somministrazione non ci siamo e allora anche qui c’ho delle fasi graduali per capire la dose. E la dose massima tollerabile del topolino, diventa la dose che viene sperimentata nell’uomo.

Naturalmente contemporaneamente anche se questo è il primo obiettivo dello stage 1 o fase 1, contemporaneamente guardo anche l’attività, guardo anche l’efficacia, perché se

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mi scompare il tumore inoculato nel topolino, sul dorso, di queste dimensioni, che è più grande del topo e dopo tre somministrazioni mi scompare, il topo è vivissimo, sta bene e la tossicità è minima, quel farmaco è miracoloso, lo devo provare sull’uomo.

Quindi l’osservazione dell’efficacia, che non è l’obiettivo primario del fase 1, però si guarda.

FASE o STAGE 2, andiamo a guardare naturalmente attività, cerchiamo di creare una schedula, vediamo le migliori vie di somministrazione (funziona venoso? Funziona

sottocute? Funziona per via orale?), andiamo a guardare i fenomeni di resistenza, possiamo trovare anche in fase 2 le complicazioni.

UOMO

Adesso che abbiamo raggiunto la dose massima tollerata nel topo, che mi ha dato anche una espressione di efficacia e di attività, passo all’uomo. Allora questa è la sperimentazione nostra in

vivo che si divide in 4 fasi (fase 1,2,3,4). Che cos’è la fase 1? È la identificazione della DOSE MASSIMA TOLLERATA e definire quali sono le TOSSICITA’ TIPICHE di quel farmaco.

Vi ho detto ad es. l’oxaliplatino è neurotossico ecc.. e come si fa? Quali sono le popolazioni? … questi sono i cosiddetti studi clinico-sperimentali, li facciamo anche noi, diciamo che noi cominciamo a lavorare da qui in poi, dalla fase 2, 3 e la fase 4 che è la fase di pratica clinica.

Io prevalentemente faccio studi di fase 2 e fase 3.

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La fase 1 deve avere una organizzazione particolare, non è difficile, ma devi essere particolarmente organizzato a seguire le tossicità, cioè il pz deve essere monitorato 24 h su 24 su alcuni parametri, perché lì vai a guardare esclusivamente la tossicità, e su chi la vai a guardare? La vai a guardare su triplette di pz, da 3 a 6, che sono quelli che hanno effettuato tutte le possibili terapie convenzionali esistenti, cioè questo pz ha fatto tutto e ha davanti una ipotesi di sopravvivenza di vita che non sia inferiore a 90 giorni. A questi pz viene proposto uno studio di fase 1.

Ovviamente non vengono proposti giocando, ma è necessario il consenso informato. Oggi vi devo dire che la storia è cambiata, se 10-15 anni fa andavamo a cercare i pz per fare la fase 1, oggi il pz te lo cerca, viene lui da te, dopo che arriva alla quarta, quinta linea e sta bene e vuole ancora qualcosa, ti dice “ma non c’è uno studio sperimentale a cui posso partecipare?”. Oggi sono delle domande molto facili e ricorrenti. Però sono studi molto delicati.

E allora si guarda la prima tripletta, si va a vedere la tossicità. Se i tre pz hanno superato bene, con tossicità di grado 1, di grado 2, senza grandi problemi, senza rischio di morte, si passa alla seconda tripletta e cosa si fa? Cerco la dose finding… cos’è la dose finding?

La ricerca della dose, il dosaggio migliore. Quindi aumento, del 10, del 15, del 20%. La seconda tripletta va benissimo? Bene e allora aumento nella terza tripletta, aumento fino alla quarta tripletta e mi fermo quando in una di queste triplette ho una tossicità di grado 4 o 2 tossicità di grado 3. Quello è il momento in cui è il massimo della dose tollerabile per l’uomo. E lì mi fermo.

Una volta raggiunto questo ho tracciato quanto è la dose e posso passare alla fase 2 e la facciamo noi clinici. Anche la fase 1 viene fatta da noi oncologi, ma ripeto in strutture più adeguatamente attrezzate e con una vicinanza ai laboratori di farmacodinamica e farmacocinetica, a stretto contatto, perché sono pz che devono essere monitorati 24 h su 24.

Dopo lo studio su queste triplette io ho una dose, conosco già le tossicità. Posso passare allo studio di fase 2.

