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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA” FACOLTÀ DI INGEGNERIA DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE Appunti del Modulo di VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE Parte INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO Tratti dal Manuale per il Progetto delle Infratrutture Stradali Redatto dal Prof. Ing. Renato Lamberti Anno accademico 2004-2005

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI

ROMA “TOR VERGATA” FACOLTÀ DI INGEGNERIA

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA CIVILE

Appunti del Modulo di

VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE

Parte

INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO

Tratti dal Manuale per il Progetto delle Infratrutture Stradali

Redatto dal Prof. Ing. Renato Lamberti

Anno accademico 2004-2005

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CAPITOLO DUE - RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO

2.1 Cartografia ufficiale

Il territorio nazionale italiano è coperto da un rilievo topografico, redatto inizialmente per scopi militari dall'Istituto Geografico Militare (IGM), che ne cura tutt'ora l'aggiornamento.

La cartografia, in stampa a quattro colori, viene distribuita dall'IGM, censurata di tutti gli elementi di valore strategico; il suo elemento base è il "Foglio", in scala 1/100.000, che rappresenta un trapezio ellissoidico delimitato da archi di parallelo di ampiezza 30' (che ne costituiscono i margini superiore ed inferiore) e da archi di meridiano di ampiezza 20' (che ne costituiscono i margini laterali): l'orientamento è con il nord verso l'alto.

L'intero territorio italiano è coperto da 277 fogli (fig. 2.1.1). Nella rappresentazione la superficie del geoide viene resa sul piano del

Foglio attraverso una proiezione delle coordinate geografiche IGM40 sull’ellissoide internazionale (Hayford), orientato su Roma M. Mario, secondo le acquisizioni della carta di Gauss (coordinate Gauss-Boaga): ciascun Foglio risulta così sviluppato in un trapezio isoscele di altezza pressoché costante di circa 37 km e basi variabili fra circa 38 km (all'estremo nord Italia) e circa 45 km (all'estremo sud Italia). L'errore massimo sulle distanze risulta del 4/10.000 (in riduzione al centro delle carte ed in aumento ai margini).

L'I.G.M. ha suddiviso i Fogli in "Quadranti", che ha distribuito in commercio in forma cartacea in scala 1/50.000; i Quadranti sono individuati dal numero del foglio di appartenenza, seguito da un numero romano

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I, II, III, IV (a partire da quello in alto a destra e procedendo in senso orario). Questa cartografia, da tempo irreperibile, non è stata più aggiornata da molti decenni.

Fig. 2.1.1 Suddivisione della carta d'Italia alla scala 1:100.000

Per i progetti infrastrutturali la scala 1/100.000 è raramente utile, se non come base per carte tematiche a scala territoriale (come sarà precisato nel seguito); l'aggiornamento, d'altronde, è scadente ed è stato sospeso da alcuni decenni, allorché si è intrapresa una nuova restituzione. Infatti è stata messa in produzione una nuova Carta d'Italia in scala 1/50.000, di taglio aderente al

sistema unificato europeo ED 50, secondo il quale ciascuna carta, resa

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nella rappresentazione del sistema nazionale Gauss-Boaga a cinque colori, è delimitata dalle trasformate di paralleli e meridiani aventi una differenza in latitudine di 12' ed in longitudine di 20'. (fig. 2.1.2)

Fig. 2.1.2 Suddivisione della carta d'Italia in scala 1:50.000 nel sistema unificato europeo ED 50

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Quest’ultima è spesso utile per studi di fattibilità di infrastrutture di notevole impegno territoriale, unitamente ad un'altra serie di carte, in scala 1/25.000, prodotta e diffusa sempre dall'I.G.M.. Queste ultime carte, denominate "Tavolette", sono estratte per quartatura dai Quadranti 1/50.000 (serie, derivata dai Fogli in scala 1/100.000, non più in produzione), di cui assumono la denominazione, seguita da NO (Nord-Ovest), SO (Sud-Ovest), SE (Sud-Est) ed NE (Nord-Est), che ne individua la collocazione (fig. 2.1.3).

FOGLIO AL 100 . 000

IV

QUADRANTE

I

III II

SUDDIVISIONEDELLE

TAVOLETTEAL 25.000

NO NE

SO SE

AL 50.000

Fig. 2.1.3 Suddivisioni del foglio alla scala 1:100.000 della carta d'Italia

Anche per le Tavolette l'aggiornamento (la cui data è riportata sul

margine di ciascuna di esse) è insoddisfacente; d'altra parte l'interesse strategico che indusse l'I.G.M. a compilarle è di molto ridotto dai mezzi ben più sofisticati disponibili attualmente per il controllo continuo del territorio; invero, grazie all'impegno di altri enti civili (prevalentemente le Regioni), sono stati registrati su di esse (con diversa evidenza tipografica) gli aggiornamenti più rilevanti: le Tavolette così integrate sono spesso utilizzate dal progettista infrastrutturale per i suoi scopi.

In tutta la descritta cartografia ufficiale la rappresentazione altimetrica del suolo è resa con curve di livello ad equidistanza corrispondente (in metri) ad 1/1000 del denominatore della scala.

In forma simbolica sono riportate varie ed interessanti informazioni sull'uso del suolo, sulle infrastrutture esistenti ecc; molto utili risultano altresì alcune informazioni sulla toponomastica.

Da tutt'altra finalità ha avuto origine un'altra serie cartografica ufficiale, disponibile per l'intero territorio nazionale: la carta catastale.

Gli scopi primari di questa cartografia sono: - definizione dei limiti di proprietà del suolo; - registrazione dell'uso dello stesso, a fini fiscali; - individuazione dei manufatti sul territorio.

Nondimeno le carte catastali hanno anche qualche utilità per il progettista infrastrutturale, che verrà chiarita nel seguito; possono

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essere acquisite (di norma in scala 1/4000 e 1/2000 per le zone rurali ed 1/1000 per quelle urbanizzate) presso gli uffici periferici del Ministero delle Finanze (Uffici Tecnici Erariali - UTE).

La proiezione in piano per la costruzione delle carte catastali si è avvalsa del sistema “afilattico” Cassini-Soldner, che consente di ridurre l'errore nel calcolo delle superfici, ma richiede una trasformazione delle coordinate (ben nota ai topografi) per trasferire le sue informazioni sulla cartografia tecnica, o viceversa.

Le carte catastali esistenti forniscono una rappresentazione esclusivamente planimetrica, senza alcuna indicazione di quote; inoltre la stessa simbologia, salvo quella strettamente attinente al regime proprietario dei suoli (confini e numerazione delle particelle, riferita ad un archivio delle generalità del proprietario), è tanto scarna da renderle pressoché inservibili per il riconoscimento del territorio (strade, fossi ecc.). L'aggiornamento viene compiuto trasferendovi periodicamente (alla presa in carico dell’atto di compravendita) i tipi di frazionamento, che accompagnano i passaggi di proprietà di porzioni di particella; contemporaneamente, mediante voltura, viene registrata nell’archivio la nuova intestazione della ditta. La periodicità della registrazione degli aggiornamenti e dell’accertamento d’ufficio delle variazioni nella destinazione d'uso tende ad allungarsi con l'accrescersi del carico di lavoro degli uffici ed il decrescere della loro efficienza: anche per le carte catastali, in definitiva, la condizione attuale è largamente insoddisfacente e crea non pochi problemi al progettista infrastrutturale, oltre che danni erariali.

Nondimeno per il catasto è in corso da anni una ristrutturazione, al termine della quale il rilievo sarà reso disponibile in forma numerica, aggiornabile in tempo reale, e conterrà anche alcune indicazioni altimetriche.

Come è facile desumere dalle brevi precedenti note, la condizione della cartografia ufficiale italiana è carente sia sotto il profilo delle scale di rappresentazione, che risultano utili solo per informazioni di ampio respiro, sia (soprattutto) per l'aggiornamento.

In effetti una cartografia è un censimento del territorio a cui essa si riferisce: come tutti i censimenti, ha piena validità nel momento in cui viene eseguita, ma perde con il trascorrere del tempo valore informativo immediato, per trasformarsi in documento storico. Il processo d'invecchiamento è tanto più rapido quanto più sono rilevanti nell’area rappresentata gli effetti indotti da eventi naturali e soprattutto quanto più vivaci sono le iniziative di trasformazione fondiaria, di espansione edilizia, di sviluppo turistico; in definitiva, l’obsolescenza è lenta quando il territorio è in una fase di stabilità (geologica, sociale ed economica), è repentina quando l’area è investita da sensibili dissesti naturali e da un rapido sviluppo antropico.

L'esperienza, recepita anche in documenti internazionali (ad esempio: la risoluzione dell'ONU del 19/2/1948), insegna che l'affidabilità della cartografia disponibile di un paese è un indice sintetico del suo grado di sviluppo sociale, civile ed economico: infatti la possibilità di usufruire di informazioni precise ed immediatamente utilizzabili sulle caratteristiche geografiche, morfologiche e topografiche di un territorio, sulle sue

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risorse naturali ed economiche, sulla sua rete di comunicazioni, sulle industrie e sul grado di antropizzazione è alla base di ogni studio o programma di sviluppo, in particolare nel settore infrastrutturale. Per fortuna la tecnica di rilevamento, su base aerofotografica ed aerofotogrammetrica, si va sviluppando rapidamente, in parallelo ai mezzi tecnici di trattamento dei dati. Ciò consente di abbattere tempi e costi della restituzione cartografica, offrendo l'opportunità agli enti territoriali di programmazione di dotarsi di cartografia tecnica e di curarne l'aggiornamento.

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2. 2 Cartografia tecnica.

Il D.P.R. 15/1/72 n° 8 trasferì alle Regioni a statuto ordinario, fra l'altro, il controllo, la programmazione e la pianificazione del territorio; allo scopo di ottemperare a tale responsabilità solo recentemente quasi tutte hanno ritenuto opportuno farsi carico della redazione di cartografia tecnica (in scala 1/5000 e/o 1/10000) e del suo aggiornamento; già precedentemente una molteplicità di Enti (Comuni, Province, Comunità montane, Consorzi idrici e di bonifica, Autorità di bacino, ecc.), per rispondere alle funzioni territoriali (generali e settoriali) che sono a loro attribuite, avevano programmato ed eseguito rilievi delle aree di competenza, a scala adeguata alle rispettive esigenze (di norma 1/2000 e/o 1/1000); nondimeno questi Enti sono generalmente distratti negli aggiornamenti.

Un prezioso contributo tecnico-scientifico alla standardizzazione della cartografia tecnica ha fornito, fin dal 1935, la Commissione Geodetica Italiana (CGI): allo scopo essa ha formalizzato norme-guida per l’esecuzione ed il collaudo ed un ampio ed utilissimo catalogo dei simboli.

Recentemente le amministrazioni più avvedute, in aggiunta alla cartografia aerofotogrammetrica, ne hanno prodotta e resa disponibile in formato digitale una ortofotografica, che agevola l'aggiornamento e consente l'istituzione e lo sviluppo di veri e propri sistemi informativi territoriali.

Qualunque sia la forma di resa, la cartografia tecnica (di regola) si avvale, quale base documentale, del rilievo aerofotografico; integrazioni, approfondimenti locali o aggiornamenti di documenti esistenti, sono effettuati talvolta con operazioni celerimetriche di campagna.

La copertura fotografica aerea viene eseguita con camere metriche grandangolari istallate su speciali velivoli; questi operano a quota relativa controllata, che determina la scala media del fotogramma e gli altri principali dati metrici (Tabella 2.1) che qualificano la cartografia tecnica.

Di norma la rappresentazione adotta il sistema Gauss-Boaga; nelle recenti applicazioni si usa assumere un taglio conforme al sistema unificato europeo ED 50, basato sulla suddivisione della nuova carta d'Italia in scala 1/50.000: ogni foglio alla scala 1/10.000, denominato "Sezione", è delimitato dalle trasformate di paralleli e meridiani aventi rispettivamente una differenza in latitudine di 3' ed in longitudine di 5' (la Sezione copre 1/16 del quadrante della carta alla scala 1/50.000); ogni foglio alla scala 1/5000, denominato “Elemento”, è un quarto del precedente.

La cartografia ortofotografica (adottata in sostituzione o in aggiunta a quella aerofotogrammetrica), migliorando geometricamente e mantenendo intatto il contenuto originale delle informazioni raccolte dall'aerofotografia, risulta uno strumento di consultazione prezioso, utilizzabile anche come riferimento certo di una situazione fedelmente documentata; è un utile supporto per la progettazione infrastrutturale.

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Tabella 2.1: Dati della ripresa aerea per la cartografia tecnica

Scala della carta

1/5.000 1/10.000

Quota relativa di volo m 2.000 3.000

Scala media dei fotogrammi 1/13.000 1/20.000Dimensione del lato L del quadrato del terreno,

fotografato in un singolo fotogramma m 3.000 4.600 Superficie del terreno compreso in un

fotogramma ha 900 2.100

Ricoprimento longitudinale 60% 60%

Ricoprimento trasversale 20% 20%

Base di presa (b) 1.200 1.850

Intervallo laterale tra gli assi di strisciate contigue (i) m 2.400 3.700

Superficie della zona relativa a un modello (S) ha 360 850

Superficie utile (0,75 S) ha 270 640

Numero di fotogrammi necessari per 100 kmq 35 15

Dimensione lineare del più piccolo particolare riconoscibile nel fotogramma m 0,30 0,50

Precisione della determinazione della quota di un punto m ±0,30 ±0,45

Precisione della determinazione planimetrica di un punto m ±0,20 ±0,35

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2.3 Rilievi topografici “ad hoc” La progettazione infrastrutturale, ha esigenze di dettagliata, aggiornata

ed affidabile conoscenza del territorio: di norma, impone l'esecuzione di rilievi specifici.

Invero lo studio di fattibilità (preliminare all’avvio della fase tecnica della progettazione - Capitolo 4), per scala e dettaglio, frequentemente consente di usufruire di cartografia tecnica disponibile; il progetto preliminare in casi sporadici può essere redatto su cartografia esistente o sviluppabile da avioriprese disponibili, a condizione che questo materiale sia in scala adeguata alle esigenze tecniche, nonché che sia sufficientemente aggiornato in relazione alla dinamica urbanistica del territorio; molto più spesso è necessario produrre “ad hoc” tanto la ripresa aerea quanto la restituzione fotogrammetrica. Detta esigenza, infine, si presenta quasi costantemente per i progetti definitivo ed esecutivo; spesso, anzi, per entrambe il rilievo dedicato (a scala dettagliata) necessita di integrazioni di particolari plano-altimetrici (da eseguirsi in campagna), per lo studio e la risoluzione di specifici problemi.

Le scale del rilievo sono fissate dal progettista, in relazione al grado di progettazione ed alla complessità del rapporto dell'opera con il territorio, comunque nel rispetto dei minimi prescritti dal regolamento (DPR 554/99), che sono: A) per i tronchi

• progetto preliminare: 1/5.000, con quadro d’unione 1/10.000 • progetto definitivo: 1/2.000, con quadro d’unione 1/5.000 • progetto esecutivo: 1/1.000 o almeno doppia di quella del progetto

definitivo B) per i nodi

• progetto preliminare: 1/2.000 • progetto definitivo: 1/500, ovvero 1/200 per le componenti edili • progetto esecutivo: almeno doppia di quella del progetto definitivo.

Per i rilievi "ad hoc" si fa ricorso prevalentemente alla tecnica dell'aerofotogrammetria, per la flessibilità, la relativa rapidità e l’economicità del sistema; il materiale fotografico di base, inoltre, è in grado di fornire al progettista una molteplicità di informazioni fondamentali per le sue scelte.

Il rilievo rappresenta in ogni caso una importante voce di spesa per il progetto: a titolo indicativo si può considerare che, a valori attuali, il volo e la ripresa fotografica hanno un costo complessivo di € 1000÷2500, alquanto indipendente dall’estensione e dalla scala della levata; il costo della restituzione cartografica è molto variabile in ragione (gradatamente) della scala richiesta per la cartografia, della natura morfologica e della copertura vegetale del suolo, nonché (in minor misura) della forma della rappresentazione (numerica o grafica).

Per estensioni limitate ovvero in appoggio ed a specificazione locale di una cartografia aerofotogrammetria più ampia si eseguono talvolta (e più economicamente) restituzioni di rilievi di campagna (tacheometrici) Il prezzo, di solito, viene riferito all'ettaro reso e può essere valutato

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in prima approssimazione fra i seguenti limiti:

Rilievo Scala Costo €/ha1/10.000 2÷3 1/5.000 4÷6 1/2.000 25÷35 1/1.000 45÷100

Aerofotogrammetria

1/500 125÷200 1/1.000 150÷300 1/500 400÷600

Tacheometria 1/200 750÷900

Per fortuna più cresce l'esigenza progettuale di dettaglio del rilievo

(quindi di rapporti elevati di scala) più può essere ridotta l'estensione della rappresentazione.

La restituzione fotogrammetrica è una tecnica che si basa sulla fisiologia dell'umana visione stereoscopica: il processo di percezione visiva si sviluppa a partire dall'occhio e si conclude nel cervello, che elabora gli stimoli per trasformarli in immagini; la visione stereoscopica si produce per la fusione nel sistema cerebrale di due immagini dello stesso oggetto leggermente diverse, perchè colte (visione binoculare) da punti distanti tra 56 e 72 mm (distanza interpupillare). Il sistema sensoriale della visione è in grado di gestire la misura dell'angolo parallattico α fra i raggi convergenti nello stesso punto, (fig. 2.3.1) ed anche della sua variazione.

Fig.2.3.1 Il sistema telemetrico umano.

La percezione stereoscopica può essere creata artificialmente attraverso la visione binoculare simultanea di due prospettive (o fotogrammi) dello stesso oggetto, riprese da due punti di vista distanziati.

Ciascun fotogramma è generato geometricamente da una stella di raggi che, appoggiandosi al fuoco dell'obiettivo e agli infiniti punti

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dell'oggetto, intersecano il piano della lastra sensibile; questa assume la funzione che nella percezione visiva è assegnata alla retina. La coppia di fotogrammi utile per la visione stereoscopica di un territorio è ripresa in sequenza nella levata aerea: nella zona di sovrapposizione, si stabilisce una corrispondenza biunivoca fra ogni punto del territorio e la coppia di raggi vettori congiungenti il punto stesso con i fuochi dell’obiettivo (nelle due collocazioni assunte da questo negli istanti di ripresa).

L'operazione inversa della presa, che chiameremo brevemente restituzione, consiste nell’eseguire la proiezione delle immagini dei due fotogrammi: per ogni punto si generano, in due fasci, raggi omologhi, che intersecandosi individuano nello spazio la posizione del punto. La restituzione può essere compiuta dall'occhio umano attraverso appositi visori binoculari, detti stereoscopi (fig. 2.3.2), ovvero da un operatore con speciali apparecchiature (restitutori), che trasferiscono le informazioni desunte nei rilievi aerofotogrammetrici.

E' ovvio che la ricostruzione della posizione di ciascun punto avviene correttamente se i fotogrammi non presentano distorsioni ed se al momento della restituzione la coppia è posizionata nello stesso rapporto che si era determinato all'istante della presa. Per l'affidabilità delle misure nelle applicazioni quantitative occorre cioè che sia definita con estrema precisione, per ciascun fotogramma, la posizione del centro di proiezione (fuoco dell’obiettivo) e l'orientamento dell'asse di proiezione (congiungente il fuoco con il punto centrale dell'immagine).

Fig. 2.3.2 Relazione tra prese fotografiche ed osservazione stereoscopica.

Le basi teoriche del processo di restituzione e le tecniche di sviluppo dei rilievi aerofotogrammetrici sono complesse ed esulano dalla presente

BOSSERVATORE

immagine virtuale

fotogrammi positivi

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trattazione (si rinvia chi volesse approfondirle ai testi specializzati di topografia). In questa sede si vuole solo evidenziare che la restituzione richiede, per ciascuna coppia di fotogrammi, un appoggio sulle coordinate al suolo di almeno tre punti, che siano chiaramente distinguibili nell’immagine; queste coordinate vengono rilevate (georeferenziazione) con operazioni di precisione in campagna, a partire da riferimenti della rete topografica nazionale; nella pratica si preferisce disporre di elementi sovrabbondanti (oltre il minimo di tre punti per coppia) per mediare gli errori residui; salvo questi, che vanno compensati, si può procedere anche orientando un fotogramma sul precedente già georeferenziato, portandone a coincidere almeno cinque punti nella zona di sovrapposizione: in questo modo, con procedimenti analitici è possibile referenziare il secondo fotogramma sul primo e contemporaneamente determinare le coordinate spaziali del fuoco di presa dello stesso.

I problemi pratici che si pongono al progettista infrastrutturale nella programmazione del rilievo sono essenzialmente due: la scala e l'estensione.

La scelta di scala, nel rispetto dei minimi regolamentari, è legata all'incidenza dei vincoli fisici sulle soluzioni progettuali: l’estensione deve comprendere tutta la zona in qualche modo relazionata al progetto e cioè: - nel preliminare, l’area spazzata da tutte le alternative di tracciato da

esaminare; - nei successivi gradi(definitivo ed esecutivo), la fascia più o meno ristretta

entro la quale si presume siano comprese le opere di progetto (incluse quelle fuori sede viaria) ed i manufatti che si ipotizza possano subire risentimenti in seguito alle lavorazioni e/o alle immissioni nocive, in corso d’opera e/o in esercizio.

La levata aerofotografica si effettua con l'uso di aeromobili di alta stabilità e manegevolezza, in grado di operare in una vasta gamma di quote (1500÷7500 piedi): essi sono equipaggiati con speciali apparecchiature fotografiche (analogiche o digitali), la cui tecnologia è in costante e rapida evoluzione; queste fotocamere, di norma, sono sospese su snodi cardanici, che consentono, indipendentemente dall'assetto dell'aereo, di assicurare una costanza di direzione all'asse dell'obiettivo (prossima alla verticalità) e dei fotogrammi (circa parallela alla direzione di volo)

Gli obiettivi impiegati sono otticamente complessi, composti anche di 12 lenti, per compensare al meglio le ineliminabili distorsioni; il fuoco è fisso (152 mm, per regolazione all’infinito); per eliminare ogni sbavatura dell'immagine, soprattutto nell’aero-ripresa a bassa quota relativa, si usa inserire nell’apparecchiatura un dispositivo di retro-trascinamento della lastra, operante nel tempo di apertura del diaframma. La successione degli scatti viene comandata automaticamente, con regolazione in funzione della velocità dell'aereo; all'obiettivo sono collegati diversi indicatori, che aggiungono al margine di ogni foto: un numero d’ordine progressivo, data e ora, altitudine dell'aereo,ecc.

Le camere analogiche sono in grado di montare materiale fotografico in lastre di dimensioni 230 x 230 mm, per positivi ad alta definizione dell'immagine (limitata soltanto dalla qualità ottica e dalla grana

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dell’emulsione) in bianco e nero o a colori o speciali. Le camere digitali utilizzano quale elemento sensibile uno schermo (di dimensioni uguali alla suddetta immagine analogica) frazionato in pixel (trasduttori in grado di sviluppare cariche elettriche, all’assorbimento di fotoni); si possono utilizzare anche sensori a scansione, che invero sono più propri delle riprese satellitari, che tuttavia, allo stato attuale della tecnologia civile, non sono utilizzabili per la cartografia tecnica.

Per la levata occorre ricercare favorevoli condizioni atmosferiche: limpidezza dell'aria, moderate correnti in quota, assenza di moti convettivi al suolo (che, per diffrazione, possono produrre distorsione delle immagini). Inoltre assume particolare importanza, nella riuscita della ripresa, la posizione del sole rispetto agli oggetti a terra, in relazione alle ombre ed agli assorbimenti di radiazioni dell'atmosfera: per conseguire un risultato ottimale occorre che il sole sia alto sull’orizzonte almeno 30°; ciò pone severe limitazioni, nella collocazione geografica dell’Italia, sia sul periodo dell’anno che sull’ora in cui può essere convenientemente effettuata l’operazione di levata.

La quota relativa prescelta dipende dalla scala desiderata per i fotogrammi, che è legata alle esigenze di restituzione della cartografia: la fig.2.3.3 riporta l'abaco orientativo per la sua determinazione.

Si denomina “strisciata” una successione di aerofoto che assicuri una sovrapposizione di almeno il 60% fra le immagini in serie (fig. 2.3.4.a).

Il piano di volo viene studiato e fissato, in relazione alle esigenze della levata, come successione di strisciate, sovrapposte reciprocamente sui lati di almeno il 20%, quando siano parallele (fig. 2.3.4.b/c), ovvero per una porzione sufficientemente ampia di territorio, quando s’intersechino (fig.2.3.4.d).

Fig. 2.3.3 -Abaco orientativo delle scale dei fotogrammi e delle quote di volo per le restituzioni aerofotogrammetriche

f = 152 mm

1:4000

1:3000

1:50001:6000

1:8000

1:10000

1:15000

1:20000

1:30000

1:20001:10001:500 1:100001:5000

2280 m

1216 m

456 m

608 m760 m912 m

1520 m

3040 m

4560 m

scala dei fotogramm

i

scala della cartografia

quote di vo lo relativ e

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I principali dati metrici delle levate aerofotografiche sono riassunti nella tabella di fig 2.3.5.

Nel sistema di georeferenziazione adottato (normalmente Gauss-Boaga) le misure, sia delle distanze che delle superfici, offrono l'affidabilità propria della scala e della precisione dei processi di formazione e resa del rilievo; questo deve essere sottoposto ad un collaudo che ne accerti la qualità: di norma gli errori lineari debbono essere contenuti entro limiti metrici che non possano essere rilevati con una accurata misurazione sulla carta con gli ordinari strumenti.

La restituzione aerofotogrammetrica può essere resa in forma grafica (su supporto riproducibile indeformabile) o numerica; i particolari sono facilmente interpretabili in ogni caso, perchè presentati con simboli, di norma conformi al catalogo compilato dalla CGI.

Le quote altimetriche possono essere registrate in forma di piano quotato, ovvero con l'interpolazione delle curve di livello.

La fig. 2.7 : a) Strisciata; b) c) d) schemi di piani di volo

Fig. 2.3.4: a) Schema di strisciata; b) c) d) tipologia di piani di volo

b )

c )

d )

a)

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f = 152 mm formato 23x23 cm

Superficie fotogramma (ha) H QUOTA RELATIVA

S scala

fotogramma

Isolato

In

strisciata

In blocco

S lato del

quadrato fotografato

m

b distanza dei punti nadirali

m

a distanza

fra le strisciate

m

Metri

Piedi

1:3000 47,6 19,0 15,2 690 276 552 456 1500 1:4000 84,6 33,8 27,0 920 368 736 608 2000 1:5000 132,2 52,8 42,3 1150 460 920 760 2500 1:6000 190,4 76,1 60,9 1380 552 1104 912 3000 1:7000 259,2 103,6 82,9 1610 644 1288 1064 3500 1:8000 338,5 135,4 108,3 1840 736 1472 1216 4000 1:9000 428,4 171,3 137,0 2070 828 1656 1368 4475 1:10000 529 211 169 2300 920 1840 1520 4950 1:11000 640 256 204 2530 1012 2024 1672 5475 1:12000 826 330 264 2760 1104 2208 1824 5950 1:13000 894 357 286 2990 1196 2392 1976 6475 1:14000 1036 414 331 3220 1288 2576 2128 6975 1:15000 1137 454 363 3450 1380 2760 2280 7475

Fig. 2.3.5 Dati metrici delle levate aerofotografiche

Nel primo caso, in corrispondenza di una molteplicità di punti significativi viene riportata numericamente la relativa quota: la numerosità dei punti (in relazione alla scala) ed una loro scelta appropriata (in funzione della morfologia del suolo) configurano l'accuratezza del rilievo e della restituzione. Di norma la rappresentazione a piano quotato viene preferita solo per rilievi di dettaglio di zone limitate, funzionali alla risoluzione

a

bS'

SS - b

H

a

f

s - a

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di problematiche specifiche del progetto esecutivo. Molto più diffusa nella progettazione infrastrutturale è la resa a curve di livello in cui, alla indicazione in forma numerica delle quote di alcuni punti particolari, si aggiungono le linee che uniscono i punti di uguale quota assoluta, per valori interi della stessa; il dislivello fra due successive curve di livello, denominato equidistanza, è funzione della scala del rilievo: ordinariamente è pari, in metri, ad 1/1000 del denominatore di questa (25 m per le carte 1/25.000, 1 m per quelle in scala 1/1000, ecc.).

L'andamento delle curve di livello conferisce alla rappresentazione una apparenza plastica, molto utile nella progettazione delle infrastrutture lineari, particolarmente nella fase preliminare, quando l’immediata e corretta lettura del territorio è fondamentale per le scelte di tracciato.

La tecnica informatica mette a disposizione dei progettisti stradali, che li impiegano largamente, softwares per il disegno automatico degli elaborati di progetto: questi presuppongono l’implementazione del rilievo in forma numerica. Ben vero sono disponibili anche strumenti atti a trasformare i grafici in files (digitizers e scanners), ma il loro impiego produce notevoli distorsioni nel corso della lettura e non si presta all’operatività diretta in 3D:

Il progetto ordinariamente è fornito al cliente sia in forma digitale che grafica (generata con l’impiego di plotters); il software di traduzione in immagini grafiche dei files, in corso di gestione informatica e di stampa (plottaggio), è molto complesso ed in rapida evoluzione e perfezionamento; dal punto di vista operativo esso è reso più semplice da una gestione interattiva.

Per la produzione dei rilievi in forma digitale, le informazioni su ciascun punto sono acquisite direttamente dal restitutore e trasferite sul supporto magnetico, che costituisce un archivio di punti topografici: ciascun punto viene memorizzato in un file sequenziale o ad accesso casuale, i cui records contengono: - La sigla di identificazione; - Le coordinate planimetriche X e Y nel riferimento cartografico; - La quota altimetrica Z; - Il codice di provenienza, che può contenere un indice di affidabilità del

punto (rappresentativo del processo adottato per il rilevamento) che entra in gioco negli sviluppi numerici;

- un indice (contatore), assunto pari a 0 quando il punto è isolato nella rappresentazione del rilievo, ovvero, in caso contrario, in grado di indirizzare agli altri punti a cui esso è collegato da linee (es. perimetro di costruzioni, tracce di muri di sostegno, margini di strade e canali, cigli di scarpate ecc).

Nelle immagini elaborate a partire da files di rilievo numerici le indicazioni altimetriche (rese in forma di piano quotato) si traggono direttamente dalla terza coordinata di ciascun punto; per passare alla visualizzazione delle curve di livello si può impiegare apposito software, che gestisce un modello matematico del terreno: appoggiandosi ai punti topografici collocati nello spazio tridimensionale (3D); il processo di elaborazione del modello genera automaticamente una rete di triangoli e, con

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successivi sviluppi, calcola la funzione analitica di una superficie che, appoggiandosi ai punti noti (con tolleranze rapportate al loro indice di affidabilità), simula la morfologia locale del terreno.

La gestione del modello costruito consente di trarre i disegni: - delle curve di livello, mediante l'intersezione con piani orizzontali; - dei profili longitudinali lungo un asse, attraverso l’intersezione con

cilindri a generatrici verticali e direttrice coincidente con la planimetria d’asse;

- delle sezioni trasversali a definite progressive (eventualmente secondo una predeterminata scansione) attraverso le intersezioni del solido stradale e del terreno d’appoggio, alla progressiva di riferimento, con piani verticali perpendicolari alla curva d’asse planimetrica; un software dedicato consente il contestuale calcolo dell’area delle superfici sottese.

La possibilità di determinare analiticamente con qualsivoglia precisione la distanza fra due punti del rilievo gestito in forma numerica e di costruire con qualsiasi equidistanza le curve di livello, potrebbe indurre nell'errore di credere il rilievo stesso più preciso della scala per cui è stato prodotto; ciò è evidentemente errato, se si considera che la restituzione dei files deriva dalle stesse procedure che conducono alla cartografia tradizionale e che queste sono l’unico elemento che determini la significatività e la precisione dei dati rappresentati.

Al progettista che ha ordinato i rilievi ad hoc la ditta specializzata che li ha eseguiti fornisce, unitamente alla elaborazione fotogrammetrica, il materiale fotografico di base della stessa.

L'immagine fotografica analogica si imprime sulla lastra grazie ad un complesso meccanismo di trasformazione chimica di alcuni composti, sensibili all'azione delle radiazioni elettromagnetiche riflesse dagli oggetti colpiti dall'energia solare. Le radiazioni emesse dal sole, comprese in un ampio spettro di frequenze, vengono in parte assorbite dalla superficie terrestre e dagli oggetti ed in parte riflesse. L'occhio umano è in grado di captare e decodificare le radiazioni luminose, che sono una finestra dello spettro elettromagnetico, di lunghezza d’onda 400÷700 nm (nm = nanometro = 10-9 m). La moderna tecnologia del materiale fotografico consente di ampliare selettivamente, oltre il campo del visibile, lo spettro a cui la pellicola (ovvero il sensore ottico delle camere digitali) risulta sensibile; la più frequente estensione interessa il campo dell'infrarosso (700÷900 nm), cui è legato principalmente l’irraggiamento termico: la riflettanza (complemento della capacità assorbente) dei suoli nella gamma di frequenze dell’infrarosso è differenziata a seconda della natura dei terreni, della copertura vegetale, dell'umidità contenuta (sacche d'acqua, falde, ristagni, ecc.) e della eventuale presenza di anomalie nel sottosuolo (cavità, manufatti interrati anche di interesse archeologico, ecc).

Il ricettore nella macchina da presa è costituito dalla lastra di supporto dell’emulsione fotosensibile (apparecchiature analogiche), caratterizzata dalla propria grana, ovvero dal tappeto di trasduttori o pixels. La codifica avviene quindi in ogni caso per punti, aventi densità ottica variabile secondo la grana dell'emulsione o la densità dei pixels: per la nitidezza dell'immagine, anche in

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presenza di forti ingrandimenti, è necessario che la grana dell'emulsione o la grandezza del trasduttore elementare (corrispondenti alla dimensione minima dell'elemento distinguibile nell'immagine) siano sottili, in relazione al dettaglio richiesto alla restituzione (quindi alla scala relativa della cartografia fotogrammetrica rispetto ai fotogrammi di base). Essenzialmente le emulsioni sensibili adoperate in aerofotografia sono di quattro tipologie, denominate rispettivamente: pancromatica, infrarosso, colore e falsocolore. Nella fig.2.3.6 sono riprodotte le immagini della medesima porzione di territorio, risultanti da riprese con i suddetti quattro materiali fotografici.

Foto Carl Zeiss da E. Amadesi: Manuale di fotointerpretazione.

Fig. 2.3.6 Immagine di una medesima porzione di territorio, con materiali: a) pancromatico; b) infrarosso; c) colore; d) falsocolore.

Il più frequentemente impiegato in fotogrammetria è il pancromatico, che rende l’immagine in bianco e nero, ma copre completamente ed in maniera equilibrata lo spettro del visibile. La sua lettura è agevolata dal ricchissimo bagaglio di esperienze maturate su questo mezzo.

L'emulsione infrarosso ha uno spettro assai più ampio, specie verso le elevate lunghezze d'onda; di contro, è meno sensibile nella parte media dello

spettro visibile: viene adoperata di norma per ampliare l'informativa di

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una foto pancromatica per la fotointerpretazione. Le emulsioni colore coprono in genere la regione dello spettro visibile

attraverso la selezione su tre strati spalmati sullo stesso supporto, ciascuno con un definito campo di sensibilità; il processo di sviluppo e fissaggio li fonde, ricostruendo nuovamente l'intero spettro visibile; l'effetto cromatico può essere molto vario, in funzione del mix dei materiali e dei processi chimici applicati.

Ancora più complesso si presenta l'uso delle emulsioni falsocolore, in ragione della molteplicità degli strati e di speciali procedimenti chimici che consentono di rendere con particolari colorazioni campi dello spettro ben definiti, anche oltre il visibile: un loro corretto uso, tuttavia, coniuga i vantaggi dell'infrarosso con quelli del colore e finalizza la ripresa ad obiettivi specifici di fotointerpretazione.

Tabella 2.2: Principali applicazioni della prospezione fotografica aerea.

Campo di applicazione Scala media fotogrammi

Stagione preferibile

Materiale sensibile

Indagine sull’uso del suolo agricolo 1:30.000÷1:10.000 Primavera

Estate Pancromatico e colore

Analisi Geologica 1:30.000÷1:10.000 Autunno Inverno Pancromatico

Acque fluenti e filtranti superficiali 1:10.000÷1:5.000 Tutte Infrarosso e

Falsocolore

Inventario forestale 1:20.000÷1:5.000 Primavera Autunno

Pancromatico ed infrarosso

Stima dei danni alla vegetazione 1:10.000÷1:1.000 Primavera

Estate Falsocolore Inquinamento idrico ed atmosferico 1:10.000÷1:5.000 Tutte Falsocolore

Inventario impianti industriali 1:5.000÷1:1.000 Tutte Pancromatico Indagine sull’uso del suolo urbanizzato 1:10.000÷1:5.000 Autunno

Inverno Pancromatico e colore

Prospezione archeologica 1:20.000÷1:2.000 Autunno Pancromatico ed infrarosso

Cartografia tematica 1:20.000÷1:3.500 Tutte Falsocolore

Accertamenti catastali 1:10.000÷1:5.000 Autuno Inverno Pancromatico

Individuazione della direttrice stradale 1:10.000÷1:3.500 Autunno

Inverno Pancromatico Localizz. siti d’interesse storico ed ambientale 1:5.000÷1:3.000 Tutte Pancromatico

e colore

Restituzione cartografica 1:10.000÷1:5.000 Autunno Inverno Pancromatico

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La materia della selezione e della resa dei vari materiali fotografici analogici, come pure la tecnologia digitale, trascendono i limiti di questa trattazione, specie se si introduce l’ulteriore variabile dell'uso dei filtri sull'obiettivo (con cui è possibile tagliare alcune parti dello spettro, sia per fronteggiare non perfette condizioni di visibilità atmosferica, sia per ottenere effetti speciali per usi specifici, utilissimi nella fotointerpretazione).

Nella tabella 2.2 sono stati menzionati i materiali che il progettista infrastrutturale deve preferire per i vari scopi che intende perseguire con l'aerofotografia.

Immagini digitali si ottengono, altresì, dalla captazione del riflesso di radiazioni emesse artificialmente da speciali apparecchiature, che operano nelle frequenze radar (12.5 Mhz÷4.0 Ghz): le onde elettromagnetiche emesse dai generatori radar hanno capacità di penetrazione nei mezzi (anche solidi) non conduttivi o semiconduttivi; all’interno di questi, inoltre, esse subiscono attenuazioni, dipendenti dalla natura (grado di fratturazione, composizione granulometrica, ecc.) e dallo stato (addensamento, contenuto di umidità, ecc); sulle superfici di discontinuità fra livelli a contatto dielettricamente diversi subiscono altresì riflessioni. Speciali antenne (monostatiche, se coincidenti con l’emittente, o bistatiche, se differenziate) raccolgono le onde di ritorno, per comporre la radargrafia del mezzo indagato; questa può essere interpretata, per cogliere la presenza di anomalie: in funzione delle capacità dell’apparecchiatura e della natura del mezzo indagato, si ottengono informazioni utili negli ordinari suoli fino a profondità di 3-4 mt.

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2.4 Indagine geologico-geotecnica.

2.4.1 Premessa.

L’accorpamento in un’unica esposizione delle indagini geologica e geotecnica non deve ingannare in ordine alla separatezza delle due problematiche sottese, che peraltro fanno capo a distinte competenze specialistiche (il dottore in geologia la prima, l’ingegnere geotecnico la seconda): il problema geologico attiene alla individuazione delle strutture del suolo, dei tipi litologici (genesi e rapporti) della tendenza alla stabilità dei versanti o viceversa all’evoluzione di questi; il problema geotecnico è limitato alla resistenza ed ai comportamenti delle porzioni di suolo impegnate dal sistema di forze indotte dai manufatti e dall’ambiente circostante le opere.

Alla diversa finalità, tuttavia, corrisponde la coincidenza della maggior parte dei mezzi d’indagine in sito e delle attrezzature di laboratorio.

I risultati attesi da un’indagine geologico-geotecnica ad hoc possono essere di vario tipo: A) Riconoscimento dei terreni presenti e della loro stratificazione e

costituzione; collocazione dei livelli di falda. B) Determinazione delle caratteristiche fisico-meccaniche degli strati

(densità, resistenza a taglio, permeabilità, ecc.). C) Misurazione dello stato sollecitativo dei diversi livelli (pressioni neutre ed

effettive) e della loro deformabilità (o rigidezza).

Ad essi corrispondono differenti categorie di indagini, che nel seguito si esaminano separatamente.

La ricognizione sulla costituzione del sottosuolo e sulla natura dei terreni presenti nelle relative stratificazioni, a fini sia geologici che geotecnici, comporta l’accesso diretto, tramite scavi o mediante perforazioni; il programma d’indagine può aggiungere esplorazioni geofisiche (non distruttive) in grado di estendere ad ambiti più vasti la conoscenza acquisita con l’ispezione diretta.

Gli scavi possono assumere la forma di trincee, pozzi o cunicoli: offrono il vantaggio dell’osservazione del sottosuolo immediata ed in sito (natura dei terreni, giacitura degli strati, costituzione dei giunti, stato di fatturazione, ecc.) e l’opportunità di eseguirvi prelievi di campioni (anche di grandi dimensioni e con il minimo grado di disturbo) e prove geotecniche.

Nei casi ordinari le trincee raggiungono profondità modeste, salvo che si ricorra ad armature e/o sbatacchiature: nelle progettazioni stradali trovano impiego quasi esclusivamente per la determinazione dello spessore della coltre vegetale, in fase di progetto esecutivo.

I pozzi risultano limitati, in quanto a profondità, dal livello dell’eventuale falda e soffrono di un alto costo, determinato: dalle modalità di scavo, ordinariamente manuale; dalla realizzazione del rivestimento, anche provvisorio; dalla demolizione successiva all’utilizzazione

I cunicoli sono perfino più costosi dei pozzi, quindi trovano impiego in problematiche assai speciali; nondimeno hanno importanti applicazioni nel

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progetto esecutivo delle gallerie, di cui sono praticamente la condizione indispensabile.

Molto più ampio e diffuso è l’impiego delle perforazioni di sondaggio, delle quali si tratta diffusamente nel paragrafo che segue.

2.4.2 Riconoscimento della costituzione del suolo e del sottosuolo

Il riconoscimento dello strato superficiale del suolo si effettua prevalentemente nel sopralluogo ed è agevolato dalla fotointerpretazione, da cui il geologo trae fondamentali indicazioni per la lettura delle stratificazioni e per lo studio di stabilità che gli compete.

Prioritariamente s’intende focalizzare l’attenzione su alcuni problemi inerenti gli strati affioranti, che si propongono in corso di progettazione delle strade (principalmente nella fase esecutiva) e che possono essere risolti a vista e/o con lo scavo di trincee di modesta profondità.

Una particolare indagine riguarda lo strato superficiale umificato, in ordine allo spessore ed alla costituzione: la coltre è un miscuglio di sostanze minerali, in parte inerti (scheletro, dalla varia composizione granulometrica, in funzione della natura della roccia madre e del processo di formazione) in parte nutrienti (generalmente in forma di sali solubili); la sostanza organica proviene dall’accumulo di organismi viventi o parti di essi ed è suscettibile di trasformazioni ad opera di altre specie viventi (pedoflora, composta di attinomiceti, funghi, alghe e batteri, e pedofauna, composta da insetti, collemboli, acari, miriapodi, chilopodi, protozoi, vermi, ecc.).

La trasformazione genera sostanze organiche più semplici, solubili e/o facilmente assimilabili dalle radici delle piante; queste a loro volta agevolano la decomposizione biochimica, con la secrezione di sostanze umificanti.

Le parti organiche ed i nutrienti sono alla base della fertilità del suolo. Rinviando a trattati specifici l’eventuale approfondimento della

materia, si segnala che, in appoggio ad alcune determinazioni concernenti il progetto, si effettuano indagini sui seguenti aspetti pedologici: - spessore della coltre umificata e/o ad alto contenuto (> 5% in peso) di

materiale organico; - complesso assorbente e capacità di scambio: quantità massima di cationi

che il suolo può assorbire (rappresentativo della fertilità minerale); - pH, da cui dipende l’attività biologica del terreno (quindi la capacità

evolutiva della fertilità); - C/N (rapporto carbonio/azoto): indice dell’attività dei microrganismi del

suolo (quindi del grado e dell’intensità della trasformazione biochimica).

Diverso ma altrettanto rilevante interesse presenta la natura dello strato immediatamente sottostante l’humus: infatti esso resta per lungo tempo esposto nel corso dei lavori, dopo lo scotico (taglio e sradicamento della copertura vegetale ed asportazione del terreno organico che l’ospita): questo è in genere la prima operazione della fase costruttiva, necessaria per prendere possesso del sedime e per renderlo agibile alle attrezzature di cantiere; l’esposizione agli agenti atmosferici dello strato sottostante, tuttavia, può

produrre alcuni inconvenienti, in ragione della sua natura geotecnica e

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particolarmente del contenuto di frazioni sottili (dalle sabbie fini alle argille): • Un elevato contenuto di sabbie fini e limi (frazioni della parte bassa della

curva granulometrica, ma poco o moderatamente coesive) dà luogo, per effetto del vento ed in mancanza di sufficiente umidificazione, al rischio d’immissione cospicua e fastidiosa di polveri nell’atmosfera.

• La sensibile plasticità di uno strato ricco di frazioni argillose, quando i contenuti d’acqua sono elevati rende assai problematica la transitabilità dei mezzi operativi, per la notevole perdita di portanza e l’incremento della scivolosità.

Per fronteggiare i suddetti rischi (desumibili dal riconoscimento dei terreni presenti) il progetto deve includere, in fase realizzativa, costosi interventi di mitigazione (consistenti rispettivamente in irrorazioni frequenti, nei tempi secchi, o in ricoperture con materiali aridi, nei periodi piovosi).

Si segnala infine, sempre in ordine all’indagine sui suoli affioranti, che spesso si rende necessario il riconoscimento granulometrico delle alluvioni in alvei interferenti, nonchè dei materiali sciolti delle rispettive sponde: la finalità principale è la valutazione dei rischi locali di erosione. Come è noto infatti le particelle superficiali delle sezioni idrauliche sono soggette a trascinamento ad opera delle correnti, che nel complesso dà luogo all’erosione, ma che si esercita selettivamente sui singoli granuli. Perchè abbia luogo il trascinamento di un granulo (vincolato dalle interazioni al contatto con le altre particelle dell’ammasso), occorre che la corrente la investa ad una velocità superiore alla limite Vp, funzione delle sue caratteristiche dimensionali e mineralogiche (crescente con la dimensione e con il peso specifico del materiale); a titolo puramente indicativo dell’ordine di grandezza di Vp e della sua variabilità, si riportano i seguenti valori, in funzione della natura della formazione investita:

Vp (m/sec) Materiale 0,075 terra sciolta 0,150 argilla tenera 0,300 Sabbie 0,600 Ghiaie 0,900 ciottoli arrotondati 1,200 Ciottoli non arrotondati 1,500 Massi 1,800 rocce mediamente fratturate3,000 rocce compatte

Per l’indagine sugli strati profondi, al di fuori dei rari casi di ispezione

diretta con pozzi e cunicoli, molto diffuso è l’impiego delle perforazioni di sondaggio; queste consentono di: - ricostruire il profilo stratigrafico; - prelevare campioni per il riconoscimento e per le prove geotecniche di

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laboratorio - installare in profondità strumentazioni; - indagare sull’assetto e le qualità delle falde acquifere.

Le perforazioni hanno solitamente forma circolare, Φ 70÷150 mm, e possono raggiungere profondità anche considerevoli: le modalità di esecuzione del foro e gli attrezzi adoperati per eseguirlo incidono profondamente sul possibile utilizzo tecnico del saggio.

