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INDAGINI DI LABORATORIO NELLA DIAGNOSTICA DELLE MIOPATIE INFIAMMATORIE Tesi di Laurea di Eugenia COSENZA Relatrice: Chiar.ma Prof.ssa Anna MAZZEO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMEDICHE, ODONTOIATRICHE E DELLE IMMAGINI MORFOLOGICHE E FUNZIONALI CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO Corso integrato di Scienze Neurologiche Coordinatore: Prof. Vincenzo Macaione Anno accademico 2014/2015

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IINNDDAAGGIINNII DDII LLAABBOORRAATTOORRIIOO NNEELLLLAA DDIIAAGGNNOOSSTTIICCAA DDEELLLLEE MMIIOOPPAATTIIEE

IINNFFIIAAMMMMAATTOORRIIEE

Tesi di Laurea di

Eugenia COSENZA

Relatrice:

Chiar.ma Prof.ssa Anna MAZZEO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMEDICHE, ODONTOIATRICHE E

DELLE IMMAGINI MORFOLOGICHE E FUNZIONALI CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI LABORATORIO BIOMEDICO

Corso integrato di Scienze Neurologiche Coordinatore: Prof. Vincenzo Macaione

Anno accademico 2014/2015

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INDICE

1. Introduzione ………………………………………………………………………….. .2

2. Cenni anatomici e organizzazione generale del tessuto muscolare striato

normale …………………………………………………………………………………2

3. Classificazione delle miopatie infiammatorie ……………………………………..4

4. Caratteristiche cliniche e meccanismi patogenetici ………………………….......6

5. Iter diagnostico ………………………………………………………………………10

5.1 Indagini di laboratorio…………………………………………………………..10

5.2 Studio elettromiografico………………………………………………………...12

5.3 La biopsia muscolare: aspetti istopatologici…………………………………14

6. L’immunocitochimica: le varie metodiche………………………………………...16

6.1 Tecniche di visualizzazione della reazione Ag-Ab…………………………...17

6.2 Tecniche di amplificazione del segnale: tecnica del ponte avidina-

biotina……………………………………………………………………………..18

6.3 Immunocitochimica: aspetti peculiari nelle varie forme di miopatie

infiammatorie……………………………………………………………………..19

Conclusioni………………………………………………………………………………..24

Bibliografia………………………………………………………………………………..24

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1. Introduzione

Con il termine di miopatie infiammatorie si intende un vasto ed eterogeneo gruppo di malattie

muscolari acquisite accomunate dalla presenza di un processo infiammatorio a carico dei muscoli

striati. L’attuale incidenza delle miopatie infiammatorie viene calcolata intorno a 5-10 casi ogni

100.000 individui, con un decorso medio di malattia di due anni nei casi privi di complicanze. Circa

il 20-30% dei pazienti globalmente considerati ha una completa guarigione. Il tasso di mortalità a

10 anni è di circa l’80-85%, percentuale che comprende le forme con precoce interessamento

cardiaco e quelle correlate a neoplasie maligne con conseguente prognosi negativa. I gruppi di età

più frequentemente affetti sono tra i 4 ed i 5 anni e tra i 40 ed i 70 anni.

2. Cenni anatomici e organizzazione generale del tessuto muscolare striato normale

Per poter cogliere gli aspetti patologici e degenerativi che caratterizzano nel loro insieme le

miopatie infiammatorie è necessario descrivere in generale la struttura e la composizione principale

del tessuto muscolare striato normale potendo così mettere in evidenza le differenze con il tessuto

patologico.

L’unità morfologica scheletrica è rappresentata dalla fibra muscolare striata caratterizzata, lungo

l’asse maggiore, dall’alternanza di bande chiare e bande scure.

Le fibre muscolari scheletriche sono sincizi polinucleati derivati dalla fusione di elementi

mononucleati, i mioblasti, che hanno forma cilindrica, lunghezza compresa tra 1 e 40 micron e

diametro compreso tra 10 e 100 micron. Nel muscolo le fibre muscolari sono disposte

parallelamente le une alle altre e sono tenute insieme da un’impalcatura di tessuto connettivo

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costituendo così il fascicolo muscolare.

