voci d'eco in spirale acuta - ebook gratis
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VOCI D’ECO IN SPIRALE ACUTA
ANTOLOGIA POETICA
A cura di Laura Onofri e Matteo Pegoraro
www.emergentesgomita.com
OPERE DAL SITO
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la rivista letteraria‐culturale
L’EMERGENTE SGOMITA www.emergentesgomita.com
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presenta
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In copertina: Spirale acuta Elaborazione grafica di Giancarlo Bottini © 2005‐2006 L’emergente sgomita www.emergentesgomita.com I testi pubblicati all’interno sono protetti dai diritti d’autore. Per la loro riproduzione, totale o parziale, via web o su carta, necessitano pertanto dell’autorizzazione dei singoli autori. Si autorizzano terzi a inserire la seguente antologia, pur senza modifiche rispetto all’originale e in formato PDF gratuito, all’interno di propri spazi web, previo avviso via mail a [email protected]. Per la riproduzione della stessa su carta, è necessario il consenso dei curatori rappresentanti la produzione.
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Introduzione a cura di Laura Onofri e Matteo Pegoraro Versi legati oppure slegati, intrecci di parole a svelare profondità di animi. Poesia, rima e non rima, da sfiorare o mordere, a seconda del gusto di sé che gli autori regalano. Sono molte le voci che si levano, nel mare delle tempeste umane, ed è con profondo rispetto che ci siamo avvicinati alla lettura di quanto ci veniva proposto per la presente raccolta. Così come è vero che nessun uomo è un’isola, altrettanto è vero che tangibile è il tocco della parola scritta che da ciascun poeta si leva, affinché si snodi un filo all’interno di chi legge non per scorrere con gli occhi, bensì per assaporare e unire. Voci d’eco in spirale acuta è un’iniziativa nata da un’esperienza – ahinoi non andata buon fine – con la Giulio Perrone Editore, casa editrice romana indipendente con cui purtroppo non siamo giunti a un accordo per diversità di vedute su svariati temi a noi cari. Primo fra tutti il rapporto autore‐ediore, che non dev’essere basato sulla sudditanza di uno nei confronti dell’altro ma dev’essere oggetto di uno scambio, culturale prima d’ogni altro. Troppi intoppi hanno bloccato l’iniziativa di uscita dell’antologia con la Casa Editrice: l’errore – nostro – è stato quello di dare per scontate cose che si sono rivelate non esserlo affatto. E’per questo che d’ora in poi intendiamo aprire la strada a una via ben più seria, per ogni tipo di pubblicazione che ci troveremo a curare o promuovere. Sarà nostra cura impegnarci a realizzare una realtà competitiva con quelle già presenti sul mercato editoriale, e soprattutto valida non per il prestigio di un volume stampato dotato di ISBN, bensì per la qualità che la contraddistingue. Questo sarà l’obiettivo primario da conseguire. L’emergente sgomita, il magazine letterario e culturale on line su www.emergentesgomita.com e su altri portali, in un anno dalla sua fondazione ha riunito una grande comunità di scrittori e poeti, cultori di letteratura e lettori con l’obiettivo di rilanciare il talento e la qualità come elementi imprescindibili dell’arte. Dall’agosto 2004, in cui compariva su Internet il primo numero della rivista in formato PDF, sono stati fatti grandi passi grazie alla dedizione e all’intraprendenza di un team d’eccezione di tredici redattori e di una buona rete di collaboratori sul campo. Ora, a distanza di circa sedici mesi, possiamo dire che oltre a essere una realtà in continua espansione, L’emergente sgomita costituisce un solido punto di riferimento non soltanto per la letteratura emergente in Italia. La rivista ospita infatti rubriche attinenti ad argomenti che spaziano nel mondo delle manifestazioni culturali, con selezionate panoramiche anche sul tema della musica, della danza, della pittura e del cinema, dando risonanza a personaggi ricchi di talento e professionalità. Le pagine dedicate alla Slam Poetry, inoltre, indagano sulla poesia italiana con la pubblicazione di liriche inviate dai lettori; non mancano i racconti, le recensioni e le interviste a celebri personaggi del mondo letterario, editoriale, musicale e cinematografico. Sono già stati protagonisti Daniele Scalise, giornalista di Prima Comunicazione, curatore Mondadori; Massimo Mongai, premio Urania 1997; la pluripremiata Antonia Arslan, finalista premio Campiello 2004 con La masseria delle allodole (Rizzoli), e vincitrice, tra l’altro, del premio Stresa e Fenice Europa 2004; Giulio Leoni, giallista Mondadori e premio Tedeschi 2000; Alessandra Montrucchio, autrice Marsilio e Premio Calvino 1996; Marco
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Drago, direttore de Il maltese narrazioni e autore Feltrinelli; Jacopo De Michelis, editor e direttore della collana Marsilio Black; Marco Ferradini, cantante; Gabriele Salvatores, regista; Angela Baraldi, cantante e attrice protagonista del film Quo vadis, Baby?. Molti altri, i nomi ospitati nelle nostre pagine, poiché i contatti con il mondo artistico‐editoriale affermato si stanno intensificando, anche grazie agli apprezzamenti che ci giungono dagli operatori del settore. Riteniamo di poter affermare che, sebbene la strada sia lunga, siamo ben avviati. Quest’antologia mira a essere la manifestazione di una comunità interessante e in pieno sviluppo, che potrà arrivare in alto, se si concederà il giusto spazio a talenti meritevoli di essere notati e seguiti, con l’ausilio di uno strumento d’informazione e crescita per gli autori che aspirano a emergere. I poeti ospitati sono numerosi, e molte le diversità che li rendono preziosi. Augurando una buona lettura, chiudiamo con la citazione intensa ed evocativa di Ortega: il poeta comincia dove finisce l’uomo.
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Laura Onofri Sull’onda della musa e dell’Itaca di Kavafis. Spunto dell’elfo. Musa d’Acque e Terra e Fuoco Musa d’incanto E d’Aria pizzica la tua lyra e intona il canto quell’unico che al cor solleva il vanto. Di tua fame digiuno riarda a lungo l’ambito suolo dell’isola immortale, ché donna o uomo o qualsivoglia spirto alberghi tra le membra, lungo e ritorto e gravido sia il vagare che sulle vele spira, e vagheggiata e respinta si pianga l’ingannevole meta. Ricco è il sentiero di pietre e doni e frutti e melograni e succhi e bocche e occhi da soffrire, e giunti in porto vorremo già salpare.
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Stefano Canepa Notte di fragola E sulla lingua è notte di fragola e di tenebra (haiku della notte di fragola – Drakul) E’ un sapore di lacrima e di fragola, purificata dal soffio dell’ombra e più gentile del nettare che scorre e riempie d’ambra cellule di dolcezza appese al buio. Era trasparente e naturale il desiderio, senza catene e forzature andava via e poi tornava, come folata di vento nel lento caligàre notturno un po’ sfumato. Inducendo vertigine dolcezza può drogare, ed io bacio le labbra a suggere delizia e follia, furenti paradisi silenziosi e persi poco a poco nel caldo sbadiglio di tenebra. E’ un sapore di seta d’oro che resta acuto sulla lingua, ed un calore che vibra sempre più forte fino ad esplodere in buia nebbia dove io scompaio, dimenticando il tempo.
