venia l’incipitdelnuovoromanzodid’avenia · sua autobiografia, scritta...

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LA STAMPA SABATO 25 OTTOBRE 2014 . I gue e al secondo titolo Cose che nessuno sa – prende tem- po, punta in alto. Crea nel suo lettore un’aspettativa pari so- lo alla propria ambizione. Sul- la soglia, in quel vesti- bolo che precede l’in- cipit della narrazione vera e propria, chia- ma a raccolta i suoi autori, i poeti predi- letti: Dostoevskij, Rimbaud, T.S. Eliot. Rivolge nella dedi- ca una bellissima strizzata d’occhio ai suoi fratelli. vi è irresistibile. Da grande seduttore, da versato mae- stro nell’arte della parola Alessandro D’Avenia, accin- gendosi a iniziare il suo terzo romanzo – Ciò che inferno non è (di cui pubblichiamo sopra l’incipit), l’ultima prova che fa seguito al best seller Bianca come il latte rossa come il san- L’INCIPIT DEL NUOVO ROMANZO DI D’AVENIA Se scegli l’inferno hai bisogno di un prete Palermo, estate ’93: un giovane rinuncia a Oxford per combattere la mafia con Don Puglisi N ella luce prima, un ragazzo la spia. È immersa nell’agguato ven- toso e salato del- l’alba che si leva ancora vergi- ne dal mare, per tuffarsi poi nelle strade avvolte dalla pe- nombra. Il ragazzo abita in cima a un palazzo: da lì si vede il mare e si vede nelle case e nelle stra- de degli uomini. Lassù l’occhio spazia fino a perdersi, e dove si perde l’occhio anche il cuo- re resta invischiato. Troppo mare si spalanca davanti, spe- cie la notte, quando il mare svanisce e si sente tutto il vuo- to che c’è sotto le stelle. Perché tutto quel nascere ogni mattina? Non ha risposta un ragazzo, a cui fanno più male i petali sfioriti della rosa che le spine e ogni mattina si guarda allo specchio come un naufrago. Si tocca il volto e cerca negli occhi, con il mare incastrato dentro, quel che vi resta di vivo. Di vivo c’è la luce di lei, smagliante nell’ultimo giorno di scuola. La studia co- me le mappe misteriose che da bambino amava contem- plare per disincagliarne teso- ri e isole, navi e onde. Il ragazzo la guarda: è lei a frugargli il cuore, nel groviglio in cui crescono i sogni. Le cose investite di troppa luce proiet- tano altrettanta ombra, ogni lu- ce ha il suo lutto, ogni porto il suo naufragio. Però i ragazzi non vedono l’ombra, preferisco- no ignorarla. Con le mani si copre il volto acerbo, come se si potesse ascoltare un viso con le dita. As- somiglia a un marinaio sul mo- lo, in attesa di un contratto do- po un forzato riposo. La guarda ancora. E ancora. Permette a luce, vento e sale di modellargli la carne e i pensieri. Luce, ven- to, sale facciano di lui quello che vogliono, come da millenni tra- La fissa nella luce di giugno e ha paura, perché è l’ultimo gior- no di scuola e quel giorno tutti hanno nell’anima solo l’estate e le sue fughe, e lui invece mille do- mande. La vita gli pare simile a quelle equazioni del libro di ma- tematica di cui può leggere il ri- sultato in basso a destra, tra pa- rentesi, ma il procedimento non gli riesce mai, e lo preoccupa che meno per meno dia più e meno per più meno. Il meno è sempre di mezzo. Come una sirena, tutto quel mare e tutta quella luce lo incan- tano e senza remissione si lascia irretire dall’incantesimo. Guarda dall’alto, come amano fare i ra- gazzi a quell’età, quando cercano di decifrare il labirinto senza en- trarci dentro. Non ha il filo da di- panare per non smarrirsi nei corridoi delle sue paure. Che ne sanno i ragazzi di come si diventa uomini? Che ne sanno delle istruzioni per l’uso della notte, delle ombre, delle tenebre? I ragazzi si aspettano sempre gioia dalla vita, non sanno che è la vita ad aspettarsi gioia da loro. Lui vorrebbe una vita semplice, ma la vita semplice non è mai sta- ta. Anche se tutti ne godono, ne soffrono, ne parlano, ne scrivono, se ne sa così poco della vita. For- se semplice potrebbe essere lui, e lasciare alla vita il suo labirinto di luce e lutto. La luce sui tetti e il lutto nelle vie, come in un quadro di Cara- vaggio: è la paradossale estetica della città abitata dagli uomini, non adatta a ragazzi presi dall’in- canto. Ignorano il dolore che ci vuole a diventare e quanto corag- gio serve a perdere le illusioni. Il ragazzo lo ignora più degli altri: ha poca carne attorno ai sogni. Per un istante lei smette di incan- tare e incatenare, ha occhi per fissarlo, gelosa, artigli per gher- mirlo, vorace come ogni sirena, quasi a svelare la notte che ce la incastrata nel cuore. La sua città. Palermo. 1993. Come il protagonista, anche D’Avenia ebbe il sacerdote come prof di religione al liceo LA STAMPA A cura di BRUNO VENTAVOLI [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri In questo numero: Anne Rice, intervista con la vampira; Tokyo, lo shopping diventa droga; la precaria trova lavoro in paradiso Siate anarchici inventerete il mondo; Diario di lettura con Sandro Veronesi La Rice torna a raccontare le gesta del Principe Lestat video intervista Donato Carrisi «Il cacciatore del buio»: un sacerdote detective bracca il killer che insanguina il Vaticano http://lastampa.it/tuttolibri NUMERO 1931 - ANNO XXXVIII - SABATO 25 OTTOBRE 2014 Alessandro D’Avenia «Ciò che inferno non è» Mondadori pp. 324, 19 sformano persino la pietra infe- conda degli scogli. Dio gli ha messo in petto il cuore, ma si è dimenticato la corazza. Lo fa con ogni ragazzo e per questo per ogni ragazzo Dio è crudele. Il ragazzo ha diciassette an- ni e la vita da inventare. Di- ciassette non promette buona sorte, persino gli attori sono brutti a diciassette anni e non credono che diverranno belli. Il sangue è caldo e quando pre- me forte sul cuore, si è costret- ti a decidere che farsene. Lui ha tutte le domande, ma le risposte arriveranno quando le avrà dimenticate. Diciassette è un errore di tempistica tra do- manda e offerta. Una lezione che cambia la vita L’ ingresso è son- tuoso. Una fac- ciata in puro barocco sicilia- no viene da di- re, considerata la predile- zione dell’autore per le solu- zioni stilistiche flamboyant e considerati lo splendore fatiscente, la struggente bellezza decadente che bril- lano in ogni angolo dell’inte- ra, imponente architettura narrativa. L’invito a entrar- ALESSANDRA IADICICCO L’ autore da 1 milione di copie Alessandro D’Avenia, (nato a Palermo 1977), insegna Lettere in un liceo. Il suo esordio, «Bianca come il latte, rossa come il sangue», è diventato il libro cult di una generazione; insieme a «Cose che nessuno sa» (entrambi Mondadori) ha venduto 1 milione di copie. Immagini di Don Puglisi, ucciso dalla mafia nel settembre ’93 e beatificato il 25 maggio 2013 sotto il pontificato di Benedetto XVI ALESSANDRO DAVENIA CONTINUA A PAGINA IV

