viamare - speciale personaggi

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® Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea · speciale PERSONAGGI · 1,00 € DA TEULADA A PECHINO MICHELE MELONI LIBERTÀ DEI MARI DOMENICO AZUNI IL FILO DELLA MEMORIA CHIARA VIGO NAVIGAZIONI E BELLE DONNE ISABELLA E STEFANO CARDU

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Numero speciale di ViaMare dedicato ai personaggi legati al mare.

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Page 1: ViaMare - Speciale personaggi

2121

michele melonida Teulada a Pechino

di Carlo Figari

UN INTREPIDO MARINAIO SARDONELLA CITTA’ PROIBITA

Chi si ricorda del fi lm 55 giorni a Pechino? Un kolossal americano del 1963 fi rmato dal grande Nicholas Ray con un cast di attori famosi quali Ava Gardner, Charllton Heston e David Niven. Le spettacolari immagini dei marines Usa che entrano nella “città proibita”

di Pechino e liberano le delegazioni occidentali dall’assedio dei “boxers” sono entrate nella storia del cinema. Grazie a quel fi lm, che di frequente viene trasmesso in tv, è diventata familiare una pagina di storia altrimenti sconosciuta. La rivolta dei boxers è soltanto un piccolo episodio del-l’inizio del secolo, ma molto signifi cativo perché per la prima e ultima volta vide fi anco a fi anco i soldati di undici potenze mondiali contro un unico nemico: i contadini cinesi sobillati dall’impe-ratrice Tsu Hsi. Ebbene, dietro i marines americani, i fanti inglesi, tedeschi, francesi e giapponesi che sfi lavano con le rispettive bandiere nel piazzale della “città proibita”, c’era anche un plotone di marinai italiani. Tra questi un sardo: Michele Maria Meloni di Teulada. Nel fi lm, ovviamente, non com-pare. Ma Michele Meloni fu eroe in carne e ossa e non di celluloide: si battè coraggiosamente per difendere le legazioni occidentali dalla furia dei boxers.A Teulada un cippo ricorda un concittadino plurimedagliato e valoroso. Il monumento è opera del greco Nikefors Kouvaras che lo ha realizzato durante il concorso di scultura che il Comune orga-nizza ogni estate. Nel paese natale c’è una strada a lui intitolata e resta anche la casa paterna in via San Francesco (all’epoca si chiamava via Castello). Ma chi era Michele Maria Meloni e come si trovò in mezzo alla rivolta dei boxers?Come in tutte le storie d’avventura cominciamo dall’inizio, raccogliendo le notizie dalla pubbli-cazione realizzata da un giovane artigiano del paese, Giancarlo Genugu, appassionato cultore di memorie teuladine. Alla fi ne del secolo scorso quel lembo estremo del sud-ovest di Sardegna era davvero un luogo lontano, raggiungibile più dal mare che da terra. Era un paese ad economia agro-pastorale, ma grazie alla sua posizione, era anche un importante crocevia per i traffi ci mer-cantili nel Mediterraneo occidentale. Michele nasce nel 1880, primo di cinque fi gli, da Francesco e Giovanna Pisano. La madre muo-

5353

Isabella, la contessavenuta dal maredi Maria Irma Mariotti

Vinta anche lei dalle suggestioni del Grand Tour che richiamano in Italia manipoli di intellettuali da tutta Europa, chi è l’avvenente si-

gnora che nel maggio del 1796, “carponi e con la torcia in mano”, come ella stessa si descrive per lettera a uno dei tanti amici, visita a Roma gli scavi archeologici di quel-la che molto più tardi si scoprirà essere la Domus Aurea di Nerone ? Dopo l’appagante tappa fi orentina che, grazie alla complessa rete di conoscenze, l’ha vista ricevuta dal Granduca di Toscana, Ferdinando III di Lorena, la dama ora dovrebbe proseguire per Napoli, dove è previsto anche il rice-vimento alla corte del re, Ferdinando I di Borbone, Ercolano e Pompei. Invece il suo viaggio deve interrompersi. Dal Nord arriva-no notizie allarmanti: l’armata francese di

Storie vere mediterranee:una mirabilante traversatatra salotti culturali e tradimenti

Palazzo Albrizzi a Venezia in un dipinto di Antonietta BrandeisIsabella Teotochi Albrizzi ritratta da Elisabeth Vigèe-Lebrun

di Antonello Angioni

IL FILOdella memoria

LE RISORSE DEL MARE: IL BISSO

14

La prima cosa che di Chiara Vigo ti colpisce sono gli occhi: marcatamente mediterranei e intensi, esprimono una cari-ca magnetica rara che solo le persone in grado di tramanda-re antichi segreti possiedono. E poi le mani, agili e sapienti,

che concentrano il grande patrimonio gestuale di cui è portatrice. Chiara tramanda la tradizione della lavorazione del bisso: una secrezione fi lamentosa prodotta da alcuni grandi molluschi bivalvi ed in particolare dalla pinna nobilis (in sardo gnàccara). Il bisso della pinna nobilis si presta ad essere tessuto e lavorato in vario modo per ottenere una stoffa assai morbida, di aspetto sericeo e di colore bruno dorato detta anche “seta di mare”. La tradizione è assai antica ove si consideri che nel libro della Genesi si narra che il faraone, nell’attribuire a Giuseppe la carica di viceré d’Egitto, gli diede il suo sigillo e lo fece vestire di fi nimenti di bisso, prerogativa questa che - nell’antico Egitto - era riservata ai re e ai principi. Una tradizione della quale presto si impadronirono fenici e caldei.Quella della tessitura del bisso è un’arte che, nella complessità del nostro universo materiale, schiacciato sempre più verso la globali-tà, segna il permanere di una nicchia che testimonia del passato di un popolo e della sua storia. Chiara è nata a Calasetta (toponimo che, secondo taluni, deriverebbe da “Cala di Seta” proprio in rife-

UNA VITA PER LA LIBERTA’ DEI MARI

I GRANDI DI SARDEGNA: Domenico Alberto Azuni

di Antonello Angioni

P er garantirgli un posto nei libri di storia patria baste-rebbe ricordare che è stato il precursore del moder-

no diritto internazionale marittimo. Eppure Domenico Alberto Azuni, an-cora oggi, è personaggio ai più qua-si sconosciuto. Vale pertanto la pena di tracciarne una breve biografi a per non perdere la memoria di un grande sardo verso il quale tutta la nazione italiana, e non solo, ancora oggi è de-bitrice di riconoscenza.

Azuni era nato a Sassari il 3 agosto del 1749 da Giovanni Antonio e Speranza Tedde. Dopo aver frequentato le scuo-le degli scolopi, nel 1772, si laureò presso l’Ateneo turritano in fi losofi a e

leggi. Tentò senza successo il concor-so per la cattedra di Digesto. Quindi effettuò due anni di pratica forense e, dal 1774 al 1780, si trasferì a Torino ove fu ospitato nel Collegio delle pro-vince, istituito da Vittorio Amedeo II per gli studenti meno abbienti.

La permanenza a Torino segnò un cu-rioso mutamento del cognome che, da Asuny o Asuni (risultante dalle certifi -cazioni accademiche), divenne Azuni: all’origine della modifi ca probabil-mente vi fu un errore di trascrizione da parte di qualche scrivano piemon-tese. Fatto sta che l’interessato nulla fece per correggere lo sbaglio. A Torino Azuni esercitò dapprima l’attività di avvocato e poi - dopo aver lavorato

come applicato nell’Uffi cio generale delle regie fi nanze - nel 1777 venne nominato vice Intendente generale della Contea di Nizza. In quegli anni iniziò ad approfondire gli studi di di-ritto marittimo. Nel 1782 ricopri l’incarico di giudi-ce del “Consolato del commercio del mare” di Nizza ed ebbe subito modo di dimostrare la propria competenza ini-ziando, nel 1786, la pubblicazione del Dizionario universale ragionato della giurisprudenza mercantile (opera in quattro volumi di cui curò gli aggior-namenti sino al 1822, allorché diede alle stampe la seconda edizione). Il Dizionario era il risultato di una ricer-ca approfondita e sistematica di leg-gi e consuetudini di diritto marittimo vigenti nelle principali città europee e si imponeva per le concezioni innova-tive. Inoltre l’Azuni teneva conto della più autorevole giurisprudenza in tema di cambio, traffi ci ed attività marina-re. I riconoscimenti non si fecero at-tendere.

Nel 1789 Vittorio Amedeo III gli con-ferì il titolo e i privilegi di senatore. Successivamente Azuni effettuò una serie di viaggi di studio in diverse città italiane entrando in contratto con eminenti studiosi delle discipli-ne da lui trattate. Dopo il ritorno in Piemonte, nel 1791, il re lo incaricò della compilazione del Codice per la Marina mercantile degli Stati Sardi. L’anno successivo, quando si prepa-rava a dare alle stampe il “codice”, mutato il governo a seguito della ri-voluzione francese, fu costretto ad abbandonare Nizza per rifugiarsi a Torino. Nel giro di breve tempo la for-tuna gli volse le spalle e cominciaro-no le avversità: tra l’altro alla moglie Marianna Maddalena Laure, fi glia di un noto controrivoluzionario francese, erano stati confi scati tutti i beni.

Nel 1794 Azuni soggiornò a Firenze. Peraltro, poiché desiderava tornare nella sua terra, richiese al governo piemontese un impiego nell’Isola. A Torino tuttavia fecero presente che la questione doveva essere trattata dagli Stamenti i quali rifi utarono l’attribu-zione di qualsiasi incarico col prete-sto del mancato esercizio, da parte del richiedente, di attività nell’Isola. A Firenze Azuni scrisse il libro sul Sistema universale dei principj del diritto marittimo dell’Europa: l’ope-

1919

®

Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

· speciale PERSONAGGI · 1,00 €

DA TEULADA A PECHINOMICHELE MELONI

LIBERTÀ DEI MARIDOMENICO AZUNI

IL FILO DELLA MEMORIACHIARA VIGO

NAVIGAZIONI E BELLE DONNEISABELLA E STEFANO CARDU

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michele melonida Teulada a Pechino

di Carlo Figari

UN INTREPIDO MARINAIO SARDONELLA CITTA’ PROIBITA

Chi si ricorda del fi lm 55 giorni a Pechino? Un kolossal americano del 1963 fi rmato dal grande Nicholas Ray con un cast di attori famosi quali Ava Gardner, Charllton Heston e David Niven. Le spettacolari immagini dei marines Usa che entrano nella “città proibita”

di Pechino e liberano le delegazioni occidentali dall’assedio dei “boxers” sono entrate nella storia del cinema. Grazie a quel fi lm, che di frequente viene trasmesso in tv, è diventata familiare una pagina di storia altrimenti sconosciuta. La rivolta dei boxers è soltanto un piccolo episodio del-l’inizio del secolo, ma molto signifi cativo perché per la prima e ultima volta vide fi anco a fi anco i soldati di undici potenze mondiali contro un unico nemico: i contadini cinesi sobillati dall’impe-ratrice Tsu Hsi. Ebbene, dietro i marines americani, i fanti inglesi, tedeschi, francesi e giapponesi che sfi lavano con le rispettive bandiere nel piazzale della “città proibita”, c’era anche un plotone di marinai italiani. Tra questi un sardo: Michele Maria Meloni di Teulada. Nel fi lm, ovviamente, non com-pare. Ma Michele Meloni fu eroe in carne e ossa e non di celluloide: si battè coraggiosamente per difendere le legazioni occidentali dalla furia dei boxers.A Teulada un cippo ricorda un concittadino plurimedagliato e valoroso. Il monumento è opera del greco Nikefors Kouvaras che lo ha realizzato durante il concorso di scultura che il Comune orga-nizza ogni estate. Nel paese natale c’è una strada a lui intitolata e resta anche la casa paterna in via San Francesco (all’epoca si chiamava via Castello). Ma chi era Michele Maria Meloni e come si trovò in mezzo alla rivolta dei boxers?Come in tutte le storie d’avventura cominciamo dall’inizio, raccogliendo le notizie dalla pubbli-cazione realizzata da un giovane artigiano del paese, Giancarlo Genugu, appassionato cultore di memorie teuladine. Alla fi ne del secolo scorso quel lembo estremo del sud-ovest di Sardegna era davvero un luogo lontano, raggiungibile più dal mare che da terra. Era un paese ad economia agro-pastorale, ma grazie alla sua posizione, era anche un importante crocevia per i traffi ci mer-cantili nel Mediterraneo occidentale. Michele nasce nel 1880, primo di cinque fi gli, da Francesco e Giovanna Pisano. La madre muo-

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Isabella, la contessavenuta dal maredi Maria Irma Mariotti

Vinta anche lei dalle suggestioni del Grand Tour che richiamano in Italia manipoli di intellettuali da tutta Europa, chi è l’avvenente si-

gnora che nel maggio del 1796, “carponi e con la torcia in mano”, come ella stessa si descrive per lettera a uno dei tanti amici, visita a Roma gli scavi archeologici di quel-la che molto più tardi si scoprirà essere la Domus Aurea di Nerone ? Dopo l’appagante tappa fi orentina che, grazie alla complessa rete di conoscenze, l’ha vista ricevuta dal Granduca di Toscana, Ferdinando III di Lorena, la dama ora dovrebbe proseguire per Napoli, dove è previsto anche il rice-vimento alla corte del re, Ferdinando I di Borbone, Ercolano e Pompei. Invece il suo viaggio deve interrompersi. Dal Nord arriva-no notizie allarmanti: l’armata francese di

Storie vere mediterranee:una mirabilante traversatatra salotti culturali e tradimenti

Palazzo Albrizzi a Venezia in un dipinto di Antonietta BrandeisIsabella Teotochi Albrizzi ritratta da Elisabeth Vigèe-Lebrun

di Antonello Angioni

IL FILOdella memoria

LE RISORSE DEL MARE: IL BISSO

14

La prima cosa che di Chiara Vigo ti colpisce sono gli occhi: marcatamente mediterranei e intensi, esprimono una cari-ca magnetica rara che solo le persone in grado di tramanda-re antichi segreti possiedono. E poi le mani, agili e sapienti,

che concentrano il grande patrimonio gestuale di cui è portatrice. Chiara tramanda la tradizione della lavorazione del bisso: una secrezione fi lamentosa prodotta da alcuni grandi molluschi bivalvi ed in particolare dalla pinna nobilis (in sardo gnàccara). Il bisso della pinna nobilis si presta ad essere tessuto e lavorato in vario modo per ottenere una stoffa assai morbida, di aspetto sericeo e di colore bruno dorato detta anche “seta di mare”. La tradizione è assai antica ove si consideri che nel libro della Genesi si narra che il faraone, nell’attribuire a Giuseppe la carica di viceré d’Egitto, gli diede il suo sigillo e lo fece vestire di fi nimenti di bisso, prerogativa questa che - nell’antico Egitto - era riservata ai re e ai principi. Una tradizione della quale presto si impadronirono fenici e caldei.Quella della tessitura del bisso è un’arte che, nella complessità del nostro universo materiale, schiacciato sempre più verso la globali-tà, segna il permanere di una nicchia che testimonia del passato di un popolo e della sua storia. Chiara è nata a Calasetta (toponimo che, secondo taluni, deriverebbe da “Cala di Seta” proprio in rife-

UNA VITA PER LA LIBERTA’ DEI MARI

I GRANDI DI SARDEGNA: Domenico Alberto Azuni

di Antonello Angioni

P er garantirgli un posto nei libri di storia patria baste-rebbe ricordare che è stato il precursore del moder-

no diritto internazionale marittimo. Eppure Domenico Alberto Azuni, an-cora oggi, è personaggio ai più qua-si sconosciuto. Vale pertanto la pena di tracciarne una breve biografi a per non perdere la memoria di un grande sardo verso il quale tutta la nazione italiana, e non solo, ancora oggi è de-bitrice di riconoscenza.