Il muscolo è avvolto esternamente da una guaina connettivale che prende il nome di epimisio; dalla

faccia interna di questa guaina si dipartono sepimenti che vanno a circondare più fasci di fibre

muscolari, prendendo il nome di perimisio; sottili setti si estendono dal perimisio a circondare le

singole fibre muscolari costituendo l’endomisio, formato da una trama di cellule reticolari e capillari

sanguigni. Ogni fibra è delimitata da una membrana plasmatica, detta sarcolemma, che circonda e

racchiude il sarcoplasma in cui sono immerse le miofibrille lunghe strutture cilindriche, altamente

specializzate per la contrazione, il cui aspetto ordinato conferisce alla fibra la caratteristica striatura

trasversale. Inoltre, l’impacchettamento longitudinale delle miofibrille genera, nella fibra muscolare

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striata, anche una striatura longitudinale visibile al microscopio.

Infatti, esaminate al microscopio a contrasto di fase, le miofibrille presentano una successione di

bande scure (A) e chiare (I). Ciascuna banda chiara è divisa in due dalla stria Z, mentre la banda

scura è occupata centralmente da una banda sottile, detta banda H.

Il tratto di miofibrilla compreso tra due strie Z contigue prende il nome di sarcomero che

rappresenta l’unità funzionale del tessuto muscolare striato sede della contrazione.

3. Classificazione delle miopatie infiammatorie

Sulla base delle caratteristiche cliniche, immunologiche ed istopatologiche, si riconoscono

attualmente tre gruppi principali di miopatie infiammatorie:

1. Le POLIMIOSITI (PM), che colpiscono solo il muscolo

2. Le DERMATOMIOSITI (DM), che interessano cute e muscolo

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3. Le MIOSITI A CORPI INCLUSI (IBM, inclusion-body myositis), tra le quali troviamo le

MIOSITI SPORADICHE A CORPI INCLUSI (s-IBM, sporadic inclusion-body myositis)

Esiste, inoltre, una serie di forme più rare tra le quali le miositi focali, le miositi batteriche, virali e

parassitarie. Un esempio di miosite focale è la miosite orbitale la quale è caratterizzata da un

processo infiammatorio che coinvolge uno o più muscoli extraoculari con esordio acuto o cronico di

diplopia, edema periorbitale e palpebrale, iniezione congiuntivale e dolore. Un ulteriore esempio è

dato dalla miosite focale a carico della muscolatura del collo che si caratterizza per la presenza di

ipostenia accompagnata dalla “sindrome del capo cadente” (fig.1).

Figura 1: esempio di miosite focale caratterizzata da “sindrome del capo cadente”

Le miositi batteriche, virali e parassitarie sono, invece, sindromi mialgiche con edema muscolare

che insorgono dopo una infezione virale (influenza A e B, parainfluenza, adenovirus, coxackie B,

retrovirus) oppure in corso di malattia batterica (legionella, malattia di Lyme, leptospirosi, gangrena

gassosa) o parassitaria (trichinosi, toxoplasmosi, cisticercosi, echinococcosi).

Fig.1

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4. Caratteristiche cliniche e meccanismi patogenetici

1. POLIMIOSITE (PM)

L’esordio, possibile a tutte le età, è spesso acuto o subacuto, ma possono essere possibili forme

croniche caratterizzate da ipostenia simmetrica dei muscoli del cingolo pelvico e di quello

scapolare, il tutto accompagnato da mialgie.

I muscoli assiali e del collo sono spesso coinvolti, mentre solo raramente lo sono quelli facciali e

quelli distali degli arti.

Frequentemente si verifica la compromissione dei muscoli della deglutizione con conseguente

disfagia e, nei casi più gravi, si può verificare anche l’interessamento dei muscoli respiratori.

Possono essere associati cardiopatia, pericardite, broncopatia interstiziale con evoluzione verso la

fibrosi polmonare in assenza di specifico trattamento, alterato transito esofageo. Una prognosi

sfavorevole è suggerita dalla presenza di esordio acuto, febbre e compromissione cardiaca,

articolare e polmonare.

Nelle PM diversi dati suggeriscono la presenza di un processo citotossico attivato da linfociti T che

riconoscono come non-self componenti della superficie della fibra muscolare (antigeni di

istocompatibilità o MCH) o altri organuli intracellulari, scatenando così una serie di fenomeni

distruttivi che conducono alla necrosi tissutale.

Da sottolineare, inoltre, che accanto alla forma idiopatica ci sono anche le forme associate a

connettivopatie (scleroderma, LES) e quelle in corso di neoplasie maligne, AIDS, sarcoidosi

2. DERMATOMIOSITE (DM)

Circa ¼ dei pazienti con PM possono presentare alterazioni cutanee (cute lucida e atrofica alle

mani). In questo caso, quindi, accanto ad un quadro clinico di PM, sono presenti lesioni cutanee

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quali rash eritematoso al viso denominato “esantema a farfalla”, eritema rosso-violaceo eliotropico

alle palpebre superiori, edema periorbitale.