Le perforazioni a distruzione del nucleo possono essere eseguite con utensili a percussione e/o caduta, ovvero a rotazione (a secco o a circolazione di fluido): richiedono in genere il rivestimento del foro, o il suo sostentamento con l’immissione di fanghi bentonitici. Il prodotto d’estrazione è praticamente irriconoscibile, trattandosi di materiale sciolto fortemente rimaneggiato o perfino di fango: per questo motivo l’impiego di tale tecnica è limitato alle perforazioni di servizio per l’installazione di strumentazioni, ovvero all’esecuzione di alcune prove in sito direttamente applicate agli strati profondi; a fini di riconoscimento al più essa può essere utile per collocare nel sottosuolo i livelli di strati dalle caratteristiche marcatamente difformi dal contesto (rocce, lenti morbose, materiali soffici, ecc.) di cui sia nota la presenza: l’informazione sulla loro effettiva profondità e potenza (spessore) si desume, in questo caso, dalla resistenza alla penetrazione incontrata dall’attrezzo.

Certamente assai più utile ed impiegata per scopi di riconoscimento è la perforazione a carotaggio continuo (terebrazione): è eseguita con un’attrezzatura rotante (carotiere), costituita da un tubo dotato all’estremità inferiore di una corona tagliente, dalla forte resistenza all’usura; le caratteristiche delle corone (per le quali l’offerta commerciale è ampia), il carico e la velocità di rotazione vanno commisurate alla natura della formazione da aggredire: concorrono al costo del sondaggio ma trascendono i limiti della presente trattazione.

Nella terebrazione si può procedere con l’immissione di acqua nel foro, a scopo di raffreddamento e lubrificazione dell’attrezzo, ovvero a secco (molto più raramente); per preservare la carota dall’azione alterante dell’acqua, nelle perforazioni umide, ovvero dall’essiccamento da riscaldamento, nelle perforazioni a secco, si può ricorrere ad attrezzi a doppio carotiere: trattasi di due cilindri concentrici, di cui quello esterno (rotante e diamantato) provvede al taglio della carota, quello interno (fisso e tagliente) la ospita, salvaguardandola anche dal rimaneggiamento per attrito con la superficie interna della parte rotante.

La carota estratta viene classificata in appositi contenitori (cassette) e messa a disposizione del progettista: non sempre essa copre l’intera profondita del foro, giacchè alcune parti sciolte si scompongono e si disperdono nell’estrazione; nella perforazione dei banchi rocciosi le carote subiscono forti sollecitazioni, che ne determinano la frattura in più tronconi; dalla dimensione di questi si ricava un indice (RQD), rappresentativo sia del grado di suddivisione originaria degli strati che della loro resistenza alla frattura: questo indice è largamente impiegato per la classificazione a fini tecnici della roccia ed è il parametro di accesso alle metodologie empiriche

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per il calcolo delle gallerie. Nel corso della perforazione si possono inserire nel foro, a quote

prefissate, apposite e sofisticate apparecchiature (campionatori), che isolano ed estraggono campioni (cosiddetti) indisturbati, che si prestano ad attendibili analisi geotecniche di laboratorio (per le quali si rimanda ai trattati specialistici).

Una diffusa distribuzione di sondaggi, lineare o areale, consente l’interpolazione dell’assetto stratigrafico (mono/bidimensionale), la cui attendibilità è tanto maggiore quanto più serrata è la successione (o la maglia) delle prove e quanto più omogeneo è il sottosuolo.

L’indagine diretta può essere integrata (mai sostituita) da una campagna di prove geofisiche: queste si basano sul principio che alcuni fenomeni fisici, essenzialmente le modalità di diffusione (velocità) e propagazione (riflessioni, rifrazioni, diffrazioni) di fenomeni ondulatori (vibrazioni meccaniche, correnti elettriche, onde elettromagnetiche, ecc.) sono ampiamente dipendenti dalla natura e dallo stato del materiale veicolante.

Immettendo il disturbo nel terreno, mediante apposito diffusore, e raccogliendo la risposta a distanza, con adatti ricevitori, si possono ricostruire modalità e caratteristiche dei percorsi; la programmazione della campagna geofisica deve confrontarsi con le risposte attese e con l’esperienza sui comportamenti dei materiali presenti: il primo elemento di scelta è il fenomeno fisico più rappresentativo per il caso.

Figura 2.4.1 Schemi di prove geosismiche.

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Le vibrazioni meccaniche (prova geosismica) possono essere generate alternativamente: o con l’applicazione in superficie di una piastra vibrante a frequenza

controllabile; o con il rilascio di una massa battente fino all’impatto con la superficie del

terreno; o con esplosione di piccole cariche in superficie o in foro.

I ricettori (sismografi registratori di alta risoluzione) possono parimenti essere collocati alla superficie del terreno o in foro. I principali schemi di prova, che sono caratterizzati dalle posizioni relative di sorgenti e ricettori, sono esemplificati nella figura 2.4.1.

Le possibili modalità di prova sono di seguito sommariamente descritte: a) Metodi SSRW e SASW

La sorgente ed una coppia di ricettori sono collocati in superficie; la sollecitazione verticale vibrante è armonica per il primo metodo, impulsiva (massa battente o minicarica) per il secondo. La sperimentazione (che è diversa per i due metodi, ma sulle cui modalità non si ritiene opportuno attardarsi in questa sede) consente di ricostruire il profilo (denominato “curva di dispersione”) delle velocità delle onde di taglio superficiali, in funzione della lunghezza d’onda dell’impulso λ; il mezzo indagato risulta lo strato superficiale, per uno spessore significativo compreso fra λ/2 e λ/3.

b) Sismica a rifrazione e a riflessione Sorgente (massa battente o minicarica) e ricettori (multipli) allineati in superficie; i metodi d’indagine si basano sulla misura della lunghezza dei percorsi e delle velocità di propagazione delle onde di volume nel mezzo, fra sorgente e registratori.

La multidecennale pratica sui suddetti due metodi consente un’interpretazione utile degli spettrogrammi, nonostante:

• la forte attenuazione con la distanza della perturbazione sismica; • l’assorbimento o almeno il disturbo che deriva dalla presenza di

falde; • la sovrapposizione degli spettri riflessi e rifratti.

Per l’affidabilità della lettura interpretativa è fondamentale, tuttavia, una buona base di conoscenza diretta delle stratificazioni presenti (di cui, ad esempio, l’esperimento geofisico può evidenziare qualche anomalia fra un sondaggio e l’altro, consentendo così un diradamento del passo delle trivellazioni). Sezioni sismo-stratigrafiche molto espressive possono essere elaborate con il nuovissimo metodo della “Tomografia Sismica a Rifrazione”, che prevede l’utilizzazione di uno strumento ad alta risoluzione, l’acquisizione dei dati ad almeno 24 canali e l’esecuzione nella postazione di un numero sufficiente di cicli sollecitativi (almeno 7 scoppi

per sezione sismica).

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Di seguito si riporta un esempio grafico della resa di questo metodo, riferito a depositi sedimentari prevalentemente grossolani: si distinguono chiaramente i terreni a diversa velocità di propagazione e, quindi, a diversa densità.

c) Metodi Cross/Down/Up/Bottom-hole Si basano essenzialmente sulla misura delle velocità di propagazione di varie tipologie di onde elastiche nel mezzo interposto fra sorgente e ricettore; hanno lo stesso campo di applicazione, ma maggiore affidabilità, dei metodi a riflessione e rifrazione, rispetto ai quali tuttavia cedono per estensione del campo d’indagine.

La conducibilità elettrica dei terreni è correlata alle loro caratteristiche mineralogiche, fisiche e meccaniche: una formazione rocciosa compatta ha una resistività maggiore di uno strato di materiale sciolto e saturo, ma minore di un banco granulare molto asciutto. L’elemento maggiormente influente è la presenza d’umidità ed il contenuto ionico nella stessa (quantità di sali disciolti).

Le tecniche d’indagine geoelettriche sono varie e generalmente complesse; modernamente si avvalgono di apparecchiature tecnologicamente molto avanzate (che non rientrano tuttavia nella competenza dell’ingegnere infrastrutturista): concettualmente si procede con la generazione di un flusso elettrico nel suolo, attraverso l’applicazione di opposti elettrodi in superficie, ad una certa distanza reciproca (stesa), e con la misurazione dell’intensità del flusso e/o del potenziale in punti intermedi.

Gli spessori di suolo investigati, in quanto influenti sulle misure (che vengono registrate e diagrammate), sono relazionati alla lunghezza della stesa (in misura diversa per le varie modalità operative).

Le più moderne attrezzature consentono anche la costruzione di “Tomografie Elettriche di Resistività e di Polarizzazione Indotta”: queste offrono un’elevata capacità risolutiva, quindi consentono la distinzione dettagliata delle aree di fratturazione e di eventuali cavità e la ricostruzione fedele della stratigrafia del sottosuolo; in tale tecnica l’acquisizione

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dati si avvale di un sistema multielettrodo, che recepisce fino a 476 misure per linea.

Di seguito, si riporta, in scala ridotta, una sezione esemplificativa di tomografia elettrica di resistività, riferentesi ad una pendice in frana.

2.4.3 Collocazione dei livelli di falda.

Per l’individuazione dei livelli delle falde acquifere si installano specifiche attrezzature, denominate “piezometri”; per il loro inserimento nel sottosuolo s’impiegano perforazioni, già eseguite per altri scopi ricognitivi o specificamente predisposte.

I più semplici e rudimentali piezometri consistono in tubazioni fessurate o sfinestrate lungo tutto lo sviluppo (a tubo aperto), solitamente rivestite all’esterno di calza filtrante, per evitare l’intasamento con materiale terroso affluente; i piezometri a tubo aperto sono utili per la collocazione del livello di riposo delle falde freatiche, che viene individuato con un galleggiante e misurato con una rollina metrica rispetto alla bocca (che quindi va topograficamente collocata nelle tre coordinate). Poiché le falde sono soggette ad escursioni episodiche e stagionali, l’osservazione deve essere estesa nel tempo, con ripetute periodiche misurazioni o con l’automatica continua registrazione (piezografo).

Per lo studio dei livelli di risalita delle falde artesiane, fluenti o stagnanti in un ben individuato strato del sottosuolo, è necessario ricorrere ad attrezzature più complesse, permeabili solo in corrispondenza del settore che si desidera indagare; dopo l’istallazione della tubazione nel foro, si esegue l’intasamento dell’intercapedine che la separa dal terreno, mediante cementazione con materiale impermeabile, salvaguardando il solo settore filtrante.

L’osservazione contestuale di una semina areale di piezometri consente la ricostruzione della superficie freatica e quindi (dai gradienti che essa presenta localmente) la dinamica idrogeologica nella zona.

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2.4.4 Determinazione dei caratteri fisico-meccanici degli strati

Le prove di laboratorio sui campioni indisturbati prelevati nei sondaggi si prestano all’individuazione diretta delle caratteristiche geotecniche delle formazioni; nondimeno una campagna che le includa diffusamente risulta molto costosa e lenta (alcune prove richiedono perfino molte settimane per essere eseguite): inoltre essa non sarebbe esaustiva, non solo perchè basata su un campione molto ristretto (perfino rispetto alla colonna a cui i prelievi appartengono) della massa da indagare, ma anche perché i provini sono alterati dalla tecnica di raccolta (per quanto attenta e sofisticata questa possa essere) e soprattutto sono ineluttabilmente sgravati dalla distribuzione di pressioni, effettive e neutre, a cui erano sottoposti in sito. Per ovviare a questa limitazione sono stati introdotti e tecnologicamente perfezionati molti metodi d’indagine, indiretti nella lettura dei risultati, ma rapidi ed applicabili in sito: i loro esiti sono poi stati scientificamente correlati alle caratteristiche geotecniche effettive delle formazioni indagate.

Si descrivono sommariamente nel seguito le più usuali. a) Prove penetrometriche statiche (CPT, CPTU)

La prova penetrometrica statica CPT (Cone Penetration Test) consiste nell’infissione a forza, ad opera di martinetti, di una tubazione metallica di diametro esterno Φ 35.7 mm (quindi di area 10 cm2), recante all’estremità inferiore una punta conica di apertura 60° e diametro conforme a quello del tubo; la suddetta punta è solidale ad un’asta, libera di scorrere all’interno del tubo indipendentemente da questo. La penetrazione segue tre fasi, ciascuna di 10 cm: punta, tubazione di camicia, asta.

Fig 2.4.2 Correlazione fra sollecitazione alla punta qc, pressione litostatica σv ed angolo di attrito φ, in terreni incoerenti

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Ad ogni avanzamento si registrano, sulle ascisse di distinti diagrammi cartesiani (recanti in ordinate le profondità), le forze applicate nelle tre fasi; questi grafici rappresentano rispettivamente le resistenze alla punta, laterale, totale. L’entità delle forze massime applicate si limita a 100 o (raramente) 200 kN, secondo la tipologia delle attrezzature; la prova si arresta quando si verifica il rifiuto alla penetrazione dell’intera asta. Il dato più rappresentativo fra quelli rilevati nelle prove CPT è la resistenza alla punta, corrispondente alla pressione di penetrazione del cono (rapporto fra la forza registrata e l’area di 10 cm2). La prova CPTU, evoluzione moderna della precedente, adopera un’asta penetrometica non articolata, ma attrezzata con trasduttori alla punta e sulla superficie laterale, che registrano con continuità le tensioni effettive (normali e tangenziali) esercitate al contatto, nonché le pressioni neutre in corrispondenza di alcune piastre porose, sistemate alla punta (punta piezometrica) e sulla superficie laterale. Le prove penetrometriche statiche, che si prestano ad un impiego rapido ed economico in terreni sabbiosi e/o a grana fine, sono utilizzate sia a fini di riconoscimento della stratigrafia, sia per la determinazione di importanti caratteristiche fisiche delle formazioni: nel primo caso necessitano di taratura in prossimità di sondaggi eseguiti. La resistenza alla punta nei terreni coesivi è stata relazionata alla coesione non drenata, in quelli incoerenti alla pressione litostatica ed all’angolo d’attrito (diagramma di fig.2.4.2); il diagramma della soprapressione registrata dalla punta piezometrica evidenzia le caratteristiche di consolidazione dei terreni e delle dissipazioni.

b) Prove penetrometriche dinamiche (SPT; SCPT, DLPT). La prova SPT (Standard Penetration Test) si esegue facendo penetrare nel terreno un attrezzo normalizzato (campionatore Raymond) sotto i colpi di un maglio di peso ed altezza di caduta ugualmente standardizzate; la penetrazione si articola in una serie di tre avanzamenti da 15 cm ciascuno, dei quali si rilevano i numeri di colpi inferti (N1, N2, N3): si assume come indice della resistenza alla penetrazione del livello progressivamente indagato il numero di colpi N = N2 + N3 La prova si esegue sul fondo di un foro precedentemente praticato fino alla profondità d’indagine (ad esempio nel corso di terebrazioni a distruzione di nucleo ovvero a carotaggio continuo); essa ha lo svantaggio di fornire informazioni discontinue, ma può essere utilmente praticata in qualsiasi terreno (purchè sciolto e privo di trovanti) e può raggiungere qualsiasi profondità. Il suo vantaggio principale consiste nell’amplissima esperienza disponibile, che ha consentito di correlarne i risultati, con buona affidabilità, ai principali parametri geotecnici d’interesse: nella figura 2.12 sono riprodotti due abachi, di grande utilità per questo scopo, che relazionano N alla densità relativa ed all’angolo di attrito, rispettivamente. La prova SCPT (Standard Cone PenetrationTest) segue il criterio della

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precedente (salvo che per il numero dei tratti d’infissione per ciascun avanzamento (che in questo caso è 2) nonché per la lunghezza di progressione (che è di 30 cm), ma si avvale della strumentazione del CPT.

La prova DLPT (Dynamic Lightweight PenetrationTest) consiste nell’infissione di una punta (a perdere) dalla sezione maestra di 10 cmq (identica a quella del CPT), sotto i colpi di un maglio (di peso ed altezza di caduta, standardizzate, ma ridotte rispetto ad SPT) agente su di un’asta di diametro molto inferiore al foro: il risultato è il numero di colpi necessari per un avanzamento di 10 cm.

Figura 2.12 Correlazioni fra numero di colpi SPT (N) e parametri geotecnici.

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Il vantaggio dell’impiego delle prove SCPT e DLPT consiste nella loro semplicità ed economia, a fronte della possibilità di utilizzare le medesime correlazioni messe a punto per SPT.

c) Scissometro o vane Trattasi di una banderuola standardizzata a quattro bracci di lamiera (di varie dimensioni, prescelte caso per caso), solidarizzata alla punta di un’asta che viene infissa nel terreno e posta successivamente in rotazione torsionale. Il campo di applicazione sono i terreni coesivi e/o a grana fine, di consistenza medio-bassa; le modalità della prova sono fissate in diverse versioni, che forniscono un’ampia gamma di possibilità d’esecuzione; il parametro di rilevamento è la coppia torcente applicata M. Le correlazioni disponibili consentono, con buona affidabilità di determinare la coesione non drenata cu dello strato:

cu = λ 6 M/(7 π d).

Nella precedente formulazione: o d è il diametro della banderuola; o λ (variabile da 0.6 a 1.0) è un coefficiente correttivo (Bjerrum),

funzione dell’indice di plasticità Ip del terreno.

2.4.5 Misure in sito di pressioni litostatiche, rigidezze, permeabilità.

a) Pressiometri Per il rilevamento dello stato tensionale in un ammasso sono state messe a punto apparecchiature standardizzate, dotate di membrane piatte (esempio: dilatometro Marchetti) o cilindriche (esempio: pressiometro Menard); queste vengono collegate all’estremità di aste ed infisse nel terreno alla voluta profondità (generalmente dopo aver praticato un foro che le avvicini a quella); si procede poi all’immissione di fluidi in pressione che ne determina l’espansione: secondo le esigenze dell’indagine, i risultati rilevabili con modalità di sperimentazione standardizzate (delle quali non è questa la sede per approfondimenti) consentono di risalire a:

- coefficiente di pressione orizzontale di riposo; - grado di addensamento e sovraconsolidazione dello strato; - rigidezza (relazione tensioni-deformazioni) della formazione in sito; - stato tensionale puntuale nell’ammasso.

Salvo che per progetti esecutivi strutturali complessi di opere di sostegno (paratie) o gallerie, il costo di una sperimentazione siffatta difficilmente è giustificata dai risultati attesi.

b) Permeametri Molto maggiore è la diffusione, nell’ambito delle tipologie d’indagine in sito che si stanno sommariamente trattando, delle tecniche di rilievo delle permeabilità; infatti lo studio modellistico dell’idrogeologia, dall’incidenza fondamentale in molte problematiche della progettazione

infrastutturale (tanto geologiche, quanto geotecniche), non si presta ad

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esami disgiunti dalla sperimentazione diretta delle condizioni locali. Le modalità delle prove in foro (appositamente predisposto o residuo di una terebrazione di sondaggio) sono varie e possono prevedere, in alternativa, immissione o emungimento di portate. L’apparecchiatura consiste in generale in un’asta a tubo, recante una sezione filtrante delimitata in alto ed in basso da tamponi, attraverso la quale transita una portata d’acqua misurabile, sotto carico idraulico costante o variabile. La misura della portata si accompagna alla lettura dei livelli della falda, in piezometri sistemati a distanze predeterminate dal foro d’immissione/emungimento.

c) Assestimetri e clinometri Di una tubazione infissa in un preforo e cementata nel terreno è costituita anche un’altra gamma di apparecchiature disponibili e largamente usate per l’individuazione, la localizzazione ed il monitoraggio di movimenti nella coltre superficiale: i clinometri e gli assestimetri. Il materiale costitutivo della tubazione deve essere caratterizzato da forte resistenza e grande flessibilità; l’attrezzatura che essa ospita può avere varie complessità: da un semplice filo a piombo, fino ad una batteria di sensori in grado di rilevare e registrare esistenza, profondità ed entità di eventuali movimenti della tubazione e quindi del terreno in cui è immersa. L’impiego dei clinometri e degli assestimetri è riservato all’indagine geologica, per lo studio di fenomeni d’instabilità dei terreni nell’area d’interesse del progetto

2.4.6 Costi dell’indagine geologico geotecnica.

L’indagine geognostica costituisce una premessa indispensabile per ogni corretta progettazione, in ciascun grado del suo sviluppo; essa è anche una delle più rilevanti voci di spesa per il progettista e spesso crea forti difficoltà di esecuzione poiché comporta, specialmente nelle prime fasi, l’accesso a siti non ancora espropriati ed, allo stato di fatto, utilizzati per altri scopi, nonché non di rado destinati a non essere interessati dal progetto.

Per questi motivi si richiede al progettista una particolare cautela nella redazione del programma, alla ricerca delle informazioni strettamente indispensabili per le decisioni che progressivamente si vanno assumendo.

La programmazione del piano d’indagini è quindi una di quelle attività tipiche dell’autonomia del progettista, che deve contemperare le conflittuali esigenze tecniche, economiche ed ambientali.

Per l’aspetto economico, sul quale nel presente paragrafo si fornisce qualche informazione orientativa, sussiste un’amplissima variabilità, connessa non solo alle condizioni di mercato, ma altresì agli oneri obiettivi che ciascuna prova comporta, in relazione a: • accessibilità e condizioni climatiche dei siti; • disponibilità locale di servizi e forniture (acqua, corrente elettrica,

carburanti ecc.);

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• specifiche difficoltà nell’esecuzione dei saggi, quali: - resistenza alla penetrazione delle sonde nelle perforazioni, in ragione

delle qualità meccaniche delle rocce impegnate; - potenza e robustezza richieste ai macchinari, nonchè costo ed usura

degli attrezzi montati; - capacità di sostentamento autonomo dei fori praticati.

Ciò nonostante si riporta nella tabella 2.3 un elenco prezzi unitari delle principali lavorazioni descritte nei precedenti paragrafi; esso è liberamente tratto (con alcuni accorpamenti e qualche rettifica dettata dall’esperienza) da un prezzario compilato dall’Associazione Nazionale Imprese Specializzate in Indagini Geognostiche (ANISIG): si avverte che per ciascuna voce il prezzo unitario esposto rappresenta un massimo, sul quale in condizioni ordinarie di difficoltà, si riescono a conseguire consistenti economie; raramente, in condizioni di particolare impegno della lavorazione (sondaggi in alta montagna con utilizzo di attrezzature elicotterabili, a mare o su chiatte in fiume non navigabile, in sotterraneo o in siti interessati da dissesti attivi con alto livello di pericolo, ecc.) il costo effettivo delle lavorazioni può essere anche molto maggiore.

Indipendentemente dal programma d’indagine, si deve considerare che l’attrezzatura base è costituita da veicoli opportunamente dotati, che devono essere trasferiti sul sito delle prove e progressivamente traslati nelle diverse postazioni; al termine della campagna essi devono essere manutenuti e revisionati: quindi al costo delle prove, stimabile con l’applicazione alle quantità previste dei prezzi unitari dell’elenco, si devono aggiungere: • un compenso fisso di trasferimento di ciascuna delle attrezzature

impegnate (una o più per ciascuna tipologia, secondo la mole ed il tempo assegnato alla campagna), valutabile, in funzione della distanza e dell’accessibilità dell’area d’intervento:

- € 1200÷1400, per le sonde perforatrici a rotazione leggere; - € 2800÷3000, per sonde c.s., ma pesanti (profondità >80 m); - € 500÷700 per sonde CPT, SCPT, nonché per quelle attrezzate per

prove di sovracarotaggio 2D e 3D, dilatometriche e pressiometriche; - € 700÷900, per le sonde CPTE e CPTU, nonché per quelle dotate di

attrezzatura per prove pressiometriche. • un onere di postazione, valutabile € 480÷2400, in funzione di:

- distanza reciproca dei siti di prova; - morfologia dell’area: necessità di predisporre apposite piazzole; - uso del suolo: rischio di produrre danni alle coltivazioni per il

transito dell’attrezzatura; - esigenza di verificare preventivamente, con un prescavo a mano,

l’esistenza di sottoservizi nel sottosuolo; - eventualità di dover ripristinare, dopo l’operazione, sedi viarie

manomesse ecc.

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Tabella 2.3 Elenco prezzi unitari delle principali lavorazioni geognostiche

Descrizione dell’articolo

Unità di

misura

Prezzo Unitario

€ Perforazione verticale a distruzione di nucleo Φ 127 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità fino ad 80 m

metro

52

c.s. in roccia metro 92 Perforazione verticale a distruzione di nucleo Φ 127 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 80-:-200 m

metro

120

c.s. in roccia metro 190 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità fino a 20 m

metro

80

c.s in roccia metro 116 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 20-:-40 m

metro

100

c.s. in roccia metro 145 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 40-:-60 m

metro

120

c.s.in roccia metro 190 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 60-:-100 m

metro

150

c.s. in roccia metro 230 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 100-:-150 m

metro

220

c.s. in roccia metro 240 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in roccia e per profondità 150-:-200 m

metro 250

Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in roccia e per profondità 200-:-250 m

metro 285

Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in roccia e per profondità 250-:-300 m

metro 333

Sovrapprezzo per impiego di doppio carotiere nelle preforazioni a carotaggio continuo

metro 21

Sovrapprezzo per impiego di rivestimento metallico provvisorio nelle preforazioni di qualsiasi tipo

metro 20

Istallazione sulla sonda perforante dei sensori per l’esecuzione di diagrafie dei parametri di perforazione

unità 640

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Registrazione della diagrafia dei parametri di perforazione

metro 23

Prelievo di campioni rimaneggiati Unità 10 Prelievo di campioni semidisturbati Unità 100 Prelievo di campioni indisturbati Unità 120 Esecuzione di prova penetrometrica statica CPT con punta meccanica ed apparecchiatura di portata 10 t

metro 17

Esecuzione di prova penetrometrica statica con punta elettrica CPTE

metro 23

Esecuzione di prova penetrometrica statica con piezocono CPTU

metro 25.5

Esecuzione di prova di dissipazione della pressione intersiziale in corso di prova CPTU

unità 185

Esecuzione di prova penetrometrica dinamica continua SCPT

metro 19

Esecuzione di Standard Penetration Test (SPT) in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

unità

105

Esecuzione di prova di resistenza a taglio (Vane Test) in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

Unità

210

Allestimento di prova di permeabilità in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

Unità

244

Esecuzione di prova di permeabilità in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

Ora di prova

200

Istallazione di piezometro a tubo aperto di Φ 2”, compresa la formazione del dreno e dei tappi impermeabili ed esclusa fornitura e posa della tubazione

Unità

180

Fornitura ed istallazione di tubo da piezometro di Φ 2” metro 23 Istallazione di piezometro Casagrande a doppio tubo, compresa la formazione del dreno e dei tappi impermeabili ed esclusa fornitura e posa della tubazione

unità

350

Fornitura ed istallazione di tubo da piezometro di Φ 2” metro 25 Fornitura in opera di trasduttore di pressione elettrico, completo di cablaggio, all’interno di tubo piezometrico

unità 820

Fornitura in opera di piezometro elettrico di tipo assoluto, completo di cablaggio

unità 990

Istallazione di tubo inclinometrico entro foro di sondaggio, compresa la cementazione la fornitura e posa della tubazione

metro

57

Fornitura e posa entro inclinometro di colonna assestimetrica ad anelli magnetici tipo BRS, compresa la fornitura di un anello/m con alette per il fissaggio

metro

114

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59

Fornitura in opera di clinometro elettrico biassiale a corpo cilindrico e sensori potenziometrici a pendolo o elettrolitici

unità

1460

c.s. di precisione unità 2250 Fornitura in opera di sistema automatico per la registrazione dei dati piezometrici e/o inclinometrici

unità 2600

Esecuzione di prova di sopracarotaggio 2D (Doorstopper) per la determinazione dello stato pensionale in sito, in foro verticale o comunque inclinato

unità

2300

Esecuzione di prova di sopracarotaggio 3D (CSIR) per la determinazione dello stato tensionale in sito, in foro verticale o comunque inclinato

unità

3600

Esecuzione di prova di sopracarotaggio 3D (CSIRO) per la determinazione dello stato tensionale in sito, in foro verticale o comunque inclinato

unità

3850

Esecuzione prova con martinetto piatto semicircolare standard, per ripristino stato tensionale

unità 1150

Esecuzione prova con martinetto piatto quadrato o rettangolare (lati max 60 cm), per ripristino stato pensionale

unità 2000

Esecuzione prova di compressione con doppio martinetto piatto semicircolare a perdere

unità 1200

Esecuzione prova pressiometrica (tipo MPM) in terreno, all’interno di foro di sondaggio

unità 550

Esecuzione prova dilatometrica in roccia, all’interno di foro di sondaggio

unità 1000

Fornitura e posa di terminale per la chiusura temporanea dei fori di sondaggio

unità 250

Riempimento e/o cementazione di foro di sondaggio, dopo la prova

metro 14

Fornitura e posa in opera di unità automatica di acquisizione dati a due canali

unità 3100

Fornitura e posa in opera di unità automatica di acquisizione dati a quattro canali

unità 4400

Fornitura e posa in opera di unità automatica di acquisizione dati multicanali

unità 7200

Fornitura e posa in opera di modulo di alimentazione e trasmissione dati

unità 5700

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2.5 Indagine idrologico-idraulica.

Le analisi idrologiche di sussidio alla progettazione stradale si prefiggono la valutazione, su base probabilistica, delle quantità di pioggia che, in ragione del microclima locale, possono essere riversate, con preassegnata probabilità di superamento, nell’unità di tempo e sull’unità di superficie, nell’area vasta dell’intervento o su bacini più ristretti d’interesse di alcune opere.

Tale finalità viene perseguita, di solito, con un approccio basato sull’utilizzazione di un idoneo modello di trasformazione Afflussi/Deflussi, nell’ambito di una procedura “variazionale” o “estremante”.

La formalizzazione delle leggi di pioggia ovvero “curve di probabilità pluviometriche” viene compiuta sulla base di uno studio idrologico, regionale prima, di bacino poi

I modelli interpretativi più spesso utilizzati sono quelli di Gumbel e T.C.E.V.

Il primo, molto diffuso in campo tecnico per l'analisi dei massimi annuali delle altezze di pioggia e delle portate al colmo di piena nelle aste, alla prova dell’esperienza tende a sottostimare i valori più elevati osservati nel passato; pertanto, la sua utilizzazione può dare luogo a qualche insuccesso, quando i periodi di ritorno prescelti siano di gran lunga superiori all’intervallo di osservazione disponibile.

Il modello TCEV costituisce, di fatto, una generalizzazione di quello di Gumbel e risulta maggiormente rispondente alle esigenze di un'attenta valutazione delle portate al colmo di piena che possono defluire nei vari tronchi di un corso d'acqua. Esso risulta costituito dal prodotto di due leggi di Gumbel, la prima delle quali destinata ad interpretare e descrivere, in chiave probabilistica, i massimi valori di piena “ordinari” e la seconda quelli “straordinari” (con probabilità di superamento inferiore al 5%, secondo il classico modello di Gumbel).

Le informazioni normalmente disponibili per l'analisi delle massime precipitazioni derivano dai rilievi sistematicamente effettuati, in passato dal S.I.I. (Servizio Idrografico Italiano) e successivamente dal S.I.M.N. (Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale); non mancano esempi di rilevazioni ulteriori, effettuate per specifici scopi tecnici, registrate e messe a disposizione dall’ENEL, da Consorzi idrici e di bonifica, da Comunità Montane, ecc.

I dati di norma disponibili sono di due tipi: a) osservazioni pluviometriche, effettuate con l'ausilio di apparecchi di

misura molto semplici, denominati “pluviometri”, capaci unicamente di fornire la quantità cumulata di acqua affluita su una superficie di raccolta nota, in un determinato periodo di tempo; la periodicità del rilievo viene assunta nella pratica pari a 24 ore, con ripetizioni delle misurazioni alle ore 9.00 di ogni giorno;

b) osservazioni pluviografiche, effettuate con l'ausilio di apparecchi di misura più complessi dei precedenti (pluviografi), in grado di rilevare e di registrare i volumi di acqua complessivamente precipitati su un'area di note dimensioni, in preassegnati intervalli di tempo (tipicamente, ogni 2 o

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61

5 minuti, a seconda del tipo di strumento).

Sulla base di tali osservazioni, il Servizio Idrografico elabora e pubblica periodicamente, nei cosiddetti Annali Idrologici, le seguenti informazioni: 1. altezze di pioggia relative ad eventi di breve durata e notevole intensità; 2. massimi annuali dh delle altezze di pioggia nelle durate d = 1, 3, 6, 12 e

24 ore. 3. massimi annuali **

dh delle altezze di pioggia cumulate in periodi da 1 a 5 giorni consecutivi.

Lo studio ad hoc della materia, sussidiario alla progettazione stradale, parte dalla raccolta dei dati suddetti, rilevati nelle stazioni pluviografiche incluse nella zona omogenea a cui appartiene l’area vasta del progetto.

Sulla base di questi dati si effettua lo sviluppo modellistico, che conduce alla calibrazione (determinazione dei parametri α,β,γ) di espressioni delle intensità e delle altezze di pioggia, nella forma:

βα −⋅= dTi Td )(,

γα dTh Td ⋅= )(,

in cui T (anni) è il periodo di probabile ritorno dell’evento e d esprime le durate d’interesse (correlate ai tempi di corrivazione nei bacini di studio)

Tale espressione è stata riportata, in forma grafica, nel successivo diagramma esemplificativo di Fig 2.5.1.

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1d (ore)

h d,T

(mm

)

medieT = 10 anniT = 20 anniT = 50 anni

Figura 2.5.1 – Curve esemplificative di probabilità pluviometriche

Le infrastrutture stradali si inseriscono nel sistema idrografico

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della loro area d’influenza, mutandone l’assetto sotto il profilo quantitativo e distributivo; la conoscenza delle leggi di pioggia consente di simulare il disturbo, in ogni grado della progettazione e secondo le esigenze di ciascuno di essi.

Nondimeno un impatto non trascurabile le strade hanno anche sulla qualità dei corpi idrici di recapito dei reflui, tanto superficiali quanto profondi; per valutare l’incidenza del danno prodotto è indispensabile conoscere lo stato attuale delle acque nei ricettori ed il loro eventuale modo d’impiego.

Con l’entrata in vigore della L.183/89 furono istituite le Autorità di Bacino, a cui fu demandata la responsabilità istituzionale del controllo del territorio e della promozione dei piani di bacino come strumenti di pianificazione e programmazione. All’interno dei piani, assume importanza notevole il capitolo del risanamento delle acque, il cui obiettivo primario è il raggiungimento del massimo recupero qualitativo delle risorse disponibili.

Gli indirizzi regolamentari sono stati successivamente impartiti dalla L. 36/94, con l’attuativo DPCM 4 marzo 1996 n°47, e dal D.Lgs. 152/99 (applicativo della direttiva CE 91/271), con l’attuativo D.Lgs. 288/00; il suddetto corpo normativo, oltre a disporre le direttive generali in materia di censimento delle risorse idriche, di revisione ed aggiornamento del PRGA (Piano Regolatore Generale degli Acquedotti) e di gestione del servizio idrico integrato, enuncia i seguenti principi fondamentali: − tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal

sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da salvaguardare e utilizzare secondo criteri di solidarietà;

− qualsiasi uso delle acque deve salvaguardare le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;

− gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse, per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatica, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;

− il servizio idrico segue un approccio integrato per captazione, distribuzione, raccolta fognaria e depurazione, in ambiti territoriali ottimali (ATO), amministrati da un unico gestore,

− le Regioni disciplinano i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne, non recapitanti in rete fognaria, siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione.”

Gli obiettivi specifici perseguiti dal trattamento sono i seguenti: − prevenire e ridurre l’inquinamento e attivare il risanamento dei corpi

idrici inquinati; − conseguire il miglioramento dello stato delle acque e la protezione di

quelle destinate ad usi particolari; − perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche con priorità per

quelle potabili; − mantenere la capacità naturale di auto-depurazione dei corpi idrici,

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nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;

− assicurare, attraverso adeguati controlli, il rispetto dei valori limite agli scarichi forniti dallo Stato, nonché la definizione di valori limite di qualità del ricettore naturale.

Si considerano all’uopo:

a) Uso potabile; b) Uso irriguo; c) Uso industriale; d) Uso di balneazione; e) Idoneità per la vita acquatica.

a) Criteri di qualità per l'uso potabile Le acque destinate ad uso potabile vengono preferibilmente prelevate

dalle falde sotterranee o dalle sorgenti. Tuttavia le crescenti esigenze sociali inducono sempre più frequentemente ad utilizzare per l'approvvigionamento i corpi idrici superficiali.

La Direttiva del Consiglio della C.E.E. 75/440 del 10/6/75 attuata in Italia col D.P.R. n° 515 del 3/7/82, stabilisce i criteri di qualità delle acque superficiali destinate allo sfruttamento ad uso potabile, facendo riferimento a tre categorie di acque dolci (definite sulla base del livello di trattamento al quale devono essere sottoposte prima dell'uso).

I processi di trattamento prescritti sono: • Acque superficiali di categoria A1: trattamento fisico semplice (filtrazione)

e disinfezione. • Acque superficiali di categoria A2: trattamento fisico e chimico normale

(percolazione, coagulazione, flocculazione, decantazione, filtrazione) e disinfezione finale (clorazione).

• Acque superficiali di categoria A3: trattamento fisico e chimico approfondito (clorazione al break point, coagulazione, flocculazione, decantazione, filtrazione), affinazione (carbone attivo), disinfezione finale (ozono e clorazione).

Ciascuno Stato ha stabilito valori applicativi per ognuna delle tre categorie, indicati, in graduazione, come "valori imperativi" ed "valori guida". Si rinvia agli atti normativi originali chi fosse interessato ad essi.

b) Criteri di qualità per l'uso irriguo. L'irriguo è senza dubbio uno dei più importanti usi diretti delle acque

superficiali ed è quello che presenta le maggiori richieste in termini quantitativi.

Dal punto di vista qualitativo, per valutare l'idoneità dell'acqua a tale tipo d’impiego, si considerano le concentrazioni di: a) solidi disciolti totali; b) sodio, in rapporto agli altri cationi; c) elementi tossici.

Per i solidi disciolti totali (TDS) l'U.S.E.P.A. propone i limiti

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riportati nella tabella 2.4. Il rischio da Sodio viene valutato con l'indice SAR = 2 Na/(Ca + Mg),

dove la concentrazione dei cationi è espressa in mgeq/l, ovvero attraverso la misura della conducibilità elettrica, come proposto dall'U.S. Department of Agriculture.

Tabella 2.4 Classificazione delle acque ad uso irriguo, in ragionedei TDS.

Solidi Disciolti Totali TDS (mg/l) Classificazione

500 Acque che non provocano effetti nocivi

500 –1000 Acque che possono provocare effetti nocivi su colture sensibili

1000 – 2000 Acque che possono avere effetti nocivi e che richiedono una pratica irrigua controllata

2000 – 5000 Acque che possono essere usate solo per piante tolleranti, su suoli permeabili e con una pratica irrigua controllata

Per le concentrazioni di elementi tossici si considerano i valori fissati

dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste Italiano (derivati dall'U.S. Departement of Agriculture), riassunti nella Tabella 2.5.

Tabella 2.5 Valori limite delle concentrazioni di metalli nelle acque irrigue.

Elemento Concentrazione Mg/l

Elemento Concentrazione mg/l

Alluminio 4 Litio 2 Arsenico 0,1 Manganese 2 Berillio 0,5 Mercurio 0,002 Boro 0,5 Molibdeno 0,02 Cadmio 0,02 Nichelio 0,3 Cromo totale 0,2 Piombo 0,5 Cobalto 0,2 Selenio 0,03 Rame 0,2 Zinco 1 Ferro 2

c) Criteri di qualità per uso industriale.

L'acqua per l'uso industriale può essere impiegata sia nei processi produttivi, sia per il raffreddamento.

Nel primo caso, di norma, si richiedono caratteristiche specifiche che non sono soddisfatte da alcuna acqua naturale disponibile: si includono

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adeguati trattamenti nel processo produttivo. Minori requisiti sono richiesti per l'acqua di raffreddamento: al più ci si

limita alla valutazione dell’indice di Langelier, che fornisce una misura delle capacità incrostanti o aggressive su manufatti in cemento.

d) Criteri di qualità per uso di balneazione Si fa riferimento a quanto previsto dalla Direttiva CEE 76/160, recepita

dalla normativa nazionale con il DPR 470/82: si considera essenzialmente il grado d’inquinamento organico e patogeno.

e) Criteri di qualità per la salvaguardia della vita acquatica. Intervenuti con l'emanazione della Direttiva CEE 78/659, sono

finalizzati a mantenere le biocenosi acquatiche a livelli prossimi a quelli che si riscontrano in condizioni naturali; sono ovviamente differenziati per i diversi inquinanti.

Per gli idrocarburi di origine petrolifera si prescrive che non siano presenti in quantità tali da: • formare un film visibile alla superficie dell'acqua o sul fondo dei laghi e

dei fiumi • conferire sapore alla carne dei pesci.

Per il resto, nella tabella 2.6 si riassumono i principali limiti. Le misure sono soggette a particolari vincoli, in ordine a modalità dei

prelievi e a tolleranze sugli scostamenti: per il dettaglio si rinvia ai documenti normativi. Tabella 2.6 Limite di inquinamento per la salvaguardia della vita acquatica.

Acque salmonicole Acque ciprinicole Fattori inquinanti Unità G I G I

Temperatura .∆T °C 1,5 3 Ossigeno disciolto mg/l

mg/l 50%≤9 50%≤7

50%≤9 100%≤6

50%<8 100%<6

50%<7 100%<4

PH 6 -:- 9 6 -:- 9 Solidi sospesi mg/l <25 <25 BOD5 mg/l <3 <6 Azoto nitroso �g/l <3 <9 Ammoniaca indissoc. �g/l <4 <20 <4 <20 Ammoniaca totale �g/l <33 <822 <160 <822 Cloro residuo HOCL �g/l <5 <5 Rame �g/l <40 <40 Zinco �g/l <300 <1000

Le indagini sulla qualità dei corpi idrici esistenti, che nel corso del progetto di solito precedono la redazione degli studi d’impatto

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ambientale, possono attingere ai risultati dei controlli che le più diligenti ASL effettuano con frequenza, per l’individuazione e la repressione di eventuali abusi; quando debbono essere eseguite ad hoc possono essere limitate al regime di magra (che produce le massime concentrazioni) nelle aste permanenti (utilizzate per uno degli scopi produttivi sopramenzionati, o suscettibili di esserlo in futuro, e popolate di vita acquatica), non trascurando tuttavia quelle torrentizie che alimentino bacini di ritenuta o che, nell’area indagata, si trovino molto prossimi alla foce.

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2.6 Altre indagini ambientali

2.6.1. Generalità.

L’interesse per le problematiche geologico-geotecniche ed idrologico-idrauliche è pressocchè una costante degli sviluppi progettuali, ma non mancano esempi di influenza determinante nelle scelte di altri fattori ambientali; talvolta, anche laddove il progettista ritenesse che, per il caso specifico dell’infrastruttura in studio, alcuni di questi fattori non siano condizionanti, l’affermazione deve essere quantitativamente suffragata nelle fasi avanzate della progettazione (definitiva ed esecutiva).

Si tratteranno brevemente nel seguito le modalità di acquisizione dello stato dei principali di tali fattori, di seguito elencati, avvertendo che, al solito, il loro approfondimento non può prescindere da consulenze specialistiche:

- Inquinamento atmosferico da gas di scarico; - Stabilità atmosferica e venti; - Rumorosità dell’ambiente; - Effetti vibranti nel suolo.

2.6.2. Inquinamento atmosferico da gas di scarico.

Se si prescinde dal danno globale che il traffico motorizzato produce nell’atmosfera (che si affronta con politiche planetarie), nell’area d’influenza delle infrastrutture stradali il rischio con il quale deve confrontarsi il progetto è l’eventualità di generare concentrazioni puntuali di sostanze dannose per la salute delle persone e per l’integrità di alcuni beni sensibili.

In Italia il D.P.C.M. n° 30 del 28/03/83 ha per la prima volta stabilito, accogliendo una serie di direttive CEE, gli standards di qualità dell'aria respirabile, fissando limiti di accettabilità relativi alle concentrazioni degli agenti inquinanti; il controllo è affidato alle Regioni ed al Servizio Sanitario Nazionale.

Il D.P.R. n° 203 del 24/05/88 modifica parzialmente ed integra i limiti delle concentrazioni ammissibili ed i criteri di campionamento.

Il D.P.C.M. 12/11/93 introduce prescrizioni per i casi limite, soprattutto in area urbana congestionata, distinguendo anche fra livelli di attenzione e di allarme; questi ultimi sono poi stati corretti dal successivo decreto del 15/04/94, per portarli a congruenza con l’intervenuta normativa UE.

Prescindendo dai casi limite, che impegnano la politica dei trasporti in area urbana più che il progetto della singola infrastruttura, nella tabella 2.7 si riportano i valori massimi ammissibili, con la specificazione dell’estensione temporale dei rispettivi monitoraggi.

Si segnala che nella tabella: a) I limiti di tollerabilità si riferiscono ai singoli agenti inquinanti e non

tengono conto di sinergie che certamente esaltano la nocività di ciascuno di essi.

c) La maggior parte dei limiti si riferisce a medie su lunghi periodi; si trascura cioè la considerazione delle punte, che possono raggiungere valori assai più elevati.

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Tabella 2.7 Valori massimi ammissibili degli inquinanti nell’aria.

AGENTE PARAMETRO Valore limite µg/mc

SO2

- Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore in 1 anno (01/04-31/03)

- Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate in inverno (01/10-31/03)

- 98° percentile concentrazioni annuali

80

130 250

NO2 Concentrazione media di 1 ora da non superare più di una volta al giorno

200

CO - Concentrazione media di 8 ore - Concentrazione media di 1 ora

10 .103 40 103

Particolato (PTS)

- Media delle medie di 24 ore in 1 anno - 95° percentile delle concentrazioni mediedi 24 ore nell’arco di un anno

150

300

Pb Media aritmetica delle concentrazioni medie di 64 ore rilevate in 1 anno

2

F

- Concentrazione mediadi 24 ore - Media delleconcentazioni medie di 24 ore rilevate in un mese

20

10

Raramente nei progetti di infrastrutture lineari risulta necessario

procedere a rilevamenti diretti della qualità dell’aria all’attualità; più frequentemente tale esigenza si presenta per alcune infrastrutture puntuali di grande peso ambientale per il fattore atmosfera (aeroporti, autoporti, interporti, terminal bus, ecc.); anche in questo caso, tuttavia, i rilievi, che vengono di solito affidati alle ASL competenti (all’uopo attrezzate) o alle Amministrazioni Provinciali (preposte dalla legge alla gestione del sistema informativo); anche in questi casi, tuttavia, il periodo di osservazione si limita al più ad un anno (laddove il minimo per una buona affidabilità dei dati sarebbe almeno doppio) ed i punti di controllo si collocano solo all’intorno di ricettori sensibili.

Nei casi ordinari di progettazioni di infrastrutture lineari (soprattutto se in ambito extraurbano) è sufficiente limitare l’analisi a dati di rilievo disponibili nell’archivio dei C.O.P. (Centri Operativi Provinciali) e riferibili genericamente all’area vasta dell’opera. Quando si stabilisce di attuare una campagna ad hoc, si impiegano normalmente postazioni di rilevamento automatico, costituite da uno o più campionatori ed analizzatori (secondo il numero di inquinanti da monitorare) racchiusi in una centralina mobile, elettricamente alimentata e climatizzata; se la rete è costituita da più postazioni, normalmente si provvede al collegamento ad posto centrale di elaborazione e controllo.

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2.6.3 Stabilità atmosferica e venti.

E’ noto che la massa atmosferica che circonda la terra è estesa per uno spessore di 1000÷2500 Km, ma si concentra per il 90 % nei 15 Km prossimi alla superficie; gli strati superiori, a densità rapidamente decrescente con la quota, influenzano sensibilmente la dinamica degli inferiori, pur godendo di una certa stabilità fisico-chimica.