Azuni era nato a Sassari il 3 agosto del 1749 da Giovanni Antonio e Speranza Tedde. Dopo aver frequentato le scuo-le degli scolopi, nel 1772, si laureò presso l’Ateneo turritano in fi losofi a e

leggi. Tentò senza successo il concor-so per la cattedra di Digesto. Quindi effettuò due anni di pratica forense e, dal 1774 al 1780, si trasferì a Torino ove fu ospitato nel Collegio delle pro-vince, istituito da Vittorio Amedeo II per gli studenti meno abbienti.

La permanenza a Torino segnò un cu-rioso mutamento del cognome che, da Asuny o Asuni (risultante dalle certifi -cazioni accademiche), divenne Azuni: all’origine della modifi ca probabil-mente vi fu un errore di trascrizione da parte di qualche scrivano piemon-tese. Fatto sta che l’interessato nulla fece per correggere lo sbaglio. A Torino Azuni esercitò dapprima l’attività di avvocato e poi - dopo aver lavorato

come applicato nell’Uffi cio generale delle regie fi nanze - nel 1777 venne nominato vice Intendente generale della Contea di Nizza. In quegli anni iniziò ad approfondire gli studi di di-ritto marittimo. Nel 1782 ricopri l’incarico di giudi-ce del “Consolato del commercio del mare” di Nizza ed ebbe subito modo di dimostrare la propria competenza ini-ziando, nel 1786, la pubblicazione del Dizionario universale ragionato della giurisprudenza mercantile (opera in quattro volumi di cui curò gli aggior-namenti sino al 1822, allorché diede alle stampe la seconda edizione). Il Dizionario era il risultato di una ricer-ca approfondita e sistematica di leg-gi e consuetudini di diritto marittimo vigenti nelle principali città europee e si imponeva per le concezioni innova-tive. Inoltre l’Azuni teneva conto della più autorevole giurisprudenza in tema di cambio, traffi ci ed attività marina-re. I riconoscimenti non si fecero at-tendere.

Nel 1789 Vittorio Amedeo III gli con-ferì il titolo e i privilegi di senatore. Successivamente Azuni effettuò una serie di viaggi di studio in diverse città italiane entrando in contratto con eminenti studiosi delle discipli-ne da lui trattate. Dopo il ritorno in Piemonte, nel 1791, il re lo incaricò della compilazione del Codice per la Marina mercantile degli Stati Sardi. L’anno successivo, quando si prepa-rava a dare alle stampe il “codice”, mutato il governo a seguito della ri-voluzione francese, fu costretto ad abbandonare Nizza per rifugiarsi a Torino. Nel giro di breve tempo la for-tuna gli volse le spalle e cominciaro-no le avversità: tra l’altro alla moglie Marianna Maddalena Laure, fi glia di un noto controrivoluzionario francese, erano stati confi scati tutti i beni.

Nel 1794 Azuni soggiornò a Firenze. Peraltro, poiché desiderava tornare nella sua terra, richiese al governo piemontese un impiego nell’Isola. A Torino tuttavia fecero presente che la questione doveva essere trattata dagli Stamenti i quali rifi utarono l’attribu-zione di qualsiasi incarico col prete-sto del mancato esercizio, da parte del richiedente, di attività nell’Isola. A Firenze Azuni scrisse il libro sul Sistema universale dei principj del diritto marittimo dell’Europa: l’ope-

1919

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Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

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DA TEULADA A PECHINOMICHELE MELONI

LIBERTÀ DEI MARIDOMENICO AZUNI

IL FILO DELLA MEMORIACHIARA VIGO

NAVIGAZIONI E BELLE DONNEISABELLA E STEFANO CARDU

PREMIO EUROPA PER L’EDITORIAPremio Editore dell’Anno per l’impegno

sociale e la valorizzazione della cultura sarda

2012

ANNO VII, NUMERO 32

REDAZIONE E CENTRO DI PRODUZIONEvia Sardegna, 132 - 09124 Cagliari (Italy)Tel. 070 728356 - [email protected] - facebook.com/giacomunicazioneSTAMPA E ALLESTIMENTOGrafiche GhianiDISTRIBUZIONEAgenzia Fantini

Registrazione Tribunale di Cagliari n. 18/05 del 14 giugno 2005 / Marchio depositato numero CA2005C000191

Vietata la riproduzione, anche parziale, di foto, testi e solu-zioni creative presenti nella rivista.

DIRETTORE RESPONSABILEGiorgio AriuIN REDAZIONESimone Ariu, Maurizio Artizzu, Lorelyse Pinna, Antonella SolinasREDAZIONE GRAFICA E IMPAGINAZIONEUfficio Grafico GIASCRITTIAntonello Angioni, Giorgio Ariu, Carlo Figari,Maria Irma Mariotti, Luca ParodiFOTOArchivio GIA, Francesco CabrasCONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀGIA ComunicazioneTel. 070 728214 - [email protected]

Giornale di bordo

Giorgio Ariu,direttore di ViaMare

ViaMare 3

Diritto Marittimo, sconfinamenti, piraterie: su questi temi il nostro Giornale ha dedicato pa-gine e pagine. Lo stesso Antonello Angioni, rigoroso storico delle vicende sarde e appassiona-to studioso dei Grandi di Sardegna, ci ha deliziato con la storia, e le storie, del padre della Giurisprudenza Mercantile. Fu proprio il sassarese Domenico Alberto Azuni, infatti, il pre-cursore del Diritto Internazionale Marittimo. A lui si devono la pubblicazione del Dizionario Universale Ragionato della Giurisprudenza Mercantile, il Codice per la Marina Mercantile degli Stati Sardi e quell’illuminata opera che assegnava, in chiave di stupefacente lungimiranza, la centralità strategica della Sardegna nel Mediterraneo.In questo numero torniamo a raccontare l’avvincente storia di colui che spese una vita per la libertà dei mari, con il nostro pensiero rivolto ai marò italiani ancora imprigionati in India, vittime di una intricatissima vicenda tra pirati (ancora!) e limiti delle acque territoriali.

Azuni, Diritto, pirati e marò

Davvero avvincente la storia che Carlo Figari ci regala in questo numero che riguarda un va-loroso marinaio di Teulada: Michele Maria Meloni, l’irriducibile eroe della rivolta dei boxeur in Cina. Il grande cinema dei mitici Charlton Heston, Ava Gardner e David Niven ha fissato i “55 giorni a Pechino” e ha reso immortali le gesta dei nostri marinai. Per il più coraggioso tra tutti, Michele Meloni, una scultura lignea nella sua Teulada.

Un intrepido marinaio nella città proibita

Storie di donne, salotti e tradimenti: dalla contessa venuta dal mare alle imprese, anche di letto, di un intrepido navigatore cagliaritano che amava anche i palazzi reali e quelle donne così generose che lo ripagavano per tanta intraprendenza. Storia di Stefano Cardu, da mozzo a uomo di fiducia di regnanti e non solo...

Cardu, tra palazzi reali e belle donne

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UNA VITA PER LA LIBERTA’ DEI MARI

I GRANDI DI SARDEGNA: Domenico Alberto Azuni

di Antonello Angioni

P er garantirgli un posto nei libri di storia patria baste-rebbe ricordare che è stato il precursore del moder-

no diritto internazionale marittimo. Eppure Domenico Alberto Azuni, an-cora oggi, è personaggio ai più qua-si sconosciuto. Vale pertanto la pena di tracciarne una breve biografi a per non perdere la memoria di un grande sardo verso il quale tutta la nazione italiana, e non solo, ancora oggi è de-bitrice di riconoscenza.

Azuni era nato a Sassari il 3 agosto del 1749 da Giovanni Antonio e Speranza Tedde. Dopo aver frequentato le scuo-le degli scolopi, nel 1772, si laureò presso l’Ateneo turritano in fi losofi a e

leggi. Tentò senza successo il concor-so per la cattedra di Digesto. Quindi effettuò due anni di pratica forense e, dal 1774 al 1780, si trasferì a Torino ove fu ospitato nel Collegio delle pro-vince, istituito da Vittorio Amedeo II per gli studenti meno abbienti.

La permanenza a Torino segnò un cu-rioso mutamento del cognome che, da Asuny o Asuni (risultante dalle certifi -cazioni accademiche), divenne Azuni: all’origine della modifi ca probabil-mente vi fu un errore di trascrizione da parte di qualche scrivano piemon-tese. Fatto sta che l’interessato nulla fece per correggere lo sbaglio. A Torino Azuni esercitò dapprima l’attività di avvocato e poi - dopo aver lavorato

come applicato nell’Uffi cio generale delle regie fi nanze - nel 1777 venne nominato vice Intendente generale della Contea di Nizza. In quegli anni iniziò ad approfondire gli studi di di-ritto marittimo. Nel 1782 ricopri l’incarico di giudi-ce del “Consolato del commercio del mare” di Nizza ed ebbe subito modo di dimostrare la propria competenza ini-ziando, nel 1786, la pubblicazione del Dizionario universale ragionato della giurisprudenza mercantile (opera in quattro volumi di cui curò gli aggior-namenti sino al 1822, allorché diede alle stampe la seconda edizione). Il Dizionario era il risultato di una ricer-ca approfondita e sistematica di leg-gi e consuetudini di diritto marittimo vigenti nelle principali città europee e si imponeva per le concezioni innova-tive. Inoltre l’Azuni teneva conto della più autorevole giurisprudenza in tema di cambio, traffi ci ed attività marina-re. I riconoscimenti non si fecero at-tendere.

Nel 1789 Vittorio Amedeo III gli con-ferì il titolo e i privilegi di senatore. Successivamente Azuni effettuò una serie di viaggi di studio in diverse città italiane entrando in contratto con eminenti studiosi delle discipli-ne da lui trattate. Dopo il ritorno in Piemonte, nel 1791, il re lo incaricò della compilazione del Codice per la Marina mercantile degli Stati Sardi. L’anno successivo, quando si prepa-rava a dare alle stampe il “codice”, mutato il governo a seguito della ri-voluzione francese, fu costretto ad abbandonare Nizza per rifugiarsi a Torino. Nel giro di breve tempo la for-tuna gli volse le spalle e cominciaro-no le avversità: tra l’altro alla moglie Marianna Maddalena Laure, fi glia di un noto controrivoluzionario francese, erano stati confi scati tutti i beni.

Nel 1794 Azuni soggiornò a Firenze. Peraltro, poiché desiderava tornare nella sua terra, richiese al governo piemontese un impiego nell’Isola. A Torino tuttavia fecero presente che la questione doveva essere trattata dagli Stamenti i quali rifi utarono l’attribu-zione di qualsiasi incarico col prete-sto del mancato esercizio, da parte del richiedente, di attività nell’Isola. A Firenze Azuni scrisse il libro sul Sistema universale dei principj del diritto marittimo dell’Europa: l’ope-

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UNA VITA PER LA LIBERTA’ DEI MARI

I GRANDI DI SARDEGNA: Domenico Alberto Azuni

di Antonello Angioni

P er garantirgli un posto nei libri di storia patria baste-rebbe ricordare che è stato il precursore del moder-

no diritto internazionale marittimo. Eppure Domenico Alberto Azuni, an-cora oggi, è personaggio ai più qua-si sconosciuto. Vale pertanto la pena di tracciarne una breve biografi a per non perdere la memoria di un grande sardo verso il quale tutta la nazione italiana, e non solo, ancora oggi è de-bitrice di riconoscenza.

Azuni era nato a Sassari il 3 agosto del 1749 da Giovanni Antonio e Speranza Tedde. Dopo aver frequentato le scuo-le degli scolopi, nel 1772, si laureò presso l’Ateneo turritano in fi losofi a e

leggi. Tentò senza successo il concor-so per la cattedra di Digesto. Quindi effettuò due anni di pratica forense e, dal 1774 al 1780, si trasferì a Torino ove fu ospitato nel Collegio delle pro-vince, istituito da Vittorio Amedeo II per gli studenti meno abbienti.

La permanenza a Torino segnò un cu-rioso mutamento del cognome che, da Asuny o Asuni (risultante dalle certifi -cazioni accademiche), divenne Azuni: all’origine della modifi ca probabil-mente vi fu un errore di trascrizione da parte di qualche scrivano piemon-tese. Fatto sta che l’interessato nulla fece per correggere lo sbaglio. A Torino Azuni esercitò dapprima l’attività di avvocato e poi - dopo aver lavorato

come applicato nell’Uffi cio generale delle regie fi nanze - nel 1777 venne nominato vice Intendente generale della Contea di Nizza. In quegli anni iniziò ad approfondire gli studi di di-ritto marittimo. Nel 1782 ricopri l’incarico di giudi-ce del “Consolato del commercio del mare” di Nizza ed ebbe subito modo di dimostrare la propria competenza ini-ziando, nel 1786, la pubblicazione del Dizionario universale ragionato della giurisprudenza mercantile (opera in quattro volumi di cui curò gli aggior-namenti sino al 1822, allorché diede alle stampe la seconda edizione). Il Dizionario era il risultato di una ricer-ca approfondita e sistematica di leg-gi e consuetudini di diritto marittimo vigenti nelle principali città europee e si imponeva per le concezioni innova-tive. Inoltre l’Azuni teneva conto della più autorevole giurisprudenza in tema di cambio, traffi ci ed attività marina-re. I riconoscimenti non si fecero at-tendere.

Nel 1789 Vittorio Amedeo III gli con-ferì il titolo e i privilegi di senatore. Successivamente Azuni effettuò una serie di viaggi di studio in diverse città italiane entrando in contratto con eminenti studiosi delle discipli-ne da lui trattate. Dopo il ritorno in Piemonte, nel 1791, il re lo incaricò della compilazione del Codice per la Marina mercantile degli Stati Sardi. L’anno successivo, quando si prepa-rava a dare alle stampe il “codice”, mutato il governo a seguito della ri-voluzione francese, fu costretto ad abbandonare Nizza per rifugiarsi a Torino. Nel giro di breve tempo la for-tuna gli volse le spalle e cominciaro-no le avversità: tra l’altro alla moglie Marianna Maddalena Laure, fi glia di un noto controrivoluzionario francese, erano stati confi scati tutti i beni.

Nel 1794 Azuni soggiornò a Firenze. Peraltro, poiché desiderava tornare nella sua terra, richiese al governo piemontese un impiego nell’Isola. A Torino tuttavia fecero presente che la questione doveva essere trattata dagli Stamenti i quali rifi utarono l’attribu-zione di qualsiasi incarico col prete-sto del mancato esercizio, da parte del richiedente, di attività nell’Isola. A Firenze Azuni scrisse il libro sul Sistema universale dei principj del diritto marittimo dell’Europa: l’ope-

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ra - pubblicata tra il 1795 e il 1796 nella stessa città (grazie ad un fi nan-ziamento ottenuto tramite il marchese Manfredini, ministro nel Granducato di Toscana) - venne subito ristampa-ta a Firenze e poi a Trieste. Vi furo-no anche tre edizioni francesi (1797, 1801 e 1805) e - fatto assolutamente eccezionale per quei tempi - l’opera venne tradotta in inglese e pubblicata nel 1809 a Filadelfi a, circostanza che rese l’Azuni celebre in tutto il mondo. Quella città tra l’altro dedicò al grande sardo un monumento in marmo.