Caratteristica è la comparsa delle papule di Gottron, papule o placche eritematose o violacee,

lievemente sopraelevate, presenti al di sopra delle prominenze ossee, soprattutto sulla superficie

estensoria delle articolazioni metacarpo-falangee ed interfalangee prossimali e distali delle mani.

Segni cutanei associati a DM: (1) paziente con “esantema a farfalla”, (2) papule di Gottron presenti sulla superficie

estensoria delle articolazioni metacarpo-falangee ed interfalangee, (3) eritema rosso- violaceo eliotropico.

Altri reperti tipici sono un eritema sulle superfici estensorie dei gomiti, ginocchia e caviglie (segni

di Gottron), un’eruzione maculare eritematosa su viso, collo e décolleté, chiamato “segno a V”,

(4) segni di Gottron su una paziente con DM, (5) “segno a V” presente a livello del

collo e della parte superiore del torace.

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ipercheratosi (“mani da meccanico”), fessurazione orizzontale dei palmi delle mani, teleangectasia

periungueale e calcinosi, ovvero comparsa di noduli sottocutanei di color bianco-giallastro, piccoli

ma estremamente dolorosi, formati da depositi di calcio che possono fuoriuscire attraverso la

superficie cutanea ed essere soggetti ad infezioni sovrapposte.

(6) lesioni ipercheratosiche (“mani da meccanico”), (7) teleangectasia periungueale, (8) calcinosi.

Le DM sono caratterizzate dall’interessamento primario di piccoli vasi arteriosi e dei capillari

muscolari che vengono attaccati al loro interno da piccole molecole (fattori del complemento, in

particolare il complesso C5B9) le quali inducono la distruzione del vaso attraverso attivazione di

linfociti B e CD4. Come conseguenza si verifica una sofferenza del tessuto muscolare per carenza

di apporto sanguigno con microinfarti, atrofia e necrosi per contiguità.

In alcuni casi può comparire il “fenomeno di Raynaud”, che rappresenta un sintomo extramuscolare

secondario alla DM. Questo si verifica soprattutto in quei distretti a maggiore dispersione calorica e

minore richiesta metabolica, cioè a livello delle dita (soprattutto quelle delle mani). All’inizio tale

fenomeno si caratterizza per una fase ischemica che si manifesta con insensibilità ma non dolore e

riduzione del flusso sanguigno nelle singole arteriole segmentarie; segue poi la fase cianotica

caratterizzata da stasi venosa, formicolio e dolore rappresentando nel suo insieme un vero e proprio

spasmo arteriolare

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Il “fenomeno di Raynaud” secondario a DM.

3. MIOSITE SPORADICA A CORPI INCLUSI (s-IBM)

Il termine sporadic inclusion-body myositis (s-IBM) indica una forma di miopatia clinicamente

simile ad una polimiosite cronica; rappresenta la più frequente malattia muscolare ad esordio oltre i

50 anni di età. Tale patologia, predominante nel sesso maschile, è caratterizzata dalla presenza di

fibre muscolari vacuolate contenenti inclusioni tubulo-filamentose nei nuclei e nel citoplasma. Tali

vacuoli degenerativi contengono proteine filamentose e granulari espressione di un processo di

degenerazione a carico delle componenti muscolari.

La malattia si caratterizza clinicamente per l’insidioso sviluppo di debolezza muscolare distale e

prossimale lentamente progressiva. É presente un caratteristico assottigliamento dei muscoli

dell’avambraccio associato a debolezza dei muscoli flessori e, a volte, degli estensori delle dita o di

entrambi e da un prominente coinvolgimento dei muscoli quadricipiti.

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Talora una debolezza muscolare in sede distale all’arto inferiore può comparire precocemente ed

associarsi poi ad un coinvolgimento della muscolatura prossimale dei quattro arti (bicipiti, tricipiti,

ileopsoas e quadricipiti sono più gravemente colpiti).

Il decorso lentamente progressivo durante un periodo di diversi anni si associa ad un’estensione

della debolezza muscolare a distretti precedentemente indenni, conducendo a gravi disabilità con

comparsa di debolezza dei muscoli respiratori nelle fasi terminali. Non è raro il riscontro di un

interessamento muscolare asimmetrico, mentre sono generalmente assenti manifestazioni cutanee o

sistemiche della malattia.

5. Iter diagnostico

La diagnosi di miopatia infiammatoria deve essere formulata il più precocemente possibile per poter

iniziare la terapia prima che il danno muscolare sia troppo avanzato. Indagini di laboratorio,

strumentali e bioptiche sono utili nel formulare la diagnosi.