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Page 1: VENIA L’INCIPITDELNUOVOROMANZODID’AVENIA · sua autobiografia, scritta co-meunthriller,checiriportain-dietro fino alla preistoria del-l’high tech, quando di smar-tphonenonvieratracciaeipc

LA STAMPASABATO 25 OTTOBRE 2014 .I

gue e al secondo titolo Coseche nessuno sa – prende tem-po, punta in alto. Crea nel suolettore un’aspettativa pari so-lo alla propria ambizione. Sul-

la soglia, in quel vesti-bolo che precede l’in-cipit della narrazionevera e propria, chia-ma a raccolta i suoiautori, i poeti predi-

letti: Dostoevskij, Rimbaud,T.S. Eliot. Rivolge nella dedi-ca una bellissima strizzatad’occhio ai suoi fratelli.

vi è irresistibile. Da grandeseduttore, da versato mae-stro nell’arte della parolaAlessandro D’Avenia, accin-gendosi a iniziare il suo terzo

romanzo – Ciò che inferno nonè (di cui pubblichiamo sopral’incipit), l’ultima prova che faseguito al best seller Biancacome il latte rossa come il san-

L’INCIPIT DEL NUOVO ROMANZO DI D’AVENIA

Se scegli l’infernohai bisogno di un pretePalermo, estate ’93: un giovane rinuncia a Oxford

per combattere la mafia con Don Puglisi

N ella luce prima,un ragazzo laspia. È immersanell’agguato ven-toso e salato del-

l’alba che si leva ancora vergi-ne dal mare, per tuffarsi poinelle strade avvolte dalla pe-nombra.

Il ragazzo abita in cima a unpalazzo: da lì si vede il mare esi vede nelle case e nelle stra-de degli uomini. Lassù l’occhiospazia fino a perdersi, e dovesi perde l’occhio anche il cuo-re resta invischiato. Troppomare si spalanca davanti, spe-cie la notte, quando il maresvanisce e si sente tutto il vuo-to che c’è sotto le stelle.

Perché tutto quel nascereogni mattina? Non ha rispostaun ragazzo, a cui fanno piùmale i petali sfioriti della rosache le spine e ogni mattina siguarda allo specchio come unnaufrago. Si tocca il volto ecerca negli occhi, con il mareincastrato dentro, quel che viresta di vivo. Di vivo c’è la lucedi lei, smagliante nell’ultimogiorno di scuola. La studia co-me le mappe misteriose cheda bambino amava contem-plare per disincagliarne teso-ri e isole, navi e onde.