Sempre nel 1794 Azuni illustrò, di-nanzi alla Reale Accademia delle Scienze di Firenze, la sua approfon-dita Dissertazione sull’origine della bussola nautica. Attraverso tale lavo-ro cercava di attribuire ai francesi il merito dell’invenzione della bussola essendosi Flavio Gioia limitato a per-ferzionare l’ago magnetico.

Il Sistema universale dei principj del diritto marittimo dell’Europa si artico-la in due parti. La prima, dopo una ricostruzione storica della proble-matica, è incentrata sull’esigenza di adottare più precise norme per il com-mercio marittimo e sull’opportunità di fi ssare parametri certi per stabi-lire i limiti delle acque territoriali. La seconda parte invece entra nel merito del diritto marittimo in Europa nei pe-riodi di guerra evidenziando anche i diritti e i doveri dei Paesi neutrali.

Infi ne, dopo aver ribadito l’esigenza di assicurare la più ampia libertà al com-mercio marittimo, per quanto concer-ne la risoluzione delle controversie, l’Azuni sostenne la necessità di ab-bandonare il ricorso alle consuetudini locali per l’adozione di norme - da ap-plicarsi universalmente - ispirate alle teorie giusnaturalistiche. In prospetti-va sostenne la necessità di ricostituire in chiave moderna l’antico “Consolato del mare”, un organismo molto attivo ed autorevole nel Mediterraneo duran-te il basso Medioevo. In tale occasione volle rivendicare le origini pisane del-l’istituto evidenziando come precise norme di diritto marittimo, riguar-danti la composizione delle controver-sie, fossero presenti nella legislazione della città toscana ben prima della conquista catalano-aragonese. Dopo di che il Comune di Pisa gli conferì la cittadinanza onoraria.

Nel 1797 Azuni è a Trieste ove eserci-ta per un breve periodo l’avvocatura e pubblica il quinto volume dell’ope-ra Il Mentore perfetto dei negozianti, ovvero guida sicura dei medesimi ed instruzione per rendere più agevo-li o meno incerte le loro speculazio-ni. I suoi lavori, citati nella “Tribuna Nazionale di Francia”, vennero presi come riferimento da parte dei legisla-tori francesi.

Successivamente l’Azuni si recò a Parigi ove visse alcuni anni racco-gliendo documenti per la compilazio-ne dell’Essai sur l’histoire géographi-que, politique et naturelle du royaume de Sardaigne, pubblicato nel 1798. Il saggio venne seguito, dopo quattro anni, da un’edizione corretta e assai più ampia: l’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne. L’opera - che metteva in evidenza, in un’ottica straordinariamente moder-na, la centralità strategica dell’Isola nel Mediterraneo e ne analizzava le problematiche economiche e sociali - ebbe il merito di aprire la Sardegna alla cultura europea. Invero sino allora la Sardegna era conosciuta in Europa poco e male attraverso il lavoro del-l’abate Jean de Vayrac, Description

géographique ed historique de l’île de Sardaigne, risalente al 1718, ed un’altra opera di autore anonimo (La Sardaigne paranynhe de la paix) pub-blicata nel 1725. Occorre considera-re che le opere del Gemelli e del Cetti non avevano avuto ancora diffusione nei Paesi d’Oltralpe.

Frattanto nel 1801 Azuni era stato designato, dal governo di Napoleone Buonaparte, membro della specia-le Commissione di giuristi incaricata della redazione del Codice marittimo e commerciale della nuova Francia che vedrà la luce del 1807. Sempre nel 1801 gli venne conferita la cittadinan-za francese. A Parigi si incontra con gli esuli sardi fra cui Giovanni Maria Angioy - che era stato suo collega di studi presso l’Università di Sassari - Matteo Luigi Simon, Giuseppe Nieddu e Michele Obino.

Scrisse anche sul commercio dei po-poli neutrali in tempo di guerra e sul dovere dei governi di combattere la pirateria. Le concezioni e i principi elaborati da Domenico Alberto Azuni per quanto concerne la lotta contro la pirateria barbaresca (all’epoca ancora molto attiva), la regolamentazione del-

la c.d. guerra di corsa e la libertà di navigazione dei non belligeranti sono trasfusi in nome di diritto internazio-nale tuttora vigenti.

Nel 1805 Azuni fu chiamato a Genova, prima come giudice e poi come presi-dente della Corte d’Appello. Nello stes-so anno pubblicò a Parigi il Droit ma-ritime de l’Europe - opera di rilevanza mondiale - e, nel 1810, l’Origine et progrès de la législation maritime, un compendio di storia della legislazione marinara. Sempre nel 1810 Napoleone Buonaparte gli concesse la decorazio-ne dell’Ordine della Riunione e lo no-minò cavaliere dell’Impero. Il mutare del corso politico, peraltro, fece di nuovo cadere l’Azuni in disgrazia.

A seguito della sconfi tta di Napoleone, nel 1814, venne esonerato da ogni in-carico e dovette vivere nella sua casa di Genova in una condizione di umi-liante indigenza, costretto a vendere persino i libri della propria biblioteca per andare avanti. Nonostante ciò nel 1816, a Genova, pubblicò un volume sulla pirateria dedicato alle potenze marittime affi nchè intervenissero per estirparla onde ristabilire la libertà del commercio nei mari.

All’epoca era assai viva l’esigenza di liberare numerosi cristiani - molti dei quali sardi - fatti schiavi dai barbare-schi. Su tale problematica, nel 1817, compilò un’altra opera (il Système universel des armemens en course ed des corsaires en tems de guerre) dedicata al marchese Giacomo Pes di Villamarina, vicerè di Sardegna: ciò anche all’evidente scopo di accelerare il suo ritorno nell’Isola. La lunga at-tesa venne fi nalmente premiata: il 1 agosto 1818 il re Vittorio Emanuele I lo nominò giudice del Regio Consolato di Cagliari evidenziando la sua rettitu-dine e l’imparzialità nel giudicare.

Era sicuramente uno dei maggio-ri intellettuali del tempo. Tra il 1777 e il 1819 Azuni divenne socio di ben ventun accademie - italiane ed euro-pee - di carattere scientifi co, letterario ed artistico tra le quali l’Accademia dei georgofi li di Firenze, l’Accademia della legislazione di Parigi, la Regia Accademia delle scienze di Torino, il Liceo delle scienze ed arti di Marsiglia, la Regia Accademia delle scienze di Napoli.

Quando tornò a Cagliari, nel 1819, Azuni entrò a far parte della Reale Società Agraria ed Economica di Cagliari (istituzione che ha precedu-to l’attuale Camera di commercio) di cui divenne vice presidente. Dal 1820 alla pensione (5 maggio 1825) fu pre-sidente della Biblioteca universitaria di Cagliari: ruolo che svolse con gran-de impegno e competenza. Nel 1820 scrisse il libro Della pubblica ammini-strazione sanitaria in tempo di peste e progettò la pubblicazione di un gior-nale scientifi co della Sardegna.

Morì il 24 gennaio 1827 a Cagliari ove fu sepolto nella basilica di Bonaria ai piedi della Vergine, protettrice dei naviganti, come egli desiderava. L’epitaffi o in lingua latina, dettato da Lodovico Baylle, recita: “Qui gia-ce Domenico Alberto Azuni, fi glio di Giovanni Antonio, nato a Sassari il 3 agosto 1749. Fu eccellente in ogni genere di cultura. Trattò la poesia, la letteratura amena e specialmente la storia patria. Scrisse egregiamente del diritto marittimo e commerciale, dei corsari, della cura della sanità pub-blica, tanto che la fama del suo nome si diffuse oltre i confi ni dell’Europa fi no alle più colte genti dell’America. Morì a Cagliari il 24 gennaio 1827. Moltissimi documenti della sua eru-dizione, ancora inediti, lasciò per testamento alla biblioteca della R. Università di Sassari. Maria Carpi, erede, al compianto esimio benefatto-re”. Maria Carpi era la giovane donna che fi no all’ultimo l’aveva assistito con grande affetto e comprensione (“me-glio fi glia che fantesca” come scrisse, con estrema chiarezza, Pietro Martini a sedare sul nascere eventuali frain-tendimenti).

Questa lapide funeraria ha una lun-ga storia. Nel 1849, in occasione del rifacimento della pavimentazione in marmo della basilica, venne rimossa e provvisoriamente accantonata in una stanza per essere collocata nella pare-te prossima al sepolcro. Ma a seguito della legge del 1855, che disponeva l’incameramento dei beni ecclesiasti-ci, andò a fi nire nelle mani di qualche privato. Peraltro, poichè l’iscrizione era stata stampata, potè essere rifatta nel 1857 - a spese dei padri mercedari del convento di Bonaria - e collocata nella Cappella della Pietà sulla pare-

te prossima al sepolcro dell’Azuni. Nel 1870, in occasione della sopraeleva-zione del presbiterio, il sepolcro venne rimosso e i resti mortali dell’Azuni fu-rono sistemati in una cassetta.

Solo il 21 gennaio del 1922, nel corso di una cerimonia solenne, le ossa ven-nero trasferite dalla sacrestia del san-tuario di Bonaria nel dignitoso sepol-cro realizzato sulla sinistra dell’altare maggiore. Nella circostanza Ottone Bacaredda, sindaco di Cagliari, det-tava l’epigrafe che recita “D. A. Azuni - sulle venerate spoglie - nell’ambito saccello composte - la Patria vigila - sul nome del giurista insigne - invitto apostolo - della libertà dei mari - vigila la fama”. Cinque anni dopo, nel cente-nario della morte, l’Azuni fu ricordato dall’Associazione della Stampa Sarda con l’apposizione di una lapide nei lo-cali di rappresentanza del Rettorato dell’Università di Cagliari. Infi ne nel 1960 la lapide funeraria dettata dal Baylle venne incassata nell’atrio, che si sviluppa tra la scala d’accesso alla sacrestia e la balaustra dell’altare maggiore, ove tuttora si trova.

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Page 7: ViaMare - Speciale personaggi

ra - pubblicata tra il 1795 e il 1796 nella stessa città (grazie ad un fi nan-ziamento ottenuto tramite il marchese Manfredini, ministro nel Granducato di Toscana) - venne subito ristampa-ta a Firenze e poi a Trieste. Vi furo-no anche tre edizioni francesi (1797, 1801 e 1805) e - fatto assolutamente eccezionale per quei tempi - l’opera venne tradotta in inglese e pubblicata nel 1809 a Filadelfi a, circostanza che rese l’Azuni celebre in tutto il mondo. Quella città tra l’altro dedicò al grande sardo un monumento in marmo.

Sempre nel 1794 Azuni illustrò, di-nanzi alla Reale Accademia delle Scienze di Firenze, la sua approfon-dita Dissertazione sull’origine della bussola nautica. Attraverso tale lavo-ro cercava di attribuire ai francesi il merito dell’invenzione della bussola essendosi Flavio Gioia limitato a per-ferzionare l’ago magnetico.

Il Sistema universale dei principj del diritto marittimo dell’Europa si artico-la in due parti. La prima, dopo una ricostruzione storica della proble-matica, è incentrata sull’esigenza di adottare più precise norme per il com-mercio marittimo e sull’opportunità di fi ssare parametri certi per stabi-lire i limiti delle acque territoriali. La seconda parte invece entra nel merito del diritto marittimo in Europa nei pe-riodi di guerra evidenziando anche i diritti e i doveri dei Paesi neutrali.

Infi ne, dopo aver ribadito l’esigenza di assicurare la più ampia libertà al com-mercio marittimo, per quanto concer-ne la risoluzione delle controversie, l’Azuni sostenne la necessità di ab-bandonare il ricorso alle consuetudini locali per l’adozione di norme - da ap-plicarsi universalmente - ispirate alle teorie giusnaturalistiche. In prospetti-va sostenne la necessità di ricostituire in chiave moderna l’antico “Consolato del mare”, un organismo molto attivo ed autorevole nel Mediterraneo duran-te il basso Medioevo. In tale occasione volle rivendicare le origini pisane del-l’istituto evidenziando come precise norme di diritto marittimo, riguar-danti la composizione delle controver-sie, fossero presenti nella legislazione della città toscana ben prima della conquista catalano-aragonese. Dopo di che il Comune di Pisa gli conferì la cittadinanza onoraria.

Nel 1797 Azuni è a Trieste ove eserci-ta per un breve periodo l’avvocatura e pubblica il quinto volume dell’ope-ra Il Mentore perfetto dei negozianti, ovvero guida sicura dei medesimi ed instruzione per rendere più agevo-li o meno incerte le loro speculazio-ni. I suoi lavori, citati nella “Tribuna Nazionale di Francia”, vennero presi come riferimento da parte dei legisla-tori francesi.

Successivamente l’Azuni si recò a Parigi ove visse alcuni anni racco-gliendo documenti per la compilazio-ne dell’Essai sur l’histoire géographi-que, politique et naturelle du royaume de Sardaigne, pubblicato nel 1798. Il saggio venne seguito, dopo quattro anni, da un’edizione corretta e assai più ampia: l’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne. L’opera - che metteva in evidenza, in un’ottica straordinariamente moder-na, la centralità strategica dell’Isola nel Mediterraneo e ne analizzava le problematiche economiche e sociali - ebbe il merito di aprire la Sardegna alla cultura europea. Invero sino allora la Sardegna era conosciuta in Europa poco e male attraverso il lavoro del-l’abate Jean de Vayrac, Description

géographique ed historique de l’île de Sardaigne, risalente al 1718, ed un’altra opera di autore anonimo (La Sardaigne paranynhe de la paix) pub-blicata nel 1725. Occorre considera-re che le opere del Gemelli e del Cetti non avevano avuto ancora diffusione nei Paesi d’Oltralpe.

Frattanto nel 1801 Azuni era stato designato, dal governo di Napoleone Buonaparte, membro della specia-le Commissione di giuristi incaricata della redazione del Codice marittimo e commerciale della nuova Francia che vedrà la luce del 1807. Sempre nel 1801 gli venne conferita la cittadinan-za francese. A Parigi si incontra con gli esuli sardi fra cui Giovanni Maria Angioy - che era stato suo collega di studi presso l’Università di Sassari - Matteo Luigi Simon, Giuseppe Nieddu e Michele Obino.

Scrisse anche sul commercio dei po-poli neutrali in tempo di guerra e sul dovere dei governi di combattere la pirateria. Le concezioni e i principi elaborati da Domenico Alberto Azuni per quanto concerne la lotta contro la pirateria barbaresca (all’epoca ancora molto attiva), la regolamentazione del-

la c.d. guerra di corsa e la libertà di navigazione dei non belligeranti sono trasfusi in nome di diritto internazio-nale tuttora vigenti.

Nel 1805 Azuni fu chiamato a Genova, prima come giudice e poi come presi-dente della Corte d’Appello. Nello stes-so anno pubblicò a Parigi il Droit ma-ritime de l’Europe - opera di rilevanza mondiale - e, nel 1810, l’Origine et progrès de la législation maritime, un compendio di storia della legislazione marinara. Sempre nel 1810 Napoleone Buonaparte gli concesse la decorazio-ne dell’Ordine della Riunione e lo no-minò cavaliere dell’Impero. Il mutare del corso politico, peraltro, fece di nuovo cadere l’Azuni in disgrazia.