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Il bordo delle nuvole è rosa La striscia rossa illumina nuvole dal bordo rosa (haiku del cielo grigio – Drakul ) Il bordo delle nuvole è rosa, solo una striscia rossa a illuminare l’orizzonte e più in là, dove finisce il cielo, una macchia grigia che sfuma lievemente in un nulla d’ombra e d’infinito oblio. Pioverà fra poco, e la notte è stancamente in agguato sulle tacite promesse d’aurora, lontano, sui riflessi di solitudine galleggia ancora una traccia d’amore indefinito, atomi di acido a corrodere il cuore. Guardi con occhi persi e con iridi di labirinto recando vapori voluttuosi a contatto di pelle. Stridula carezza ancora una volta accende i sensi: non finirà mai questo nostro rincorrere piacere e vortice di buio. Il cielo nella notte appena accennata è un fantasma d’autunno che d’improvviso è piombato in bianco e nero, come un vecchio film sbiadito tra caligini antiche. Si spengono anche le nuvole, sull’ultimo tremante bacio.
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Francesco Borghi Io Sono qui sospeso a ragnatele di ricordi pressato da colpe millenarie viaggiatore instancabile in deserti infiniti percosso dai venti del sogno ove uccido fanciulle ove perdo la via del ritorno ove accumulo oggetti straordinari per improbabili musei ove un gigante ottuso difende la fortezza vuota del mio io Sono qui in questo silenzio assordante in questo vuoto spinto dei miei desideri ove il futuro è un’ombra che sfugge ad ogni luce ove il passato è un labirinto che mi mantiene vivo sono qui davanti a questo semaforo … mai verde.
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Un amore La felicità è nella meraviglia Un amore felice un amore ove gli abbracci schiantavano le ore in frammenti invisibili ove gli sguardi perforavano le montagne ove i sospiri erano un maestrale che sollevava il mare e in quelle onde andavamo alla deriva lontani dai porti della banalità lontani dalle spiagge dell’abitudine immemori del sole e della luna La felicità è nella meraviglia e la scoperta dei sensi perdeva immediatamente la memoria per affacciarsi ad un nuovo balcone e scoprire paesaggi ignoti e meravigliosi profumi sconosciuti creati per noi e da noi parole inventate dietro muri di silenzi perché le parole non servono più quando il corpo vibra e gli occhi trafiggono gli occhi e catturano e rilasciano ostaggi senza tregua un amore felice, infelice magari purché sia un amore.
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Vincenzo Blanco Io, tu e il cane dietro l’angolo L’ombra della notte ha allargato le sue spalle oscurando: due ragazzi che si nascondono dietro una macchina uno per giocare l’altro per uccidere il gatto con gli stivali che non miagola più la storia che non insegna niente la soluzione che non esiste il conto in banca dei politici mio nonno che sorride impavido alla morte il maniaco nel cesso dell’autogrill un vecchio cantante che ha perso la voce il pittore che non si riconosce più allo specchio. L’ombra della notte ha allargato le sue spalle oscurando: l’amore che si accascia al suolo il medico che ride parlando del tumore l’ultimo minuto di vita prima del suicidio il passo sicuro e lento di mio padre il numero avuto in sorte e mai estratto il sogno nel cassetto del piromane. L’ombra della notte ha allargato le sue spalle oscurando: il branco che stupra e dopo si pente Marilyn che resuscita e ci racconta la verità il tempo che salda le mie ossa il pezzo di carta in cui scrivo e che inchioda il culo al destino la penultima riga di questa poesia che muore tra le braccia dell’ultima.
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Diciotto scimmie Diciotto scimmie, sono diciotto le ho contate. Hanno cercato di confondermi ma non ci sono riuscite, mi studiano, sono sempre più vicine, la più temeraria monta sulla mia spalla, analizza i miei capelli e corre a riferire alle altre. Questa notte sarà maledettamente lunga. Devo riuscire a non pensare più a lei, è il dolore che non credevo esistesse brucia costante nel petto, non posso più toccarla sentire la sua voce – sopravvivrò anche a questo – mi dico mentre la mia anima deraglia e punta dritta all’inferno. Intanto le scimmie si spulciano a vicenda, non fanno più caso al pazzo che tossendo, tortura i tasti del computer. Solo la temeraria mi guarda, abbozzando una specie di sorriso. Ho una nuova amica sembra fedele, la chiamerò pazzia.
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Angelo Calogero Tinnariello Tu… foglia Le tue colline magiche e dorate vorrei danzare ancora finché lo sguardo di una nuova aurora non mi coglie stremato. Sul seno tuo bagnato di rugiada vorrei ancor morire per ritornar farfalla e sopra al fiore raccogliere dolcezza. E quando il vento scioglierà i capelli diventerò poeta e tu la foglia al ramo tremolante in preda al mio ti amo.
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Vivere a metà Stanco di maledire ancora il cielo decido ora di accusare il mare perché incapace di naufragare quel che rimane di un piccolo stelo. Stanco per mondi di vagabondare mi fermo ai piedi di un frondoso melo onde poter le membra riposare e l’anima proteggere dal gelo. Oggi ho capito che nell’apparenza si cela spesso la diversità che il cuore illude nella sua esistenza di ottenere quella libertà che in amore non si può far senza senza rischio di vivere a metà.
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Emanuele Faraoni Sogno Interrotto Brevi lampi di fuoco, Mani di brace scendono dal cielo Che afferrano e abbracciano il vento Formano una colonna di fuoco, una torre fino alle nubi attorno cui le folle si radunano. E da Babilonia il fuoco saettò nel cielo in ogni direzione E le mani di fiamma furono dappertutto Corrono corrono le mani di fuoco e argento vivo sul pianoforte divino Come enormi ragni d’argento, bianchi e sfavillanti Melodie celestiali emergono dall’organo del paradiso...
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Notte d’Estate Luna. Notte. Cielo. Mare. Buio. Sogno. Null’altro attorno a me, solo vuoto. Luna Un piccolo paradiso irraggiungibile. Bianca. Perfetta, vista da qui. Notte Un mondo oscuro, ma accogliente per chi vi è di casa. Cielo Desiderio recondito di ogni uomo. Mare Una culla immensa e confortevole, che abbraccia e avviluppa. Buio La mia anima e la mia mente. Sogno O incubo. Proiezioni mentali sciocche e sconclusionate, da svegli. Per il resto, una distesa di croci rovesciate, di arenaria e sabbia Fragili nella loro Inutilità, piantate le une nelle altre, Tante da non far vedere il terreno sottostante E la luna a volte, è resa da paradiso invitante, Inferno di fuoco Rossa, che illumina fioca un mare d’acqua scura Calando un sipario di sangue sul mondo.
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Luigi Diègo Elena Via di pianto e riso Largo più di quanto non sia il cielo a colorare il mare e le sue vene lampo scivola in un raggio. Dalla sua bocca di caverna l’impazienza già trabocca s’alza su in polvere e lapilli da brace alla cenere giù verso quel muro ormai cartone e oltre scende al mare a giacere nudo dopo il tuffo in processione all’acquasantiera battesimale a ritrovar la nascita e s’abbandona alla terra in quella zolla di pietra lavica che s’accende fra le porte rosazzurre d’alba sorella e madre per via di pianto e riso di chi è tornato a galleggiare. Il fuoco in fondo a modo suo è vita anche quando è incendio.