5.1 Indagini di laboratorio

I test di laboratorio utilizzati per la diagnosi delle miopatie infiammatorie possono essere divisi in

tre categorie:

1. Dosaggio degli indici di flogosi (VES, proteina C reattiva, immunoglobuline sieriche, C3,

C4)

2. Dosaggio della concentrazione ematica degli enzimi muscolari (CPK, LDH)

Il CPK, un enzima muscolare la cui presenza in circolo è indice di danno muscolare in atto

(specie l’isoenzima MM), si riscontra aumentato in circa l’80-90% dei pazienti con malattia

attiva. Infatti si verifica un aumento del CPK >5 volte rispetto alla norma nei pazienti con

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miopatia infiammatoria. Altri enzimi muscolari la cui concentrazione può risultare

aumentata sono l’aldolasi, la mioglobina, AST e ALT.

3. Test immunologici: differenti autoanticorpi diretti contro antigeni nucleari e citoplasmatici

sono stati trovati nelle miopatie infiammatorie, tra questi troviamo: gli anti U1

(ribonucleoproteina), gli anti Mi-2 e gli anti SRP; questi ultimi due sono appartenenti alla

classe degli MSA, ovvero a quella classe di autoanticorpi specifici per la miosite. In

particolare, gli anti Mi-2 sono diretti contro la proteina Mi-2 che è codificata da un gene

localizzato sul cromosoma 21 ed è un componente del complesso multiproteico denominato

NuRD (Nucleosome Remodeling-Deacetylase), che partecipa alla regolazione della

trascrizione genica a livello cromosomiale attraverso due distinte attività enzimatiche: la

deacetilazione degli istoni e il rimodellamento ATP-dipendente dei nucleosomi cromatinici.

In particolare, la proteina enzimatica MI-2 è un’elicasi/ATPasi responsabile delle

modificazioni strutturali e dinamiche della cromatina a livello nucleosomiale. Circa il 90%

dei pazienti anti Mi-2 positivi, sia adulti che bambini, presentano un quadro classico di DM,

ma con manifestazioni cutanee più gravi. L’anti SRP (Signal Recognition Particle) è

presente nel siero di circa il 4-6% dei pazienti con PM/DM. Tra gli anticorpi diretti contro

antigeni citoplasmatici, quelli più frequentemente presenti sono diretti contro proteine

ribonucleari citoplasmatiche ed includono anticorpi contro differenti enzimi tra cui le tRNA-

sintetasi. Tra questi anticorpi i più comuni sono gli anti Jo-1 che rappresentano il 75% degli

anticorpi anti tRNA- sintetasi presenti nel siero di pazienti con miosite. Vengono identificati

esclusivamente nel siero di pazienti con miosite quindi la loro positività, in presenza di un

quadro clinico compatibile, costituisce un valido criterio per la diagnosi di PM/DM.

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5.2 Studio elettromiografico

L’esame elettromiografico è importante nella diagnosi e può essere utile nella diagnosi

differenziale. Quello convenzionale ad ago concentrico mostra, nelle fasi acute delle miopatie, tre

anomalie principali:

1. Segni suggestivi di “irritabilità di membrana muscolare” con aumentata attività inserzionale,

potenziali di fibrillazione, onde aguzze positive e scariche ripetitive complesse. Questi reperti sono

da ricondurre alla degenerazione delle piccole diramazioni nervose intramuscolari. I potenziali di

fibrillazione sono presenti soprattutto nei muscoli paraspinali che quindi devono essere

necessariamente esplorati in pazienti con sospetto di miosite

2. L’elettromiografia quantitativa mostra dei potenziali di unità motoria (PUM) di breve durata e

piccola ampiezza. Il corrispettivo istopatologico di questo reperto è la riduzione del numero di fibre

funzionanti per unità motoria con perdita del sincronismo di scarica delle fibre muscolari superstiti

3. Lo studio del reclutamento mostra un pattern precoce con una quantità di unità motorie reclutate

sproporzionate alla forza esplicata. Questo reperto rappresenta il risultato di un diminuito numero di

fibre muscolari funzionanti per ogni unità motoria.

Rappresentazione dell’ unità motoria quale struttura di base del sistema motorio

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Nella PM e nella DM in fase acuta, quindi, l’infiammazione, la necrosi delle fibre muscolari, i

fenomeni di ‘splitting’ (processi di rigenerazione e differenziazione a partire da una singola fibra),

le modificazioni nelle fibre in rigenerazione o neoformate possono determinare separazione di

porzioni della fibra muscolare dalla giunzione neuromuscolare dando luogo ad instabilità elettrica

della membrana della fibra muscolare. Questo può giustificare la denervazione e l’aumentata

attività inserzionale.