A seguito della sconfi tta di Napoleone, nel 1814, venne esonerato da ogni in-carico e dovette vivere nella sua casa di Genova in una condizione di umi-liante indigenza, costretto a vendere persino i libri della propria biblioteca per andare avanti. Nonostante ciò nel 1816, a Genova, pubblicò un volume sulla pirateria dedicato alle potenze marittime affi nchè intervenissero per estirparla onde ristabilire la libertà del commercio nei mari.

All’epoca era assai viva l’esigenza di liberare numerosi cristiani - molti dei quali sardi - fatti schiavi dai barbare-schi. Su tale problematica, nel 1817, compilò un’altra opera (il Système universel des armemens en course ed des corsaires en tems de guerre) dedicata al marchese Giacomo Pes di Villamarina, vicerè di Sardegna: ciò anche all’evidente scopo di accelerare il suo ritorno nell’Isola. La lunga at-tesa venne fi nalmente premiata: il 1 agosto 1818 il re Vittorio Emanuele I lo nominò giudice del Regio Consolato di Cagliari evidenziando la sua rettitu-dine e l’imparzialità nel giudicare.

Era sicuramente uno dei maggio-ri intellettuali del tempo. Tra il 1777 e il 1819 Azuni divenne socio di ben ventun accademie - italiane ed euro-pee - di carattere scientifi co, letterario ed artistico tra le quali l’Accademia dei georgofi li di Firenze, l’Accademia della legislazione di Parigi, la Regia Accademia delle scienze di Torino, il Liceo delle scienze ed arti di Marsiglia, la Regia Accademia delle scienze di Napoli.

Quando tornò a Cagliari, nel 1819, Azuni entrò a far parte della Reale Società Agraria ed Economica di Cagliari (istituzione che ha precedu-to l’attuale Camera di commercio) di cui divenne vice presidente. Dal 1820 alla pensione (5 maggio 1825) fu pre-sidente della Biblioteca universitaria di Cagliari: ruolo che svolse con gran-de impegno e competenza. Nel 1820 scrisse il libro Della pubblica ammini-strazione sanitaria in tempo di peste e progettò la pubblicazione di un gior-nale scientifi co della Sardegna.

Morì il 24 gennaio 1827 a Cagliari ove fu sepolto nella basilica di Bonaria ai piedi della Vergine, protettrice dei naviganti, come egli desiderava. L’epitaffi o in lingua latina, dettato da Lodovico Baylle, recita: “Qui gia-ce Domenico Alberto Azuni, fi glio di Giovanni Antonio, nato a Sassari il 3 agosto 1749. Fu eccellente in ogni genere di cultura. Trattò la poesia, la letteratura amena e specialmente la storia patria. Scrisse egregiamente del diritto marittimo e commerciale, dei corsari, della cura della sanità pub-blica, tanto che la fama del suo nome si diffuse oltre i confi ni dell’Europa fi no alle più colte genti dell’America. Morì a Cagliari il 24 gennaio 1827. Moltissimi documenti della sua eru-dizione, ancora inediti, lasciò per testamento alla biblioteca della R. Università di Sassari. Maria Carpi, erede, al compianto esimio benefatto-re”. Maria Carpi era la giovane donna che fi no all’ultimo l’aveva assistito con grande affetto e comprensione (“me-glio fi glia che fantesca” come scrisse, con estrema chiarezza, Pietro Martini a sedare sul nascere eventuali frain-tendimenti).

Questa lapide funeraria ha una lun-ga storia. Nel 1849, in occasione del rifacimento della pavimentazione in marmo della basilica, venne rimossa e provvisoriamente accantonata in una stanza per essere collocata nella pare-te prossima al sepolcro. Ma a seguito della legge del 1855, che disponeva l’incameramento dei beni ecclesiasti-ci, andò a fi nire nelle mani di qualche privato. Peraltro, poichè l’iscrizione era stata stampata, potè essere rifatta nel 1857 - a spese dei padri mercedari del convento di Bonaria - e collocata nella Cappella della Pietà sulla pare-

te prossima al sepolcro dell’Azuni. Nel 1870, in occasione della sopraeleva-zione del presbiterio, il sepolcro venne rimosso e i resti mortali dell’Azuni fu-rono sistemati in una cassetta.

Solo il 21 gennaio del 1922, nel corso di una cerimonia solenne, le ossa ven-nero trasferite dalla sacrestia del san-tuario di Bonaria nel dignitoso sepol-cro realizzato sulla sinistra dell’altare maggiore. Nella circostanza Ottone Bacaredda, sindaco di Cagliari, det-tava l’epigrafe che recita “D. A. Azuni - sulle venerate spoglie - nell’ambito saccello composte - la Patria vigila - sul nome del giurista insigne - invitto apostolo - della libertà dei mari - vigila la fama”. Cinque anni dopo, nel cente-nario della morte, l’Azuni fu ricordato dall’Associazione della Stampa Sarda con l’apposizione di una lapide nei lo-cali di rappresentanza del Rettorato dell’Università di Cagliari. Infi ne nel 1960 la lapide funeraria dettata dal Baylle venne incassata nell’atrio, che si sviluppa tra la scala d’accesso alla sacrestia e la balaustra dell’altare maggiore, ove tuttora si trova.

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di Antonello Angioni

IL FILOdella memoria

LE RISORSE DEL MARE: IL BISSO

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La prima cosa che di Chiara Vigo ti colpisce sono gli occhi: marcatamente mediterranei e intensi, esprimono una cari-ca magnetica rara che solo le persone in grado di tramanda-re antichi segreti possiedono. E poi le mani, agili e sapienti,

che concentrano il grande patrimonio gestuale di cui è portatrice. Chiara tramanda la tradizione della lavorazione del bisso: una secrezione fi lamentosa prodotta da alcuni grandi molluschi bivalvi ed in particolare dalla pinna nobilis (in sardo gnàccara). Il bisso della pinna nobilis si presta ad essere tessuto e lavorato in vario modo per ottenere una stoffa assai morbida, di aspetto sericeo e di colore bruno dorato detta anche “seta di mare”. La tradizione è assai antica ove si consideri che nel libro della Genesi si narra che il faraone, nell’attribuire a Giuseppe la carica di viceré d’Egitto, gli diede il suo sigillo e lo fece vestire di fi nimenti di bisso, prerogativa questa che - nell’antico Egitto - era riservata ai re e ai principi. Una tradizione della quale presto si impadronirono fenici e caldei.Quella della tessitura del bisso è un’arte che, nella complessità del nostro universo materiale, schiacciato sempre più verso la globali-tà, segna il permanere di una nicchia che testimonia del passato di un popolo e della sua storia. Chiara è nata a Calasetta (toponimo che, secondo taluni, deriverebbe da “Cala di Seta” proprio in rife-

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CHIARA VIGOIL FILO DELLA MEMORIA

PERSONAGGI E RISORSE DEL MARE

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Esemplare di Pinna Nobilis

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rimento al pregiato fi lamento) ma vive e opera a San-t’Antioco, una località ove - secondo la tradizione - la lavorazione del bisso venne introdotta dalla principessa Berenice, discendente di Erode il Grande di Giudea. In quel tempo al bisso si ricollegava un aspetto sacro.Infatti, durante l’esercizio delle loro funzioni nel tempio, i sacerdoti dovevano indossare paramenti speciali che evidenziavano l’importanza del loro uffi cio. Nella Bibbia si parla del bisso in diversi capitoli, nella Genesi e nel-l’Esodo, anche se - a onor del vero - non è sempre chiaro se si facesse riferimento al prodotto ricavato dalla pinna nobilis o al lino fi ne. E’ certo che, per evidenziare la potenza e la ricchezza di Babilonia, la grande città viene descritta come “vestita di bisso”.Anche nel Nuovo Testamento si parla del bisso. Nel Vangelo di Luca, la parabola dell’uomo ricco e di Laz-zaro inizia con queste parole: “Hor v’era un uomo ricco il quale si vestiva di porpora e di bisso”, ove tale riferi-mento serviva ad evidenziare il contrasto tra l’agiatezza e la povertà. Il bisso dunque non era solo una mercan-zia, sia pure pregiata, ma il simbolo di una condizione, uno status.Per venire a tempi a noi più vicini si segnala che, nel-la prima metà dell’Ottocento, l’esistenza dell’artigiana-to del bisso in Sardegna é documentata sia nel Voyage en Sardaigne del Lamarmora (il quale precisa che, con tale tessuto, a Cagliari si confezionavano scialli, cappelli e soprattutto guanti) e sia nel celebre Dizionario del Casalis ove l’abate Angius, curatore delle “voci sarde”,

afferma che dal bisso ricavato dalle nac-chere si ottenevano guanti pregiatissimi e scialli di grande valore. Ma solo mezzo secolo dopo, nel 1884, Domenico Lovisa-to, nell’elencare le industre che avrebbe-ro dovuto avere un discreto sviluppo in Sardegna, faceva presente che quella del bisso era assai ridotta - a seguito del-l’immissione sul mercato, da parte della grande industria, di fi bre tessili a prezzi assai più competitivi - tanto da poter es-sere classifi cata come una “semplice cu-riosità di lusso”. In ogni caso, agli inizi del Novecento, a Sant’Antioco la lavorazione del bisso era ancora praticata: lo conferma il fotogra-fo e editore fi orentino Vittorio Alinari il quale compie due viaggi in Sardegna (nel maggio/giugno del 1913 e nell’aprile del 1914) e, in occasione del secondo, anno-ta che a Sant’Antioco “la lavorazione più curiosa è quella che si fa della pinna no-bilis, che viene pescata in grande abbon-danza nel golfo e la cui appendice termi-nale (bisso), formata da fi lamenti setacei, viene, in prima, ripulita dalle concrezioni calcaree che vi stanno aderenti, quindi fi lata e tessuta”.Oggi non esiste più la produzione e il

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commercio del bisso (anche perché la pinna nobilis rientra tra le specie pro-tette da una direttiva dell’Unione Eu-ropea) e la sua lavorazione costituisce solo un’arte affi data alle mani sapienti di pochissime persone tra cui Chiara Vigo che apprese i segreti dalla nonna Leonilde Mereu, una vera maestra nella fi latura e tessitura della preziosa seta del mare. E Chiara, con grande dignità e fi erezza, oltre che con quell’orgoglio tipico delle donne sarde, ancora oggi continua a tessere il bisso secondo una tecnica antichissima.Nelle sue mani ricade tutta la respon-

sabilità di conservare intatto, e di tra-mandare alle future generazioni, un pa-trimonio gestuale ed una tecnica che fa parte della storia, della cultura e della tradizione di un piccolo lembo di una terra d’antica civiltà. Chiara provvede personalmente alla raccolta del bisso, solo in determinati periodi, avendo cura di rideporre in mare la pinna nobilis af-fi nché continui il suo ciclo di vita. Dopo la raccolta il bisso viene sottoposto ad un primo lavaggio in acqua salata per eliminare i frammenti di conchiglie e di altri detriti marini.Poi, a terra, viene accuratamente lava-

to con acqua dolce. Quindi si procede all’asciugatura che, si solito, avviene al sole. A questo punto, prima di sot-toporre i bioccoli a pettinatura, Chiara ammorbidisce i ciuffi stroppicciandoli con le mani: il pettine usato è in ac-ciaio in quanto il bisso, per diventare più lucido, deve essere sfregato con-tro un corpo duro a superfi cie liscia. Ha quindi inizio la fi latura manuale mediante l’utilizzo di rocca e fuso di legno di piccole dimensioni. L’abilità della fi latrice consiste nell’ottenere dei fi lati assai sottili e di diametro unifor-me.

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E Chiara fa tutto con una maestria che ha del magico e del religioso es-sendo ben consapevole del signifi cato di ciò che fa. Poi, con un sorriso che tutta un’esplosione di luce, mi dice: “tesserò quel sottile fi lo fi nché vivrò e dovrò tesserlo per tutti perché esso appartiene alla memoria storica di ognuno di noi”.

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commercio del bisso (anche perché la pinna nobilis rientra tra le specie pro-tette da una direttiva dell’Unione Eu-ropea) e la sua lavorazione costituisce solo un’arte affi data alle mani sapienti di pochissime persone tra cui Chiara Vigo che apprese i segreti dalla nonna Leonilde Mereu, una vera maestra nella fi latura e tessitura della preziosa seta del mare. E Chiara, con grande dignità e fi erezza, oltre che con quell’orgoglio tipico delle donne sarde, ancora oggi continua a tessere il bisso secondo una tecnica antichissima.Nelle sue mani ricade tutta la respon-

sabilità di conservare intatto, e di tra-mandare alle future generazioni, un pa-trimonio gestuale ed una tecnica che fa parte della storia, della cultura e della tradizione di un piccolo lembo di una terra d’antica civiltà. Chiara provvede personalmente alla raccolta del bisso, solo in determinati periodi, avendo cura di rideporre in mare la pinna nobilis af-fi nché continui il suo ciclo di vita. Dopo la raccolta il bisso viene sottoposto ad un primo lavaggio in acqua salata per eliminare i frammenti di conchiglie e di altri detriti marini.Poi, a terra, viene accuratamente lava-

to con acqua dolce. Quindi si procede all’asciugatura che, si solito, avviene al sole. A questo punto, prima di sot-toporre i bioccoli a pettinatura, Chiara ammorbidisce i ciuffi stroppicciandoli con le mani: il pettine usato è in ac-ciaio in quanto il bisso, per diventare più lucido, deve essere sfregato con-tro un corpo duro a superfi cie liscia. Ha quindi inizio la fi latura manuale mediante l’utilizzo di rocca e fuso di legno di piccole dimensioni. L’abilità della fi latrice consiste nell’ottenere dei fi lati assai sottili e di diametro unifor-me.

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E Chiara fa tutto con una maestria che ha del magico e del religioso es-sendo ben consapevole del signifi cato di ciò che fa. Poi, con un sorriso che tutta un’esplosione di luce, mi dice: “tesserò quel sottile fi lo fi nché vivrò e dovrò tesserlo per tutti perché esso appartiene alla memoria storica di ognuno di noi”.