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Universo di vita Questa mia mano all’avventura nel crepuscolo copre il sole che si spegne reclinando l’ombra della fronte di religiosità d’approdo. Accanto non so come si va oltre i limiti dei segni della grazia e non sai di cosa è fatta l’ansia d’un ultimo sguardo. Se è memoria nelle pause degli spazi bianchi all’inesprimibile bellezza della vita il punto d’irrealtà più puro che anche se ti chiudi impressione nel tuo consueto “forse credo” della propria gioventù dopo la notte nella mia via levandosi alto m’avvicina. Che parola profonda da quella parte un’altra volta ritorna…
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Giacomo Milita Nel seno della sera umida Nel seno della sera umida ho respirato Il mio fiato dolce Mentre le gambe soffiavano sul fango Asciutto della pista campestre Mentre il cuore tamburellava la vita Ad ogni legione del corpo. Scivolando nel buio incalzante Ho solfeggiato la paura, Vestito nella mia pelle d’oca, E la tua eco mi ha costeggiato Per decifrarmi come fossi La più sola delle isole. E solo allora,con il disegno della luna A metà sopra la testa, Mi sono sentito il diadema di me stesso
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Nessuna sMeRiGliAta certezza turberà sali il mio laborioso scendi tra nervosi arabeschi finché stelle orofieno mimeranno la Luce‐principio del dEliRaNtE amplesso del tempo o nn e ra le lacrime cristallo v o VORACI a bagnare La METAmorfosi‐pianto del mio Ip c n i o o t riflesso osselfir
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Alceo Lenaz Errata corrige No studio, nada studio, smorfie di bocca e sigarette piedi posati male e nervosamente su piedistalli deturpati – cosa resta alla solidità se non questo sprofondare come in legno consunto Vertigini faccia a terra ha le vertigini – lui ha Fa partire gente dalla porta senza indicare con maestria da guru temerario di non idee Recita versi lunghissimi e prenota bagagli per nessuna partenza Scrive a caratteri cubitali di non essere e non avere poi scivola sotto lenzuola e dorme dimenticando altri sonni Digerisce a fatica carne tenera cucinata con la morbidezza di un sentimento Sputa per terra e piange come un diavolo senza divinità a proteggerlo dai pregiudizi Strimpella musiche, ah strimpella arterie del suono poi cede il passo alla notte che non è sempre buia non sempre notte non sempre non sempre Recita versi non suoi e si offende per gli applausi Mangia con nobiltà tonno in scatola pacco da 3 senza olio d’oliva Fa Casanova con donne polverose di denti stretti, tanto che non riceve quasi mai domande è troppo inciso il suo sostare emozioni – che sono crollate precipitate esplose. Morte vive morte. Eccolo dice puttana alla sua timidezza cerca vino, trova vino, offre vino alla malinconia degli armadi rotti, nei cassetti nasconde roba d’artista che lo rende non artista agli occhi di chi teme i suoi cassetti sporchi di penna a sfera Recita, recita e recita aspettando mani recita osannando infanzie e asimmetrie atemporali atipiche ateo bestemmia si pente ci credo – dice – si fa pena sulla sobrietà bavosa di vecchie morali utili ad essere utili piovre di sintesi errata corrige
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sia benedetta la sua maledizione – ecco cosa dice – quel tanto per scomporsi e subire ingiurie formato baci ombrosi che non troveresti mai nelle foreste di anime pulsanti intorno a pentoloni storici mattoni intellettuali stregonerie del silenzio Lui ah lui pianifica le stesse tridimensionalità impostate sulla sua gloria a venire.
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Francesca Espositi Solai non può guarirmi il sonno pagherò tutto col va e vieni del sole ho eliminato dal regno chiunque fosse disposto a perdonarmi resto in ginocchio solo per stanchezza non c’è nessuno dall’altra parte della mia umiltà puoi raccogliermi come seme non speso tenermi a esempio la vita ora ma non è anima è fame frugarmi il mondo con gli occhi dai solai. conosco poeti ah sì, sono grata sono grata anch’io come violeta parra sono grata benché non sappia di cosa lei ringrazi la vita però io sono grata e graziosa
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e docile al tempo vetroso forse un pugnale delle ande di neve saprebbe estrarre da me un qualcosa di vero dallo zero assoluto del mio niente ma sono grata, sì anche senza domande a chi mi sfiora di carezze. Io sono graziosa. Tutto qui. E’ altro essere donna? Io so decidere il timbro del tuono che scuote e l’ancora corrosa che tiene ancora la nave in rada. A chi interessa? Sono però graziosa allo sguardo del passante e mi basta e mi deve. Io ho sessant’anni
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trenta cinquanta venti conosco poeti e ammiro il più resistente. E so pescare, sapete? Posso insegnare esche. Ma avida scende la sera mi rende il colore del vasto distribuirsi del mare. Non so cosa violeta dicesse. Io spengo il timore nel fischio del mercantile io sola. E rispondo al deserto nella piccola baia. sa di verde in inverno sarò ancora qui come l’erba gioiosa sulla cera dei muri da certe finestre basse allora si vede
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che i letti hanno sonno le case fame. Non c’è nessuno di seme discorde pochissimi tentano il vino e ospita vento il rimanente del mare. Cercami tu io non ho ancora finito di scrivere questo che è quanto so: niente. E’ sporco di stelle il cielo. Ma fortuna: la terra qui sa di verde.
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Nuccia Di Giuseppe E io una notte venni a cercarti Ti avevo dimenticato tra gli argenti da lucidare Ti ho cercato per egoismo ti ho pregato per bisogno Ho atteso la tua risposta quando tutti piangevano una separazione Tu silenzioso nel tuo divenir Fede hai posato la mano sul mio cuore hai scaldato il gelo di quel letto poi hai sorriso di Luce. e due stelle tra ciglia scure si sono illuminate.
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Taglierei una fetta di papaveri per i giorni grigi a venire Un mare di papaveri ondeggia clandestino nella campagna assolata Un Rosso di colore tra l’arsura di pietre di una natura assetata Taglierei volentieri una fetta di Rosso per i giorni grigi a venire – donna previdente e formica – Un fascio di papaveri che rosseggia sul filo dei giorni a morire
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Jean‐Paul Amenta Sguardo Pupille che guardate il mar lontano il cielo azzurro e i monti... in voi è la tristezza arcana d’un tramonto d’autunno e la musica strana del suon di primavera. Occhi profondi che nell’infinito vi aggirate pensosi e nell’immensità cercate il nulla il vostro sguardo è un sogno.
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Il nostro silenzio So che tu mi aspettavi per questo sono venuto a cercarti. No, non parlare; dammi soltanto la tua mano; lasciami respirare il tuo profumo... Insieme non faremo che un ombra e la più bella musica sarà il nostro silenzio.
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Dorinda Di Prossimo In giardino un segreto Come quando mi dissi che avrei col tempo del tagliare e cucire rifatto il cielo sulle porte grezze e messo federe immacolate d’ago sulla siepe in giardino a sbiancare presso la fontana di nuove ninfee Fu in quel tempo d’allarme di grondaie di trecce che con pazienza mi lisciavano il collo di pezza e specchi infreddoliti ch’io inciampai su una piccola corda di tenerezze e feci del sole o d’ogni cosa ruota senza ombra grolla di credibile goccia.
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Cieca trillando Ma io sto un po’ tra i colli e il cielo Densa tra i rovi fuggiasca rotante Dai capelli all’anima brucio in colpo di sete M’invado con le dita della misericordia E stendo sul davanzale terra di tempo incolore Copiosa gelo nelle indifese latitanze Ammonita sirena sposa d’un letto di mercanti Vivere è ordito di malinconia brina senz’astri Odio i rumori delle calze vuote i figuranti E maledico un poco il semichiuso odor della mia rotta.
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Marco Graser Effetti di Venere ! non sorveglio l’esatto viso da qui ne avverto il lieve effluvio quello sanato dal giusto shampoo e dalle cento e mille mie carezze (cantate senza scomputo mentale) vidimate sull’arido riquadro! cardiaco. adesso m’annuso circa esausto, di sbieco soccombo_ sono muto!
sbuffo e penso, con indisposto ciglio spento (sussiste perversa sigaretta da gettare) pare mesta questa fine.
[?] da cambiare_ esangue e svestita dal solito dubbio Venere mi convoca a perforar dirupi (scintillerà il trafitto affetto) affabile e ardente striscia – assaggio femminea ninfa – strappato il velo compio peccato eccelso…
fiato!