Al livello del mare l’aria è composta (mediamente) per il 78% (in massa) di azoto molecolare (N2) e per il 21% di ossigeno molecolare (O2); il rimanente 1% è una miscela di numerosi altri gas, che influenzano sensibilmente i fenomeni chimici e termodinamici attivi: molti di essi sono prodotti e/o soggetti di reazioni chimiche e fotochimiche, quindi hanno carattere transitorio e concentrazione variabile.

I fenomeni dinamici che si verificano nell’atmosfera (venti) sono generati: • a livello planetario, dall’azione di trascinamento della massa atmosferica da

parte della superficie terrestre, per effetto della rotazione giornaliera (forza di Coriolis). La capacità trainante sugli strati è ridotta nelle zone morfologicamente pianeggianti (fra cui gli oceani) e diminuisce velocemente con il progressivo distacco dal suolo;

• a livello locale, dai gradienti di pressione barometrica e di temperatura. Questi ultimi, che di norma sono anche la causa dei primi, sono dovuti: - alla diversa intensità delle radiazioni solari (in funzione della latitudine),

che determina a sua volta, unitamente alla natura ed allo stato delle superfici esposte (terreno variamente umido, coltri vegetate, masse liquide, ecc.), differenti escursioni di temperatura nei cicli diurni e stagionali;

- alla differente attitudine delle masse aeriformi (composizione chimica presenza in sospensione di particelle solide e liquide nebulizzate) a filtrare (assorbire selettivamente) le radiazioni solari (con particolare riferimento all’infrarosso termico);

- a fenomeni adiabatici (compressione e decompressione), connessi agli stessi moti, nonché alla spinta verso l’alto esercitata dai moti di Coriolis, associati alle asperità della superficie terrestre.

La combinazione di fattori globali e locali determina nell’atmosfera gradienti di pressioni, che generano flussi di masse secondo ben definite direzioni, che di norma si individuano (per la componente orizzontale) attraverso la collocazione nella “rosa dei venti” (suddivisa in 8 o 16 settori), e con varia intensità (velocità, misurata in m/s ovvero Km/h, ovvero più frequentemente in nodi NM ([miglia marine]/h).

Nello studio dei fenomeni meteorologici, che presiedono alle dispersioni degli inquinanti emessi dal traffico stradale, si suddivide l’atmosfera in due diversi strati:

- lo “strato limite planetario” PBL (Planetary Boundary Layer), che si estende fino all’altitudine (relativa al suolo) di 300÷3000 m (ove si colloca anche la base del sistema nuvoloso). Al suo interno il moto dell’aria è prevalentemente turbolento ed è influenzato dalla

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conformazione superficiale del suolo e dai gradienti verticali di temperatura;

- l’atmosfera libera (“strato geostrofico”, sovrastante il PBL), ove il movimento dell’aria è prodotto pressocchè esclusivamente dal gradiente orizzontale di pressione.

L’influenza maggiore sul fenomeno di diffusione degli inquinanti viene esercitata dalla zona di transizione fra i suddetti due strati (“strato di mescolamento” o di Ekman), che subisce notevoli evoluzioni nel corso del giorno: • In periodo diurno i moti si caratterizzano come turbolenze di carattere

convettivo, generate dal trasferimento di energia termica proveniente: - dal suolo, di norma più caldo dell’aria; - dal sovrastante strato di nubi, se presenti; - direttamente dall’irraggiamento solare, in assenza di nubi.

Il decorso delle attività turbolente ha un andamento a campana fra l’alba ed il tramonto, con il massimo nel primo pomeriggio.

• In periodo notturno, la stabilità indotta nello strato dalla caduta degli scambi termici predispone le condizioni favorevoli alle reazioni chimiche per la formazione degli inquinanti secondari; le reazioni subiscono una forte accelerazione a ridosso dell’alba, quando si aggiungono gli effetti fotochimici delle radiazioni solari, e procedono con crescente intensità fino alle ore centrali del giorno (massima insolazione).

Lo strato di mescolamento è superiormente delimitato da una zona, detta “di confinamento”, che con la sua caratteristica stabilità agisce da cappa per i flussi di calore diretti verso l’alto.

Le condizioni di “stabilità statica” dell’atmosfera, caratterizzate da valori trascurabili della componente orizzontale degli spostamenti di masse, non precludono i movimenti di direzione prevalentemente verticale; questi peraltro sono responsabili del trascinamento di grandi quantità di energia termica e di umidità, quindi influenzano in modo determinante i fenomeni di evaporazione/condensazione e le precipitazioni, oltre che la dispersione degli inquinanti.

L’intensità e la velocità dei moti verticali è strettamente connessa a processi termodinamici: la teorica condizione di immobilità è determinata da un preciso gradiente di temperatura all’interno del PBL, detto “adiabatico” (corrispondente alla riduzione di circa 1° ogni 100 m di altitudine).

In condizioni adiabatiche le spinte di galleggiamento di ciascuna particella sono esattamente compensate dal suo peso: i moti verticali sono teoricamente solo inerziali.

In condizioni “super-adiabatiche” (gradiente di temperatura più pronunciato dell’adiabatico) le spinte di Archimede su ciascuna particella, in ogni posizione, prevalgono sul suo peso: il moto di risalita è accelerato e produce raffreddamento della massa. Siffatti fenomeni si verificano, di norma, negli strati bassi in periodo diurno, a causa del trasferimento di calore dal terreno irraggiato ai volumi a contatto.

In condizioni “sub-adiabatiche” (gradiente di temperatura più debole dell’adiabatico) prevale il peso e si generano correnti verticali verso il

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basso associate al riscaldamento progressivo delle masse che ne risultano coinvolte: la dispersione degli inquinanti verso l’alto è contrastata. Condizioni di questa natura si determinano regolarmente negli strati bassi in periodo notturno; talvolta un livello intermedio si porta in condizione sub-adiabatica esasperata e localizzata o perfino ad un gradiente di temperatura crescente con la quota; siffatto fenomeno, che è usualmente denominato “inversione termica per subsidenza”, massimizza l’effetto di contenimento in quota.

I parametri che consentono di individuare le condizioni microclimatiche, in termini di stabilità o turbolenza degli strati atmosferici prossimi al suolo, hanno carattere aleatorio; quindi, ai fini tecnici, non è possibile seguirne la variabilità.

Di norma, per classificare nei progetti stradali le condizioni medie caratteristiche della zona, si fa riferimento alle seguenti classi di Pasquill [1961], come integrate da Hanna [1982]:

A - Molto instabile; B - Mediamente instabile; C - Debolmente instabile; D - Neutra; E - Debolmente stabile; F - Stabile; G - Fortemente stabile.

L’attribuzione del microclima ad una delle suddette classi si basa sui dati di rilievo di seguito elencati:

- Velocità del vento al suolo - Periodo di insolazione - Stato del cielo notturno.

La loro correlazione è riassunta in tabella 2.8.

Tabella 2.8 Attribuzione alle classi di Pasquill. Vento Insolazione Stato del cielo notturno (m/s) Forte Moderata Debole Coperto A 3/8 Sereno

Calma - - - - - G < 2 A A/B B - - - 2÷3 A/B B C E F - 3÷5 B B/C C D E - 5÷6 C C/D D D D - > 6 C D D D D -

I dati d’ingresso alla tabella 2.8 risultano di facile reperimento e/o

rilevamento e si prestano anche (eventualmente) ad analisi differenziate per i vari periodi dell'anno.

Ai fini tecnici della progettazione stradale (per la stima degli effetti ambientali sull’atmosfera) si possono utilizzare i rilievi effettuati sistematicamente nelle più vicine stazioni metereologiche.

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A puro titolo esemplificativo si sono riassunte nella tabella 2.9, le distribuzioni di frequenza percentuale delle classi di stabilità di Pasquill, ricavate dalle rilevazioni delle stazioni meteorologiche presso i principali aeroporti italiani.

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Tabella 2.9 Distribuzioni di frequenza percentuale delle classi di stabilità di Pasquill nei principali aeroporti italiani.

Classe di stabilità Località A B C D E F G

Ancona 4,3 9,0 11,0 38,5 10,7 17,0 9,5 Bari 2,2 8,9 12,1 32,4 13,8 22,2 8,4 Bologna 8,4 11,6 10,2 16,5 10,8 29,1 13,4 Bolzano 12,0 14,2 7,9 9,1 4,9 31,1 20,8 Brindisi 0,4 2,9 14,7 56,8 8,0 12,3 4,9 Cagliari (Elmas) 2,6 7,0 13,9 35,6 11,3 20,9 8,7 Campobasso 4,7 8,0 10,0 37,6 11,2 18,9 9,6 Catania 1,6 6,2 14,5 34,1 9,1 18,5 16,0 Enna 8,3 8,4 8,7 40,0 8,5 11,6 14,5 Firenze 11,9 7,6 8,8 19,0 6,8 24,6 21,3 Foggia 5,0 6,1 10,2 37,0 9,8 18,9 13,0 Genova 4,2 8,6 9,9 42,2 9,0 14,2 11,9 Grosseto 5,3 9,5 10,6 23,4 6,8 19,0 25,4 Livorno 3,7 10,0 10,2 36,9 11,6 16,7 10,9 Messina 3,3 8,8 12,8 28,9 10,6 22,1 13,5 Milano (Linate) 10,8 12,0 9,9 11,1 10,3 28,2 17,7 Milano (Malpensa) 8,7 13,9 10,1 12,7 9,2 25,0 20,4 Napoli (Capodichino) 4,2 8,6 11,2 25,4 9,5 25,0 16,1 Palermo 2,8 9,8 11,0 30,4 11,3 22,7 12,0 Parma 13,4 11,2 8,2 9,5 8,0 27,4 24,3 Perugina 10,1 10,3 8,2 25,1 13,0 18,2 15,1 Pescara 5,4 11,2 11,0 20,9 9,7 29,7 12,1 Pisa 6,2 8,8 9,5 26,9 7,7 21,4 19,5 Potenza 4,5 5,6 10,4 43,3 6,7 18,1 11,4 Reggio Calabria 0,9 4,5 14,2 39,9 9,7 23,2 7,6 Roma 5,7 8,4 10,0 29,4 10,5 11,5 16,5 Siracusa 1,9 10,8 12,7 28,3 9,8 18,2 18,3 Taranto 3,1 7,7 12,7 34,0 9,0 17,0 16,5 Torino (Caselle) 12,1 13,8 8,3 8,2 7,8 30,2 19,6 Torino (Superga) 10,9 14,7 8,7 9,0 8,9 32,7 15,2 Trapani 0,7 1,5 13,8 56,5 9,4 10,6 7,5 Trieste 7,2 10,1 11,3 28,1 10,3 19,8 13,2 Venezia (Lido) 6,5 12,0 11,2 27,9 11,7 17,9 12,8 Verona (Villafranca) 13,0 10,6 7,9 11,0 7,3 25,6 24,6

In mancanza di informazioni di base rappresentative delle condizioni meteorologiche locali o per attribuire un breve periodo di tempo (di solito una singola ora) alla classe di stabilità che gli compete, è stato proposto da Hanna [1982] un metodo speditivo, derivato dagli studi del Brookhaven National Laboratory (BNL); il metodo consente l’attribuzione delle contingenti condizioni microclimatiche locali a cinque classi: la base sperimentale è:

o il rilievo della direzione del vento;

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o la sua variabilità nell’intervallo di un’ora (tabella 2.10)

E’ stata anche prodotta una correlazione (vagamente indicativa, ma spesso sufficiente per gli scopi applicativi in modelli empirici di dispersione) fra le classi di stabilità Pasquill e BNL; in sintesi tale corrispondenza è stata riassunta nella tabella 2.11

Tabella 2.10: Attribuzione alle classi di stabilità BNL.

Classi di stabilità Definizione A Fluttuazioni di ϕ superiori a 90° B1 Fluttuazioni di ϕ comprese fra 40° e 90° B2 Fluttuazioni di ϕ comprese fra 15° e 40° C Fluttuazioni di ϕ intorno a 15°, ma alquanto disperse

nell’ora intorno alla direzione prevalente. D Fluttuazioni di ϕ inferiori a 15°, rare e di breve durata.

Tabella 2.11: Relazione tra le classificazioni di stabilità Pasquill e BNL.

Classi di stabilità Condizioni di stabilità Pasquill BNL Estrema instabilità A A Moderata instabilità B B1 Leggera instabilità C B2 Neutralità D C Leggera stabilità E C/D Moderata stabilità F D

2.6.4 Fonometria.

Un suono è costituito da onde di compressione-rarefazione (variazione della pressione puntuale nel tempo, rispetto al valor medio barometrico), che si propagano nel mezzo elastico “atmosfera” e vengono percepite dall'orecchio di un ascoltatore attraverso il proprio apparato fisiologico uditivo.

Comunemente si definisce rumore un suono che non rechi informazioni utili e che interferisca con la possibilità di percepirne altri; si tratta in pratica di un suono inutile o dannoso, secondo attribuzioni meramente soggettive, legate alle condizioni fisico-psicologiche del ricettore.

La definizione del livello di inquinamento sonoro comporta la scelta di un indicatore di disturbo significativo e l'assunzione di un valore di soglia con il quale confrontarlo.

Nel primo passo è insita la necessità di una correlazione, di complessa ed eterogenea definizione, fra elementi quali l’agente produttore, il livello sonoro prodotto, il suo effetto fisiologico. Il secondo presuppone la individuazione e la valutazione dei danni possibili alla salute dei ricettori,

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anche in relazione alle attività occasionalmente svolte (con riferimento a quelle insediate nel territorio esaminato).

Alla difficoltà del procedimento si aggiunge una grande difformità di vedute, a livello di normative internazionali: nei diversi Paesi si fa riferimento ad indicatori anche molto difformi (analisi statica del livello di pressione sonora, analisi statistica, analisi del contenuto energetico delle emissioni, ecc.), e si giudicano quali limiti di tollerabilità valori estremamente differenti. Quale esempio eloquente, si rileva che la normativa cecoslovacca (la più permissiva), e quella danese (la più rigida) ammettono rispettivamente: - anche in zone residenziali di notte, un valore limite di 61 dB (A); - 35 dB (A), in zone esclusivamente residenziali nell’arco dell’intera

giornata, e 41 e 51 dB (A) in ambiente urbano generico, rispettivamente di notte e di giorno.

Ancor meno univoca è la scelta normativa delle tecniche di rilevamento e delle relative strumentazioni: molto è lasciato alla discrezionalità di chi esegue le misure, a tutto danno della confrontabilità delle esperienze e dei risultati.

In Italia l’inquinamento acustico di un territorio è regolato dal D.P.C.M. 01.03.91 (G.U. n° 57 dell'8/3/91) sui “Limiti massimi di esposizione al rumore per gli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”, nonché dalla norma UNI U20.00.023 sulla “Caratterizzazione acustica del territorio mediante descrizione del rumore ambientale”, applicativa della comunitaria ISO R 1996.1.2.

Le surrichiamate normative assumono, quale descrittore delle condizioni acustiche, il livello di pressione sonora secondo la seguente relazione:

Lp = 10 log (P/P0)2

Nella suddetta relazione: - Lp è il livello di pressione sonora, espresso in "decibel"(dB), anche se si

tratta in realtà di grandezza adimensionale; - P è il suo valore efficace, misurato in Pascal (Pa); - P0 è la pressione di riferimento, che si assume pari a 20 µPa in condizioni

standard.

Nondimeno due suoni che presentino lo stesso Lp, ma non siano caratterizzati dalla stessa frequenza dell'onda, non producono la stessa sensazione uditiva: pertanto sono state statisticamente elaborate delle curve, nel piano pressione sonora/frequenza, che uniscono i punti di ugual sensazione uditiva: esse caratterizzano una grandezza detta "phon". Uno strumento che rilevasse i phon di un certo suono sarebbe in pratica paragonabile ad un orecchio umano; usualmente, per approssimarsi a questa irraggiungibile condizione si dota il fonometro (strumento di misura del solo Lp) di scale di ponderazione normalizzate, che permettono di individuare i phon del suono in esame tramite un coefficiente di correzione di Lp: in accordo con la pratica internazionalmente consolidata, per i suoni in ambienti esterni è invalso l'uso di implementare la scala di ponderazione A, esprimendo quindi Lp in dB (A).

Si definisce livello equivalente “ponderato A” nell’intervallo

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di tempo T (da t1 a t2): ( )

= ∫2

12

0

2

12Aeq

1log10Lt

tA dtP

tPtt

in cui PA è la pressione efficace del segnale, ponderata secondo il filtro A. LAeq è dunque il livello di pressione sonora di un rumore continuo e

costante, che nell'intervallo T cumula la stessa energia sonora emessa dal rumore in esame; il suo valore non fornisce alcuna informazione sulla distribuzione di tale energia nell'intervallo di riferimento.

Tabella 2.12 Classificazione del territorio a fini acustici.

Classe Definizione I

Aree particolarmente protette: Rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, destinate al riposo ed allo svago, residenziali rurali e di particolare interesse turistico, parchi pubblici, ecc.

II

Aree destinate ad uso prevalentemente residenziale: Rientrano in questa classe le aree urbane interessate prevalentemente dal traffico veicolare locale, con basse densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali ed in assenza di attività industriali ed artigianali.

III

Aree di tipo misto: Rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare locale e di attraversamento, con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali ed uffici, con limitata presenza di piccole industrie.

IV

Aree di intensa attività umana: Rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali ed uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione, di linee ferroviarie, di aeroporti; le aree portuali e quelle con limitata presenza di piccole industrie.

V

Aree prevalentemente industriali: Rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni.

VI

Aree esclusivamente industriali: Rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da attività industriali e prive di insediamenti abitativi.

Il D.P.C.M. 01.03.91, vigente in Italia, assegna alla amministrazioni comunali il compito di suddividere il proprio territorio, secondo le

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destinazioni d'uso, per l’applicazione dei limiti massimi del livello sonoro ammissibile, secondo i criteri della tabella 2.12; l’ottemperanza a tale obbligo è largamente incompleta, giacchè la maggior parte delle amministrazioni locali non ha provveduto alla zonizzazione del territorio di competenza.

Per le rumorosità ammissibili nelle varie zone, il D.P.C.M. 14.11.97 fissa i limiti, espressi in dB(A), riassunti nella tab.2.13. In mancanza della zonizzazione, si applicano i limiti provvisori (di norma validi per sorgenti fisse) di cui alla tabella 2.14.

Gli strumenti di misura da impiegare sono (all. B del DPCM 01/03/91): i fonografi registratori di classe 1° (standard I.E.C. n°651/79 e n°804/85), operanti nell’arco delle 24 ore ed aventi un range di linearità di risposta tra 20 Hz e 16 KHz.

Tabella 2.13.Limiti di rumorosità.

Tempo di riferimento Classi di destinazione d'uso del territorio Diurno

6-:-22 Notturno

22-:-6 Aree particolarmente protette 47 37 Aree prevalentemente residenziali 52 42 Aree di tipo misto 57 47 Aree di intensa attività umana 62 52 Aree prevalentemente industriali 67 57 Aree esclusivamente industriali 70 70

Per tenere conto della maggiore incidenza del periodo notturno sul disturbo arrecato, si distinguono il livello diurno Ld (dalle ore 6 alle 22) da quello notturno Ln; maggiorando convenzionalmente quest’ultimo di 10 dB(A); ne risulta un valore ponderato giornaliero Ldn:

Ldn = 10 log [0,667 10 0.1 Ld + 0,333 10 0,1(Ln +10)] in dB(A)

Per altre valutazioni si introducono altresì gli indici L10 ed L90, corrispondenti a:

L10 = decimo percentile della distribuzione statistica dei livelli sonori misurati, rappresentativo dei valori di picco);

L90 = novantesimo percentile, rappresentativo della rumorosità di fondo.

Le eventuali misurazioni ad hoc della condizione attuale si debbono effettuare in giorni infrasettimanali (dal martedì al venerdì) e possono essere opportunamente limitate campionariamente a periodi di 15 minuti distribuiti nell’arco delle 24 ore; esse sono eseguite nelle posizioni che si mostrino più significative per la descrizione acustica dell’ambiente; tipicamente:

- in prossimità di ricettori particolarmente sensibili; - in prossimità di sorgenti rilevanti; - nei vertici di una griglia quadrata, dalla maglia relazionata alle -

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disuniformità, che non dovrebbero superare i 5 dB(A) fra postazioni adiacenti (di norma si parte da aperture ampie e si dimezza il passo successivamente, nelle zone in cui la suddetta condizione non risulta rispettata).

Tabella 2.14. Valori limite per le immissioni da sorgenti sonore fisse.

Tipologia di area Livello continuo equivalente LAeq dB(A) Giorno (6-:-22) Notte (22-:-6) Tutto il territorio 70 60 Zona urbanistica A 65 55 Zona urbanistica B 60 50 Zona esclusivamente industriale 70 70

Le zone urbanistiche sono così definite dal D.M. 1444/68: • Zona A: Territorio impegnato da agglomerati urbani di carattere storico, artistico e/o di

particolare pregio ambientale, comprese le aree circostanti che le integrano • Zona B: Territorio totalmente o parzialmente edificato (indice fondiario >1/8 m2/ m2 e

densità territoriale >1,5 m3/ m2)

Le postazioni di misura debbono in ogni caso essere collocate anche in relazione agli ostacoli presenti (dai quali debbono distare almeno 2 metri); il microfono deve essere sospeso ad 1,5-:4,0 metri dal suolo, negli spazi liberi, a quote 3,0-:-11,0 metri, in prossimità delle facciate degli edifici; durante la registrazione lo stesso operatore deve tenersi distante dal microfono almeno 2,0 metri.

Ovviamente la campagna di rilievi deve essere corredata di una mappatura dei siti di prova.

2.6.5 Vibrazioni.

Fisicamente una vibrazione è un fenomeno ondulatorio che si propaga attraverso un mezzo solido; lo spettro di frequenze del segnale (nel caso usuale di processi approssimativamente lineari) è la base di caratterizzazione del fenomeno e di previsione degli effetti indotti dall’energia trasmessa sui ricettori: può essere scomposto con un’analisi di Fourier.

Ciascuna massa investita dal carico energetico contenuto nella vibrazione è soggetta a spostamenti cinematicamente caratterizzati da determinate velocità ed accelerazioni.

Alla definizione del fenomeno concorrono anche: L’andamento temporale degli impulsi.

Si distinguono usualmente: - “spettri costanti” quando, nell’intervallo di osservazione, il livello

oscilla al più di 5 dB sul valore medio; spettri non costanti quando tale condizione non risulta soddisfatta.

- “eventi impulsivi” quando le variazioni di livello sono repentine e la durata dei corrispondenti diagrammi è breve. La direzione prevalente degli spostamenti indotti, riferiti ad

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una terna cartesiana con l’asse Z verticale.

Le vibrazioni generate dal moto dei veicoli sulle infrastrutture di trasporto (in fase di esercizio) e dai mezzi d’opera (in fase di costruzione) si situano normalmente, all’origine, nella gamma di frequenze 1÷150 Hz.

In corso di propagazione nel terreno, la tendenza naturale di questo a trasferire l’energia vibratoria in corrispondenza delle frequenze proprie, dà luogo al filtraggio del segnale, principalmente con il taglio del settore alto dello spettro; in definitiva, per gli scopi dell’analisi ambientale del fenomeno vibrazionale, risulta d’interesse solo il campo di frequenze 1÷80 Hz (giacchè, di norma, lo spettro di maggior frequenza si esaurisce nell’arco di qualche metro).

Scaricandosi sui ricettori, l’energia vibrazionale produce una triplice categoria di effetti sociali e fisici:

disturbo di attività produttive: tipicamente, l’interferenza con lavorazioni di precisione;

disturbi psico-somatici sulle persone ed acustici (limitati alle frequenze superiori alla soglia di udibilità, fissata a 20 Hz); danno strutturale ai manufatti.

L’apparecchiatura di misura delle vibrazioni è l’accelerometro (trasduttore meccanico-elettrico), misuratore dell’accelerazione indotta in un punto.

Dal rilievo delle accelerazioni si risale alle velocità ed agli spostamenti, rispettivamente con semplice e doppia integrazione.

In analogia a quanto già esposto per il rumore, gli indicatori fisici adoperati per la valutazione degli effetti di disturbo e/o del danno prodotto dalle vibrazioni sono il valore efficace, nell’intervallo T.= t2 – t1, delle accelerazioni aRMS e delle velocità vRMS indotte:

Inoltre, per la valutazione degli effetti fisiologici del disturbo, come

per il rumore, si usa riferirsi anzicchè alle grandezze cinematiche della vibrazione (accelerazione e velocità) ai corrispondenti livelli, espressi in dB:

La = 20 log (aRMS/a0) Lv = 20 log (vRMS/v0)

in cui a0= 10-6 m/sec2 e v0 = 10-8 m/sec sono i valori di riferimento delle rispettive grandezze.

Infine, sempre in analogia alla corrente pratica nello studio dei rumori, per portare nella dovuta considerazione la differenziata risposta fisiologica alle diverse direzioni degli impulsi ed alle varie frequenze dello spettro, si usa pesare le componenti armoniche secondo un filtro (curva A, rilevabile in ISO 2631-2); il valore dell’accelerazione pesata in frequenza si indica ordinariamente con aw.; il corrispondente “livello equivalente di accelerazione aw,eq”, rilevato nell’intervallo T.= t2 – t1, si esprime:

( ) ( )∫∫ == 2

1

2

1

22 1........;1 t

tRMS

t

tRMS dttvT

vdttaT

a

( )

= ∫

2

1

1,

t

t weqw dttaT

a

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ad esso si associa il livello di disturbo pesato Lw= 20 log (aw,eq/a0).

A differenza di altri paesi comunitari (Germania e Regno Unito, alla cui normativa si fa spesso riferimento), in Italia, allo stato attuale, non è stata adottata alcuna norma cogente in materia di esposizione alle vibrazioni.

Nondimeno, sulla base di criteri richiamati in raccomandazioni UE, l’UNI si è fatto carico della compilazione di alcune direttive che, pur non presentando caratteri di obbligatorietà, sono largamente applicate, in quanto richiamate in altre disposizioni.

Ne risulta un quadro di riferimento così composto: • ISO 2631 “Evaluation of human exposure to whole body vibration”:

- parte 1° “General requirements” - parte 2° “Continuous and shock-induced vibration”

• UNI 9614 “Misura delle vibrazioni negli edifici e criteri di valutazione del disturbo” • UNI 9616 “Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici”. • DIN 4150 (norma tedesca) “Structural vibration in buildings”:

- parte 1° Principles, predetermination and measurement of vibration parameters;

- parte 2° Effects on humans in buildings; - parte 3° Effects on structures”

• BS 6472 (norma inglese) “Evaluation of human exposure to vibration in buildings”.

Ai fini dell’organizzazione dell’eventuale campagna di rilievi, nell’ambito dell’analisi territoriale propedeutica al progetto stradale, soccorre la UNI 9616 (derivata dalla ISO 4866, a sua volta congruente alla DIN 4150), che, fra l’altro, contiene la seguente classificazione semplificata dei ricettori, funzione della loro probabile sensibilità alle vibrazioni meccaniche trasmesse dal terreno:

- Strutture industriali ordinarie e/o commerciali - edifici residenziali e/o destinati ad attività nel settore dei servizi

(case, uffici, ecc.); - edifici pubblici (municipi, chiese, scuole, ospedali, ecc.), ovvero

fabbricati antichi e/o di valore monumentale, storico, archeologico, ecc.

- edifici per attività produttive dalle specifiche esigenze.

Con l’esclusione dell’ultima delle suddette fattispecie (lavorazioni di precisione), soggetta a valutazioni specifiche caso per caso, la norma fissa i limiti di tollerabilità riassunti nella seguente tabella 2.15, da verificarsi separatamente per i tre campi di frequenze: <10 hZ, 10÷50 hZ, >50 hZ.

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Tabella 2.15: Limiti di tollerabilità delle velocità di vibrazione.

A livello fondazionivRMS in mm/sec

Sui solai superiorivRMS in mm/sec

Industriali e commerciali 20 ÷ 40 40 Residenze ed uffici 5 ÷ 15 15 Monumenti 3 ÷ 8 8

La norma fornisce anche criteri di calcolo della prevedibile reazione strutturale di un manufatto alle sollecitazioni vibranti indotte. I fattori presi in considerazione a questo scopo, in associazione alla destinazione d’uso di cui si è detto, sono principalmente:

- la categoria della struttura, in scala crescente di sensibilità da 1 a 8, in funzione delle caratteristiche costruttive (materiali strutturali, numero di piani, ecc.);

- la tipologia delle fondazioni, in tre classi decrescenti per efficienza (dai pali profondi e/o platee, alle fondazioni isolate delle strutture verticali puntiformi ovvero dirette delle murature continue)

- la natura del terreno di sedime, in sei classi decrescenti per qualità della risposta (dalle rocce compatte, ai terreni sciolti di riporto).

La stessa norma, infine, fornisce indicazioni di larga massima sui tre possibili livelli di danno che si possono produrre alle strutture a seguito di sollecitazioni vibranti.

Posto il limite inferiore di frequenza di 4 Hz, al di sotto del quale non si registrano conseguenze di rilievo, si definiscono:

danni di soglia, consistenti in fessurazioni filiformi nei giunti fra diverse parti strutturali (ad esempio al contatto dell’ossatura in c.a. con le tramezzature ovvero nelle malte delle murature). Possono verificarsi per eventi di breve durata con vRMS = 4÷50 mm/sec, ovvero continui con vRMS = 2÷5 mm/sec;

danni strutturali minori, consistenti in apertura di vere lesioni, distacco di intonaci e fregi. Possono verificarsi per eventi di breve durata con vRMS = 20÷100 mm/sec, o continui con vRMS = 3÷10 mm/sec; danni strutturali gravi, consistenti in lesioni di membrature in c.a.,

fessurazioni diffuse, profonde e passanti delle murature portanti, aperture vistose dei giunti e/o slabbrature degli stessi per martellamento. Possono verificarsi per eventi di breve durata con vRMS = 50÷200 mm/sec, ovvero continui con vRMS = 5÷20 mm/sec.

Nell’ambito delle progettazioni stradali (invero assai più di frequente di quelle ferroviarie, in ragione della molto maggiore capacità di quell’esercizio di generare vibrazioni pregiudizievoli, per intensità e spettro di frequenze) si richiede talvolta un rilievo dello stato di fatto dell’inquinamento in parola, in ambiti in cui esso possa subire significative variazioni a causa della realizzazione e l’esercizio dell’infrastruttura di progetto.

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La zona d’interesse giammai si estende a siti distanti oltre qualche decina di metri dal margine stradale, superando il centinaio solo in circostanze particolarmente sfavorevoli.

Nell’ambito della zona d’interesse si eseguono le seguenti indagini: • identificazione degli insediamenti sensibili, in ragione della loro tipologia

strutturale e destinazione d’uso; rilievo delle loro caratteristiche prestazionali nei confronti del disturbo (fondazioni, membrature, solai, ecc.) ai sensi delle norme UNI 9614 e 9616;

• rilievo di dettaglio della geolitologia del sito, con particolare riferimento alle zolle che costituiscono veicolo del disturbo attuale e previsionale;

• misurazione dei livelli di vibrazione all’attualità, in corrispondenza dei ricettori di cui sopra;

• determinazione sperimentale della propagazione del previsto disturbo, con l’immissione di impulsi (in ampia fascia di frequenze), mediante un apposito agente (vibrodine o massa battente o minicarica).

Le misure vanno eseguite, nel rispetto della UNI 9614: lungo i tre assi di propagazione (Z verticale, X e Y orizzontali); a livello fondale e sui solai (almeno il primo e l’ultimo) dei ricettori

selezionati in bande normalizzate di 1/3 di ottava, nel dominio 1÷80 Hz, per

l’acquisizione dello spettro equivalente delle accelerazioni; nei domini di frequenza 1÷10, 10÷50 e 50÷80 Hz, per la

determinazione dei livelli di velocità di picco.

La strumentazione di misura da adottarsi nelle indagini deve essere conforme alle norme IEC 184, IEC 222 ed IEC 225: è composta da una serie così strutturata:

- accelerometro, caratterizzato da sensibilità e risposta lineare in frequenza, particolarmente nel settore basso dello spettro;

- preamplificatore; - filtri passabanda, limitatori del dominio di frequenze, e filtri

digitali real time di 1/3 di ottava; - integratore di segnale - registratore analogico DAT (Digital Audio Tape-recorder).

E’opportuno ed utile procedere a rilievi in contemporanea nei siti di ricezione prescelti, acquisendo i risultati tramite sistemi multicanali.

2.6.6 Sistema naturalistico ed uso del suolo.

Gli elementi del sistema ecologico d’interesse del progetto stradale, in quanto ne costituiscano vincoli meritevoli di attenzione e salvaguardia, sono schematicamente riferibili a tre ambiti distinti:

componente faunistica; componente floristica; ecosistemi complessi.

L’analisi della fauna consiste nel rilievo (con i limiti della

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mobilità delle specie animali) della composizione e delle densità di popolamento nell’area vasta dei diversi gruppi vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci), nonchè nella localizzazione dei rispettivi habitat, per le funzioni di alimentazione, riproduzione, rifugio e transito.

Il censimento si completa con la considerazione dei livelli di sensibilità all’eventuale perturbazione delle singole specie e dei soggetti (in riferimento all’abitudine acquisita).

L’analisi della flora non si limita all’individuazione dei soggetti meritevoli di salvaguardia, ma deve risalire alle loro aggregazioni in “comunità”, all’interno delle quali si verifichi una competizione biologica e si sia organizzata una difesa dalle azioni aggressive esterne. La vegetazione, con la sua caratteristica di dipendenza dal substrato e dalla microclimatologia del sito, è anche parte basilare dell’ecosistema, in associazione a particolari fattori morfologico-naturalistici quali: corpi idrici (sorgenti, fluenti e/o stagnanti), pareti rocciose, ambienti carsici, accumuli, ecc.

Alcuni tipi di ambiti ecosistemici, di particolare interesse e meritevoli di salvaguardia, sono genericamente indicati dalla legge italiana vigente (Legge Galasso n° 431 del 22.08.85): - le rive e le coste dei laghi e dei mari, per una fascia di 300 m di

profondità dalla battigia, comprese le scogliere rialzate; - le rive di fiumi, torrenti e corsi d’acqua, per una fascia di 150 m per lato; - le aree di montagna di elevata altitudine (≥1600 m s.l.m. per la zona

alpina e ≥1200 m s.l.m. per quella appenninica); - i ghiacciai ed i circhi glaciali; - i parchi e le riserve naturali; - i territori coperti da foreste e da boschi, anche se danneggiati dal fuoco; - le zone umide; - i vulcani.

In associazione alla perimetrazione delle zone vincolate, l’analisi degli assetti naturalistici si può concretizzare nella suddivisione dell’area secondo zone omogenee.

Nella tabella 2.16 sono riassunte le caratterizzazioni espresse dal programma europeo Corine Land Cover.

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Tabella 2.16 Caratterizzazione dell’uso del suolo a fini naturalistici

Classe Categoria Descrizione 1.1 Boschi di latifoglie

Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali dominano (> 75%) le specie forestali a latifoglie

1.2 Boschi di conifere Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali dominano (> 75%) le specie forestali conifere

1 Territori boscati ed ambienti seminaturali

1.3 Boschi misti Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali non dominano né latifoglie né conifere

2.1 Pascoli e praterie Aree foraggiere a bassa produttività, situate spesso in zone accidentate ed a rocce affioranti. Non sono presenti manufatti, né limiti di proprietà e recinti

2.2 Brughiere e cespuglietti

Formazioni vegetali basse, composte principalmente da cespugli, arbusti e piante erbacee. Sono comprese le formazioni a pino mugo.

2.3 Aree a vegetazione

sclerofilla.

Ne fanno parte: macchie (associazioni dense di specie arbustive miste, in terreni silicei acidi) egarighe (associazioni cespugliose discontinue su piattaforme calcaree). Si rinvengono: quercia coccifera, lavanda, corbezzolo, timo, cesto bianco, ecc. e qualche albero

2 Zone a vegetazione arbustiva ed erbacea

2.4 Aree boschive ed arbustive in evoluzione.

Vegetazione arbustiva ed erbacea con alberi sparsi. Possono derivare da degradazione della foresta o da rinnovazione e ricolonizzazione di aree non forestali.

3.1 Spiagge, dune, sabbie.

Distese di sabbia e ciottoli (larghezza >100 m) in ambienti litorali e continentali, compresi i letti dei corsi d’acqua, a vegetazione cespugliosa a macchie

3.2 Rocce nude, falesie rubi.

3.3 Aree a rada vegetazione.

Comprendono le steppe xerofile e le tundre in senso generale

3.4 Aree percorse da incendi

I prodotti della combustione debbono essere ancora presenti e visibili.

3 Zone aperte con vegetazione rada o assente

3.5 Ghiacciai e nevai perenni.

Si comprendono in questa classe anche gli impianti sportivo-ricreative per gli sport invernali

4.1 Zone umide interne

Zone non boscate, temporaneamente o permanentemente saturate parzialmente (a macchie) da acqua dolce stagnante o corrente.

4.2 Paludi interne

Zone basse, generalmente inondate in inverno da acqua dolce, variamente saturate nelle altre stagioni.

4.3 Torbiere Terreni spugnosi umidi, con suolo ricoperto di muschi e vegetali in decomposizione

4.4 Zone umide marittime

Zone non boscate, temporaneamente e/o parzialmente saturate da acqua salmastra.

4.5 Paludi salmastre Terre costiere, basse e vegetate, situate sotto il livello di alta marea, colonizzate da piante alofite

4.6 Saline

Paludi salmastre industrialmente utilizzate per l’estrazione; se inattive sono spesso colonizzate da alofite.

4 Zone umide

4.7 Zone intertidali

Superfici limose, ghiaio-sabbiose e/o rocciose, adiacenti a corpi idrici, comprese (in quota) fra i livelli massimo e minimo del pelo libero.

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5.1 Corsi d’acqua naturali

Si comprende in questa classe il letto di magra ordinaria

5.2 Canali artificiali Si includono nella classe le aree degli argini e delle eventuali strade di servizio esclusivo

5.3 Laghi naturali Si comprende nella classe lo specchio di magra ordinaria

5.4 Laghi artificiali

Si comprende nella classe lo specchio di magra ordinaria

5.5 Lagune

Aree separate dal mare (salvo localizzate comunicazioni) coperte di acque salate o salmastre,

5.6 Estuari

5 Corpi idrici

5.7 Mari Si comprende nella classe lo specchio oltre il limite delle maree più basse

6.1 Seminativi Superfici arabili, sottoposte ad un sistema di rotazione

6.2 Seminativi in aree non irrigue

Superfici coltivate in pieno campo a cereali, foraggi, leguminose, piante medicinali, aromatiche e culinarie. Colture in serra.

6.3 Seminativi in aree irrigue.

Aree con colture specializzate, dotate di uno stabile rifornimento di acqua agricola, a gravità (canali d’irrigazione) o artificiale (impianti idraulici).

6.4 Risaie. Terreni destinati alla coltivazione del riso, in genere terrazzati ed abbondantemente irrigati.

6.5 Vigneti.

6.6 Frutteti.

Impianti di alberi o arbusti fruttiferi monotipologici o misti, intercalate talvolta a superfici erbate (purchè non prevalenti). Appartengono a questa classe anche i castagneti.

6.7 Prati stabili. Superfici con copertura erbacea densa (graminacee), non soggetta a rotazione

6.8 Pioppeti ed eucalipteti

Impianti specializzati in colture legnose d’alto fusto a rapida crescita, gestiti a turni brevi (max 30 anni).

6.9Rimboschimenti. Impianti ordinati e vivai forestali, prevalentemente di conifere.

6.10 Sistemi particellari Mosaico di piccoli appezzamenti di terreni con varie colture intensive annuali o permanenti.

6.11 Pascoli e prato-pascoli

Superfici erbacee foraggiere a cotiche stabili o modificate per l’utilizzo (pascolo). Alle quote di pianura e collina talora viene lo sfalcio

6 Territori agricoli

6.12 Coltivi abbandonati

Aree all’attualità non utilizzate, anche invase (< 20% dell’estensione) da alberi ed arbusti spontanei suscettibili di sviluppo (forestale o agro-pastorale).

7.1 Verde urbano Spazi compresi nel perimetro degli abitati, inclusi parchi e cimiteri.

7 Zone verdi artificiali non agricole 7.2 Aree sportive e

ricreative

Campi sportivi (incluso il golf e gli ippodromi), anche non recintati, spazi per ricreazione e giochi, camping e picnic. Aree archeologiche.

8.1 Tessuto urbano continuo

Spazi strutturati dagli edifici e dalle relative infrastrutturazioni (viabilità ed altre aree impermeabilizzate) per coperture > 80%

8 Zone urbanizzate

8.2 Tessuto urbano discontinuo

Spazi caratterizzati dalla presenza di edifici, che, con le relative infrastrutture coprono il 50÷80 % del territorio perimetrato; isolati complessi rurali, abitazioni ed edifici di servizio (carceri, ospedali).

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9.1 Aree industriali e/o

commerciali

Aree con copertura artificiale e prevalentemente impermeabile, che occupi almeno il 50 % della superficie, al di fuori del tessuto urbano. La zona comprende di norma anche edifici e/o superfici vegetate

9 Zone industriali, commerciali, infrastrutturali

9.2 Superfici stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali.

10.1 Aree estrattive

Cave a cielo aperto di materiali inerti, ad eccezione dei letti dei corsi d’acqua, sono compresi in tali aree anche gli edifici e le costruzioni di servizio.

10.2 Discariche Depositi definitivi di materiali di scarto e di rifiuto di qualsiasi attività antropica

10 Zone estrattive, discariche e cantieri

10.3 Cantieri. Suoli rimaneggiati che ospitano temporaneamente attività costruttive.

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CAPITOLO SEI – LO STUDIO D’IMPATTO E LA VALUTAZIONE DI COMPATIBILITA’ AMBIENTALE.

6.1 Premessa ed inquadramento normativo.

L’importanza del controllo degli effetti ambientali nella redazione dei progetti delle strade è stata evidenziata fin dal primo capitolo. L’ambiente è uno dei vertici del seguente triangolo ideale, in cui il progettista colloca la sua scelta d’autore: prestazioni tecniche della strada, riferite alle esigenze funzionali (capacità,

livelli di servizio, sicurezza e comfort delle percorrenze, ecc.) ed urbanistico-territoriali da soddisfare;

resa economica dell’investimento; esiti ambientali tanto delle operazioni di cantiere per la realizzazione

dell’opera quanto dell’esercizio.

Il perseguimento di una soluzione equilibrata e la dimostrazione (rivolta al pubblico ed all’autorità politica e di controllo) dei percorsi seguiti per pervenire ad essa sono questioni assai delicate; si riassumono di seguito alcuni semplici concetti, per collocare la verifica ambientale del progetto stradale nel ruolo che le compete, sottraendola alle oscillazioni, che obiettivamente si rischiano, fra un eccessivo rigore, paralizzante per molte importanti ipotesi di sviluppo, e la sottovalutazione delle necessità di tutela, foriera danni irreversibili: Né il progettista né l’amministrazione proponente di un’infrastruttura

stradale né la società civile possono ragionevolmente coltivare la pretesa di impatto nullo tanto di una nuova strada quanto di una significativa modifica prestazionale di un’arteria esistente: troppo elevato è il peso del

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traffico gommato sugli assetti economico-sociali di un territorio e troppo rilevante è l’incidenza della strada su numerosi ed importanti fattori che caratterizzano l’ambiente in cui essa s’inserisce. Peraltro i riflessi sull’ambiente di un progetto, oltre ad essere vari sono anche eterogenei: alcune ricadute sono ascrivibili ai “vantaggi”, perchè sinergiche all’ipotesi di sviluppo, altre sono classificabili come “danno”, perché conseguenze indesiderate della realizzazione; non sono rari tuttavia i casi in cui quelli che sono giudicati come vantaggi da alcuni gruppi sociali, appaiano danni nell’ottica di altri. Inoltre i vantaggi ed i danni ambientali non hanno tutti la stessa importanza e quindi non meritano indifferenziata considerazione. Ad esempio, ben diverso rilievo assumono il consumo di una risorsa importante e non rinnovabile (quale l’occupazione di territorio ovvero, in ipotesi estrema, il danneggiamento irreversibile di un’area archeologica patrimonio dell’umanità) rispetto ad un disturbo temporaneo e/o reversibile indotto nell’area ristretta (come, ad esempio, la diffusione di rumori e vibrazioni durante la fase di costruzione); il progetto che non dimostri adeguata attenzione agli effetti ambientali è

semplicemente “sbagliato”; nondimeno è velleitaria ed altrettanto errata la pretesa che sia perseguita indifferentemente ed acriticamente la minimizzazione degli effetti ambientali, a spese delle prestazioni tecniche e/o dell’economia di realizzazione ed esercizio dell’opera.

I precedenti assiomi comportano altrettante conseguenze concettuali e procedurali: il giudizio definitivo di compatibilità ambientale di un progetto si

configura come una decisione politica: in fase di formazione deve quindi coinvolgere più ampiamente possibile beneficiari e danneggiati, ma alla fine l’autorità democratica è competente ad emetterlo (non la burocrazia, irresponsabile nei confronti della popolazione amministrata); nel corso dell’elaborazione progettuale il problema ambientale non pone

in generale alternative secche (si/no) ma richiede risposte graduate, di compromesso fra implicazioni tecnico-territoriali, impegno economico e consumi ambientali. Per questo motivo, quando si voglia istituire (come è giusto) un controllo ambientale in itinere dell’attività del progettista, il tecnico competente per questa funzione (o meglio lo staff pubblico preposto alle diverse forme di tutela) deve partecipare direttamente e continuamente alla elaborazione delle alternative Nondimeno competono al solo progettista, alla fine, le seguenti facoltà, a fronte del suo obbligo di conseguire il consenso sul prodotto: • la formulazione delle ipotesi praticabili, che eventualmente prendano in

carico (o rifiutino motivatamente) istanze ingiustificate e/o errate emerse nel corso del processo;

• la valutazione ponderata e la presentazione al decisore dei punti di forza e di debolezza di ciascuna alternativa;

• la resposabilità di proposta della soluzione.

Si richiama esplicitamente quanto illustrato al precedente par. 4.1. per ricordare che il processo progettuale di qualsiasi opera pubblica, a norma

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dell’art 15-comma 5 del DPR 554/99, prende avvio da una relazione preliminare del RUP, che deve essere cosi articolata:

A) Situazione iniziale. B) Obiettivi generali da perseguire e strategie per raggiungerli. C) Esigenze e bisogni da soddisfare. D) Regole e norme tecniche da rispettare. E) Vincoli di legge relativi al contesto in cui l’intervento è previsto. F) Funzioni che dovrà svolgere l’intervento. G) Requisiti tecnici da rispettare. H) Impatti dell’opera sulle componenti ambientali. I) Fasi della progettazione da sviluppare, loro sequenza logica e tempi

di svolgimento. J) Elaborati grafici e descrittivi da redigere. K) Limiti finanziari da rispettare, stima dei costi e fonti di

finanziamento. L) Sistemi di realizzazione da impiegare.

La maggior parte degli elementi conoscitivi alla base delle precedenti argomentazioni del RUP derivano dallo SdF; i paragrafi E) ed H) sintetizzano i risultati della VAS.

Nondimeno, anche quando la rilevanza dell’infrastruttura non renda obbligatorio (ai sensi della L 144/99) lo SdF, nè (ai sensi della direttiva 42/2001 CE) si richieda tassativamente la procedura di verifica di compatibilità strategica del programma in cui essa s’inserisce (VAS), il progettista preliminare, nell’intraprendere la prestazione, deve presumere che sia stato risolto il problema politico dell’utilità economico-sociale dell’infrastruttura e che sia stata accertata la sostenibilità d’insieme del programma a cui essa appartiene. In altri termini, la materia ambientale di cui tratta il presente capitolo descrive la ricerca della migliore e più equilibrata soluzione tecnica, ma presuppone che non siano poste in discussione né le esigenze che hanno presieduto alla decisione di includere l’opera nel programma, né la risposta che si è inteso fornire alle istanze di sviluppo, nella pianificazione infrastrutturale. In verità la legislazione italiana attualmente vigente non è molto chiara sul punto, giacchè richiede che si operi in ogni fase dello studio ambientale un confronto con l’ipotesi di non intervento: l’equivoco non è stato privo di nefaste conseguenze sull’effettiva capacità dei proponenti di eseguire i loro progetti, ma tende ad essere corretto nell’evoluzione in atto delle norme di settore.