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L ussino, l’isola che passa di mano in mano, tra le coste d’Istria e Dalmazia, è epicentro blasonato della marineria e della cantieristi-

ca dell’Adriatico, quando agli inizi del ’900 dà i natali al più nostalgico dei suoi fi gli: AGOSTINO STRAULINO.Tino, non smetterà mai di evocarla e di desi-derarla: “Roma così frenetica, così lontana e senza mare....” Lussimpiccolo, terra aspra e silenziosa come le sue genti, forgia l’ennesi-mo ragazzo da mare.Il mare come grembo, il mare cortile dei suoi giochi. Il mare come risorsa. E lo riempie da subito dei suoi odori e dei suoi umori: a scuola in barca, avanti e indietro col suo fi uto sul vento e i libri dapparte. Un prede-stinato. Certo, in casa, di mare si viveva. E il padre, uomo di Marina tutto regole e ri-gori, al neo diplomato fa il regalo più bello e pregnante: una barca, quella che costruì con lo zio Giuseppe: “per un anno fai quel che ti pare, arrangiati però: io soldi non te ne dò, quì puoi tornare quando vuoi”. L’uomo e il mare. Comincia così la gara con la vita dell’uomo che riuscirà, oltre la magia, a do-mare il mare e a porsi in simbiosi col vento. Una vita passata con la salsedine addosso. Tino, oltre il mito: cresce l’uomo silenzioso, l’uomo di mare taciturno e severo, soprat-tutto con se stesso, scorbutico e ruvido ma infi nitamente generoso con la vita e il pros-simo. Quel regalo gli fa abbracciare la libertà assoluta e l’arte del mettersi in gioco: cre-scono fi uto, coraggio, l’esperienza mai ali-menta la supponenza. La cultura dell’umiltà e dell’arrangiarsi comunque diventa il pane quotidiano, magari con l’aggiunta del riso, barattato col pescato. La Lanzarda, guscio e nave scuola della vita sua, piccola barca-sfi da per scorrerie sul-l’Adriatico, diventa così la micro azienda da navigatore che sfugge dalla bonaccia e amo-reggia con la libertà. E a vent’anni, in sin-tonia con gli amici mare e vento, entra in Accademia Navale: uffi ciale di Complemento. Tino, nascente stella del mare da competi-zione, incontra in Marina una Star per una regata sfi da con gli uffi ciali effettivi. E il predestinato viene ancora spinto dal buon vento del Destino: l’uffi ciale manovratore Straulino si ferisce ad una mano e convince il Comandante a non mollare il campo; pas-sa, così sanguinante, al timone. E da ultimi si passa al secondo posto: qui il momento topico dello Straulino velista. Quel timone non lo lascerà più e andrà a vincere trofei,

AgostinoStraulino

“L’uomo che domina il vento, che accarezza il mare e si allea perfino con la bonaccia...”

di Giorgio Ariu

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allori, titoli, vittorie insperate e a conoscere pure l’amaro gusto della sconfi tta. L’uomo che domina il vento, che accarezza il mare e si allea per-fi no con la bonaccia, il Comandante rude e silenzioso, mai sboro-ne, rispettoso del fato e dell’avversario, infl essibile con l’equipag-gio, mai soddisfatto di nulla, perfi no insopportabile, condivide da sempre premi e champagne coi marinai. L’orgoglio dell’apparte-nenza dell’uomo di mare si sublima con il Comando del Corsaro Secondo, fi guratevi poi con il comando della Vespucci “ con tutte quelle vele che non fi niscono mai, così tante, così maestose, una cosa meravigliosa....”.L’uomo mai domo, si è detto. Neppure dentro le diffi coltà del nuo-tatore d’assalto in guerra, nè in eroiche missioni. Come quando nell’opera di sminamento dei porti a Bari rischia di perdere la vi-sta. E l’uomo sconfi gge la paura, quella degli altri........ allenando-si di notte: “al buio puoi sentire meglio il vento. Per carpirne tutti i segreti. Il vento, la sua forza, ti possono tradire quando meno te lo aspetti, ti tradisce anche il vento più famigliare. Per questo decido due minuti prima come affrontarlo”. Eppure un piccolo grande tradimento lo subisce proprio in famiglia: la fi glia, dopo un innamoramento col mare, sceglie la terraferma.Ma Tino, il rude invincibile si intenerisce quando è la nipotina a scegliere il mare per i suoi primi passi nella vita. Il regalo del non-no ? Una barca. Così, a vele spiegate nella Storia, il ruvido lupo di mare che si divertiva senza età ad andar ad handicap, riuscirà a lenire la lontananza e la nostalgia dalla sua Lussino. Con gli occhi umidi e profondi proietterà un’altra predestinata per i mari del mondo. ARMA e VAI, gli diceva il rude e generoso zio Joe il rosso, quello della Lanzarda. Arma e vai. Così Tino, fi no al dicembre del 2004 quando armò la vela per non fare più ritorno.

Azione di Bolina di Straulino con la star Merope II (3316)durante la Settimana Internazionale di Kiel del 1956 Al centro: Straulino con Carlo Rolandi e l’Ammiraglio Birindellia Melbourne in occasione dell’Olimpiade del 1956A destra: Straulino Capitano di Vascello sull’Amerigo Vespucci (!965)In basso: La Sardegna che ama il mare ha voluto ricordare Straulinoa due anni dalla scomparsa, nel corso di una manifestazione organizzata dall’Ammiraglio Roberto Baggioni.

“L’UOMO CHE DOMINA IL VENTO,ACCAREZZA IL MARE E SI ALLEA PERFINO CON LA BONACCIA...”

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L ussino, l’isola che passa di mano in mano, tra le coste d’Istria e Dalmazia, è epicentro blasonato della marineria e della cantieristi-

ca dell’Adriatico, quando agli inizi del ’900 dà i natali al più nostalgico dei suoi fi gli: AGOSTINO STRAULINO.Tino, non smetterà mai di evocarla e di desi-derarla: “Roma così frenetica, così lontana e senza mare....” Lussimpiccolo, terra aspra e silenziosa come le sue genti, forgia l’ennesi-mo ragazzo da mare.Il mare come grembo, il mare cortile dei suoi giochi. Il mare come risorsa. E lo riempie da subito dei suoi odori e dei suoi umori: a scuola in barca, avanti e indietro col suo fi uto sul vento e i libri dapparte. Un prede-stinato. Certo, in casa, di mare si viveva. E il padre, uomo di Marina tutto regole e ri-gori, al neo diplomato fa il regalo più bello e pregnante: una barca, quella che costruì con lo zio Giuseppe: “per un anno fai quel che ti pare, arrangiati però: io soldi non te ne dò, quì puoi tornare quando vuoi”. L’uomo e il mare. Comincia così la gara con la vita dell’uomo che riuscirà, oltre la magia, a do-mare il mare e a porsi in simbiosi col vento. Una vita passata con la salsedine addosso. Tino, oltre il mito: cresce l’uomo silenzioso, l’uomo di mare taciturno e severo, soprat-tutto con se stesso, scorbutico e ruvido ma infi nitamente generoso con la vita e il pros-simo. Quel regalo gli fa abbracciare la libertà assoluta e l’arte del mettersi in gioco: cre-scono fi uto, coraggio, l’esperienza mai ali-menta la supponenza. La cultura dell’umiltà e dell’arrangiarsi comunque diventa il pane quotidiano, magari con l’aggiunta del riso, barattato col pescato. La Lanzarda, guscio e nave scuola della vita sua, piccola barca-sfi da per scorrerie sul-l’Adriatico, diventa così la micro azienda da navigatore che sfugge dalla bonaccia e amo-reggia con la libertà. E a vent’anni, in sin-tonia con gli amici mare e vento, entra in Accademia Navale: uffi ciale di Complemento. Tino, nascente stella del mare da competi-zione, incontra in Marina una Star per una regata sfi da con gli uffi ciali effettivi. E il predestinato viene ancora spinto dal buon vento del Destino: l’uffi ciale manovratore Straulino si ferisce ad una mano e convince il Comandante a non mollare il campo; pas-sa, così sanguinante, al timone. E da ultimi si passa al secondo posto: qui il momento topico dello Straulino velista. Quel timone non lo lascerà più e andrà a vincere trofei,

AgostinoStraulino

“L’uomo che domina il vento, che accarezza il mare e si allea perfino con la bonaccia...”

di Giorgio Ariu

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allori, titoli, vittorie insperate e a conoscere pure l’amaro gusto della sconfi tta. L’uomo che domina il vento, che accarezza il mare e si allea per-fi no con la bonaccia, il Comandante rude e silenzioso, mai sboro-ne, rispettoso del fato e dell’avversario, infl essibile con l’equipag-gio, mai soddisfatto di nulla, perfi no insopportabile, condivide da sempre premi e champagne coi marinai. L’orgoglio dell’apparte-nenza dell’uomo di mare si sublima con il Comando del Corsaro Secondo, fi guratevi poi con il comando della Vespucci “ con tutte quelle vele che non fi niscono mai, così tante, così maestose, una cosa meravigliosa....”.L’uomo mai domo, si è detto. Neppure dentro le diffi coltà del nuo-tatore d’assalto in guerra, nè in eroiche missioni. Come quando nell’opera di sminamento dei porti a Bari rischia di perdere la vi-sta. E l’uomo sconfi gge la paura, quella degli altri........ allenando-si di notte: “al buio puoi sentire meglio il vento. Per carpirne tutti i segreti. Il vento, la sua forza, ti possono tradire quando meno te lo aspetti, ti tradisce anche il vento più famigliare. Per questo decido due minuti prima come affrontarlo”. Eppure un piccolo grande tradimento lo subisce proprio in famiglia: la fi glia, dopo un innamoramento col mare, sceglie la terraferma.Ma Tino, il rude invincibile si intenerisce quando è la nipotina a scegliere il mare per i suoi primi passi nella vita. Il regalo del non-no ? Una barca. Così, a vele spiegate nella Storia, il ruvido lupo di mare che si divertiva senza età ad andar ad handicap, riuscirà a lenire la lontananza e la nostalgia dalla sua Lussino. Con gli occhi umidi e profondi proietterà un’altra predestinata per i mari del mondo. ARMA e VAI, gli diceva il rude e generoso zio Joe il rosso, quello della Lanzarda. Arma e vai. Così Tino, fi no al dicembre del 2004 quando armò la vela per non fare più ritorno.

Azione di Bolina di Straulino con la star Merope II (3316)durante la Settimana Internazionale di Kiel del 1956 Al centro: Straulino con Carlo Rolandi e l’Ammiraglio Birindellia Melbourne in occasione dell’Olimpiade del 1956A destra: Straulino Capitano di Vascello sull’Amerigo Vespucci (!965)In basso: La Sardegna che ama il mare ha voluto ricordare Straulinoa due anni dalla scomparsa, nel corso di una manifestazione organizzata dall’Ammiraglio Roberto Baggioni.

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michele melonida Teulada a Pechino

di Carlo Figari

UN INTREPIDO MARINAIO SARDONELLA CITTA’ PROIBITA

Chi si ricorda del fi lm 55 giorni a Pechino? Un kolossal americano del 1963 fi rmato dal grande Nicholas Ray con un cast di attori famosi quali Ava Gardner, Charllton Heston e David Niven. Le spettacolari immagini dei marines Usa che entrano nella “città proibita”

di Pechino e liberano le delegazioni occidentali dall’assedio dei “boxers” sono entrate nella storia del cinema. Grazie a quel fi lm, che di frequente viene trasmesso in tv, è diventata familiare una pagina di storia altrimenti sconosciuta. La rivolta dei boxers è soltanto un piccolo episodio del-l’inizio del secolo, ma molto signifi cativo perché per la prima e ultima volta vide fi anco a fi anco i soldati di undici potenze mondiali contro un unico nemico: i contadini cinesi sobillati dall’impe-ratrice Tsu Hsi. Ebbene, dietro i marines americani, i fanti inglesi, tedeschi, francesi e giapponesi che sfi lavano con le rispettive bandiere nel piazzale della “città proibita”, c’era anche un plotone di marinai italiani. Tra questi un sardo: Michele Maria Meloni di Teulada. Nel fi lm, ovviamente, non com-pare. Ma Michele Meloni fu eroe in carne e ossa e non di celluloide: si battè coraggiosamente per difendere le legazioni occidentali dalla furia dei boxers.A Teulada un cippo ricorda un concittadino plurimedagliato e valoroso. Il monumento è opera del greco Nikefors Kouvaras che lo ha realizzato durante il concorso di scultura che il Comune orga-nizza ogni estate. Nel paese natale c’è una strada a lui intitolata e resta anche la casa paterna in via San Francesco (all’epoca si chiamava via Castello). Ma chi era Michele Maria Meloni e come si trovò in mezzo alla rivolta dei boxers?Come in tutte le storie d’avventura cominciamo dall’inizio, raccogliendo le notizie dalla pubbli-cazione realizzata da un giovane artigiano del paese, Giancarlo Genugu, appassionato cultore di memorie teuladine. Alla fi ne del secolo scorso quel lembo estremo del sud-ovest di Sardegna era davvero un luogo lontano, raggiungibile più dal mare che da terra. Era un paese ad economia agro-pastorale, ma grazie alla sua posizione, era anche un importante crocevia per i traffi ci mer-cantili nel Mediterraneo occidentale. Michele nasce nel 1880, primo di cinque fi gli, da Francesco e Giovanna Pisano. La madre muo-

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re che lui aveva appena nove anni. Il giovane Michele lo ricordano con un carattere forte, ribelle, anticonformista e insofferente della realtà sempre uguale e, tutto sommato, povera del paese. Frequenta le scuole elementari, le uniche allora esistenti, poi si arrangia con lavoretti nei campi. Alla prima occasione se ne va in cerca di nuove strade. I geni-tori avrebbero voluto avviarlo alla vita ecclesiastica, ma lui preferisce un’altra divisa: quella della Marina. Era il 1897. Dopo i corsi a La Maddalena viene imbarcato come mozzo sulla nave da guerra “Elba”. Ed ecco che la sorte lo cata-pulta dall’altra parte del mondo, in Cina, dove si giocano i destini delle grandi nazioni. L’Italia, seppure in modo mino-re, partecipa alla guerra. Così il governo di Roma invia due potenti navi, l’Elba e la Calabria, nel lontano Oriente per proteggere la legazione italiana. Nei primi mesi del 1900 in Cina stava divampando la ribel-lione che passerà alla storia come “la rivolta dei boxers”. Per capire i retroscena della vicenda, in cui si ritrova coin-volto Michele Meloni, occorre aprire una fi nestra sulla Cina a cavallo del secolo. Tra il 1898 e il 1900 l’atmosfera per gli stranieri era piuttosto pesante. Erano accusati, soprattutto gli inglesi, di imperialismo e sfruttamento. La Compagnia delle Indie, da mezzo secolo proprietaria di enormi pian-tagioni, aveva il monopolio nel commercio dell’oppio e di molti prodotti della terra. Nel 1848 col trattato di Nanchi-no, l’Inghilterra ottenne l’apertura al commercio di cinque porti e il possesso diretto di Hong Kong. Dietro gli inglesi si infi larono francesi, russi, americani e anche i giapponesi, gareggiando negli affari e nel pretendere privilegi. Ma oltre i problemi economici alla base del malcontento c’era una for-te carica xenofoba che partiva direttamente dall’imperatri-ce. Sul trono della dinastia Manciù era salita l’imperatrice Tsu Hsi, una donna dal carattere fortissimo, dalla spiccata personalità e da uno smisurato desiderio di potere.Ossessionata dall’idea della morte, reazionaria e crudele, Tsu Hsi appare nelle foto d’epoca proprio come Nicholas Ray l’ha poi ritratta nel fi lm. Nel 1898 l’imperatrice prese tutto il potere nelle sue mani. In questo clima nasce e di-

vampa la “rivolta dei boxers”.Con quel nome (il cui etimo deriva dal-l’inglese “box”) i britannici chiamavano i seguaci della setta I-go-ciuan che signifi -ca “pugno della giusta armonia”. Erano i membri di un’antica società segreta for-mata da nazionalisti esasperati, contadi-ni, razzisti e xenofobi. Si riconoscevano per il codino e la testa accuratamente ra-sata. La rivolta scoppia nella primavera. A Pechino in quel tempo viveva una nu-trita comunità occidentale, composta in prevalenza da diplomatici e militari con le famiglie. Il quartiere delle legazioni si trovava a sud est della città imperiale. L’ambasciata italiana era situata vicino a quelle di Francia e Giappone. C’erano poi le rappresentanze di Gran Bretagna, Au-stria-Ungheria, Russia, Spagna, Belgio, Germania, Olanda e Stati Uniti. Le prime sparatorie e aggressioni avven-nero in aprile, seguite da saccheggi e in-cendi. Per gli occidentali la situazione si fece davvero diffi cile. Fu proprio in quel maggio che nella rada di Ta Ku, il porto più vicino alla capitale, approdò la nave “Elba” con a bordo un distaccamento di ventotto marinai italiani al comando del tenente di vascello Paolini. Michele Me-loni faceva parte del gruppo. I militari italiani raggiunsero Pechino e si unirono ai quasi quattrocento uomini di diversa nazionalità chiamati a difendere le lega-zioni occidentali. Rivedendo il fi lm di Nicholas Ray possia-mo immaginare come dovesse presentar-si la capitale cinese agli occhi del giova-ne marinaio sardo. I marinai, guidati da