Nelle fasi croniche delle miositi, invece, alcuni PUM sono ampi, di durata aumentata e polifasici

con presenza di potenziali satelliti. Queste alterazioni dei potenziali di unità motoria sono il risultato

di una reinnervazione collaterale delle fibre muscolari denervate. D’altra parte l’elettromiografia di

singole fibre mostra nella PM e nella DM un aumento della densità di singole fibre, un aumento del

jitter e la presenza di blocchi di conduzione. Questi ultimi reperti riflettono probabilmente la

presenza di una reinnervazione instabile, con sinapsi ancora immature, mentre l’aumento della

densità di fibre è probabilmente dovuto allo ‘splitting’ e ai fenomeni di rimodellamento dell’unità

motoria. In particolare, i fenomeni di rimodellamento delle U.M. a seguito dei fenomeni di

‘splitting’ o la degenerazione segmentale delle singole fibre muscolari seguiti dai fenomeni di

rigenerazione per reinnervazione da parte dello stesso o di differenti motoneuroni possono

determinare normalizzazione della durata dei PUM o addirittura un incremento della durata dei

PUM.

Nelle fasi avanzate delle miositi al marcato spopolamento di fibre muscolari corrisponde una

perdita di potenziali di unità motoria con ridotto reclutamento di fibre muscolari.

La distribuzione del pattern elettromiografico nella PM e nella DM correla con il quadro clinico di

interessamento muscolare con un gradiente decrescente prossimo-distale. Nella IBM le anomalie

elettromiografiche sono spesso asimmetriche, multifocali e a predominanza distale.

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5.3 La biopsia muscolare: aspetti istopatologici

L’esame diagnostico più importante è la biopsia muscolare che rappresenta una procedura con la

quale viene prelevato un piccolo frammento di tessuto muscolare che verrà successivamente

analizzato attraverso diversi studi microscopici. Il muscolo più frequentemente sede del prelievo

bioptico è il vasto laterale. É indispensabile che i frammenti vengano prelevati in modo tale che sia

chiaro l’orientamento delle fibre muscolari.

Dopo il prelievo il frammento destinato allo studio al microscopio ottico viene sottoposto ad una

fissazione fisica che avviene per congelamento in isopentano preraffreddato in azoto liquido. Per

ottenere ciò il muscolo viene prima posizionato su un porta campione metallico, quindi immerso in

isopentano preraffreddato in azoto liquido per permettere al freddo di penetrare rapidamente nelle

fibrocellule muscolari. Questo metodo impedisce all’acqua presente nelle cellule di aumentare di

volume e di destrutturare il citoscheletro. Il frammento bioptico viene orientato perpendicolarmente

rispetto al supporto così che al taglio al criostato si ottengano delle sezioni trasversali.

Le sezioni vengono utilizzate sia per indagini istochimiche (spessore 10 micron) che

immunoistochimiche (spessore 6-7 micron). Dopo il taglio i pezzi bioptici vengono conservati in

congelatori a -80°C.

Le metodiche istologiche ed istochimiche utilizzate di routine sono le seguenti:

1. Ematossilina-eosina per mettere bene in evidenza l’aspetto generale del tessuto muscolare,

la posizione dei nuclei, l’architettura fibrale e l’eventuale presenza di fenomeni

infiammatori, degenerativi e/o rigenerativi

2. Tricromica di Gomori modificata secondo Engel, come sopra; in più consente di evidenziare

la presenza di corpi nemalinici (peculiari di talune miopatie congenite) e fibre muscolari

rosse stracciate, espressione di danno mitocondriale (“ragged- red fibers”)

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3. NADH-TR, utile per individuare e studiare i mitocondri, il reticolo intermiofibrillare e gli

aggregati tubulari

4. Succinico deidrogenasi e il citocromo c ossidasi, per l’analisi dei mitocondri e dei relativi

deficit enzimatici

5. Adenosintrifosfatasi (ATPasi) a ph alcalino e acido, utile per differenziare i diversi tipi di

fibre muscolari e a valutare la presenza o meno di atrofia o ipertrofia selettiva