Il controllo pubblico di coerenza delle valutazioni tecnico-economiche effettuate dal progettista e dal proponente l’opera (per le rispettive responsabilità) con le istanze in materia di tutela ambientale (eventualmente desunte dall’esito della VAS) si traduce anche in procedure formali nelle fasi del processo progettuale/realizzativi, ad opera di organismi specializzati e secondo la seguente graduazione:

- Progetto preliminare → Valutazione Preliminare d’Impatto Ambientale; - Progetto definitivo → Valutazione d’Impatto Ambientale- VIA; - Progetto esecutivo → Verifica di coerenza al decreto di compatibilità; - Realizzazione → monitoraggio e controllo dell’Osservatorio ambientale.

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Sul piano internazionale la formalità di una procedura specifica di VIA fu introdotta inizialmente negli USA, con il "National Environmental Policy Act-NEPA" del 31.12.69; fu successivamente codificata in Francia (per la prima volta in Europa) con la legge del 10.07.76 n°629 ed il successivo decreto di attuazione del 12.10.77 n°1141; fu poi recepita nella normativa comunitaria, con la direttiva del Consiglio della CE del 27.06.85 n°337, convalidata nel trattato di Maastricht del 07.02.92 (per l’assicurazione della sostenibilità dello sviluppo); fu infine modificata, in sede UE, con la direttiva 97/11.

A conferma dei concetti precedentemente argomentati, tutta la normativa internazionale configura la VIA come elemento d’integrazione dei processi decisionali, ma esclude tassativamente che possa assumere carattere pregiudiziale ed inibitorio rispetto alla decisione politica di realizzare il progetto esaminato.

In ottemperanza agli obblighi comunitari in Italia la VIA fu prescritta dall’art. 6 della legge dell’08.07.86 n°349 “Istituzione del Ministero dell'Ambiente e norme in materia di danno ambientale” e regolamentata con i seguenti DPCM: • 10.08.88 n° 377 “Regolamento delle pronunce di compatibilità

ambientale” • 27.12.88 “Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto

ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità”.

Il corpo normativo suddetto è stato parzialmente emendato ed integrato dalla legge 22.02.94 n° 146 “Disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale” e dal D.P.R. del 12.04.96 “Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art.40 –comma 1- della legge 22.02.94 n°146”.

Risulta peraltro che sia in corso (a seguito di legge delega) l’emanazione di Decreti Legislativi per l’introduzione di ulteriori modifiche delle norme vigenti e la proposizione di un codice ambientale innovativo.

In anticipazione del detto progetto, il Decreto Legislativo del 20.08.02 n° 190 “Attuazione della legge 21.12.01 n° 443 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale (Legge Obiettivo)” ha introdotto molte e rilevanti variazioni del regime di controllo ambientale, limitandone tuttavia l’applicazione alle sole opere che ricadono nella sua competenza; pur ritenendo che nel prossimo futuro le nuove regole saranno estese a tutte le opere, nel seguito si farà riferimento alla disciplina vigente.

Gli Enti che propongono la realizzazione di determinati tipi di opere hanno l’obbligo, prima dell’approvazione del progetto, di darne pubblicità e di acquisire il “Decreto di compatibilità ambientale”. La procedura per l’ottenimento dell’assenso è differenziata in funzione del rilievo territoriale dell’opera e del regime di protezione del suo sedime.

Si distinguono: a) Infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale. b) Infrastrutture d’interesse sovraregionale. c) Infrastrutture d’interesse locale.

Le opere ascrivibili al preminente interesse nazionale (comma a che precede) sono individuate d’iniziativa del Governo (sentite le Regioni

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interessate) ovvero in accoglimento da parte dello stesso di specifiche proposte delle Regioni e/o di altri soggetti pubblici o privati concessionari; il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), nel presupposto di esito favorevole di una prima verifica di congruenza della proposta progettuale con il piano formulato e con gli obiettivi generali di sviluppo (VAS): inserisce i singoli interventi prescelti nell’elenco allegato all’annuale

Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF), per comporre il programma attuativo delle opere strategiche per lo sviluppo;

provvede a coprire per ciascuno di essi il fabbisogno di risorse finanziarie, integrando (se necessario) con nuovi stanziamenti (su base poliennale) quanto già (eventualmente) disponibile per la loro realizzazione.

Le opere dell’elenco deliberate per iniziativa autonoma del Governo possono essere affidate per l’esecuzione ad un operatore terzo, con competenza istituzionale nel settore (amministrazioni dello stato, enti pubblici nazionali e loro concessionari); i proponenti delle altre (regioni, province, comuni, città metropolitane, enti pubblici dagli stessi dipendenti e loro concessionari) di solito sono designati come affidatari delle opere da loro prospettate.

Esclusi gli interventi di qualsiasi tipologia associati al programma strategico di preminente interesse nazionale di cui sopra, nel settore stradale sono classificati d’interesse sovraregionale (comma b-Infrastrutture d’interesse sovraregionale), quindi da sottoporre a controllo ambientale di livello governativo, i seguenti: • autostrade urbane ed extraurbane; • strade extraurbane principali (a carreggiate separate); • potenziamento di infrastrutture esistenti, che renda una delle due tipologie

sopra menzionate.

Infine sono considerate di rilievo ambientale, ma sono riservate al controllo in ambito regionale, in considerazione del loro interesse circoscritto, le seguenti ulteriori opere (comma c- Infrastrutture d’interesse locale): • strade extraurbane secondarie; • strade urbane di scorrimento a quattro o più corsie, di lunghezza superiore

a 1500 m, sia di nuovo impianto che derivanti da potenziamento di tracciati esistenti;

• urbanizzazioni di aree industriali interessanti superfici superiori a 40 ha (complessivamente, se in ampliamento di comparti esistenti) e predisposizione di nuovi insediamenti civili all’interno di aree urbane, di superficie superiore a 10 ha;

• interporti ed autoporti.

I progetti di tutte le sopra citate opere sono sottoposti a VIA formale, con il coinvolgimento delle diverse competenze e con le modalità che saranno descritte nel seguito; al di fuori di questi casi, cioè anche nell’ambito di progetti infrastrutturali di rango inferiore (strade extraurbane locali, strade urbane di scorrimento brevi, di quartiere e locali, urbanizzazioni civili ed industriali di modeste estensioni), possono essere incluse le seguenti tipologie

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d’intervento, che riconducono il progetto all’obbligo di un’adeguata verifica formale:

- difese costiere, destinate a combattere l’erosione, ed altri lavori a mare; - recupero di suoli da specchi d’acqua o da alvei, per superfici > 10 ha; - opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti; - estrazione di materiali litoidi dal demanio marittimo, fluviale e lacuale; - apertura e coltivazione di cave.

Le infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale sono sottoposte alla procedura regolata dal D.Lgs 190/02: la compatibilità ambientale strategica (VAS) del programma a cui appartengono viene decretata dal CIPE, allargato per l’occasione ai Presidenti delle regioni interessate. In caso di parere negativo di uno o più dei partecipanti in seno al CIPE, si applicano le procedure descritte nel precedente par. 5.9, per i casi di mancata unanimità.

Le altre infrastrutture d’interesse sovraregionale (quelle che seguono procedure ordinarie) debbono essere sottoposte a VIA, in conformità dei DPCM 10.08.88 e 27.12.88 e succ. mod e integr. La potestà di emettere atto formale di compatibilità ambientale è conferita al Ministro dell’Ambiente, di concerto con quello dei Beni Culturali.

Le infrastrutture d’interesse minore sono soggette a procedura di controllo a livello regionale, la cui disciplina amministrativa è riservata all’autonomia legislativa dell’Ente; è fatto tuttavia obbligo alla Regioni (nel legiferare in materia ed anche nelle more della emanazione della propria norma) di rispettare uno schema minimale, indicato dall’art.5 del DPR 12.04.96: questo prevede che la VIA sia obbligatoria solo se l’opera interessi, anche parzialmente, aree naturali protette (come definite dalla Legge del 06.12.91 n° 394); in caso contrario è facoltativa, a discrezione dell’Ente (che si deve quindi esprimere caso per caso, su una descrizione sommaria fornitagli dal RUP).

Sulla materia è intervenuto il D.Lgs 31.03.98 n° 112, applicativo della “legge Bassanini” del 15.03.97 n° 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed agli Enti locali, per la riforma della P.A. e per la semplificazione amministrativa”; al Titolo III, nell’ambito della disciplina in materia di territorio, ambiente ed infrastrutture di interesse infraregionale (esclusi cioè i collegamenti di livello internazionale e/o di interesse di più regioni), nel ribadire la completa autonomia normativa delle Regioni in materia, il suddetto D.Lgs assegna al Presidente della Giunta tutte le potestà che in sede nazionale competono al Ministro dell’Ambiente, a quello dei Beni Culturali ed al Presidente del Consiglio dei Ministri (per la risoluzione dei contrasti).

Sono esonerate da procedure formali le infrastrutture stradali di qualsivoglia impegno, disposte in via d’urgenza, ai sensi delle norme vigenti, sia per salvaguardare l’incolumità delle persone da un pericolo imminente, sia in seguito a calamità per le quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza (art. 5 della L.24.02.92 n° 225).

La verifica ambientale deve essere richiesta sull’opera programmata nella sua interezza; è consentito limitare l’esame a tronchi parziali di

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un’infrastruttura più estesa, a condizione che essi siano effettivamente funzionali e facciano parte di progetti generali preventivamente approvati.

Per le infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale la procedura di VIA si effettua sul progetto preliminare, integrato con gli elaborati che la legge prevede per il caso di affidamento dell’esecuzione in concessione. Negli sviluppi successivi (progetti definitivo ed esecutivo ed esecuzione dei lavori), il Ministro dell’Ambiente vigila attraverso una propria commissione tecnica di “Verifica dell’Attuazione”.

Nei casi ordinari (commi b e c), ai sensi dell’art. 6 del DPCM 27.12.88 e su esplicita e specifica richiesta del RUP, il soggetto titolato a decretare la compatibilità ambientale dell’opera (rispettivamente il Ministro dell’Ambiente ed il Presidente della G.R.) nomina osservatori per seguirne in itinere tanto la progettazione (eventualmente fin dalla fase preliminare), quanto la compilazione del relativo elaborato di analisi ambientale (Studio d’Impatto Ambientale-SIA). Di norma, dopo la pronuncia finale (Decreto) di compatibilità (espressa sul progetto definitivo), lo stesso soggetto che si è espresso in favore della compatibilità vigila sugli sviluppi progettuali esecutivi (attraverso una commissione di “Verifica di Conformità”) e sull’esecuzione (a mezzo di un “Osservatorio Ambientale”).

Negli stessi casi ordinari, se il RUP è stato autorizzato a procedere all’appalto concorso o all’affidamento in concessione, la procedura formale di emissione del “Decreto di compatibilità ambientale” si attiva e si esaurisce nell’ambito del progetto preliminare.

E’ opportuno segnalare che la prassi di richiedere la nomina dell’osservatore e/o pareri ambientali preventivi (sul progetto preliminare) si va diffondendo: scongiura infatti il dispendio di tempo e di risorse nella complessa redazione del progetto definitivo, prima che l’opera sia stata introitata, almeno come tracciato plano-altimetrico; per tale intrinseca razionalità è molto probabile (come si è già anticipato) che la revisione in itinere della normativa trasferirà la pronuncia del parere formale di compatibilità ambientale alla prima fase della progettazione, senza discriminazioni fondate sulla natura del programma a cui l’opera afferisce ed alle modalità con le quali è affidata l’esecuzione.

Per l’avvio del procedimento il proponente deve produrre i seguenti elaborati:

- Domanda di pronuncia di compatibilità ambientale. - Documentazione attestante l’avvenuta contestuale pubblicazione

dell’annuncio di inizio della procedura su almeno due quotidiani, di cui uno a diffusione nazionale ed uno regionale (o a diffusione regionale e locale rispettivamente).

- Tutti i grafici e le relazioni del progetto (preliminare integrato o definitivo), conformi alla L. 109/94 e succ. agg. e integr. ed al DPR 554/99.

- Studio d’Impatto Ambientale (SIA) conforme alle prescrizioni del DPCM 27.12.88 (di cui si tratterà ampiamente nel seguito).

- Sintesi non tecnica destinata al pubblico, con allegate schede illustrative del progetto.

- Dichiarazione sull’esattezza delle allegazioni, giurata dal professionista

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(abilitato ed iscritto all’Albo) che assume la responsabilità del progetto e del SIA.

Per le opere di preminente interesse nazionale regolate dal D.Lgs 190/02, i pareri ufficiali dei ministri dell’Ambiente e dei Beni culturali, nonchè del/i Presidente/i della/e Regione/i interessata/e vengono formalizzati ed iscritti a verbale presso il CIPE, in sede di approvazione del progetto.

Per le istruttorie tecniche sottese ai suddetti pareri sono concessi dalla legge 90 giorni solari consecutivi; esse sono rispettivamente condotte:

• per il Ministro dell’Ambiente: da una commissione speciale, appositamente costituita ai sensi dell’art 19 -secondo comma- del D.Lgs 190/02 e composta da un presidente e da 18 membri di alta qualificazione professionale ed accademica;

• per il Ministro dei Beni culturali: dalle competenti soprintendenze archeologica e storico-artistico-monumentale;

• per la Regione: dalla commissione tecnica locale, nominata a termini delle leggi regionali vigenti. Contemporaneamente all’esame tecnico, la Regione deve disporre l’esposizione al pubblico per almeno 30 gg. dei principali elaborati (inclusi in ogni caso la sintesi non tecnica e le tavole degli espropri) e deve raccogliere le eventuali osservazioni prodotte in forma scritta da chiunque dichiari un interesse (singolo cittadino, ente o associazione). Nella sua relazione istruttoria finale la commissione tecnica regionale deve esaminare dettagliatamente tutte le osservazioni regolarmente depositate ed è obbligata a rispondere separatamente sulla loro fondatezza.

Per le opere di interesse sopraregionale (come in precedenza individuate) da eseguirsi in regime ordinario, l’avvio della procedura di VIA prevede i seguenti adempimenti a carico del RUP, per conto dell’Ente proponente: dare notizia a mezzo stampa della propria disposizione ad eseguire l’opera; indirizzare la documentazione completa sopra elencata: • al Ministro dell’Ambiente (almeno tre copie); • al Ministro dei Beni Culturali ed ambientali (almeno due copie per gli

uffici centrali e due per ciascuna delle Soprintendenze locali interessate per territorio);

• alla/e Regione/i interessata/e (almeno due copie).

L’istruttoria presso le tre istituzioni coinvolte è conforme a quella testè descritta per le opere di preminente interesse nazionale, salvo che la commissione tecnico-scientifica del Ministero dell’Ambiente (istituita ai sensi dell’art. 18 –comma 5- della legge 11/03/88 n° 67) è composta da 35 membri ed è distinta da quella competente per la “legge obiettivo”.

La richiesta al proponente di integrazioni (art. 6 –comma 4- del DPCM 27/12/88) ha l’effetto di pronuncia interlocutoria negativa e comporta il riavvio ab origine della pratica.

L’esito finale positivo (secondo l’art.6 –comma 2- del DPCM 10/08/88 n° 377) è determinato da un Decreto del Ministro dell’Ambiente (corredato del

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parere tecnico della commissione istruttoria, che ne costituisce parte integrante e sostanziale), di concerto con il titolare del dicastero dei Beni culturali. Il decreto registra altresì l’assenso del Presidente della GR.

La dichiarazione di compatibilità ambientale richiede, quindi, l’unanimità dei soggetti coinvolti. Tuttavia, per mitigarne la rigidezza, la stessa norma conferisce facoltà al Ministro dell’Ambiente di pronunciarsi in senso positivo sub conditione: in questo caso egli inserisce nel DM, come condizioni della compatibilità ambientale dell’opera, prescrizioni per la successiva fase progettuale e per l’esecuzione; queste possono essere eventualmente negoziate con gli altri interlocutori, ma debbono essere validate dalla commissione istruttoria tecnico-scientifica e dalla stessa esplicitamente e motivatamente dichiarate praticabili senza sconvolgimenti delle essenziali scelte progettuali assentite. Nonostante la legge offra tale opportunità, nella prima pratica operativa la VIA ordinaria apparve uno strumento dilatorio e paralizzante per gli investimenti in infrastrutture. Il legislatore quindi fu indotto ad introdurre successivamente alcune norme di acceleramento e semplificazione: La legge quadro dei LL.PP. (109/94 e succ.agg. e integr.) prevede la possibilità, per le amministrazioni (Ministero e Regione) di esprimersi direttamente in CdS, allegando il parere di competenza al verbale della stessa. La legge finanziaria 549/95 - art. 1, comma 59 - rende obbligatoria la suddetta semplificazione, qualora il DM dell’Ambiente non sia intervenuto prima della regolare convocazione della CdS. Inoltre equipara il Ministro agli altri convocati in conferenza, con la possibilità di chiuderla favorevolmente, in seconda convocazione, anche in sua assenza. La legge 15.05.97 n°127, recante “Misure urgenti per lo snellimento delle attività amministrative e dei procedimenti di decisione e di controllo”, nel rendere obbligatoria la CdS per opere o programmi d’importo superiore a £mldi 30, all’art.17 introduce la facoltà per il Presidente del Consiglio dei Ministri di superare, con proprio decreto approvato in Consiglio, la motivata ostilità del Ministro dell’Ambiente ad una specifica opera.

Per le opere d’interesse locale, l’opportunità normativa autonoma in materia di VIA è stata fin’ora colta solo da alcune regioni; fra l’altro molte di tali iniziative sono state adottate in anticipo sulla L.59/97, che conferisce loro esplicitamente la potestà normativa in materia, e trattano la problematica in modo parziale e disorganico.

In definitiva nella prassi corrente pressocchè ovunque, in applicazione della norma generale provvisoria, la procedura segue l’iter descritto per i casi d’interesse nazionale, con l’esclusione del Ministero dell’Ambiente ma con il coinvolgimento dei Beni Culturali attraverso le Soprintendenze; il parere di compatibilità ambientale viene espresso con Decreto del Presidente della G.R o dallo stesso portato in CdS.

La discrezionalità assegnata dalla legge alla Regione nei casi di non coinvolgimento di aree vincolate (in verità assai rari) viene esercitata di norma nel senso del diniego al proponente dell’esonero dalla procedura.

Qualunque sia il procedimento di pronuncia della compatibilità ambientale delle opere, i relativi progetti preliminare e definitivo debbono

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essere corredati di uno specifico elaborato (complesso ed articolato in capitoli o “quadri”), denoninato “Studio d’Impatto Ambientale” o brevemente “SIA”.

Nei casi in cui l’accertamento formale (VIA) sia previsto sul progetto definitivo, l’allegato d’indagine ambientale del corrispondente progetto preliminare (che comunque non può mancare fra i suoi allegati, come prescritto dal DPR 554/99) si denomina più propriamente “Studio Preliminare d’Impatto Ambientale”; esso si propone di documentare ai referenti l’attenzione che il progettista ha dedicato ai vincoli ambientali e di fornire gli elementi basilari per l’assenso generale preventivo sulle scelte compiute. Nel caso opposto in cui il parere di compatibilità abbia corredato l’approvazione del preliminare, il progetto definitivo non è esonerato da un elaborato specializzato: con questo il progettista riferisce, a beneficio della commissione di Verifica di Conformità e dell’Osservatorio ambientale, su: • controllo di adesione alle previsioni in precedenza formulate per le

diverse scelte; • analisi quantitativa dei vari temi d’interesse, alla luce degli

approfondimenti tecnologici compiuti; • modalità del recepimento delle eventuali prescrizioni.

In ogni caso la struttura del SIA deve essere conforme alle prescrizioni del DPCM del 27.12.88 (già citato in precedenza).

Si prevede cioè un’articolazione nei seguenti tre quadri di riferimento, ciascuno dei quali è standardizzato nei contenuti:

• Quadro di riferimento programmatico. • Quadro di riferimento progettuale. • Quadro di riferimento ambientale.

Nei paragrafi che seguono i tre quadri di riferimento saranno esaminati e descritti separatamente. In calce ai summenzionati quadri analitici è invalso l’uso di aggiungere un quadro sintetico (denominato “Quadro Prescrittivo”) nel quale si riassumono le indicazioni ai responsabili delle fasi successive, di sviluppo progettuale o di realizzazione, su elementi non rilevabili dagli elaborati nell’attuale fase del loro approfondimento. E’ ovvio che l’estensione e la complessità dei Quadri Prescrittivi si riducono progressivamente, nell’avanzamento del processo progettuale e realizzativo, in ragione della risoluzione graduale delle problematiche sul tappeto.

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6.2 Quadro di riferimento programmatico.

6.2.1 Generalità.

La finalità del Quadro Programmatico è esplicitata nell’art. 3 – comma 1 - del DPCM 27.12.88:

“fornisce gli elementi conoscitivi sulle relazioni tra l’opera progettata e gli atti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale. Tali elementi costituiscono parametri di riferimento per la costruzione del giudizio di compatibilità ambientale. …… E’ comunque escluso che il giudizio di compatibilità ambientale abbia ad oggetto i contenuti dei suddetti atti di pianificazione e programmazione, nonché la conformità dell’opera ai medesimi.”

Tenuto conto dei chiarimenti (circolari ministeriali e note esplicative), intervenuti successivamente a seguito della pratica applicazione della procedura, il suddetto enunciato può essere specializzato al caso delle strade ed esplicitato in un’articolazione in tre parti che saranno trattate separatamente nel seguito.

E’ opportuno ribadire ancora una volta che la realizzazione di opere rilevanti (quali sono quasi sempre le infrastrutture stradali assoggettate dalla normativa alla procedura formale di controllo ambientale preventivo) determina in corso di realizzazione e di successivo esercizio uno sconvolgimento degli assetti economici, sociali ed ambientali dell’area vasta in cui esse si collocano e (maggiormente) di quella ristretta (di diretta influenza delle lavorazioni e dell’esercizio); tali effetti di norma sono avvertiti con diffidenza dalla popolazione interessata (quindi dalla classe politica che la rappresenta) e dalle associazioni culturali attive nel campo della difesa ambientale. Inoltre l’investimento preventivato sottrae risorse finanziarie al possibile godimento della collettività in eventuali programmi concorrenziali.

Come sarà ampiamente illustrato nel seguito del presente capitolo, i quadri progettuale ed ambientale hanno la finalità di isolare ed analizzare i danni apportati dal progetto (intesi come mutazioni indotte che, per quanto testè esposto, sono prevalentemente percepite come indesiderate) alle componenti del contesto, a confronto con il prevedibile destino delle stesse componenti nel caso di rinuncia all’investimento. Il compito del Quadro Programmatico è (per così dire) equilibrante: cioè esso deve tendere all’enucleazione, all’analisi ed alla quantificazione dei motivi di ordine territoriale, economico e sociale che militano a favore della realizzazione, (benefici indiretti), nonché alla determinazione dei vantaggi monetizzabili attesi dalla collettività (benefici diretti).

Nei seguenti paragrafi si descriveranno le materie di analisi ed i procedimenti adottabili, per l’applicazione a circostanze ordinarie: non si esclude che, caso per caso, il progettista possa includere nella trattazione ulteriori specifici argomenti per rappresentare i motivi di convenienza collettiva all’esecuzione del progetto esaminato, nelle forme tecniche e modalità prescelte fra le diverse alternative individuate.

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6.2.2 Conformità alla pianificazione vigente.

I piani sono strumenti tecnici e normativi che definiscono gli obiettivi di medio-lungo periodo e delineano gli scenari di riferimento in un settore delle attività umane ed in un delimitato ambito territoriale: la loro attuazione è quindi, per definizione, un obiettivo da perseguire.

Leggi e regolamenti rendono alcuni livelli di pianificazione obbligatori per enti ed istituzioni con competenza territoriale e/o settoriale e/o costituenti centri di spesa pubblica; gli organismi preposti alla gestione politico-amministrativa dei suddetti soggetti li redigono, li adottano e li sottopongono ad istituzioni di rango superiore, designate dalla legislazione come organismi di controllo e coordinamento; dopo il perfezionamento del loro iter amministrativo di approvazione, i piani divengono strumenti vincolanti ed indirizzano ai loro dichiarati obiettivi tutti gli interventi successivi, da chiunque promossi. I piani territoriali incorporano e riassumono anche tutto il regime vincolistico, operante nell’area di loro competenza per la tutela di una molteplicità di interessi.

Quando l’ambito territoriale di un piano in formazione è contenuto in quello (più esteso) di uno strumento già operante, è evidente che il primo debba essere iscrivibile nei vincoli imposti dal secondo: il piano territorialmente più limitato si configura, cioè, come una specificazione o un approfondimento di maggior dettaglio delle indicazioni provenienti da quello gerarchicamente sovraordinato. Parimenti è da considerarsi sottordinato, quindi obbligato alla coerenza, uno strumento pianificatorio riguardante in esclusiva una determinata materia (piano di settore), anche se riferito all’intero ambito di un piano territoriale vigente o perfino ad uno più vasto.

Nondimeno, nella pratica, il carattere statico della pianificazione comporta talvolta la rettifica di uno strumento vigente a seguito dell’approvazione di un piano sottordinato; anche l’approvazione di un programma attuativo afferente ad uno dei settori (nel caso di nostro interesse di uno SdF per lo sviluppo e l’ammodernamento della rete cinematica stradale in un determinato comparto) può riverberarsi nella necessità di rettificare o specificare tanto i piani territoriali degli ambiti in cui esso si colloca che quelli di più ampia scala del suo settore.

In ogni caso all’atto della progettazione preliminare di un’opera stradale si presuppone che i piani ed i programmi attuativi vigenti (quindi politicamente adottati come riferimento) propongano uno sviluppo compatibile dell’area di rispettiva pertinenza ed indichino gli obiettivi strategici condivisi e le eventuali priorità: il loro contenuto, quindi, non può essere posto in discussione dal giudizio ambientale su una singola opera. Per logica simmetrica, si dimostra la necessità di sottoporre i programmi attuativi dei piani a Verifica Ambientale Strategica (VAS), per non incorrere nel rischio che la loro adozione attivi una deriva insopportabile per l’ambiente.

Lo strumento primordiale della pianificazione territoriale è costituito, in Italia, dalle opzioni dell’Ente Regione, che è l’organismo preposto dalla legge attuale (e più ancora dalla legislazione in itinere per il decentramento) alla pianificazione dello sviluppo antropico ed al controllo urbanistico.

Si transita poi per altri documenti d’indirizzo di ambito infraregionale e

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sovracomunale, che costituiscono specificazione del Piano Regionale di Sviluppo:

• Piani Territoriali di Coordinamento (PTC), affidati alle Amministrazioni Provinciali ed alle Città metropolitane;

• Piani d’ambito delle Comunità montane; • Piani per le Aree di Sviluppo Industriale (ASI); • Piani consortili di bonifica e di sviluppo agricolo.

Si cala infine negli unici strumenti cogenti, ristretti agli ambiti amministrativi dei Comuni: i Piani Regolatori Generali (PRG). Questi contengono una minuta zonizzazione dei territori e definiscono l’uso programmatico ed i vincoli di utilizzo di ciascun suolo e degli immobili esistenti.

La pianificazione settoriale delle reti di trasporto ha un’origine più remota: il TEN (Trans European Network), concepito quale indirizzo transnazionale agli stati membri dalla UE per i trasporti multimodali continentali (infra ed extra comunitari).

La legislazione nazionale prevede il Piano Generale dei Trasporti (PGT), esteso all’intero territorio nazionale, quale strumento strategico cogente della politica di settore e d’indirizzo della rete plurimodale di supporto alla mobilità di lunga percorrenza interregionale ed internazionale.

Dal PGT, alla cui formazione collaborano, traggono i propri piani aziendali gli enti gestori e/o concessionari delle infrastrutture di livello nazionale:

• ANAS, per la rete primaria autostradale e di viabilità principale di ambito nazionale;

• Rete Ferroviaria Italiana-RFI, per il sistema ferroviario principale; • Società autostradali, interportuali ed aeroportuali, autorità portuali, per le

sfere di rispettiva competenza ed interesse.

Nel rispetto delle linee del PGT, alle Regioni è fatto obbligo di redigere ed adottare (con legge propria) un Piano Regionale dei Trasporti (PRT), inerente l’intero proprio ambito; il PRT recepisce gli interventi di livello nazionale previsti nel PGT ed integra gli schemi delle reti modali interrelate, ragguagliandoli:

• alle esigenze della mobilità interna, • all’integrazione modale della rete principale, per la raccolta e la

distribuzione di medio raggio dell’utenza, • al supporto dello sviluppo economico ed urbanistico prefissato come

obiettivo.

Il PRT incorpora o demanda ai sottordinati piani dei trasporti la programmazione delle reti al servizio specifico di relazioni di competenza delle seguenti istituzioni ed enti infraregionali (che di norma hanno cooperato con autonome proposte alla formazione del piano):

- Amministrazioni Provinciali, affidatarie della Regione della viabilità secondaria e di parte della rete locale extraurbana, di cui prospettano adeguamenti ed integrazioni;

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- Comunità montane, che individuano i sussidi infrastrutturali per lo sviluppo sociale ed economico dei loro territori, nonché i modi ed i tempi della loro realizzazione;

- Enti e società miste (ad esclusivo o prevalente capitale pubblico), gestori di alcuni rami di ferrovie locali (già in concessione o commissariate dal Governo), che in alcuni casi sono integrati nella rete RFI ed effettuano un servizio di metropolitana regionale;

- Consorzi ASI, per il supporto della mobilità degli addetti, delle materie prime e semilavorati, nonché dei prodotti delle attività insediate ed insediande;

- Consorzi di bonifica e di sviluppo agricolo, per la viabilità rurale e (talvolta, ma impropriamente) per quella di livello superiore asservita alle esigenze di trasporto della produzione;

- Comuni, per il soddisfacimento delle esigenze di mobilità interna e per il sostegno della programmazione urbanistica: il piano urbano di settore (Piano Comunale dei Trasporti - PCT) è generalmente parte integrante dei PRG.

Per le opere pubbliche la legge prevede che l’atto formale approvativo di un progetto costituisca ipso facto variante degli strumenti pianificatori vigenti; tuttavia è comprensibile come non possa essere elusa l’esigenza di controllare che le eventuali non conformità non contraddicano lo spirito del piano che ne risulti modificato e che quindi non compromettano il perseguimento dei suoi fondamentali obiettivi.

La parte prima del Quadro Programmatico, di cui si sta trattando, deve compiutamente rendere conto, in alternativa: • della congruenza dell’opera progettata con gli strumenti pianificatori

(territoriali e settoriali) vigenti, nonché della relazione non conflittuale con il regime vincolistico esistente;

• delle prevedibili conseguenze di non conformità o interferenze pregiudizievoli, nonché la dimostrazione che i piani modificati siano preferibili (o almeno equivalenti) a quelli vigenti, per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo politicamente fissati.

Deve infine argomentare diffusamente ed in dettaglio sull’eventuale rapporto di sinergia, di compatibilità o di conflitto con altri programmi attuativi in corso, nel proprio od in altri settori.

6.2.3 Benefici economico sociali dell’infrastruttura.

Gli atti pianificatori fissano obiettivi strategici ai quali i tecnici debbono conformare prima i programmi infrastrutturali attuativi (SdF) e poi i progetti delle opere; inoltre, per loro natura, i piani urbanistici e settoriali non sono vincolati alle contingenti disponibilità finanziarie.

Qualora (come quasi sempre accade) l’opera in progetto non esaurisca le previsioni del programma attuativo relativo al settore di competenza nell’area vasta d’influenza (nel caso d’interesse: al comparto viario dei piani dei trasporti) e tanto meno completi i piani di sviluppo vigenti, il Quadro Programmatico del SIA ha l’onere:

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• di documentare che l’intervento proposto si ponga nella direttrice degli obiettivi finali più significativi;

• di dimostrarne la priorità nell’ambito del programma attuativo e la validità anche nell’ipotesi della mancata prosecuzione del programma.

Ben vero, un piano di sviluppo attuato per stralci funzionali (onde renderlo collimante con le disponibilità di budget) produce un beneficio ad ogni avanzamento (di solito con un gradiente crescente in progressione dell’esaurimento del disegno generale), ma consegue l’obiettivo solo al completamento: il quadro programmatico deve qualificare e quantificare il miglioramento collegato alla realizzazione dell’opera di progetto e documentare che l’investimento sia giustificato dal suo autonomo rendimento economico.

I piani inoltre non forniscono soluzioni consolidate ai progetti, neanche quando siano stati esplicitati in grafici (in alcuni casi in scala alquanto dettagliata): inoltre non è escluso che gli sviluppi modellistici per la definizione della più adeguata risposta alle esigenze di mobilità (SdF ovvero, in mancanza, le valutazioni del RUP) abbiano prefigurato scelte tipologiche per l’infrastruttura diverse da quelle che apparivano possibili o preferibili al momento della pianificazione (allorchè l’opera era inserita in un programma più ampio); è altresì molto probabile che il progetto preliminare pervenga a soluzioni del tracciato e delle connessioni con le reti esistenti diverse da quanto rappresentato nei grafici che corredano i piani.

Il SIA non deve perseguire ad ogni costo la dimostrazione della congruenza dell’opera agli strumenti programmatori vigenti, ma può anche argomentare (nell’eventualità di discordanze) i motivi per i quali il progettista ha ritenuto che le soluzioni adottate fossero ottimali per il raggiungimento delle finalità di sviluppo indicate come prioritarie, nel rispetto dei vincoli concorrenti. Simmetricamente un eventuale giudizio negativo (sotto il profilo programmatico) sulla compatibilità ambientale di un’opera non si legittima con la semplice constatazione della sua incongruenza con i piani vigenti e/o le previsioni del programma attuativo (o anche dello SdF), ma deve essere maggiormente articolato, a dimostrazione che dall’esecuzione del progetto la strategia di sviluppo generale sarebbe contraddetta o che risulterebbero disattesi i criteri di ottimizzazione dei risultati dell’investimento.

La seconda parte del Quadro Programmatico si deve fare carico di una

stima di convenienza economico sociale della soluzione progettuale presentata, condotta con i criteri dell’analisi Benefici/Costi e/o multicriteria, illustrati ampiamente con riferimento all’ambito degli SdF.

Gli scenari da porre a confronto con il progetto (valutandoli comparativamente secondo i criteri illustrati al paragrafo 4.5) sono esemplificativamente i seguenti: alternativa di non intervento, che consideri tuttavia l’evoluzione tendenziale e/o programmata dei fattori di contorno capaci di indurre significative variazioni della domanda di mobilità; soluzione tecnica di programma attuativo, eventualmente sviluppata nell’ambito dello SdF, qualora le risultanze dell’elaborazione preliminare

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siano sensibilmente difformi da questo; eventuali diverse ipotesi tecniche individuate e formalizzate per l’intera opera, con l’indicazione dei motivi che inducono il progettista ed il proponente ad esprimere una preferenza per una specifica fra queste; varie graduazioni per l’eventuale realizzazione di tronchi funzionali della complessiva soluzione prescelta, secondo vari ordini di priorità, con l’illustrazione dei motivi che fanno propendere per una determinata sequenza: il confronto interno a queste alternative, ovviamente, deve proporsi di dimostrare che le priorità assegnate si presentino:

• congruenti con le disponibilità di budget; • ottimali sotto il profilo della prestazione intermedia; • comunque positive, anche nell’eventualità d’interruzione del

programma per esaurimento delle disponibilità. 6.2.4 Effetti propulsivi in fase di realizzazione.

L’esecuzione di un piano infrastrutturale (o anche di una singola opera) ha anche finalità derivate, di tipo Keynesiano: serve cioè ad iniettare occasioni di lavoro e ricchezza nella sua zona d’influenza.

Tale effetto secondario, che concettualmente dovrebbe essere riguardato come sopravvenienza attiva dell’investimento, non di rado assurge a motore principale della decisione politica favorevole all’opera: quindi l’effetto generatore e/o moltiplicatore e/o distributore di ricchezza, proveniente dalla realizzazione, deve essere riguardato come un particolare obiettivo pianificatorio e come tale trattato nel terzo settore del Quadro Programmatico.

I vantaggi attesi dall’attività costruttiva rispetto alle proiezioni economiche tendenziali sono molteplici, ma di complessa determinazione; si tratta di solito, fra l’altro, di prevedere l'andamento delle principali variabili socio-economiche in un’area che non ha una sua specifica e circoscritta caratterizzazione territoriale; l’ambito di impatto occupazionale o economico è, quindi, definibile solo introducendo delle semplificazioni.

Una volta definito l'ambito, anche la giustificazione di una previsione "separata" dei diversi trends, è oggetto di inevitabili semplificazioni.

Il problema si pone, d’altronde, anche quando si vogliano effettuare proiezioni quantitative dell’andamento dell’economia di una regione: non essendo in grado di definire le esportazioni e le importazioni da e per l’area, non è possibile stimare gli effetti macroeconomici aggiuntivi dell’investimento, ovvero non disponendosi di affidabili tavole input-output a livello regionale, è alquanto arbitrario stimare le interdipendenze tra le diverse attività economiche.

A maggior ragione risulta complessa ogni previsione per un’area subregionale che non abbia particolari caratteristiche né territoriali, nè politico-amministrative nè economiche, che quindi non abbia alcuna ragione di presentare specifici andamenti, tanto più se distinti per settori.

Tuttavia uno sforzo interpretativo, che non sia considerato un giudizio definitivo ma solo un supporto alla decisione, è sempre apprezzato. Nell’applicazione è opportuno definire l'area di interesse in modo da seguire almeno perimetrazioni politico-amministrative (regioni, province, comprensori,

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comunità montane, comuni) al fine di potersi appoggiare ad una continuità di studi e previsioni ed alle ipotesi dei piani di sviluppo economico.

La decisione sul livello di approfondimento e disaggregazione dello studio e sulla complessità delle metodologie da mettere in campo dipende: o dalla sensibilità dell’estensore, o (soprattutto) dall’importanza attribuita agli effetti economici propulsivi

della realizzazione dell’opera, o dall’ampiezza delle differenze fra le alternative a confronto.

Nei casi di minore impegno le valutazioni possono essere anche di tipo qualitativo ed il raffronto può utilizzare sistemi “tipo Delfi” di consultazione di esperti. E’ bene, in ogni caso, evitare di essere vittime dell’illusione che tutto possa essere quantificato a tutti i livelli: meglio buone stime di esperti che un cattivo modello "oggettivo" (in cui il trattamento dei dati primi, soprattutto se scarsi, è forzatamente discrezionale)..

Qualunque sia il metodo seguito, questa parte del Quadro Programmatico si conclude con una stima dell’evoluzione economico-sociale dell’area, in corso di esecuzione, nelle varie alternative poste a confronto.

Si determinano ad esempio: • la variazione prevedibile del saggio di attività a breve termine della

popolazione residente e l’influenza sulle prospettive a medio-lungo periodo della professionalizzazione indotta: - esperienze professionali generate; - specializzazione di mano d’opera locale; - qualificazione imprenditoriale spendibile in attività analoghe future, anche

fuori zona, o in settori diversi; • le caratteristiche evolutive dei principali settori produttivi coinvolti:

- fornitura di materiali locali; - noli di macchinari, - prestazione imprenditoriali specialistiche in subappalto; - produzione di componenti e manufatti prefabbricati, ecc;

• la domanda di servizi e di consumi generata dalla ricaduta occupazionale - alloggi per maestranze e tecnici fuori sede e loro familiari; - ristorazione; - ricreazione; - commercio al minuto di generi di prima necessità, ecc.

Per procedere alla stima dei suddetti effetti è necessario trarre dal progetto i dati tecnici che caratterizzano l’intervento e la stima dei costi delle varie macroattività in cui è scomposta l’opera (ad esempio: scavi a cielo aperto ed in galleria, formazione di rilevati, palificate di fondazione, strutture in c.a. in fondazione ed elevazione, varo e completamento d’impalcati da ponte, produzione e stesa di conglomerati bituminosi per pavimentazioni, ecc.). Dall’analisi industriale delle suddette macroattività, singolarmente considerate, e dall’ottimizzazioine della loro successione (programmazione industriale) si desumono i seguenti elementi di giudizio: durata della fase di cantiere, investimento complessivo e sua articolazione nel corso dello sviluppo delle attività; quantità di manodopera, con l’eventuale distinzione fra quella localmente

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reperibile e quella importata per ragioni tecnico-professionali. Il dato interessa non solo nel suo valore globale, ma anche in forma disaggregata, per qualifiche e specializzazioni, nonchè per il trend prevedibile in corso d’opera: infatti, per ogni intervento la domanda occupazionale presenta caratteristiche ed andamenti diversi per ciascuna qualifica, in riferimento alla tipologia di lavorazioni inserite nel programma costruttivo; ciò può comportare problemi di saturazione temporanea dell’offerta locale di determinate specializzazioni e quindi la necessità, più o meno concentrata in determinati periodi, di reperire fuori area e di gestire personale importato; sono ovvi i riflessi, da un lato sul dimensionamento delle strutture provvisorie per la ricettività dei fuori sede ovvero dell’acquisto in loco del servizio di ospitalità (nella misura e nei limiti della disponibilità), dall’altro sull’incidenza del gravame (o del vantaggio) per l’impresa esecutrice del riciclaggio in altri cantieri di parte della manodopera locale assunta, al termine del periodo di lavoro che ad essa compete; il fabbisogno di materiali, semilavorati (industriali ed artigianali) e forniture: anche in questo caso il dato interessa, tanto nei valori globali quanto con riferimento alla sua distribuzione nel tempo; le esigenze di noli di attrezzature e/o di prestazioni imprenditoriali specialistiche.

Per la valutazione quantitativa degli aspetti d’interesse della sopra delineata simulazione (comparativa fra le condizioni tendenziali e quelle indotte dall’intervento) valgono le osservazioni esposte in precedenza sulle difficoltà di muoversi in una scala che di solito è alquanto ridotta: molti effetti sfuggono verso l'esterno (personale reperito fuori dall'area, processi di mobilità e di integrazione economica e sociale a scala più ampia), fino al punto che molto spesso, nella pratica, restano nell'area solo le remunerazioni della mano d’opera generica ed il valore aggiunto commerciale dei prodotti più poveri e dei servizi elementari.

Data l’amplissima variabilità dei fattori in gioco (relativi tanto alla tipologia delle opere quanto alle caratteristiche economico sociali della regione in cui essa si cala) risulta complesso fornire criteri di analisi di generale validità.

Nell’ambito del progetto preliminare la pianificazione dei lavori viene resa, in prima approssimazione, nella forma di un diagramma a barre (Gandtt): questo consiste in una matrice che reca in ordinate le macro-lavorazioni in cui l’opera può essere suddivisa (istallazione del cantiere ed operazioni preliminari, movimenti di materia e connesse opere minori, singole opere d’arte maggiori, gallerie, pavimentazioni, canalizzazioni idrauliche marginali, arredi e mitigazioni ambientali, segnaletica, impiantistica, ecc.) ed in ascisse il decorso del tempo, rappresentato per unità elementari (giorni, settimane o mesi), con estensione alla durata presunta della realizzazione; in corrispondenza di ciascuna riga (macro-attività) s’inserisce una barra con origine alla data d’inizio e termine a quella di completamento: quando ne ricorra il caso (esecuzione della macro-attività in più riprese, con interruzioni), la barra viene corrispondentemente segmentata nell’ambito della stessa riga.

In colonne aggiunte si inseriscono i costi presunti di ciascuna macro-

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attività, suddivisi possibilmente fra mano d’opera, forniture, noli e servizi generali. Nei lavori stradali di cui trattiamo, l’incidenza globale sul costo è stimata di norma secondo le seguenti percentuali: • 15÷30% per la mano d’opera, in misura differenziata in funzione della

natura della lavorazione e del suo grado di meccanizzazione ed eventualmente ulteriormente articolata per le principali qualifiche;

• 15÷20% per i servizi generali, generalmente in misura costante, proporzionale solo alla complessità tecnica del lotto ed alla varietà delle istallazioni di cantiere.

In righe aggiunte in calce al suddetto diagramma si riassumono, in corrispondenza di ciascun periodo di tempo elementare considerato:

• i costi delle produzioni totali previste, somma di quelle relative alle diverse lavorazioni attive;

• i costi della mano d’opera, eventualmente ulteriormente articolati per le principali qualifiche presenti in cantiere, desunte rapportando i precedenti valori ai costi unitari (giornalieri, settimanali o mensili) dell’addetto medio con quella qualifica;

• i costi dei noli di macchinario; • i costi delle forniture, distinguendo quelle che presumibilmente potranno

essere soddisfatte in loco dalle importazioni.

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6.3 Quadro di riferimento progettuale.

6.3.1 Generalità

La finalità del Quadro Progettuale è esplicitata nell’art. 4 –comma 1 -del DPCM 27.12.88:

“descrive il progetto e le soluzioni adottate a seguito degli studi effettuati, nonché l’inquadramento nel territorio, inteso come sito e come area vasta interessati.”

I contenuti del quadro sono ugualmente illustrati nel decreto: essi comprendono integralmente le materie da trattare nelle relazioni (generale e tecnica) incluse fra gli elaborati obbligatori (ai sensi del DPR 554/99) per le fasi progettuali che si susseguono.

Gli argomenti da affrontare sono raggruppati nel seguito in due parti, che dovranno fare oggetto di distinti paragrafi.

Tutta la trattazione concorre all’esplicitazione dei percorsi che il progettista ha seguito, nella scelta della soluzione, ed alla giustificazione dei motivi tecnici ed economici che sono stati determinanti per l’assunzione delle sue decisioni.

Debbono essere in particolare curati gli argomenti tecnici che possano essere interpretati come forieri di qualche sofferenza dell’ambiente, che è lecito ritenere potesse essere evitata o ridotta.

6.3.2 Criteri progettuali e giustificazione delle scelte.

La prima parte del quadro è analitica: descrive la soluzione progettuale adottata e tutte le alternative tecniche prese in considerazione nello sviluppo della decisione.

In particolare la relazione: 1) Riassume gli esiti degli studi preliminari sulla domanda di trasporto

attuale e previsionale da soddisfare e sui flussi di traffico che ne conseguono; il livello di dettaglio è connesso al grado della progettazione a cui il SIA afferisce ed all’approfondimento a cui si è pervenuti nella geometrizzazione della piattaforma viaria. Si debbono in ogni caso fornire: • la dimostrazione dei livelli di soddisfacimento dell’utenza conseguiti, in

termini assoluti, per la soluzione prescelta, e comparativi rispetto ad essa di quelle esaminate ed accantonate, in ordine principalmente ai seguenti obiettivi misurabili: - Miglioramento dei collegamenti fra le principali origini e

destinazioni, nell’area vasta d’influenza del progetto, e del grado di connessione e di prestazione della rete stradale offerta;

- riduzione dei tempi di percorrenza e delle condizioni di congestione sui diversi rami e nodi della rete;

- ridimensionamento del grado di pericolosità delle relazioni servite; • l’illustrazione dettagliata delle considerazioni di carattere tecnico,

sociale ed economico che hanno presieduto alle scelte tipologiche ed ubicazionali dei nodi (svincoli, aree di pertinenza e servizio, ecc.),

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nonché al loro proporzionamento. 2) Elenca i documenti cogenti (norme tecniche, ecc.) e le eventuali istruzioni

d’indirizzo, che siano stati tenuti in considerazione, e dimostra la coerenza della soluzione rispetto ad essi ovvero evidenzia le eventuali discordanze che necessitino di esplicite o implicite pronunce di deroga, giustificandone la necessità.

