un nuovo numero di editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al...

116

Upload: duongthien

Post on 24-Feb-2019

215 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000
Page 2: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

2

C i proviamo ancora. Il numero 2 di Bravi Autori - Il Foglio Lettera-rio tenta di riempire il vostro

tempo libero con racconti, poesie, recen-sioni, interviste, narrazioni cinemato-grafiche, brevi saggi filosofici e letterari. Vogliamo diventare una piacevole abitu-dine, anche se siamo consapevoli della difficoltà di pubblicare una rivista lette-raria con l’ambizione di conquistare un pubblico più o meno vasto. Stampare una rivista e mandarla in libreria è di-ventato impossibile, una vera e propria operazione suicida, perché i ricavi non ammortizzano neppure i costi di produ-zione. Per un piccolo editore è sempre più

dura. Nel settore libri le cose non vanno meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000 copie (L’isola), ma si tratta di una splendida eccezione perché la media vendite si attesta attorno alle 300 - 500 copie per titolo. Non sono po-che se pensate che editori come Rizzoli faticano a vendere 2.500 - 3.000 copie di autori italiani poco noti e di autori stranieri non amati dal grande pubblico. Non è facile il mondo editoriale italiano. Diventa ancora più complesso in tempi in cui la cultura è poco supportata e spedire un pacco è divenuto un vero o-nere. Impossibile spedire riviste e libri contrassegno, perché il costo del servi-zio supera quello del prodotto. Aiutare la cultura? No, grazie. Siamo

italiani. Guardiamo la televisione e ci

facciamo di grandifratelli fino allo sfini-mento. La soluzione allora viene da internet e dagli e-book come la rivista che sfogliate telematicamente sul vostro computer. Il primo numero gratuito è stato scaricato da circa 500 persone, mentre altre 50 hanno fatto download di Fuori dal gioco di Heberto Padilla, im-portante volume di poesia cubana che nel 1971 rappresentò la prima dura cri-tica al regime di Castro. Continueremo su questa strada, tempo e voglia per-mettendo, come proseguiremo a fare li-bri, non assecondando il mercato, ma facendo le cose che ci interessano, spe-rando di convincere qualcuno a seguire le nostre produzioni orgogliosamente underground. Qualche soddisfazione ce la siamo presa, alla faccia di tanti soloni della vera letteratura: Lorenza Ghinelli con Il divoratore è approdata a Newton & Compton, Wilson Saba (Sole & Bale-no) a Bompiani, Gianfranco Franchi (Pagano, Disorder, L’inadempienza) a Castelvecchi e Arcana, Sacha Naspini (I sassi) a Elliot e Perdisa, Marco Balle-stracci (Il compagno di viaggio e Blue-spadano) a Instar Libri… Non è poca co-sa, e forse dimentico qualcuno, senza contare che il nostro catalogo di narrati-va è pieno zeppo di ottimi autori, anche se non hanno avuto successo e pure se hanno venduto soltanto 200 copie. Non è il successo di cassetta a fare il buon libro. Non è il numero di copie vendute a decretare chi è uno scrittore. La pro-duzione di best-seller non fa parte della nostra missione associativa di piccolo

Editoriale

Editoriale

Un nuovo numero diUn nuovo numero di

BraviAutori BraviAutori -- Il Foglio LetterarioIl Foglio Letterario

Gordiano Lupi www.infol.it/lupi

Page 3: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

3

29 Franck I miei Fumetti

16 Il latino e noi

20 Roberto Quagliano - intervista

22 Via da Las Vegas - racconto

25 Fiera del Fumetto Bologna 2010

30 Sotto falso nome - racconto

37 De Andrè, la leggenda di Natale

39 La mia Avana - - racconto

40 Moriremo tutti, anche se non siamo...

43 Josè Saramago

46 La figura e l'opera di Lev Tolstoj

50 ORB, musica liquida

2 Editoriale: Un nuovo numero di ...

Sacha Naspini - novità editoriali 4

6 Frank Spada - intervista e recensione

11 Storia Rinascimentale - disegno

10 Ci vediamo tutti al RADUNO!

12 Claudio Fallani - intervista

In

questo

numero

e tante altre notizie e

recensioni dal sito web www.ilfoglioletterario.it

www.braviautori.it www.ilfoglioletterario.it

88 Alla riscoperta dei B-Movie - intervista

72 Roberta Guardascione

77 Mare di Libri Festival dei ragazzi...

80 Un’introduzione all’Archeoastronomia

84 Breve introduzione al Connetivismo

99 I Violentatori della Notte - recensione

102 La Terra non è abbastanza

106 Lo stile del Campione

111 Pater Noster - intervista + recensione

53 Poeta, dove vai?

Una vita nel mistero 55

58 Prima di... - racconto

66 L’uovo del Diavolo - racconto

62 I maestri del fuoco

68 Jane Austen

Page 4: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

4

I Cariolanti Sacha Naspini Edizioni Elliot

Te mica lo sai che vuol dire nascere di traverso.

1918, campagna toscana. Per non partire soldato nella Prima guer-ra mondiale, un uomo nasconde suo figlio di nove anni e sua mo-glie in un buco scavato nel bosco. Lì dentro la famiglia passa qua-si tutto il tempo, il padre esce solo per prendere l’acqua e per cac-ciare, ma a volte il cibo non si trova e allora bisogna affondare le dita nella terra umida per vedere se salta fuori un baco o una radi-ce da masticare, oppure rassegnarsi a mangiare carne umana. Ini-zia così l’avventura di Bastiano, che cerca di riscattare la sua vita solitaria e animalesca innamorandosi di Sara, la figlia del padrone per cui va a lavorare come aiutante stalliere. Ma il fango quasi mai incontra la luce, e allora finirà per sporcarsi totalmente, ucci-dere colpevoli e innocenti, scappare, trasformarsi in un animale da preda, perdersi, per poi ritrovarsi anni dopo in quella tana in mezzo al bosco, la sua vera casa. I Cariolanti è un romanzo di deformazione, selvatico e rabbioso, dove il vero protagonista è la be-stialità, non la bestialità malvagia e gratuita, ma quella istintiva e viscerale di chi uccide per so-pravvivere. Una favola nera in tredici istantanee dove si respirano atmosfere che vanno da Truf-faut a Stephen King, alle Fiabe italiane di Calvino.

Noir Désir né vincitor né vinti Sacha Naspini Perdisa Pop

Il 26 luglio 2003, in un albergo di Vilnius, Bertrand Cantat,

leader dei Noir Désir, schiaffeggia a più riprese la sua compagna, Marie Trintignant. La notizia fa il giro del mondo. Marie entra in coma, morirà qualche giorno dopo. Bertrand tenta inutilmente il suicidio. Il tribunale lituano lo condanna a otto anni di carcere per omicidio colposo. Dopo avere scontato metà della pena, Can-tat ottiene la semilibertà, ritorna insieme alla moglie Kristina, madre dei suoi due fi gli, che non lo aveva abbandonato durante il processo e la detenzione. Quando si parla con insistenza di un nuovo disco in uscita, l’11 gennaio 2010 Kristina si suicida men-tre Cantat dorme nella stanza accanto. Sembra un sipario che ca-la una volta per tutte. Il 29 luglio 2010, Bertrand Cantat finisce di scontare la pena, è un uomo libero. Forse per i Noir Désir non è detta l’ultima parola

SSACHAACHA NNASPINIASPINI

Sacha Naspini, Grosseto, 1976. Ha pubblicato i romanzi: L’ingrato (Effequ), I

sassi (Il Foglio), Never alone (Voras), Cento per cento (Historica), I Cariolan-ti (Elliot). Collabora con diverse realtà editoriali, ricoprendo i ruoli di editor, cor-rettore di bozze, concept e grafico esecutivo. Il suo sito web è: www.sachanaspini.eu

Page 5: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

5

Anno XII - Numero 2 Dicembre 2010

Direttore Responsabile: Fabio Zanello Editore:

Associazione Culturale Il Foglio

via Boccioni 28 - 57025 Piombino (LI) mail: [email protected]

Copertina: Riccardo Simone Progetto grafico e impaginazione: Giovanni Capotorto Redazione: Massimo Baglione, Alessandro Napolitano Collaboratori: Gordiano Lupi, Giovanni Capotorto, Pia Barletta, Miriam Mastrovito, Matteo Mancini, Riccardo Simone, Fabio Zanello, Ylenia Zanghi In questo numero:

IL FOGLIO LETTERARIO Registrato al numero 666 al Tribunale

di Livorno il 1° Febbraio 2000

editore non profit. Il Foglio Letterario si è ritagliato al-cuni settori dove è ricono-scibile: cinema, fumetto, saggistica alternativa (Il dark, i manga, gli anime…), letteratura e cultura cuba-na. Continueremo a specia-lizzarci e a proporre novità interessanti, consapevoli che il futuro sarà sempre più duro. Non abbiamo nes-suna intenzione di arrender-ci, fino a quando il bilancio segnerà un minimo di attivo e ci consentirà di fare nuovi libri. Abbiamo raggiunto un buon livello di distribuzione grazie alla collaborazione con NDA di Editoria & Am-biente che porta i nostri libri in tutta Italia, pure se il rapporto è economicamente pesante. Veniamo da un buon successo come il Pisa Book Festival dove in tre giorni abbiamo venduto quasi 200 volumi e adesso prepariamo alcune interes-santi uscite natalizie. A li-vello locale abbiamo studia-to la collaborazione con il Corriere di Livorno che a di-cembre uscirà con un no-stro libro allegato (Piombino leggendaria - storia e miti della Val di Cornia). Per le prossime fiere diamo a tutti appuntamento a Modena, dal 19 al 20 febbraio 2011. Venite a farci visita allo stand! Concludo ringraziando

tutti gli autori che contri-buiscono alla realizzazione della rivista telematica, de-dicando il loro tempo libero alla concretizzazione di una passione. Non è possibile citarli uno a uno, sarebbe un elenco troppo lungo e

(Continua da pagina 2)

(Continua a pagina 9)

Cataldo Balducci Sandro “zoon” Battisti Patrizia Birtolo Vincenzo Bonicelli della Vite Alessandro Cal Luisa Catapano Luigi Cristiano Nancy Cutrera Angela Di Salvo Roberto Guarnieri Tania Maffei

Simone Messeri Stefano Napolitano Sacha Naspini Roberta Pappalardo Roberto Paura Alejandro T. Ruiz Luciano Somma

Page 6: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

6

Intervista al creatoreIntervista al creatoreIntervista al creatore di Marlowe, detectivedi Marlowe, detectivedi Marlowe, detective

sopra le righe sopra le righe sopra le righe Miriam Mastrovito

Marlowe e Frank Spada: due nomi legati a filo doppio. Un detective so-pra le righe il primo, il suo creatore il secondo, ad accomunarli, sicura-mente è l’aura enigmatica che li av-volge entrambi. Che significato e quale peso attri-buisce al mistero nel suo universo letterario? Personaggio e autore (eteronimi

scambievoli nei ruoli, si badi bene) ri-propongono il tema della doppia iden-tità e il paradosso tra unione e scissio-ne di chi riconosce nell’assunto “io so-no la realizzazione dei tuoi pensieri e tu la mia immagine” il principio unifor-mante e paradigmatico della propria vita. Questo tema, che trovò fulminea diffusione letteraria nel periodo ro-mantico – quando le storie incentrate sul doppio incatenarono un soggetto immaginario, sempre maschile, alla mercé di quello reale –, fu successiva-mente innalzato alla gloria dei cinefili dall’espressionismo della cinematogra-fia tedesca, anticipata dalla psicoanali-si, e subito dopo da quella degli Stu-dios hollywoodiani. Per quanto ci ri-guarda, ritengo che la fisiologia respi-ratoria, unita alla curiosità che spinge Marlowe a vivere appesantendosi l’aria e il suo compare, il “perturbante”, a dedicarsi con costanza agli esercizi spirituali (intesi come alcolici) costitui-scano tutti assieme il nucleo del miste-ro che racchiude anche l’autore. Uno che fuma da quand’era ragazzino e

che, ancora oggi, non mastica gomma america-na solo perché un tizio, una vol-ta, mostrandogli un’emblematica lastra tutta nera pretendeva di convincerlo della sua chiaroveg-genza: i fatti l’hanno smentito – precisato che Frank Spada è ancora vivo, piuttosto in là con gli anni e ha smesso di pregare iniziando a scrivere il 7 gennaio del 2007.

Come nasce Marlowe? Il suo nome doveva essere Marlow,

stando al desiderio di suo padre, ma all’anagrafe, sa com’è, a volte basta un’aggiunta, un’omissione… cosicché fu chiamato erroneamente Marlowe.

Marlowe è anche il nome del celebre detective forgiato dalla penna di Chandler. Una semplice coincidenza o un omaggio voluto a questo gran-de autore? Certamente. Ma quello si chiamava

Philip, mentre questo è Marlowe e ba-sta, anche per sua madre, e proprio in conseguenza a un nome affibbiatogli per caso. Ovvio che un implicito omag-gio a Raymond Chandler – quantome-no con il romanzo d’esordio intitolato

FrankFrankFrankFrankFrankFrankFrankFrank

SpadaSpada

Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste

di di

BraviAutoriBraviAutori

Page 7: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

7

“Marlowe ti amo” – non è da escludersi; benché l’introduzione a questo libro del prof. Franz Ha-as induca il lettore a far-gli credere che Marlowe sia anche lui stesso.

Molti autori avvertono i loro personaggi come creature vive, entità che una volta create, chiedono insistente-mente di essere rac-contate e che, a un cer-to punto, sembrano ac-quisire una propria au-tonomia. Quale il suo rapporto con Marlowe? Tra Marlowe e l’autore,

come non bastasse il tentativo di far rivivere in modo originale un cele-berrimo detective a oltre mezzo secolo dalla morte di Chandler – problemi-no non da poco per quanto già detto –, si in-cunea il fatto che questo Marlowe è vittima di un perturbante. Talché, s’immagini l’ingombro quotidiano che pesa sul-la vita di chi vagheggia la sopravvivenza mostran-dosi indifferente agli oc-chi di qualcuno alla ri-cerca di se stesso e che, guardandosi allo spec-chio ogni mattina, s’illude di continuare a farla franca sbarbando chi si è nascosto dietro uno pseudonimo.