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E mi sussurrava se stessa ad occhi chiusi cinte di roseti tutti eguali disposte a cerchio con tetro stile componevano l’anfiteatro tutelante poggiato sull’usuale panchina ossidata il mio sguardo parzialmente usurato dal tempo che scorre nello spazio pareva dolcemente disperso estirpato dal bacio su quel seno sospeso esaminato spesso a caso e poi le mia labbra si distoglievano piroettando danze sul levigato collo fino all’oblio del bulbo oculare e laggiù immerso tra le gambe un dito medio in movimento a contagiarsi di vino nuovo per concedere viziosa delizia un piacere viscido e precario a espandere nella solita aria l’aroma della femminilità altissima a effigiare senza imbarazzo quell’infinito per me vano e sussurrandomi se stessa ad occhi chiusi lei lo chiamava orgasmo
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Lorella De Bon Lasciami impronte sulla pelle Lasciami impronte sulla pelle come eredità che non teme la polvere: che possa seguirti dove s’aggrovigliano le onde, dove la stella polare si confonde con le alghe assopite nel buio. Perché se ancora c’è qualcosa da capire, sta nel mezzo di questo mare rosicchiato fino alla radice, insieme alle mie unghie di zenzero. Non avere paura, non ti lascerò alla deriva di niente, neanche di me che annaspo per restare a galla e intanto mi manca l’aria. E mi manco dentro e mi cerco inutilmente, vestendomi di pelle e aria per fugare ogni dubbio d’esistenza. E allontanare da me la consistenza d’una vita nuova che bussa per entrare, senza chiedere il permesso a questo cielo delirante d’amore.
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Gusci vuoti, ché il gheriglio è marcito Come un’ombra fragola stampata sopra una maglietta bianca, quella che indosso per le pulizie di fine settimana, t’assaporo con la lentezza delle domeniche pomeriggio. Se potessi amare mangiando, ogni cibo avrebbe un gusto più buono o forse solo più profondo. Siamo noi ad aver perso la lingua in mezzo a una folla di parole accalcate davanti alle porte, che dietro c’è solo il vuoto e il silenzio? O sono le parole gusci vuoti, che il gheriglio è marcito nel tempo esatto del volo d’un calabrone? Io respiro la tua ombra fragola nei fine settimana per averti accanto tutti i giorni che la vita vorrà. E se non riuscirò a dirti chi sono, leggi le mie poesie e mi troverai quando il sole tramonta dietro la collina. Io sarò là, vicina ai due alberi piantati alla nascita dei tuoi fratelli, in attesa … che tu mi raggiunga a scacciar via i miei Demoni, a seminare un altro albero, a vedermi crescere ancora come adesso accanto a te: nel silenzio d’una cornice senza quadro, d’un recinto senza più animali a svegliarti la notte quando la luna morde le stelle alle caviglie.
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Antonio Misiani Cercando chiodi arrugginiti cercando chiodi arrugginiti da piantare dentro al palmo una corona di spine per la testa una lancia nel costato un lebbroso da guarire ho trovato una puttana distesa su un letto di pietre da scagliare e il volto di dio padre guardandomi al suo specchio
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Avevo un amore avevo un amore dal sapore di latte sulla sua bocca e le piccole labbra avevo un amore dal seno bambino dagli occhi di pece e i capelli di grano cantava l’estate con la sua voce moriva l’inverno sul suo sorriso
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Massimiliano Mele Polveri Ho sentito di uomini, donne e bambini caduti, dai colpi incessanti trafitti nel petto, cingere le proprie mani intorno a rosari che snocciolavano nel sangue un’ultima volta. Ho appreso di neonati gementi dal viso implorante avvolti in poveri e polverosi stracci, respirare un’aria pesante di artiglieria, che cercavano disperati il seno materno. E di quanti corpi e divise illuminati dal fuoco che lanciavano grida assordanti ma inascoltate, mentre i cannoni e i bombardieri indefessi vomitavano i loro carichi verso nessun obiettivo. E quanti cuori hanno sfondato il torace mentre veniva chiesto ancora perdono, e si sono persi nel fangoso selciato allargando una pozza rossa e rappresa.
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Cesare Sabbadin Non so come
Ti ho vista non so come in un cieco giorno in cui la pioggia distraeva il mio sguardo.
Ti ho ascoltata non so come una sera fatta di fragori ove i lampi saettavano in me.
Ti ho sfiorata non so come nell’attimo di una nuda notte non intuendo che davi corpo ad una chimera.
Ti ho persa non so come all’alba di quel domani cresciuto tra le radici delle mie paure.
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Mi riconsegno alla terra Tra l’erba ancor lacrimante, mi sono sdraiato in silenzio. Tra fiori di campo, ancor chiusi, sotto l’occhio curioso della terra, mi mescolo come loro fratello, ansioso di percepire la vita col lieve sbocciar delle corolle. Volgendo lo sguardo al cielo chiedo perdono alla nuova alba d’esser orfano di rugiada mia, di non poter offrire fragranza, supplicandola di accettare questo mio maleodorante cuore, prima di spargerlo come concime in questo molle tappeto verte.
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Bruno Pica Il gatto sul tetto Al buio il vecchio ladro dai lucidi grimaldelli si accaniva alle porte del passato. Tentava con bisturi d’acciaio le vecchie mascature del suo cuore. Mentre, miope d’amore, la gatta sul tetto urlava il suo pianto disperato.
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Amore perduto Non è morto il nostro amore è li vivo in qualche piega del tempo; tra le foglie degli eucalipti e tra gli aghi di pino che ti aiutavo, sempre, piano a togliere dai capelli.
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Piano la mia anima Piano, la mia anima balbetta il tuo nome. E il grido che si leva dal mio dolore mi fa odiare la vita stessa!
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Alessandro Guidobaldi Sottintesi in Curva Cieca Baci all’idrogeno, fugaci e freddi evaporati, sopracciglia a scimitarra su taglienti sguardi curvi, liscio marmo gelido la tua pelle d’albicocca (Di vetro chiaro) Senza fremiti e tremori e gemiti di fuoco, ma è pur sempre tua la bellezza di luna antica a illuminare i sogni d’estetica rapita.
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Sulle Tavole di Leggi Ignote Scarlatta vermiglia purpurea soglia al tramonto di fragola, scolla lo sguardo in catene a vorticose radici di labbra affamate di dense parole senza cornici d’avorio, dove le unghie d’onice smarriscono i contorni del senno fuggito dai fianchi. Improvvisamente, ieri. Azzurro azzurro azzurro insinua la lingua il vento fra i pensieri di bibbie confuse, astronauti fra stelle marine legati al seno di cocenti meduse, s’invipera il dubbio nella tana d’accordato violoncello, urna preziosa di note rubate al creatore d’universi rari. Immancabilmente, domani.
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Tommaso Chimenti Amarillo Brulico e rumino di bruco Troppe parole m’inghiottiscono la gola, Malattia malata, La lingua cadavere Il silenzio della cecità crespa Risciacquata di marea arricciata In mani aracnidi, Cianotiche derive di risa e Pennellate di peluria d’oltreoceano, Lenitivo il maremoto fragoroso Di fragole poche stille ancora Di barba giovane, Forse domani Il latte amarillo acido Da mammelle aggrinzite D’insulina attanaglia.
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Crema di urla Crema di urla, Le sento distinte nelle marce marce Che arrivano a piedi Cavalcando menzogne lucertola, Il filo affusolato di ombre di mare. Utero e placenta Luci di mattoni d’erba arrugginita, Ma piovo lettere cancellate In stagioni di desideri scordati, E rimango indietro scortato Senza chiedere più scusa Nel vedere il tramonto seduto Di giorni accontentati sgonfiatisi.