3) A dimostrazione dell’approfondimento dell’analisi e della completezza dell’indagine preliminare finalizzata all’individuazione dei vincoli, allega e commenta tutta la cartografia tematica redatta, alle diverse scale. Ad essa riferisce le argomentazioni in ordine alle scelte tecniche nelle materie che costituiscono la peculiarità della fase progettuale a cui il SIA è allegato (quindi, nel progetto preliminare, la giustificazione del tracciato, la collocazione e la definizione tipologica dei nodi e delle opere d’arte caratterizzanti). Il grado di definizione delle elaborazioni deve avere riguardo alle esigenze di una stima attendibile dei costi delle lavorazioni preventivate: nel SIA preliminare (allegato alla prima fase di sviluppo del progetto trattata nel capitolo 5) le scelte tecnologiche (da dettagliare nel successivo progetto definitivo) possono essere trattate a livello tipologico e d’indirizzo, in relazione ai vincoli che è stato possibile individuare.

4) In presenza di soluzioni alternative il confronto con quella prescelta deve applicare le metodologie descritte nel precedente paragrafo 4.5: si ricorda che alla sima dei costi di realizzazione ed alla valutazione dei consumi (carburanti, lubrificanti, gomme e parti meccaniche dei veicoli) nei diversi scenari, si aggiunge la considerazione quantitativa di ulteriori elementi, ascrivibili ai benefici dell’opera (monetizzabili e non):

- tempo di percorrenza - sicurezza intrinseca della marcia - comfort - opportunità offerte ai non utenti, ecc.

5) Dopo aver censito le aree e gli altri beni immobili da assoggettare a procedura d’esproprio e/o da sottoporre a vincoli onerosi di qualsiasi natura (a riconoscimento della riduzione nella godibilità di prerogative legalmente riconoscibili) si deve dare giustificazione dell’indispensabilità della penalizzazione delle proprietà private (ovvero i motivi di opportunità della preferenza, accordata per evitare più gravi conseguenze delle alternative scartate nel corso del progetto) ed il criterio di valutazione delle corrispondenti indennità (che concorrono alla formazione del quadro economico dell’investimento). Nello stesso contesto, ma con separata trattazione, debbono essere considerate eventuali penalizzazioni aggiuntive, non indennitariamente riconoscibili, agli stessi o ad altri beni privati, giustificandone ugualmente l’indispensabilità. Per entrambe le suddette fattispecie, il Quadro Progettuale deve fornire in alternativa: • compiuta dimostrazione dei provvedimenti tecnici adottati per

minimizzare e/o mitigare i danni (precisandone gli effetti attesi);

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• motivato rinvio al Quadro Prescrittivo dell’illustrazione degli indirizzi da seguire nel successivo progetto definitivo.

La scelta fra le suddette possibilità dipende, per ciascun argomento, dal livello di dettaglio che è stato possibile conseguire nella resa progettuale preliminare, a cui il SIA di cui si sta trattando si riferisce.

6.3.3 Analisi della fase realizzativa.

La seconda parte del Quadro Progettuale si riferisce alla fase transitoria di realizzazione dell’infrastruttura, che riguarda un periodo limitato, ma significativo in rapporto alla vita economica dell’opera di progetto. Nei capitoli che precedono si è costantemente richiamata l’importanza delle modalità costruttive nelle scelte del progettista: non può sfuggire, quindi, il rilievo degli effetti ambientali in corso d’opera e le conseguenze delle attività di cantiere, che permangono talvolta anche dopo l’entrata in servizio della strada.

In vista della valutazione dei singoli impatti del progetto, che sarà esplicitata nel Quadro Ambientale tanto per la fase di realizzazione che per quella di esercizio, in questo settore del Quadro Progettuale il SIA deve fornire: • compiuta descrizione dei metodi e dei mezzi costruttivi; • attendibile dimensionamento delle strutture provvisorie: aree di cantiere e

piste; • convincente dimostrazione del riguardo riservato alle problematiche

ambientali coinvolte nell’assumere le decisioni proprie del progetto.

Una parte non trascurabile dei dati di base per il proporzionamento e la pianificazione del cantiere (a partire dalla precisa ed impegnativa programmazione temporale delle attività) attiene allo sviluppo definitivo del progetto e consegue alla scelta tecnologica di dettaglio delle diverse componenti (obiettivo principale di quella fase).

Nondimeno al SIA preliminare si richiede uno sforzo di interpretazione degli elementi di base, prevalentemente supportato dall’esperienza del progettista e dal riscontro degli esiti di precorsi casi analoghi. Tutto quanto risulti sufficientemente documentato è oggetto di considerazioni definitive nel Quadro Progettuale, per il resto si formulano e quantificano obiettivi globali minimi, che vengono inseriti nel Quadro Prescrittivo.

Di norma, dagli elementi del progetto preliminare si possono dedurre con buona approssimazione le esigenze globali dell’incantieramento. Nell’area ristretta dell’opera infatti è necessario ubicare siti operativi, di ampiezza variabile secondo le necessità, nei quali si collochino attività costruttive e funzioni di supporto.

Si distinguono di solito le seguenti tipologie di cantieri, non escludendo che una stessa localizzazione possa ospitare anche più funzioni ovvero che le condizioni territoriali e di accessibilità consiglino la ripetizione della stessa funzione in più siti:

• Cantieri direzionali, nei quali vengono collocati: Direzionalità dell’impresa esecutrice - Direzione di cantiere ed Ufficio Tecnico operativo;

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- Amministrazione; - Segreteria Affari Legali; - Struttura Logistica-Manutenzione; - Ufficio Acquisti; - Gestione Amministrativa del Personale; - Project control e Programmazione di dettaglio - Cost Control; - Quality Control della produzione e del servizio; - Struttura Capo Campo, per la gestione e la manutenzione del

complesso sistema costituente le installazioni di cantiere; - Contabilità Lavori; - Topografia e tracciamenti; - Controllo Sicurezza; - Struttura Trasporti e Distribuzione attrezzature, con relativo

magazzino; - Ricoveri per le autovetture a disposizione del personale dirigente e dei

visitatori; - Ricoveri per le grandi attrezzature e relative officine di riparazione e

manutenzione programmata.

Direzionalità del committente L’allestimento e la gestione ordinaria degli uffici della Direzione Lavori (organo tecnico del committente) costituiscono generalmente un onere imposto dal capitolato all’impresa esecutrice; la struttura predisposta deve alloggiare, con il massimo comfort compatibile: - Il Direttore dei Lavori - i Direttori Operativi; - gli Ispettori di Cantiere al loro servizio; - il personale tecnico di supporto (assistenti, topografi, misuratori e

contabilizzatori, ecc). Sotto la diretta sorveglianza della Direzione Lavori ricadono i depositi dei campioni di materiali prelevati ed il laboratorio prove, l’archivio ufficiale dei progetti approvati, i libri contabili, ecc;

• Cantieri residenziali, nei quali vengono centralizzati: - i baraccamenti per l’alloggio delle maestranze fuori sede; - la mensa per il personale impiegatizio ed operaio, con relativa cucina e

dispensa (in parte refrigerata); - i presidi sanitari ed i posti di primo soccorso; - i parcheggi per i mezzi individuali del personale d’ordine e degli operai;

• Cantieri per lo stoccaggio, in attesa dell’impiego, di materiali pregiati di base e di forniture, quali: - ferro in barre ed in profilati; - elementi modulari per la casseratura dei getti; - componenti meccaniche (giunti, apparecchi d’appoggio, corpi

illuminanti, ventilatori per gallerie, pompe di sollevamento, ecc.).

• Cantieri per la produzione di semilavorati generici quali: - frantumati;

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- conglomerati cementizi e bituminosi; - ferro piegato e gabbie d’armatura; - piccoli prefabbricati (embrici, predalles, rivestimenti, ecc).

• Cantieri di prefabbricazione di grandi manufatti strutturali e/o di assemblaggio centralizzato di componenti di produzione esterna.

• Cantieri per sperimentazioni in vera grandezza, di supporto tecnico alle diverse lavorazioni;

• Cave di prestito di materiale lapideo per la produzione degli inerti per strati selezionati e di conglomerati (da sottoporre generalmente a processo di frantumazione, in impianti meccanici specializzati di solito collocati in loco), nonché terroso per la formazione di costruzioni in terra

• Cave di deposito per materiali di rifiuto provenienti dagli scavi. Questi siti possono essere differenziati e separati in funzione delle peculiarità dei materiali da trattare, che possono presentarsi: - inerti, resi disponibili perché quantitativamente esuberanti rispetto alle

esigenze degli apporti nelle costruzioni in terra del lotto o perché geotecnicamente carenti rispetto ai requisiti minimi d’impiego;

- inerti speciali, inglobanti materiali di risulta da demolizioni di fabbricati; - inquinati (da sottoporre talvolta a processi di sterilizzazione o almeno a

particolari cautele nella gestione dello smaltimento, anche con controlli estesi nel tempo) se provenienti da lavorazioni che comportano lo spargimento di composti tossici e/o reattivi.

I cantieri direzionali, residenziali e di deposito temporaneo nonché quelli per la produzione di semilavorati e prefabbricati lasciano al progettista una certa discrezionalità nella localizzazione sul territorio, che deve essere utilizzata per coniugare alla massima funzionalità per le operazioni da svolgervi, la migliore prestazione ambientale; non si può trascurare infatti che queste aree di cantiere sono, in varia misura: • poli di attrazione e generazione di traffico; • sede dei lavorazioni ed attività inquinanti per l’ambiente circostante

(immissioni nocive nell’atmosfera e nei corpi idrici, rumori e vibrazioni, ecc.);

• pesante intrusione visiva nell’ambiente naturale ed antropico.

I criteri generali di preferenza da adottare per l’individuazione dei siti d’impianto dei cantieri, di solito notevolmente estesi, sono: collocazione all’interno del sedime delle opere da realizzare, al fine di:

- evitare onerose occupazioni temporanee di suolo; - ridurre gli oneri di ripristino ambientale, a lavori completati.

Allo scopo si prestano egregiamente le aree degli svincoli e le pertinenze di servizio, di sosta e di parcheggio. In caso d’impossibilità di seguire tale criterio o di insufficienza della disponibilità o di intollerabili interferenze con le lavorazioni, si debbono comunque selezionare zone prive di pregio e di vincoli di qualsiasi tipo (storico-archeologico, idrogeologico, ecc.)

facile accessibilità dalla viabilità esistente e posizione baricentrica rispetto

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alla tratta da servire; da questo punto di vista pesano principalmente le opere più impegnative del tronco ed i luoghi di massima concentrazione dell’impiego di mano d’opera (da trasportarvi giornalmente) e di semilavorati; il fine che si deve perseguire è di ottimizzare gli spostamenti interni e ridurre l’impegno economico ed ambientale delle piste provvisorie

minima acclività morfologica, nell’ottica di: - ridurre le opere di sistemazione iniziale e gli oneri di smantellamento; - minimizzare l’intrusione nel paesaggio;

scostamento da aree fortemente urbanizzate e da ricettori sensibili, nonché da zone pregiate per qualsiasi motivo.

Nell’organizzazione logistica si distinguono di solito: A) Cantieri principali.

In questa tipologia di strutture si tende ad installare le seguenti funzioni centralizzate: • direzionali • residenziali; • stoccaggio di materiali pregiati di base e forniture; • produzione di semilavorati d’impiego massiccio e diffuso (conglomerati

cementizi e bituminosi, ferro piegato e gabbie d’armatura, piccoli prefabbricati).

L’estensione minima di un cantiere principale siffatto è di 25.000÷28.000 mq. Nella figura 6.3.1 ne è rappresentato un esempio.

Figura 6.3:1 Tipo di cantiere principale

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Il sito nel suo complesso è di norma recintato e dotato di ingressi separati per mezzi d’opera e autovetture. La gestione degli accessi è governata da personale di sorveglianza 24/24h, ricoverato in apposite guardiole. Il controllo d’identità degli addetti e dei visitatori è regolato mediante un sistema di badges. Nel posizionamento planimetrico interno delle varie funzioni si deve avere cura di distinguere nettamente (anche mediante una opportuna duna di separazione) la zona produttiva da quella direzionale; in ogni caso le due aree debbono essere poste in comunicazione, mediante un sistema di accessi (sorvegliati) fruibili solo dagli addetti ai lavori.

B) Cantieri secondari. Sono distribuiti in maniera alquanto capillare e continua lungo il tracciato. Vi vengono allocate lavorazioni centralizzate e depositi di materiali e/o prodotti semilavorati, che si giovano della vicinanza del sito d’impiego per la minimizzazione dei trasporti sul territorio durante la costruzione dell’opera. Quando sono di servizio a particolari lavorazioni, i cantieri secondari non pongono particolari problemi di connessioni esterne al sistema, ma esigono un comodo collegamento con le opere a cui sono asserviti. Funzioni tipiche da sistemare in cantieri secondari sono: • stoccaggio terreno vegetale (fig 6.3.2) proveniente dallo scotico e

destinato al rivestimento delle scarpate, ovvero di altro materiale terroso, idoneo alla formazione dei corpi stradali in rilevato, ma non immediatamente utilizzabile per esigenze di organizzazione temporale delle attività;

• accumulo e preparazione all’impiego di materiali di recupero da demolizioni (interne o esterne alle opere) o di scarto di lavorazioni industriali, per renderli idonei alla formazione di corpo stradale, sottofondi ed eventualmente strati di fondazione della sovrastruttura;

• smaltimento definitivo di materiali di rifiuto (cava di deposito); • prelievo, stoccaggio e frantumazione di materiale lapideo o estrazione

di terre da conferire a rilevato (cava di prestito); • produzione di conglomerati cementizi e bituminosi (figura 6.3.3); • lavorazione centralizzata dei ferri di armatura e montaggio delle

gabbie; • realizzazione di manufatti in c.a. (piccoli e grandi) e di travature da

ponte in c.a.p. a fili aderenti; • ricovero temporaneo giornaliero di attrezzature di cantiere e di mezzi

di trasporto ed operativi; • attività gestionali, decentrate rispetto alle analoghe presenti nei cantieri

principali - ufficio del Responsabile locale di Produzione; - struttura decentrata di Direzione e Contabilità Lavori; - servizio Topografia.

Considerata la varietà delle funzioni a cui i cantieri secondari possono essere adibiti, il dimensionamento deve essere eseguito di volta in volta; non è raro il caso in cui il sedime superi i 50.000 mq (particolarmente

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quando vi sia previsto prelievo o deposito, temporaneo o permanente, di materiali terrosi).

Figura 6.3.2 Tipo di cantiere secondario (con stoccaggio di terreno vegetale)

Figura 6.3.3 Tipo di cantiere secondario (con impianto di betonaggio)

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C) Cantieri temporanei. Si comprendono nella categoria dei cantieri temporanei tutti i siti al servizio dell’esecuzione di impegnative opere puntuali disseminate lungo il tracciato del costruendo tronco. Traggono la loro denominazione dalla caratteristica di non estendere la loro operatività all’intera durata dei lavori, ma solo al periodo limitato di esecuzione dell’opera a cui sono asserviti. Le possibili tipologie (a cui si relaziona anche l’estensione) e le esigenze a cui rispondono sono assai varie; si segnalano per la complessità e le ampie dimensioni i casi frequenti di: • cantieri per la realizzazione delle gallerie naturali a foro cieco (tanto

più se di lunghezza consistente), che si collocano in corrispondenza degli imbocchi d’attacco ed ospitano una molteplicità di servizi ed impianti sussidiari: - strutture residenziali per le maestranze, operanti in squadre 24/24 h,

su tre turni; - piazzole per la sosta di autovetture delle maestranze e mezzi d’opera

e spazi pavimentati per il deposito temporaneo di attrezzature e casseri;

- impianto di betonaggio; - cabina compressori per la ventilazione del fornice e la fornitura di

aria compressa ai macchinari; - sala pompe in aspirazione (aggottamento acque di falda e

meteoriche) ed in compressione (betoncino, calcestruzzo, miscele per iniezioni, ecc);

- officina per sagomatura ed assemblaggio di centine e per produzione e montaggio di gabbie d’armatura

- impianto di prefabbricazione di componenti (conci del rivestimento); - serbatoi d’acqua ed erogatori di carburanti; - eventuale deposito di esplosivi, ecc.

• cantieri di servizio a ponti e viadotti di notevole dimensione e/o di particolare e sofisticata tipologia strutturale; possono comprendere: - piazzali ed officine per il pre-assemblaggio a piè d’opera di

componenti prefabbricate in stabilimento, particolarmente di impalcati in acciaio;

- strutture residenziali per le maestranze, nell’ipotesi di squadra media operativa di almeno 20 unità;

- parcheggi delle autovetture delle maestranze e di attrezzature semoventi;

- impianto di betonaggio; - sala pompe in aspirazione (aggottamento acque dai cavi di

fondazione) ed in compressione (betoncino, calcestruzzo, miscele per iniezioni, ecc);

- impianto di produzione componenti prefabbricate (travi d’impalcato e predalles);

- serbatoi d’acqua ed erogatori di carburanti.

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Nei cantieri temporanei sopra descritti, spesso si realizza e si tiene in esercizio, per il periodo di attività del sito, una struttura di servizio (containers) attrezzata di:

- uffici destinati agli assistenti di cantiere; - spogliatoi per gli operai; - servizi per gli operai (bagni chimici); - stoccaggio temporaneo materiale da costruzione pregiato.

Figura 6.3.4 Cantiere temporaneo (fondazioni di un viadotto)

In definitiva, nei casi esaminati ed in pochi altri similari, l’ampiezza e le prestazioni funzionali dei cantieri temporanei non si discostano sensibilmente da quelli fissi (principali o secondari), da cui si distinguono essenzialmente per il periodo di permanenza. Negli altri casi (più frequenti) essi si presentano di estensione piuttosto limitata e possono perfino essere inclusi nell’area d’impronta del costruendo manufatto stradale (figura 6.3.4) ovvero (al più) di poco estesi al di fuori di questa, soltanto per impiantarvi prefabbricati amovibili (con funzioni elementari) e per dare continuità alla pista. La progettazione attendibile e finale dei cantieri temporanei non sempre è possibile sulla scorta del solo progetto preliminare, in mancanza cioè della definizione tecnologica dei manufatti (che è materia del progetto definitivo) ed in assenza dell’operatore imprenditoriale (che ha diritto ad organizzare la sua attività con la massima libertà); tuttavia, in linea generale, fin da questa fase si riescono a discriminare i casi in cui essi sono presumibilmente contenuti nella fascia espropriata da quelli in cui l’estensione dovrà essere maggiore, almeno per assicurare la continuità

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dei flussi sulla pista interna del lotto (della quale si tratterà nel seguito del presente paragrafo): in questo caso occorre verificare che l’aggiramento dell’ostacolo frapposto non forzi le caratteristiche geometriche della pista oltre i limiti di agibilità ai mezzi di cantiere.

D) Cantieri mobili. Questa tipologia, altrimenti denominata “fronti di avanzamento” comprende in sostanza i cantieri temporanei per lavorazioni a prevalente sviluppo lineare anzicchè puntuali; le principali categorie di opere a cui essi sono funzionali sono:

- corpi in rilevato; - trincee e gallerie artificiali.

I cantieri mobili occupano di norma aree interne al sedime espropriato, ma ne possono impegnare l’intera larghezza (o la maggior parte di essa): in questo caso determinano un serio impedimento alla continuità della pista provvisoria e quindi alla logistica interna al cantiere complessivo. Di regola essi non sono dotati di servizi autonomi (data la loro caratteristica di mobilità): quindi la struttura operativa fa riferimento per le funzioni fondamentali (parcheggio autovetture e mezzi d’opera, spogliatoi, servizi igienici ecc.) ai più vicini cantieri fissi (ovvero ai temporanei che ne fossero dotati). Per le trincee ed i rilevati che non prevedano importanti opere di contenimento o di attraversamento (da trattarsi come opere d’arte puntuali) le procedure basilari dell’organizzazione dei cantieri sono: - esecuzione contemporanea dell’intera tratta, fra le opere d’arte o le

sezioni di passaggio che li delimitano (WBS); - frazionamento trasversale, con alternanza per avanzamenti in quota di

1.00÷1.50 m; questo provvedimento consente da un lato di non produrre dislivelli insuperabili nella pista, dall’altro di poterla comunque collocare alternativamente sul versante del corpo stradale occasionalmente libero da lavorazioni.

Pertanto le principali fasi della procedura (per i rilevati successivamente allo scotico ed alla preparazione del piano d’appoggio) sono le seguenti: - tracciamento degli ingombri, con apposizione di termini fisici continui

(modanatura); - costruzione dei fossi di guardia su ambo i lati del solido stradale;

questo provvedimento consente di minimizzare il danno al sistema naturale di drenaggio superficiale in fase di costruzione e di tenere indenne (entro i massimi ragionevoli limiti) il cantiere operativo dagli allagamenti;

- realizzazione della pista ad uno dei due margini esterni del costruendo corpo stradale, ma all’interno del fosso di guardia (quindi anche dell’area espropriata);

- costruzione per strati del solido stradale, in corrispondenza della carreggiata non interferente con la pista, fino ad un dislivello trasversale non superiore ad 1.00÷1.50 m;

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- spostamento del traffico di cantiere sulla sezione eseguita nella fase precedente e trasferimento della lavorazione sulla carreggiata opposta (in precedenza utilizzata per il transito);

- reiterazione del procedimento di cui ai precedenti due commi fino al completamento della lavorazione;

- esecuzione delle pavimentazioni e delle finiture alternativamente sulle due carreggiate, con lo spostamento del traffico di cantiere sul lato opposto a quello in cui le opere sono occasionalmente in corso.

Per le gallerie artificiali e le trincee confinate da rilevanti opere l’impegno strutturale ed organizzativo della costruzione di queste, nonché della copertura e dell’eventuale solettone di fondo, non tollera la commistione con il transito sulla pista di cantiere. In corrispondenza è pertanto necessario spesso prevedere piste esterne, talvolta fuori del sedime espropriato, che debbono essere posizionate in modo da ridurre la zona di occupazione temporanea; in alternativa, per tempi contenuti e lunghezze limitate, si programma di impegnare la viabilità esistente sul territorio.

E) Piste e collegamenti. Come più volte accennato in precedenza, la logistica interna del cantiere deve essere organizzata in modo da limitare l’impatto della circolazione dei mezzi operativi sulla viabilità esistente: si deve quindi programmare un sistema di piste provvisorie, tali da assicurare (possibilmente con continuità e rapidità) il collegamento tra i cantieri (principali, secondari, temporanei e mobili). Di solito alcuni passaggi dei flussi interni sulla viabilità esterna non sono eliminabili (almeno inizialmente, nel corso dell’allestimento del cantiere) per l’interposizione di barriere, invalicabili prima della realizzazione dell’opera d’arte corrispondente di progetto (sovra o sottopasso): in qualche caso (principalmente per le canalizzazioni idrauliche) si può provvedere a superare l’ostacolo con opere provvisorie, in altri si accetta temporaneamente la condizione precaria dell’utilizzo di viabilità esistente, organizzando nel contempo la successione delle attività in modo da minimizzarne i tempi. Le priorità da assegnare al progetto del sistema infrastrutturale dedicato al cantiere sono:

- la minimizzazione dell’impegno di suoli esterni al sedime dell’opera definitiva (da sottoporre ad occupazione temporanea);

- la garanzia dell’incolumità delle persone estranee ai lavori; - il contenimento del rischio per gli utenti della viabilità esistente e del

disturbo all’area d’influenza ristretta; - la facile accessibilità alle opere da realizzarsi.

Le piste provvisorie debbono avere caratteristiche plano-altimetriche e di sezione, nonché pavimentazione, adatte al transito di veicoli pesanti ed ingombranti. Si adottano ordinariamente i seguenti standard progettuali:

- minimo raggio delle curve circolari planimetriche (al bordo interno della piattaforma): 35.00 m;

- pendenza longitudinale massima: ordinaria 8 %; eccezionale 10 %;

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- sezione pavimentata di ampiezza minima in rettifilo di 6.00 m (per consentire l’incrocio degli ordinari mezzi di cantiere), con allargamenti in curva tanto più ampi quanto più ristretto è il raggio di curvatura: per il minimo raggio di 35.00 m si prevede un allargamento di almeno 2.00 m;

- pavimentazione tipicamente costituita da un unico strato in materiale non legato, di spessore sufficiente (alla stregua della portanza del terreno d’appoggio) ad assicurare un’accettabile regolarità al transito dei mezzi di cantiere, nel numero stimato nella simulazione delle condizioni operative. Si ammette che la pavimentazione possa essere periodicamente ricaricata, per ripristinarne la comoda agibilità.

Lo studio del sistema viario provvisorio viene di solito distinto per fasi operative del cantiere: 1) allestimento, in cui si ripone principale affidamento sulle opportunità

offerte dal territorio (strade pubbliche di ogni livello e private interpoderali); lo scopo è l’accesso ai siti di cantiere (tutti i principali, gran parte dei secondari ed alcuni temporanei) asserviti alle lavorazioni più impegnative sul piano della durata e quindi con collocazione precoce nel programma operativo;

2) gestione ordinaria, articolata per steps caratterizzati dalla progressiva rimozione dell’effetto delle barriere, quindi con minori esigenze di transiti esterni al sistema. .

In definitiva il quadro progettuale deve essere corredato di: • piano di allocazione e composizione delle aree di cantiere; • progetto preliminare delle piste.

Detti elaborati sono la base della stima degli effetti ambientali delle attività costruttive, rispetto ai diversi fattori d’interesse; l’analisi quantitativa di tali effetti viene poi esplicitata in un settore del quadro ambientale (come sarà esposto nel paragrafo che segue).

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6.4 Quadro di riferimento ambientale.

6.4.1 Finalità e struttura.

I fattori di sensibilità dell’ambiente rispetto ad un qualsiasi manufatto in progetto sono molteplici e spesso fra loro correlati; di norma non si prestano ad una generalizzazione, ma presentano aspetti di specificità, in relazione alla tipologia di opera ed all’ambito territoriale in cui questa s’inserisce.

Il DPCM 27.12.88, che dettaglia i contenuti tecnici del SIA, fornisce una lista di controllo per agevolare il progettista nell’isolare, di volta in volta, le problematiche maggiormente influenti per il caso di specie. Dalla sua applicazione al progetto stradale si estrae l’albero degli effetti di Tabella 6.1.

Tabella 6.1 Albero degli effetti ambientali del progetto stradale

Componenti Sub-componenti Fattori Immissione di gas nocivi Immissione di articolato Effetti statici Immissione di polveri

Atmosfera

Effetti dinamici Immissione di rumori Effetti quantitativi Effetti distributivi

Acque superficiali

Effetti qualitativi Effetti quantitativi Effetti distributivi

Idrosfera Acque profonde

Effetti qualitativi Consumi di materiali terrosi Fabbisogno di prodotti industriali

Risorse non rinnovabili

Consumi di energia Geomorfismo antropico

Stabilità Erosione

Litosfera

Effetti dinamici Immissione di vibrazion Sicurezza degli operai Sicurezza degli utenti

Salute umana

Sicurezza dei non utenti Flora ed ecosistemi

Biosfera Conservazione natura

Fauna Commutazione visuale

Naturale Offerta panoramica Paesaggio Antropico Danno a beni culturali

Consumo diretto di aree Effetti sociali degli espropri Effetto barriera Danno a beni pubblici

Attuale

Modifica dei valori immobiliari Conseguenze urbanistiche

Ambiente

Uso del suolo

Programmatico Attività economiche

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Esso vede convergere nell’ambiente nel suo complesso una molteplicità di componenti, ciascuna delle quali può essere scomposta in sub-componenti, che a loro volta (nella maggior parte dei casi) possono essere intese come la risultante di una pluralità di fattori.

I passaggi metodologici attraverso cui si articola l'analisi di componenti, sub-componenti e fattori del quadro ambientale non differiscono da quelli già illustrati per il quadro programmatico:

a) Rilevazione della “situazione zero” o dello “stato di fatto”; b) Previsione "neutrale" o di sviluppo in assenza di intervento; c) Stima delle conseguenze della realizzazione del progetto. La trattazione nell’ambito del quadro ambientale del SIA non può essere

limitata a considerazioni di carattere qualitativo, ma deve essere in ogni caso completata da stime quantitative.

Ben vero alcuni fattori d’interesse non si prestano a rappresentazioni con grandezze misurabili, ovvero una loro traduzione quantitativa sarebbe affetta da discrezionalità troppo accentuata per essere scientificamente accettabile. In questi casi si preferisce avvalersi di tecniche di rilevamento delle opinioni di campioni rappresentativi stratificati (pubblico, rappresentanti politici, esperti del settore e di quelli correlati, ecc.): il corrispondente capitolo del SIA contiene gli elaborati di supporto all’indagine ed i commenti sui risultati.

Per i fattori che si prestano ad una traduzione quantitativa diretta, il procedimento logico-operativo di analisi si sviluppa nelle seguenti fasi (da illustrare dettagliatamente nel SIA): a) individuazione della grandezza misurabile più rappresentativa; b) esecuzione di una campagna di rilevamenti della suddetta grandezza nella

situazione attuale; l’estensione e l’approfondimento dell’indagine deve essere sufficiente per: - costruire carte tematiche dell’area in cui le variazioni indotte dal

progetto siano significative; il dettaglio di scala deve essere commisurato alla rilevanza del fattore ed alla sua variabilità spaziale;

- fornire il valore puntuale del parametro in corrispondenza dei ricettori più sensibili ad esso.

c) implementazione in affidabili modelli quantitativi di simulazione (di norma tradotti in software operativi commerciali, da tarare di volta in volta sui dati rilevati) tanto della condizione evolutiva del fattore in assenza d’intervento, quanto delle conseguenze dell’esecuzione del progetto. In generale i suddetti modelli si articolano in due moduli in cascata: di “generazione” e di “diffusione”; entrambe debbono essere opportunamente tarati sulla stato attuale del fattore, con la determinazione dei valori numerici dei coefficienti da cui sono affette le loro formulazioni matematiche;

d) giudizio sulla tollerabilità degli esiti della simulazione (modello di ricezione), da parte dei ricettori più sensibili (selezionati fra gli esistenti o individuati nel piano di sviluppo urbanistico). Il giudizio può essere espresso: - in termini assoluti, mediante confronto con eventuali limiti di legge o

regolamento;

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- in senso relativo, cioè a confronto fra i diversi scenari esaminati (ipotesi tecniche alternative dello stesso progetto).

Anche se impliciti in quanto sopra esposto, si vogliono ribadire di seguito alcuni concetti della massima importanza per gli esiti del controllo ambientale di un progetto infrastrutturale:

A) Il giudizio complessivo sulla tollerabilità e sull’utilità generale dell’opera non è in discussione nel corso della VIA, a condizione che la resa ambientale del progetto sia contenuta entro i limiti prefigurati in sede di SdF (ovvero di VAS del piano a cui esso afferisce): dal confronto globale degli impatti scaturenti dal Quadro Ambientale con le aspettative di sviluppo evidenziate e dettagliate nel Quadro Programmatico, si deve poter trarre la conferma della precedente intuizione favorevole all’investimento. Nell’approccio al suddetto giudizio di merito non si deve mai trascurare che: - l’adeguatezza del sistema infrastrutturale è premessa ineludibile di

qualsiasi ipotesi di avanzamento economico e sociale del territorio, ma l’ambiente nel suo complesso ne è una risorsa altrettanto rilevante e non rinnovabile;

- nessuna strada è ad impatto nullo, ma il prezzo ambientale da pagare, quale risulta dall’analisi di dettaglio dello sviluppo progettuale eseguito, deve essere adeguato ai benefici attesi.

B) Il giudizio sulla tollerabilità dell’impatto di ciascun fattore deve essere espresso: - nel confronto fra le proiezioni tendenziali del fattore con o senza l'opera

e non in riferimento all’astratta considerazione delle variazioni dello stesso rispetto all’attuale stato;

- con estensione a tutti gli ambiti in cui la variazione risulti significativa (con l’inclusione quindi di zone, anche distanti, che godano di miglioramenti sensibili grazie alla redistribuzione delle funzioni fra i rami della rete e dei flussi di traffico che li impegneranno) e non limitatamente all’ambito ristretto del progetto.

Per alcune componenti talvolta la situazione "neutrale" conduce a conseguenze ambientali perfino più gravi della costruzione dell'opera: un’efficace programmazione degli investimenti, anzicché rincorrere le emergenze, deve prevedere il danno potenziale correlato allo sviluppo economico-territoriale e prevenirlo con sufficiente anticipo.

C) Nel Quadro Ambientale del SIA, per ciascuna componente deve essere perseguita la dimostrazione che: - la soluzione progettuale presentata al giudizio di VIA sia in ragionevole

equilibrio, per i profili ambientali, con le contrapposte esigenze tecnico-prestazionali ed economiche dell’opera (minimizzazione);

- siano incluse nel progetto opere adeguate a ridurre gli effetti negativi sulle componenti ambientali in sofferenza (mitigazioni);

- siano incluse nel programma realizzativo ulteriori opere che, anche se non direttamente connesse alla funzionalità della strada, rendano

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tollerabili ai ricettori danneggiati gli impatti che residuano alle azioni di cui sopra (compensazioni).

I provvedimenti di minimizzazione attengono generalmente alle scelte di tracciato e tipologiche, proprie del livello preliminare della progettazione: la dimostrazione della considerazione di cui hanno goduto è quindi oggetto del SIA allegato alla prima fase d’avanzamento del progetto. Le mitigazioni incidono ordinariamente sulle scelte tecnologiche del progetto definitivo: pertanto nel SIA preliminare debbono essere prefigurate e tipologicamente individuate (il relativo costo, ovviamente, deve essere incluso nella stima sommaria), mentre debbono essere analizzate nel dettaglio del loro effetto tecnico nell’elaborato ambientale del progetto definitivo. Le compensazioni di solito scaturiscono da richieste presentate dalle istituzioni territoriali, nella CdS per l’approvazione del progetto preliminare: pertanto nel SIA allegato alla prima fase dello sviluppo progettuale possono solo essere proposte (talvolta in più alternative) e valutate globalmente nel quadro economico. Saranno poi progettate in dettaglio nel successivo sviluppo definitivo ed ivi analizzate per i benefici che sono in grado di assicurare.

D) Il controllo degli effetti ambientali di un’opera non si esaurisce nella fase di progettazione, ma prosegue in tutto il corso dell’esecuzione; inoltre, almeno nelle prime fasi dell’esercizio, le simulazioni effettuate nell’ambito del SIA sui diversi fattori ambientali debbono essere controllate sul campo (di norma nel primo biennio dall’entrata in servizio). Pertanto i piani di monitoraggio ambientale della fase di esecuzione dei lavori e di esercizio debbono essere: - prefigurati nei loro lineamenti essenziali nel progetto preliminare; - specificati nel progetto definitivo; - dettagliati nell’esecutivo, a beneficio dell’Osservatorio Ambientale.

6.4.2 Analisi della componente atmosfera: effetti statici.

Come è noto, i veicoli stradali traggono la capacità di movimento dalla trasformazione in potenza meccanica dell’energia chimica contenuta nei carburanti, ossidati in un motore a combustione interna.

Allo stato attuale della tecnica automobilistica, i carburanti sono in grande prevalenza idrocarburi liquidi (miscele di composti organici di idrogeno e carbonio, a vario grado di complessità molecolare) provenienti da processi di distillazione e raffinazione di petrolio greggio.

Si impiegano di norma i seguenti prodotti commerciali: - Benzina: miscela di idrocarburi leggeri (intervallo di distillazione

20÷200°C), che alimenta i motori ad accensione comandata (ciclo Otto), di cui prevalentemente sono dotate le autovetture per il trasporto delle persone;

- Gasolio: miscela di idrocarburi più pesanti (intervallo di distillazione 180÷360°C), che alimentano i motori ad accensione spontanea (ciclo Diesel), installati in Europa sulla quasi totalità dei veicoli commerciali, per il trasporto tanto delle persone che delle merci, e su una frazione minoritaria delle autovetture.

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Molto meno diffuso (< 2% del consumo complessivo di carburanti per autotrazione in Europa) è l’impiego di:

- idrocarburi gassosi liquefatti: metano e gas di petrolio-GPL - alcoli: miscele di composti organici ternari di carbonio, idrogeno e

ossigeno, di provenienza dalla distillazione di prodotti vegetali fermentati.

In misura variabile, ma percentualmente assai ridotta, tutti i carburanti contengono anche altri prodotti:

- residui: componenti non idrocarburici, certamente indesiderati, ma non economicamente riducibili nel processo di raffinazione dei greggi;

- additivi: prodotti di apporto nei prodotti commerciali, specialmente con funzione antidetonante per i motori ad accensione comandata.

Il processo chimico per la liberazione dell’energia consiste nell’ossidazione, mediante combustione confinata nella camera di scoppio, di una miscela (allo stato gassoso o di dispersione nebulizzata) di idrocarburi ed aria, in proporzioni controllate.

La formazione della miscela si attua in alternativa: - nel carburatore, prima della compressione nei cilindri; - direttamente in camera di scoppio, mediante iniezione del carburante

nell’aria preventivamente aspiratavi e compressa.

La teorica reazione di ossidazione di una miscela puramente idrocarburica ed in composizione perfettamente stechiometrica espellerebbe CO2 (anidride carbonica) ed H2O (vapor d’acqua), di cui solo la prima ha un effetto indesiderato su scala planetaria. Invece, nella pratica tecnica, i motori scaricano altre sostanze, dagli effetti dannosi diretti per i ricettori che ne sono investiti (inquinamento primario) e/o in grado di dare luogo ad ulteriori reazioni nei circuiti di espulsione ed in atmosfera libera, con la formazione di altre sostanze nocive (inquinamento secondario).

Le cause generatrici degli inquinanti sono assai varie, complesse e non tutte perfettamente note negli intimi meccanismi; si distinguono per importanza le seguenti:

Scostamento delle miscele detonanti dalle proporzioni stechiometriche. Si definisce “rapporto di equivalenza Combustibile/Aria Φ” di una generica miscela il rapporto fra l’effettiva composizione di questa (C/A)miscela e la corrispondente stechiometrica (C/A)stech. . Si considerano: - approssimativamente stechiometriche le miscele caratterizzate da

Φ=0,9÷1,1 (corrispondenti di norma a rapporti in peso aria/combustibile 16,5÷13,5);

- magre quelle con Φ<0,9; - grasse quelle con Φ>1,1. Per le miscele magre la qualità del processo di combustione è assai bassa: la loro accensione può perfino fallire, specialmente nei motori diesel. In presenza di miscele molto grasse i processi chimici di ossidazione soffrono per carenza dell’ossigeno comburente.

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Il rapporto di miscelazione viene regolato (nel progetto e nella messa a punto dei motori dei veicoli) sul valore stechiometrico, alla normale pressione atmosferica ed a regimi ordinari di crociera: nondimeno esso tende: a) ad alterarsi con l’uso e con la vetustà del veicolo, che quindi deve

essere sottoposto a manutenzione programmata e ordinariamente dovrebbe essere dismesso ad una certa anzianità;

b) a squilibrarsi ad elevate altitudini, per la riduzione sia della pressione dell’aria che del suo contenuto percentuale d’ossigeno;

c) a modificarsi rapidamente e profondamente con l’azione sull’acceleratore: valori elevati di Φ vengono imposti nelle fasi di ripresa della velocità e nella marcia sotto sforzo; al contrario valori bassi possono registrarsi in corso di decelerazione sotto freno motore.

Distorsioni nella propagazione della fiamma in camera di scoppio. Secondo la tipologia di motore, la miscela può essere: - preconfezionata nel carburatore ed introdotta per aspirazione e

successivamente compressa nei cilindri; - formata direttamente nella camera, mediante iniezione in pressione del

carburante nell’aria già preventivamente compressa. Lo scoppio può essere: - procurato dalla scintilla fra i poli delle candele (ciclo Otto); - spontaneo, per effetto delle condizioni di pressione e temperatura a cui

la miscela detonante viene condotta dalla compressione (ciclo Diesel). In ogni caso la fiamma si attiva in uno o più punti della camera di scoppio e procede a velocità subsonica secondo fronti che progressivamente ne investono il volume; così si libera il lavoro meccanico della pressione sul pistone, che imprime la rotazione all’albero. L’innesco di fronti di fiamma non tempestivi e/o non programmati produce distorsioni nella sincronia del meccanismo di scoppio (detonazioni); inoltre, anche nel comportamento ordinario, la fiamma tende ad estinguersi in prossimità delle pareti e non riesce ad insinuarsi negli anfratti della camera (prodotti ad esempio da incrostazioni); infine parte del carburante è sottratto alla tempestiva combustione dall’adsorbimento nel velo di lubrificante che riveste le pareti del cilindro, e viene rilasciata in altre fasi improprie del ciclo. Per tutti questi motivi, parte del carburante resta del tutto o parzialmente incombusta. Evaporazioni dal circuito d’adduzione alla camera di scoppio

La perdita delle frazioni più volatili degli idrocarburi destinati all’alimentazione del motore è particolarmente sensibile: - nei veicoli a benzina, per la maggiore evaporabilità delle miscele

impiegate; - dal serbatoio (in fase di rifornimento, particolarmente nei mesi estivi ed

a seguito dell’aumento di tensione di vapore per riscaldamento indotto dal motore in moto) e dal sistema di alimentazione (specialmente nelle autovetture a benzina a circuito aperto, con carburatore).

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La moderna tecnologia dell’industria automobilistica riesce a ridurre l’incidenza delle perdite, ma i provvedimenti risultano parzialmente contrastati dai dispositivi per il trattamento delle emissioni di incombusti dal motore. In definitiva le evaporazioni non sono del tutto eliminabili, anzi si stima che coprano tutt’ora mediamente 1/3 del totale del rilascio di idrocarburi nell’ambiente da parte del parco automobilistico.

Ossidazione degli additivi antidetonanti. Per controllare il fenomeno indesiderato della detonazione anticipata e/o non programmata, vengono aggiunti alle benzine speciali additivi non idrocarburici: il perfezionamento della tecnologia nell’industria petrolifera ha visto susseguirsi a questo scopo l’uso di piombo tetraetile (C2H5)4 Pb, di piombo tetrametile (CH3)4 Pb, di ossigenati e di benzene. La dissociazione e/o l’ossidazione di queste sostanze (che possono costituire anche l’1% in peso del carburante impiegato) genera altri prodotti tossici, destinati al rilascio in atmosfera sotto varie forme.

Formazione di ossidi di azoto. Alle severe condizioni di pressione (50÷100 atm) e temperatura (1000÷2800 K) che si determinano nella camera di scoppio, l’azoto dell’aria (presente nella miscela detonante in ogni tipo di motore, ma ordinariamente inerte) subisce reazioni di ossidazione, che sono certamente attivate ed in qualche misura catalizzate dai gas combusti, che in piccola percentuale residuano da un ciclo al successivo: il decorso del processo di formazione degli ossidi di azoto è quindi autoesaltante e viene incrementato dalla rapidità dei cicli e dal surriscaldamento del sistema. Ne deriva che le quantità prodotte sono crescenti con il regime del motore, in ragione più che proporzionale al numero di giri.

Pirolisi termica e formazione di particolato. Nelle descritte condizioni ambientali della camera di scoppio, le molecole idrocarburiche (specialmente quelle più complesse e pesanti, contenute nelle sferule grossolane, nebulizzate dall’iniezione in pressione o asportate dai veli lubrificanti) sono sottoposte a vigoroso stress termico, fino alla “pirolisi” (scissione in molecole più semplici), che libera atomi di carbonio; questi si aggregano in particelle solide (polveri) e si sottraggono al processo di combustione.

Reazioni secondarie. Gli inquinanti primari, prodotti nei processi sopra descritti in condizioni di elevate temperature e pressione, hanno pronunciate caratteristiche di instabilità chimica: sono quindi soggetti a reazioni secondarie, nel circuito di scarico ed in atmosfera, agevolate dai catalizzatori inseriti nelle marmitte o presenti nell’ambiente naturale, e/o procurate da assorbimenti energetici (specialmente dei raggi ultravioletti).

In relazione alle quantità ordinariamente prodotte dal traffico e/o alla loro nocività per i ricettori, si usa rivolgere l’attenzione, negli sviluppi modellistici quantitativi degli inquinamenti atmosferici, ai seguenti principali gruppi omogenei di prodotti:

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a) Anidride carbonica CO2, ed anidride solforosa SO2, ordinari prodotti della combustione rispettivamente degli idrocarburi fossili e della loro principale impurità. L’anidride carbonica è un gas presente nell’atmosfera in ridotte percentuali: essa è indispensabile per il ciclo biologico delle piante (attivazione della sintesi clorofilliana), ma pone un grave problema all’ambiente con l’eccesso di produzione (derivato dall’uso di combustibili fossili nelle diverse attività antropiche, fra le quali il traffico veicolare copre una quota non trascurabile), in concomitanza ad un suo ridotto consumo (per contestuale eliminazione di ampie superfici di foresta). La conseguenza dello squilibrio è l’effetto serra (incremento della temperatura media dell’atmosfera) generato dalle capacità assorbenti della stessa CO2. Anche i composti dello zolfo sono ordinariamente presenti in atmosfera in varie forme chimiche, perchè derivano da molteplici cicli biologici. L’attività dei motori a combustione interna è responsabile del rilascio diretto di anidride solforosa SO2 (che transita in acido solforico, combinandosi con l’umidità atmosferica e con l’acqua di pioggia), proporzionale al contenuto di indesiderati composti solforati nei carburanti. Il danno ambientale conseguente è quello delle piogge acide (particolarmente pregiudizievoli per la flora). E’ comprensibile tuttavia come la scala planetaria dei problemi determinati da CO2 ed SO2 non collimi con l’impatto della singola opera infrastrutturale, ma riguardi al più la politica generale del trasporto (riequilibrio modale) e la ricerca industriale, applicata ai processi di raffinazione dei carburanti ed al progetto e produzione dei mezzi di trasporto alternativi.

b) Monossido di carbonio CO, derivato da processi di incompleta combustione, in carenza di ossigeno. E’ un gas inodore ed incolore, che danneggia irreversibilmente l'emoglobina del sangue dei soggetti viventi esposti (con formazione di carbossiemoglobina CO-Hb), con effetti patologici anche gravi per l’uomo: le ricerche mediche hanno evidenziato che la percentuale di CO-Hb nel sangue è funzione crescente:

delle concentrazioni nell'aria di CO, dell’attività svolta dal soggetto occasionalmente ricettore, del tempo di esposizione.

Il gas tuttavia è chimicamente instabile ed in ambiente aperto tende a transitare (per ossidazione) in CO2: dalla figura 6.5.1 si evince come in una strada isolata ed in calma di vento la concentrazione è massima intorno all’asse e degrada rapidamente a distanza di poche decine di metri.

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Figura 6.5.1 – Concentrazione di CO nella sezione di una strada

c) Ossidi di azoto (designati nel complesso come NOx), derivanti dall’ossidazione dell’azoto molecolare atmosferico, ad elevate temperatura e pressione ed in eccesso di ossigeno. Quelli prodotti dai motori dei veicoli sono prevalentemente NO ed NO2 ed in quantità inferiori NO3, N2O3 ed N2 O4. Di solito questi composti transitano l’uno nell’altro, secondo meccanismi chimici assai complessi (ed in larga misura tutt’ora incogniti) che si attivano nei circuiti di espulsione e nella libera atmosfera: NO rappresenta il 90÷95 % del totale degli ossidi di azoto sintetizzati nel motore, ma rapidamente subisce un’ossidazione ulteriore, riducendosi ad una concentrazione residua del 25÷35 %; corrispondentemente NO2, che inizialmente non supera il 5÷10 %, cresce fino al 60÷70 %. Il complesso degli NOx si presenta come una miscela gassosa di colore bruno (che offusca la visibilità) ed odore pungente: in forti concentrazioni produce gravi irritazioni polmonari alle persone ed agli animali, nonché danni biologici irreversibili a numerose ed importanti specie vegetali.

d) Diversi tipi di idrocarburi HC (gassosi o nebulizzati o in forma di particolato), emessi per evaporazione e per parziale o mancata combustione; le polveri derivanti dall’aggregazione di particelle carboniose veicolano anche composti del piombo e di altri metalli pesanti. Si denomina particolato o aerosol l’insieme delle parti solide o liquide (eccetto l’umidità) presenti nell’atmosfera. La sua caratterizzazione come inquinante si riferisce non solo alla concentrazione (in mg/mc d’aria) ed alla composizione chimica, ma anche alla distribuzione granulometrica, al peso specifico ed alla morfologia prevalente degli elementi che lo compongono. I granuli delle polveri prodotte per pirolisi inizialmente non superano il diametro di 2 nm (1 nm = 10–9 m); successivamente si attivano processi di aggregazione e di coagulazione superficiale di: - idrocarburi policiclici;

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- poliacetilene, che allo stato naturale è gassoso ed ha rilevanti effetti tossici;

- composti del piombo e di altri metalli.