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Paolini, si fecero largo nelle strade affollate di rivoltosi aizzati dai boxer. Fucili alla mano, baionette innestate, si aprirono il varco sino al quartiere occidentale. Appena in tempo, visto che un americano era stato già aggredito nella città imperiale, una signora inglese e il suo interprete bastonati, la marchesa Ca-milla Salvago Raggi, moglie dell’ambasciatore italiano, si era sottratta a stento da un’aggressione. La tensione cresceva di giorno in giorno, fomentata dalla stessa imperatrice. Il cannoniere Michele Meloni e i marinai italiani si schierarono a difesa delle mura che circondavano il quartiere della comu-nità europea. Il 20 giugno iniziò l’assedio. Si sparava da tutte le parti, i boxers cercavano di irrompere all’interno, ma tutti gli attacchi venivano respinti. “Fu in quelle circostanze - scrive Giancarlo Genugu - che Michele Meloni ebbe modo di mettere in luce il suo coraggio e la sua intraprendenza. Armato di un cannoncino da sbarco di 37 millimetri, l’unico in dotazione tra i difensori, combatté con grande valore spostandosi ovunque fosse più intenso l’assalto cinese. Il 2 giugno fu ferito alla testa da schegge di una granata sharpnel e ricoverato per qualche giorno nell’ospedale”.Il 10 luglio Meloni, ancora debole per la ferita ma di nuovo sulle barricate, venne inviato a difendere la legazione francese che stava per essere sopraffatta dai rivoltosi. Il tempestivo in-tervento probabilmente fu determinante: Meloni mise in fuga i boxers a colpi di cannone. Per tutto il mese infuriarono i combattimenti. A capo degli occidentali venne nominato l’am-basciatore inglese Claude Mac Donald, decano del corpo di-plomatico, che il 29 luglio riuscì a far giungere a Tien Tsin un messaggio disperato. Gli assediati erano allo stremo, privi di munizioni e rifornimenti, ma continuavano a resistere in attesa dei rinforzi. Che fi nalmente arrivarono il 14 agosto. Partito da Tien Tsin un nuovo corpo di spedizione, al comando del generale inglese Alfred Gasalee, il 14 agosto raggiunse la capitale. Era formato da 17 mila uomini (tra cui altri 35 ma-rinai italiani guidati dal tenente di vascello Sirianni), francesi, inglesi, americani, giapponesi, tedeschi e austriaci. L’impera-trice era già fuggita su un carro a Sian, mentre i boxers abban-

donavano la città sotto la minaccia dei cannoni. Anche l’ambiziosa Tsu Hsi aveva capito che non avrebbe potuto continuare la guerra. Una guerra che avrebbe avuto conseguenze disastrose per il suo Paese. Il bilancio della rivolta fu sanguinoso: sessantacinque occidentali uccisi, tra cui sette italiani, e 165 feriti (dodi-ci italiani). Assai maggiore il numero delle vittime tra i rivoltosi: si parlò di migliaia. La rivolta dei boxers fu ar-chiviata con la fi rma della pace, ma l’imperatrice poté rientrare a Pechino soltanto nel gennaio del 1902, ormai vecchia e sfi duciata. Morirà sei anni dopo.Michele Meloni partecipò alla grande festa per la liberazione, poi restò anco-ra un anno in Cina, sempre imbarcato sulla “Reale Nave Elba” che stazionava nella baia di Nimrod. Insieme agli atri marinai che avevano partecipato alla difesa venne decorato dall’ammiraglio Candiani, comandante della squadra navale in Estremo Oriente. Rientrò in Italia con una medaglia di bronzo al valor militare e, sempre per la cam-pagna di Cina, ottenne una seconda medaglia d’onore.Ma il giovane teuladino non era stanco di viaggiare. Imbarcato sull’incrocia-tore “Garibaldi” nel 1908 lo ritroviamo a Messina per partecipare all’opera di soccorso della città colpita dal terre-moto. L’anno dopo, in una delle rare parentesi in cui poté tornare a casa,

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re che lui aveva appena nove anni. Il giovane Michele lo ricordano con un carattere forte, ribelle, anticonformista e insofferente della realtà sempre uguale e, tutto sommato, povera del paese. Frequenta le scuole elementari, le uniche allora esistenti, poi si arrangia con lavoretti nei campi. Alla prima occasione se ne va in cerca di nuove strade. I geni-tori avrebbero voluto avviarlo alla vita ecclesiastica, ma lui preferisce un’altra divisa: quella della Marina. Era il 1897. Dopo i corsi a La Maddalena viene imbarcato come mozzo sulla nave da guerra “Elba”. Ed ecco che la sorte lo cata-pulta dall’altra parte del mondo, in Cina, dove si giocano i destini delle grandi nazioni. L’Italia, seppure in modo mino-re, partecipa alla guerra. Così il governo di Roma invia due potenti navi, l’Elba e la Calabria, nel lontano Oriente per proteggere la legazione italiana. Nei primi mesi del 1900 in Cina stava divampando la ribel-lione che passerà alla storia come “la rivolta dei boxers”. Per capire i retroscena della vicenda, in cui si ritrova coin-volto Michele Meloni, occorre aprire una fi nestra sulla Cina a cavallo del secolo. Tra il 1898 e il 1900 l’atmosfera per gli stranieri era piuttosto pesante. Erano accusati, soprattutto gli inglesi, di imperialismo e sfruttamento. La Compagnia delle Indie, da mezzo secolo proprietaria di enormi pian-tagioni, aveva il monopolio nel commercio dell’oppio e di molti prodotti della terra. Nel 1848 col trattato di Nanchi-no, l’Inghilterra ottenne l’apertura al commercio di cinque porti e il possesso diretto di Hong Kong. Dietro gli inglesi si infi larono francesi, russi, americani e anche i giapponesi, gareggiando negli affari e nel pretendere privilegi. Ma oltre i problemi economici alla base del malcontento c’era una for-te carica xenofoba che partiva direttamente dall’imperatri-ce. Sul trono della dinastia Manciù era salita l’imperatrice Tsu Hsi, una donna dal carattere fortissimo, dalla spiccata personalità e da uno smisurato desiderio di potere.Ossessionata dall’idea della morte, reazionaria e crudele, Tsu Hsi appare nelle foto d’epoca proprio come Nicholas Ray l’ha poi ritratta nel fi lm. Nel 1898 l’imperatrice prese tutto il potere nelle sue mani. In questo clima nasce e di-

vampa la “rivolta dei boxers”.Con quel nome (il cui etimo deriva dal-l’inglese “box”) i britannici chiamavano i seguaci della setta I-go-ciuan che signifi -ca “pugno della giusta armonia”. Erano i membri di un’antica società segreta for-mata da nazionalisti esasperati, contadi-ni, razzisti e xenofobi. Si riconoscevano per il codino e la testa accuratamente ra-sata. La rivolta scoppia nella primavera. A Pechino in quel tempo viveva una nu-trita comunità occidentale, composta in prevalenza da diplomatici e militari con le famiglie. Il quartiere delle legazioni si trovava a sud est della città imperiale. L’ambasciata italiana era situata vicino a quelle di Francia e Giappone. C’erano poi le rappresentanze di Gran Bretagna, Au-stria-Ungheria, Russia, Spagna, Belgio, Germania, Olanda e Stati Uniti. Le prime sparatorie e aggressioni avven-nero in aprile, seguite da saccheggi e in-cendi. Per gli occidentali la situazione si fece davvero diffi cile. Fu proprio in quel maggio che nella rada di Ta Ku, il porto più vicino alla capitale, approdò la nave “Elba” con a bordo un distaccamento di ventotto marinai italiani al comando del tenente di vascello Paolini. Michele Me-loni faceva parte del gruppo. I militari italiani raggiunsero Pechino e si unirono ai quasi quattrocento uomini di diversa nazionalità chiamati a difendere le lega-zioni occidentali. Rivedendo il fi lm di Nicholas Ray possia-mo immaginare come dovesse presentar-si la capitale cinese agli occhi del giova-ne marinaio sardo. I marinai, guidati da

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Paolini, si fecero largo nelle strade affollate di rivoltosi aizzati dai boxer. Fucili alla mano, baionette innestate, si aprirono il varco sino al quartiere occidentale. Appena in tempo, visto che un americano era stato già aggredito nella città imperiale, una signora inglese e il suo interprete bastonati, la marchesa Ca-milla Salvago Raggi, moglie dell’ambasciatore italiano, si era sottratta a stento da un’aggressione. La tensione cresceva di giorno in giorno, fomentata dalla stessa imperatrice. Il cannoniere Michele Meloni e i marinai italiani si schierarono a difesa delle mura che circondavano il quartiere della comu-nità europea. Il 20 giugno iniziò l’assedio. Si sparava da tutte le parti, i boxers cercavano di irrompere all’interno, ma tutti gli attacchi venivano respinti. “Fu in quelle circostanze - scrive Giancarlo Genugu - che Michele Meloni ebbe modo di mettere in luce il suo coraggio e la sua intraprendenza. Armato di un cannoncino da sbarco di 37 millimetri, l’unico in dotazione tra i difensori, combatté con grande valore spostandosi ovunque fosse più intenso l’assalto cinese. Il 2 giugno fu ferito alla testa da schegge di una granata sharpnel e ricoverato per qualche giorno nell’ospedale”.Il 10 luglio Meloni, ancora debole per la ferita ma di nuovo sulle barricate, venne inviato a difendere la legazione francese che stava per essere sopraffatta dai rivoltosi. Il tempestivo in-tervento probabilmente fu determinante: Meloni mise in fuga i boxers a colpi di cannone. Per tutto il mese infuriarono i combattimenti. A capo degli occidentali venne nominato l’am-basciatore inglese Claude Mac Donald, decano del corpo di-plomatico, che il 29 luglio riuscì a far giungere a Tien Tsin un messaggio disperato. Gli assediati erano allo stremo, privi di munizioni e rifornimenti, ma continuavano a resistere in attesa dei rinforzi. Che fi nalmente arrivarono il 14 agosto. Partito da Tien Tsin un nuovo corpo di spedizione, al comando del generale inglese Alfred Gasalee, il 14 agosto raggiunse la capitale. Era formato da 17 mila uomini (tra cui altri 35 ma-rinai italiani guidati dal tenente di vascello Sirianni), francesi, inglesi, americani, giapponesi, tedeschi e austriaci. L’impera-trice era già fuggita su un carro a Sian, mentre i boxers abban-

donavano la città sotto la minaccia dei cannoni. Anche l’ambiziosa Tsu Hsi aveva capito che non avrebbe potuto continuare la guerra. Una guerra che avrebbe avuto conseguenze disastrose per il suo Paese. Il bilancio della rivolta fu sanguinoso: sessantacinque occidentali uccisi, tra cui sette italiani, e 165 feriti (dodi-ci italiani). Assai maggiore il numero delle vittime tra i rivoltosi: si parlò di migliaia. La rivolta dei boxers fu ar-chiviata con la fi rma della pace, ma l’imperatrice poté rientrare a Pechino soltanto nel gennaio del 1902, ormai vecchia e sfi duciata. Morirà sei anni dopo.Michele Meloni partecipò alla grande festa per la liberazione, poi restò anco-ra un anno in Cina, sempre imbarcato sulla “Reale Nave Elba” che stazionava nella baia di Nimrod. Insieme agli atri marinai che avevano partecipato alla difesa venne decorato dall’ammiraglio Candiani, comandante della squadra navale in Estremo Oriente. Rientrò in Italia con una medaglia di bronzo al valor militare e, sempre per la cam-pagna di Cina, ottenne una seconda medaglia d’onore.Ma il giovane teuladino non era stanco di viaggiare. Imbarcato sull’incrocia-tore “Garibaldi” nel 1908 lo ritroviamo a Messina per partecipare all’opera di soccorso della città colpita dal terre-moto. L’anno dopo, in una delle rare parentesi in cui poté tornare a casa,

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And

rea

Car

loni

sposò Carmelina Piras dalla quale ebbe quattro fi gli: Rinaldo, Leonida, Gianna e Mirella. L’anno dopo, allo scoppio della guerra italo-turca, la nave “Garibaldi” fu inviata a pattugliare le coste libiche. Durante la bat-taglia di Homs Michele Meloni fu nuovamente ferito.Era il 23 ottobre e quel giorno i marinai della “Garibaldi” erano stati inviati a dar man forte ai fanti su una collina nel deserto del Margheb, non distante dalla città di Homs. Meloni, con i suoi compagni, prese po-sizione sulla sommità e da lassù cannoneggiava i turchi. Colpito ad una spalla da una pallottola, nonostante il dolore, continuò a sparare sino all’ultimo. Si risvegliò in ospedale. Durante la degenza venne visitato dalla duchessa Elena di Francia, moglie del duca d’Aosta, che gli regalò una spilla. Per lui la guerra era fi nita, ma anche la carriera militare. La ferita infatti gli comporto l’esonero dalla Marina. Michele Meloni tornò in Sardegna ai primi di aprile del 1912. Nel percorso tra Cagliari e Teulada fu salutato da tutti con grande entusiasmo, con il calore e gli onori di un vero eroe. Morì a Genova nel 1944.