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Elle H Venezia Un tempo abitai una dolce città dove gli uomini galleggiano trasportati verso rive ambite da fedeli barcaioli e dalle loro palafitte si immergono direttamente in un mare dai colori cangianti Lacrime di gioia sgorgavano dal mio visino di bambina immortalate in ritratti di mendici e vagabondi pittori dame dalle chiome di fuoco guardinghe ai loro balconi attendevano i loro amanti anfibi mentre il loro cuore si riempiva
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di spuma Passeggiavo su ponti sospesi senza avere paura di cadere, la mia maschera sospirava insieme A tutte le ALTRE maschere bagnate fradice sotto una pioggerellina danzante JE T’AIME VENICE JE NE T’OUBLIERAIS Jamais
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Saudade Saudade sabato d’agosto… Le veneziane semichiuse mi offrono la mia dose di luce giornaliera Si alzano e si abbassano mosse dal vento La decapitano a mo’ di moderna ghigliottina. Uno zingaro sotto il mio balcone sta suonando la fisarmonica: Besame mucho SAUDADE! La nostalgia mi uccide Vorrei tanto essere Ulisse che torna ad Itaca ed invece sono solo una crepuscolare con mia madre di là in cucina, che stira.
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Pietro Barbera Mi regalò il sorriso Per la noia un ragazzino sbatteva i sassi, uno contro l’altro, continuando per un’ora a darmi il ritmo. Di scintille neanche l’ombra. Sgretolavo piano la mia veglia scorrendo tra le mani la sabbia come parole da setacciare impigliandone qualcuna tra le dita per osservarla da vicino. Non balzava agli occhi alcuna verità. Nulla che potesse aprire scrigni d’illusioni, nessuna chiave era quella giusta. Dalla serratura spifferi di citronella e bergamotto incensavano il tempio delle vestali intente in abluzioni marine al crepuscolo. Fu la sera a stendere il suo velo coprendomi di baci con la bocca ingenua di mia figlia e senza batter ciglio mi regalò il sorriso che accese la notte.
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Paola Dallardi Alla fine era il tempo Siamo venuti dal tempo antico e lontano sfiorando il raggio di luce che imprigiona l’arcobaleno; tra le dita frammenti di ieri: – cristalli d’oro nel letto del fiume – Ci siamo smarriti nei colori della paura – navi impazzite tra le onde dell’anima – in notti infinite di nere illusioni – stelle spente sulla via del mare – Possiamo svegliarci dal sonno profondo – ali di farfalla ritmano il cuore – la Verità bussa alle porte una volta soltanto. Poi, ci lascia soli di noi nel buio di sempre E la chiave d’argento ci guarda tra la sabbia assopita
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Le pagine dell’anima Sfoglia piano le pagine dell’anima… Non sollevarne la polvere antica ma lascia che gocce di vento ne bacino l’essenza Sei vivo soltanto di parole negate al sole e ti culli di battiti che non hanno più musica Siediti e aspetta il giusto alito di luce che aprirà la porta del giardino proibito: il frutto è caduto lontano ma resta immutato nelle braccia del tempo
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Pasquale Giannino Sono vivo Tento di afferrare brandelli di carne agonizzanti su nuvole di catrame. Sono scampoli di rugiada che danno sollievo al disincanto di un percorso. Lo intrapresi a piccoli passi, con la misura breve di un cuore disorientato tra mille incertezze, nel faticoso discernimento quotidiano. Entrai nel dedalo dell’indifferenza, conobbi l’ipocrisia di morti parlanti. Cercai invano qualche briciola di poesia tra cumuli di carcasse putride. A un passo dalla decomposizione ho trovato la mia panacea, quel medesimo spettro che mi ha tormentato per anni: ho scoperto gli abissi dell’anima, la vera essenza del mio essere vivo fra pochi, vivo fra cumuli di morti parlanti.
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Orme di vita Non inseguo emozioni caraibiche alla ricerca di edonistiche illusioni. È fermo il passo della luna. Sentieri edulcorati. Labirinti di tenebre. Ho sorseggiato orizzonti cerulei tra gozzoviglie inesorabili, soccorso dalle mie stesse ceneri. Crollano i castelli fabbricati nel vento di nuove rinascite, araba fenice d’immortale delirio. Poco importa se il sentiero deraglia verso mete sconosciute. Mappa estemporanea di oniriche rivalse. Riscoprire tra macerie fumanti l’ordito di traguardi immaginifici. Percorsi mai intrapresi. Sentieri già esplorati. È tale il palpito di un animo che ritrova nuove orme di vita nel medesimo disincanto di chimere agonizzanti.
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Fabiano Campo Resistere Smaterializzare abitudini, donandogli l’impronta di un passaggio mirato a centrare un esito esatto, non è una bacio d’amore al tramonto né una tisana che anticipa il sonno è l’eclettica insistenza di chi tenta di accogliere colpe senza perdere il passo, di chi subendo la norma la vorrebbe ingannare guardando fiero e nascosto solo ciò che sarà oltre.
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Nei nostri occhi Sappiamo bene che in questa scenografia il riuscire ad incorporare intervalli tra durezze ed allucinazioni assortite è un acrobatico passo di danza ma noi ne siamo al di là, perché non ci appaghiamo nel riuscirci Vogliamo altro e se ciò ci rende impazienti, è solo il sintomo di un percepirci privi di appiattimenti su gioie ormai inglobate, è Volare! ed anche se per quanto e verso dove non ci è consentito presagirlo, che è in alto lo leggiamo già nei nostri occhi.
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Andrea Coco Domenica di carnevale in provincia Santa Marinella (Roma), 6 febbraio 2005 Una bambina gioca a pallone Sul lungomare cosparso Di coriandoli multicolori Due piccoli spiderman Corrono tra la folla Lanciando urli di gioia Una madre accompagna la compita figliola Camuffata da streghetta Seduto al bar del lungomare bevo un cappuccino E li osservo con interesse Sono appena le quattro Ma le nuvole grigie Fanno correre le ore Qui dentro fa caldo C’è luce dappertutto E volano tante voci Un ragazzo disabile chiede Nella sua lingua arcana Qualcosa da mangiare Quattro ragazzi seduti Attorno ad un tavolo Discutono di fotografia Degli americani parlano Un idioma indecifrabile dalla pronuncia gradevole Si aprono le porte del bar
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E il carnevale si diffonde Insinuandosi tra i tavoli Hanno fame i bambini Hanno sete i genitori E il barista li accontenta Vicino alla cassiera Il vecchio proprietario Sorseggia una Coca Indifferente al mondo Assapora con gusto la bevanda in bottiglia Si parla di calcio Di vita familiare Di tutto e di niente Fuori le onde spumeggianti S’infrangono sulla spiaggia Coprendola d’odorose alghe Nuovi bambini in costume E adulti complici arrivano A rinnovar la folle festa Il cielo s’incupisce E devo andar via Io non vivo qui Pago il mio debito Ed esco all’aperto Fendendo i passanti Per loro nulla è cambiato Giocano, ridono ed urlano lanciandosi coriandoli e stelle filanti Incuranti del sottoscritto e di un tabellone luminoso Che parla di borsa ed eventi mondiali
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Attilio Lucerna Clown Davanti allo specchio tra trucchi e colori Si bagnan gli occhi Mentre il mondo Vive Ancora Là fuori. Ride, ma non sa che dietro al suo trucco e al naso a patata si nasconde un cuore grande, pazzamente innamorato di quella fata. Lei non ci crede E lo guarda ridendo E con la sua anima forse ci sta scherzando. Non importa, fa lo stesso… Ora è tardi, deve tornare tra la gente. Eccolo, di nuovo piccolo in mezzo al suo mondo Le luci s’accendono Un’ultima lacrima riga il suo viso prontamente diluita da un sorriso. Lo show deve continuare Sono regole della vita Va bene così perché: Vai, Clown. Ora tocca a te.