Il ragazzo la guarda: è lei afrugargli il cuore, nel groviglioin cui crescono i sogni. Le coseinvestite di troppa luce proiet-tano altrettanta ombra, ogni lu-ce ha il suo lutto, ogni porto ilsuo naufragio. Però i ragazzinon vedono l’ombra, preferisco-no ignorarla.

Con le mani si copre il voltoacerbo, come se si potesseascoltare un viso con le dita. As-somiglia a un marinaio sul mo-lo, in attesa di un contratto do-po un forzato riposo. La guardaancora. E ancora. Permette aluce, vento e sale di modellarglila carne e i pensieri. Luce, ven-to, sale facciano di lui quello chevogliono, come da millenni tra-

La fissa nella luce di giugno eha paura, perché è l’ultimo gior-no di scuola e quel giorno tuttihanno nell’anima solo l’estate e lesue fughe, e lui invece mille do-mande. La vita gli pare simile aquelle equazioni del libro di ma-tematica di cui può leggere il ri-sultato in basso a destra, tra pa-rentesi, ma il procedimento nongli riesce mai, e lo preoccupa chemeno per meno dia più e menoper più meno. Il meno è sempredi mezzo.

Come una sirena, tutto quelmare e tutta quella luce lo incan-tano e senza remissione si lasciairretire dall’incantesimo. Guardadall’alto, come amano fare i ra-gazzi a quell’età, quando cercano

di decifrare il labirinto senza en-trarci dentro. Non ha il filo da di-panare per non smarrirsi neicorridoi delle sue paure.

Che ne sanno i ragazzi di comesi diventa uomini? Che ne sannodelle istruzioni per l’uso dellanotte, delle ombre, delle tenebre?I ragazzi si aspettano sempregioia dalla vita, non sanno che èla vita ad aspettarsi gioia da loro.Lui vorrebbe una vita semplice,ma la vita semplice non è mai sta-ta. Anche se tutti ne godono, nesoffrono, ne parlano, ne scrivono,se ne sa così poco della vita. For-se semplice potrebbe essere lui, elasciare alla vita il suo labirinto diluce e lutto.

La luce sui tetti e il lutto nellevie, come in un quadro di Cara-vaggio: è la paradossale esteticadella città abitata dagli uomini,non adatta a ragazzi presi dall’in-canto. Ignorano il dolore che civuole a diventare e quanto corag-gio serve a perdere le illusioni. Ilragazzo lo ignora più degli altri:ha poca carne attorno ai sogni.Per un istante lei smette di incan-tare e incatenare, ha occhi perfissarlo, gelosa, artigli per gher-mirlo, vorace come ogni sirena,quasi a svelare la notte che ce laincastrata nel cuore.

La sua città.Palermo.1993.

Come il protagonista, ancheD’Avenia ebbe il sacerdotecome prof di religione al liceoLA STAMPA

A cura diBRUNO VENTAVOLI

[email protected]/tuttolibri

Inquestonumero:AnneRice,intervista

conlavampira;Tokyo, loshopping

diventadroga;laprecariatrova

lavoroinparadiso

Siateanarchiciinventereteilmondo;

Diariodi letturaconSandro

Veronesi

La Rice torna a raccontarele gesta del Principe Lestat

videointervista

Donato Carrisi«Il cacciatore del buio»:un sacerdote detective

bracca il killerche insanguina

il Vaticanohttp://lastampa.it/tuttolibri

NUMERO1931 - ANNO XXXVIII - SABATO 25 OTTOBRE 2014

AlessandroD’Avenia«Ciò che

inferno non è»Mondadori

pp. 324, � 19

sformano persino la pietra infe-conda degli scogli. Dio gli hamesso in petto il cuore, ma si èdimenticato la corazza. Lo facon ogni ragazzo e per questoper ogni ragazzo Dio è crudele.

Il ragazzo ha diciassette an-ni e la vita da inventare. Di-ciassette non promette buonasorte, persino gli attori sonobrutti a diciassette anni e noncredono che diverranno belli.Il sangue è caldo e quando pre-me forte sul cuore, si è costret-ti a decidere che farsene.

Lui ha tutte le domande, ma lerisposte arriveranno quando leavrà dimenticate. Diciassette èun errore di tempistica tra do-manda e offerta.

Unalezionechecambia lavita

L’ ingresso è son-tuoso. Una fac-ciata in purobarocco sicilia-no viene da di-

re, considerata la predile-zione dell’autore per le solu-zioni stilistiche flamboyante considerati lo splendorefatiscente, la struggentebellezza decadente che bril-lano in ogni angolo dell’inte-ra, imponente architetturanarrativa. L’invito a entrar-

ALESSANDRA IADICICCO

L’autore da 1 milione di copieAlessandro D’Avenia, (nato a Palermo 1977), insegnaLettere in un liceo. Il suo esordio, «Bianca come illatte, rossa come il sangue», è diventato il libro cult diuna generazione; insieme a «Cose che nessuno sa»(entrambi Mondadori) ha venduto 1 milione di copie.