Alla fine gli elementi aggregati possono raggiungere l’assetto di sferule Φ 20÷100 nm (polveri sottili) ovvero, attraverso l’ulteriore saldatura stabile di queste, le dimensioni massime di 10 µm (particolato grossolano). Inoltre in ambiente stradale si producono ulteriori tipologie di polveri: - per abrasione degli inerti e dagli strati ricoprenti del legante dei

conglomerati bituminosi delle pavimentazioni; - per usura degli organi meccanici dei veicoli e dei battistrada; - per pompaggio di frazioni sottili inorganiche, a carico delle superfici

esposte delle piste e dei piazzali di cantiere (particolarmente quando si presentano asciutte) ad opera delle ruote dei veicoli e dei mezzi d’opera o per trascinamento eolico (o anche per turbolenza atmosferica indotta dal traffico) dalle scarpate sprovviste di protezione e carenti di umidità.

In relazione alla capacità di restare in sospensione in atmosfera o di depositarsi al suolo, a ciascun granulo di polvere/particolato si usa assegnare un diametro equivalente, corrispondente a quello di una sfera di uguali massa, volume e velocità di caduta; nel particolato il diametro equivalente varia di norma fra alcuni nm e qualche centinaio di µm: si assume convenzionalmente il valore di 2.5 µm a separazione della frazione grossolana da quella fine. In relazione alla natura chimica ed alla genesi, si distinguono: - polveri: particelle solide organiche ed inorganiche, di diametro

equivalente > 2.5 µm, in parte generate da disgregazione ed usura; - fumi: sospensione in aria di particelle solide organiche di diametro

equivalente < 2.5 µm, prodotte da incompleta combustione e/o da pirolisi ovvero dalla condensazione a seguito di ossidazione di sostanze originariamente vaporizzate;

- fuliggine: sospensione in aria di particelle della stessa provenienza di quelle dei fumi, ma di diametro equivalente più grossolano; di norma ciascuna particella della fuligine deriva dall’agglomerazione di più elementi dei fumi, spesso legati da catrame (prodotto della combustione incompleta di materiale carbonaceo), e incorpora anche sali di metalli pesanti ed altri prodotti nocivi;

- caligine: sospensione in aria di goccioline liquide di diametro equivalente <2.5 µm, derivanti dall’emissione di HC; determina frequentemente anche una cospicua riduzione della trasparenza dell’aria e quindi della visibilità (incrementale rispetto a quella riferibile agli NOx).

e) Inquinanti secondari: ozono e smog fotochimico. L’ozono (O3=ossigeno triatomico) assume particolare rilievo per i danni che è capace di determinare: derivando da reazioni chimiche nell’ambito degli NOx, catalizzate prevalentemente dai raggi ultravioletti, la sua produzione è attiva nelle ore diurne (massima dalle

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ore 11 alle 13), nelle giornate limpide e nei periodi dell’anno di maggiore insolazione; le reazioni sono agevolate dalla carenza in atmosfera di composti ossidabili. Ulteriori composti secondari, che per la loro comune genesi vengono inclusi in un’unica categoria denominata “smog fotochimico”, sono meno influenti per quantità ma altrettanto preoccupanti per gli effetti: si tratta di acido nitrico, di vari idrocarburi ossidati e di nitrati organici (fra cui è prevalente il peroxiacetilnitrato). Il danno procurato da questa forma di inquinamento secondario riguarda tanto il sistema atmosferico globale quanto i ricettori direttamente investiti (persone ed oggetti).

Per tutte le tipologie di inquinanti sopra richiamate (tralasciando gli effetti sul sistema atmosferico planetario, che non interessano il giudizio di compatibilità della singola opera) ciascun veicolo costituisce una fonte puntuale di produzione e diffusione nell’ambiente che circonda la strada (area d’influenza ristretta), in ogni regime di moto (perfino a motore spento, quando l’emissione si limita ai gas residui nei circuiti ed agli idrocarburi evaporati).

Nondimeno nei controlli ambientali dei progetti stradali, per il fattore atmosfera, si rinuncia ad un’analisi disaggregata al livello di singolo veicolo e si ripiega su schematizzazioni accorpate: - un tronco stradale extraurbano isolato può ragionevolmente essere

considerato una sorgente lineare, a causa degli effetti di turbolenza e mescolamento indotti dal moto dei veicoli. Invero non è escluso che le concentrazioni possano presentarsi gradatamente variabili lungo le progressive (in relazione ai fattori di produzione che saranno esaminati nel seguito) e che in alcuni punti alla distribuzione lineare (di fondo) si possano sommare gli effetti di una maggiore produzione puntuale, collegabile a particolarità dei regimi di flusso veicolare (formazione di code in incroci liberi e semaforizzati e/o in corrispondenza di caselli autostradali e di altri punti di controllo, ecc.), o del corpo viario (portali delle gallerie, sbocchi di loro eventuali camini, ecc.);

- un’area urbanizzata dotata di una rete viaria fitta si comporta verso il contorno come una sorgente areale: al suo interno le turbolenze determinate dall’attività antropica, dal moto dei veicoli e dalle irregolarità morfologiche tendono ad omogeneizzare le caratteristiche qualitative dell’atmosfera. L’influenza dell’area nel suo complesso verso l’esterno investe ampi settori dello spazio circostante, data la consistenza quantitativa della fonte, ma l’effetto può legittimamente essere correlato solo al livello medio di congestione del traffico nell’intera area (valore di fondo): raramente quindi un singolo progetto d’infrastruttura urbana produce conseguenze significative al di fuori dei confini cittadini, a meno che l’arteria non sia in grado di incidere profondamente sul grado di congestione medio del traffico nell’intera rete. Non è escluso, tuttavia, che la stessa infrastruttura produca significative conseguenze atmosferiche puntuali all’interno dell’area urbana, a causa di: • dislocazioni spaziali dei principali flussi; • particolarità compositive del corpo stradale (gallerie, ecc.);

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• eliminazione o spostamento di accumuli in coda, ecc.

La normativa italiana per il controllo della qualità dell’aria è stata richiamata nel par 2.6.1: essa risponde prevalentemente a direttive UE ed è finalizzata a preservare la salute della popolazione esposta agli effetti dannosi dell’inquinamento indotto da fonti fisse e mobili. Il suo più frequente campo di applicazione è il governo contingente della mobilità in ambito urbano (sospensione temporanea della circolazione veicolare, targhe alterne, ecc.) e la politica dei piani di traffico (sviluppo del trasporto pubblico, zone a traffico limitato e/o controllato, ecc.).

Ai fini della redazione dei SIA per progetti stradali, di cui si sta trattando, essa non è esaustiva né dirimente per una molteplicità di ragioni: - il danno prodotto dall’inquinamento da gas di scarico non si limita agli

effetti nocivi sulla salute delle persone che ne sono investite, ma si esplica anche su categorie completamente diverse di ricettori: ad esempio la vegetazione e le costruzioni (particolarmente quelle monumentali in pietra viva, che ne risulta aggredita e ricoperta). La natura e la genesi del danno a queste ulteriori tipologie di ricettori introducono nella stima di tollerabilità dell’impatto sulla qualità dell’aria, accanto alle concentrazioni di prodotti nocivi in ristretti archi temporali (a cui si commisurano i citati limiti di legge), le stime della quantità totale di ciascuno (con cui essi entrano in contatto) anche in periodi estesi molti anni. Parimenti la deposizione al suolo del particolato, che si verifica in ambiti spaziali relativamente ristretti, ne determina l’accumulo: ciò produce conseguenze cumulative, (direttamente) ai margini della carreggiata e (mediatamente, attraverso il dilavamento delle acque meteoriche) su ricettori anche distanti.

- I casi limite di rischio per la salute umana dell’inquinamento atmosferico si riscontrano dove si sommano a valori di fondo assai elevati immissioni spazialmente concentrate: in ambito stradale ciò si verifica nei contesti urbani congestionati ed in prossimità di punti di accumulo dei veicoli (incroci e barriere) o in prossimità dei portali e dei camini di tronchi confinati (gallerie). Raramente tali condizioni ricorrono in opere da sottoporre a VIA formale (che attengono prevalentemente alla viabilità extraurbana, come si evince dal par.6.1). Ciò non esclude ovviamente che la simulazione della qualità dell’aria costituisca valido supporto per la progettazione anche di opere minori ed in ambito urbano: come più volte ripetuto, il progettista deve considerare sempre gli effetti ambientali di ogni scelta, indipendentemente dall’iter amministrativo dell’approvazione del suo prodotto intellettuale.

- Il disturbo ai ricettori non può essere considerato irrilevante qualora non si pervenga alle condizioni limite di rischio per la salute: anche un semplice peggioramento della salubrità e purezza dell’aria, specialmente a carico di contesti sensibili (insediamenti scolastici, presìdi ospedalieri, aree di svago, parchi, ecc.), è elemento di valutazione non trascurabile; nondimeno, in questi casi, i limiti indicati dalla normativa sanitaria al più possono costituire un vago riferimento, rispetto alle corrispondenti valutazioni di compatibilità.

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- Le proiezioni a lungo termine, proprie degli studi ambientali afferenti ai progetti infrastrutturali, sono decisamente pessimistiche. Infatti le cospicue risorse dedicate alla ricerca applicata su veicoli alimentati da energie e/o carburanti alternativi, nonché gli impegni internazionali assunti dalla maggior parte di Governi, lasciano sperare che la drammaticità del problema dell’inquinamento atmosferico a cui si è pervenuti alla fine del secolo scorso (con conseguenze sul clima tutt’ora imponderabili), vada attenuandosi nell’immediato futuro.

Con tutte le riserve conseguenti alle suddette osservazioni, si illustrano brevemente di seguito i principali “modelli di produzione” a disposizione del progettista stradale, per la valutazione quantitativa da inserire nei SIA. Allo scopo si usufruisce di software operativi in commercio (per la maggior parte di provenienza americana e variamente applicabili ai diversi contesti) in grado di quantificare, in note condizioni operative, una sorgente puntuale o lineare di inquinanti. Di norma questi modelli assumono come parametri di input alcune grandezze misurabili o (almeno) attendibilmente stimabili: rispetto ai loro valori numerici da implementare, tuttavia, la ricerca applicata europea è alquanto avara di indicazioni affidabili per le diverse aree geografiche; per orientare il progettista, le relazioni funzionali inserite nei codici di calcolo (rispondenti al contesto americano e non automaticamente traslabili) possono essere correttamente assunte solo per il loro andamento, ma richiedono spesso un’attenta taratura se si desidera ridurre i margini di discrezionalità dell’operatore ed accrescere la capacità simulativa del modello.

Gli intervalli temporali di riferimento debbono essere assunti in congruenza ai livelli di risposta che si desiderano: - medie annuali, settimanali o giornaliere, per la stime dei livelli di fondo in

aree ampie; - valori medi orari o sub-orari, per la valutazione quantitativa delle punte in

localizzazioni ristrette.

In output si ricavano le quantità e le concentrazioni delle diverse categorie di inquinanti, in corrispondenza della piattaforma stradale e dei suoi margini (spartitraffico e banchine).

In aggiunta alla grandezza rappresentativa del traffico nel tronco, espressa in termini di densità veicolari (numero medio di mezzi presenti contemporaneamente sull’unità di lunghezza) i principali parametri di input sono raggruppabili nelle seguenti categorie:

a) Dati qualitativi del parco circolante: a1) Ripartizione percentuale fra i tipi di veicoli e di motori.

A parità delle altre condizioni ed a regime (diverso è il caso di partenza a freddo, che comunque in genere non viene preso in considerazione nello studio di cui si sta trattando) le emissioni gassose (eccetto CO2) sono in varia misura inferiori per i veicoli ad accensione spontanea; le quantità di particolato prodotte sono invece sensibilmente inferiori per i veicoli ad accensione comandata.

Sul piano nazionale in Italia (fonte ACI) i veicoli in circolazione presentano in percentuale le distribuzioni riportate in tabella 6.2.

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360

Tabella 6.2 Ripartizione percentuale dei veicoli immatricolati al 31.12.00.

Carburante per alimentazione Tipologia di mezzo Benzina Diesel GPL/MetanoAutoveicoli 80.4 % 14.7 % 4.9 % Autocarri leggeri < 3.5 q.li 14.0 % 86.0 % n.r. Autocarri pesanti > 3.5 q.li 1.2 % 98.8 % n.r. Ciclomotori > 125 cc 100.0 % n.r. n.r.

Numerose campagne di rilievo hanno registrato che, nella media nazionale in Italia, le frequenze di passaggi sulle autostrade e le strade extraurbane principali presentano le seguenti distribuzioni:

- automobili a benzina 53% - automobili diesel 17% - mezzi commerciali e autobus diesel 30%

a2) Caratteristiche medie prestazionali dei veicoli circolanti. A parità delle altre condizioni, i parametri di proporzionalità delle

quantità di inquinanti emesse da ciascun veicolo sono principalmente: - la cilindrata, per i veicoli passeggeri (sia diesel che a benzina); - la potenza massica (rapporto fra peso e potenza istallata) per i mezzi

commerciali.

Le prestazioni dei motori sono ordinariamente rispettose dei vincoli imposti dagli organismi internazionali alla produzione industriale (Tabella 6.3), che tendono con il tempo a divenire più restrittivi, anche per il perseguimento dell’obiettivo di riduzione dei consumi energetici; la concorrenzialità globale, inoltre, induce le industrie produttrici ad anticipare risultati positivi, anche in assenza di vincoli di legge. Il campo tecnologico di maggiore interesse per la presente trattazione riguarda i dispositivi per la riduzione delle emissioni inquinanti (marmitte catalitiche, trappole per particolato, ecc.).

Considerata la distribuzione tipologica di tab. 6.2 sono stati calcolati e riportati nella Tabella 6.4 i valori di riferimento delle emissioni (grammi/veicolo/km) di CO, NOx e HC; nel calcolo sono stati assunti:

• una vetustà media del parco circolante in Italia; ogni veicolo è stato convenzionalmente collocato ai limiti di accettabilità, secondo la norma vigente all’atto della sua immatricolazione;

• una velocità tipica di marcia extraurbana in flusso ininterrotto ed in piano (50÷60 km/h);

• un coefficiente di carico medio, tanto delle autovetture, quanto dei veicoli industriali.

Nelle applicazioni, i suddetti valori di riferimento possono essere modificati dal progettista in funzione di:

• contesto regionale in cui l’infrastruttura si colloca, per tener conto di eventuali apprezzabili scostamenti dalla media nazionale della distribuzione tipologica dei veicoli circolanti e/o dello stato manutentivo

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361

tipico di questi; • tipologia di utenza attesa: di certo, ad esempio, il parco circolante sulla

rete autostradale si discosta dalla media per presenza di autovetture di grossa cilindrata, di minore vetustà ed in migliore stato di manutenzione, nonchè di veicoli industriali a maggiore coefficiente di carico.

Tabella 6.3 Direttive UE per le caratteristiche dei mezzi stradali.

Categoria di veicoli Obbligo di immatricolazione AUTOVETTURE A BENZINA

CLASSI DI CILINDRATA: C<1400; 1400<C2000; C>2000 PRE ECE fino marzo ’73

ECE 15/00-01 da apr. ’73 a sett. ’78 PRE ECE fino marzo ’73

ECE 15/00-01 da apr. ’73 a sett. ’78 ECE 15/02 da ott. ’73 a dic. ’81 ECE 15/03 da genn. ’82 a dic. ’84 ECE 15/04 da genn. ’85 a dic. ’92

91/441 da genn. ’93 a dic. ’96 *da apr. ’90 per >2000

94/12 da gen. ’97 94/12 da gen. ’97 98/69 da gen. 2001

AUTOVETTURE DIESEL CLASSI DI CILINDRATA: C<2000; C>2000

Conventional fino a dic. ’92 91/441 da genn. ’93 a dic. ’96 94/12 da gen. ’97 98/69 da gen. 2001

AUTOCARRI LEGGERI <3,5T Conventional fino a sett. ’93

93/59 da ott. ’94 a sett. ’99 96/69 da ott. 1999

Proposal II da gen. 2001 AUTOCARRI PESANTI >3,5T

Conventional fino a sett. ’93 91/542 Stage I da ott. ’93 a sett. ’96 91/542 Stage II da ott. ’96

Euro III (Proposal) da gen. 2001

a3) Qualità dei carburanti.

Anche questa caratteristica è legata ai vincoli imposti dalla normativa vigente: risultano principalmente rilevanti le tolleranze sui contenuti di impurità pregiudizievoli ed il grado di controllo del loro rispetto.

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Tabella 6.4 Fattori di emissione per categorie di veicoli e tipo d’inquinante.

Tipologia di mezzo Benzina Diesel GPL/Metano CO (gr/veicolo*km

Autoveicoli 3,7 0,04 0,54 Autocarri leggeri

<3,5 t 1,42 0,84 n.r.

Autocarri pesanti >3,5 t

n.r. 1,60 n.r.

Ciclomotori 31,8 n.r. n.r. NOx (gr/veicolo*km)

Autoveicoli 0,41 0,06 0,11 Autocarri leggeri

<3,5 t 0,21 0,54 n.r.

Autocarri pesanti >3,5 t

n.r. 6,32 n.r.

Ciclomotori 0,4 n.r. n.r. HC (gr/veicolo*km)

Autoveicoli n.r. 0,10 n.r. Autocarri leggeri

<3,5 t n.r. 0,24 n.r.

Autocarri pesanti >3,5 t

n.r. 0,37 n.r.

Ciclomotori n.r. n.r. n.r.

b) Condizioni operative dei veicoli: b1) Temperatura, umidità, densità dell’aria (altitudine).

Si usa definire “a regime” il funzionamento di un motore in cui l’acqua di raffreddamento abbia raggiunto almeno i 70°C e l’olio gli 80°C; a tale condizione generalmente si fa riferimento nei SIA di tronchi stradali, mentre diverso può essere il caso dei nodi (particolarmente dei parcheggi).

A regime, le variazioni della temperatura atmosferica sono decisamente trascurabili per la produzione di inquinanti.

L’umidità dell’aria esterna è poco rilevante, ma non del tutto ininfluente: essa opera nel senso di una proporzionalità diretta nella formazione di prodotti da incompleta combustione.

Gli effetti dell’altitudine sono più significativi (particolarmente a carico degli incombusti), ma si presentano assai diversi in funzione del sistema di trazione: nelle figure 6.5.2 ne sono riportati andamenti tipici per autovetture a benzina e mezzi commerciali diesel (le ordinate fh.sono fattori incrementali delle produzioni registrate al livello del mare)

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400

2.01.8

1.6

1.2

1.0

1.4

0

2.82.6

2.42.2

fh

1600800 1200 2000

1.4

0

1.1

1.0

1.3

1.2

400

1.7

1.5

1.6

fh

800 1200 1400

Figura 6.5.2 Fattori incrementali della produzione media dei principali

inquinanti, al variare dell’altitudine (autovetture e mezzi pesanti).

b2) Dinamica del motore.

Definito “numero di giri ordinario” il regime di riferimento del progetto del motore e di regolazione della carburazione o della portata dell’iniezione, il parametro rappresentativo della dinamica del motore viene espresso dal rapporto:

• fra il numero di giri attuale ed il minimo consentito dalla regolazione, nel campo al di sotto del valore ordinario;

• fra il massimo consentito dalla meccanica del motore ed il numero di giri attuale, nel campo oltre il regime ordinario.

La dipendenza del consumo di carburante (quindi delle produzioni globali d’inquinanti atmosferici) dalla dinamica dei motori è di proporzionalità diretta con il suddetto rapporto, che a sua volta è collegato alla marcia che mediamente risulta innestata nei veicoli che percorrono il tronco in analisi. La previsione in fase progettuale risulta alquanto aleatoria: si preferisce, senza commettere sensibili errori di stima, limitarsi a conglobare il fattore nei due successivi (velocità media operativa e regime di moto).

b3) Velocità media operativa. L’andamento delle produzioni in funzione della velocità media di

percorrenza del tronco è complesso e differenziato per le diverse categorie di inquinanti, in ragione dei meccanismi della loro produzione.

Nelle figure 6.5.3 sono rappresentati alcuni andamenti tipici, al variare della velocità del veicolo (considerata uniforme lungo l’intero tronco).

Come si evince facilmente dai grafici: - La produzione di CO ed HC è rapidamente decrescente con la velocità fino a

50÷60 km/h, per poi stabilizzarsi a valori superiori, sia per le autovetture che per i mezzi pesanti.

- La produzione di CO è praticamente coincidente ad ogni velocità per le due categorie di veicoli considerati, mentre quella di HC è cinque volte superiore per i mezzi pesanti rispetto alle autovetture.

- La produzione di NOx è, per ambedue le categorie di veicoli, relativamente

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bassa fino a 50 km/h e cresce rapidamente oltre tale soglia. - A parità di velocità la produzione di NOx è per i mezzi pesanti cinque volte

superiore a quella delle autovetture.

0 0

1

10

2

20

3

HCCO(g/mc)

30(g/mc)

4

0 0

1

0

5

NO

CO

HC

x 154

10

3

2

20

10

CO(g/mc)

xNO(g/mc)

5 30

HC(g/mc)

20

HC

0

5

NO

CO

x

10

15

NO(g/mc)

20

30

x

fig. 6.5.3 Produzione dei principali inquinanti al variare della velocità media. (autovetture; mezzi pesanti).

b4) Regime di moto. Intorno alla velocità media nel tronco, il regime effettivo di moto dei

veicoli oscilla (decelerazioni, accelerazioni, arresti in incolonnamento, ecc.) In fase di decelerazione (rilascio del pedale dell’acceleratore, con o

senza il contestuale uso del freno, che determina la brusca chiusura della valvola del carburatore o la riduzione della portata d’iniezione) si produce l’impoverimento della miscela detonante: lo scostamento dalle condizioni stechiometriche, in associazione ad elevati regimi di rotazione dell’albero, determina condizioni favorevoli a: - fallimento dell’accensione della miscela (tanto spontanea, quanto procurata)

con il conseguente rilascio d’incombusti e/o di prodotti di pirolisi; - anomala produzione di ossidi di azoto, per scoppi in presenza di eccesso

d’aria.

Anche le accelerazioni sono regimi favorevoli ad una maggiore produzione di incombusti (CO ed HC), poiché coincidono con un arricchimento della miscela nella camera a scoppio ed una correlativa riduzione dell’efficienza del processo di combustione (tanto più quando il motore si trovi in regimi dinamici forzati).

Le basse velocità, culminanti nella sosta a motore acceso, producono sia un cattivo andamento della combustione (incombusti) sia surriscaldamenti dell’apparato motore, contestuali all’impoverimento delle miscele (condizione favorevole alla formazione di NOx).

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Le misure quantitative delle diverse categorie di inquinanti prodotti nei vari regimi di moto scaturiscono da sperimentazioni al banco, che le case automobilistiche eseguono (o commissionano ai pochi centri internazionali specializzati) nell’ambito dei loro programmi di ricerca e sviluppo: in letteratura è disponibile un’amplissima gamma di dati (che sono recepiti nei softwares commerciali per lo studio ambientale del fattore atmosfera).

c) Caratteristiche geometriche del tronco stradale. Nel regime di produzione degli inquinanti atmosferici la geometria

d’asse del tronco interviene sia per la componente planimetrica che (più significativamente) per quella altimetrica. c1) Andamento planimetrico

Il tracciato d’asse planimetrico gioca un ruolo determinante sulle velocità operative e sulla successione delle manovre di progressione del moto (segnatamente in regimi relativamente liberi). In presenza di flussi forzati (particolarmente in ambiente urbano) in letteratura si rinvengono studi e sperimentazioni su vari cicli di moto, relazionabili alla configurazione della rete, ai sistemi di controllo del traffico ed ai livelli di congestione. c2) Andamento altimetrico

Il profilo longitudinale d’asse incide in misura assai significativa sui regimi di sforzo del motore, riverberando i suoi effetti in maniera differenziata sulle produzioni delle diverse tipologie di inquinanti e per le varie categorie di veicoli. Per alcuni casi di maggior interesse, nella figura 6.5.4 sono rappresentati i coefficienti modificativi delle produzioni inquinanti per causa della pendenza.

Gli effetti dell’uso di impianti di climatizzazione interni alle vetture risultano significativi per il supplemento di potenza richiesto al motore; talvolta nelle pratiche applicazioni sono portati nel conto tramite la modifica virtuale della pendenza del tronco (in aumento in salita ed in riduzione in discesa) dell’ordine di 1,5÷2,0 %.

Nei casi ordinari (in particolare negli Studi Preliminari d’Impatto Ambientale di arterie extraurbane) l’uso degli abachi e delle tabelle riportate nel presente paragrafo fornisce risultati attendibili nella stima degli effetti del traffico su un tronco stradale all’aperto, in fase di esercizio dell’opera.

-4 -5 -6 -7 -8 -9 0 +1 +2 +3 +4 +5 +60.7

0.8

1

0.9

1.2

1.1

fi

2

1

0

3

fi

-6 -4 -3 -2 -1 0 +1 +2 +3 +4 +5 +6-5

Figura 6.5.4 Coefficienti correttivi delle emissioni in funzione della pendenza

(autovetture; mezzi pesanti).

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Possono tuttavia presentarsi casi più complessi e particolari, soprattutto in relazione a: • regimi di moto molto discosti dall’uniformità, ad esempio per congestione

sul ramo o per la presenza nel tratto di studio di zone di accumulo e di accodamento (caselli autostradali) ovvero di incroci regolati;

• concentrazioni di inquinanti in sezioni particolari, ad esempio in corrispondenza di un portale o di un camino di evacuazione dei fumi da una galleria;

• simulazioni delle condizioni atmosferiche in ambienti chiusi frequentati da traffico automobilistico (gallerie, edifici di parcheggio, ecc.), eventualmente anche in regime non stazionario;

• presenza di ricettori particolarmente sensibili a ridosso dell’infrastruttura.

In questi casi si ricorre usualmente all’implementazione di modelli di produzione dinamici o statici.

Nei modelli dinamici la simulazione passa per diagrammi del moto lungo il tronco, in diverse condizioni operative di progetto, da inserire in un codice di calcolo: si ricava in output la stima istantanea delle quantità di inquinanti immesse nell’atmosfera da un singolo veicolo.

I codici disponibili di questo tipo furono sviluppati fin dagli anni ’70, su ampie basi sperimentali, con la finalità iniziale di valutare quantitativamente i benefici atmosferici conseguibili con interventi normativi sulle prestazioni del parco veicolare e sulla regolamentazione del traffico (in particolare nelle aree urbane congestionate). Si citano i più accreditati, non tanto per indirizzare ad essi il progettista (o lo specialista di settore, che di norma supporta questa parte del SIA) quanto per:

- evidenziarne i limiti di affidabilità dei risultati, quando essi siano incorporati nei software commerciali;

- correggere i risultati dei modelli statici (utilizzati più diffusamente) per tener conto di particolarità nel comportamento dei guidatori.

L’Automobile Exhaust Emission Modal Analysis, introdotto dall’Environmental Protection Agency (EPA) statunitense [1974], si basa sull’interpretazione dei risultati di sperimentazioni su un gran numero di automobili di diversa anzianità: aveva originariamente lo scopo di verificare l’influenza di miglioramenti tecnologici dei motori. Nonostante un successivo aggiornamento [1982], i controlli sperimentali recentemente effettuati sui suoi esiti ne mostrano una scadente capacità simulativa, presentando per alcuni composti scostamenti fino al 45 %.

Efficace per valutare gli effetti del comportamento di guida lungo un ramo (misurato con il gradiente imposto dal guidatore alle velocità) risulta il modello CALINE 4, proposto dal California Department of Transportation, anche sulla base degli esiti delle sperimentazioni condotte dal Colorado Department of Highways (CDOH). Il suo limite è l’applicabilità alla sola produzione di CO, ed alle autovetture a benzina non catalizzate, che lo sviluppo tecnologico ed industriale recente ha reso poco interessante.

Molto più rispondenti alla realtà sono i risultati del MODEM, che, fra l’altro, si basa su dati sperimentali di veicoli di fabbricazione europea. Questo modello fu costruito negli anni ’90 da centri di ricerca francesi, inglesi e

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tedeschi, nell’ambito del programma comunitario DRIVE, allo scopo di simulare gli esiti dell’emananda direttiva sulle caratteristiche prestazionali per l’omologazione dei nuovi modelli di veicoli. Il suo limite applicativo deriva dal non essere espresso in forma chiusa (regressione matematica) ma discreta (matrici).

I modelli denominati “statici” forniscono la stima delle emissioni medie di un veicolo, di determinate caratteristiche, nell’intervallo di tempo di riferimento e/o per unità di lunghezza percorsa; non seguendo le variazioni istantanee delle velocità, essi includono, fra i dati di base, cicli di guida standard e portano in conto la sola velocità media, come variabile indipendente rappresentativa delle condizioni operative.

Il capostipite dei modelli statici è l’americano “Mobile” [1975] più volte aggiornato (attualmente è disponibile la versione 3). Esso consente il calcolo dei fattori di emissione relativi a HC, CO ed NOx, con riferimento al parco veicolare USA (con possibilità di suddividerne la composizione in otto classi ed il livello medio di manutenzione in sei gradi) ed ai tipi di carburanti ivi disponibili; consente inoltre di implementare direttamente il dato di frequenza d'uso degli impianti di condizionamento a bordo. Il suo campo d'impiego originario furono le valutazioni di convenienza dell’adozione, nelle aree urbane, di provvedimenti regolamentari su: - parco veicolare: manutenzione programmata e controlli di efficienza,

installazione di strumentazione di controllo e di abbattimento degli inquinanti;

- condizioni d'uso: divieti di traino o di attivazione dell'aria condizionata in particolari circostanze, limiti di velocità, ecc.

- tipologia dei carburanti.

Frutto di un imponente sforzo scientifico europeo è il modello CORINAIR, sviluppato a partire dal 1985 nell’ambito del programma comunitario DG XI. La base sperimentale fu un parco veicolare di 38 diversi gruppi, suddivisi in 10 categorie; furono rilevate anche le emissioni nel transitorio termico (partenza a freddo) e le perdite evaporative, a regime ed episodiche (spegnimento del motore, rifornimento carburanti, ecc.). Esso si presta alla correzione dei risultati di modelli più completi (comprensivi anche della dispersione), ma forzatamente più accorpati, per portare in conto particolarità significative in uno o più dei fattori che influenzano le emissioni dei veicoli.

I “modelli di dispersione” degli inquinanti (trasporto, reattività chimica e rimozione) sono basati sull’implementazione dei fenomeni meteorologici, in particolare dei regimi turbolenti negli strati atmosferici a contatto con il suolo.

E’ noto che la massa atmosferica che circonda la terra, estesa per uno spessore di 1000÷2500 Km, si concentra per il 90 % nei 15 Km prossimi alla superficie; nondimeno gli strati superiori, a densità rapidamente decrescente con la quota, influenzano sensibilmente la dinamica degli inferiori, pur godendo di una certa stabilità fisico-chimica.

Al livello del mare l’aria è composta mediamente per il 78% (in massa) di azoto molecolare (N2) e per il 21% di ossigeno molecolare (O2); il

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rimanente 1% è formato da numerosi altri gas, che influenzano sensibilmente i fenomeni chimici e termodinamici attivi: molti di essi sono prodotti e/o soggetti di reazioni chimiche e fotochimiche, quindi hanno carattere transitorio e concentrazioni variabili.

I fenomeni dinamici che si verificano nell’atmosfera (venti) sono generati: • a livello planetario, dall’azione di trascinamento dell’aria da parte della

superficie terrestre, per effetto della rotazione giornaliera (forza di Coriolis). La capacità trainante sugli strati è ridotta nelle zone morfologicamente pianeggianti (fra cui gli oceani) e diminuisce velocemente con il progressivo distacco dal suolo;

• a livello locale, dai gradienti di pressione barometrica e di temperatura. Questi ultimi, che di norma sono anche la causa dei primi, sono dovuti: - alla diversa intensità delle radiazioni solari (in funzione della latitudine),

che determina a sua volta, unitamente alla natura ed allo stato delle superfici esposte (terreno variamente umido, coltri vegetate, masse liquide, ecc.), differenti escursioni di temperatura nei cicli diurni e stagionali;

- alla differente attitudine delle masse aeriformi (composizione chimica presenza in sospensione di particelle solide e liquide nebulizzate) a filtrare (assorbire selettivamente) le radiazioni solari (con particolare riferimento all’infrarosso termico);

- a fenomeni adiabatici (compressione e decompressione), connessi agli stessi moti, nonché alla spinta verso l’alto esercitata dall’associazione dei moti di Coriolis con le asperità della superficie terrestre.

La combinazione di fattori globali e locali determina nell’atmosfera gradienti di pressioni, che generano flussi di masse secondo ben definite direzioni, che di norma si individuano (per la componente orizzontale) attraverso la collocazione nella “rosa dei venti” (suddivisa in 8 o 16 settori), e la velocità, misurata in m/s, ovvero Km/h, ovvero in nodi (NM=miglia marine/h).

Nello studio dei fenomeni meteorologici, che presiedono alle dispersioni degli inquinanti emessi dal traffico stradale, si suddivide l’atmosfera in due diversi strati:

- lo “strato limite planetario” (PBL = Planetary Boundary Layer) si estende fino all’altitudine relativa di 300÷3000 m, ove si colloca la base del sistema nuvoloso. Al suo interno il moto dell’aria è prevalentemente turbolento ed è influenzato dalla conformazione superficiale del suolo e dai gradienti verticali di temperatura;

- l’atmosfera libera (“strato geostrofico”, sovrastante il PBL), ove il movimento dell’aria è prodotto pressocchè esclusivamente dal gradiente orizzontale di pressione.

L’influenza maggiore sul fenomeno viene esercitata dalla zona di transizione fra i suddetti due strati (“strato di mescolamento” o di Ekman), che subisce notevoli evoluzioni nel corso del giorno: • In periodo diurno i moti si caratterizzano come turbolenze di carattere

convettivo, generate dal trasferimento di energia termica proveniente:

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- dal suolo, di norma più caldo dell’aria; - dal sovrastante strato di nubi, se presenti; - direttamente dall’irraggiamento solare, in assenza di nubi. Il decorso delle attività turbolente ha un andamento a campana fra l’alba ed il tramonto, con il massimo nel primo pomeriggio.

• In periodo notturno, la stabilità indotta nello strato dalla caduta degli scambi termici predispone le condizioni favorevoli alle reazioni chimiche per la formazione degli inquinanti secondari; le reazioni subiscono una forte accelerazione a ridosso dell’alba, quando si aggiungono gli effetti fotochimici delle radiazioni solari, e procedono con crescente intensità fino alle ore centrali del giorno (massima insolazione).

Lo strato di mescolamento è superiormente delimitato da una zona, detta “di confinamento”, che con la sua caratteristica stabilità agisce da cappa per i flussi di calore diretti verso l’alto; la sua efficacia è maggiore quando si genera, al suo interno, un’inversione del gradiente di temperatura (incremento con l’altitudine).

Le condizioni di “stabilità statica” dell’atmosfera, caratterizzate da valori trascurabili della componente orizzontale degli spostamenti di masse, non precludono i movimenti di direzione verticale; questi peraltro sono responsabili del trascinamento di grandi quantità di energia termica e di umidità, quindi influenzano in modo determinante i fenomeni di evaporazione/condensazione e le precipitazioni, oltre che la dispersione degli inquinanti. L’intensità e la velocità dei moti verticali è strettamente connessa a processi termodinamici: la teorica condizione di immobilità è determinata da un preciso gradiente di temperatura all’interno del PBL, detto “adiabatico” (corrispondente alla riduzione di circa 1° ogni 100 m di altitudine).

In condizioni adiabatiche le spinte di galleggiamento di ciascuna particella sono esattamente compensate dal suo peso: i moti verticali sono teoricamente solo inerziali.

In condizioni “super-adiabatiche” (gradiente di temperatura più pronunciato dell’adiabatico) le spinte di Archimede su ciascuna particella, in ogni posizione, prevalgono sul suo peso: il moto di risalita è accelerato e produce raffreddamento della massa. Siffatti fenomeni si verificano, di norma, negli strati bassi in periodo diurno, a causa del trasferimento di calore dal terreno irraggiato ai volumi gassosi a contatto.

In condizioni “sub-adiabatiche” (gradiente di temperatura più debole dell’adiabatico) prevale il peso e si generano correnti verticali verso il basso associate al riscaldamento progressivo delle masse che ne risultano coinvolte: la dispersione degli inquinanti verso l’alto è contrastata. Condizioni di questa natura si determinano regolarmente negli strati bassi in periodo notturno; talvolta un livello intermedio si porta in condizione sub-adiabatica esasperata e localizzata o perfino ad un gradiente di temperatura crescente con la quota; siffatto fenomeno, che è usualmente denominato “inversione termica per subsidenza”, massimizza l’effetto di contenimento in quota.

L’estrema variabilità, nel tempo e nello spazio, delle condizioni microclimatiche locali rende impraticabili modelli di tipo dinamico; nella simulazione della dispersione degli inquinanti prodotti dal traffico, il tecnico

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s’indirizza, quindi, verso metodi empirici, basati sull’analisi di dati sintetici, ma rappresentativi delle effettive caratteristiche del sito e facilmente acquisibili. Nel paragrafo 2.6.2 è stata illustrata la classifica di stabilità di Pasquill [1961], basata sui seguenti dati del microclima locale, di ordinaria acquisizione e registrazione nelle stazioni meteorologiche (quindi disponibili per una diffusa rete di punti e per periodi prolungati):

- velocità del vento in prossimità del suolo; - insolazione diurna (forte, moderata, leggera); - condizioni del cielo notturno (grado di copertura nuvolosa).

In mancanza di informazioni di base rappresentative delle condizioni meteorologiche locali o per attribuire un breve periodo di tempo (di solito una singola ora) alla classe di stabilità che gli compete, è stato proposto da Hanna [1982] un metodo speditivo, derivato dagli studi del Brookhaven National Laboratory (BNL); il metodo provvede all’attribuzione delle contingenti condizioni microclimatiche locali a cinque classi: la base sperimentale è il solo rilievo della direzione del vento e la sua variabilità nell’intervallo di un’ora (tabella 6.5)

Tabella 6.5: Attribuzione alle classi di stabilità BNL.

Classi di stabilità Definizione A Fluttuazioni di ϕ superiori a 90° B1 Fluttuazioni di ϕ comprese fra 40° e 90° B2 Fluttuazioni di ϕ comprese fra 15° e 40° C Fluttuazioni di ϕ intorno a 15°, ma alquanto disperse

nell’ora intorno alla direzione prevalente. D Fluttuazioni di ϕ inferiori a 15°, rare e di breve durata.

E’ stata anche prodotta una correlazione (vagamente indicativa, ma spesso sufficiente per gli scopi applicativi in modelli empirici di dispersione) fra le classi di stabilità Pasquill e BNL; in sintesi tale corrispondenza è stata riassunta nella tabella 6.6

Tabella 6.6: Relazione tra le classificazioni di stabilità Pasquill e BNL.

Classi di stabilità Condizioni di stabilità Pasquill BNL Estrema instabilità A A Moderata instabilità B B1 Leggera instabilità C B2 Neutralità D C Leggera stabilità E C/D Moderata stabilità F D

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I modelli di dispersione più accreditati e di migliore applicabilità sono di tipo “gaussiano”: essi postulano che, in condizioni di stazionarietà della sorgente, il volume d’aria investito dall’inquinamento sia assimilabile ad un cono (pennacchio) di apertura variabile in funzione delle caratteristiche dei venti presenti (decrescente al crescere dei valori medi delle velocità). Le concentrazioni sono massime sull’asse del cono e sfumano, tanto in direzione orizzontale che verticale, verso il contorno dello stesso (Fig 6.5.5) secondo una distribuzione simmetrica di tipo gaussiano.

Figura 6.5.5. Distribuzioni gaussiane delle concentrazioni nei “pennacchi”

Si assume una terna cartesiana di riferimento con:

• origine sulla proiezione della sorgente alla quota del ricettore, • asse Z verticale, • asse X concorde alla direzione del vento,

Il vertice del cono si pone sull’asse Z alla quota H = h + ∆h, in cui: h è la quota relativa del punto di emissione sul piano di riferimento; ∆h (innalzamento iniziale del pennacchio) è funzione dell’entità dei moti convettivi ascendenti al livello del suolo e delle turbolenze indotte dal traffico stesso.

Indicate, inoltre, con σy e σz le deviazioni standard delle distribuzioni gaussiane, rispettivamente nei piani X/Z ed Y/Z, le concentrazioni dell’inquinante i-esimo nel punto generico dello spazio P(x,y,z) sono:

mixyy

pi h

yQzyxc 1

2exp

2),,(

2

−•

∇=

σσπ

I valori di σy e σz da introdurre nella sopra riportata formula sono riferiti alle classi di stabilità di Pasquill-Gifford e possono essere tratti dagli abachi di fig. 6.5.6.

Per l’impiego nei modelli analitici si preferisce servirsi della formulazione di Green [1980], la cui validità è stata sperimentata per distanze inferiori ad 1 km (che ai fini tecnici che si propone il SIA sono sufficienti):

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2

0

1

1

)( kxx

y

kx

xkx

+

•=σ

2

0

1

1

)( kyy

z

kx

xkx

+

•=σ

I parametri delle formule sono stati proposti da Zanetti [1990] e sono riportati nella Tabella 6.7:

Figura 6.5.6 Valori delle deviazioni standard delle distribuzioni gaussiane.

Tabella 6.7 Coefficienti della formula di Green

Classi di stabilità Pasquill Coefficiente A B C D E F K0 927 370 283 707 1070 1170 KX1 0.250 0.202 0.134 0.0787 0.0566 0.0370 KX2 0.189 0.162 0.134 0.135 0.137 0.134 KY1 0.1020 0.0962 0.0722 0.0475 0.0335 0.0220 KY2 -1.918 -0.101 0.102 0.465 0.624 0.700

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I modelli di diffusione di tipo gaussiano sono assai utili per la previsione del fattore in corrispondenza di ricettori sensibili; possono essere applicati sia a tronchi stradali, fonti lineari di inquinanti dell’atmosfera, sia ad emissioni concentrate; a rigore essi forniscono risultati attendibili (che sono infatti sperimentalmente verificati), sotto le seguenti condizioni: a) Stazionarietà del fenomeno nel periodo di riferimento dello studio, tanto

sotto il profilo dell’intensità e qualità dell’emissione che per le condizioni microclimatiche (direzione ed velocità del vento). Da questo punto di vista, un periodo di un’ora di sostanziale invariabilità è normalmente sufficiente a configurare l’ipotesi di stazionarietà, data la breve distanza dei ricettori interessati in ambiente extraurbano e l’irrilevanza dei fenomeni di accumulo e delle interdipendenze areali.

Diverso e più complesso è il caso degli ambienti urbani, in cui accumuli e interdipendenza fra i rami della rete sono determinanti ed i gradi di congestione, che incidono sulle quantità prodotte alla fonte, sono assai variabili. S’impongono in questo caso:

- tempi di riferimento più prolungati, per la definizione di valori di fondo;

- sovrapposizione di effetti incrementali locali, in corrispondenza delle punte (spaziali e/o temporali).

b) Scarsa influenza delle reazioni secondarie e, conseguentemente, sostanziale omogeneità dei carichi nocivi lungo il percorso.

c) Irrilevanza dei moti verticali dell’aria, salvo la turbolenza indotta dal traffico, che si esaurisce a breve distanza dai margini e viene portata in conto con l’innalzamento (∆h) della fonte. Anche questa condizione è accettabile in ambiente extraurbano, mentre è di norma azzardata nella morfologia urbana, caratterizzata da discontinuità pronunciate (fabbricati a ridosso delle strade e perfino configurazioni a canyon).

d) Assoluta prevalenza degli effetti del vento medio su quelli della locale turbolenza (pennacchio ristretto). Questa ipotesi è meno rigorosa al calare dei valori assoluti delle velocità in gioco e cade in difetto (anche analiticamente) in caso di calma di vento (v < 0.5 m/sec): infatti, per v→0 le concentrazioni espresse dalle formulazioni tendono ad ∞.

e) Trascurabili capacità riflettenti del suolo, quando il cono di diffusione lo interseca; nel caso opposto, di “riflettanza totale”, si può procedere comunque, ma sovrapponendo gli effetti di una sorgente fittizia, speculare di quella effettiva rispetto al piano XY di riferimento.

Come già più volte enunciato, nel caso di tronchi stradali extraurbani all’aperto la schematizzazione più attendibile della sorgente non è puntuale, ma lineare. Non mancano i modelli applicabili a tronchi indefiniti o finiti, che portano nel conto anche la loro inclinazione rispetto alla direzione di riferimento del vento; nondimeno i loro sviluppi analitici non si prestano ad un’agevole applicazione ingegneristica.

In definitiva nella pratica tecnica, specialmente per i SIA preliminari, si tende a rinunciare all’applicazione dei modelli numerici di diffusione e si adottano procedure semplificate, che peraltro risultano normalmente cautelative rispetto al rischio collegato al fattore.

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Si distinguono innanzi tutto gli inquinanti solidi o nebulizzati (HC) da quelli allo stato gassoso (CO e NOx).

Per i primi (fumi, polveri e scorie in sospensione nell'atmosfera), l’impatto risulta intenso ma spazialmente limitato; interessa infatti: il piano stradale; la fascia a margine della carreggiata: spartitraffico, banchine ed eventuali marciapiedi; opere idrauliche laterali; scarpate; aree esterne a ridosso del corpo stradale.

Molte sperimentazioni a livello nazionale ed internazionale hanno evidenziato concordemente che, indipendentemente dal clima locale, la densità dei depositi al suolo si abbatte del 50% nei primi 10÷15 m e di oltre il 70% nell'ambito di 50 m dai margini delle corsie di marcia.

ASSEdalla

10

Distanza

50100 2510

OVEST

Strada

25 50

(m)

100

Combustibili

in CS

in acqua

Totali

EST

NO

SO

3

3

Insolubile

Solubile

Materie

Catrame

Ca

Cl

2

Ceneri

Solubile

in acqua

Organiche

Figura 6.5.7 Deposito di impurità in funzione della distanza dalla strada

Nella fig. 6.5.7 sono riportate le quantità medie dei diversi tipi

d’inquinanti (fra loro differenziati per la granulometria tipica delle particelle)

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rilevate nel corso di un’estesa indagine in Finlandia: la base sperimentale di tale studio furono campioni della neve accumulatasi per l’intera stagione invernale nella campagna ai lati di strade extraurbane (pressoché costantemente complanari); questi ed altri rilevamenti hanno dimostrato che:

• salvo casi di microclimi con venti forti e persistenti di ben individuata direzione (rari nelle zone temperate), la distribuzione dei depositi può essere considerata simmetrica rispetto all’asse stradale;

• il punto di massima concentrazione è lo spartitraffico centrale (ove esista), con quantità di oltre il 30% superiori al margine esterno.

Figura 6.5.8 Concentrazione di monossido di carbonio al suolo prima e

dopo la realizzazione di un by-pass di un centro urbano In definitiva si può rinunciare alla considerazione dei meccanismi di

dispersione di polveri e nebulizzati e se ne può concentrare l’accumulo

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(rilevante, come si chiarirà nel seguito, per l’inquinamento delle acque reflue) all’interno del corpo stradale (piattaforma e scarpate adiacenti). Nell’ambiente che circonda le arterie extraurbane, in condizioni di rischio (ricettori sensibili già insediati, che non sia stato possibile tenere discosti dal tracciato) in cui risulti complessa la puntuale valutazione dell’entità del fenomeno, si interpone possibilmente un’efficace barriera; per normativa urbanistica, s’impone l’inedificabilità ed il divieto di coltivazione di alcune specie commestibili, nell'ambito di fasce (cosiddette di rispetto) di profondità tanto maggiore quanto più elevato è il traffico previsto.