Come tutti i detective che si rispettino Marlo-we è sempre alle prese con dei gialli da risol-vere. Da dove trae ispi-razione per la creazio-ne dei suoi casi?

Se le dicessi che l’autore ne sa quanto il detective e che entrambi si trovano coinvolti, ca-povolti e catapultati nel passato – il “luogo” dove ci si sente sempre a casa m a r e c l u s i nell’impossibilità di fug-gire dai ricordi, risenti-menti e rimpianti com-presi? Mi scusi se a que-sta domanda ho risposto interrogando il caso.

Ritiene sia più difficile imbastire un buon in-treccio noir o dar vita a un personaggio capace di imprimersi in manie-r a i n d e l e b i l e nell’immaginario dei lettori? Il noir è una buona

metafora della ricerca filosofica e scientifica in genere, e tanto più se ci restituisce un’immagine caricaturale, proprio per questo chiara e vivida dell’uomo, dei suoi geni connaturati al “male” e dell’avidità che spinge le sue azioni. A iniziare da quando fracassò con una pietra il cranio di chi pretendeva che un infini-tesimo granello ruotante nello spazio non fosse soltanto roba dell’altro – Marlowe… nell’ambiguità cosciente di una nevroti-ca solitudine, pessimisti-ca e angosciante, tiene in fondina una 45 per far da testimone a quanto avviene, ancora, attorno e dentro di lui, perpe-tuando l’illusione lettera-ria di una storia dove mescolanze e contamina-zioni sono il kit per non

sment i re i l f a to . Leggendo i suoi libri si ha quasi l’impressione di guardare un film. Una suggestione ali-mentata dallo stile ci-n e m a t o g r a f i c o , dall’efficacia delle de-scrizioni e dal sottofon-do musicale che co-stantemente accompa-gna la narrazione. Quanto e come la pas-sione per il cinema ha influenzato la sua scrit-tura? Il cinema è stato defi-

nito la settima arte – quella che le riunisce tutte distinguendole nei ruoli, mettendo spesso in primo piano quel che non si vede a occhio nu-do – va da sé che qualcu-no che non amava anda-re a scuola ne abbia ap-profittato per capire me-glio il panorama, a volte inzuccherandosi le orecchie con le colonne sonore.

Come mai ha scelto di ambientare i suoi ro-manzi in America? Quale il suo legame con questa terra? La casualità non è che

la norma di muoversi in fretta per non farsi pren-dere, possibilmente, e gli spazi degli States, la li-bertà che… caspita quanto sono immensa-mente grandi anche in un vicolo!

Oltre a trasportarci sul-la West Coast, i suoi li-bri ci fanno viaggiare a ritroso nel tempo fa-

Page 8: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

8

cendo rivivere gli anni ’50. Cosa la affascina di quegli anni? A questa domanda –

agganciandomi a quanto ho risposto sopra inter-rogando il caso, ma pre-cisando un luogo –, ri-sponderei che non do-vrebbe essere difficile fa-re un conticino: i caval-loni del Pacifico in corsa galoppando, le bellezze in aderenti Jantzen al sole, per non dire delle chincaglierie in curva che… ritmo veloce all’imbrunire con le pro-ve in spiaggia? – Shorty Rogers disse che non ci fu nulla di premeditato, nel suonare qualcosa di

così specifico e diverso da poter essere chiamato per sempre “West Coast Jazz”.

Il secondo romanzo della serie dedicata a Marlowe, ha un sottoti-tolo molto suggestivo: “Cinque sensi e un’anima”. La stessa idea è richiamata nel s u o b l o g , c o n un’aggiunta che colpi-sce quasi come un pu-gno allo stomaco (“cinque sensi e un’anima che non per-dona”). Possiamo dire che in queste poche ma efficaci parole sia con-densato il senso più

profondo di questo li-bro? Sì, questo è possibile,

e vale per Marlowe come per chiunque altro abbia la dannata fortuna di vo-ler interrogarsi in propo-sito, prima di portare i panni sporchi in lavan-deria.

Se le dico “Il Cannoc-chiale a rovescio”? É lo strumento per al-

lontanare la visione del reale a chi vive in antici-po i ricordi e avvicinare con la curiosità e l’ironia rivolta senza limiti spa-zio-temporali, o di gene-re, l’irreale a chi lo segue come un’ombra.

Atmosfera ovattata, quasi surreale, odore di fumo, sottofondo jazz e immagini in un bianco e nero che si declina in molteplici sfumature. É l’universo che abbiamo imparato a conoscere in “Marlowe ti amo” e che in questo secondo libro della serie, sempre più, richiama l’idea di un buon film

d’annata. A supportare la suggestione le ambientazioni rese con tale efficacia da farci respirare l’aria salmastra della West Coast, e il personalissimo stile cinemato-grafico che, arricchendosi di originali metafore, contraddistingue la scrittura di Frank Spada al pari di un marchio di qualità. Il tenebroso detective è alle prese con un nuovo caso. Una coppia di gemelle tanto belle da mozzare il fiato, un amore saffico e due antichi gioielli che si u-niscono a simboleggiare la vita eterna ma che scatenano la furia omicida di qualcuno. Un intrigante intreccio noir in grado di tenere sulle spine e sfidare lo stesso lettore a risolvere l’enigma. Eppure il mistero più affascinante rimane la complessa personalità di Marlowe il cui carisma, sebbene unico, è paragonabile per intensità a quello dei più celebri investigatori della tradizione letteraria. Qui lo ritroviamo in sella alla sua Olds, tra sigarette, “pollicini” , confronti con il suo doppio e scambi accesi con il suo Pa’. Tutti elementi che lo conno-tano provocando un piacevole senso di familiarità in chi lo ha già frequentato ma insufficienti a dissipare l’enigma di un malessere che, a volte, pare sospin-gerlo sull’orlo della follia a dispetto di quel sense of humour che pure lo carat-terizza e, a tratti, gli conferisce un’aria scanzonata. Questa volta l’autore ci regala nuovi tasselli atti a comporre il puzzle. Rapidi

flashback ci concedono uno sguardo sul passato del detective mentre momenti di debolezza ci la-sciano intravedere il suo nucleo fragile, quello in cui probabilmente si annida il vero segreto del suo fascino. Cionondimeno, a fine lettura, le zone d’ombra permangono e, risolto il caso, la figura di Marlowe rimane impressa nel nostro immaginario ad alimentare la speranza di rivederlo presto in azione.

Recensione Recensione di di Miriam MastrovitoMiriam Mastrovito

Dimmi chi sei, Marlowe

Cinque sensi e un’anima

- Frank Spada

Robin Edizioni

Page 9: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

9

correrei il rischio di annoiarvi. Permettetemi di menzionare solo due persone: Massimo Baglione, admin di BraviAutori.it, un sito che trasuda arte (non solo lette-raria) e passione; Alessandro Na-politano, già autore del Foglio letterario, capace di scegliere i pezzi che vengono proposti per la rivista, fino a riunirci sotto que-sto tetto di kilobyte che odora di buono, odora di cultura.

(Continua da pagina 5)

Preciso, in ogni caso, che questo Blog è stato aggiornato di recente – dopo 909 commenti che lo avevano reso “pesante” in pochi mesi – per apri-re Il Cannocchiale a ro-vescio 2, sempre di Frank Spada, sul sito Poche chiacchiere di Ro-bin Edizioni dove si può colloquiare con l’autore. Frank Spada non è solo autore di romanzi. All’attivo ha anche di-versi racconti che, pe-raltro, hanno ottenuto vari riconoscimenti e sono stati pubblicati in diverse antologie. Di recentissima pubblica-zione la raccolta anto-

logica “Riso nero” edita da DelosBooks che, tra gli altri autori, ospita anche lei. Le va di sve-larci qualcosa a propo-sito della sua parteci-pazione a questo pro-getto editoriale? L’antologia, nata su

iniziativa degli editoriali-sti Graziano Braschi e Mauro Smocovich di-Thriller Magazine, vede riuniti 50 scrittori in un libro di oltre 250 pagine: un mix di umorismo ne-ro costituito da 25 rac-conti gialli & comici, 64 brividi brevi e numerose comiche letali racchiuse in una sola frase – Frank Spada è presente con un

racconto, sei brividi brevi e dieci comiche letali. Concludo questa piace-vole chiacchierata chiedendole di antici-parci qualcosa sui suoi progetti futuri. Avremo il piacere di rincontra-re Marlowe? Nel ringraziarla per

avermi dato la possibilità di capire un po’ meglio quel che sta succedendo, posso dirle che Marlowe ha preso appuntamento con un vecchio amico in un cimitero – probabil-mente s’incontreranno a maggio 2011.

Page 10: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

10

S ono un'assidua fre-quentatrice di forum. Uno, in particolare, è

sempre stato la mia “casa” sul web, il posto in cui sono sempre tornata, perché è lì che vive la mia “famiglia” internettiana. Quel posto speciale è The Blue Divide.

Non voglio parlare del mio rapporto con il forum (pare che il mio articolo NON occuperà tutto il resto della rivista, dimostrazione che Alessandro – il redatto-re ndr - non ha ancora capito con quale Gran-de Talento ha a che fare – l’ha capito!! Ma mi tocca dare spazio a tutti. ndr - ).

Ciò di cui voglio parlare riguarda quello che è successo alla fine di ottobre, quando ho realizzato il mio sogno di ragazzina, parteci-pando al mio primo e sicuramente memorabi-le

RADUNORADUNO

Il Raduno Blu si è svolto durante il diluvio univers... pardon, il Lucca Comics and Ga-mes.

È cominciato tutto con una telefonata e con le indicazioni per raggiungere il caffè Carduc-ci e siccome le indicazioni erano davvero otti-me (si sa, i postini...) in un batter d'occhio l'in-contro: eccoli lì, proprio come li avevo visti nelle foto (dei raduni passati o di feisbuc), tut-ti intenti a una disputa (sulla mia età -.- )!

Li incontravo per la prima volta ma la sen-sazione era ovviamente quella di rivedere gli amici di sempre e nei giorni successivi abbia-mo chiacchierato su tutto (“dovete assoluta-mente leggere la Hobb” “questi menù coi prezzi gonfiati secondo me li tirano fuori solo per la fiera” “ai miei tempi sì che Bonelli...” “chi ha visto l'ultimo post del blog di Andrea D'Angelo?”) mentre Horner si vantava per la vittoria al Trivial e Libero Assassino cercava

di fotografare il Corvo che entrava in chiesa o l'Enigmista che mangia-va un gelato. Coronamento di tutto, la cena con Terry Brooks, l'uomo che ci ha fatti (metaforicamente) in-contrare, dato che The Blue Divide nasceva come sito dedicato a lui (e ora è il suo sito uffi-ciale, terrybrooks.it). Pioggia, freddo, rocam-bolesche avventure per

cercare posteggio non hanno per nulla sminui-to la magia di una serata indimenticabile (quando ci ricapiterà di avere i camerieri ve-stiti da elfi?!). L'impagabile Brin si è rivelata una straordinaria esperta di organizzazione (con un cellulare morto e uno moribondo rie-sce a spostare 30 persone) e i ragazzi hanno dimostrato che la cavalleria non è morta, di-sposti a farsi 50 chilometri in più di strada solo per farmi partecipare all'appuntamento (tranquilli, non è stato necessario).

Anche se ho dovuto congedarmi e lasciare il ristorante in fretta e furia (gli ombrelli!) con Rainwall per correre a prendere l'autobus (che poi ha ritardato lasciandoci sotto la pioggia) me la sono goduta tutta, la serata, fino agli ultimi momenti (sull'autobus, a parlare delle edizioni storiche di Topolino o a ricordare il nick di ognuno degli altri).

Lo so, lo so, questo racconto tende allo sdolcinato, ma che posso farci? Sono di parte quando si parla della mia famiglia!

Quindi, se non avete ancora incontrato dal vivo i vostri amici di tastiera, radunatevi, gen-te, perché il risultato potrebbe essere un mo-mento di assoluta perfezione (Leah! Leah! Leah!).

DI WEB DI WEB DI WEB DI WEB DI WEB DI WEB DI WEB DI WEB

IN WEBIN WEBIN WEBIN WEBIN WEBIN WEBIN WEBIN WEB

Ylenia Zanghi

Ci vediamo tutti Ci vediamo tutti

al RADUNO!al RADUNO!

Page 11: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

11

Storia RinascimentaleStoria Rinascimentale

Page 12: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

12

Ciao Claudio, iniziamo la nostra pia-cevole conversazione con una do-manda quasi di rito: come ti sei av-vicinato alla fotografia? É da molto che scatti? Quattro anni fa non sapevo neanche

cosa fosse un otturatore. Pensavo che il diaframma fosse un anticoncezionale e che il fotografo fosse una sorta di mago con la capacità di trasformare la realtà, plasmarla a suo piacimento con l’ausilio dei suoi poteri paranormali. Chi non lo penserebbe guardando

una foto di Steve McCurry, Ansel Adam, Henry Cartier Bresson o Robert Mapplethorpe? E in parte è vero, fotografi si nasce.

Bisogna avere una certa predisposizio-ne, una certa sensibilità. Se facessimo fotografare a cento fo-

tografi lo stesso soggetto, non ne usci-rebbe una foto uguale a un'altra. O-gnuno ha la propria sensibilità, la pro-pria visione del mondo. Eppure, guardando il mondo attra-

verso gli occhi di quei fotografi che hanno fatto della fotografia un arte, possiamo migliorare il proprio modo di guardarsi attorno e di comporre le no-stre fotografie. É stato così, guardando le foto dei

professionisti della Magnum che mi sono appassionato alla fotografia. Così nel 2006 partii per un viaggio e com-prai la prima macchina fotografica di-gitale “seria” (almeno per me che avevo sempre scattato foto inutili con usa e

getta della Kodak): una Panasonic FZ20, un macchina niente male a quel tempo nel panorama delle Bridge Ca-mera, con obiettivo Leica molto lumi-noso e un bello zoom ottico. Scattai al-cune foto di luoghi, persone e natura, il risultato non era eccelso, ma erano le prime foto e io ero contento del ri-sultato.