Immagini di Don Puglisi, ucciso dalla mafia nel settembre ’93 e beatificato il 25 maggio 2013 sotto il pontificato di Benedetto XVI

ALESSANDRO D’AVENIA

CONTINUA A PAGINA IV

Page 2: VENIA L’INCIPITDELNUOVOROMANZODID’AVENIA · sua autobiografia, scritta co-meunthriller,checiriportain-dietro fino alla preistoria del-l’high tech, quando di smar-tphonenonvieratracciaeipc

IV .

A leggerla tutta d’un fiato si direbbe quasiuna spy-story di marca cyberpunk. E, di-fatti, le odissee recenti degli hacker più fa-

mosi si configurano come una sorta di noir po-stmoderni. In più, qui ci sono un linguaggio da ge-nere hard boiled (gli agenti federali corrispondo-no ai «ragazzi che potevano mettermi da un mo-mento all’altro le manette ai polsi», mentre i poli-ziotti sono, naturalmente, gli «sbirri») – reso mol-to bene dal coautore, il giornalista scientifico (ebiografo di Steve Jobs) William L. Salmon – e, so-prattutto, la primogenitura della «categoria».Perché l’americano Kevin D. Mitnick (classe 1964)– conosciuto sul web come il «Condor» – rappre-senta il pioniere dell’hackeraggio e, dunque, unautentico archetipo di quella che è divenuta una

figura tutt’altro che seconda-ria dell’immaginario contem-poraneo.

Il fantasma nella rete è lasua autobiografia, scritta co-me un thriller, che ci riporta in-dietro fino alla preistoria del-l’high tech, quando di smar-tphone non vi era traccia e i pcerano presenti nelle case dipochi. Alle origini di questastoria (emblematica di un fe-nomeno nel quale si mescola-no impressionanti capacitàtecniche, stili di vita, contro-cultura informatica, ribellisticiardori giovanili, e volontà disovversione), nei primissimianni Ottanta, c’è un nerd im-bottito di junk food che ha vio-

lato i sistemi di sicurezza di alcuni santuari del po-tere politico ed economico Usa – sempre, parolesue, «per divertimento» (e per aumentare le pro-prie dosi di adrenalina), e «non per soldi». Ancoraminorenne, a 17 anni, Mitnick riceve una condan-na, la prima di una serie nutritissima che lo faràinserire dall’Fbi nella lista dei «criminali più ricer-cati» e lo porterà a una vita di incarcerazioni e lati-tanze. Nel corso degli anni, infatti, il principe deglihacker, combattendo la sua personale battaglianei confronti del sistema delle corporation daeroe romantico della «spaccata informatica» (oDavide contro i Golia multinazionali), forzerà icomputer di Arpanet, Digital Equipment Cor-poration, Sun, Motorola, Netcom, Apple e va-rie altre grandi compagnie. E contestualmente,in un gioco di specchi anamorfici e di «profezieche si autoavverano», si alimenterà il «mito diKevin Mitnick», al punto da attribuirgli azionidi cui non portava responsabilità – come un fal-so comunicato stampa sulle perdite rovinosedella Security Pacific National Bank (dalla qualeera stato selezionato per un’assunzione chenon arrivò mai dopo la scoperta del suo «vizietto»di hacker), o le intrusioni nei server della Nsa.

Nel gennaio del 2000 si chiudono definitiva-mente dietro di lui queste sliding doors delle gale-re californiane, e l’hacker (allora) più inseguito delVillaggio globale inizia una nuova vita, nella qualeha compiuto la scelta dell’«hacking etico» ed èpassato dall’altra parte, mettendosi al servizio, daconsulente, di numerose aziende per testarne egarantirne la tecno-sicurezza. Giacché, dopo ilmomento dell’epica, come in ogni romanzo diformazione che si rispetti, arriva quello della re-denzione.

MASOLINO D’AMICO

MASSIMILIANO PANARARI

KevinD. Mitnick

WilliamL. Salmon

«Il fantasmanella rete»Feltrinelli

pp. 410, � 20

C os’hanno nella te-sta quelle frotte dituristi giapponesiche spesso igno-rando o limitando-

si a fotografare in fretta i mo-numenti vediamo precipitarsia testa bassa nei negozi dellegrandi etichette - Gucci, Ar-mani, Prada e via dicendo? Acapirli un po’ ci aiuta l’intelli-gente, sottile, argomentata e inultima analisi abbastanza ag-ghiacciante confessione di unadi loro, nei cui panni si cala Ra-dhika Jha, indiana che ha vis-suto a Tokyo molti anni e cheha tratto il suo materiale an-che da molte conversazionicon signore di lì.

La monologante è dunquetale Kayo, il racconto della cuivita comincia con lei ragazzet-ta di estrazione modesta e dipersona non particolarmenteappariscente, a parte due volu-minose poppe che alla bisognasi riveleranno di imprevistautilità. Al liceo Kayo ammiraincondizionatamente una suagrande amica e coetanea, To-moko, che straordinariamenteavvenente e fascinosa. Le duesi perdono di vista quandoKayo sposa, giovanissima egrazie a quelle poppe, un im-berbe adolescente, e mette sucasa con costui, tirando la cin-ghia agli inizi. Poi però lui, chelavora sodo in banca - sono an-cora gli anni del boom - comin-cia a cavarsela, e la coppia, nelfrattempo diventata quartettocon l’arrivo di due marmocchi,mena vita tranquilla. Kayo pe-rò, che non ha risorse interiori,né cultura, né passioni, né ami-cizie, è pervasa da una vaga in-soddisfazione che combattequasi senza rendersene contocomprandosi qualche accesso-rio di cui non avrebbe bisogno.