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Isabella, la contessavenuta dal maredi Maria Irma Mariotti

Vinta anche lei dalle suggestioni del Grand Tour che richiamano in Italia manipoli di intellettuali da tutta Europa, chi è l’avvenente si-

gnora che nel maggio del 1796, “carponi e con la torcia in mano”, come ella stessa si descrive per lettera a uno dei tanti amici, visita a Roma gli scavi archeologici di quel-la che molto più tardi si scoprirà essere la Domus Aurea di Nerone ? Dopo l’appagante tappa fi orentina che, grazie alla complessa rete di conoscenze, l’ha vista ricevuta dal Granduca di Toscana, Ferdinando III di Lorena, la dama ora dovrebbe proseguire per Napoli, dove è previsto anche il rice-vimento alla corte del re, Ferdinando I di Borbone, Ercolano e Pompei. Invece il suo viaggio deve interrompersi. Dal Nord arriva-no notizie allarmanti: l’armata francese di

Storie vere mediterranee:una mirabilante traversatatra salotti culturali e tradimenti

Palazzo Albrizzi a Venezia in un dipinto di Antonietta BrandeisIsabella Teotochi Albrizzi ritratta da Elisabeth Vigèe-Lebrun

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Napoleone è a Verona e sta per inva-dere i territori della Serenissima. E la donna è di Venezia. Da poco sposata con l’Inquisitore di stato, si chiama Isabella Teotochi Albrizzi.Eccola dunque qui la musa ispiratri-ce di Ippolito Pindemonte che, con un nome legato alla cultura cabalistico-massonica cara agli arcadi, la ribat-tezzò “Temira”, ovverosia “Saggezza”. Ecco la “Laura” della prima stesura delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo che, diciassettenne, la ebbe “amante per cinque giorni” ma poi “amica per tutta la vita”. La Storia della Letteratura italiana, pur rico-noscendole il ruolo di titolare di uno dei salotti letterari più importanti del-l’Europa del tempo, ma ignorandone quasi le numerose e degnissime pro-ve di scrittura, di lei non dice molto di più. Della sua vita parlano invece centinaia di lettere e di documenti e, quanto alla sua appassionante bel-lezza mediterranea, niente di più elo-quente dei versi dei poeti, delle righe dei tanti letterati ammessi alla sua piccola corte, divisa tra la dimora di Venezia e la villa di Mogliano (Treviso), e dei ritratti, naturalmente, fra cui un elaborato disegno (1816) di Antonio Canova e il delicatissimo olio (1792)

di Elisabeth Vigèe-Lebrun, la contesa pittrice francese riparata in Italia al-l’arresto della sua protettrice, la regi-na Maria Antonietta.Benvenuta perciò alla ricca biografi a che, “senza alcuna pretesa di comple-tezza” ma, dopo un decennale lavoro di ricerca storica, bibliografi ca, docu-mentale e iconografi ca, il giornalista trevigiano Adriano Favaro è riuscito a mettere insieme e ci consegna col tito-lo “Isabella Teotochi Albrizzi” (Gaspari Editore – Udine – pagg. 257 – Euro 28,50).Greca di Corfù dov’era nata il 30 apri-le 1760, di famiglia nobile attenta all’educazione dei propri fi gli ma im-poverita, a 16 anni Isabella Teotochi aveva sposato, impostole dai genitori, il trentunenne Carlo Antonio Marin, patrizio veneto di modeste sostanze e, come tale, uffi ciale della Marina mili-tare della Repubblica di stanza nelle isole jonie. A Venezia la ragazza, “dal-le folte e inanellate chiome e dal vivo lampo negli occhi”, sbarca nella pri-mavera del 1778. Ha già un fi glio ma i disappori con il marito, che non ama e sente “vecchio, aumentano. Dopo una diffi cile convivenza con la parentela di lui, la coppia si trasferisce in San Salvador. Ed è dall’anonimo apparta-

mento d’affi tto di Calle “dele Balotte” che ha inizio la spettacolare scalata sociale di quella che Byron, esageran-do forse un po’, defi nirà poi “Madame de Stael italiana”.E’ infatti il padrone di casa, il patrizio Francesco Maria Soranzo, il primo ad accorgersi della vivacità intellettuale di Isabella ma conta anche l’entra-ta di Marin nella Magistratura della Quarantia Civil vecchia nel consentir-le l’accesso ai salotti più esclusivi ed elitari della città. In particolare a quel-lo del senatore Angelo Querini, fi gura di grande spessore intellettuale, mas-sone che, dopo aver tradotto Voltaire ed essersi schierato con le idee di Scipione Maffei, è tra i pochi aristo-cratici del tempo a condividere aper-tamente, pagando anche con l’esclu-sione dai pubblici incarichi, quelle dottrine liberali che in Francia stanno per far scoppiare la Rivoluzione. Ed è in ambienti come questo che Isabella, posta di fronte allo scarto tra la sua cultura tradizionale e quella tutta nuova cui aderiscono gli spiriti più illuminati del continente, pur conti-nuando a frequentare le feste e i rice-vimenti che, nonostante l’imminente caduta fanno di Venezia la capitale del divertimento mondiale, legge, studia,

Ugo Foscolo, Goethe in un ritratto di Joseph Karl Stieler del 1828

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ascolta e prende le distanze dallo ste-reotipo della nobildonna veneziana, o bigotta o licenziosa.Quando, per il Carnevale dell’88, ar-riva il barone francese Dominique Vivant De Non, a Venezia Isabella Marin è già al centro dell’attenzione generale, non tutta e non sempre be-nevola. Quarantenne, uomo di mondo e di cultura, intenditore e traffi cante d’arte, incisore, futuro organizzatore del Louvre con Luigi XVIII ma, prima, coordinatore e nazionalizzatore dei bottini artistici di Napoleone (tanto da guadagnarsi l’appellativo di “grande predatore”) e, al momento, imbattibi-le “charmeur”, De Non, presentandole dal Querini, ne diventa subito l’aman-te e, via via , il Pigmalione. Come fa osservare l’autore del volume, “sotto la sua guida Isabella acquisì quello slancio immaginativo e creativo che la porterà lontano”. Dimenticando la processione di esuli, fuorusciti, apolidi, greci, ebrei che quotidiana-mente cercano in lei un punto d’ap-poggio, nel giro di pochi anni infatti non c’è più personaggio, da Goethe a Chateaubriand, da Walter Scott a Lord Hamilton che, giunto a Venezia, non voglia conoscerla. Per fronteggiare la situazione Isabella però ha bisogno di

tutto: abiti, acconciature, servitori….Il modesto “casino” che è riuscita ad affi ttare in Frezzeria per gli incontri con De Non, ma dove si concede anche qualche “capriccio” come quello con il giovanissimo Foscolo, risulta ben pre-sto inadeguato. E tale è anche la sem-plice casa di campagna del marito, in quel di Gardigiano (Treviso) da dove, tra maiali e galline, si scorgono le ville sontuose di quelli che a Venezia, no-nostante la crisi, i soldi li hanno anco-ra o di già. I soldi, per l’appunto……… Nessuno più di lei l’ha capito, tanto che lo scrive: “Malgrado la nostra fi -losofi a il maledetto articolo dinaro ci tormenta”. Marin, che per tutto questo tempo ha sfogato disappunto e gelosia sulla carta da lettere, vive del suo la-voro e De Non, che nel frattempo ha opportunisticamente borghesizzato il proprio nome in Denon, espropriato in Francia da quelle stesse riforme au-spicate a parole, attraversa un brutto momento.A questo punto Isabella comprende che il suo futuro di “femme savant” sta nelle mani di uno dei suoi corteggia-tori più discreti. Di 10 anni maggiore di Lei, scapolo, Iseppo Albrizzi è uno degli uomini più potenti e ricchi della città. Patrizio veneto di idee libertarie,

avvocato brillante, nonostante sia sta-to il segretario della Loggia massoni-ca di Venezia, ha scalato ugualmente tutti i gradi della Magistratura fi no al massimo incarico di Inquisitore di Stato. Nel luglio del 1795 Isabella ot-tiene l’annullamento di matrimonio dal recalcitrante e incolpevole Marin e, nel marzo del ’96, con l’approvazio-ne di Denon che da Parigi si congra-tula e le rinnova i sensi del suo amore imperituro, sposa l’Albrizzi.Così, mentre la Serenissima vive schizofrenicamente la propria resa a Napoleone, per la trentaseienne Isabella la vita ricomincia da capo. Tra vecchi e nuovi amori, viaggia, stu-dia, scrive e assapora anche le gioie di una seconda maternità. Ma è sempre il suo “salotto” a concentrarne la mas-sima attenzione.Ora la cornice è quella a lungo sognata. A palazzo sul Canal Grande, d’inver-no, e nella villa sul Terraglio (Treviso) per il resto dell’anno, oltre che il ritro-vo di re e regine, studiosi, diplomatici e viaggiatori a vario titolo, esso diviene uno dei luoghi prediletti dal dibattito culturale che, nel trapasso dal seco-lo dei “Lumi” a quello “Romantico”, coinvolge i maggiori rappresentanti della società intellettuale, da Byron a Foscolo, da Alfi eri a Cesarotti.Isabella si spegne a Venezia nel set-tembre del 1836 ma sarà sepolta nel-la chiesetta dell’amatissima villa di Mogliano (Treviso) che ancora oggi porta il suo nome. Il libro è intro-dotto da un saggio storico di Alvise Zorzi e da uno di Elena Brambilla su “Donne letterate in Veneto tra Sette e Ottocento” ed è corredato da un indi-ce nominale e da una guida alla villa Teotochi-Albrizzi e al suo parco.

Dominique Vivant Denon

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Napoleone è a Verona e sta per inva-dere i territori della Serenissima. E la donna è di Venezia. Da poco sposata con l’Inquisitore di stato, si chiama Isabella Teotochi Albrizzi.Eccola dunque qui la musa ispiratri-ce di Ippolito Pindemonte che, con un nome legato alla cultura cabalistico-massonica cara agli arcadi, la ribat-tezzò “Temira”, ovverosia “Saggezza”. Ecco la “Laura” della prima stesura delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo che, diciassettenne, la ebbe “amante per cinque giorni” ma poi “amica per tutta la vita”. La Storia della Letteratura italiana, pur rico-noscendole il ruolo di titolare di uno dei salotti letterari più importanti del-l’Europa del tempo, ma ignorandone quasi le numerose e degnissime pro-ve di scrittura, di lei non dice molto di più. Della sua vita parlano invece centinaia di lettere e di documenti e, quanto alla sua appassionante bel-lezza mediterranea, niente di più elo-quente dei versi dei poeti, delle righe dei tanti letterati ammessi alla sua piccola corte, divisa tra la dimora di Venezia e la villa di Mogliano (Treviso), e dei ritratti, naturalmente, fra cui un elaborato disegno (1816) di Antonio Canova e il delicatissimo olio (1792)

di Elisabeth Vigèe-Lebrun, la contesa pittrice francese riparata in Italia al-l’arresto della sua protettrice, la regi-na Maria Antonietta.Benvenuta perciò alla ricca biografi a che, “senza alcuna pretesa di comple-tezza” ma, dopo un decennale lavoro di ricerca storica, bibliografi ca, docu-mentale e iconografi ca, il giornalista trevigiano Adriano Favaro è riuscito a mettere insieme e ci consegna col tito-lo “Isabella Teotochi Albrizzi” (Gaspari Editore – Udine – pagg. 257 – Euro 28,50).Greca di Corfù dov’era nata il 30 apri-le 1760, di famiglia nobile attenta all’educazione dei propri fi gli ma im-poverita, a 16 anni Isabella Teotochi aveva sposato, impostole dai genitori, il trentunenne Carlo Antonio Marin, patrizio veneto di modeste sostanze e, come tale, uffi ciale della Marina mili-tare della Repubblica di stanza nelle isole jonie. A Venezia la ragazza, “dal-le folte e inanellate chiome e dal vivo lampo negli occhi”, sbarca nella pri-mavera del 1778. Ha già un fi glio ma i disappori con il marito, che non ama e sente “vecchio, aumentano. Dopo una diffi cile convivenza con la parentela di lui, la coppia si trasferisce in San Salvador. Ed è dall’anonimo apparta-

mento d’affi tto di Calle “dele Balotte” che ha inizio la spettacolare scalata sociale di quella che Byron, esageran-do forse un po’, defi nirà poi “Madame de Stael italiana”.E’ infatti il padrone di casa, il patrizio Francesco Maria Soranzo, il primo ad accorgersi della vivacità intellettuale di Isabella ma conta anche l’entra-ta di Marin nella Magistratura della Quarantia Civil vecchia nel consentir-le l’accesso ai salotti più esclusivi ed elitari della città. In particolare a quel-lo del senatore Angelo Querini, fi gura di grande spessore intellettuale, mas-sone che, dopo aver tradotto Voltaire ed essersi schierato con le idee di Scipione Maffei, è tra i pochi aristo-cratici del tempo a condividere aper-tamente, pagando anche con l’esclu-sione dai pubblici incarichi, quelle dottrine liberali che in Francia stanno per far scoppiare la Rivoluzione. Ed è in ambienti come questo che Isabella, posta di fronte allo scarto tra la sua cultura tradizionale e quella tutta nuova cui aderiscono gli spiriti più illuminati del continente, pur conti-nuando a frequentare le feste e i rice-vimenti che, nonostante l’imminente caduta fanno di Venezia la capitale del divertimento mondiale, legge, studia,

Ugo Foscolo, Goethe in un ritratto di Joseph Karl Stieler del 1828

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ascolta e prende le distanze dallo ste-reotipo della nobildonna veneziana, o bigotta o licenziosa.Quando, per il Carnevale dell’88, ar-riva il barone francese Dominique Vivant De Non, a Venezia Isabella Marin è già al centro dell’attenzione generale, non tutta e non sempre be-nevola. Quarantenne, uomo di mondo e di cultura, intenditore e traffi cante d’arte, incisore, futuro organizzatore del Louvre con Luigi XVIII ma, prima, coordinatore e nazionalizzatore dei bottini artistici di Napoleone (tanto da guadagnarsi l’appellativo di “grande predatore”) e, al momento, imbattibi-le “charmeur”, De Non, presentandole dal Querini, ne diventa subito l’aman-te e, via via , il Pigmalione. Come fa osservare l’autore del volume, “sotto la sua guida Isabella acquisì quello slancio immaginativo e creativo che la porterà lontano”. Dimenticando la processione di esuli, fuorusciti, apolidi, greci, ebrei che quotidiana-mente cercano in lei un punto d’ap-poggio, nel giro di pochi anni infatti non c’è più personaggio, da Goethe a Chateaubriand, da Walter Scott a Lord Hamilton che, giunto a Venezia, non voglia conoscerla. Per fronteggiare la situazione Isabella però ha bisogno di

tutto: abiti, acconciature, servitori….Il modesto “casino” che è riuscita ad affi ttare in Frezzeria per gli incontri con De Non, ma dove si concede anche qualche “capriccio” come quello con il giovanissimo Foscolo, risulta ben pre-sto inadeguato. E tale è anche la sem-plice casa di campagna del marito, in quel di Gardigiano (Treviso) da dove, tra maiali e galline, si scorgono le ville sontuose di quelli che a Venezia, no-nostante la crisi, i soldi li hanno anco-ra o di già. I soldi, per l’appunto……… Nessuno più di lei l’ha capito, tanto che lo scrive: “Malgrado la nostra fi -losofi a il maledetto articolo dinaro ci tormenta”. Marin, che per tutto questo tempo ha sfogato disappunto e gelosia sulla carta da lettere, vive del suo la-voro e De Non, che nel frattempo ha opportunisticamente borghesizzato il proprio nome in Denon, espropriato in Francia da quelle stesse riforme au-spicate a parole, attraversa un brutto momento.A questo punto Isabella comprende che il suo futuro di “femme savant” sta nelle mani di uno dei suoi corteggia-tori più discreti. Di 10 anni maggiore di Lei, scapolo, Iseppo Albrizzi è uno degli uomini più potenti e ricchi della città. Patrizio veneto di idee libertarie,

avvocato brillante, nonostante sia sta-to il segretario della Loggia massoni-ca di Venezia, ha scalato ugualmente tutti i gradi della Magistratura fi no al massimo incarico di Inquisitore di Stato. Nel luglio del 1795 Isabella ot-tiene l’annullamento di matrimonio dal recalcitrante e incolpevole Marin e, nel marzo del ’96, con l’approvazio-ne di Denon che da Parigi si congra-tula e le rinnova i sensi del suo amore imperituro, sposa l’Albrizzi.Così, mentre la Serenissima vive schizofrenicamente la propria resa a Napoleone, per la trentaseienne Isabella la vita ricomincia da capo. Tra vecchi e nuovi amori, viaggia, stu-dia, scrive e assapora anche le gioie di una seconda maternità. Ma è sempre il suo “salotto” a concentrarne la mas-sima attenzione.Ora la cornice è quella a lungo sognata. A palazzo sul Canal Grande, d’inver-no, e nella villa sul Terraglio (Treviso) per il resto dell’anno, oltre che il ritro-vo di re e regine, studiosi, diplomatici e viaggiatori a vario titolo, esso diviene uno dei luoghi prediletti dal dibattito culturale che, nel trapasso dal seco-lo dei “Lumi” a quello “Romantico”, coinvolge i maggiori rappresentanti della società intellettuale, da Byron a Foscolo, da Alfi eri a Cesarotti.Isabella si spegne a Venezia nel set-tembre del 1836 ma sarà sepolta nel-la chiesetta dell’amatissima villa di Mogliano (Treviso) che ancora oggi porta il suo nome. Il libro è intro-dotto da un saggio storico di Alvise Zorzi e da uno di Elena Brambilla su “Donne letterate in Veneto tra Sette e Ottocento” ed è corredato da un indi-ce nominale e da una guida alla villa Teotochi-Albrizzi e al suo parco.