Per la valutazione degli effetti distributivi degli inquinanti gassosi si ricorre di norma a softwares operativi che introitano interattivamente i dati, tanto di produzione che di diffusione, in forma globale e spesso semplificata. Nella figura 6.5.8 si è riportato, a titolo esemplificativo, l’output grafico di uno dei codici di calcolo disponibili per i livelli territoriali di inquinamento. Il caso rappresentato riguarda la variazione indotta in un centro urbanizzato a seguito della realizzazione di una circumvallazione esterna, che raccoglie la maggior parte del traffico di attraversamento.

Nell’esercizio dei cantieri di costruzione, le emissioni delle macchine operative (mezzi di trasporto e d’opera) sono singolarmente elevate, per la tipologia e la potenza dei motori di cui sono dotate e per i regimi di sforzo a cui ordinariamente vengono sottoposte; normalmente tuttavia il numero delle fonti, modesto rispetto al traffico pesante sull’arteria in esercizio, pone in posizione subordinata i problemi di diffusione di inquinanti aeriformi e di polveri organiche (HC) in fase transitoria.

Diverso è invece il caso delle polveri inorganiche totali (PMS) e sottili PM10 (di diametro equivalente inferiore ai 10 µm, quindi inalabili), che alcune attività che si svolgono nelle aree dei cantieri (fissi, temporanei, mobili e piste) diffondono nella rispettiva area ristretta: • Gli impianti di confezione di conglomerati sono caratterizzati:

- da punte di emissione di polveri in corrispondenza dello scarico del materiale dai silos, per il caricamento sui mezzi di trasporto (fase che da sola produce l’85 % delle emissioni totali);

- da emissioni diffuse legate alla movimentazione, con pale meccaniche e nastri trasportatori, ed allo stoccaggio degli inerti.

Le quantità sono fortemente variabili, in ragione della tipologia dei macchinari, nonchè di perizia e scrupolo nella loro conduzione. Da alcuni rilevamenti emergono produzioni di 0,08÷0,18 kg/m3 di calcestruzzo confezionato, di cui 25÷40 % sottili (PM10); quindi per una capacità produttiva tipica di 160 m3/h si possono considerare 13÷30 kg/h di polveri rilasciate, di cui 3÷12 kg/h sottili (elevato è il contributo a queste del cemento).

• Negli impianti di trattamento degli inerti (frantumazione, separazione, vagliatura e stoccaggio) e nella formazione di corpi stradali in sterro la produzione di polveri aerodisperdibili è causata prevalentemente da:

- frantumazione ed abrasione meccanica di particelle originariamente grossolane, da parte di mezzi operativi (ruote, pale, utensili, ecc.);

- operazioni di carico e scarico sui mezzi di trasporto.

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Anche in questo caso le quantità prodotte non sono agevolmente preventivabili; in prima approssimazione si possono assumere 0,10÷0,25 kg/m3 di materiale sciolto trattato, ma con ridotta incidenza di frazione sottile (PM10): 15÷25%

• Sulle superfici denudate (piazzali e piste non bitumate, scarpate non inerbite, cumuli in deposito temporaneo, ecc.) l’erosione eolica trascina selettivamente e disperde in atmosfera quantità apprezzabili di polveri; le soglie di significatività del fenomeno sono:

- velocità al contatto superiori ai 5 m/s; - dimensione (diametro aerodinamico) delle particelle inferiore a 30 µm.

La valutazione quantitativa è difficile, in quanto l’emissione è da un lato fortemente influenzata dall’umidità contenuta, dall’altro è generata da eventi intermittenti e di breve durata. Tuttavia per una superficie esposta di 1000 m2 si può stimare un valore medio di circa 0,010÷0,035 kg/h di PM10, valore alquanto modesto rispetto alle altre sorgenti considerate.

• Parimenti trascurabile per l’ambiente esterno al cantiere (ma spesso significativo per l’area ristretta al margine delle piste) è l’effetto di dispersione delle polveri sollevate dal transito di mezzi operativi sulle superfici non bitumate (per pompaggio delle ruote e turbolenza indotta nell’ambiente atmosferico ristretto). Anche in questo caso giocano ruoli predominanti l’umidità contingente degli strati superficiali, la granulometria delle frazioni fini (< 30 µm), la velocità operativa dei veicoli. In prima approssimazione si può stimare la produzione di PM10 di 0.070÷0,250 kg /veicolo/km.

La distanza teorica di ricaduta delle polveri è stata sperimentata in funzione della dimensione delle particelle e della velocità del vento. I risultati indicano che, per una velocità media di riferimento del moto atmosferico di circa 4 m/s, particelle di dimensioni superiori ai 100 µm sedimentano entro 10 m dalla sorgente, quelle comprese tra 30 e 100 µm entro 100 m, mentre il PM10 ha un comportamento praticamente assimilabile a quello di un inquinante gassoso.

Quando le circostanze lo richiedano, in riferimento alla particolare sensibilità ambientale, si possono implementare modelli simulativi in specifici codici di calcolo: - CALMET, per la ricostruzione degli eventi significativi prevedibili in

relazione all’ambiente meteorologico; - CALPUFF per la simulazione della dispersione delle polveri sollevate.

Le più efficaci misure di mitigazione (da considerare sempre nella progettazione del cantiere e/o da prescrivere come comportamento inderogabile agli operatori) sono:

- la copertura dei carichi nei cassoni dei mezzi di trasporto in movimento, quando se ne rischia la dispersione nel corso del viaggio;

- la pulizia ad umido dei pneumatici dei veicoli in uscita dal cantiere e/o in ingresso sulle strade frequentate dal traffico estraneo (Figura 6.5.9); le vasche di lavaggio in calcestruzzo periodicamente debbono essere spurgate;

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- l’asfaltatura o ricopertura con pannelli mobili delle piste provvisorie in prossimità dei ricettori di maggiore sensibilità ed in corrispondenza di incroci e/o immissioni nella viabilità ordinaria (per almeno 50 m);

- la periodica e frequente bagnatura dei cumuli di materiale pulverulento depositato (da portare anche in conto per i fabbisogni idrici dei siti);

- l’interposizione di barriere antipolvere naturali o artificiali.

Figura 6.5:9 Manufatto per lavaggio ruote.

Per la verifica di tollerabilità degli inquinanti aeriformi, prodotti sia in fase d’esercizio che di costruzione, in sede di SIA preliminare si può procedere, con accettabile semplificazione, con i seguenti criteri:

a) Per le fasce ad immediato ridosso dell’arteria si trascura il beneficio della dispersione e si valutano gli effetti diretti delle quantità prodotte.

b) Per i ricettori sensibili a distanza rilevante dai margini, si procede con il calcolo per sovrapposizione degli effetti di dispersioni gaussiane da sorgenti puntuali, discretizzando quelle lineari in tratte elementari e concentrandone la produzione nel rispettivo baricentro.

In presenza di esigenze di maggiore approfondimento (invero rare nei casi di tronchi extraurbani) e/o in sede di analisi ambientale dei progetti definitivi, il calcolo si può avvalere di strumenti informatici (codici di calcolo) raccomandati nelle linee guida emanate periodicamente dall’EPA (Environmental Protection Agency – USA).

Nel seguito sono descritti i limiti di applicabilità di due di questi strumenti disponibili, che si prestano per gli archi e le reti extraurbane. 1) APRAC 3 considera separatamente i principali prodotti d’interesse:

- monossido di carbonio CO - ossidi d’azoto NOx - idrocarburi volatili HC

Il modello è dedicato alla simulazione di reti stradali di grande dimensione, di cui è in grado di acquisire i carichi di traffico (emergenti da un procedimento di assegnazione), ed articola l’intero processo simulativo in tre sottosistemi in cascata (produzione, analisi microclimatica e dispersione). Per il modello di produzione si avvale del codice MOBILE (del quale si è

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già fatto cenno), ma è possibile introdurre apporti supplementari per unità di area, originati da una griglia di strade secondarie che occupano le maglie della rete principale. Il contributo di punti singolari per la produzione di CO ed HC (sedi di accelerazioni, decelerazioni e fermate dei flussi) viene calcolato con un approccio dinamico (Kunselmann – 1974), che schematizza le condizioni di deflusso attraverso un modello di coda semplificato, in regime di arrivi casuali. L’analisi microclimatica del sito è affidata all’elaborazione di rilevamenti storici in una o più stazioni vicine e rappresentative: si riassume nell’attribuzione ad una determinata classe di stabilità Pasquill. Il modulo di dispersione è basato su una schematizzazione gaussiana, nell’ambito di otto settori circolari di apertura variabile con la distanza (in riduzione, secondo una progressione discreta), incentrati sui ricettori sensibili individuati e disposti con l’asse parallelo alla direzione del vento nel periodo considerato.

2) Il blocco specifico inserito nel modello generale CALINE 4 (prodotto dal Dipartimento dei trasporti della California- Caltrans) si presta ad integrare i risultati di un qualsiasi modulo statico di emissione per tronchi a flusso costante con quelli di un modulo dinamico applicato ai flussi variati (accelerazioni, decelerazioni, fermate) o di accumulo. Pur basandosi su approcci semplificati (che ne agevolano le applicazioni ingegneristiche) il modello: - descrive con buona approssimazione i diversi casi reali, anche grazie

alla possibilità di introdurre interattivamente numerose correzioni empiriche nell’algoritmo generale rigoroso;

- è applicabile a sorgenti lineari per ogni direzione del vento e riesce a processare sino a venti rami e venti ricettori contemporaneamente; consente inoltre tanto di scegliere particolari angolazioni dei venti, quanto di selezionare l’opzione worst case wind, che ricerca automaticamente, per ciascun ricettore, la direzione a cui corrisponde il peggiore risultato;

- è in grado di gestire la stima delle modificazioni fotochimiche degli NOx in funzione del tempo, dello stato d’insolazione e dei valori di fondo delle concentrazioni di NO, NO2 e O3 (da inserire fra gli input).

Con riferimento all’applicazione worst case wind angle al caso reale di un’autostrada a tre corsie per senso di marcia con i seguenti dati di base:

- T.G.M. di 70.000 veic./g; - Tora di punta = 3 000 veic./h di cui pesanti 25 %; - temperatura atmosferica 10°C, con classe di stabilità Pasquill D ed

altezza dal suolo dello strato di mescolamento 200 m; - morfologia del territorio pianeggiante

nelle figure 6.5.10 a/b/c sono rappresentati gli andamenti delle concentrazioni di CO, NOx e HC, in funzione della distanza dal margine della carreggiata, rispettivamente di tronchi stradali at grade (pressappoco a raso campagna), depressed (in scavo profondo oltre 5 m), bridge (su viadotto).

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Figura 6.5.10/a Risultati della simulazione per tronco at grade

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Figura 6.5.10/b Risultati della simulazione per tronco depressed I diagrammi, che pure si riferiscono ad un caso limite per gravosità

(tipo di strada, entità del traffico e condizioni climatiche), evidenziano che i tronchi a flusso tipicamente ininterrotto possono fornire concentrazioni eccedenti i limiti di legge:

- solo per NOx; - per una fascia marginale non superiore a 20 m nei tronchi depressed.

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Per completezza d’informazione si riferisce che recentemente sono stati costruiti anche modelli europei e segnatamente italiani: essi sono utilissimi per reti urbane complesse, ma si prestano meno (per essere d’uso assai più sofisticato) all’analisi di quelle extraurbane, di prevalente interesse della presente trattazione.

Figura 6.5.10/c Risultati della simulazione per tronco bridge

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6.4.3 Analisi della componente atmosfera: effetti dinamici

Già nel 1979 un'indagine ISTAT poneva il traffico stradale al primo posto fra le cause di inquinamento acustico nel territorio italiano; un successivo studio dell'OCSE a grande scala attribuiva al traffico veicolare in ambiente urbano il 65% delle fonti di disturbo sonoro e l'80% dell'energia acustica percepita.

Un’estesa indagine della CEE ripartisce come segue la responsabilità delle emissioni medie dai singoli veicoli:

- 45% allo scarico; - 30% agli organi rotanti del motore; - 10% all'aspirazione; - 10% alla ventilazione; - 5% al contatto pneumatico-pavimentazione.

Inoltre registra che le caratteristiche acustiche delle emissioni (Figura 6.5.11), in particolare le basse frequenze, rendono il disturbo assai temibile per l'uomo, sia a livello psico-sensoriale che sul piano fisico-biologico.

Figura 6.5.11 Spettro di rumore tipico dei veicoli stradali (sperimentazione in

prossimità di un tronco dell’Autostrada del Sole – febb. 89)

Il fonoinquinamento che accompagna la circolazione veicolare è quindi una componente non secondaria dell'impatto esercitato da un tronco viario sul territorio. In questo tema, la procedura di VIA per le nuove infrastrutture, prescrive di:

"definire le modifiche introdotte dall'opera, verificarne la compatibilità con gli standard esistenti, con gli equilibri naturali e la salute pubblica da salvaguardare e con lo svolgimento delle attività antropiche nelle aree interessate".

La qualità dell'ambiente acustico nella condizione iniziale deve essere

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ricavata dalla mappa di rumorosità. Per la sua redazione si può fare riferimento alle norme internazionali ISO 1996/1 e 1996/2: si tratta di una serie di prescrizioni emanate negli anni '70÷'75, riguardanti la "descrizione e misurazione del rumore ambientale", nelle quali si codificano (oltre all’opportuno posizionamento degli strumenti di misura) le grandezze di riferimento ed i criteri per una corretta zonizzazione del territorio.

L'esperienza insegna che l’area soggetta ad un'influenza acustica significativa dell’esercizio stradale (rami esistenti e nuova opera) è compresa in una fascia di ampiezza fortemente dipendente da fattori specifici del traffico e morfologici del campo vasto e ristretto in cui il ramo s’inserisce. Risultano rilevanti, in particolare:

- la tipologia di strada e del traffico; - l’andamento geometrico del tracciato; - caratteristiche di assorbimento acustico del terreno; - presenza di ostacoli interposti.

Nondimeno normalmente, anche nei casi di maggiore impegno, la fascia influenzata non eccede i 250 m dai margini della piattaforma stradale.

Il SIA si fa carico inizialmente dell’individuazione entro tale limite dei ricettori più sensibili (per destinazione d’uso), esistenti ed eventualmente programmati; successivamente simula, tramite modelli previsionali più o meno complessi, la condizione evolutiva della distribuzione del rumore, con e senza progetto:

- in termini generali, mediante la costruzione di curve isofoniche nell’area di studio;

- nella localizzazione specifica dei ricettori sensibili selezionati.

Ai fini della valutazione del grado di tolleranza del disturbo si usa attribuire codici specifici a tutti i ricettori (edifici) individuati:

A) RSA: singolo a destinazione residenziale B) RSP: singolo a destinazione produttivo/commerciale C) RPP: specialistico particolare (chiesa, cimitero, parco, ecc.) D) GRR: gruppo di edifici a destinazione residenziale E) GRP: gruppo di edifici a destinazione produttivo/commerciale F) RSS: specialistico sensibile (scuola, ospedale, casa di riposo, ecc.).

Preliminari all'uso di qualsiasi modello sono gli scenari di traffico di riferimento, definiti sotto i profili:

quantitativo, nei vari regimi d'uso significativi dell’infrastruttura; qualitativo, in ordine alla composizione dei flussi.

Sotto quest’ultimo aspetto, oltre la classica distinzione fra autovetture e mezzi commerciali, interviene in misura non trascurabile, per il fattore rumore, la percentuale di motoveicoli nei flussi; alcuni autori, non senza fondamento, suggeriscono di assimilare, per potenza sonora emessa, le motociclette di cilindrata superiore a 250 cc, ai veicoli pesanti.

A partire dai dati di traffico è possibile l'uso dei più svariati modelli di generazione, di norma semiempirici.

Anche per il fattore rumore si dispone di: modelli microscopici, che consentono di comporre le emissioni puntuali di

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ciascun veicolo, a partire dai valori statisticamente attribuibili alla categoria a cui ciascuno di essi appartiene; modelli macroscopici, che (basandosi su registrazioni statistiche, al margine di infrastrutture delle diverse tipologie o ad una determinata distanza dagli stessi) applicano correzioni ai dati medi globali, per scostamenti delle caratteristiche peculiari del progetto dallo standard di prova. Come già riscontrato per l’inquinamento atmosferico, l’approccio più frequente ed agevole è di questa tipologia, mentre alcuni esiti dei modelli microscopici possono essere impiegati per apportare correzioni ai risultati.

Tanto nelle applicazioni semplificate (particolarmente adoperate nei SIA preliminari) quanto nei softwares operativi disponibili sul mercato, si procede simulando in cascata la generazione e la diffusione del disturbo.

I risultati sono generalmente espressi come: - L10 = livello di disturbo che viene superato nel 10 % del tempo di riferimento

(rappresentativo delle punte); - L90 = livello di disturbo che viene superato nel 90 % del tempo di riferimento

(rappresentativo dei valori di fondo); - Leq.= livello di disturbo ponderato su un intervallo temporale ritenuto

significativo (1 ora, periodo diurno 7÷19, periodo intermedio 19÷22, periodo notturno 22÷7, intera giornata).

Nelle applicazioni più sofisticate, i parametri di base significativi sono: 1) l’entità dei flussi Q: in termini analitici il livello di rumore prodotto può

essere stimato secondo la formulazione logaritmica: L = C log Q

in cui Q è espresso in veicoli/h e C assume i seguenti valori indicativi: • 10.0 per il calcolo di Leq nell’arco della giornata; • 7.5 per il calcolo di L10 in presenza di traffico libero e non

eccessivamente veloce; • 8.9 ÷ 12.0 per il calcolo di L90, in presenza di traffico forzato: nel

sopraindicato range il valore è crescente con il grado di congestione (moto irregolare con frequenti accelerazioni e decelerazioni)

2) la composizione dei flussi, in termini di percentuale di veicoli rumorosi (pesanti + motocicli). Si considera ordinaria una percentuale inferiore al 15 % e si apportano correzioni nella seguente misura:

% Veicoli rumorosi Incrementi di Leq, L10, L90 dB (A)15 ÷ 20 2 20 ÷ 30 3 30 ÷ 40 4 40 ÷ 50 5

3) le caratteristiche del parco medio, in ordine alla cilindrata, alla vetustà

tipica ed allo stato manutentivo (particolarmente degli organi di espulsione

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dei gas di scarico): si tiene conto di questi fattori all’origine, riferendosi a rilievi sperimentali a margine di infrastrutture della stessa tipologia di quella di progetto e collocate nella stessa zona, ovvero in zone assimilabili; l’ipotesi d’invariabilità di queste caratteristiche nel progredire della vita economica dell’infrastruttura è certamente cautelativa, essendo molto evolutiva la ricerca applicata per il miglioramento della prestazione dei mezzi in commercio.

4) Il regime del motore in conseguenza della velocità di crociera e delle resistenze al moto incontrate (al crescere delle quali, a parità di velocità, il guidatore è indotto a scalare a marce inferiori). A titolo d’esempio nella figura 6.5.12 si riportano gli esiti di misure fonometriche effettuate su un veicolo a cinque marce, in accelerazione da 0 a 130 km/h.

Figura 6.5.12 Livelli di rumore prodotti da un’autovettura a diversi regimi.

Dal grafico si possono trarre indicazioni (almeno qualitative) dell’influenza sulla produzione di rumori, in un determinato tronco, di regimi di moto caratterizzati da: elevate accelerazioni medie, per moto fortemente irregolare (stop and go), o per presenza nella sezione iniziale di incroci regolati da “stop” o da semafori, ovvero di caselli autostradali, ecc; sforzo meccanico (con l’innesto di marce basse) per elevata pendenza della livelletta.

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5) Natura e stato della pavimentazione. Considerato come standard un tappeto in conglomerato bituminoso regolare ed asciutto, si rilevano le seguenti variazioni, in dB(A), in presenza di superfici di diversa natura e stato:

presenza di velo d’acqua, in occasione di piogge: + 4.0 dB(A); superficie irregolare per presenza di ondulazioni e/o di fessurazioni diffuse: asciutta + 4.5 dB(A), bagnata + 6.0 dB(A); lastre di calcestruzzo striate e/o con frequenti giunti trasversali: asciutta + 5.0 dB(A), bagnata + 6.5 dB(A); tappeto drenante-fonoassorbente: asciutto – 4.0 dB(A), bagnato – 2.5 dB(A), irregolare –1.0.

I modelli di diffusione portano in carico i seguenti principali elementi: ⇒ La distanza del ricettore dalla fonte.

La fonte può essere convenzionalmente collocata sull’asse delle corsie di marcia, ovvero (in via semplificata) in asse dell’infrastruttura; in quest’ultimo caso si può prescindere dalla distribuzione del traffico nelle due direzioni e nelle diverse corsie disponibili per ciascun senso di percorrenza. L’attenuazione geometrica al crescere della distanza del ricettore dalla fonte (divergenza delle onde acustiche nello spazio) è cilindrica (proporzionale alla distanza) per sorgenti lineari, sferica (proporzionale al quadrato della distanza) per sorgenti puntuali. Ad essa (mezzo perfettamente elastico) si somma un'aliquota per l'assorbimento di energia dell’aria (dispersione), legata alla sua temperatura ed al contenuto di umidità ed anche alla frequenza del suono. Per un calcolo di prima approssimazione della dispersione di energia sonora si può fare riferimento alle seguenti relazioni empiriche:

A (dB) =6,56∗10−6 ∗ f∗d 4000 ≤ H∗Tf ≤80002,15∗10−6 ∗f ∗d 1000 ≤ H∗Tf ≤ 4000

in cui: f = frequenza centrale della banda di ottave (Hz) d = distanza (m) H = umidità relativa (%) Tf = temperatura in °F

⇒ Natura riflettente/assorbente del terreno interposto fra la fonte ed il ricettore.

⇒ Presenza, conformazione ed estensione di barriere o schermi, tanto naturali (rilievi morfologici del terreno) che naturalistici (filari di alberature d’alto fusto e/o siepi di arbusti) che artificiali (schermi fonoassorbenti e/o fonoriflettenti).

Nei SIA preliminari le curve isofoniche di tronchi a flusso regolare possono essere costruite, in prima larga approssimazione, con l’impiego del nomogramma sviluppato dalla Bolt Baranek e Newman Inc. su incarico dell'AASHTO.

Questo (Figura 6.5.13) consiste in tre scale di diverse variabili, disposte in modo tale che, tracciando rette fra i valori di due di esse, si può ricavare la

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terza. I dati di accesso al nomogramma, riferiti al tratto oggetto dell'analisi,

sono in generale: a) La velocità media dei veicoli leggeri e di quelli pesanti (a cui si

sommano i motoveicoli). b) Il volume di traffico per ciascuna delle classi di veicoli sopra indicate.

Il dato di output è il livello sonoro.

fig. 6.5.13 Nomogramma per il calcolo del livello sonoro generato da due classi di veicoli

Per ciascuna delle due classi di veicoli si collega il punto P con quello

rappresentativo della velocità media, fino ad intersecare la retta A. Dai punti di incontro così ottenuti si collegano i punti relativi al volume di traffico della classe sulla relativa scala, individuando le intersezioni con la retta B. Sulla congiungente questi ultimi punti con le distanze fra la fonte ed il ricettore, si legge il livello sonoro addebitabile alla classe, nell'arco di tempo di un'ora.

L'integrazione dei due valori di Leq così definiti deve essere eseguita considerando che l'unità di misura del rumore, il dB (A), è espresso in scala logaritmica; detti L1 ed L2 (con L1 > L2) i livelli da sommare, risulta:

LS = L1 + 10 log [1 + 10 – ((L1 - L2)/10)]

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Il nomogramma è applicabile a tronchi stradali in cui sia lecito considerare che: a) La velocità dei veicoli sia costante nell'ambito della tratta. b) Le condizioni plano-altimetriche non inducano sforzi nel motore, o peggio

necessità di scali di marcia. c) Il flusso sia libero, nel senso che non si formino ingorghi che costringano a

soste e riprese del moto.

Per un maggior dettaglio, in corrispondenza di ricettori particolarmente sensibili, si può ricorrere al seguente algoritmo semiempirico, sviluppato sulla base delle sperimentazioni di Lolli-Stanghellini (effettuate in prossimità della Strada di grande comunicazione Orte-Ravenna), a rigore valido per strade extraurbane principali.

L’algoritmo, che fornisce Leq dB(A) su base oraria, si esprime con la seguente formulazione:

Leq=10log[10(0.1 • Ll)+10(0.1 • LW)]-∆Ld+∆Li+∆Ld+∆Lp+∆H-∆R-∆V-∆T+∆S+∆ϑ

in cui:

Ll = livello sonoro autovetture = 91 + 0.14 Vl + 10 [log Ql – log (2 103 Vl)]

Lw = livello sonoro pesanti = 101 + 0.14 Vw + 10 [log Qw – log (2 103 Vw)]

Q, Ql, Qw = portate veicolari (in veicoli/h): totale, soli leggeri, soli pesanti

Vl, Vw = velocità medie (in km/h) dei veicoli leggeri e pesanti

∆Li = fattore correttivo per elevata pendenza dell’asse stradale (i > 5%), per la determinazione del quale si distinguono due tipi di comportamenti medi degli utenti:

• in continuità della marcia innestata = 0.6 •(i – 5 %); • in presenza di uno scalo alla marcia inferiore, finalizzato ad

impedire che la velocità scenda sotto una soglia desiderata, si aggiunge il seguente ulteriore contributo:

- dalla 5° alla 4° marcia + 4 dB(A) - dalla 4° alla 3° marcia + 5 dB(A) - dalla 3° alla 2° marcia + 7 dB(A) - dalla 2° alla 1° marcia + 10 dB(A)

∆Ld = fattore di propagazione per distanza “d” fra fonte e ricettore (per terreno interposto completamente riflettente, in condizioni medie di temperatura ed umidità dell’aria e per la frequenza del rumore caratteristico da traffico stradale) = 5.1 d0.36

∆Lp = fattore di maggiorazione per pavimentazione (per il quale si possono assumere i valori in precedenza riportati);

∆H = fattore correttivo per altezza relativa H fonte/ricettore. Il fattore è pressappoco nullo per fonte notevolmente sovrapposta al ricettore (tronco in rilevato alto ed in viadotto) e/o per terreno perfettamente riflettente; per corpo stradale a raso campagna (o in rilevato basso) e

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per terreno interposto ordinariamente assorbente (superficie irregolare e presenza continua di vegetazione erbacea-arbustiva) i coefficienti riduttivi (comprensivi anche dell’abbattimento per distanza) si possono desumere dall’abaco di figura 6.5.14;

∆R, ∆V, ∆T = fattori correttivi per l’assetto del corpo stradale: • in rilevato ∆R = + 5 dB(A); • in viadotto: ∆V = + 7 dB(A); • in trincea (altezza della scarpata h, in m) ∆T = - h dB(A),

per h ≤ 6.00; ∆T = – 6 dB(A) per h > 6.00 m; nelle trincee la linea della sorgente viene spostata al ciglio superiore della scarpata.

∆S = fattore correttivo per presenza incroci = + 3 dB(A)

∆ϑ =fattore correttivo per angolo (ϑ°) di apertura della vista della fonte dal ricettore = 10 log [10•(ϑ/180)]

Figura 6.5.14.Attenuazione del rumore - dB(A) prodotto da strade a raso, con

terreno interposto ordinariamente assorbente.

In fase di cantiere si possono considerare varie forme di contributo alla rumorosità ambientale:

a) Incremento del traffico pesante sulla viabilità esistente. Il numero di veicoli industriali supplementari a cui riferire la previsione deve essere stimato nelle diverse fasi delle attività costruttive. Dai grafici di figura 6.5.15 si possono desumere gli incrementi del rumore prodotto, per diversi valori della portata aggiuntiva, in funzione dei flussi totali di riferimento (antecedenti all’esercizio del cantiere) e per diverse percentuali di traffico pesante al loro interno.

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Figura 6.5.15 ∆Leq su una strada esistente, per effetto del traffico pesante

incrementale destinato al cantiere.

b) Lavorazioni per l’allestimento dei siti cantiere. Nella figura 6.5.16 sono diagrammati i valori indicativi dei livelli sonori prodotti dalle principali fra queste lavorazioni.

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Secondo la loro tipologia le fonti sono state considerate puntuali o lineari.

Figura 6.5.16 Livelli sonori prodotti dalle principali attività di allestimento dei

cantieri.

c) Lavorazioni all’interno delle aree di cantiere. Alcune operazioni, sussidiarie in genere ad attività costruttive diffuse, si concentrano nei siti di cantiere: proprio in relazione al disturbo che arrecano (alla produzione di rumori si somma, come già precedentemente evidenziato, il rilascio di polveri nell’atmosfera) le aeree debbono essere convenientemente prescelte al di fuori del raggio d’influenza di ricettori sensibili. Nella figura 6.5.17 si sono diagrammati i casi di maggior rilievo ambientale per il fattore in esame.

Figura 6.5.17 Livelli sonori espressi tipicamente da alcuni impianti fissi.

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d) Transito di mezzi di trasporto ed operativi sulle piste provvisorie. Le curve rappresentate nella figura 6.5.18 sono state costruite per tre tipici valori delle portate orarie dei flussi di servizio, nelle seguenti ipotesi di base:

• soddisfacenti condizioni di manutenzione delle attrezzature e dei mezzi operanti;

• pendenze longitudinali delle piste non superiori ad 8%; • esclusione di mezzi cingolati; • fondo dei percorsi di accettabile agibilità e regolarità.

Figura 6.5.18 Livelli sonori relativi al transito di mezzi operativi sulle piste

e) Lavorazioni principali nel corso della costruzione dell’opera, diffuse o

concentrate nei diversi cantieri operativi.

Figura 6.5.19 Livelli sonori prodotti dalle principali attività costruttive.

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Nella figura 6.5.19 sono diagrammati i valori indicativi del livello sonoro prodotto dalle tipiche lavorazioni per la realizzazione delle principali tipologie di corpi stradali. Pur non rilevandosi mediamente differenze significative, nella simulazione si è inteso distinguere:

• Corpi stradali in sterro e rilevato ed opere minori connesse; • Opere d’arte maggiori; • Nodi (incroci, svincoli, aree di servizio, ecc.); • Grandi opere di natura geotecnica (gallerie artificiali, fondazioni

profonde, paratie di pali e di pannelli, ecc.).

6.4.4 Analisi della componente idrosfera: acque superficiali.

L’inserimento nel territorio di una nuova infrastruttura viaria e/o l’adeguamento significativo della carreggiata di una strada esistente (come d’altra parte ogni altra forma di urbanizzazione o, come spesso si dice spregiativamente, di cementificazione del territorio naturale) comportano uno squilibrio sensibile nella ripartizione delle portate meteoriche nelle tre aliquote in cui esse ordinariamente si distinguono (trattenuta nel soprasuolo, destinata per permeabilità alle falde sotterranee, tributaria della circolazione superficiale); l’esito è di norma l’incremento medio delle portate nella rete idrografica naturale per i seguenti motivi: • la relativa impermeabilità dei corpi stradali all’aperto, tanto delle superfici

pavimentate o rivestite quanto delle scarpate, che sottrae portate all’infiltrazione;

• la devegetazione di ampie aree (sedime delle opere e delle pertinenze) che abbatte drasticamente le capacità di ritenzione ed accumulo del soprasuolo;

• la regolarizzazione (temporanea e/o permanente) di ulteriori superfici, con la connessa riduzione del volume complessivo dei micro e macrobacini superficiali, che comporta la diminuzione sia delle portate di alimentazione della circolazione idrica sotterranea sia delle quantità di pioggia trattenute nel soprasuolo.

Le quantità in gioco sono molto rilevanti: in occasione di eventi piovosi intensi, da 1 km di autostrada defluiscono centinaia di l/s.

A quelle quantitative si accoppiano anche modifiche distributive del deflusso superficiale: le variazioni morfologiche indotte nel territorio dai nuovi corpi stradali (tanto in rilevato, che in trincea) generano linee d'impluvio, di norma servite da opere idrauliche complementari rivestite, nelle quali il deflusso avviene a pelo libero con forti velocità e modesti battenti; queste opere di raccolta artificiali: talvolta recapitano le portate in aste della rete idrografica naturale diverse

da quelle a cui le stesse erano prima destinate; inducono sempre minori tempi di corrivazione.

Dal punto di vista del bilancio idrico, quindi, una nuova realizzazione infrastrutturale determina: 1) un incremento complessivo delle portate che defluiscono superficialmente,

a danno di quelle che alimentano la circolazione freatica e profonda; 2) una diversa distribuzione spaziale degli apporti alla rete idrografica, con il

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sovraccarico di alcune aste e lo scarico di altre; 3) una concentrazione temporale dei volumi idrici recapitati, con

l’esaltazione delle punte, in precedenza attenuate dalla maggior durata del deflusso e dalla laminazione in bacini naturali ed invasi.

La concorrenza delle sopra descritte influenze (quantitative e distributive) si sostanzia in variazioni dei regimi (portate e velocità) nella rete idrografica superficiale, con effetti non trascurabili sulle capacità erosive e di deposito, dalle ben note conseguenze sugli assetti geomorfici e sulla stabilità dei bacini.

Inoltre le acque reflue stradali pongono un ordine di problemi ambientali differente, ma non meno rilevante, per gli assetti qualitativi dell’idrosfera (caratteristiche di purezza dei corpi idrici superficiali e profondi).

I problemi quantitativi/distributivi e quelli qualitativi, da valutare nel SIA, saranno trattati separatamente nel seguito del presente paragrafo; l’esposizione si limita ad alcune considerazioni di carattere concettuale, essendo l’argomento assai complesso e specialistico, quindi riservato ad una consulenza.

Problemi quantitativi/distributivi nelle acque superficiali.

L’analisi di questo fattore comporta la stima delle variazioni quantitative indotte dalla realizzazione di un tronco stradale sulle portate delle aste interferenti della rete superficiale: queste variazioni dipendono in parte dalle modifiche indotte nella ripartizione delle portate meteoriche fra le tre aliquote a cui sono destinate (soprasuolo, sottosuolo e scorrimento superficiale), in parte alle modifiche prodotte nell’assetto dei bacini, per effetto dei mutamenti della morfologia del territorio e della sistemazione idraulica delle acque reflue raccolte dalla piattaforma e dal corpo stradale.

L’analisi deve essere riferita alle sezioni delle aste naturali in cui si determina la modifica della portata; in generale si considerano: • per le aste intersecate, la sezione di sottopasso del corpo viario; • per le aste non direttamente interferenti, una sezione immediatamente a

valle dell’immissione degli scarichi del sistema di raccolta.

La delimitazione territoriale del bacino imbrifero delle suddette sezioni ante e post operam può evidenziare: indifferenza al progetto: in questo caso le modifiche nelle portate dell’asta

saranno dovute solo allo squilibrio indotto nella ripartizione delle acque meteoriche;

variazioni sensibili nell’estensione, in aumento o in diminuzione: in questo caso all’effetto quantitativo, si associa un supplemento di natura distributiva a saldo nullo; si tratta cioè di un trasferimento di portate da un’asta ad una adiacente.

Delimitati geograficamente i bacini imbriferi d’interesse su una cartografia di scala opportuna (in riferimento al problema), per il calcolo delle portate nelle sezioni di studio e delle loro variazioni per effetto della realizzazione dell’opera si ricorre ad un modello di trasformazione afflussi-deflussi: di norma è sufficiente implementare un algoritmo semplificato quale

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quello di Nash, a tre serbatoi lineari uguali e disposti in serie. Il modello di Nash contiene soltanto l’ulteriore parametro tempo di ritardo

K0 relativo al singolo serbatoio. La sua espressione analitica è data dal cosiddetto “integrale di convoluzione”:

( ) ( ) ( ) τττ dtuptQt

−= ∫0

nel quale la funzione u(τ), definita genericamente IUH (Istantaneous Unit Hydrograph), è espressa da

( ) ( )oK

tn

ooe

Kt

Kntu

−−

=1

!11

Inoltre risulta K0=tr/n, con tr corrispondente al tempo di ritardo, che resta l’unico parametro da attribuire a ciascuno dei bacini sottesi dalle singole sezioni prese a riferimento.

Nei casi (assai rari e comunque riguardanti solo aste principali della rete) in cui si abbiano a disposizione sia dati pluviografici (distribuzione statistica dei dati di pioggia) che idrometrografici (portate corrispondenti nell’asta di studio, nell’assetto attuale del bacino), la stima del tempo di ritardo può essere effettuata con una semplice calibrazione del modello (l’idrologia ha messo a punto metodi diretti ed indiretti di calibrazione, patrimonio degli specialisti)

Nei casi, assai più frequenti, in cui non si abbiano a disposizione idrogrammi di piena effettivamente registrati, si può ugualmente pervenire ad attendibili stime, a partire da analisi a carattere estensivo in aree assimilabili a quella in esame.

Le metodologie scientifiche offerte dalla scienza idrologica sono molteplici e variamente applicabili con successo ai diversi contesti (soprattutto in ordine all’estensione dei bacini ed alle caratteristiche morfologiche e geotecniche degli strati superficiali).

Si richiamano, per opportuna informazione, le seguenti: • le formule di Desbordes (1a e 2a); • la formula di Shaake; • la formula di Rossi (1974); • il metodo VAPI-Rapporto Campania (Villani & Rossi, 1995).

In particolare quest’ultima, studiata per le zone appenniniche dell’Italia meridionale, fornisce ottimi risultati in tale contesto.

Essa si esprime analiticamente nella formula semiempirica:

( ) ( )ppf

fpp

f

fr pS

cp

CC

pSc

pCC

t −⋅⋅⋅

⋅−⋅+⋅⋅⋅

⋅⋅= 16.325.11

6.325.1

21

21

dove: pp = percentuale dell’area del bacino che può essere considerata come

completamente permeabile (pp =0÷1); Cf = coefficiente di afflusso. Si assume ( )pfpff pCpCC −⋅+⋅= 1

21

in cui 1fC = 0.13 e

2fC = 0.60;

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S = Superficie del bacino (in Km2); c1 e c2 = costanti di celerità di propagazione. Si assumono

rispettivamente: c1 = 0.25 m/s e c2 = 1.70 m/s

Tabella 6.8: Classificazione dei ricoprimenti in relazione alla permeabilità a piogge di notevole intensità e di limitata durata.

Classe Descrizione Permeabilitàpp1

I

Terreni a morfologia pianeggiante e con ridotto e/o parziale ricoprimento organico, costituiti da: depositi ghiaio-sabbiosi dei letti fluviali e delle valli alluvionali recenti; rocce affioranti finemente fratturate; conglomerati, tufi teneri e arenarie poco cementate; depositi di detriti non consolidati e facilmente disgregabili; terreni agricoli a matrice sabbiosa molto porosi, lavorati e/o terrazzati

Molto elevata

pp1 = 0.70÷0.90

II

Terreni geotecnicamente delle stesse tipologie della classe I, ma con acclività superficiale >15% e/o con copertura organica continua, di consistente spessore (> 0.30 m), non dissodata o lavorata, ma neanche spianata e/o solcata lungo le linee di massima pendenza. Alluvioni antiche debolmente limose o con modesti contenuti argillosi; rocce affioranti macro-fratturate e/o stratificate con immersioni pronunciate; conglomerati, tufi ed arenarie compatti ma porosi.

Elevata

pp1 = 0.50÷0.70

III

Terreni con acclività superficiale elevata (15÷30%), con copertura organica continua di consistente spessore (> 0.30 m), non dissodata o lavorata, molto regolare e/o solcata lungo le linee di massima pendenza. Rocce compatte o stratificate secondo piani sub-orizzontali a superficie irregolare. Terreni a grana fine di natura limosa a superficie irregolare o solcata secondo le linee di livello.

Media

pp1 = 0.30÷0.50

IV

Terreni superficialmente molto acclivi (pendenza i>30% e/o regolari o solcati lungo le linee di massima pendenza, di natura rocciosa compatta e poco porosa. Formazioni a grana fine con preponderante composizione argillosa.

Bassa

pp1 = 0.10÷0.30

L’inserimento nel territorio dell’infrastruttura stradale ovviamente

induce una variazione significativa nel parametro pp. Per l’attribuzione ragionata del valore a questa grandezza è necessario stimare le caratteristiche di permeabilità dei terreni affioranti ed il tipo di copertura superficiale: l’area

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del bacino può essere suddivisa in settori omogenei sotto i suddetti due profili.

Il valore da attribuire al parametro può essere tratto dalle Tabelle 6.8 e 6.9, applicando al caso la seguente formulazione:

pp = (1 - pp1)• pp2

Tabella 6.9: Classificazione delle aree per tipo di copertura.

Categ. Descrizione Sottrazione al ruscellamento superficiale

AB Aree interessate da copertura boschiva Scarsa pp2 = 0.50 ÷ 0.70

AA Aree con copertura erbacea e/o coltivate

Notevole pp2 = 0.70 ÷ 0.90

AI Incolte e prive di copertura Rilevante pp2 = 0.90 ÷ 1.00

Il coefficiente commutativo del bacino imbrifero di una determinata sezione di studio nel reticolo idrografico è fornito da:

Ks = [ Σ [A•(1-pp1)•pp2]i]post/[ Σ [A•(1-pp1)•pp2]i]ante i=1,m i=1,n

in cui [A•(1-pp1)•pp2]i misura il contributo dell’area omogenea i-esima del bacino imbrifero alla portata dell’alveo. Risulta m=n, se non si riscontrano variazioni distributive; m < n, se si verifica una sottrazione di aree scolanti per effetto della costruzione dell’opera; m > n, nel caso opposto.

Per la stima quantitativa delle variazioni indotte nelle condizioni idrodinamiche nell’alveo di studio, indispensabile per la valutazione dei rischi d’incremento delle capacità erosive delle piene ovvero dei volumi di deposito rilasciati dalle magre, si deve applicare il coefficiente Ks alle portate attuali; il riferimento deve essere ad una gamma ampia di scenari pluviometrici, anche lontani dagli eventi critici, che nel complesso rappresentino gli effetti cumulativi del fenomeno geomorfico che si teme. Problemi qualitativi nelle acque superficiali.

Per ogni uso a cui l'acqua defluente nella rete superficiale può essere destinata, è necessario garantire livelli qualitativi idonei; nel paragrafo 2.5 si sono indicati i requisiti specifici richiesti dai principali usi.

Il quadro ante operam deve essere derivato: • dalla raccolta dei dati storici nei diversi rami della rete idrografica, in

possesso delle autorità di controllo e repressione degli abusi, ovvero (ove occorra) da un’apposito rilievo e da analisi;

• da un’approfondita indagine sugli impieghi (in essere o futuri).

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Detto quadro è la base per la stima della tollerabilità del progetto rispetto al fattore “qualità nell’ambiente idrico superficiale”.

La contaminazione da immissioni di reflui stradali è un’inevitabile alterazione delle loro caratteristiche chimico-fisiche: nondimeno, per non comprometterne l’uso è necessario evitare almeno di spingere i contenuti nocivi oltre la soglia di accettabilità per le categorie di impiego a cui sono (o potrebbero essere in futuro) adibite.

Le principali fonti di contaminazione sono riconducibili alle seguenti immissioni:

a) sostanze sospese non ossidabili; b) sostanze organiche ossidabili; c) organismi patogeni; d) sostanze tossiche disciolte; e) calore; f) nutrienti.

a) Inquinamento da sostanze sospese non ossidabili E’ prevalentemente legato alla veicolazione, nelle acque reflue dal

corpo stradale, di particelle inorganiche (polveri e frazioni sottili di terre), a seguito di erosioni, dilavamento, frane, scarichi di acque di lavaggio, ecc.

E’ particolarmente gravoso dal punto di vista estetico, in quanto induce torbidità nell’acqua e la rende inadatta per usi potabili e per la maggior parte degli utilizzi industriali. Inoltre la minore filtrazione di luce, se è estesa nel tempo, può alterare gli equilibri biologici sommersi, per effetto dell’assorbimento energetico da parte delle particelle sospese.

b) Inquinamento da sostanze organiche ossidabili In linea generale le fonti principali di tale contaminazione sono le acque

di scarico urbane, i reflui di alcune industrie (alimentari, cartarie) e gli insediamenti zootecnici. Le acque stradali, particolarmente quelle di prima pioggia, ne risultano arricchite dalla putrefazione di organismi vegetali ed animali finiti sul nastro stradale e nelle vie di raccolta delle acque.

Nel recapito tale forma di inquinamento comporta, come effetto principale, l'incremento della popolazione batterica aerobica, che rende la concentrazione di ossigeno insufficiente per gli altri organismi decompositori. In casi particolarmente acuti, l'acqua può essere resa inutilizzabile per molti usi e incompatibile per buona parte delle forme di vita acquatica.

c) Inquinamento da organismi patogeni E' connesso a quello da sostanze organiche ossidabili ed ha la stessa

provenienza. Per il controllo relativo all'uso potabile e per la balneazione si utilizzano i “coliformi totali e fecali”, gli “streptococchi fecali” e le “salmonelle”.

Solamente queste ultime sono vettori di malattie, ma anche gli altri vengono utilizzati nell'indagine, in quanto indicatori di contaminazione fecale e di possibile presenza di altre forme batteriche o virali effettivamente patogene.

d) Inquinamento da sostanze tossiche disciolte Gli agenti tossici possono essere costituiti da sali di metalli pesanti,

pesticidi ed altre sostanze di sintesi, ma anche dal cloruro di sodio (sale

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comune), che nella stagione invernale viene cosparso sulla pavimentazione in funzione antigelo.

I sali di metalli pesanti possono essere naturalmente presenti anche in acque sgorganti, in basse concentrazioni e secondo composizioni dipendenti dalle caratteristiche geochimiche dei terreni dei loro bacini di drenaggio: talvolta conferiscono ad esse alcune proprietà terapeutiche, ma nei casi più frequenti, possono indurre effetti tossici, provenendo: - dagli effluenti di insediamenti industriali abusivamente recapitati nel sistema

di raccolta stradale; - dal drenaggio dei terreni agricoli trattati con concimi fosfatici; - dai depositi di HC sulla carreggiata e nelle immediate vicinanze - dalle polveri provenienti da abrasioni di pneumatici, ferodi ed altri organi

meccanici.

e) Inquinamento termico E' dovuto all'immissione di acque a temperatura più elevata di quella del

ricettore. L'origine principale di tale contaminazione sono, oltre gli scarichi delle centrali termoelettriche e le acque di raffreddamento di diversi processi industriali, i reflui stradali; questi infatti in estate subiscono un consistente aumento di temperatura al contatto con la pavimentazione (che, per irraggiamento assorbito dal colore scuro, raggiunge temperature assai più elevate dell'ambiente circostante).

Gli effetti dannosi principali sono la diminuzione della solubilità dell'ossigeno e l'alterazione delle caratteristiche biologiche del corso d'acqua nei confronti della propria flora e fauna.

f) Inquinamento da nutrienti L’apporto eccessivo di sostanze nutrienti (principalmente composti di

fosforo ed azoto), può determinare un incremento di produzione di biomassa vegetale (macrofite e/o fitoplancton): di conseguenza si riduce l'ossigeno disciolto, fino a livelli incompatibili con la sopravvivenza degli organismi aerobi, e s’incrementa la produzione di composti di degradazione anaerobica (nitriti, ammoniaca, idrogeno solforato, metano, alcoli, acidi organici ed ammine), particolarmente gravosi per l'ambiente idrico.

Le principali fonti di contaminazione di questo tipo sono gli scarichi urbani, le attività zootecniche e industriali ed il drenaggio dai terreni agricoli chimicamente concimati. Gli apporti da parte delle acque stradali sono generalmente quantitativamente trascurabili: derivano dall’uso eventuale, in fase di esercizio dell’opera, di concimi per le coperture erbacee e di diserbanti.

Sulla qualità delle acque reflue delle strade extraurbane gli studi effettuati non sono numerosi in Europa.