La svolta nella sua vita av-viene mediante un incontrocasuale con Tomoko, che le ap-pare in una strada di Tokyo,elegante e misteriosa comeuna dea. Tomoko commentacon qualche compassione laborsetta di Louis Vuitton di cuiKayo va fiera: sì, è chic, ma cel’hanno tutte. Impietosita dallagoffa amica, Tomoko allora sela trascina dietro in un eserci-zio davvero di classe e la rive-ste da capo a piedi di capi fir-mati: un regalo di nozze in ri-tardo. Abbacinata dal mondoche le si rivela, riverita dallecommesse, da quel momento

Kayo capisce di non poter più fa-re a meno di quella droga. Leg-ge, anche, su una rivista femmi-nile che per essere felice unadonna deve gratificarsi almenouna volta al giorno. Ben presto ilsuo hobby diventa dipendenza.Kayo comincia a frequentare lesvendite esclusive delle grandicase, dove le privilegiate che sisono fatte mettere sulla lista de-gli invitati si accapigliano perstrapparsi le occasioni piùghiotte. Può contare sul mensilerelativamente ampio che il ma-rito le passa, ignorando cheKayo ha anche ricevuto, unatantum, una certa somma dasua madre. Ma i tossici non fan-

no calcoli, e ben presto Kayo sitrova pesantemente indebitatacon la banca. Purché il maritonon lo scopra, va da uno strozzi-no e rimborsandolo a rate riesce

faticosamente a riequilibrare ilconto; ma ecco che il Giappone,così trascurato in quell’orgia diDolce e Gabbana, Ferragamo,Versace, si riaffaccia quando ledamine snob che Kuyo adessofrequenta la invitano a una cola-zione dove ci si dovrà mettere

un kimono, indumento che laparvenue non possiede e che sa-rebbe degradante, in quel con-testo, affittare.

Un kimono adeguato costa ildoppio del debi-to appena sal-dato. Kuyo ri-piomba neiguai, e per ri-sarcire lo stroz-

zino anche stavolta dovrà ricor-rere proprio a quelle preziosetette... Ma non è una storia chepuò finir bene, e infatti bene nonfinisce, con un purgatorio per lapovera Kuyo di crudeltà dolce eraffinata, non meno orientale diquel kimono.

IL DOLENTE RITRATTO DI UNA GIAPPONESE

Lo shopping a Tokyoè una droga griffataLe confessioni di una maniaca degli acquisti:dai piaceri della moda alle grinfie degli strozzini

Il piccolo prete che travolgeva il mondoGli insegnamenti di Don Puglisi, dalle macerie di Brancaccio alla fiction romanzesca

Appone iscrizioni, evocazioni,avvertimenti – tremendo efatale quello del Genio di una

città che «divora i suoi figli e nutregli stranieri» - che lasciano ben ca-pire come, una volta entrati, si assi-sterà a qualcosa di grandioso e didrammatico. Anche a un che di do-

lorosamente personale. Poi, con ungesto, spalanca una porta finestraaffacciata sul mare. Ed è una venta-ta di luminosa aria estiva, un tripu-dio di sole, zagara e sale a riportarecon tutti i cinque sensi nella Paler-mo del 1993 in cui, in quel magico ar-co di tempo sospeso che corrispon-de, per chi andava a scuola, a unavacanza, tutto si svolse.

Nell’estate del ’93 - quella succes-

siva all’assassinio di Falcone e Bor-sellino e precedente l’altro grandemartirio annunciato, quello di DonPino Puglisi - D’Avenia aveva lastessa età del suo protagonista: «di-ciassettanni tuttattaccato». Il suonome, A-les-san-dro, ha la stessaaura antica e imperiale e lo stessonumero di sillabe di quello del gio-vane eroe, Fe-de-ri-co, di cui cono-sce fin troppo bene timori e deside-

ri, potenzialità e sogni. I due, tra l’al-tro, hanno frequentato le stessescuole. Quella, affatto privata, delleletture coltivate con un gusto tuttospeciale, con un’attenzione squisi-tamente poetica per le parole: «pa-role che mettono l’àncora alle co-se», «che infilzano la realtà», «paro-le levigate fino alla trasparenza, es-senziali come diamanti ripuliti dimateria». E il liceo classico Vittorio

PEARL S. BUCK: IL LIBRO NASCOSTO DEL NOBEL

Il bambino prodigiocerca la meraviglia

C’ è un inizio folgorante che si svela solo colpassare delle righe e dei paragrafi, in cui ilvenire al mondo è descritto con una ricchez-

za di dettagli, una presenza di percezioni davvero for-midabili. Sarà perché il nascituro è un bambino spe-ciale, che ha un modo di stare al mondo sempre vigile.Infatti a tre anni saprà leggere e scrivere, a dodici sie-derà sui banchi dell’università, prima dei diciotto di-

venterà uno scrittore di fama che si destreggia mira-bilmente nell’alta società internazionale, che ama edè amato e sa fare le sue scelte con una competenza dalunga vita.