Il buongiorno si vede dal mattino… Non direi proprio. Guardando oggi

quei trecento scatti, ne salverei quat-tro, cinque al massimo. Ma allora mi piacquero e decisi di impegnarmi a mi-gliorare. Frequentai un paio di corsi e da lì a breve feci le prime esposizioni. Alessandro, il mio maestro, un tipo duro quando si tratta di criticare una foto, mi prese ben presto “sotto la sua cupola” assieme ad altri allievi, ormai amici, con i quali organizziamo esposi-zioni e progetti fotografici.

Guardando le tue foto non è chiaro quale genere prediligi: passi dal re-portage, al ritratto, dal paesaggio al-la foto artistica… Di solito tendiamo a etichettare i fo-

tografi affibbiando loro un genere foto-grafico, quello per cui in realtà sono diventati famosi, sia esso reportage, moda, ritratto o altro. In realtà non saprei cosa rispondere

alla tua domanda, il mio approccio alla fotografia è puramente emotivo. Il sog-getto e il genere variano molto secondo

La fotografia vistaLa fotografia vistaLa fotografia vista da un “amatore”da un “amatore”da un “amatore”

dello scatto emotivodello scatto emotivodello scatto emotivo

Alessandro Napolitano

ClaudioClaudio

FallaniFallani

Le interviste Le interviste

di di

BraviAutoriBraviAutori

Page 13: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

13

il mio umore. O forse de-vo semplicemente trova-re la mia via… Mi preme specificare,

che non sono un profes-sionista, ma un semplice amatore e come amatore ho ancora molto da im-parare.

Cosa è per te la fotografia? Vedo la fotografia co-

me un arte e diffido di chi usa il fotoritocco e poi va in giro raccontan-do che quella è fotogra-fia, non capendo che tra fotografia e arte grafica c’è una bella differenza. La macchina fotografi-

ca per me è il mezzo tra-mite il quale riesco a da-re una mia interpretazio-ne della realtà.

Quindi, per effettuare uno scatto, il soggetto deve suscitarmi una cer-ta reazione che mi spin-ga a fotografarlo. Può es-sere un evento particola-re, la consistenza di un materiale, il tipo di luce, un sorriso. Qualsiasi co-sa, anche la più piccola, può far scattare il desi-derio di conservare quell’immagine. Se que-sto rapporto emotivo con il soggetto viene meno, viene meno la fotografia. Sono capace di cammi-nare giornate con chili di pesante attrezzatura fo-tografica sulle spalle senza scattare una foto. Ma sono soddisfatto quando porto a casa al-meno un buono scatto.

Quindi in genere i tuoi scatti sono spontanei? Escluso still life di pic-

coli oggetti e alcuni ri-tratti, sono rare le occa-sioni in cui costruisco una foto. Penso che una delle foto “costruite” me-glio riuscita sia quella dell’uomo allo specchio (fig.1): uno scatto in bianco e nero in cui ogni elemento all’interno di essa è un simbolo (lo specchio frammentato, il riflesso all’interno dello specchio, il crocefisso) e dove il significato è dato dalla relazione di questi.

Già a un primo sguardo superficiale si intuisce un significato più o me-no complesso, tutto da scoprire…

Foto 1 - uomo allo specchio

Page 14: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

14

Questa è una delle “eccezioni che conferma-no la (mia) regola” secon-do la quale in genere non intellettualizzo, scatto. Tempo fa, a una espo-

sizione, qualcuno mi chiese il significato di una foto, risultato di un mero impulso emotivo. A questa persona e alle altre rispondo semplice-mente che seguo le emo-zioni, difficilmente mi chiedo (al momento dello scatto) cosa significhi quello che sto fotografan-do. A meno di non seguire

un tema preciso per comporre i propri scatti, intellettualizzano in ge-nere i critici o chi osser-va, dato che per natura umana tendiamo a ricer-care un significato a tutto.

E se un significato non ci fosse (mi verrebbe da dire con intento pro-vocatorio), l’immagine sarebbe meno bella?

Forse no, ma probabil-mente più “vuota”… Non intellettualizzare

al momento dello scatto non significa che il risul-t a t o s i a s emp r e “insensato”. L’inconscio è più velo-

ce di noi, riesce a coglie-re cose di cui non siamo consapevoli e che solo dopo, riguardando il ri-sultato finale saltano alla nostra attenzione e rag-giungono la soglia della coscienza. Almeno per me è così. Come in que-sta foto (fig.2), scattata durante un Safari in Kenya nel parco Ambo-seli. Distrattamente po-

tremmo dire che è una banale foto di animali (bella o meno bella, deci-dete voi). Ma guardate attentamente… due gi-raffe sembrano fermarsi a spiare la scena da lon-tano e gli elefanti in fila (è una carovana, il terzo di elefante che esce dalla foto ce lo suggerisce), procedono avanti, imper-territi con indifferenza. Ecco quello che mi ha spinto a scattare, la tota-le indifferenza del grup-po che procede sui pro-pri passi, noncuranti di tutto quello che li circon-da. Oppure nell’altra foto

(fig.3) di una giapponese (voi non lo sapete, questo lo so solo io!) che affac-ciata dalla terrazza del Piazzale Michelangelo guarda Firenze, ma la

Foto 2 - carovana elefanti

Page 15: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

15

guarda in modo particolare, lo ammira. Ciò che ho fotografato è l’ammirazione per l’arte e non una semplice turista che guar-da Firenze. Ma questo al mo-mento dello scatto, non lo sape-vo, lo intuivo soltanto.

“Quando è ben fa t ta , la fotografia è interessante. Quando è fatta molto bene, diventa irrazionale e persino magi-ca. Non ha nulla a che vedere con la volontà o il desiderio cosciente del fotografo. Quando la fotografia accade, suc-cede senza sforzo, come un dono che non va interrogato né analizza-to. “

Elliott Erwitt

Foto 3 - giapponese “ammira” Firenze

Foto 4 - volto di donna

Page 16: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

16

Studiare il latinoStudiare il latinoStudiare il latino è ancora utile?è ancora utile?è ancora utile?

Un dibattito apertoUn dibattito apertoUn dibattito aperto

Il latinoIl latino

e noie noi

N egli ultimi anni è stato molto acceso il dibattito sulla neces-sità o meno di mantenere lo

studio del latino in ordini di studio di-versi dal liceo classico, e in particolare nel liceo linguistico e psico-pedagogico e nel liceo scientifico. Molti si sono chiesti perché perse-

guire lo studio di una lingua che non è più parlata da secoli ed esigere dagli studenti un impe-gno aggiuntivo e non certo molto a-g e v o l e nell’apprendimento di questa lingua che all’apparenza pare non “serva a niente”. In effetti la recen-

te riforma Gelmini ha leggermente ridi-mensionato il carico di monte ore destinato allo studio del latino ma non l’ha abolito, evidente-mente per delle ragioni che non hanno tenuto conto di proposte frettolose e superficiali che avrebbero voluto liqui-dare in quattro e quattr’otto un baga-glio culturale dalle tradizioni consoli-date e capace di fornire agli studenti una formidabile abilità logica e di ap-profondimento della lingua madre. Il fatto è che spesso ci si dimentica

che l’italiano è figlio del latino e che un’analisi comparata e “contrastiva” fra le due lingue può senza dubbio raf-

forzare le competenze linguistiche della lingua che adesso parliamo, permet-tendo ai ragazzi di prendere coscienza che la maggior parte delle parole che usiamo nella vita quotidiana derivano proprio da quel latino che si vorrebbe cancellare o relegare agli studi specia-listici di pochi eletti. A questa crescente demonizzazione

del latino ha contribuito l’adozione di un metodo rigi-do e normativo da parte dei do-centi, metodo che non appare più idoneo alla “forma mentis” delle nuove ge-n e r a z i o n i . Per lo più il lati-no è stato fatto odiare dal gram-maticalismo, os-

sia da una scuola che ha insegnato troppa grammatica e non la vera lin-gua, tediando e demotivando l’adolescente con esasperanti eccezioni studiate a memoria e con norme sin-tattiche finalizzate a una traduzione in latino oggi priva di senso. Prima di tutto è fondamentale che

gli studenti fin dal primo giorno sentano il desiderio di intraprendere lo studio del latino come quello di una nuova e avvincente disciplina e di rica-varne il massimo profitto, consapevoli che la conoscenza del latino non potrà

Angela Di Salvo

Page 17: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

17

non essere per loro che un grande arricchimento spirituale. Varrà la pena di ricordare ai ragazzi co-me lo studio del latino, c o m e q u e l l o dell’archeologia, sia l’unico strumento di cui disponiamo per acqui-stare una conoscenza viva della cultura dell’antica Roma in cui affonda le proprie radici tutta la nostra civiltà oc-cidentale. Il modo di vivere e i

valori del popolo romano, la storia dell’impero, la letteratura e l’arte di Ro-ma che assimila e riela-bora la cultura greca, co-stituiscono l’eredita di u-na delle età più impor-tanti del genere umano , e questa eredità vive tut-tora nel nostro mondo. Ma non solo. Il latino è stato lo

strumento principale con cui la civiltà occidentale si è espressa nel Medioe-vo, nell’Umanesimo, nel Rinascimento e nell’età moderna; in questa lin-gua sono state composte opere fondamentali per il progresso morale, civile, politico, giuridico, scien-t i f ico e f i losof ico dell’intera umanità. Nel dibattito culturale

a favore del latino sono state addotte numerose ragioni che, da sole, non sono sufficienti a giustifi-care la scelta dello studio del latino. Luigi Miraglia nel suo

libro “Nova via. Latine doceo” elenca alcune di queste argomentazioni, suggerite da varie parti a

supporto della validità dello studio del latino nelle scuole, ritenendole troppo deboli per poter fare vera presa sugli ani-mi degli adolescenti. Lo studioso afferma

che è vero che ancora og-gi la nomenclatura scientifica della zoologia, della botanica, della me-dicina e della giurispru-denza sono in latino. Ma questo può giustifica-re le ore che il ragazzo impiegherà a studiare

questa lingua nel suo percorso liceale? S’usano ancora molte

espressioni latine (“la ratio” di una legge, il “ r e f e r e n d um ” , i l “quorum”, il “qui pro quo”, “verba volant, scripta manent”, “in itinere”, “lupus in fabula”, “bis”, “gratis”, ”curriculum”, ”facsimile”, ”idem” , “post scriptum”, “in extremis”, “pro capi-t e ” , “ vademecum” , “tabula rasa” ,”dulcis in fundo”, “lapsus” ,”ex ae-quo”, “promemoria”, ecc.ecc.), mostrando an-che come esse siano tal-

mente note e usate da essere spesso oggetto di distorsione a scopo umo-ristico (si pensi ad alcu-ne piccole perle di Totò) o per finalità pubblicita-rie: ma può questo relitto di vita essere il motivo per cui si debba studiare per cinque anni una lin-gua? Che il latino so-pravviva ancora nella chiesa cattolica, rima-nendo formalmente la lingua delle encicliche, delle bolle, dei brevi, re-centemente richiamata dall’esilio liturgico, non entusiasmerà più di tan-to i nostri ragazzi. Miraglia pone invece

l’accento sull’apprendi-mento dell’italiano e sul lessico latino perché con questa scelta si potrà fa-cilmente permettere ai discenti di prendere atto degli enormi vantaggi che l’apprendere il latino porterà loro per una mi-gliore conoscenza e una più ampia consapevolez-za della lingua che usa-no ogni giorno Sarà interessante no-

tare l’evoluzione del lati-no nelle lingue romanze e i n p a r t i c o l a r e nell’italiano, lo sbocco nelle lingue neolatine, la sua sopravvivenza nelle “voci dotte”, prese dal la-

Cicerone

Page 18: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

18

tino e rimaste nell’uso delle persone colte. Il valore dello studio

del latino è magistral-mente spiegato da Man-druzzato nel suo interes-sante libro “Il piacere del latino”, in cui dichiara che è possibile far com-prendere, anche con semplici esempi, che lo studio della lingua di Ro-ma è indispensabile per formarci quel gusto che ci permette di leggere i nostri grandi scrittori con una più fine sensibi-lità per il loro stile e le loro scelte stilistiche e sintattiche, molto spesso modellate o ricalcate sul latino. Lo studio del latino

non può essere messo in secondo piano rispetto allo studio delle lingue straniere perché un ap-prendimento più accura-to della grammatica e della sintassi porterà lo-ro, come sostengono i fautori della “Formale Bildung”, una maggiore capacità analitica e at-tentiva finalizzata alla comprensione dei feno-meni e della struttura di tutte le lingue che even-tualmente potranno es-sere apprese nell’arco della loro vita. Le ragioni della so-

pravvivenza del latino vanno di certo ricercate non solo nell’incalcola-bile peso culturale patrimonio della nostra civiltà, nell’accesso alla storia e alla memoria ma in particolare in un pae-se come l’Italia, le ragioni sono quelle della sua

promozione, della sua crescita, della sua valo-r i z z a z i on e s i a a livello scolastico che a li-vello universitario. Una solida conoscenza

linguistica permette un i m m e d i a t o e autentico legame con l’antropologia culturale, con l’antichità classica e con il recupero delle no-stre lontane radici. Molti di coloro, che nel

passato hanno studiato il latino, affermano che è una lingua difficile ma è

vero esattamente il con-trario, l’hanno studiata soltanto male. Non si tratta affatto di

una materia per iniziati o per superdotati, è una lingua e, come tutte le lingue, può essere impa-rata con i metodi giusti e con il giusto impegno. La lettura dei testi

(non solo quelli classici antichi ma anche i testi del medioevo,del Rinasci-mento e dell’età moder-na) è la meta che biso-gna raggiungere attra-verso un “colloquio” e

non con una faticosa de-cifrazione, così da sentire e ascoltare il messaggio che viene da chi - come scr ive Mirag l ia - (generazioni di uomini e l’improba fatica di scribi e copisti o la cura di bi-bliotecari) ha ritenuto di dover salvare dall’oblio. Dopo che finalmente si

è capito che quello che non andava era il meto-do e non la difficoltà in-trinseca del latino, molti studiosi di recente si so-no adoperati per rinno-vare le metodologie di-dattiche obsolete e de-motivanti, proponendo soluzioni alternative. Di recente molto suc-

cesso ha avuto il metodo di Hans Orberg che pro-pone l’apprendimen-to del latino attraverso dei moduli didattici ricalcati sullo studio delle lingue vive e sulla centralità del testo, recuperando il me-t o d o d e g l i umanisti e partendo dal-la memorizzazione gra-duale del lessico di base fino a giungere, con le necessarie ma semplifi-cate conoscenze morfo-sintattiche, a un appren-dimento proficuo e rapi-do della lingua di Roma facendo leva proprio sull’importanza del lessi-co e delle parole chiave della cultura romana. Come afferma anche