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Njurav I miei occhi non vedon più quel sole illuminare con strane schegge la terra aspra che sfiora il bosco prima d’arrivare alla candida, solitaria spiaggia. Le orme dei miei passi incerti non disegnano più il velo bianco della strada che d’improvviso s’apre d’innanzi a una collina. Sono qui, nell’arida terra di Njurav, tra vibrazioni del corpo dopo una notte audace, altalena di un’anima in cerca di pace. Profumo di sabbia, respiro di vento che qui mai non tace. Lucide emozioni che gelano il sangue Brividi ghiacciati scorrono lungo la schiena Non c’è più nulla da capire Nulla su cui meditare Ci sei solo tu Angelo di vita incontaminata Ove ogni uomo vorrebbe riposare. Io, immobile E ancora tu, mosaico della natura antidoto contro ogni paura Frugale bellezza… di Njurav.
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Mirella Floris Sorelle dilaniate Chi vi conduce, sorelle? Un dilaniante, atroce guizzo di morte invade il vostro fresco respiro, spegne il bel cristallo del riso, dei neri occhi la luce. Danzano sul vostro sangue i dollari sonanti di mafie russe, di sceicchi sornioni di ricchi presidenti. Piange silente il canto del poeta: sommersa è la sua voce dal buio della morte
Il silenzio spazza freddo le piane quando cessano infine i frastuoni accecanti delle armi letali.
Senza speranza giace la mia voce d’argento chiusa nello stupore. Balbetta l’inno dell’uomo vuoto di senso in stracci di parole.
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Emmenunz Oltre le mura della mia città Sgombro di contenuti privato di ogni forma, di colore, aria ferma intorno. Emarginato scrollo le spalle, infilo il cappotto grigio e torno a casa.
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Fuga Ogni tuo dubbio iniettato di linfa vitale alimenta sguardi senza volto. Spezza! l’incantesimo che ossessiona la tua impostazione e metti disordine al tuo camminare.
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Recalcitrante disordine Perturbazioni eloquenti tacciono ininfluenti di fronte al mio incoerente talento sensoriale. Una parte è ghiaccio che risolve il passaggio degli anni. L’altra è deserto che disidrata ogni goccia umida della mia spontanea velleità. Lingua cerebrale amplifica il gusto alterato della mia non normalità.
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Filomena Fioravanti Firenze Dispettosa, scontrosa e scortese Firenze è una frusta in faccia di vane notti supplicata. E predicata. Firenze assassina ferita nel cuore schiaffeggiata in viso a fogli di carta straccia e di giornale Seppur colta, contadina mezzadra, villana, rozza e campagnola. Votata all’arte eppur così infedele in punta di pennacchio e non sul cuore Firenze, Ispirazione di triviali versi squallida e sboccata coi terrazzi sul corso e il culo all’aria Inflessibile e rigida merciaia e trafficante di giorni da venderci a caro prezzo. A noi. Angeli o Demoni ma veri, stabili. Contemporanei, buffi, ridicoli, innamorati. Coglioni. Mille notti e mille giorni a sognarla Firenze, a struggere il cielo a colarselo addosso
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a spruzzi e sprazzi incastonati tra le nuvole. E’ un vicolo stretto, Firenze. Bara d’amanti suggello d’amori E’ una donna alta con le occhiaie e i l c a z z o i n m a n o E’ una puttana, Firenze. se lo tiene ben stretto fra le cosce, in quel boschetto tra due gambe che non sono mie. Firenze, balorda e così bella coi fianchi sinuosi e la pelle di giada, col culo dritto e ben aperto, disponibile, sicuro, certo. Firenze padrona e catena. Palla al piede. Menzognera! Noiosa, gelosa, ossessiva, madre di prole e prodiga di buoni consigli. E sorrisi... Da ficcarseli in culo e pagare per questo. Pagare. Firenze, d’inverno la seta, d’autunno una resa D’estate toscana – immatura primavera – all’alba una sposa. Di giorno una rosa Di notte chimera. Megera, Firenze, Megera! E fregata! Non glissa il tuo sole
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Alberto Barina L’impressione di vivere Ho avuto anch’io fiori sui precipizi, stelle che non sono più tornate al loro posto, le matite colorate cui si aggrappano i bambini, un oggi che non ha saputo diventare domani. Eppure a volte ho avuto anche l’impressione di vivere. Ho avuto anch’io la bocca chiusa, la breve luce che risuona della mia poca appartenenza a questo esistere. Ho avuto una madre foriera di consigli, il cappello ed il coniglio del prestigiatore, delle lacrime che si sono sostituite alle parole. Ho avuto anch’io i cerchi nell’acqua dei sassi che gettavo contro il fiume. Eppure a volte ho avuto anche l’impressione di vivere.
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Due poesie Forse mi è stata data la possibilità della poesia, perché il cielo sapeva… sapeva, che troppo presto mi sarebbe stata tolta mia Madre. Tutto perché la poesia non debba essere mancanza, luce che si spezza ma cerchio lontano e perfetto che ritorna e si ricompone in vita. Tutto perché debba continuare a sentirne la foglia e la rugiada, lo storno e la nuvola, l’alba dilaniante nel mio silenzio.
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Qualcosa ci sfugge E tocco il tempo in tutto il suo feroce passare, quando ascolto il volto di case che paiono abitate solo dai ricordi, che hanno certezza di voci che non faranno più ritorno e non siederanno più attorno ad una tavola. Qualcosa ci sfugge… Una lacrima ed un raggio del giorno, il perdono ed il suo valore, una virgola come foglia a primavera, un sogno, il profumo del silenzio, il pensiero dell’assenza, l’ombra ed il suo contrario, un angolo di polvere e l’essenziale, la poesia e le sue radici.
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Davide Riccio Nel fiume che passa sempre diverso e sempre uguale Nel Fiume che passa sempre diverso e sempre uguale passano testa e lira d’Orfeo: quella canta, questa ancora suona l’arte che gli resta. Scesa al mare, così le onde portano la sua opera alla pensata beata isola, qui a Dioniso e Apollo entrambi consacrata, connaturata eterna dualità e caverna oscura senza cui Dio nemmeno esistere saprebbe o il Nulla. Quel che di smembrato dalle Baccanti ottuse giaceva miserabile schiavitù della carne labile fu dalle tardive Muse colto e sepolto ai piedi del glorioso Olimpo classico posticcio e artificioso dove si dice l’usignolo canti più dolce melodia e pura che tra i viventi vita grama. Le meretrici Baccanti editrici degli Orfei vollero ancora una volta scolparsi nei fiumi d’inchiostro dell’Elicona di nuova icona
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più conveniente ora a posteriori come al pagarsi di prima una loro pubblicazione ed altre vane Menadi che se la menano ai loro nomi. Nel fiume che passa sempre diverso e sempre uguale passano testa e lira d’Orfeo: quella canta, questa ancora suona l’arte che forse, forse gli resta. Note: La beata isola qui non è Lesbo soltanto, dove giunsero per mare la testa e la lira di Orfeo e dove qui furono consacrate ai templi di Apollo e Dioniso, il diuturno e l’oscuro, il duplice orfico aspetto, ma l’isola simbolica pensata in ogni antica cultura come luogo di beatitudine irraggiungibile in vita, makaron nesoi, insulae fortunatae, al‐diaz’ir al‐chalidat, Campi Elisi e, quindi, le isole dei Beati: le anime degli uomini provengono dall’etere più raffinato ma sono imprigionate nella schiavitù della carne fino alla morte. Soltanto allora esse si libreranno purificate sull’Oceano, dirigendosi verso un luogo di gioia, alle isole dei Beati, mentre le anime contaminate da impurità verranno punite in una caverna oscura. Ma nei versi “connaturata eterna dualità.” etc. non può esservi pace invero neanche in quelle presunte sperate finte isole dei Beati: senza dualità, senza mai caverna oscura, nessuna cosa dell’universo si reggerebbe, neanche la più presunta celeste in sempiterna lotta, equilibrio e disquilibrio senza fine tra creazione e distruzione o il Nulla. L’usignolo, nella Grecia classica, era simbolo della capacità agognata dell’uomo di raggiungere con il linguaggio una dolce melodia. E’ ancora oggi talvolta sinonimo di canzone e poesia.