Ma, seppure giovanissimo, è un uomo capace diaffrontare le difficoltà e soprattutto la perdita degliaffetti: il padre muore che lui è ancora un bambino. Ein fondo alla storia perderà ancora qualcuno di moltoimportante per lui, che ovviamente non va svelato,ma la cui assenza non lo priva di quell’amore per lavita e quell’Eterna meraviglia che è la definizione piùcalzante di tutta la parabola contenuta nel romanzoche porta questo titolo.

La storia di questo libro è già di per sé un romanzo,così come si racconta nella introduzione di Edgar Wal-sh. L’ultimo libro della grande scrittrice americana Pe-arl S. Buck (1892-1973), premio Nobel per la letteratu-

Radhika Jha«Confessioni

di una vittimadello shopping»

(trad. AlfonsoGeraci)Sellerio

pp. 254, Ä 16

LUCAS VALLECILLOS /MARKA

KEVIN MITNICK, IL PRINCIPE DEGLI HACKER

Nessun computermi poteva resistere

ELENA LOEWENTHAL

ALESSANDRA IADICICCOSEGUE DAPAGINA I

Autobiografia

Dal

l’Am

eric

a

La lenta discesa in un purgatoriodi crudeltà dolci e raffinatesegnato dalla potenza del denaroRadhika Jha,

nata a Delhi,ha vissuto

sei anni a Tokyo.Tra i suoi libri

in Italia, «Il donodella dea»e «L’odore

del mondo»(Neri Pozza)

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LA STAMPASABATO 25 OTTOBRE 2014 .V

LE «LEZIONI» UMORISTICHE DI BARTOLOMEI

E la precariainfine trovò lavoro(in paradiso)Una disoccupata cronica passa a miglior vitae ottiene un posto da angelo custode di un farabutto:ma anche l’Aldilà è pieno di inefficienze e intrighi

S econdo la teoria dellacausalità di Granger,premio Nobel perl’economia negli anni’90, un comporta-

mento A può essere individua-to come causa di un altro com-portamento B se la storia di A(ovvero quello che è successonel tempo che precede il mo-mento che stiamo consideran-do) descrive meglio il momen-to attuale di B che non la storiadi B stesso. Detto in altri ter-mini, se il comportamento Asono le ore di allenamento diun maratoneta e il comporta-mento B è alzare le braccia insegno di vittoria, la probabilitàdi indovinare se oggi l’atletavincerà la gara è molto più altase guardiamo quanto si è alle-nato, e non quante volte havarcato l’arrivo a braccia alza-te. Se non si è più allenato dal-l’ultima gara, addio.

Seguendo la stessa logicaCostanza, la protagonista diLezioni in Paradiso, assegnatacome angelo custode di Goffre-do, si rende conto piuttosto su-bito che il suo diletto (ovvero ilcustodito) è uno stronzo senzapari. Costanza, che ha trovatoposto in paradiso come angelodopo una vita breve ma preca-ria sulla terra, sa che difficil-mente i comportamenti di unapersona sono causa dell’esserefarabutti, e che di solito la tran-sizione da bambino qualunquea fetente corazzato avviene neltempo e grazie alla sinergia dimotivi esterni. E, pragmaticacome solo una femmina, deci-de di scoprire quali siano lecause in questione, per poipassare al contrattacco. Tuttoquesto non senza alcune per-plessità dei suoi compagni dibeatitudine eterna, i quali sonostati addestrati a badare alproprio assistito in modo, di-ciamo così, standard, princi-palmente con preghierine epose estatiche, al massimo unapedata nel sedere in casi di pe-ricolo di morte imminente enon autorizzata dal diretto su-periore; sono queste, tra l’al-tro, le parti più godibili del li-bro, specialmente il genialeespediente grazie al quale gliangeli custodi parlano tra lorosenza poter essere intercettatidall’altissimo datore di lavoro.

Una volta scoperto, graziealle proprie doti soprannatu-rali, che il Goffredo in questio-ne è un bastardo nel presente

anche a causa di quello che al-tri gli hanno fatto passare nelpassato, Costanza tenterà dirimediare. Il tentativo, volen-teroso ma lievemente malde-stro, porterà con sé parecchieconseguenze, non tutte volon-tarie, non tutte negative.