6. Adenilato deaminasi e fosforilasi, per evidenziare deficit specifici di questi enzimi

7. Esterasi non specifica, che consente di valutare la presenza o assenza di infiammazione

8. Fosfatasi alcalina, che mette in evidenza la presenza di fibre muscolari in rigenerazione

9. PAS, per la presenza di glicogeno

10. Sudan Black o Oil red-O, per la presenza di lipidi

11. Rosso Congo, che evidenzia la presenza di amiloide

12. Fosfofruttochinasi, che evidenziare il deficit specifico enzimatico

Se la sezione criostatica è perfettamente trasversale, le fibre muscolari normali sono caratterizzate

da una forma poligonale con nuclei allungati posti alla periferia e una tipica distribuzione detta “a

scacchiera”. La lettura istologica della biopsia tiene conto dell’architettura fascicolare del muscolo,

della presenza di infiammazione, necrosi, posizione e numero dei nuclei, alterazioni strutturali delle

singole fibre. Inoltre, le reazioni istochimiche consentono di mettere in evidenza l’eventuale

presenza di atrofia o ipertrofia delle fibre appartenenti ad un tipo specifico, accumulo di lipidi o di

glicogeno, alterazioni mitocondriali.

Dopo il riscontro all’indagine istologica di infiltrati cellulari infiammatori è possibile effettuare

indagini di tipo immunocitochimico al fine di caratterizzare tali elementi cellulari.

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6. L’immunocitochimica: le varie metodiche

L’immunocitochimica è una tecnica diagnostica utile per la localizzazione e la visualizzazione di

epitopi antigenici (Ag) target intra ed extracellulari nei tessuti grazie all’impiego di specifici

anticorpi (Ab) diretti contro di essi. L’evidenziazione del complesso Ag-Ab così formatosi avviene

ad opera di alcuni markers che agiscono da rivelatori dell’avvenuta reazione.

Lo studio immunocitochimico può essere condotto a livello del microscopio ottico (si parla in tal

caso più propriamente di immunoistochimica) oppure a livello del microscopio elettronico

(immunomicroscopia elettronica).

In campo immunoistochimico, le metodologie più frequentemente utilizzate prevedono l’impiego di

tecniche indirette basate sull’evidenziazione dell’avvenuta reazione Ag-Ab, quest’ ultimo detto

primario, con un secondo Ab detto secondario. Questo è specifico per l’Ab primario ed è coniugato

con un substrato cromogeno visibile, come un fluorocromo o un enzima, che determinerà la

formazione di un prodotto cromatico insolubile; successivamente il segnale così ottenuto potrà

essere amplificato con metodiche di amplificazione opportune.

Gli Ab utilizzati possono essere monoclonali o policlonali: i primi sono specifici per un unico

epitopo antigenico appartenente alla macromolecola indagata, mentre i secondi sono capaci di

riconoscere diversi epitopi appartenenti alla stessa macromolecola, in quanto si tratta di una miscela

anticorpale ottenuta grazie a procedure di immunizzazione mediante determinante immunogenico.

L’impiego di Ab policlonali è da preferire rispetto ai monoclonali perché in questo modo si evita il

rischio che si può presentare con questi ultimi e cioè che l’unico determinante antigenico

riconosciuto sia casualmente presente anche su una molecola diversa da quella in studio.

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6.1 Tecniche di visualizzazione della reazione Ag-Ab

Ci sono diverse modalità per evidenziare l’avvenuta reazione Ag-Ab; le principali sono

l’immunofluorescenza e i metodi immunoenzimatici.

Nello specifico, l’immunofluorescenza indiretta si basa sull’impiego, successivamente al

trattamento con il primo Ab (primario), di un siero contenente Ab coniugati e diretti contro le

immunoglobuline della specie animale utilizzata per la produzione dell’antisiero specifico.

I fluorocromi sono sostanze fluorescenti, visibili con il microscopio a fluorescenza in campo

oscuro, che permettono di rendere evidente la distribuzione dell’Ag nel tessuto in esame.

Ne sono esempio l’isotiocianato di fluoresceina e l’isotiocianato di tetrametilrodamina che

conferiscono una colorazione rispettivamente verde e rossa al complesso Ag-Ab.

L’immunofluorescenza indiretta è complementare a quella diretta, la quale utilizza Ab specifici già

coniugati con un fluorocromo senza l’interposizione dell’Ab secondario; peraltro questa apparente

semplificazione metodologica comporta in realtà una minore sensibilità dovuta ad un’alterazione

anticorpale indotta dai processi di coniugazione con i fluorocromi.