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Nunzio Festa Circo un bozzolo di parole custodisce me e le mie mani sopra le piante non vedo che nani nudi pronti a stuprare le ballerine a bere le urine della donna cannone sotto al cammello che sputa al cavallo che monta non mi piace il circo di questi secoli l’impronta che ha dato alle persone staccherò le dita dal lucchetto
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Dal basso altissimo della terra pesante non appariscente la mia collina pulsante batte di calanchi e scorci di buchi fra le natiche della natura in piedi a sorreggere la caduta e lei sta io cado lei sputa il veleno assorbito dagli anni panni stesi e raccolti di fretta accanto al terreno sotto la vetta tempestata dal brusio calpestio della guerra sulle cime del petrolio il veleno del terreno coltivato di sotto di sopra la terra vedo tienimi chiedo
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Maddalena Mongiò Tienimi stretta cullami mentre le parole rimbalzano come slavine di montagne fantasma. Scivola sulla mia pelle come acqua di torrente, prendi i seni come fossero frutti di bosco nascosti alla vista da foglie ombrose. Slega i lacci delle emozioni ora intrecciati come i fini capelli di antiche dame e sul solco di morbide labbra asciuga lacrime preziose come perle di mare.
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Ti ho incontrato Ti ho incontrato lungo il muro di cinta che con tratto deciso delimitava la strada provinciale dall’aranceto. Gli sguardi fissi, inchiodati l’uno nella liquidità dell’altro tradivano l’impulso irresistibile di correre saltare il muro a bearsi dell’odore forte dei frutti e della mollezza dei rami più teneri che il vento smuovendo lasciava sfiorare. Ma eravamo lì lungo il muro di cinta, a roteare il capo dai frutti al selciato allo sguardo di desiderio. Infine una folata di vento più densa di altre degli umori della natura, ci condusse nella terra grassa. Le ore come serpe attorno al corpo mi soffocano con la loro lenta apparenza matrigne mi conducono per mano a riascoltare quei sospiri che il vento aveva portato.
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Conny Stockhausen La sconfitta oggi suona feroce la sconfitta oggi suona feroce come cicatrice aperta nel fianco bussa sottovoce alla porta e nuoce alla mia salute e arranco in questa precarietà crepuscolare nel dirsi addio così reale. intanto aspetto disteso a letto e penso al giorno in cui ho retto una simile disperazione per via della mancanza di considerazione nella testa e negli occhi vedo tutto a cominciare da me stesso, nel giorno del lutto. per non parlare dei poeti maledetti che ho cercato d’imitare nell’altezza vicini per inquietudini agli affetti nella mia profonda amarezza passeggero distratto di quest’ora mi affido a te per un’ultima volta ancora.
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Dove vivo non c’è luce né acqua Dove vivo non c’è luce né acqua. La prova che aspettavo È che a casa ho tolto la porta. La speranza mi è morta tra le mani, una tenda separa il mondo dalla realtà. Vorrei cambiare nome e cognome, e rinascere pulito, per non sentirmi tradito, per salvare i miei gatti. il nostro giardino.
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Luigi Corvaglia Solaris (Dormiveglia) E’ gonfia vela ondeggiante la tenda che accompagna il mio naufragio quotidiano, prima che mi riprenda il gorgo dell’affanno, l’ondivago fluttuare di un legno senza posa che si scuote un attimo, si ferma quindi affonda piano, e’ spiraglio di luce, soffio, deriva silenziosa E non c’è spazio, un inganno il tempo, mostro oscuro degli abissi che mi assale, che assedia la mia fronte ferita dal vento di ammutinato nocchiere che riposa che sobbalza un attimo, si ferma quindi fluttua e sale sull’onda montante del tempo, il tempo, strana cosa E’ galleggiare fra scampoli di sogno argonauta nello spazio davanti all’infinito, E sono lusinghe di sirene le voci galleggianti nel vuoto senza tempo, come segnali perduti nello spazio profondo, ma distinte, lucide a sprazzi, come fari nelle nebbie, come vividi fantasmi fate morgane che sanno d’Archimede, che inventano giochi con gli specchi dalla riva sabbiosa. Ed è luce. È folgorante intuizione, improvviso cogliere l’infinito. Di colpo tutto è chiaro. Ho capito! Poi mi sveglio, e non ricordo cosa.
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Rigor Mortis (Salento) Morirò d’estate quando la luce spagnola violenta la carne di pietra delle chiese che rintoccano nel nulla quando la morte si lascia imitare dal torpore degli uomini nel tempo sospeso che precede la sera e le ossa degli olivi come mummie di mille dannati arsi nei campi stanno in un grumo di sangue morirò nel vuoto di una nostalgia di Grecia di calce bianca immobile al sole, come sudario abbacinante
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Angelo Elmidio Lo Giudice All’imbrunire La luce, calda il rumore, stridente bambini giocano e anziani sonnecchiano mentre amanti inquieti fumano al buio.
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Distratto e infastidito Distratto e infastidito da quello che voleva essere un mio desiderio mi ritrovo qui, seduto su di un mucchio di polveri a pensare; mentre l’onda del vento investe il desiderio che in me si ripiega.
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I pensieri degli uomini I pensieri degli uomini non saranno mai liberi perché la vita tradisce, inganna e ci abbandona qui da soli. Quindi, rimaniamo a guardare il mondo che invecchia e che si abbandona, libero, dietro di noi. E per chi scrive e cerca un pensiero che non lo venda ma lo regali al suo prossimo.
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Lorenzo Zanierato La notte d’un mondo Nella melanconia d’un ricordo s’aggirano civette intonanti un canto armonioso tra note di piccola speranza in un mondo notturno fatto di canti senza vita e di stenti del piccolo cuore. Rantolano nel buio quei piccoli cittadini, non coscienti tentennanti dinanzi all’oscurità in un nuovo mondo senza la guida senza la realtà…
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Il fiore cittadino Il fiore è sbocciato tra i ghiacci d’una città e l’armonia d’una danza silenziosa Unica consolazione per l’orfano senza nazione senza una realtà Silenziosamente si consola in piccole lacrime di gioia in fiumi di caratteri in parole futili e stupide (per molti) ma unico appiglio d’una realtà non sua.
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Chiara Negrini Oggi sono una sconosciuta Oggi sono una sconosciuta. Come la faccia nascosta della luna. Come le farfalle che giocano a rimpiattino quando cadono le foglie. Come l’immagine di una maschera riflessa in uno specchio rotto. Oggi non so chi sono. Mi sono persa dentro un pensiero di troppo.
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Mandami un sogno distratto Mandami un sogno distratto, portami rose e caramelle nere, nascosto dietro a soli di pietra. Prendi, in cambio, i miei sogni disfatti. Ricucine gli orli, e ti prego non giudicarmi. Non nasconderti, nel modo in cui potresti tirarmi dentro ancora di più. Nel modo in cui il grigio ed il verde potrebbero farmi impazzire, immobilizzandomi nel loro volere.
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Cristiano Tinazzi Smettila di fare domande È difficile spezzare una catena con le nude mani Come correre più veloce degli altri O volare più in alto O ammazzare un uomo E se tutto questo è il succo della vita È un non senso Dove un organismo putrido, merda su merda regola rifiuti e umanità. Dove bocche, miliardi di bocche, parlano senza emettere suoni. Dove tu, sciogli le angosce mascherandoti nel nulla non sapendo che la domanda in questione è già morta prima di nascere. Allora smettila di fare domande del cazzo E sporgiti un po’ di più sull’orlo, dove puoi toccare il buio.