Con questo breve romanzo,

Bartolomei traccia una effica-ce allegoria del male di vivereche trova modo prima o poi diaffliggere gran parte degli es-seri umani, del suo spesso in-comprensibile insorgere, e dicome sovente, anche se nonsempre, se ne esce; perché ilracconto, anche se nella sua in-negabile amarezza di fondo, al-la fine si rivela pieno di speran-za, del tipo di speranza che ciassale quando ci rendiamoconto che abbiamo guardato lecose con uno strumento sba-gliato, usando un cannocchialeper valutare la dimensione del-la vasca di escrementi nellaquale stiamo annegando. Veroè che, anche senza cannocchia-le, la chimica della situazionerimane invariata, ed il guanoresta guano; però, una cosa èun oceano, e una cosa è una pi-scina. E allora, non senza soffe-renza, ed imbrattandosi maga-ri un po’, è possibile pensare dicominciare a nuotare.

Una volta individuata lacausa, che è necessariamentenel passato, l’unica cosa da fa-re è intervenire nel presente,perché il passato non si cam-bia più; è una illusione cogniti-va nella quale non di rado tro-viamo il modo di affogare. E af-finché il presente diventi a suavolta un passato efficace, è ne-cessario comportarsi in modoadeguato giorno dopo giorno.Perché, ci dice Bartolomeid’accordo con Granger, una se-rie temporale, un succedersicontinuo e perseverante dicomportamenti, è l’unico mo-do per renderlo causa di unavita serena.

MARCO MALVALDI

ra nel 1938, era rimasto a lungo nascosto in un ma-gazzino di Fort Worth, in Texas. Buck l’aveva scritto aDanby, nel Vermont, dove aveva trascorso i suoi ultimianni, e di lì il manoscritto era stato chissà come trafu-gato, fino al suo ritrovamento e riscatto nel 2012.

E’ certamente un libro diverso dagli altri. Un po’perché è in fondo un romanzo incompiuto, non finitoanche se ben orchestrato. Ma soprattutto perché nonritroviamo qui la Buck de La Buona terra e di tutti i suoilibri ambientati in una Cina rimasta ferma nel tempo,lontana da tutto, esotica come nessun altro posto almondo eppure profondamente vicina nella sua uma-nità. In Un’Eterna Meraviglia l’Oriente è un’eco cheritorna, è l’avventura militare e politica che il giovaneRann attraversa in Corea e da cui trarrà materiale per ilsuo best seller (almeno qui chiaro alter ego maschiledella scrittrice, della sua folgorante carriera lettera-

ria). L’Oriente è il luogo d’origine ma anche quello do-ve non si torna più. Buck ha vissuto tanti anni in Cina,al seguito dei genitori missionari della Chiesa presbi-teriana, e vi è tornata anche da adulta. Ha saputo met-tere insieme etnografia e narrazione, ha raccontatoquel mondo con passione ed equilibrio: soprattutto ledonne, con i loro piedi stretti nelle fasce, i loro silenzi,la fatica di vivere giorno per giorno.

Un’Eterna Meraviglia è dunque un libro un po’ ati-pico, ambientato fra l’Europa e l’America, ricco di av-venture, anche erotiche, generoso di dettagli sul jetset, pieno di colpi di scena. Il protagonista ispira am-mirazione ma talvolta anche tenerezza. E’ anni lucedistante dai luoghi e dalle anime dei suoi romanzimaggiori, ma per chi ha amato Pearl S. Buck ed è cre-sciuto con la sua Cina tanto esotica quanto coinvol-gente, sarà un’emozione ritrovarla qui.

Pearl S. Buck«Un’eterna

meraviglia»(traduzione di

Katia Bagnoli)Mondadoripp. 257, Ä 18

FabioBartolomei«Lezioni inparadiso»

E/0pp. 139, Ä 15

Fabio Bartolomei,pubblicitario e sceneggiatore,vive a Roma. Ha pubblicatoda E/O «Giulia 1300 e altrimiracoli» (da cui Edoardo DiLeo ha tratto un film conArgentero, Amendola, AnnaFoglietta), «La banda degliinvisibili» e «We are family»

Emanuele II dove Padre Pino Pugli-si, dai suoi alunni affettuosamentedetto «3P», insegnava religione.Quanto la sua lezione fosse irriduci-bile ai programmi didattici lo dimo-stra la forza travolgente dell’inse-gnamento che il piccolo prete – mi-nuto, stempiato, sparuto, alto pocopiù dei bambini randagi su cui ve-gliava nei sobborghi malfamati diBrancaccio – seppe portare fuoridalle aule dell’istituto dentro lestrade, oltre la fine dell’anno scola-stico dentro l’estate: a costo, per ipiù innamorati – come Federico –,di rinunciare alle vacanze e a un belviaggio studio in Inghilterra. Quan-to bene quella lezione – la lezione

della carità cristiana, ovvero del-l’amore, del coraggio che anchedentro l’inferno sgorga semplice-mente dal cuore – sia stata appresae assimilata dagli allievi più sensibilie attenti, lo dimostra il ritratto vivo,profondamente umano, commo-vente, affascinante, che del maestroFederico e Alessandro riescono adipingere evitando gli stereotipidell’agiografia e della predicazione.