Il principale svantaggio correlato all’immunofluorescenza in generale consiste nell’instabilità dei

fluorocromi stessi che, dopo intervalli di tempo variabili a seconda del tipo impiegato, tendono a

decadere e quindi a non essere più leggibili nel preparato. Inoltre tale metodica è applicabile solo

alla microscopia ottica e la necessaria osservazione in campo oscuro può comportare la perdita di

informazioni morfologiche e topografiche.

I metodi immunoenzimatici invece usano come markers di avvenuta reazione degli enzimi coniugati

all’Ab secondario capaci di dare origine a prodotti cromatici visibili al microscopio ottico.

Uno di questi enzimi è la perossidasi che, catalizzando una reazione di ossidoriduzione con l’H2O2,

oltre a liberare H2O e O2, ossida alcune sostanze, i cromogeni (come la 3,3’ diaminobenzidina

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(DAB) che produce un’intensa colorazione marrone) trasformandole in prodotti colorati insolubili

che precipitano proprio nel sito di reazione.

Oltre alla perossidasi sono disponibili anche Ab coniugati con fosfatasi alcalina, glucosio ossidasi e

β-galattosidasi. L’uso di specifici Ab contro i marcatori di membrana delle cellule linfomonocitarie

permette una precisa caratterizzazione immunofenotipica degli infiltrati infiammatori riscontrati

nelle miopatie infiammatorie ed ha consentito unitamente allo studio dell’espressione muscolare

degli antigeni del complesso maggiore di istocompatibilità e dei fattori umorali dell’immunità di

acquisire importanti informazioni sul ruolo dell’alterata immunoregolazione in tali patologie

muscolari.

6.2 Tecniche di amplificazione del segnale: tecnica del ponte avidina-biotina

C’è la possibilità di amplificare il segnale ottenuto con i vari markers in modo da renderlo meglio

visibile al microscopio sfruttando, ad esempio, il metodo avidina-biotina.

Questo metodo è basato sulla capacità della glicoproteina presente nell’albume d’uovo, l’avidina, di

legare in maniera non immunologica quattro molecole della vitamina biotina.

Vengono utilizzati tre reagenti: il primo è l’Ab primario specifico per l’Ag che deve essere

localizzato, il secondo è l’Ab secondario coniugato con biotina capace di legarsi all’Ab primario, il

terzo elemento è un complesso di biotina coniugato con perossidasi o fosfatasi alcalina e avidina.

I siti liberi della molecola di avidina consentono il legame alla biotina sull’Ab secondario.

L’enzima, e quindi l’Ag originale, vengono visualizzati con il cromogeno appropriato.

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La forte affinità dell’avidina per la biotina conferisce a questo metodo una grande sensibilità.

6.3 Immunocitochimica: aspetti peculiari nelle differenti forme di miopatie

infiammatorie

Nella PM si osserva, in particolare, un significativo aumento dei linfociti T citotossici (CD8+) che

circondano ed invadono le fibrocellule muscolari inducendo la loro degenerazione e necrosi. Molti

di questi presentano dei granuli che contengono perforina, una proteina in grado di formare dei pori

favorendo l’ingresso di proteasi citotossiche nelle cellule target. Un altro dato caratteristico è

l’aumentata positività del maggior complesso di istocompatibilità del tipo I presente sulle cellule

muscolari nella zona di infiammazione ma anche su quelle più lontane.

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Nella DM gli infiltrati endomisiali mostrano un significativo aumento dei linfociti B, inoltre il

rapporto tra i linfociti T CD4+ e CD8+ è sicuramente aumentato. La vicinanza fisica tra i linfociti T

1

32

Principali caratteristiche istopatologiche associate alla PM: (1) sezione muscolare di un paziente

affetto da PM: aumento delle dimensioni delle fibre con presenza di fibre atrofiche ed arrotondate,

aumento dei nuclei centralizzati, diffusa necrosi e fagocitosi, presenza di fibre in fase di rigenerazione,

infiltrazione infiammatoria perivascolare ed endomisiale con invasione di fibre non necrotiche da parte

di cellule mononucleate (ematossilina-eosina). (2) indagine immunoistochimica: linfociti T invadenti

l’endomisio di un paziente con PM. (3) evidenza di necrosi miofibrillare, fibre in rigenerazione, infiltrati

cellulari infiammatori perivascolari ed endomisiali (ematossilina-eosina).

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CD4+ ed i linfociti B o macrofagi suggerisce che il meccanismo immunopatogenetico nella DM sia

basato su una reazione umorale di tipo anticorpo-mediata.