Lo studio di fase 2 è uno studio che mi deve valutare la risposta, l’efficacia e l’attività , mi deve valutare che cosa succede su questo tumore, e nello stesso tempo, non perdo mai di vista la tossicità, MAI. Se da un lato devo valutare l’attività, dall’altro non perdo mai di vista la tossicità.

Vedete che già sono studi più larghi del fase 1. Sono 50 pz, 100 pz, 200 pz, voi pensate studi che partono in tutto il mondo, quindi ad es. in Italia entrano 30 centri, 40 centri e

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mettono 50 pz ciascuno e così negli altri stati, e così in tutto il mondo, alla fine si arriva a 2000, 3000, 4000 pz. Quindi studi che partono contemporaneamente.

C’è una notevole rigidità (? 1:34:00) per entrare a far parte di studi di questo genere. Noi veniamo sottoposti a delle valutazioni, cioè vogliono vedere se siamo attrezzati, se abbiamo tutto quello che necessita per fare uno studio di fase 2, non solo dal punto di vista dei medici, ma di tutta la struttura che funziona, c’è tutto un processo perché un centro come il mio per es. venga autorizzato a entrare in uno studio di fase 2. Fortunatamente noi siamo a posto e li facciamo spesso.

Che succede qua? Possiamo lavorare su pz in numero maggiore e andiamo a cercare l’attivit à, quindi 1 mese di terapia, 2 mesi di terapia, verifica con la radiografia, verifica con la PET, con la TAC, con la risonanza, con l’esame clinico, con l’esame ematochimico, con marcatori e verifichi se il farmaco sta funzionando. Se sta funzionando, si continua fino a tossicità a progressione, se non funziona si stoppa la sperimentazione.

Considerate che in genere su un farmaco di cui noi vogliamo vedere l’efficacia in termini di spostamento del tempo della ricaduta (perché stiamo parlando sempre di pz con malattia metastatica, i primi sono addirittura i preterminali, coloro che hanno da 90 a 120 giorni di vita, sono tutti pz con malattia metastatica, attenzione, vi ricordo che la camera di ricerca è proprio la malattia metastatica), e noi cerchiamo la scomparsa di alcune lesioni, cerchiamo l’allungamento del tempo della ricaduta, se poi il farmaco va particolarmente bene, possiamo anche ottenere un allungamento dei tempi di sopravvivenza.

Comunque in genere sono studi che durano da 1 a 2 anni.

Già nella fase laboratoristica ci sono voluti almeno 5 anni per arrivare a una molecola che possa essere chiamata tale, attiva, poi un annetto lo si passa con i topi per arrivare al dosaggio (e sono già passati 6 anni), sei mesi li passi in fase 1, ma anche un anno, da 6 mesi a 1-2 anno (e già siamo a 8 anni), e siamo ancora in corsa eh, il farmaco non è ancora registrato.

A questo punto abbiamo individuato la dose e abbiamo individuato che il farmaco funziona, in fase 2 funziona.

Cioè su 1000 pz trattati nel mondo, 500 hanno risposto, quindi un farmaco che dà il 50% di risposta. Per noi è già importante un farmaco che dà il 20% di risposte, cioè se metti insieme 1000 pz e 200 rispondono è considerato già un farmaco attivo in oncologia, però se addirittura si arriva a 500 il farmaco è eccellente.

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Che cosa fa il farmaco? Passa a questo punto nella fase 3, cioè lo vado a confrontare con quella che in quel momento è la terapia convenzionale nel mondo, la cosiddetta gold standard therapy, cioè la migliore terapia che posso fare alla pz in quel momento.

È per es. una tripletta, che ne so, ad es. il FEC : 5FU + epirubicina + ciclofosfamide (ENDOXAN). Scopro la doxorubicina liposomiale che va bene, che si chiama CAELYX, e allora confronto il FEC con l’FCC che è 5FU, caelyx e ciclofosfamide, oppure confronto un farmaco contro un altro, per es. il fluorouracile, farmaco che funziona su colon, abbiamo scoperto invece un farmaco orale che appartiene alla stessa famiglia che è la capecitabina, vado a confrontare il 5FU con la capecitabina e vediamo se questa funziona come quella. Ci siamo?