«Se nasci all’inferno hai bisognodi vedere un frammento di ciò cheinferno non è». Accostandosi a DonPino, accettando o decidendo spon-taneamente di seguirlo fuori dalquartiere bene dov’è cresciuto, den-tro la periferia di Brancaccio, Fede-

rico l’inferno lo scopre. E a che gliserve andare fino a Oxford a studia-re l’inglese quando non conosce l’al-tra faccia, o il vero volto della suacittà? Dentro quella fisionomia di-storta, offesa, sfigurata, Don Pinogli indica i segni della dignità. E Fe-derico, aperti gli occhi, vi scorgeperfino la bellezza. Ma non c’è im-magine bella che non risalti, radio-sa, dall’ombra. Che non risplendaspiccando sul buio che la minaccia…

La fine della storia di Don Pino èben nota. E lo stesso Don Pino, almomento dello sparo che a fineestate lo freddò il giorno del suocompleanno – il 15 settembre –, ave-va ammesso sorridendo: «me

l’aspettavo». Eppure non c’è unasua mossa o espressione – dalle tro-vate che sapeva escogitare in classeconquistando immancabilmente glistudenti, alla mano che tendeva peraccompagnare una madre mino-renne o un’orfana bambina, fino aquell’ultimo sorriso spiazzante per-fino per un sicario mafioso – chenon appaia come un dono o una sor-presa. C’è solo una cosa che nonstupisce. Che Alessandro D’Avenia,dopo aver studiato con lui, da scrit-tore acclamato a vent’anni di di-stanza ripensi ancora al suo profes-sore. E che, seguendo i suoi passi,nella vita abbia pure deciso di farel’insegnante.

Viviani, i compitiche “fanno” l’uomo

Ho sempre pensato che sapiente e retto siachi «pensa quello che dice e dice quelloche pensa», caratteristiche che solo

raramente si fanno buona compagnia. Ritengoinfatti che «pensare» sia indispensabile – al di làdi qualunque appartenenza religiosa o di orien-tamento filosofico – al cammino di umanizzazio-ne che ciascuno di noi è chiamato a compiere eche, d’altro canto, sia fondamentale comunicareil frutto del proprio pensiero per contribuirealla comune crescita umana, etica e spirituale.

Non posso quindi che rallegrarmi per lapubblicazione di un volume come quello diCesare Viviani (Non date le parole ai porci, IlMelangolo, pp. 144, Ä 13) in cui ci viene offerto undistillato di «prove di libertà di pensiero su cosedella mente e cose del mondo». Questi breviscritti – raccolti in due sezioni (Lemmario eDiario e Pensieri e Aforismi) e ordinati in ordinecronologico inverso, così da poter risalire dalla

consapevolezza più recen-te alle riflessioni che l’han-no originata – comunicanoun’autentica arte di stareal mondo, di attraversarlomagari anche andandocontrocorrente, di apprez-zarlo nei suoi aspetti menoevidenti ma più eloquentiper chi li sappia cogliere.

Il titolo ci mette subitoin guardia: esistono «porci» cui non bisognadare le parole perché le usano «solo come stru-menti utili ai propri interessi» e «ne fanno unpastone per riempirsi l’addome». Le paroleofferteci da Viviani invece sono ingredienti perun pasto prelibato o, a volte, farmaci amari cheperò fanno ritrovare la salute dello spirito. Misoffermo su una sequenza dedicata ai «compi-ti», perché mi riconduce alla rude sapienza dellagenerazione che mi ha preceduto e che mi hainsegnato a «fare il proprio dovere, crepare, maandare avanti». Il nostro poeta ci ricorda che «ladomanda che ci accompagna e ci pungola tuttala vita è quella dei genitori: Li hai fatti i compi-ti?». Infatti, «non sono gli esami, ma i compiti anon finire mai. Eppure l’uomo senza i compiti sisente perso». Così l’autore confessa: «Più vadoavanti con l’età e più mi rendo conto che le miemigliori energie sono dedicate allo svolgimentodei compiti». Fatica vana e inesauribile, allora,quella che occupa le nostre esistenze? Nienteaffatto, se compito del poeta e di chiunque ac-cetti di condividere ciò che pensa è quello difarci scoprire ciò che non vorremmo riconosce-re: che «tutti dobbiamo chiedere perdono pernon aver amato abbastanza», per esempio.Oppure che «perdonare vuol dire capire il dolo-re dell’aggressore». Se poi pensate che in certicasi non ci possa essere spazio per il perdonoperché non c’è «cosa peggiore di un grave erro-re», sappiate che il peggio esiste, è «un giudiziosevero, duro, impietoso sul grave errore».

Leggere queste pagine anche a spezzoni –guardatevi per esempio «i dieci comandamenti»parafrasati in modo laico alle pp. 50-51 – viconvincerà che contribuire a rendere se stessi eil mondo più umani non è utopia, bensì «compi-to» quotidiano che attende ciascuno, fino allafine della propria vita.

Lontano e vicinoENZO BIANCHI

Pearl S. Buck(1892 – 1973)

oltre al Pulitzer(per «La buona

terra»,diventato film

direttoda SidneyFranklin)

ha vinto il Nobelnel ’38.

Tra romanzi,saggi, biografie,

racconti, libriper l’infanzia

ha lasciatooltre 80 opere