Questo processo immunitario sembra essere diretto contro i vasi intramuscolari (microendotelio) e

sembra essere mediato dal complesso di attacco membranolitico (MAC) che coinvolge i fattori litici

del complemento. La deposizione del complemento a livello dei capillari, seguito dalla loro necrosi

e riduzione di numero, provoca ischemia tissutale con distruzione delle fibre muscolari che spesso

assume in connotati dei microinfarti e dell’infiammazione del tessuto muscolare. L’atrofia

perifascicolare tipica della DM è il corrispettivo istologico di queste alterazioni ipoperfusive

endofascicolari.

1 2

3

Principali caratteristiche istopatologiche associate alla DM: (1) colorazione con ATPasi e (2)

con tricromica di Gomori che permettono di evidenziare l’atrofia perifascicolare. (3) la fosfatasi

alcalina invece mostra il coinvolgimento primario del tessuto connettivo perimisiale.

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Il diverso quadro immunoistopatologico tra le due forme di miopatia infiammatoria sottende un

diverso meccanismo patogenetico: nella DM l’infiltrato infiammatorio si localizza soprattutto in

sede perivasale, quindi attorno ai vasi e nei setti interfascicolari, cioè tra i fascicoli muscolari

piuttosto che all’interno dei fascicoli stessi. Queste caratteristiche inducono a pensare che la

degenerazione delle fibre muscolari nella DM sia secondaria al danno microvascolare (la deplezione

capillare è un evento precoce), mentre nella PM l’epicentro è primitivamente muscolare.

Tabella 1. Criteri diagnostici di PM e DM secondo Bohan e Peter.

Per quanto riguarda la caratterizzazione istopatologica della s-IBM è importante il riconoscimento

dei seguenti reperti patologici:

- presenza di essudati di cellule infiammatorie mononucleate, solitamente frequenti negli stadi

precoci della malattia, più rari o assenti nelle fasi più avanzate;

- fibre muscolari contenenti uno o più vacuoli di forma irregolare contenenti o delimitati da

materiale di colore rosso (“red-rimmed vacuoles”) alla colorazione di Gomori modificata

secondo Engel più abbondanti nelle fasi tardive;

- osservazione abbastanza frequente della presenza di ragged-red fibers (RRF) negative per la

citocromo c-ossidasi (COX).

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L’estensione dell’infiltrazione infiammatoria, prevalentemente endomisiale e focale, è variabile e le

cellule mononucleate infiammatorie sono in proporzioni simili a quelle osservate nelle PM, con una

netta prevalenza di cellule T CD8+ citotossiche e circa il 20-30% di macrofagi negli infiltrati che

solitamente circondano o invadono parzialmente fibre muscolari non-necrotiche e fino all’80% di

macrofagi in fibre muscolari necrotiche.

I tipici vacuoli sono presenti in una percentuale di fibre estremamente variabile (dal 2 al 70%);

singoli o multipli e sono situati al centro della fibra o in posizione subsarcolemmale. Un materiale

granulare basofilo è presente nel lume dei vacuoli, spesso circonda e delimita ad orletto tali spazi

1 2

3 4

Caratteristiche istologiche che permettono di differenziare s-IBM da PM: (1) ematossilina ed

eosina e (2) tricromica di Gomori mettono in evidenza la presenza di vacuoli delimitati nella s-

IBM. (3) succinato deidrogenasi (SDH) mostra un maggiore assorbimento del colorante blu in

fibre ragged-red, (4) citocromo c ossidasi (COX) permette di evidenziare fibre COX-negative.

Questi reperti sono tipicamente associati a s-IBM.

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anormali e si osserva anche ne sarcoplasma adiacente ai vacuoli stessi sotto forma di piccoli granuli

basofili.

Il criterio diagnostico ultrastrutturale per la s-IBM è comunque la presenza di inclusioni

citoplasmatiche tubulofilamentose con un diametro esterno di 15-18 nm che appaiono costituiti da

filamenti elicoidali appaiati con un “twist” ripetuto con una periodicità di 45-55 nm. Raccolte di

inclusioni tubulofilamentose di 15-18nm sono più raramente osservabili nei nuclei delle fibre

muscolari disposti a caso o allineati con decorso parallelo e circondati da un sottile anello di

cromatina.

Conclusioni

I dati clinici, istologici ed immunologici unitamente allo studio elettromiografico consentono di

caratterizzare i fenotipi associati alle malattie muscolari su base infiammatoria. Le miopatie

infiammatorie sono tra le poche patologie muscolari suscettibili di guarigione. Pertanto, la

identificazione di una miopatia infiammatoria in fase iniziale rappresenta un elemento fondamentale

al fine di avviare il paziente alla terapia adeguata.

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