Angelo Diotti nella prefa-zione del suo testo scola-stico “Lexis”, partendo da uno studio sistemati-co del lessico di base e da esercizi mirati di con-testualizzazione risulterà

Giulio Cesare

Page 19: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

19

molto più agevole e velo-ce la comprensione te-stuale, obiettivo basilare e irrinunciabile per poter accostare i testi letterari direttamente in lingua o-riginale per analizzarli e “gustarli”. Una metodologia di

questo tipo risulta in perfetta sintonia con lo studio sia della lingua materna, sia delle lingue straniere moderne, a patto che il lessico e i te-sti latini proposti siano rappresentativi di tutte le varietà linguistiche e, soprattutto, dei linguaggi settoriali (della politica, del diritto, della storia, della filosofia, della reli-gione,della scienza, dell’alimentazione, dei “ludi”). Del resto la cono-scenza dei termini utiliz-zati dalla lingua latina ri-sulterà in ogni caso mol-to vantaggiosa, se si pen-sa che, in un moderno vocabolario della lingua italiana, mediamente il 54,28% dei lemmi pre-sentano un’etimologia derivante dal latino. E se

prendiamo in considera-zione le 60.000 parole del lessico di base dell’italiano, la percentu-ale di termini con radici latine sale addirittura al 98%.” Se così è, come è mai

possibile che dopo cin-que anni di studio scola-stico di una lingua stra-niera moderna un allievo sia in grado di compren-dere bene o discretamen-te i testi (oltre che di pro-durne), mentre dopo gli stessi anni di latino, lo stesso allievo riesca a malapena a tradurre (e s p e s s o inadeguatamente) un passo di Cicerone? É evidente che nel

passato si è sba-gliato tutto, so-p r a t t u t t o l’approccio meto-dologico. Se la scuola cambierà strada e applicherà la giusta metodolo-gia, potrà salvare il latino da una ingiusta e immeritata deca-denza, permet-tendoci di riap-propriarci di un patrimonio cul-

turale che ci appartiene e facendo acquisire alle nuove generazioni uno strumento formidabile capace di superare i con-fini spaziali e temporali in un colloquio vitale con coloro che, come scrisse Petrarca,

“volti verso il mondo molti secoli prima di noi, vivono c o n n o i , abitano con noi, ci parlano ancora”.

Nessun Dove Pianeta Fantasy

via Montecitorio, 29

70023 Gioia del Colle BA www.pianetafantasy.com

Enciclopedia online in latino

Sito scolastico dedicato allo studio del latino

Page 20: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

20

Abbiamo il piacere di intervistare Roberto Quagliano, regista, e responsa-bile della neonata rivista letteraria “Rivista 451”.

Roberto, siamo felici di ospitarti su queste pagine e condividere con te qualche momento di piacere lettera-rio. Raccontaci di questo nuovo pro-getto: la Rivista 451. Grazie a voi, per avermi invitato.

Questo progetto di cui sono responsa-bile è la continuazione dell'edizione ita-liana su carta e on line della New York Review of Books, e la produzione di u-na sua versione in video seguendo le tecniche di videoletteratura già da me usate per produrre le versioni video degli articoli Pubblico & Privato di Al-beroni (per RAI 3), dei Salmi della Bib-bia (RAI UNO), del Profeta di Gibran (RAI 3), delle poesie di Attilio Bertoluc-ci (RAI 2), del saggio di filosofia "L'Illusione della Fine" di J Baudrillard (RAI 2), dei romanzi "Cent'anni di soli-tudine" e "Il senso di Smilla per la ne-ve" (Canale 5), e diversi altri. I più cu-riosi potranno trovare qualche esempio d i v i d e o l e t t u r a c l i c c a n d o w w w . k a m e l f i l m . i t , o p p u r e http://vimeo.com/15318874

Di cosa tratta la rivista NY Review of Books? La rivista parte dall'occasione

dell'uscita di nuovi libri per parlare in modo aggiornato e approfondito di tut-

te le materie del sapere sia scientifico che umanistico al di là di come il tema venga trattato nel libro uscito. In ogni numero mensile ci sono articoli di premi Nobel o di accademici delle più prestigiose università americane e inglesi. Ma la cosa straordinaria è che le materie sono trattate in modo assolutamente non accademico e quin-di alla portata di un vastissimo pubblico, se solo fosse a conoscenza dell'esistenza della Rivista stessa.

RobertoRoberto

QuaglianoQuagliano

Regista eRegista eRegista e responsabile diresponsabile diresponsabile di

Rivista 451Rivista 451Rivista 451

Alessandro Napolitano

Le interviste Le interviste

di di

BraviAutoriBraviAutori

Page 21: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

21

Sono certo che la frui-bilità di questi articoli diventerà un’arma a tu-o favore. Spiegaci come pensi di elaborare la versione in video degli articoli. Parto da un esempio

concreto per rendere me-glio l'idea di base. Nel febbraio di quest'anno è apparso sulla NYR un articolo dal titolo "Un salto nel grande ignoto". L'articolo consiste nella r e c e n s i o n e d e l volume di Frank Wilczek “La leggerezza dell'esse-re. La massa, l'etere e l'unificazione delle forze” appena pubblicato da Ei-naud i e i l l u s t r a le tesi sostenute dallo stesso dall'autore, pre-m i o N o b e l p e r la fisica nel 2004. Wilczek è uno dei più brillanti fisici delle parti-celle e commentando questo testo, il redattore dell'articolo Freeman Dyson (professore di fisi-ca a Princeton) coglie l'occasione per fare un quadro aggiornato di quella branca della fisica che cerca di comprende-re i più piccoli elementi costitutivi del cielo e del-la terra. Caratteristica di que-

sto articolo, come di qua-si tutti quelli che appaio-no sulla Rivista, è di par-tire dal motivo contin-gente del commento alla particolare uscita edito-riale per poi tratteggiare un profilo storico della materia in oggetto in un sintetico ma esaustivo excursus.

L 'a r t i co lo in sostanza diviene occa-sione per ag-giornare l'e-sperto sugli esiti ultimi della ricerca nel particola-re settore e per rendere e d o t t o il non profes-sionista su quello che è il percorso sto-rico in cui la ricerca stessa si è inseri-ta. Il tutto con linguaggio estremamente compren-sibile e il più delle volte molto adatto ad una sua trasposizione in video.

Come saranno struttu-rati i video che produr-rete? Come agevolerete chi ascolterà i vostri contenuti? Nella realizzazione del

video, della durata pre-sumibile di 15 minuti, allo speaker fuori campo che leggerà le parole dell'autore si affianche-ranno le immagini di supporto alle parole. Im-magini che a volte avranno un riferimento diretto con le parole stes-se ed a volte evocheran-no il racconto e i concetti più per via espressiva che non denotativa (seguendo l'esempio già da noi adottato nei lavori di videoletteratura).

Sarebbe interessante un impiego che potesse andare oltre il semplice intrattenimento.

Ci proveremo. Come potete immaginare, l'uti-lizzo di questi video e quindi della versione vi-deo della rivista in ambi-to scolastico sarebbe estremamente innovativo e di sicuro appeal per gli studenti.

Veramente interessan-te. Noi per il momento ti ringraziamo per aver-ci tenuto compagnia. Aspettiamo tue notizie circa l’evolversi del progetto di videolettu-ra e l’uscita del forma-to cartaceo della Rivista 451. E io ringrazio voi per

l’occasione che mi avete concesso, con la promes-sa che ci risentiremo quanto prima.

Software autoprodotto di pubblico dominio, in italiano

www.micla.org

Page 22: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

22

L a sera che conobbi Bruno ero uno schianto: maglioncino rosso scollato dietro, capelli in ordine

(ero appena passata da Jill) e truccata divinamente. Una sera adatta a conoscere qual-

cuno con cui mettersi per un po'. Ma occorre fare attenzione a ciò che

si chiede: a volte gli dei esaudiscono le nostre richieste. Andai da Jack, al Quattro Assi, un

pub sulla Strip. Ha un'insegna al neon che si illumina in progressione: un mazzo da poker in cui prima brilla-no i cuori, poi quadri, fiori e picche. Una volta accese tutte, le luci nel pro-filo dell'insegna si mettono a sfarfalla-re impazzite per qualche istante. Quella sera bagnavano di bagliori multicolore la faccia del buttafuori. Era uno nuovo. Un armadio. Taglio da marine, fac-

ciona da bambino, sguardo cupo. Svettava sul mare di teste altrui al-

meno trenta centimetri. E mi stava os-servando. Fissava la mia schiena nuda. Lo ve-

devo riflesso nello specchio sopra il bancone. Mi girai. Abbassò gli occhi, voltan-

dosi dall'altra parte. Un timido, qui, è come una perla in un banchetto di cianfrusaglie al mercato. L'ingenuità è merce assai rara, a Las Vegas. Nonostante tutto, amo questa città.

La amo quando sfavilla di luci già al crepuscolo e la amo addormentata nel sole accecante che arroventa la Strip alle due del pomeriggio. Non chiedetemi di abitarci, però.

Sto bene qui, dove comincia il deserto. Il Mojave. Tutta la libertà immagi-

nabile… Non saprei più farne a meno. Le mie fantasticherie spaziano, indi-sturbate, sullo sfondo di uno scenario immutabile agli occhi umani. Nel deserto non abbiamo stagioni.

Per me lo scorrere del tempo è scandi-to dai costumi in preparazione. Non l'ho detto? Faccio la sarta. Ho studiato da costumista a

Hollywood, e son finita a cucire pail-lettes per le ballerine che si esibiscono nei night di Las Vegas. Da gennaio a marzo lavoro alle divi-

se del Caesars, quelle delle ragazze ve-stite da ancelle romane. Tulle bianco e fermagli dorati in giro per ogni stanza. Da aprile a giugno ho l'invasione delle ali di farfalla del Mirage. Strass di qualunque sfumatura dal lavanda al glicine al viola, dappertutto: anche nella scatola dei cereali. Da luglio a settembre piovono le

paillette nere e oro della parodia sexy di Cats. Da ottobre a Capodanno lavo-ro per il corpo di ballo di Cher, una magnificenza. Piume di struzzo, lamé luccicante,

borchie e fibbie incrostano tutti i co-stumi di scena, ricchissimi… Li ap-poggio sullo stenditoio per evitare che

Via daVia da

Las VegasLas Vegas

Il racconto vincitore Il racconto vincitore Il racconto vincitore della GARA 16 deldella GARA 16 deldella GARA 16 del forum Bravi Autoriforum Bravi Autoriforum Bravi Autori

i raccontii racconti

di di

BraviAutoriBraviAutori

Patrizia Birtolo

Page 23: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

23

Prince, il mio soriano, ci si faccia le unghie. Certe volte mi incanto ammirandoli del-le mezz’ore. Ago e filo non sono solo

un cucchiaio, per me. Ci mangio, certo, ma il punto è che… È così bello avere tutti

questi costumi per casa. Mi dà l'impressione di fa-

re qualcosa di artistico, non so se mi spiego. Con gli uomini non sono

mai stata fortunata. Con Bruno, credevo che

la sorte cominciasse a sorridermi. All'inizio ci studiavamo a ogni pas-

so. Del resto, non avevo mai convissu-

to. Lui non era tipo da raccontarsi molto. Sembrava che ogni cosa lo mettesse

in impaccio, sembrava perennemente a disagio per tutto. Questo faceva stare sulle spine an-

che me. Sempre col dubbio di dirgli (o di fa-

re) qualcosa di sbagliato. Continuava a lavorare come butta-

fuori al Quattro Assi. Prendeva la macchina, andava in città. Tornava a notte fonda. Si sdraiava accanto a me, cercando di non svegliarmi. Facevo finta di dormire, però. Non riuscivo a chiudere occhio, finché non rincasava. La mattina si svegliava comunque

per primo, facendomi trovare la cola-zione pronta. La prima volta che prese la paga do-

po che era venuto a stare da me, gettò tutto il rotolo di banconote sul tavolo. Disse, con un certo imbarazzato fasti-dio: — Puoi tenerli tu? Non ci ho mai

capito niente, con questi. E io, stupita: va bene. Li misi in

una scatola con un piccolo lucchetto, la chiusi. — Son soldi tuoi, tieni — dissi, por-

gendogli la chiave.

— La perderei subito. Occupatene tu per favore, vuoi? Se mi serve qual-cosa te li chiederò. Mai incontrato uno così. Si fidava.

Non aveva mai alzato le mani, anzi, mi rispettava. Di più: mi proteggeva, si prendeva

cura di me. Mi stava addirittura man-tenendo. Sempre gentile. In cambio chiedeva solo di essere

amato. In un certo senso, un essere proveniente da un altro pianeta. Scherzi a parte, Bruno era strano.

Quel rapporto così bizzarro con le cose materiali, per esempio. Come se non desse loro alcuna importanza. Nell'armadio del suo miniapparta-

mento, in quel residence sulla Strip, c'erano parecchi vestiti di buon taglio, e belle scarpe. Ci teneva a presentarsi bene, sul lavoro. Beh, prima di andarsene di lì, era

entrato in bagno. Aveva preso solo lo spazzolino da denti. — Ma Bruno, e tutte le tue cose? — Voglio ricominciare da capo. —

aveva detto lui, con una specie di osti-nata tenerezza — Lascio tutto qui. E l'aveva fatto davvero. Una sera, mentre guardavamo la

televisione, Bruno disse: perché non ci sposiamo? Risposi: già, perché no?