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Lucia Guidorizzi Logos Quando dalle porte scardinate Penetra il Soffio La Parola attraversa Ogni linguaggio E si fa fiamma che arde Consapevolezza Che illumina Perfino chi Non c’era. Come antichi viandanti lusitani Avvolti nei mantelli I piedi nella polvere Sulla via di Emmaus La nostalgica Assenza Colloquiava (suo malgrado) Con la Presenza Che non si palesava.
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Lusiteleia Ovvero l’arte di levare le ancore Mare aperto Non più voci e luci sulla riva Ma plancton ribollente Sull’oscuro flutto sconosciuto Mare aperto E domani chissà Un’altra isola Piena di promesse E di pericoli Un faro E’ il mio cuore Che mi conduce in salvo Oltre i gorghi E le correnti insidiose Oltre le paludi E le velme affioranti Oltre le Sirti sabbiose Una polena E’ il mio cuore Che fende le acque Senza sgomento E ride del guizzo Argenteo del pesce Che muore straziato Dal becco vorace Del cormorano In un attimo
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Enrica Bellamio San Sabba Voglio serbare le immagini dell’orrore. Le pupille sgranate come foglie secche appena rastrellate da campi in fiore: le api continuano nel loro operare. Un effimero velo d’epidermide a coprire i resti di quelli che furono uomini esigui come gli alberi maestri nelle barche stipate nel porto: le creste d’acqua scorrono immutate. Ceneri d’ossa eruttate dal camino ininterrottamente come, ora, le raffinerie a pieno regime: il fuoco s’increspa sventola sospinto dalla brezza indifferente.
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Paesaggio invernale Si stende il campo fin dove lo sguardo corre un rivolo s’insinua nelle opalescenti spaccature Brulla e dura terra Immobili zolle nella foschia d’inverno. Si staglia contro il grigiore la scheletrica mano violacei artigli Centinaia di uccelli impiccati accartocciate crisalidi. Si diffonde un denso manto che soffoca fra le sue spire l’agonizzante salice già accasciato sulla gelata stoppa.
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Pancrazio Antonio Conte Carnevale Nel martedì di festa nuda e vogliosa sfili lungo le strade desolate della mia esistenza. Ti seguo con occhi ingordi mentre stringi al petto le lenzuola senza peccato. Nasconde la tua anima una maschera di seta, nero e sottile mistero sul tuo viso d’amore. Ti risveglia dal sopore il profumo dei dolciumi accompagnato dai canti di colombine e balanzoni. Il veglione ci trascina, è tempo di divertimenti dolci e giochi incolpevoli. Danzi felice sul mondo con rapide movenze, accenti e giravolte nel tuo costume rosa. Scivoli con grasse risate su coriandoli d’argento, sparendo in una nuvola. Le mille stelle cadenti i ricordi di una vita traboccante di passione.
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Nuove strade In una notte senza luna con il freddo nel respiro dirò addio alle mie radici ai passeri sul filo del bucato al traffico nelle strade alle vicine che litigano. Un treno mi porterà via e stazione dopo stazione mi perderò nel viaggio. Camminerò per strade affollate lungo mulattiere polverose seguirò tutti i rumori ed ogni foglia nel vento. Sotto manti di stelle attraverserò paesi stranieri vagabondi e principesse guideranno i miei passi cercherò nuove strade palazzi, vicoli e vallate luoghi e storie da scoprire. In un prato pieno di fiori nella notte che mi attanaglia lascerò vincere la stanchezza. Corri sole e fa’ mattina perché io possa ripartire.
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Manuela Gatta Una vita Liquirizia dolce e soffio di vento sono gli anni della leggerezza Rose di velluto e lame taglienti diventano porzioni di vita vissuta, in ricordi di notti da dimenticare Respiri frettolosi e corse, attraverso le vite degli altri Avanzi di pasti veloci e bevute per dimenticare restano tra gli assaggi dell’età adulta Sere di libri e grosse bevute di memoria solo per disegnare la distanza dalle ultime righe.
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Gian Maria Vallese Dentro dove non v’era l’una l’altra voce presa ad intingere verbi in allume al lume di candela a continuare per ore per non perdersi a leccare quel sangue sul tappeto ad indicare le sue tracce per paura di perdersi lo spettacolo ameno della fine v’era dell’altro inciso sulle gote indicibili note quasi solchi segni ormai prossimi al volo dell’angelo neppure un’espressione in direzione opposta apposta non v’era né luna né voce a dipanare il fil di luce che trema al ripasso da dentro a dentro
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L’istante intenti ad inventarci altri nemici per difender noi altri da noi stessi con altri occhi e ben altri artifici accade di confondere per strade punti più spessi con fini deserti tanto da credere d’essere giunti al punto per tanto ripartire all’oscuro del faro delle rotte con gli anni torneranno le radici recise con la lingua d’un sol colpo le orme finiranno per mischiarsi tra la nebbia al cammino senza soste a respirare polvere di marmo rosa, è già giorno, mormora l’istante
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Francesco Dell’Olio Candidi fiori macchiati d’inchiostro Un tempo facevamo corse, drammatici disegni su sabbia e cemento, sorrisi sudati, occhi ingannati a piccoli passi per vie desolate… Che diavolo volete dalla mia vita? Che diavolo di vita posso volere? Una casa di cartone un’auto rilucente un cane cieco una fottuta storia d’amore – risate di cristallo frantumate nella gola. Un tempo facevamo. Ignari bambini che muovono destini – ridere pregare spruzzare colori capire a volte capire. Candidi fiori macchiati d’inchiostro!, gridò l’attore con occhi di strazio velati. E dietro l’angolo l’ombra della vita contorta, gioconda s’allunga in eleganti smorfie deformi.
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Cesarina Deli Nulla Nulla nella mia mente persiste per non ottenebrare il dolore vero che la sconvolge senza pietas… Riavvolgo con calma serena e senza indecisione alcuna, la bobina che contiene tutti i miei ricordi, per non farli rivivere al tempo presente…
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Pensieri
Schegge di pensieri sovrastano la mia mente portandomi lontano nel tempo e nello spazio a me più remoto e futuro nello stesso tempo…
Sento il moto del mio essere ridestarsi e avvalersi del dolce gioco della fantasia che m’avvinghia e mi seduce con il suo malizioso fascino… la mia essenza vibra senza ostacoli inebriandosi.
Il pensiero, rievoca in me, immagini oniriche affascinanti che fanno rivivere personaggi
il cui loro reale va a fondersi col magico limite della mia fantasia…
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Barbara Presicce Imbuti Quel giorno bastava La plastica al tatto, Una sacca dei giochi del mare, Cercare sotto la sabbia l’acqua E non il tuo cappello. Cercavo e riconoscevo L’amore, il cuscino. Pezzi di odori, Briciole di ieri Piluccato nel contorno. Vedo volti per la prima volta E rincorro l’idea che tanto, Comunque, Spariranno anche loro Nella mia sabbia.
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I curatori Laura Onofri è nata a Roma. Da sempre amante della lettura, ha al suo attivo quattro romanzi ‐ di cui uno edito, Latte di serpe ‐ cinque racconti e una raccolta di prose liriche. E’ story editor de L’emergente sgomita. Matteo Pegoraro ha diciannove anni ed è fondatore e Direttore Editoriale de L’emergente sgomita. E’ Guida Scrittori Emergenti per il portale di SuperEva; collabora con svariati portali Internet. Al suo attivo ha un romanzo pubblicato, L’urlo del destino.
Una produzione www.emergentesgomita.com