Dominique Vivant Denon

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Quelle imprese tra

palazzi realie belle donne così generose

STORIE VERE MEDITERRANEESTEFANO CARDU,

L’INTREPIDO NAVIGATORE CAGLIARITANO

A Cagliari, nella suggestiva cornice della Cittadella dei Musei, é possibile ammirare la collezione d’arte siamese donata nel 1917 da Stefano Cardu al Comune. L’interessante raccolta comprende 1306 pezzi: armi, bronzi, avori, porcellane e maioliche, argenteria,

monete risalenti persino all’XI secolo (periodo “Sung”), medaglie, libri, divinità, statuette (in avorio, bronzo e argento), strumenti musicali, arredi e trofei. Causa la ristrettezza degli spazi, peraltro, nel padiglione sono esposti solo circa 700 pezzi.Il fascino e la ricchezza degli oggetti, provenienti in prevalenza dal Siam (ben 816 pezzi),

risulta di tutta evidenza. Si tratta di manufatti - prodotti in diverse epoche storiche - che costituiscono un’importante testimonianza della vita, delle credenze e dei costumi di quei popoli orientali. Infatti, accanto a oggetti d’arte di tema religioso, sono esposti manufatti d’uso domestico che documentano l’elevato livello dell’artigianato dell’Estremo Oriente (non solo di produzione siamese ma anche di Cina, Malesia, Giappone, Laos, Birmania, ecc.). Attraverso tali oggetti ci vengono tramandati i segni di una cultura assai originale

e suggestiva. Si pensi alle pipe di radica scolpita utilizzate per fumare l’oppio, ai ventagli e ai portaprofumi, ai libri miniati contenenti nozioni di medicina e astrologia

ma anche formule magiche, esorcismi e preghiere. E ancora alle statuette in avorio che raffi gurano scene di lotta tra rane e scimmie ispirate alle antiche favole giapponesi. E infi ne al “culto” per le armi che ha determinato, nei diversi secoli e nel mutare delle dinastie, la produzione di veri e propri capolavori: circa duecento sono le armi da taglio esposte nella Cittadella. Nel complesso la bellezza di forme, qualità, decorazioni, smalti e ornati esprime una raffi nata manifestazione d’arte unita a tecniche di altissimo livello.Si segnalano le stupende porcellane del periodo “Ming”, le accurate lavorazioni d’avorio, i preziosi foderi di katana incrostati di madreperla, i delicati bronzetti indiani, cinesi e siamesi. Ma i pezzi di maggior pregio sono il vaso di porcellana cinese istoriato a colori con scene guerresche, la coppa d’argento a disegni su fondo smaltato in nero, il vaso portaprofumi di porcellana siamese con

coperchio decorato con fi gure sacre, il vaso portafi ori in crakelé bianco cinese di forma cilindrica con fi gure di draghi in rilievo, la statuetta di bronzo dorato

raffi gurante Buddha ritto in posizione oratoria, la sciabola giapponese con guaina e impugnatura d’avorio e incrostazioni di madreperla colorata raffi guranti uccelli e

fi orami, la teiera siamese in argento massiccio dorato decorata da fi gure mitologiche sacre col coperchio a forma di pagoda, la statua in avorio di Buddha sdraiato su un

piedistallo ligneo, la campana siamese di bronzo per tempio buddhista, il leone mitologico in avorio. La collezione, oltre che per lo straordinario valore economico di alcuni pezzi che la compongono,

di Antonello Angioni

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assume interesse anche avuto riguardo alle singolari vicende del protagonista dell’insolita operazione culturale: Stefano Cardu. Un personaggio che trascorse una vita intensa fatta di emozioni e soddisfazioni, di rischi e successi, ma anche di delusioni e amarezze. Il donatore della collezione siamese era nato a Cagliari il 18 novembre 1849 da una famiglia di artigiani. Venne avviato agli studi nautici che interruppe quasi subito per prendere la strada del mare: all’età di quindici anni tentò la fortuna imbarcandosi come mozzo in un mercantile. Nonostante il duro lavoro, studiò e conseguì la patente di capitano di gran cabotaggio. Quindi, con una barca a vela, solcò gli oceani per dieci anni senza neppure l’interruzione per il servizio militare (essendo unico fi glio maschio). Nel 1874 naufragò sulle coste del Siam (attuale Thailandia) e giunse a Bangkok ove si stabilì lasciando alle spalle i pericoli del mare. Spirito aperto e cosmopolita, entrò da subito in sintonia esistenziale ed estetica col Siam ove trascorse più di vent’anni. Fu il primo italiano a stabilirsi in tale terra. Imparò ben prestò la lingua siamese anche se parlava correttamente sia l’inglese che il francese. Avendo notevole predisposizione per il disegno tecnico, lavorò per un breve periodo presso un ricco costruttore edile inglese. Quindi si mise in proprio allestendo una segheria ed esercitando l’attività edile. La Corte del Siam gli affi dò diversi incarichi per la costruzione di strade e ponti e gli attribuì anche la realizzazione di alcune opere riguardanti il Palazzo Reale di Bangkok. Dopo breve tempo acquistò ricchezza e potenza entrando in rapporti di confi denza con principi e ministri. Divenne un profondo conoscitore della storia e dell’arte orientale e, gradualmente, costituì una precisa collezione attraverso acquisti e soprattutto regali, ricevuti in particolare da donne. Si dice che Stefano Cardu - di notevole statura (era alto mt. 1,85), di bell’aspetto, intelligente e dai modi gentili e garbati - esercitò grande infl uenza sulle dame di Corte: ciò spiega la notevole quantità di oggetti di origine principesca ricompresi nella collezione. Il nucleo degli oggetti siamesi é così consistente da costituire una novità per i musei d’arte orientale italiani ed europei e rappresenta un punto di riferimento di grande importanza per gli studiosi del settore.Dopo oltre vent’anni di permanenza nel Siam, Stefano Cardu fece rientro in Europa. Soggiornò a Parigi, poi per qualche tempo a Londra; successivamente viaggiò per l’Inghilterra, la Francia e l’Italia fi nché nel 1900 ritornò a Cagliari. Dopo qualche anno acquistò una vasta tenuta, sita in agro di Capoterra, denominata “Sa Tanca ‘e Nissa”, che la Banca d’Italia aveva messo all’asta. L’iniziativa, nonostante il notevole impegno profuso, non ebbe successo e nel 1913 Stefano Cardu dovette cederla.Orgoglioso della sua preziosa collezione d’arte, resistette alle allettanti offerte formulate dal Museo di Londra per l’acquisto. Nel 1917, con nobiltà d’animo, essendo tra l’altro amico del sindaco Bacaredda, la donò al Comune di Cagliari. Ad essere più precisi solo una parte della collezione venne donata mentre la restante fu acquistata dal Comune nel 1923 a seguito di una transazione. Si giunse così ai 1306 pezzi dettagliatamente catalogati dal prof. Gildo Fossati dell’Università di Genova.Successivamente Stefano Cardu si dedicò al commercio delle automobili, attività che lo portò alla miseria. Non accettando di dover vivere nella sua città, tra l’ingratitudine e l’indifferenza di quanti avevano benefi ciato della sua generosità, il vecchio marinaio si trasferì presso la casa del genero a Roma dove morì il 16 novembre del 1933, all’età di 84 anni.

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Solitamente evito di espormi per parlare di mio padre pub-blicamente perché tendo a essere una persona molto ri-

servata e soprattutto per paura che la mia timidezza possa giocarmi qualche brutto scherzo facendomi fare una fi guraccia e, come il resto della mia famiglia d’altronde, giro sistematica-mente a Valentina questi inviti.Ma quando la settimana scorsa Gior-gio Ariu mi ha contattato per chieder-mi di parlare dell’Andrea pescatore e professore all’interno della trasmis-sione “Storie di Mare” è stato diverso, forse perché mi ha chiesto di parlare dell’uomo che non tutti hanno cono-sciuto e che soprattutto era il mio eroe da bambino.L’esperienza si è poi rivelata positiva, tanto che oggi mi viene chiesto di ri-prendere l’argomento su carta per i lettori di “Via Mare”.

Infatti non tutti sanno che in giovinez-za quando per lui ancora cantare era un hobby mio padre è stato un pro-fessore dell’Istituto Tecnico Nautico e soprattutto un grande pescatore su-bacqueo.Del professore non ricordo molto per-ché fu una parentesi che durò solo qualche anno dopo il suo diploma nello stesso istituto e che abbandonò appena ebbe la prima occasione di so-stentarsi con la musica e allora io ero solo un neonato.Del pescatore invece ho i più bei ricor-di perché quello continuò a farlo an-cora per molto tempo fi n’anche dopo il suo successo e abbandonò solo quan-do si rese conto, come allora lui stesso mi disse, che il suo fi sico per la man-canza di allenamento non rispondeva più alle richieste della sua testa che invece voleva fare, anche quando que-sto accadeva ormai solo poche volte all’anno, tutto come ai tempi d’oro,

il che faceva diventare la cosa trop-po rischiosa. Basti pensare che già in giovinezza, quando andava per mare tutti i giorni aveva avuto ben 3 attac-chi di sincope. La decisione a mio av-viso fu saggia anche se mi dispiacque molto perché in quegli anni lui si era separato da mia madre e con l’aggiun-ta del successo gli unici momenti che vivevamo intensamente insieme erano proprio le battute di pesca.Sono certo che se non avesse avuto il dono della sua voce e indubbiamente una passione più forte per la musica si sarebbe fatto conoscere come pesca-tore perché ai suoi tempi ebbe la sti-ma, l’amicizia e soprattutto condivise molte battute di pesca con “colleghi” del calibro di Massimo Scarpati, Lu-ciano Toschi e Luciano Cottu e anche se invitato più volte a farlo non volle mai intraprendere la strada dell’ago-nismo. Per dirne una per tutte sappia-te solo che uno dei suoi soprannomi

ANDREA“MILLECERNIE”

ESCLUSIVA: MIO PADRE VERO MARINAIO

Fran

cesc

o C

abra

s

di Luca Parodi

ESCLUSIVA:MIO PADRE MARINAIO

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Solitamente evito di espormi per parlare di mio padre pub-blicamente perché tendo a essere una persona molto ri-

servata e soprattutto per paura che la mia timidezza possa giocarmi qualche brutto scherzo facendomi fare una fi guraccia e, come il resto della mia famiglia d’altronde, giro sistematica-mente a Valentina questi inviti.Ma quando la settimana scorsa Gior-gio Ariu mi ha contattato per chieder-mi di parlare dell’Andrea pescatore e professore all’interno della trasmis-sione “Storie di Mare” è stato diverso, forse perché mi ha chiesto di parlare dell’uomo che non tutti hanno cono-sciuto e che soprattutto era il mio eroe da bambino.L’esperienza si è poi rivelata positiva, tanto che oggi mi viene chiesto di ri-prendere l’argomento su carta per i lettori di “Via Mare”.

Infatti non tutti sanno che in giovinez-za quando per lui ancora cantare era un hobby mio padre è stato un pro-fessore dell’Istituto Tecnico Nautico e soprattutto un grande pescatore su-bacqueo.Del professore non ricordo molto per-ché fu una parentesi che durò solo qualche anno dopo il suo diploma nello stesso istituto e che abbandonò appena ebbe la prima occasione di so-stentarsi con la musica e allora io ero solo un neonato.Del pescatore invece ho i più bei ricor-di perché quello continuò a farlo an-cora per molto tempo fi n’anche dopo il suo successo e abbandonò solo quan-do si rese conto, come allora lui stesso mi disse, che il suo fi sico per la man-canza di allenamento non rispondeva più alle richieste della sua testa che invece voleva fare, anche quando que-sto accadeva ormai solo poche volte all’anno, tutto come ai tempi d’oro,

il che faceva diventare la cosa trop-po rischiosa. Basti pensare che già in giovinezza, quando andava per mare tutti i giorni aveva avuto ben 3 attac-chi di sincope. La decisione a mio av-viso fu saggia anche se mi dispiacque molto perché in quegli anni lui si era separato da mia madre e con l’aggiun-ta del successo gli unici momenti che vivevamo intensamente insieme erano proprio le battute di pesca.Sono certo che se non avesse avuto il dono della sua voce e indubbiamente una passione più forte per la musica si sarebbe fatto conoscere come pesca-tore perché ai suoi tempi ebbe la sti-ma, l’amicizia e soprattutto condivise molte battute di pesca con “colleghi” del calibro di Massimo Scarpati, Lu-ciano Toschi e Luciano Cottu e anche se invitato più volte a farlo non volle mai intraprendere la strada dell’ago-nismo. Per dirne una per tutte sappia-te solo che uno dei suoi soprannomi

ANDREA“MILLECERNIE”

ESCLUSIVA: MIO PADRE VERO MARINAIO

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di Luca Parodi

era “millecernie” e che pescava all’aspetto con apnee che superavano i tre minuti.Ricordo ancora quando da bambino la sera fremevo nel-l’attesa del suo arrivo per vedere dalla finestra il gommo-ne pieno di pesce, per poi fiondarmi giù a fare la cernita e vedere quali fossero le prede più grandi e a riempirlo di domande o quando portava me e mia madre al mare e stavamo ore e ore ad aspettarlo sulla spiaggia e l’atte-sa era sempre ripagata nel vederlo uscire stremato dal-l’acqua con il ventre stracolmo di pesce, ma soprattutto ricordo le ore passate ad ascoltare le sue avventure ma-rinare e le giornate passate assieme per mare, l’ansia nei minuti interminabili che passavano tra il momento in cui vedevo sparire le sue pinne sott’acqua e quello in cui si scatenava la mia emozione nel vederlo riaffiorare con un dentice o una ricciola smisurati, oppure ancora la tensio-ne quando facevamo la “trainetta” e guidavo il gommone con lui attaccato sotto dando attenzione estrema alle sue indicazioni.Ora però è meglio che mi fermi perché potrei stare dei giorni interi a raccontare aneddoti su questo argomento a me tanto caro.Ringrazio Giorgio per avermi chiesto di scrivere questa lettera soprattutto perché il caso ha voluto che la sua telefonata sia arrivata proprio oggi che il calendario mi ricorda che sono passati due anni esatti dalla scomparsa di papà, così oltre all’occasione di parlare della parte che più ho adorato di lui ho potuto scacciare la malinconia che inevitabilmente sopraggiunge in questi momenti.Spero in fine che questo mio racconto susciti l’interes-se dei lettori. A me ha sicuramente fatto venire voglia di pescare. Quasi quasi oggi pomeriggio vado a fare un tuffo…….

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Tex passò prima sul Golfo di Cagliari

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