Page 24: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

24

Buffo, Las Vegas a due passi e nes-suno dei due c'aveva ancora pensato. Così ci sposammo. Cucii un vestito

corto, di un rosa chiarissimo, molto raffinato. Avevo uno splendido bouquet, scel-

to da lui. Jill mi aveva pettinato i ca-pelli raccolti. Sembravo un angelo. Bruno era andato a cercare uno smo-king in un bel negozio del centro. Disse che non voleva affittarlo, lo

avrebbe comprato e conservato come ricordo. La cerimonia fu semplice, ma toc-

cante. Lasciò decidere tutto a me. Io volli quella canzone intitolata "The man with the child in his eyes": mi fa-ceva pensare a lui. Jill però brontolò, perché avevamo

rotto la tradizione. Sarei dovuta anda-re a dormire da lei, diceva, per non ve-dere lo sposo la mattina delle nozze. Quante baggianate, pensai. Un mese dopo il nostro matrimonio,

una volante si fermò davanti casa. Uscii in veranda. Non era necessa-

rio tirare a indovinare: bastava guar-dare le facce dei due agenti.

Facce di circostanza. Sparatorie ce ne sono ogni tanto,

giù in centro. Nonostante tutto, amo ancora la

città. Amo Las Vegas quando sfavilla di luci, e la amo addormentata nel so-le accecante della Strip, alle due del pomeriggio. Non voglio più metterci piede, però. L'occorrente per i costumi me lo

portano a casa i ragazzi della sicurez-za dei Casinò. Lo fanno come un favore personale.

Alcuni erano amici di Bruno. Mentre cucio, ogni tanto sollevo lo

sguardo, lasciandolo vagare fuori dalla finestra aperta. Dalla mia camera con vista sul de-

serto, ogni miraggio, nel tremolante calore di un'incolmabile distanza, mi sembra sia Bruno. Socchiudo gli oc-chi, trattengo l'illusione di vederlo, an-cora una volta, che risale a passi lenti verso casa. E torna da me.

La grande opera evoliana sullo spiritualismo moderno Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, (1932), più volte ristampata, costituisce una vera e propria Guida al mondo maledetto dell’Esoterismo occidentale, in ogni suo aspetto più o meno tradiziona-le, allo scopo di fornire un mezzo di ricerca illuminante, simile a una torcia che rischiari gli oscuri tunnel della sapienza occulta, giunta fino a noi.

Il saggio di Maurizio Maggioni analizza la Guida critica di Julius Evola, evidenziandone la funzione di sicurezza e di terapeutica, quale monito sul pericolo rappresentato dalle sette esoteriche e dall’impiego di tecniche ermetiche senza la dovuta preparazione.

In particolare, l’autore commenta la dottrina della Tradizione Solare Primordiale (la solarità nordica sorta dall’Ultima Thule) di René Gué-non, riformulata da Julius Evola, in opposizione alle moderne deviazio-ni dell’Occultismo e dell’Esoterismo.

Nel saggio filosofico-esoterico di Maurizio Maggioni vediamo, quindi, la stringente critica e-voliana (per la difesa della personalità umana) appuntarsi sulle Correnti dello Spiritismo, della Teosofia e dell’Antroposofia (al Capitolo 3), con uno studio critico sul Nazismo magico (Capitolo 4) e un’analisi interessante del Cattolicesimo esoterico (Capitolo 5). Di Satanismo e Stregoneria nonché del Culto di Thelema si parla poi nei Capitoli 6 e 7, mentre una ricerca approfondita dell’Alta Magia Cerimoniale (Capitolo 8) va a chiudere il saggio con le Note conclusive critiche

dal Catalogo de Il foglio letterario - www.foglioletterario.it

Page 25: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

25

U n paio di fine settimana l'anno, abitualmente ad aprile e otto-bre, a Bologna vengono orga-

nizzate delle mostre-mercato dedicate ai fumetti. Il che non stupisce: Bologna è una città profondamente legata alle arti in genere e, tra queste, ai fumetti: ha dato i natali a Roberto Raviola in arte Magnus, straordinario disegnatore di personaggi quali Alan Ford, Satanik, Kriminal, Lo Sconosciuto, per citarne solo alcuni; vi ha vissuto gli anni arti-sticamente più significativi della sua breve vita il marchigiano Andrea Pazienza; vi viene annualmente orga-nizzato il Bol Bol Bul, manifestazione che si fregia del titolo di “festival inter-nazionale del fumetto”, e nel cui ambi-t o v i e n e al lest ita una m o s t r a d e d i c a t a a uno o p iù d i s e g n a t o r i (memorabile quel-la dedicata per l ' a p p un t o a Magnus tenutasi nel 2006-2007 presso la Pinaco-teca Nazionale). Il 16 e 17 otto-

bre scorso ha a-vuto luogo l'edi-zione autunnale della mostra-mercato dei fu-

metti, come di consueto al Palanord (mi raccontava un amico bolognese che un tempo la fiera dei fumetti si te-neva in centro città, a Palazzo Re Enzo in piazza del Nettuno, che peraltro tut-tora ospita manifestazioni e rassegne legate anche ai fumetti), una tenso-struttura ubicata nell'ampio spiazzo del Parco Nord in Via Stalingrado, a (chi l'avrebbe mai detto) nord della cit-tà felsinea. Avendo in programma di recarmici

sabato con tre amici (due dei quali giunti dalla Puglia per l'occasione), il venerdì sera precedente ho messo sot-to carica la batteria della fida Oly, con cui scattare qualche foto per immorta-lare l'evento, e ho recuperato dal por-

Cronaca di una Cronaca di una Cronaca di una mostramostramostra---mercato per mercato per mercato per

appassionati di fumettiappassionati di fumettiappassionati di fumetti

Fiera del FumettoFiera del Fumetto

Bologna 2010Bologna 2010

Cataldo Balducci

Page 26: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

26

tafoglio i piccoli volantini pubblicitari da me raz-ziati nel corso dell'edizio-ne dell'aprile precedente (danti diritto a un euro di sconto – non cumula-bile – sul prezzo del bi-glietto d'ingresso). Alle dieci e un quarto

d'una mattina dal clima sorprendentemente cle-mente (era attesa pioggia per tutto il giorno), dopo una brevissima coda alla biglietteria (il grosso dei visitatori mi aveva evi-dentemente preceduto), sono entrato alla fiera. Puntuale come sem-

pre, la vista dell'impo-nente distesa di tavoli e scaffali carichi di fumetti e pubblicazioni varie – in gran parte d'epoca – ha posto il mio animo di ul-tra-quarantenne in uno stato che era un misto di nostalgia e rammarico. Già, perché nel rivede-

re i giornaletti (sì, perché negli anni settanta io i fumetti li chiamavo così, o a l m a s s i m o “giornalini”: già una ter-minologia tipo “albi a fu-metti” ai tempi mi sareb-be sembrata vagamente pretenziosa, figuriamoci l'anglosassone “graphic novel” ora in voga) che leggevo da ragazzo (intendendo con “da ra-gazzo” l'età che va dai sei ai quindici anni) vengo puntualmente colto da una pungente malinco-nia per l'ormai lontana adolescenza che una così massiccia dose di déjà vu non manca mai di procurarmi.

Rammarico perché, al di là di venali considera-zioni sul valore economi-co che tali oggetti avreb-bero guadagnato nel tempo se non fossero an-dati smarriti in uno dei miei tanti traslochi (quando, lo confesso, non me ne sbarazzai in-tenzionalmente), nel rive-derli sulle bancarelle del-le fiere, accuratamente incellofanati nelle appo-site buste trasparenti, mi rendo conto che mi pia-cerebbe possederli anco-ra; per poterli, di quando in quando, riprendere in

mano e leggiucchiare di-strattamente. Superato questo primo

momento emotivamente complesso, la mia atten-zione torna presto a con-centrarsi su quanto è esposto negli stand: in primo luogo, natural-mente, fumetti, sia d'e-poca che contemporanei, sia occidentali (comprese edizioni originali di nu-merose pubblicazioni no rdamer i cane ) che manga giapponesi, e poi accessori (quali, come ho già accennato, le buste di plastica per la corretta

Page 27: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

27

conservazione degli albi), action figures e gadgets dei più vari personaggi (in gran parte comunque tratti da manga e anime, ma anche, ad esempio, dalla serie di Guerre Stellari), vecchie riviste (soprattutto di genere “osé”), dvd di cartoni ani-mati (in gran parte giap-ponesi) e non, vecchi gio-cat to l i e v ideogiochi (anche di alcuni anni fa, e s i a s o f t w a r e c h e hardware: una console Dreamcast con tanto cd di Sega Rally faceva ca-polino da uno scatolone), e poi vecchi libri.

Qui debbo aprire una non breve parentesi: molti dei libri in vendita alla fiera sono numeri di collane di fantascienza pubblicate in Italia a partire dagli anni 50: in primo luogo la mondado-riana Urania, natural-mente, ma anche le serie Cosmo (Oro e Argento) della Editrice Nord, o Galassia, edita negli anni '60 e '70 dalla casa edi-trice piacentina La Tri-buna, oggi passata alle pubblicazioni giuridiche – e, visto il tenore delle norme attualmente vi-genti nel nostro ordina-mento, non mi sentirei di

affermare con assoluta certezza che si tratti d'un cambio di genere –, ed altre ancora. In questi anni ne ho approfittato essenzialmente per ac-quistare alcuni vecchi romanzi del mio autore di fantascienza preferito (per la cronaca: Lyon Sprague de Camp; rim-piangerò tutta la vita di non aver comprato la vecchia edizione d'un suo romanzo giudicando-ne esagerato il prezzo ri-chiestomi – 25 euro –, giustificato, a detta del venditore, dalla circo-stanza che si trattava del primo numero d'una pubblicazione: qualsiasi cosa abbia mai scritto de Camp, fosse pure una li-sta per la spesa, vale ampiamente quella som-ma). Da segnalare (e qui

chiudo con la fantascien-za) la presenza in fiera d'uno stand della casa e-ditrice bolognese Elara, erede diretta delle stori-che case Libra e Perseo, la quale esponeva il pro-prio catalogo composto da pregevoli edizioni di classici internazionali della fantascienza e da nuove uscite di talentuo-si autori italiani. Natu-ralmente era presente al-lo stand anche Ugo Ma-laguti (autore, anima storica delle summenzio-nate case editrici e tutt'ora direttore della prestigiosa rivista Nova Sf*). Tornando ai fumetti,

molti dei visitatori della fiera però non sono sem-

Page 28: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

28

plici curiosi un po' no-stalgici come il sotto-scritto, ma collezionisti i n c e r c a d e i (generalmente pochi) nu-meri che gli mancano per completare le proprie raccolte. Li si riconosce facil-

mente: si aggirano tra gli stand scrutando con un occhio le scritte sui dorsi degli albi stipati in lun-ghi scaffali e con l'altro i fogli di carta (talvolta di taccuino e scritti a ma-no) che tengono tra le di-ta con sopra elencati i numeri delle varie colla-ne di cui sono alla ricer-ca. Capita che li trovino

da più d'un espositore, e allora contrattano il prezzo chiedendo sconti a seconda dello stato di conservazione degli albi o della quantità dei nu-meri che intendano ac-quistare. Vi sono poi gli appas-

sionati delle tavole origi-nali dei fumetti, il cui prezzo varia dai pochi euro alle centinaia (o an-che alle migliaia) di euro in base a vari parametri: le quotazioni raggiunte dal loro autore, la loro rarità (magari vengono dall'unico albo d'un certo personaggio realizzato da quel disegnatore), il loro soggetto (in generale, se su una tavola è ritratto il personaggio protagoni-sta, questa vale di più, così come se sia addirit-tura l'originale d'una co-pertina) e, aggiungerei, da ultimo anche il suo valore artistico (un bel

disegno, magari piutto-sto dettagliato, vale più di uno non particolar-mente complesso). Agli stand dei commercianti di tavole presenti alla fie-ra questi collezionisti passano parecchio tem-po sfogliando i raccogli-tori di tavole (immagino abbiano un nome più specifico, che però igno-ro: sembrano grandi al-bum per fotografie). Lo faccio anch'io: anche se poi non compro nulla, è sempre affascinante guardare una tavola ori-ginale. E, ove si acquisti (si

tratta d'una passione piuttosto onerosa, come si sarà compreso, anche se, sapendosi muovere, può essere senz'altro considerata una forma d'investimento alquanto redditizia), anche per le tavole è ovviamente pras-si trattare col venditore sul prezzo o chiedere sconti quantità. Quello dei collezionisti di tavole è un circolo piuttosto ri-stretto, e in genere que-sti ultimi sono clienti a-bituali dei commercianti del settore (a loro volta appassionati di fumetti), coi quale dunque spesso vi è un rapporto quasi a-micale. Erano presenti in fiera

quella mattina anche al-cuni disegnatori che, in genere previo acquisto di una loro opera, realizza-vano un disegno su una delle pagine bianche di-sponibili nella stessa. Tra costoro menziono l'unico che io conosca

personalmente, il mila-nese Beniamino del Vec-chio. A fine mattinata, dopo

aver dato un'ultima ra-vanata nel cestone delle occasioni dei fumetti (con un po' di fortuna per pochi euro si posso-no talvolta portare a ca-sa veri e propri capolavo-ri, come “V per Vendetta” di Moore e Lloyd, o riedi-zioni degli anni novanta dei primissimi numeri di Kriminal o Satanik) e in quello dei dvd, stavolta però senza trovare nulla d'interessante, a parte, tra i dvd, alcuni numeri della raccolta della prima serie (che molti, tra cui il sottoscritto, considerano la migliore di sempre: basti dire che molti degli episodi che la compongo-no furono diretti da Ha-yao Miyazaki) dei cartoni di Lupin III (serie meglio conosciuta come quella della “giacca verde”, ap-punto dal colore della giacca del protagonista, che diventerà definitiva-mente rossa dalla serie successiva), che però a-vevo appena acquistato nella versione in cofanet-to, mi sono ricongiunto agli amici con i quali ero arrivato. Soddisfatti dei rispettivi acquisti e colti dai morsi della fame, ab-biamo lasciato la fiera di-retti a una pizzeria su Via Emilia Levante che, oltre a fare un'apprezza-bile pizza alla napoletana (ossia alta e soffice) ha il pregio di restare aperta fino a pomeriggio inoltra-to.

Page 29: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

29

Frank

I miei fumetti Frugolino, Miciolino, Bingo, Puffi, Polentina, Zenone, Massimiliano….