E questi sono gli studi di fase 3 randomizzati e sono anche degli STUDI REGISTRATIVI, sono questi gli studi che la food and drugs amministration o l’EMA, accettano perché il farmaco possa essere valutato.

E questi durano tantissimo, perchè qui devi raccogliere tanti pz. In ogni studio ne devi raccogliere 500, 800, 1000 per braccio, 2000-3000 pz, li devi studiare abbastanza a lungo nel tempo, e qui ti giochi altri 2-3 anni e siamo a 10-11 anni, anche 12.

Perché un farmaco parta da un laboratorio e vada a essere registrato passa tutto questo tempo.

Il trastuzumab c’ha messo 15 anni per arrivare alla pratica clinica, perché qui devi dare i numeri, cioè nel randomizzato devi uscire quella famosa curva, le avete viste no? Il farmaco convenzionale magari sta più in basso, il nuovo farmaco o è uguale e allora si dice che il farmaco ha la stessa potenzialità di quello già esistente, però per esempio è meno tossico e prende lo spazio di quello già esistente, perché si fanno studi per vedere se c’è meno tossicità, magari noi non andiamo a cercare un miglioramento di attività, ci basta che il farmaco non sia inferiore, si chiamano studi di non inferiorità, però andiamo a cercare la tossicità diversa, la migliore tollerabilità.

Vi avevo fatto l’esempio prima, che il carboplatino è meglio tollerato del cis, ha preso il suo posto nell’ovaio e oggi è diventato la gold standard e lo abbiamo studiato con lo studio randomizzato, in fase 3.

Si studiano tutti così, per naturalmente andare a vedere se c’è migliore efficacia, migliore attività, naturalmente cerchiamo sempre il meglio, quindi se questo farmaco mi recupera 4 mesi di vita in più, 5 mesi di vita in più, 5 mesi dalla ricaduta, è chiaro che è un farmaco migliore. Se poi dal punto di vista tossicità c’ho meno effetto, ancora meglio.

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Però sono studi di fase 3 randomizzati alla cieca, quindi tu inviti la pz o il pz, tutti i farmaci passano attraverso i comitati etici, vengono ratificati dai comitati etici questi protocolli, poi dai pz devi ottenere un consenso informato scritto, il pz sa tutto, noi gli diamo malloppi di 10 pagine che si portano a casa e che fanno leggere anche al medico curante, noi ovviamente cerchiamo di spiegare perché ovviamente non tutti i pz sono nelle condizioni di capire quello che c’è scritto, quindi cerchiamo di spiegare al meglio (questa è una parte della comunicazione molto importante, come può andare un farmaco, cosa può succedere) e cerchiamo anche di far capire che se noi proponiamo uno studio è perché abbiamo già delle basi, perché se proponiamo uno studio di fase 3 in cui io cerco di superare un farmaco già esistente è perché io ho basi solide, nella fase 1, nella fase 2, che mi hanno già detto che è un farmaco particolarmente interessante, però lo devo dimostrare coi grossi numeri statisticamente significativi, si deve allargare la curva, ci siamo?

Io vi ho un po’ semplificato questi passaggi, ma è importante che voi lo capiate.

Alla fine il farmaco se supera la fase 3, il farmaco va in registrazione, cioè diventa un farmaco registrato o dai centri regolatori americani o da quelli europei, fino ad arrivare a quelli italiani, quindi diventa un farmaco di pratica clinica, ma questo vale un po’ per tutti i farmaci, io vi ho fatto l’esempio dell’oncologia, dove, vedete, dopo l’approvazione, il monitoraggio fondamentale qual è? Naturalmente l’attività, ci aspettiamo l’efficacia, il monitoraggio della tollerabilità, della tossicità . Continua nella pratica clinica l’osservazione attraverso il sistema della farmacovigilanza della tossicità, che fortunatamente in Sicilia funziona abbastanza bene. La provincia di Messina è una provincia che segnala moltissimi fenomeni tossici ed è importante per capire che quando quel farmaco da 1000-3000 pz arriva a milioni di persone, è chiaro che può dare degli effetti anche di tossicità che non sono stati studiati, non sono stati evidenziati nei 10000 pz trattati negli studi precedenti, che non sono stati evidenziati nei 10000 pz degli studi di fase 3, perché più si allarga il numero più possibile è che questo avvenga. E oggi mi fermo qua ragazzi.

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