La Tabella 6.10 riporta i risultati di una campagna di rilevamenti eseguita in Gran Bretagna agli inizi degli anni 80.

Per l’impiego pratico dei dati si osserva che: l'uso di benzina senza piombo (attualmente molto più generalizzato che

all’epoca del rilievo) riduce correlativamente la produzione di tale inquinante la presenza di cloruri è legata solo al trattamento antighiaccio (quindi è

tipico dei contesti freddi (strade di montagna) e dei periodi invernali.

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Tabella 6.10 Concentrazione d’inquinanti nelle acque (GB-1980)

Inquinante Concentrazione

Carico per unità di superficie

viaria.

Carico per unità di

volume di pioggia

Carico per unità di tempo

Carico per unità di

percorrenza veicolare

Unità di misura

mg/l kg/ha/anno Kg/ha/mm kg/ha/cm di pioggia

kg/106 km percorsi

Solidi sospesi

110÷5700 (261)

815÷6289 1,1÷11,8 0,4÷16,6 (2,6)

430÷1080

BOD 122÷32 (24)

90÷172 0,2÷13,0 (1,2)

30÷475

Cloruri 159÷2174 (386)

770÷11610 1÷1333 (39)

525÷1980

Azoto totale 1,4÷3,3 (1,8)

5,1÷13,5

Zinco totale 0,17÷3,55 (0,41)

1,9÷19,0 0,003÷0,04 0,01÷0,34 (0,04)

1,3÷2,2

Piombo totale

0,31÷2,41 (0,96)

1,1÷13,0 0,006÷0,024 0,01÷1,3 (0,2)

1,0÷3,3

Rame totale 0,05÷0,69 (0,15)

0,4÷3,7 0,015÷0,163 0,01÷0,9 (0,2)

0,19÷0,65

Idrocarburi e incombusti

7,5÷400 (28)

0,01÷43,3 0,001÷0,17 0,1÷10,4 (0,95)

Fra parentesi sono riportati i dati più frequenti

Nelle condizioni attuali del traffico delle autostrade italiane, risultano spesso più rispondenti (perché più recenti, in relazione alla qualità del parco automobilistico) i dati consigliati da Shalley e Graboury (tabella 6.11), ancorchè derivanti da una sperimentazione ampia, ma eseguita nel contesto statunitense (Florida)

Tabella 6.11 Concentrazione d’inquinanti nelle acque (USA-1992)

Concentrazione (mg/l) Inquinante Urbane Extraurbane Tutte

Cv

SS 220 26 108 0.8-1.0 COD 124 41 36 0.5-0.8 TKN 2.72 1.4 2.18 0.7-0.9 TP 0.19 0.04 0.11 0.6-0.9 Pb 0.55 0.09 0.31 0.7-1.4 Zn 0.38 0.09 0.24 0.6-0.7

In cui, con riferimento ai valori di rilievo, Cv è stata ricavata dalla formula:(1 + Cv

2)1/2 = media/mediana

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Tabella 6.12 Concentrazione d’inquinanti nelle acque (USA-1992)

Limiti di variazione misurati D.Lgs 258/00

Parametro unità Acque

superficialiScarichi in fogna

PH = 5,8÷6,1 5,5-9,5 5,5-9,5 Solidi sospesi totali mg/l 26÷190 ≤ 80 ≤ 200BOD5 (come O2) O2 mg/l 3÷75 ≤ 40 ≤ 250COD (come O2) O2 mg/l 14,0÷124,0 ≤ 160 ≤ 500Conducibilità MS/cm 37÷190 = = Ossigeno disciolto O2 mg/l 7,2÷10,9 = = Cadmio Cd mg/l <0,005 ≤ 0,02 ≤ 0,02 Nichel Cd mg/l 0,005÷0,099 ≤ 2 ≤ 4Cromo totale Cr mg/l 0,005÷0,030 ≤ 2 ≤ 4Ferro Fe mg/l 0,080÷2,200 ≤ 2 ≤ 4Manganese Mn mg/l 0,005÷0,400 ≤ 2 ≤ 4Piombo Pb mg/l 0,005÷0,024 ≤ 0,2 ≤ 0,3 Rame Cu mg/l 0,005÷0,220 ≤ 0,1 ≤ 0,4Zinco Zn mg/l 0,01÷0,13 ≤ 0,5 ≤ 1,0Solfati SO4 mg/l 3,9÷20,6 ≤ 1000 ≤ 1000Cloruri Cl mg/l 7,1÷22,4 ≤ 1200 ≤ 1200Fosforo totale P mg/l 0,04÷0,12 ≤ 10 ≤ 10Azoto ammoniacale NH4 mg/l 0,10÷1,50 ≤ 15 ≤ 30Azoto nitroso N mg/l 0,005÷0,080 ≤ 0,6 ≤ 0,6Azoto Nitrico N mg/l 9,5÷59,5 ≤ 20 ≤ 30Coliformi totali u.f.c./100 ml 30÷37.500 = = Coliformi fecali u.f.c./100 ml 0÷8.500 = = Escherichia Coli u.f.c./100 ml 0÷7.800 ≤ 5000 ≤ 10.000Grassi e oli anim./veget. mg/l 0,1÷1,3 ≤ 20 ≤ 40Solv. Organici aromatici mg/l <0,1 ≤ 0,2 ≤ 0,4Oli Minerali mg/l 0,06÷11,5 = = Tensioattivi totali mg/l 0,1÷0,8 ≤ 2 ≤ 4Tensioattivi non ionici mg/l 0,005÷0,120 = = Tensioattivi anionici mg/l 0,10÷0,68 = = MBTE mg/l <0,1 = = Idrocarburi totali mg/l 0,6÷9.7 ≤ 5 ≤ 10

Nella tabella 6.12, infine, sono riassunti i risultati di un’estesa

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sperimentazione, condotta in occasione di eventi di pioggia di media intensità in 14 punti di scarico dell’autostrada urbana “Tangenziale di Napoli”; dal loro esame si evidenzia che la variabilità di alcuni parametri e ampia e che in alcuni casi i valori massimi eccedono i limiti di legge. Si tratta comunque del caso estremo di una strada dall’insolito carico di traffico, frequentemente operante in condizioni di congestione.

Un ulteriore elevato rischio di inquinamento ambientale dell’esercizio

viario a carico dell’idrosfera deriva dal transito di autocisterne ed autosilos che trasportano sostanze tossiche e/o infiammabili che possono esserne sversate o disperse in seguito ad incidenti.

Lo spargimento, in tali casi tutt'altro che infrequenti, ove non sia contenuto opportunamente e tempestivamente, può interessare vaste zone circostanti, con pericoli concreti per l’ambiente idrico superficiale e profondo.

Nel caso rilascio di elementi gassosi più leggeri dell’aria o liquidi molto volatili, il fenomeno tende rapidamente ad esaurirsi per diffusione naturale; gas più pesanti dell'aria (come il cloro) invece si spargono verso il basso (ad es. al di sotto dei viadotti) con conseguenze gravi per la zona investita; per fortuna questo caso è assai poco probabile, tanto per la rarità di tali tipi di transiti, quanto per le cautele proprie di tali "trasporti eccezionali".

Il maggior rischio compete dunque alle sostanze liquide, nei confronti delle quali il progetto deve adottare provvedimenti cautelativi dei corpi idrici di destinazione, dei quali si fa carico il successivo livello progettuale.

6.4.5 Analisi della componente idrosfera: acque profonde.

Rispetto al regime delle falde profonde, specie quelle in movimento in direzione prevalentemente trasversale all'asse, il corpo stradale ha influenza varia in funzione della propria natura e conformazione:

1. Nei tratti di rilevato o di viadotto si verifica una riduzione di permeabilità delle stratificazioni naturali di appoggio, per effetto rispettivamente di: addensamento negli strati (particolarmente i più superficiali),

connesso al sovraccarico della costruzione in terra; ostruzione delle falde ad opera delle palificate di fondazione.

2. Nei tratti di trincea con piano di scavo sottoposto alla superficie freatica, il corpo stradale costituisce drenaggio, in grado di turbare profondamente il regime di deflusso, specialmente quando per motivi di stabilità delle scarpate e delle pavimentazioni è necessario esaltare la funzione emungente, con provvedimenti atti a captare ed estrarre acqua dal corpo idrico interferito. La conseguenza negativa, che riguarda in genere una fascia ristretta immediatamente a monte della trincea (secondo la direzione di scorrimento dei filetti fluidi) e una più ampia a valle, consiste nell’abbassamento dei livelli freatici e nella riduzione di umidità nelle coltri superficiali e nell’humus. Ciò nelle zone rurali genera danni all'agricoltura e riduzione del livello idrico nei pozzi, ma è particolarmente temibile nelle aree urbanizzate: la caduta delle pressioni idriche interstiziali può causare fenomeni di

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subsidenza, con cedimenti dei piani di fondazione degli edifici. 3. Le gallerie che attraversano una falda, in fase di costruzione ne

costituiscono drenaggio: le conseguenze sono spesso gravi, non solo per l'ambiente idrico sotterraneo (nei modi e nei termini già descritti per le trincee, in riferimento ai livelli freatici ed alle subsidenze, ma in misura assai più accentuata, dati i carichi idrostatici in gioco), ma anche per l’operatività del cantiere e per la sicurezza degli operai. Frequentemente, anche nel caso di gallerie, l'effetto drenante viene esaltato con dispositivi di captazione delle vene idriche nell'intorno del foro. Talvolta, per ridurre le spinte sulle strutture di contenimento del cavo, l’efficacia del dispositivo emungente viene estesa anche alla fase di esercizio; non mancano perfino gli esempi di utilizzazione permanente delle falde intercettate dalle gallerie stradali e ferroviarie ai fini di approvvigionamento delle reti di distribuzione; in questo caso l'impatto sul corpo idrico si prolunga ben oltre la durata dei lavori di costruzione. Di contro, ordinariamente il rivestimento delle gallerie viene reso impermeabile attraverso una guaina a tenuta e talvolta anche in fase di costruzione si adottano provvedimenti, temporanei o permanenti, per l'impermeabilizzazione delle pareti del cavo: in tal caso l'effetto sul corpo idrico consiste nella interposizione nella formazione filtrante di un elemento continuo impermeabile. Ne consegue almeno una restrizione, se non la completa ostruzione, della sezione idraulica, che riduce o annulla la portata della falda ed altera, anche a distanza, il regime della circolazione profonda. La valutazione dell'incidenza di tale impatto, basata su calcoli idrogeologici, dovrà tener conto: della portata filtrante e della conseguente velocità dei filetti fluidi, proporzionale al gradiente in direzione ortogonale nel livello freatico ed alla permeabilità del mezzo; della eventualità di utilizzazione della falda (estrazione da pozzi o captazione) nelle zone più a valle; della delicatezza degli equilibri geoidrologici dell'area; del rapporto fra lo spessore totale dello strato filtrante e la zona che ne risulta impermeabilizzata; della collocazione del manufatto impermeabile nel corpo della falda. Per questo aspetto occorre considerare che l'impatto è tanto più sensibile quanto meno densi e più grossolani (quindi complessivamente più permeabili) sono gli strati ostruiti. In questo caso, come in quello in cui la galleria impegni il settore sommitale di una falda dal livello variabile stagionalmente, l'impedimento riguarda zone di concentrazione delle portate.

Le costruzioni stradali hanno anche sui corpi idrici profondi, congiuntamente ad impatti quantitativi, effetti qualitativi, talvolta prevalenti sotto il profilo ambientale; per eseguirne una valutazione documentata, occorre rilevare preventivamente la qualità dei ricettori e stimare l'alterazione che possono subire in conseguenza della costruzione e dell'esercizio dell'opera.

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Nel caso in cui il territorio attraversato dalla strada di progetto, per scarsa piovosità, per struttura geologica e per morfologia, non offra recapiti superficiali ai reflui stradali, viene talvolta adottato lo smaltimento in pozzi disperdenti nel sottosuolo; il provvedimento è da considerarsi assolutamente anomalo ed estremo e quindi da evitarsi, anche a costo di orientare la scelta verso diverse soluzioni di tracciato e/o di profilo.

I pozzi perdenti sono costituiti da uno o più fori incamiciati, nei quali i reflui vengono immessi per essere recapitati in una falda, attraverso il fondo o il settore terminale permeabile, ovvero (più raramente) per essere rilasciati in uno strato permeabile non saturo. Il corpo idrico di destinazione deve essere assolutamente non utilizzato e non utilizzabile (ad esempio perchè fortemente salmastro): lo studio ambientale ne deve quindi accertare l'esistenza, la profondità e la inidoneità presente e futura a qualsiasi altro impiego.

Poichè la materia della tutela delle acque profonde è di competenza regionale, questo aspetto del progetto deve ricevere un esplicito assenso nella procedura di VIA, quando questa sia richiesta, ma impone l'istituzione di un'apposita pratica di autorizzazione anche per le infrastrutture per le quali la procedura non fosse obbligatoria.

Per lo scavo di gallerie o di trincee talvolta si ricorre a tecnologie che costituiscono un rischio d’inquinamento per la falda con cui siano in contatto. Occorre in questo caso distinguere fra: effetti temporanei, ai quali quasi mai si può sfuggire, che sono però limitati al periodo di attività del cantiere; effetti prolungati anche al periodo di esercizio dell'opera.

Il controllo ambientale, in questi casi, impone spesso l'abbandono di una molteplicità di mezzi tecnici, particolarmente di trattamento dei terreni, che risulterebbero molto utili sul piano dell'economia e dei tempi di costruzione, ma non superano la verifica di conservazione delle caratteristiche della falda a lungo termine.

6.4.6. Paesaggio naturale ed antropico.

Nell’indicare anche il paesaggio fra i fattori sui quali vanno considerati gli effetti diretti ed indiretti dei progetti di opere infrastrutturali, il DPCM del 27.12.88 recepisce anche una precisa indicazione dell'art. 3 della Direttiva 85/337/CEE. L’inclusione del paesaggio fra gli altri fattori d’interesse della procedura di VIA sposta il riferimento dai termini discrezionali di eccezionalità estetica e/o tipicità, propri della legge di tutela 1497/39 (affidata per l’applicazione ed il controllo alle Sovrintendenze) e consolidati nella cultura italiana, e lo ripropone come un elemento costitutivo dell'ambiente, da aggiungere quindi sistematicamente e con pari dignità agli altri. Del resto, tale concezione è stata acquisita anche dalla L.431/85, che promuove (tra l'altro) ed estende all’intero territorio nazionale i piani paesistici già previsti dall'art. 5 della 1497/39, ma resi a lungo scarsamente operativi.

Sia la nozione generalizzata di paesaggio che quella di elemento costitutivo dell'ambiente si traggono con chiarezza dal citato DPCM 27/12/88, il cui allegato I° "Componenti e fattori ambientali" attribuisce al paesaggio una

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la seguente definizione complessa:

"aspetti morfologici e culturali ….., identità delle comunità umane interessate e relativi beni culturali".

Tale complessità viene articolata, ma non completamente risolta, dalla disaggregazione secondo i parametri di analisi di cui all'allegato II° al DPCM richiamato "Caratteristiche ed analisi delle componenti e dei fattori ambientali": ivi l'obiettivo dell’indagine di settore è individuato come:

"caratterizzazione della qualità del paesaggio con riferimento sia agli aspetti storico-testimoniali e culturali sia agli aspetti legati alla percezione visiva".

La problematicità del perseguimento dello scopo suddetto va principalmente ascritta: Alla difficoltà di determinare e circoscrivere la natura dell'oggetto

“paesaggio”, al di fuori della sensazione puramente emozionale offerta dall’immagine di un qualsiasi oggetto antropico (le infrastrutture viarie hanno inusuale invasività). Lo stesso termine “paesaggio” acquista significati non omogenei in comunità e gruppi sociali con tradizioni e spessori culturali diversi. Superata la concezione puramente estetica e discrezionale delle Sovrintendenze, nell’approfondimento scientifico e nella pratica tecnica delle istruttorie svolte dalla Commissione VIA competente, è stato perseguita con tenacia l’individuazione di parametri oggettivi che arricchissero il concetto astratto di paesaggio con una molteplicità di contenuti di altre derivazioni, principalmente naturali e territoriali: • componenti naturali: climatologia, topografia, clivometria, esposizione,

geologia, pedologia, idrologia, copertura vegetale, zoologia, valori scenografici e monumenti naturali, dissesti naturali, morfologia;

• componenti territoriali: demografia e servizi, crescita urbana, vincoli, collegamenti, uso del suolo, destinazione degli strumenti urbanistici, proprietà e valori delle aree, attrattiva turistica, archeologia, valori architettonici, tradizioni, dissesti antropici e degrado.

Alla particolare natura delle forme di controllo dell'impatto. Il paesaggio, a differenza degli altri fattori ambientali trattati nei precdenti paragrafi, non si presta ad essere ricondotto a parametri misurabili di compatibilità e/o a standard prescritti in disposti legislativi. Il controllo consiste quindi nel definire le azioni di disturbo esercitate dal progetto e le modifiche introdotte in relazione alla qualità dell'ambiente percepibile. L'analisi dello stato di fatto delle materie d’interesse dei singoli casi viene articolata in:

• fase generale, estesa all'area vasta, cioè al territorio che in senso lato si possa ritenere influenzato dall'opera;

• fase di dettaglio, limitata all'area più ristretta direttamente investita dal progetto.

Al territorio, in entrambe le scale, si applica la procedura di sintesi già illustrata al paragrafo 4.3 dopo averlo suddiviso, mediante la sovrapposizione di una griglia di forma regolare (generalmente quadrata),

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in areole; l’ambito di queste deve essere abbastanza ristretto da offrire una sostanziale omogeneità degli elementi costitutivi dello studio (elencati esemplificativamente nel comma che precede), ma sufficientemente ampia da non rendere le operazioni analitiche troppo complesse (per eccesso di elementi da implementare). Con la sovrapposizione delle cartografie tematiche relative a ciascuna delle areole d’esame, sulle quali si sia evidenziato il rispettivo grado di rischio e di conflittualità con l'opera (overmapping), è possibile individuare concentrazioni di “vulnerabilità paesaggistica” del territorio e, di contro, corridoi e/o passaggi di minore impatto.

La valutazione propriamente visiva (in alcune sedi definita VAC- Visual Absorptio Capability), consiste nella determinazione della capacità propria del paesaggio di schermare, sminuire, assorbire e nascondere gli elementi di variazione proposti alla sua immagine; naturalmente non ha perso il suo rilievo, ma si tende ad applicarla selettivamente a zone, passaggi e situazioni di particolare sensibilità, che emergano dall'analisi areale illustrata al comma precedente. La VAC è, in ogni caso, una "prova di commutazione": procedimento inteso a accertare se ed in quale misura il mutamento nell'espressione determini una modificazione correlativa (sul piano dei contenuti) in grado di rompere un’unità significativa dell'immagine del paesaggio considerato.

La caratteristica del procedimento, che ne costituisce anche il limite, è che la valutazione di impatto non può essere ricondotta a criteri ponderali o quantitativi in assoluto, ma solo di relazione. Per riportarlo in una certa misura fuori dall’alveo della pura discrezionalità viene di norma proposto un modello di indagine, articolato secondo tre fasi: 1) Delimitazione dello spazio visivo connesso al progetto e descrizione delle

sue condizioni estetiche attuali. Tali attività sono finalizzate alla restituzione delle condizioni di percepibilità dell'opera, attraverso la costruzione ragionata di due principali serie cartografiche:

- Carte dell'intervisibilità, che restituiscono i risultati di un’analisi di dettaglio sulle aree di maggior rilievo nel sistema “paesaggio”, talvolta supportate dall'identificazione fisica dell'intervento, mediante perimetrazioni in campagna con paline o attraverso la costruzione di un plastico.

- Carte delle condizioni visuali e percettive, che evidenziano aspetti qualitativi prevalenti o significativi del campo visuale, in termini di caratterizzazioni morfologiche, elementi emergenti, capisaldi di riferimento, ostacoli e gerarchie di visuale dell'oggetto di impatto.

2) Simulazione dell'inserimento dell'opera in relazione alle vedute prevalenti per la VAC. Questa attività prevede in primo luogo la selezione, nelle gerarchie di merito individuate, dei punti di vista principali nel sistema di paesaggio, tanto verso l'oggetto che dall'oggetto. Successivamente la simulazione dell'inserimento sotto il profilo dell'immagine può essere effettuata mediante tecniche di disegno e/o di fotomontaggio computerizzato, in

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comparazione della visuale prima e dopo l'intervento; i moderni software di simulazione permettono una lettura vicina alla fisiologia della percezione visiva, anche se soggetta talvolta ad aberrazioni dimensionali e di distanza.

3) Definizione delle opinioni sugli esiti visuali proposti. Nello svolgimento di questa attività, che pone i maggiori problemi di oggettività di giudizio, si usa operare, sulla scorta di una consolidata esperienza di scuola statunitense, per censimento dei pareri del “pubblico fruitore” sulle simulazioni elaborate. Per rendere più oggettivo l'approccio, tale censimento viene condotto per campioni significativi di diversa stratificazione, tra cui:

- popolazione delle aree oggetto degli interventi, differenziata all’interno del campione per classi di età, livelli economici e di cultura, competenza professionale, rappresentatività della società locale, ecc;

- fruitori dell'oggetto di intervento, iscrivibili, in relazione alla funzione dell’opera, alle categorie dei lavoratori, dei consumatori, degli operatori economici, dei viaggiatori e/o turisti, ecc;

- interlocutori privilegiati, quali tecnici di settore, progettisti, pianificatori, opinion leaders, rappresentanti politici, ecc.

Il risultato del censimento di opinioni, condotto con un confronto a coppie ed eventualmente ponderato con correttivi relativi alla rilevanza delle diverse componenti del campione, costituisce il riferimento di base per la valutazione dell'entità e della natura commutativa dell’immagine dei luoghi.

Gli esiti della precedente indagine di norma vengono integrati nel SIA dalla presentazione e dal commento di visuali ricostruite degli elementi costitutivi del paesaggio, naturali e culturali, con i quali l’infrastruttura interferisce più pesantemente; si integra così il giudizio emotivo della potenziale utenza con l’analisi più oggettivata dei fattori e delle componenti che determinano la commutazione. Le ricostruzioni virtuali vengono articolate per:

- percorso lineare, sulla traccia prefissata, secondo un arco ampio di direzioni;

- campi modulari, secondo griglie di rilevamento prestabilite; - visuali significative di luoghi di maggiore entità informativa, per struttura

e caratterizzazione, anche in riferimento a frequenza e/o permanenza, ovvero a relazioni significative con componenti di paesaggio dal rilevante grado di complessità e/o con elementi di notorietà consolidata dalla memoria collettiva.

6.4.7 Soprasuolo, flora, fauna, ecosistemi

Degli effetti della costruzione stradale sulla morfologia del territorio si è già ripetutamente trattato; si sono anche evidenziate le conseguenze sul regime di stabilità dei versanti e su quello di raccolta e smaltimento delle acque.

Si aggiungono in questa sede ulteriori considerazioni su altri ordini di

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impatto per il soprasuolo, attinenti non agli aspetti morfologici e derivati, ma all'utilizzazione del territorio in una fascia più o meno ampia: 1. La superficie d’impronta del manufatto viene sottratta agli altri usi attuali

(come classificati con i criteri illustrati al paragrafo 2.6.5) e potenziali (quali possono essere desunti dalla zonizzazione urbanistica di PRG): si deve infatti considerare irreversibilmente consumata dal nastro stradale e dalle sue pertinenze marginali (scarpate, opere per la canalizzazione delle acque ecc.) una risorsa non rinnovabile quale è il terreno; invero il danno, sotto questo profilo, è ancora più esteso del puro ingombro fisico, poichè investe anche zone esterne, rese inadatte ad essere adibite ad usi pregiati per l'inquinamento ambientale indotto (temporaneo, in fase di costruzione, e permanente, in corso d’esercizio).

2. La devegetazione di porzioni di territorio incide pesantemente sull’assetto naturalistico. Infatti i danni al patrimonio floristico non si limitano alla perdita dei soggetti arborei di pregio (alberi d'alto fusto o specie rare) e del mantello vegetato, ma spesso si amplificano per l’esposizione: all'irraggiamento solare, agli inquinanti gassosi ed ai venti di altre unità

arboree, che prima erano protette; le conseguenze possono farsi anche molto gravi, in relazione al tipo di piante ed al loro stato di salute, e possono determinare il rapido degrado delle zone retrostanti. Il disboscamento, anche ridotto, va quindi considerato un danno grave, specie ove interessi alberi di pregio o delicati oppure zone marginali di protezione boschiva.

al deposito di inquinanti solidi e nebulizzati, prodotti dal cantiere e dal traffico, sul suolo latitante e sulla relativa eventuale produzione agricola.

In definitiva: - nella progettazione occorre sempre prevedere, con opportune correzioni di

tracciato, la massima conservazione della vegetazione arborea esistente, la cui ricostituzione può richiedere anche molti decenni;

- nel quadro ambientale del SIA, dopo aver dimostrato l’attenzione riposta nel progetto (scelta di tracciato e/o tecnologie) per minimizzare il danno naturalistico, è necessario indicare le specie, il numero e l'età delle piante che vanno asportate, nonchè gli eventuali provvedimenti di tutela, mediante impianto di nuova vegetazione.

3. In corrispondenza di aree di transizione (rive di corsi d'acqua o di laghi, ecc.), estremamente delicate per gli equilibri biologici, gli effetti di separazione sono assai marcati, poiché risulta ridotto, anche in questo caso, l'effetto protettivo della vegetazione di ripa: talvolta si sviluppano ambienti diversi ai due lati della strada, in conseguenza della alterazione dell’unità ecologica originaria; la strada stessa, inoltre funge da corridoio preferenziale di trasporto di semi, piante ed altri elementi estranei agli ecosistemi locali.

4. Le attività di cantiere (con le associate rumorosità, presenza umana, vibrazioni, ecc.) inducono drammatiche conseguenze sulle presenze faunistiche, che ne risultano frazionate e ristrette in spazi limitati, con conseguenze sulle stesse possibilità di sopravvivenza e per le opportunità di riproduzione.

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Il danno non si arresta all’entrata in esercizio dell’arteria, anzi si aggiungea carico delle comunità faunistiche, particolarmente nelle prime fasi dopo l’apertura al traffico, un notevole depauperamento per incidenti letali. Il rischio a cui è sottoposto anche il traffico veicolare per questo fenomeno consiglia l’apposizione di reti protettive a margine delle aree di competenza del nastro stradale delle arterie caratterizzate da flussi veloci, che tuttavia aggravano gli effetti della separazione.

5. La frammentazione di proprietà unitarie, tanto d’uso agricolo che edificatorio (civile ed industriale), le rende meno redditive sul piano aziendale e talvolta ne preclude alcuni usi per l’insufficienza dimensionale dei residui. Questo effetto è molto più gravoso lungo gli assi a controllo degli accessi nelle zone interposte ai nodi (ove il nastro stradale si configura come una barriera insormontabile ed inaccessibile), salvo una provvidenziale attenuazione nelle zone, generalmente estese, in cui il tracciato corra in viadotto o galleria ed in quelle in cui le connessioni in sottopasso o sovrapasso siano frequenti; in questo caso si consegue un beneficio secondario, ma non trascurabile, anche nei confronti delle relazioni e della salvaguardia della fauna terrestre locale.

6. L’azione in campo sociale in senso lato, che attiene all’accessibilità nell’area ristretta, ove l’inserimento della nuova infrastruttura è in grado di modificare i comportamenti della popolazione ed i valori immobiliari dei suoli e delle costruzioni. La nuova opera determina, infatti, un effetto di innalzamento delle rendite immobiliari lungo il tracciato ed in un’area di gravitazione intorno ai poli toccati: tipologia e misura di questo effetto sono molto diverse a seconda che la categoria d’infrastruttura produca accessibilità diffusa (strade extraurbane secondarie e locali e infrastrutture urbane, ad esclusione delle autostrade) ovvero ad accessi controllati. Nel primo caso il beneficio si applica a) ad una fascia marginale continua, lungo le zone del tracciato in cui

questo corra a quota abbastanza prossima al piano di campagna da essere facilmente raggiungibile almeno da una rampa;

b) ad un territorio indirettamente servito, dall’estensione dipendente dalla diffusione e dalla capillarità della rete infrastrutturale di caratteristiche inferiori esistente e dal suo grado di connessione con la nuova arteria di progetto.

Nel caso di infrastrutture con servizio concentrato, invece, la zona che si giova della migliore accessibilità è policentrica e localizzata intorno ai nodi, ma generalmente è estesa in un raggio assai più ampio ed ha un effetto economico molto più marcato.

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6.6 Quadro prescrittivo.

Il processo di concezione e realizzazione di una grande opera infrastrutturale è complesso ed articolato; lo studio dell’ingerenza del manufatto nell’ambiente naturale ed antropico, del traffico stradale sui fattori caratterizzanti l’area vasta e quella ristretta, nonchè delle implicazioni delle attività di cantiere, segue costantemente (in senso assai condizionante per le scelte) l’evolversi della prestazione intellettuale dell’ingegnere progettista.

Lo studio d’impatto ambientale, elaborato di corredo ad ogni fase d’avanzamento dell’iter progettuale (con vari gradi di approfondimento), deve tendere alla dimostrazione dell’attenzione rivolta in ciascuna decisione alle esigenze dell’ambiente.

L’analisi disaggregata dei fattori d’impatto, esposta nel quadro di riferimento ambientale, porta ad isolare alcune condizioni per gli sviluppi ingegneristici successivi, dirimenti per l’ottimizzazione degli esiti del processo; inoltre alcuni effetti critici dell'ipotesi prescelta sono suscettibili di essere corretti e/o resi accettabili con l’adozione di misure locali: a) di protezione, finalizzate alla difesa e salvaguardia di rapporti funzionali

della struttura dell'ambiente, mediante l'introduzione di provvedimenti atti ad evitare le interferenze;

b) di minimizzazione, capaci di ridurre o annullare gli effetti indesiderati dell'opera (ad esempio della sua immagine sul paesaggio) mediante interventi sulla struttura fisica dell'oggetto;

c) di compensazione, a cui si ricorre quando si presentino modalità di impatto impossibili da eliminare o mitigare, senza compromettere la funzionalità dell'opera oggetto di valutazione o la sua redditività economica. Spesso l'effetto compensativo si può conseguire solo trascendendo i confini tecnici del progetto, per approdare al campo più vasto della programmazione territoriale.

Di questa materia è composto il “Quadro Prescrittivo”, che sulla base delle precedenti considerazioni stabilisce indirizzi per le scelte proprie delle successive fasi progettuali, su materie che non possono essere compiutamente formalizzate al livello intermedio corrente della progettazione (se non, talvolta, sul piano tipologico).

Nel seguito, lungi dalla pretesa di essere esaustivi, si richiamano alcuni provvedimenti mitigativi di più frequente adozione che quindi vengono spesso inclusi in questo quadro. Per la continuità territoriale (in funzione di salvaguardia delle attività

economiche della riunificazione delle proprietà fondiarie e della mobilità della fauna) si può prescrivere la predisposizione e la distribuzione strategica lungo il tracciato di un numero sufficiente di attraversamenti (sottopassi e sovrapassi), di varia dimensione in funzione del loro uso prevalente. La precisa collocazione di ciascuna di tali opere, di solito, non può prescindere dall’analisi del regime proprietario dei suoli e dall’individuazione di aziende unitarie o di percorsi preferenziali della fauna migratoria, che sono oggetto di approfondimenti di livello esecutivo.

Il costo ambientale dell’approvvigionamento da cava di materiali idonei alle formazione dei rilevati appare sempre assai gravoso: quindi in genere

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il progetto, fin dalla fase preliminare, merita un’attenta riflessione sulla geometria dell’asse e del corpo stradale per perseguire il compenso interno dei volumi; nondimeno spesso si rende necessario cogliere residue opportunità di riduzione del prelievo da cava (consumo di risorse non rinnovabili), prescrivendo l’adozione più diffusa possibile delle seguenti scelte: A) Impiego di materiali riciclati o di scarto. Si considerano materiali riciclati quelli provenienti da attività di demolizione e di scarto i cascami di processi industriali: per essere impiegati nelle costruzioni stradali debbono essere trattati in impianto di lavorazione in regola con il D.M. 5 febbraio 1998. I materiali provenienti da attività di demolizione sono prevalentemente costituiti da laterizi, murature, frammenti di conglomerati cementizi anche armati, rivestimenti e prodotti ceramici, scarti dell’industria di prefabbricazione di manufatti in calcestruzzo, frammenti di sovrastrutture stradali o ferroviarie, intonaci, allettamenti, materiali lapidei provenienti da cave autorizzate o da attività di taglio e lavorazione. I materiali di scarto di processi industriali sono prevalentemente costituiti da scorie, loppe d’alto forno, inerti da lavorazione di rifiuti solidi urbani, ecc. L’intrinseca variabilità di provenienza delle suddette componenti impone di caratterizzarle, qualificandole per lotti o partite omogenee, allo scopo di evitare disuniformità di comportamento in opera. Pertanto fin dalla fase preliminare, il progetto del cantiere deve prevedere una specifica struttura produttiva per lo stoccaggio e la lavorazione ed omogeneizzazione. Il quadro prescrittivo del SIA impone quindi, nel caso si ravvisi l’esigenza e/o l’opportunità di tale approvvigionamento, che negli sviluppi progettuali successivi (definitivo ed esecutivo) sia valutata la natura e le quantità dei materiali ordinariamente reperibili in zona, per poterne stabilire la collocazione nel corpo stradale e la specifica dei requisiti di accettazione. B) Impiego diffuso di opere di sostegno e di sottoscarpa, al fine di ridurre i volumi dei rilevati, ove la buona portanza dei piani di appoggio lo consenta. Il provvedimento determina altresì una sensibile economia nelle aree impegnate, con beneficio sul fattore uso del suolo, ove la destinazione attuale o programmatica lo richieda o almeno lo consigli. C) Recupero di materiali naturali inidonei, mediante tecniche di stabilizzazione. Le principali di queste tecniche si applicano convenientemente a materiali limo-argillosi, provenienti da scavi di qualsiasi tipo, e consistono nel miscelarle intimamente con calce di apporto, in quantità tale da modificarne le caratteristiche fisico-chimiche (granulometria, suscettività all’acqua, umidità) e meccaniche; dopo il costipamento i materiali adeguatamente trattati presentano buona resistenza meccanica e stabilità all'azione dell'acqua e del gelo. Il quadro prescrittivo deve indicare l’entità auspicabile del ricorso a tale provvedimento, i mezzi d’indagine e controllo da adottare in fase di progettazione esecutiva e di realizzazione, le verifiche dell’attitudine al trattamento dei terreni disponibili, nonché gli studi preliminari di laboratorio e le sperimentazioni in sito, attraverso cui si debbono stabilire

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i dosaggi di legante da adoperare ed i tenori in acqua da osservare nel costipamento delle miscele.

Per ridurre alla fonte la rumorosità indotta dal traffico e delle vibrazioni può essere prescritta:

l’adozione di manti superficiali delle pavimentazioni di particolare rugosità e/o regolarità e/o capacità fonoassorbenti;

particolari tipologie di giunti strutturali e/o di arredi marginali della piattaforma stradale.

Ulteriori protezioni dei margini (reti e schermi) possono essere prescritti per i bordi della carreggiata in speciali collocazioni, corrispondenti a tratte in cui la piattaforma corra sopraelevata (in viadotto o rilevato alto) rispetto a zone abitate; queste componenti (individuate tipologicamente secondo le necessità) debbono essere atte a salvaguardare l’incolumità di persone e beni rispetto a lanci di oggetti (fortuiti o dolosi).

Per contrastare la diffusione di rumori, fumi e polveri e per mitigare gli effetti delle opere sul paesaggio rurale ed antropico si può ricorrere alla prescrizione dell’uso di speciali colorazioni dei manufatti e degli elementi di arredo, nonché all’inserimento nel progetto definitivo ed esecutivo di adatte piantumazioni. Il quadro prescrittivo del SIA si fa carico di indicare i criteri informatori della scelta (da effettuarsi nelle successive fasi di dettaglio del progetto) delle opere, preferibilmente riconducibili all’ingegneria naturalistica, per la protezione e la mitigazione dei suddetti effetti ambientali.

Per le opere in verde in progetto esecutivo dovranno essere precisate la qualità, quantità e distribuzione delle specie, secondo i ruoli loro riservati nell’ambito dell’infrastruttura; tra le funzioni da assegnare all’impianto vegetale dovranno essere inclusi (secondo i casi ed in collocazioni da individuarsi e segnalarsi nel quadro prescrittivo) i seguenti: guida ottica, per il riconoscimento del tracciato e delle intersezioni, nel rispetto delle norme di sicurezza dettate dal Codice; estetica, per il restauro e le trasformazioni dell’ambiente stradale; climatica, per il miglioramento del microclima adiacente alla strada ed alle sue pertinenze (principalmente l’ombreggiamento); biotecnico/edificatoria e di difesa del suolo, legata alla capacità di assorbimento della energia delle gocce e di controllo delle azioni di dilavamento delle acque superficiali; di assorbimento delle emissioni gassose e dei particolati prodotti dal traffico, nonché dei rumori; di fertilizzazione del suolo e conservazione della sua porosità, per agevolare l’assorbimento delle prime portate di pioggia.

Per la stabilizzazione idrogeologica del territorio e per il risanamento e/o la prevenzione di dissesti del corpo stradale (smottamenti, cedimenti ed erosioni), il quadro prescrittivo deve indicare tipologie e modalità d’inserimento di opere (riferibili preferibilmente all’ingegneria naturalistica); di regimazione delle acque superficiali; di drenaggio delle acque profonde; di armatura e consolidamento dei terreni e delle pareti rocciose;

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di protezione della piattaforma viaria dalla caduta di massi. Per la salvaguardia dei regimi idraulici e della qualità dei corpi idrici di

recapito delle acque reflue stradali talvolta è necessario prescrivere particolari modalità compositive e dimensionali del sistema di raccolta e smaltimento delle portate meteoriche. In particolare, in presenza di criticità quantitative (elevate punte di portata) e/o qualitative (rilevante contenuto di particelle sospese sedimentabili) può essere ritenuta utile (quindi prescritta nel presente quadro) l’interposizione di bacini di calma, modulazione, grigliatura e sedimentazione, da sottoporre a periodico espurgo nell'ambito del programma di manutenzione ordinaria; degli stessi bacini è indicata di solito ne presente quadro anche la minima capacità (di norma 30 m3) che li renda idonei a trattenere eventuali sversamenti accidentali di liquidi tossici da veicoli da trasporto incidentati, in attesa dell’intervento d’emergenza della Protezione Civile.

Le prescrizioni in ordine all'attenuazione dell'impatto visivo possono seguire criteri distinti, in riferimento alla estensione del tratto o dei tratti d'intervento. Le mitigazioni di natura puntuale tendono a ridurre l'alterazione visuale prodotta da manufatti invasivi in zone di particolare pregio naturalistico e paesaggistico, ovvero in aree limitrofe a zone abitate dall’immagine caratterizzata e consolidata, ovvero prossime a siti di interesse archeologico e/o storico-architettonico. Interventi più estesi s'impongono laddove la valutazione dell'impatto dell'opera sul paesaggio abbia evidenziato un rischio di alterazione di più ampio raggio; in tal caso l’infrastruttura va riconsiderata nella sua globalità e, se necessario, riprogettata con maggiore aderenza al contesto e con l’inclusione di opere fuori sede per la sistemazione territoriale di ampio respiro; la pratica è molto adottata in Germania e nei paesi anglofoni, dove prende il nome di "Landscape Planning". Le caratteristiche degli impatti sono legate, in linea generale, alle diverse configurazioni plani-volumetriche che la strada presenta; quindi è necessario riflettere, in sede di SIA, sulle motivazioni profonde dell’interferenza estetica con l'ambiente circostante, per poter assegnare le specifiche soluzioni di mitigazione, protezione o compensazione, declinate per le distinte tipologie di alterazione. Brevemente: Le configurazioni volumetriche dei rilevati sono frequentemente gravose per il patrimonio paesaggistico: la dimensione del manufatto è talvolta imponente, essendo rapidamente crescente con l'altezza della piattaforma sul piano di campagna e con l’acclività morfologica del terreno d’impianto; inoltre la rottura di pendenza determinata dalle scarpate (di norma sensibilmente più inclinate dei pendii naturali fra i quali s’inseriscono) disturba l’equilibrio estetico naturale dei pendii. Un rischio supplementare di immagine sgradevole in ambiente rurale è legato alla presenza di opere di sostegno e sottoscarpa (particolarmente quelle di c.a. a facciavista). Le corrispondenti modificazioni strutturali del paesaggio possono essere corrette con una scelta appropriata delle tecnologie o (almeno) dei materiali costitutivi delle murature o dei loro rivestimenti; talvolta l’immagine complessiva risulta anche ingentilita

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dall'inserimento di barriere mimetiche (filari di alberi di alto fusto) o di coperture vegetali di essenze autoctone (erbacee ed arbustive). Dell’individuazione tipologica di tali provvedimenti si deve far carico il quadro prescrittivo in parola. Anche le tratte in trincea ed a mezza costa presentano rischi per l’inserimento paesaggistico, a causa dell’artificiosa manomissione della morfologia dei luoghi e (peggio) dell’inserimento di pesanti manufatti di sostegno e controripa; anche in queste fattispecie le tecniche d’ingegneria naturalistica possono soccorrere il progettista: ad esse il quadro prescrittivo indirizza, nei casi in cui se ne ravvisi la necessità e l’efficacia. Le caratteristiche formali dei viadotti ne fanno elementi difficilmente inseribili sia in un contesto naturale che in un tessuto antropizzato. Le alterazioni sulle abitudini della fauna e l'impatto sull'uso dei suoli, sono ridotte rispetto a quelle generate dai rilevati, in quanto gli interspazi tra i pilastri preservano una forma accettabile di continuità territoriale e la coltivabiltà, anche con l'ausilio delle macchine (sempre che l'altezza netta sia almeno pari a sei metri e la riduzione di insolazione non costituisca ostacolo insormontabile per lo sviluppo biologico sottostante). Per il controllo dell'impatto, in visuali prospettiche di elevata qualità, l’elemento fondamentale resta la scelta tipologica e formale dell’opera, oggetto (come si è ampiamente argomentato nel capitolo 5) dell’elaborazione progettuale fin dalla fase preliminare; nondimeno in alcune circostanze è necessario indirizzare il progettista delle fasi più avanzate ad un ulteriore miglioramento dell’aspetto estetico (ad esempio con particolari colorazioni delle superfici in vista), ovvero alla mimetizzazione di alcuni elementi, con l’impianto di alberi ad alto fusto disposti secondo una trama da studiare. Gli impatti paesaggistici delle gallerie, come le modificazioni da loro indotte nell'uso dei suoli, sono generalmente piuttosto ridotti: queste caratteristiche ne determinano un elevato successo presso i soggetti privati proprietari e/o gli abitanti inclini al rifiuto di pesanti manomissioni dell’immagine consueta dei propri luoghi e/o le associazioni ambientaliste, che invero sono propense troppo spesso ad enfatizzare il peso della componente “paesaggio” rispetto a tutti gli altri fattori ambientali. Fanno eccezione le zone in prossimità degli imbocchi, ove l’immagine è quella di una profonda trincea fra opere di sostegno impegnative; buoni risultati si conseguono, anche in contesti paesaggistici di notevole valore, adottando la configurazione "a becco di flauto", eventualmente ulteriormente mimetizzata con un’idonea piantumazione che ripristini il "continuum" visivo della dorsale.

Da tutto quanto sopra esposto si deduce che per la risoluzione di molte

problematiche di mitigazione degli effetti ambientali di un’infrastruttura stradale, particolarmente in contesti rurali, le tecniche di ingegneria naturalistica e l’impiego accorto di essenze vive agevolino il progettista.

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Il progetto di dettaglio dell’impianto a verde è oggetto dello sviluppo esecutivo e deve pervenire, in forma grafica e di prescrizioni prestazionali, alla definizione particolare delle singole sistemazioni: esso presuppone analisi dirette sul suolo (possibili solo al maggior grado d’avanzamento), che ne rilevino (ad esempio) la fertilità e l’acidità (pH).

Tuttavia la scelta botanica delle essenze (in relazione agli assetti pedologici ed alle condizioni climatiche di area vasta) può essere definita anche nella fase progettuale preliminare.

Essa deve ricadere sulle specie rustiche locali, per perseguire soluzioni in armonia con i fondamentali principi naturalistici suggeriti dalla biogeografia; infatti, l'introduzione volontaria di specie vegetali di altri climi o di altri continenti, rischia di determinare una forma di particolare inquinamento ambientale: La selezione delle sementi dei tappeti erbosi è abbastanza importante,

anche se non determinante, per assicurare il massimo successo percentuale al primo attecchimento; le miscele (eventualmente anche precostituite) possono essere composte da 6 a 20 e più specie, con l'accortezza di impiegare unitamente leguminose e graminacee, piante grasse e rampicanti. Un pò di colore, per ravvivare le scarpate, potrà essere dato includendo sementi di piante a fiore di modesto sviluppo.

Anche per le piante ad alto fusto vale la regola di buon senso di utilizzare specie autoctone (ad esempio nelle nostre zone il pino marittimo), disponendo in questo caso di una buona garanzia di successo, ed ottenendo un buon grado di fonoassorbenza, se la pianta presenta una discreta coperta foliare; la scelta può anche ricadere sulle specie dette a rapida crescita, anche se sono rischiose, in quanto la velocità dello sviluppo verticale è strettamente legata alle possibilità nutritizie del terreno in cui vengono piantumate; nei suoli magri il risultato può essere deludente, particolarmente per il modesto sviluppo dell'apparato foliare.

Gli esiti degli approfondimenti naturalistici di cui sopra vengono codificati nel progetto definitivo. Nondimeno l’esigenza di interventi di tipo naturalistico e l’individuazione delle prestazioni che essi debbono fornire non possono essere trascurati anche nello studio ambientale della fase preliminare, non potendone trascurare il contributo alla condivisione complessiva del progetto.

Sulla base dell'osservazione diretta dell’area vasta si possono individuare le specie di più facile attecchimento e prorogazione spontanea a mezzo di stoloni e di semi. Indipendentemente dalle scelte iniziali, infatti, in natura avviene una selezione che favorisce le specie più adatte ed elimina le altre. Questo fenomeno naturale può subentrare dopo 2-4 anni per le piante erbacee e dopo un periodo di tempo più lungo per le cespugliose e per l'alto fusto. In diversi casi l'abuso di alcune specie dalla valenza ecologica particolarmente ampia può condizionare per molti anni la vegetazione del nuovo ambiente.

Un diverso capitolo del Quadro Prescrittivo riguarda i provvedimenti

per la sicurezza degli operai e della popolazione in corso di gestione dei

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cantieri, in conformità delle disposizioni contenute nell’articolo 12 del D.Lgs. 494/96, come modificato dal D.Lgs. 528/99.

In particolare questo conterrà, in ordine generale e con riferimenti tipologici: l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi prevedibili nel

cantiere, nel corso delle lavorazioni che verranno eseguite, nonchè di quelli connessi alle condizioni del sito dove tali lavorazioni avranno luogo;

le procedure esecutive e le norme di sicurezza atte a garantire, per tutta la durata dei lavori, la salvaguardia della salute dei lavoratori, nel rispetto della legislazione vigente e delle norme tecniche in materia di lavoro;

l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi risultanti dall’eventuale presenza simultanea o successiva di più imprese o di lavoratori autonomi.

la pianificazione temporale preliminare delle lavorazioni. Da tutto quanto precedentemente esposto si evince che il quadro

prescrittivo dello S.I.A. non si configura alla fine come un semplice complemento dello stesso, ma incide profondamente nella formulazione dei quadri programmatico, progettuale ed ambientale, nonché sulle scelte progettuali dell'opera e sulla valutazione di convenienza economica dell'intervento.

D'altronde il lettore è stato avvertito fin dal primo capitolo di questo testo della complessità e della iteratività del processo progettuale delle infrastrutture di trasporto.