Edizione Speciale per collezionisti – a cura di Luca Boschi Pag. 240 – Euro 15,00

Anafi - http://www.amicidelfumetto.it/ Franco Privitera, in arte Frank, è un

grande maestro del fumetto comico italia-no, che bene ha fatto l’Associazione Nazio-nale Amici del Fumetto a riscoprire in un testo curato egregiamente da Luca Boschi. I miei fumetti è dedicato a tutti i lettori che - come l’autore - mantengono vivo il bambi-no che è in loro e farà emozionare chi è na-to nel periodo compreso dal 1950 al 1960 perché ritroverà gli eroi della sua infanzia. Erano tempi d’oro per i fumetti, le edicole straripavano di albi multicolori e i bambini avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di posse-derne in grande quantità. Francesco Privite-ra è uno dei disegnatori più prolifici del pe-riodo storico, che produce senza sosta una galleria sterminata di personaggi pubblicati su albi di poche pagine da editori effimeri e s p e s s o i m p r o v v i s a t i . Bingo, Nonno Bistecca, Miciolino, Polenti-na, Massimiliano, Pouffi, Zenone il cocco-drillo… non sono che pochi nomi di un va-sto Pantheon che trae ispirazione dalla ge-nialità di Walt Disney, ma che resta ottimo artigianato a uso e consumo dei bambini italiani. Privitera ha un grande successo, viene tradotto in Francia, Olanda, Spagna e molti altri paesi europei, persino in Germa-nia dove inventa personaggi nuovi e colla-bora a fumetti ideati da autori locali.

Il volume presentato dall’Anafi in tiratura limitata a 400 esemplari propone anche alcune sto-rie create per il mercato estero e mai pubblicate in Italia, ricolorate per l’occasione da Frank. Gli originali, infatti, erano contenuti in giornaletti tascabili che prevedevano quattro vignette per tavola, alternando il colore a pagine in bianco e nero, per risparmiare sui costi tipografici.

I fumetti di Frank profumano di cose d’una volta, sembrano adatti a un pubblico di nostalgici e di bambini del primo ciclo della scuola elementare. Sono lavori ingenui, ma al tempo stesso genuini e pionieristici, ai limiti dell’underground, fanno venire alla memoria un’Italia che non esiste più, un mondo di bambini che giocavano a calcio, leggevano fumetti e libri di Salgari co-me sole forme di svago. Sono soprattutto fumetti da riscoprire e da leggere a voce alta - come ho fatto stasera per scrivere questa recensione - ai figli più piccoli, per rendersi conto che si di-vertono proprio come noi quarant’anni fa. I bambini non sono poi così cambiati…

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

Page 30: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

30

SSINOSSIINOSSI PERPER PRIMAPRIMA PUNTATAPUNTATA::

La prima cosa che l’uomo notò della ragazza furono caviglie sottili ... Bruno, studioso di antichità romane,

si sta recando a Capri per fotografare alcuni pezzi della collezione Axel Munthe. Sul traghetto conosce la bella e misteriosa Lina. Affascinato dalla giovane, spera di rivederla sull'isola. Lei gli dà appuntamento nel pomerig-gio, prima la aspetta un incontro impor-tante: Lina è giunta a Capri per vendi-carsi di un uomo. Ma chi è nel mirino di Lina, e perché? Bruno uscì dalla villa alleggerito,

ringiovanito, un ragazzino al primo appuntamento. Delusioni, fatiche, le pastoie in cui

si era aggrovigliato negli ultimi anni… lontane, dimenticate. Da quando aveva deciso di finire il suo studio sulla collezione Munthe tutto an-dava per il giusto verso, doveva ammetterlo. Prima l’incarico per quella pubblicazione, e ora questa ragazza. Gli sembrava di volare, dopo

essersi trascinato fiaccamente tanto a lungo. Certe volte si rimproverava an-

cora tutto il tempo sprecato a pre-occuparsi per cose senza impor-tanza. C’erano stati periodi in cui si era lasciato assorbire totalmen-te dal lavoro, prosciugare ogni ri-serva di energie da giornate dense

di spostamenti frenetici, e poi conve-gni, incontri, corsi e conferenze, rasse-gne, esami, lezioni, esami, lezioni… Tutto pur di non fermarsi e chiedersi una buona volta cosa voleva fare vera-mente. Non c’era tempo di fermarsi, di chiedersi niente. La sua agenda era costruita scientificamente, ché non restasse tempo per nient’altro a parte qualche ora di sonno. Il fine settima-na, quello lo trascorreva sempre chiu-so in casa, bivaccando tra il letto e il divano, leggendo, studiando, a volte

Sotto falso Sotto falso

nomenome

Un racconto neroUn racconto neroUn racconto nero sulla guerra fra sulla guerra fra sulla guerra fra

clan in Campaniaclan in Campaniaclan in Campania

i raccontii racconti

di di

BraviAutori BraviAutori

Seconda parte "Si ringrazia il Maestro del fumetto italiano Vittorio Giardino per aver concesso le splendide immagini tratte da Sotto falso nome (1987)"..

Patrizia Birtolo

Page 31: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

31

scrivendo. Dei pochi amici con cui manteneva i contatti, pochissimi pro-vavano a stanarlo con qualche invito. Nessuno era ammesso a capitargli

tra capo e collo senza bisogno di scu-se. Adesso però basta pensare al pas-

sato, si disse Bruno, voltiamo pagina. Era così contento che prima di uscire dalla Villa si era voluto concedere un piccolo capriccio scaramantico: anda-re a sfiorare la Sfinge che dominava vigile su tutta Anacapri. Una volta fuori, girato l’angolo di Via San Miche-le, accanto alla parete della scalinata qualcuno stava aspettando. Gli spacchi dell’abito nero lasciava-

no scoperte a intervalli spalle e strisce di schiena dorata, ricurva in un arco perfetto. Lina sembrava una ballerina stanca alla fine di una dura giornata di prove; le braccia abbandonate lun-go il corpo, le mani che si tenevano le punte dei sandali. Avvicinandosi, mentre sedeva al suo fianco sui gradi-ni sbrecciati, le carezzò dolcemente la nuca. La ragazza alzò il viso verso di lui. Aveva gli occhi gonfi di pianto e il volto arrossato. Le guance erano anco-ra umide e il naso colava in maniera ridicola. - Lina… Bambina

mia… ma che è suc-cesso? Lei si nascose fra le

sue braccia, e riprese a singhiozzare forte. Era scossa da singulti ter-ribili, sembrava stesse buttando fuori da qualche recesso in fon-do all’anima un dolore soffocato per anni. Do-veva essere stato quell’incontro. Sono venuta a salutare una persona, per l’ultima volta… Così aveva det-to. Di certo era venuta sull’isola per incontra-re un uomo.

Aveva appena troncato una storia lunga e tormentata? Quella con un essere dispotico e geloso? Qualcuno che magari la costringeva a portare una fede che non significava nulla, so-lo per impedirle di essere felice? Di es-sere amata come meritava? Forse si trattava di un uomo sposa-

to, forse l’aveva messa nei guai e alla fine lei aveva rotto con quel rapporto opprimente. Per un attimo gli sembrò di giganteggiare sul tragico quadro che aveva dipinto. Che Lina avesse trovato la forza per fuggire da quel le-game impossibile proprio nel loro in-contro…? La strinse più forte. - Chi è quel mostro che vi sta facen-

do soffrire così? Ditemi Lina. Vi voglio aiutare. - È stato così brutto. Non avrei mai

immaginato che… - Povera bambina, povera piccola…

ci sono qua io. Ssscchhhh… calmate-vi. Chiunque faccia soffrire così una ragazza come voi… meriterebbe di es-sere ammazzato senza pensarci due volte. Lei si scostò di scatto e lo guardò

impietrita per un breve istante. Le pu-pille nere e fonde si erano allargate di colpo su di lui. Era ammutolita; poi,

con un gemito più acuto e prolungato degli altri, si era tuffata di nuovo fra le sue braccia, sin-ghiozzando ancora più forte. Bruno stringeva al cuore una donna dispera-ta, che stava pian-gendo a dirotto, e n o n s a p e v a cos’altro dire o fare per calmarla. La tenne stretta a sé per un tempo che gli sembrò intermi-nabile e brevissimo. Poté baciarla carez-zarla e cullarla co-me un padre amo-

Page 32: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

32

revole, finché lei non si arrese, cedette alla stanchezza del pianto e alla ten-sione accumulata. Si abbandonò fra le sue braccia placata, sfinita. Sul viso però rimaneva ancora l’ombra lunga che si scorge in un’ adolescente dopo infernali, estenuanti litigate in fami-glia. - Si è fatto quasi buio – gli disse. - Già. - Abbiamo perso l’ultimo traghetto.

Dovete venire con me. Andiamo a dor-mire a casa mia. È tutto in ordine, staremo bene là. Sono appena passata qualche giorno fa a sistemare le cose. Venite. - Lina… siete sicura che… - Andiamo . Bruno crollò, chiudendo per un at-

timo gli occhi. Il luccichio tenue dell’acqua, la luna velata di vapori perlacei scomparvero. Sprofondato nella poltrona di vimini godeva dell’immobilità del momento, del fre-sco serale, del canto lontano del mare. Si sentiva esausto. Prima la scarpina-ta fatta per tenere dietro al passo velo-ce di Lina, poi la cena. Lungo la stra-da avevano scelto un locale piccolo, caratteristico, non troppo affollato. Avevano mangiato e bevuto e parlato e riso e scherzato e di nuovo riso e be-vuto. Lina gli era sembrata serena, co-me sollevata. Aveva gli occhi belli, a-desso, lavati dal pianto e lucidi per il vino, le guance accese, i capelli un po’ in disordine. Avevano fatto tardi. Non

se l’immaginava che dovevano percor-rere ancora mezza isola - così gli era sembrato - su e giù per vicoli e vicolet-ti, strade e stradine, fino a casa della ragazza. Una porta di legno, verniciata di

rosso. Un’altra rampa di scalini di ce-mento. Arrivati. Appena messo piede in casa si era

subito accorto che Lina aveva buttato la borsa con gesto distratto in un an-golo. Abbandonata così, senza darsi pensiero. Lui, la sua, l’aveva appoggia-ta cautamente sul letto, dopo che Lina gli aveva indicato la sua stanza. - Mi vado a dare una rinfrescata.

C’è un altro bagno laggiù, in fondo al corridoio. Bruno vi si rifugiò, si tolse i vestiti e

aprì il getto della doccia. Nel bagno c’era tutto. Flaconi di bagnoschiuma, shampoo, morbide spugne. La doccia calda gli sciolse la stanchezza, gli snebbiò le idee. Si asciugò e rivestì con calma. Aveva un pullover nella borsa, lo indossò al posto della polo che indossava da quella mattina. Tornò in terrazza. Mentre aspettava,

accoccolato nella poltrona, Bruno cer-cò di assaporare quel momento, di im-primerselo nella memoria. Dalla ter-razza della casa di Lina si poteva get-tare lo sguardo fino alla punta nord - orientale dell’isola. Era in uno dei po-sti più belli al mondo. Ospite di una ragazza bellissima, che, nell’altra stanza, si stava preparando per pas-sare la serata con lui. Niente avrebbe dovuto preoccuparlo, chiunque avreb-be voluto essere al posto suo. Che cosa lo tormentava dunque? Che quell’incanto sfumasse in un

istante. Bruno si conosceva, abbastanza be-

ne ormai. Sapeva benissimo di non essere tagliato per le storie clandesti-ne, era stufo di rovistare nel cestone degli scarti. Non era fatto nemmeno per i rapporti mordi e fuggi; voleva co-struire qualcosa con qualcuno. Non gli interessavano le relazioni a distanza;

Page 33: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

33

soffriva la malinconia. E poi ci voleva una buona dose di pazienza e fiducia. Lui aveva scorte minime tanto

dell’una come dell’altra. Il bisogno di sapere e di capire era

disperato, invece. Per prima cosa, avrebbe voluto impegnarsi con quella Lina, ma con la certezza che fosse li-bera. Non si accontentava della rispo-sta sentita sul traghetto, qualcosa non tornava, qualcosa stonava. Mentre Li-na si faceva la doccia nell’altra stanza aveva cominciato a macchinare. La borsa era abbandonata sul divano. Lei era lontana, in un’altra stanza. Lo scroscio dell’acqua avrebbe coperto il rumore dei passi. Si sarebbe alzato, avvicinato al divano, avrebbe tirato il cordoncino che stringeva l’apertura del secchiello di pelle. Lentamente. Poi avrebbe cercato il portafoglio.

Dal portafoglio avrebbe estratto la car-ta d’identità. Lentamente. Avrebbe let-to il documento, non poi così lenta-mente. Avrebbe rimesso con cautela il documento proprio nello stesso ta-schino da dove l’aveva estratto, per lo stesso verso. Avrebbe ributtato il portafoglio den-

tro il secchiello, che non voleva nem-meno spostare dal divano. Si alzò. Ora incomincerò ad avvicinarmi al

divano. Niente dice che me ne debba stare qui per forza seduto, ad aspetta-re. Posso sempre sgranchirmi le gam-be, fare un giretto. Sono libero di pas-sare anche vicino al divano. Non ha mica detto: stai lontano dalla mia bor-sa, giusto? E se mi ci becca con le ma-ni dentro riciclerò quella meravigliosa menzogna che ho detto sul traghetto. Le dirò che mi son sentito un po’ ner-voso mentre aspettavo, e che anche se mi sembrava orribile è stato più forte di me e ho cercato una sigaretta den-tro la borsa. Sì. No. Sì. Adesso o mai più. No, no,

no. Se se ne accorgesse? Sì invece. No. Se mi vede rovinerò tutto. Ma come farebbe a vedermi? Non l’ho mai fatto.

Non ho mai messo le mani nella borsa a nessuno. Però è sempre meglio sa-pere. Sì. Ora! Bruno corse dentro casa come se

stesse facendo a gara con qualcuno a chi arriva primo al divano. Tirò forte i laccetti del secchiello … Alla fine mise le mani nella sacca di pelle, tutte e due. Tastò alla cieca, incontrò subito il rettangolo rigonfio del portafoglio, lo aprì. Ed ebbe tutte le risposte, anche

quelle che non stava cercando. Angela rivedeva l’intera scena.

Quella civetteria femminile, volersi la-vare e cambiare d’abito, se l’era poi rimproverata mille volte. Ma si sentiva sporca e schifosa. Sperava con l’acqua della doccia di lavar via ogni peccato, o almeno trovare un momentaneo re-frigerio. L’aveva lasciato solo, su una poltrona di vimini, là sulla terrazza della sala grande a guardare la mari-na. Tornando a casa era così stanca che alla borsa non aveva proprio più pensato. Buttata là, in un angolo del divano. L’ingenuità della principiante. Una debolezza imperdonabile. A se

stessa come a lui. Bruno. Affaccendato su quella bor-

sa. Riflesso impietosamente nella specchiera della sala di nonna. Quante volte aveva fatto quel gioco? Nell’ombra del corridoio spiare i

suoi famigliari, origliando quanto si dicevano la mattina credendola anco-ra a letto… O la sera, dopo cena, già coricata…

Page 34: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

34

Lo aveva trovato a frugare là dentro, a sbirciare i suoi documenti. Quando stava rimettendo a posto il portafoglio eccolo lì, bloccarsi fulminato: aveva scoperto il peso della pistola in fon-do al secchiello di pelle nera. Si era raddrizza-

to, morso da una bestia scoperta per caso sotto un sasso che non doveva spostare. La mano passata

d’istinto a ravviarsi inutilmente i ca-pelli grigi, cortissimi. Lei era tornata sui suoi passi. Si era

attardata in bagno altri dieci minuti. Poi lo sentì avvicinarsi, cauto. - Lina… Era uscita dal bagno già vestita, in

un morbido scamiciato bianco. Gli si parò davanti. Quel punto del corridoio era tanto

buio che non si potevano neanche ve-dere bene in viso. Non le restava molta scelta, ora. Doveva evitare a qualsiasi costo il

tentativo chiarificatore che sentiva ur-gergli dentro. Doveva fare finta di niente, finché

non le fosse venuta l’idea giusta sul come e sul quando. Nel frattempo doveva farlo pensare

ad altro. Dargli quello per cui era venuto fin

lì, quello che aveva cercato fin dal pri-mo momento. Gli cadde fra le braccia a corpo

morto e cominciarono a baciarsi rab-biosamente. Si amarono con foga di-sperata per tutta la notte. Lei temendo che a ogni sospiro, a ogni ansito, Bru-no se ne saltasse fuori con la faccenda della maledetta borsa. Lo baciava con insistenza caparbia, meno tempo gli

lasciava per pensare meglio sarebbe stato per entrambi. Lui, travolto, cer-cava di capire in quel letto, stando con lei, ciò che la ragazza non gli aveva la-sciato capire fino allora. Forse stava facendo l’amore con un’assassina, for-se lei aveva eliminato l’uomo che la tormentava e la minacciava. L’uomo da cui non era riuscita a staccarsi fino a quel giorno. Anche se fosse, pensò Bruno, acce-

cato dal desiderio, non me ne frega proprio niente. Però mi ha mentito. Perché gira sotto falso nome…? Ange-la, Lina, IDA! Si sentiva risucchiato da un caleidoscopio di figure femminili. Chi era veramente la donna che tene-va fra le braccia? Lei ancora dormiva. Di soppiatto si

era avvicinato allo stipite della porta per spiarla nel sonno. Bella bella bel-la. Sentiva di averla amata da sempre, dal primissimo istante che l’aveva te-nuta fra le braccia. Ma di più, adesso, dopo quello che era successo. La guardava con orgoglio, con avidità compiaciuta, certo che poteva guar-darla quanto voleva, era sua, tutta sua. Bella e buona, quella ragazza, un

piccolo angelo, il tesoro suo...

Page 35: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

35

Appena alzata le avrebbe mostrato la pagina de Il Mattino, era stata tanto brava. Tutto pulito, “sverto e ppreciso” …ne erano usciti in bellezza. Quel fa-vore a Lui non lo potevano mica nega-re, era un’antica promessa. Non immaginava che dopo tanti an-

ni sarebbe venuto il momento, e che per quel momento non sarebbe stato pronto… Per fortuna c’era sua figlia. A Lui, quando era andato in carcere

per avvisarlo del cambiamento di pia-ni, all’inizio l’idea non era sembrata piacere molto. - Chi mi assicura che verrà una co-

sa ben fatta? - È figlia mia! - Proruppe l’uomo al-

zando il tono, accalorandosi. Dimenti-cando, per un istante, di chi si trovava di fronte. Lui gli fece uno dei suoi sor-risetti ironici, e con un gesto appena accennato della mano, ssccchhh… Lo invitò ad abbassare la voce. - È figlia mia - ripeté l’uomo a se

stesso, tamburellando le dita sul tavo-lo, mentre abbassava lo sguardo e il tono, dominato dalla presenza che si trovava di fronte. - Angela è in gamba, è capace. È

stata lei a chiedermi di poterlo fare. Sa che toccherebbe a me, e che io non sono più quello di qualche anno ap-presso. Antonio sta a Poggioreale, con quello che ha fatto vi pare che me lo fanno andare in libera uscita? Chi mi resta? Ci sarebbe Domenico, ma è ‘nu guaglioncello, tiene solo tredici anni. Non me lo vedo pronto per n’impresa ‘e ‘sta fatta. Angela ci va, ci vuole an-dare. Si sente in debito… certo che ‘o ssà che ha studiato con i soldi del clan, mica è fessa! Lo sa che è grazie alla generosità vostra se oggi è n’avvucato. Lo fa per me e lo fa per Voi. Anzi, lo fa soprattutto per Donna Rinetta. Adora vostra sorella come fos-se la Maronna ‘u Carmine, quando andavo a trovarla se c’avevo fretta che non mi potevo portare appresso la creatura, ne faceva ‘na malattia. Vo-glio i biscotti della zia Rinetta… La zia

Rinetta mi ha detto di andare, che mi vuole imparare a ricamare… L’ultima cosa che mi ha detto, prima di uscire che venissi qua, mi fa: - Papà, a Lui diteci che… per vendi-

care ‘na femmena la cosa migliore è se si muove n’atra femmena. Lui aveva sorriso. Ora che si era in-

tenerito, Don Pasquale sentiva uno slancio, una voglia di superare se stesso. Sorridendo anche lui, parlando col cuore in mano, disse: - E vi chiede, se permettete, pure

un favore personale. Vorrebbe essere lei stessa in persona ad avere l’onore di tornare al paese ad avvertire vostra sorella che la faccenda è stata ripara-ta. - Pasqua’…che vvaggià a dì? Ormai

vi decidete tutto voi da soli, che ci stanno a fare quelli come me, voi altri fuori ve la cantate e ve la suonate… L’uomo scoppiò in una risata diver-

tita e affettuosa, resa più dolce dal sollievo enorme di quella condiscen-denza ottenuta senza sforzo apparen-te. Ma conosceva troppo bene i mecca-nismi del loro mondo per ignorare che se Lui diceva “va bene” era perché la sorella aveva già detto “va bene”. Perché questo era affare di Donna

Rinetta. Ora, a parer suo in quel momento

l’organizzazione aveva problemi più grossi che andare a sfasciare le corna a un poveretto che teneva l’unico torto di essersi filato la sorella del boss dei boss quando erano ancora due ‘scugnizzi entrambi…. e averla poi piantata in asso senza né un a né un ba, andandosene per quarant’anni a vivere dall’altra parte dell’oceano. Però non è che si poteva pretendere da uno come Lui che facesse finta di niente su una cosa così. Se poi anche Rinetta era d’accordo,

tutto sarebbe filato liscio. E difatti tutto liscio era filato. Brava

Angela di papà. L’uomo tornò a osser-vare pieno d’amore la ragazza che sembrava lottare con le lenzuola, il vi-so affondato nel cuscino.

Page 36: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

36

Angela rivedeva l’intera scena, la riviveva ancora una volta. Il mattino era giunto di soprassalto. Si erano ap-pena addormentati, o almeno così le sembrava. Usciti dal letto lo prese per mano e lo condusse fuori. Erano già vestiti, ma tutto era confuso, la prima luce dell’alba incerta e tremula. Si vol-tò a sorridergli. Lui ricambiò il sorriso. Si incamminarono per le salite strette e tortuose, e senza stanchezza giunse-ro in cima alla scogliera. Ti faccio ve-dere il salto di Tiberio… Lei non voleva fargli alcun male, ma

poi ricordò perché l’aveva portato fin lì, e si disse: quello che va fatto va fat-to. Non sapeva da dove le fosse venuta la forza per spingerlo di sotto. Sempli-cemente, dolcemente, sorridendo, lo urtò. Lui vide

il suo gesto e sempre sorridendo lo accolse, come fosse stata la m o v e n z a che dava inizio a un

ballo fatto di passi ignoti a chiunque altro, eccetto loro soli. Lo vide precipitare nel vuoto, conti-

nuava a sorridere inebetito e la invita-va a seguirlo, aggrappandosi al suo braccio per attirarla giù con lui, nell’abisso, avvinghiati come poco pri-ma, insieme fra le lenzuola, e ora, ora non capiva più se stesse precipitando lui solo, o la stesse trascinando con sé, giù e giù giù giù. Poi d’improvviso, sussultando, si svegliò. E ricordò con chiarezza ogni cosa.

dal Catalogo de Il foglio letterario - www.foglioletterario.it

Lou è una ragazza dolce e naïf, curiosa e determinata a non lasciarsi deprimere dalle nere prospettive che il XXI secolo le propone. Come la maggior parte degli adolescenti, è piena di interrogativi sul futuro e su quale sarà il ruolo che ricoprirà nella società. Tutte domande che rivol-ge speranzosa al suo fidanzato Leo, chiedendogli di illuminarla sui pas-si da percorrere. Leo è un ventenne arrabbiato. Con il sistema, con il governo, con i politici, con la sua generazione, con la generazione pas-sata, con il futuro. Cinico e disilluso, non pensa a cercare una soluzione a questa sua insofferenza generalizzata, dato che probabilmente si trova davvero bene nella sua condizione di ragazzo cupo e depresso. E poi ha Lou, la prova vivente che tutte le sue paure hanno una conferma, ma anche l’unica donna alla quale poi riesce ad addormentarsi accanto. Leo & Lou: una coppia logorroica di giovani frustrati che nei momenti di più completa intimità si lascia andare alle proprie nevrosi. L’un l’altra si interrogano, psicanalizzano, incoraggiano e distruggono, volontaria-mente o involontariamente, ma senza comunque riuscire a cavare un ragno dal buco.

Page 37: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

37

Fra le tende di una fragile ballata, si consuma la favola di una bimba vio-lata, ingannata da un Babbo Natale che parlava d'amore ma i cui occhi freddi non erano buoni. Un raggelan-te presagio di pedofilia.

Q uando nel 1968 vide la luce, "Tutti morimmo a stento" fu una assoluta novità nel pano-

rama musicale italiano. Pochi anni prima il cantautore genovese si era già fatto apprezzare per canzoni di protesta come "La Guerra di Piero" o per ballate struggenti quali "La canzone di Marinella". Profondamente influenzato da

cantautori come Bob Dylan e Leonard Cohen, ma ancor più dagli chansonnier francesi primo fra tutti Georges Brassens, era stato tra i primi ad abbandonare le canzonette italiane per dedicarsi alle sue balla-te cupe, affollate di anime perse,

Leggenda di Natale Parlavi alla luna giocavi coi fiori avevi l'età che non porta dolori e il vento era un mago, la rugiada una dea, nel bosco incantato di ogni tua idea nel bosco incantato di ogni tua idea. E venne l'inverno che uccide il colore e un babbo Natale che parlava d'amore e d'oro e d'argento splendevano i doni ma gli occhi eran freddi e non erano buoni ma gli occhi eran freddi e non erano buoni. Coprì le tue spalle d'argento e di lana di pelle e smeraldi intrecciò una collana e mentre incantata lo stavi a guardare dai piedi ai capelli ti volle baciare dai piedi ai capelli ti volle baciare. E adesso che gli altri ti chiamano dea l'incanto è svanito da ogni tua idea ma ancora alla luna vorresti narrare la storia d'un fiore appassito a Natale la storia d'un fiore appassito a Natale. Canzone di Fabrizio di André, ispirata

a "Le Père Noel Et La Petite Fille" di Georges Brassens datata 1958, tratta dall'album Tutti Morimmo A Stento, sottotitolo “Cantata in si minore per coro e orchestra” del 1968.

La favola di unaLa favola di unaLa favola di una bimba ingannata dabimba ingannata dabimba ingannata da

un freddo Babbo Nataleun freddo Babbo Nataleun freddo Babbo Natale

Tania Maffei

De André, la De André, la

leggenda di Natale leggenda di Natale

Page 38: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

38

emarginati e derelitti d'o-gni angolo della terra. Le sue storie, pur ispirate spesso a fatti di cronaca, si tingono sempre dei co-lori della fiaba, perdendo ogni connotazione tem-porale; e i suoi personag-gi sembrano quasi schiz-zare fuori dai versi, con la loro dirompente carica di umanità, inquietudi-ne, disperazione. La poliedrica cultura

di De André si ritrova in tutti i suoi testi. Non mancano i riferimenti colti ad un Proust, Baudelaire, Maupassant, Villon, Flaubert, Balzac ma anche i richiami alle ballate medievali o a quelle tradizionali pro-venzali. Profondo poi lo studio sull’Antologia di Spoon River", o sui canti dei pastori sardi, come

pure lo studio sui Vange-li apocrifi. Alla fine degli anni

Sessanta (1968) nasce questo piccolo capolavo-ro "Tutti Morimmo A Stento" dal sottotitolo di

"Cantata in si minore per solo, coro e orchestra" Il senso del tragico qui ar-riva alla sua apoteosi in un girone dantesco della desolazione umana, tra drogati, condannati a

morte, fanciulle traviate, orchi e bambini sconvolti. Un viaggio osses-sionato e osses-sionante che vede protagonista la morte, attraverso le storie dei perso-naggi che man mano vanno deli-neandosi e che di-v en t a mo r t e dell'umanità inte-ra, condanna in-flitta dalla natura all'uomo.

I I BRANIBRANI DELLDELL''ALBUMALBUM

1. Cantico dei drogati, 2. Primo intermezzo, 3. Leggenda di Natale, 4. Secondo intermezzo, 5.Ballata degli impiccati, 6. Inverno, 7. Giro-tondo, 8. Terzo intermezzo, 9. Re-citativo e Corale (leggenda del re infelice)

LLAA PPAURAAURA FAFA 90 90

90 90 RACCONTIRACCONTI DADA 666 666 PAROLEPAROLE

prima edizione Sono ammessi racconti, poesie e immagini di qualsiasi genere, pur-ché il tema sia la Paura. Il concor-so scade quando la redazione sele-zionerà 90 opere idonee alla pub-blicazione. Concorso gratuito. Troverete maggiori dettagli sul sito BraviAutori

BraviAutori presentaBraviAutori presenta

Page 39: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

39

La mia La mia

AvanaAvana

È cambiata tanto la mia Avana ne-gli ultimi anni e adesso che non posso rivederla, come un piccolis-

simo Cabrera Infante, immagino che lo sia ancor di più. Ricordo la mia Avana percorsa da biciclette cinesi e mulatte ancheggianti, da autobus affollati nelle ore di punta, da uomini e donne dagli odori penetranti che camminano sotto il sole bruciante. Ricordo la mia Avana senza tempo scandire ore di pomeriggi sonnolenti mentre si lascia sfiancare dal calore tropicale. Ricordo la mia Avana dimenticata dalla storia, percor-sa da tristi mendicanti e da bambini che giocano a baseball agli angoli di strada, da jineteras d’alto bordo e ra-gazzine in cerca d’avventure, da mari-cones sfrontati e turisti arroganti. Ricordo la mia Avana che non c’è più, se non nella memoria, nei giorni d’un passato che non ritorna, distrutta da un capitalismo selvaggio che conquista strade e pensieri. All’Avana squillano telefonini, proprio come da noi, fiori-scono internet point, girano auto stra-niere di grossa cilindrata, aprono gran-di magazzini in valuta pregiata dove chi possiede chavitos può comprare di tutto. Povera la mia Avana deturpata dal presente, piena di gente che sorri-de per nascondere pensieri, dove vaga il fantasma di Humberto Solás, Fernando Pérez gira film stupendi e gli scrittori finiscono suicidi se non ritor-nano. Povera la mia Avana che Cabre-ra Infante ha descritto per tutta la vita

senza po-terla rive-d e r e , pensando a una città p e r du t a n e l l a nebbia di L o nd r a . La mia Avana è cambiata, ma sa-r e b b e m e g l i o dire che siamo cambiati insieme, anch’io non conservo lo stupore del primo incontro, invecchio nel ricordo senza distinguere il confine tra realtà e sogno. Consola la monotonia dei miei giorni una piccola Miriam Gómez che sostiene con forza la nostalgia, ogni tanto fa shopping pure se non percorre le strade di Lon-dra, vorrebbe coinvolgermi ma resisto, refrattario come Cabrera Infante a ve-trine e negozi che offrono prodotti a prezzi scontati. Non posso essere fede-le a un ideale perduto, ma resto fedele a una città perduta. Non so fare di meglio.

Avana, dimenticata Avana, dimenticata Avana, dimenticata dalla storia, nei ricordidalla storia, nei ricordidalla storia, nei ricordi

di un figlio lontano di un figlio lontano di un figlio lontano

Speciale Cuba

Speciale Cuba

Gordiano Lupi www.infol.it/lupi

Guillermo Cabrera Infante

Page 40: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

40

Moriremo tutti, Moriremo tutti, anche se non siamo Cabrera Infanteanche se non siamo Cabrera Infante

U n giorno come un altro all’Avana senza un cazzo da f a r e , l e g g e n d o

Cabrera Infante per capire quanto po-co sono vicino all’idea di scrittore e per contrasto quanto lui fosse immenso con i giochi di parole di Tre tristi tigri, le descrizioni intense, i sogni a occhi aperti sull’Almendares, piccolo Gange dell’Oceano Occidentale, tra il doppio orizzonte del muro del Malecón e la li-nea azzurra piegata, profonda cicatrice che divide le acque. Cabrera Infante sapeva pure scrivere come chi non a-mava, imitando lo stile poteva stendere infinite versioni della Morte di Trotzki, come l’avrebbe raccontata Martí, pas-sando per Piñera, omaggiando persino l’odiato Carpentier. Personaggi come Bustrófedon che giocano con le parole per pagine e pagine me li sogno la not-te, ché soltanto lui poteva avere l’umorismo, l’ironia, la genialità d’inventare scioglilingua e nonsense tirando avanti un capitolo senza una trama, una storia, grazie a una serie di virtuosismi lessicali. Porca eva, se pen-so che uno scrittore come questo mi tocca leggerlo di nascosto, ché se il po-liziotto all’angolo se ne rende conto mi sbatte al fresco, pure se è difficile, per lui Cabrera Infante o un piccolo pop-pante sono la stessa cosa, credo che nella campagna da dove proviene tanto l’avranno obbligato a leggere Carpen-tier, Guillén e Martí senza capirci un cazzo. Questi caproni orientali adde-

strati per rendere la vita difficile non distinguono Miguel Barnet da Reinaldo Arenas, credono che Fidel Castro sia l’erede di José Martí e l’unica cosa che puoi fare è tenerli alla larga, magari allungando una bottiglia di rum e qualche sigaro, di tanto in tanto, così bevono, fumano e ti lasciano in pace. Tanto prima o poi muoiono tutti, come scriveva il buon Cabrera Infante, siano felici, amareggiati, intelligenti, ritarda-ti, chiusi, aperti, allegri, tristi, belli, brutti, barbuti, alti, bassi, loschi, sin-ceri, forti, deboli, potenti, infelici, per-sino i poliziotti muoiono, persino gli scrittori che possono fare con due pa-role o quattro lettere un inno, uno scherzo, una canzone. Persino Cabrera Infante è morto, cazzo. Persino lui. E allora leggendo Tre tristi tigri con

la copertina camuffata dal Granma, ché a quello serve, come fodera per na-scondere è perfetta, mi rendo conto che mio padre ne sta facendo un altro uso, pare che lo legga davvero quel giornalaccio e commenta pure… “Chávez ha criticato la consegna del

Premio Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo. È finita come con Barack Obama, nessuno dei due meritava di vincere”, dice con aria grave. Io me ne stavo lì tranquillo con il mio Cabrera Infante, ero arrivato al punto dove il protagonista guarda il porto e scopre una relazione tra il mare e il ri-cordo, non soltanto perché è vasto, profondo ed eterno, ma anche perché

Riflessioni a Riflessioni a Riflessioni a voce alta, leggendo voce alta, leggendo voce alta, leggendo

Cabrera InfanteCabrera InfanteCabrera Infante

Speciale Cuba

Speciale Cuba

Alejandro Torreguitart Ruiz

Traduzione di Gordiano Lupi www.infol.it/lupi

Page 41: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

41

viene in ondate successi-ve, identiche e incessan-ti. Certo che è dura dopo aver assaporato una fra-se simile contestare le cazzate di Meo Porcello, perdere tempo con un ciccione in camicia rossa che grugnisce contro i lacchè degli imperialisti, irretiti da un dissidente e dalla libertà di pensiero. “Babbo, mica crederai a quel che dice Chávez?” “Il Granma parla di

solidarietà verso il popo-lo cinese. Sono loro che ci danno una mano, in-somma, non ci possiamo mettere a sostenere gli americani, mica fanno niente per noi…” Povero papà, si vede

che leggi solo il Granma e guardi Cubavision con quel fesso di Randy Alonso, presidente del circolo dei giornalisti che organizza tavole rotonde tra gente che sgrana lo stesso rosario. E allora cosa ti devo dire? Tanto lo so come va a finire… “Hai letto cosa scrive il

Granma su Vargas Llo-sa? Pure lui non era de-gno del Nobel per la let-teratura…” “Non so niente di lette-

ratura ma in televisione dicono che García Mar-quez è il solo vero Nobel sudamericano. Vargas Llosa è un venduto, un traditore, un servo degli imperialisti”. Inutile dire a mio pa-

dre che Vargas Llosa si è dissociato dalla rivolu-zione dopo il caso Padil-la, quando furono in molti a mollare Fidel, ché

non comprendevano per-ché non si dovesse espri-mere un pensiero critico. Inutile. Lui legge solo il Granma e ascolta Randy il pelato. Buon pro gli faccia, allora. Torno a Cabrera In-

fante. Premio Cervantes grazie a Vargas Llosa, spagnolo d’adozione, che amò Tre tristi tigri e lo volle incoronare tra i libri più importanti scritti in lingua spagnola. Porca eva, io non seguo la cor-rente perché il misterioso ci vuole governare. No davvero. Penso che mori-ranno tutti prima o poi, pure il nostro grande al-leato, il Presidente della Repubblica Popolare di Cina, Hu Jintao, pure Meo Porcello che sbraita da Caracas e le ultime elezioni mica gli sono an-date così bene, pure Fidel Castro che è torna-to a parlare e la cosa più strana non è quella, ma che nel mondo ci sia an-

cora un sacco di gente che l’ascolta, pure Raúl che c’ha in testa un mo-dello cinese, ma mica s’è capito quale, forse nep-p u r e l u i s i raccapezza molto, a me sembra il modello mara-bù, vista l’erbaccia che c’è da estirpare. I sogni della ragione generano mostri, ma i sogni di chi non ragiona non possono generare niente, purtrop-po. Moriremo tutti, pri-ma o poi, Come diceva Cabrera Infante, dissi-denti e lacchè, servi del potere e d’uno Stato ar-rogante, divulgatori di menzogne e uomini co-raggiosi. Mario Vargas Llosa prima di morire vorrebbe passeggiare di nuovo per le strade dell’Avana, incontrare vecchi amici, vedere Cu-ba finalmente libera. Aveva detto la stessa co-sa Cabrera Infante e se l’è portato via una setti-cemia del cazzo in un o-

Speciale Cuba

Speciale Cuba

AALEJANDROLEJANDRO TTORREGUITARTORREGUITART RRUIZUIZ

Alejandro Torreguitart Ruiz (L’Avana, 1979) esordisce in

Italia con Machi di carta - confessioni di un omosessuale (Stampa Alternativa, 2003), definito un delicato e intenso ro-manzo di formazione da Mario Fortunato su L’Espresso. Se-guono La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2004), Vita da jinetera (Il Foglio, 2005), Cuba particular - Sesso all’Avana (Stanpa Alternativa, 2007) e Adiós Fidel - All’Avana senza un cazzo da fare (Racconti 2003 - 2008) (Il Foglio, 2008). Tra gli inediti citiamo il romanzo fantapolitico Mr. Hyde all’Avana e la biografia romanzata Un uomo chia-mato Che Guevara. Alcuni racconti di impronta politico-esistenziale sono stati pubblicati da quotidiani e riviste. Tra questi: Il Tirreno, Il Messaggero, La Comune, Container, Pro-getto Babele, L’Ostile e Happy Boys.

Gordiano Lupi è il traduttore e il titolare per lo sfruttamento dei diritti sulle sue opere in Italia e per l’Europa.

Page 42: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

42

spedale di Londra. Siamo ottimisti, al-lora. Non ci pensiamo. Mia madre in cucina fa bollire

l’acqua per cuocere riso e fagioli, forse ha rimediato pure bistecca di soia, l’ultimo ritrovato della libreta contro la fame. Lascio perdere mio padre e rico-mincio a leggere.

Il Malecón scorreva sotto la macchina diventato un piano d’asfalto, con ai lati le case ro-sicchiate dall’acqua salata e il muro interminabile e in alto i cieli nuvolosi o parzialmente nuvolosi e il sole che declinava irresistibilmente, come Icaro, verso il mare… Una setticemia del cazzo,

un genio simile se l’è porta-to via una setticemia del cazzo per una frattura all’omero dopo una caduta in casa. Tu pensa morire a Londra di setticemia, mica ad Alamar o a Guanabacoa. Morire senza vedere The Lost City, senza salutare Andy García, senza calpe-stare le strade d’una città

vissuta per tutta la vita come un fanta-sma del passato. Una città bastarda e corrotta, distrutta e malandata, affa-scinante e puttana, una città che mo-rirà anche lei, come moriremo tutti, ma che per il momento è diventata davvero L’Avana per un Infante defun-to. Per sempre.

GGUILLERMOUILLERMO CCABRERAABRERA IINFANTENFANTE

Guillermo Cabrera Infante (Gibara, 22 aprile 1929 – Londra, 21 febbraio 2005) è stato uno scrittore cubano, vincitore del Premio Miguel de Cervantes nel 1997. Opere • Così in pace come in guerra (Asì en la paz

como en la guerra) (1960) A. Mondadori, 1963

• Tre tristi tigri (Tres tristes tigres) (1967) Il saggiatore, 1976

• Vista del amanecer en el trópico (1974) • O(1975) • Exorcismos de esti(l)o (1976) • L'Avana per un infante defunto (La Habana

para un infante difunto) (1979) Garzanti, 1993

• Puro humo (1985) • Mea Cuba (1992) Il saggiatore, 1997 • Delito por bailar el chachachá (1995)

• Mi música extremada (1996) • Ella cantaba boleros (1996) • Vidas para leerlas (1998) • Il libro delle città (El libro de las ciudades)

(1999 • Todo está hecho con espejos (1999) • La ninfa inconstante (2008) • Cuerpos divinos (postumo) Recensioni cinematografiche • Un oficio del siglo XX (1963) • Arcadia todas las noches (1978) • Cine o sardina (1997) Sceneggiature cinematografiche • Wonderwall, regia di Joe Massot (1968) • Punto zero (Vanishing Point), regia di Ri-

chard C. Sarafian (1971) • The Lost City, regia di Andy Garcia (2005)

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera. - www.wikipedia.it

Per conoscere Yoani Sanchez Gordiano Lupi Il Foglio Letterario

L'UTOPIA IMPOSTA

Abito un’utopia che non è la mia. Per lei i miei nonni si sacrificarono e i miei ge-nitori dettero i loro migliori anni. Io la porto sulle spalle senza potermela scrol-lare di dosso. Alcuni che non la vivono tentano di convincermi - da lonta-no - che devo conservarla. Senza dubbio, risulta alienante vivere un’illusione estranea, accollarsi il peso dei sogni al-trui. A coloro che mi imposero - senza consultarmi - questo mi-raggio, voglio dire con chiarezza che non penso di lasciarlo in eredità ai miei figli.

dal Catalogo de Il foglio letterario - www.foglioletterario.it

Speciale Cuba

Speciale Cuba

Page 43: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

43

Il giorno 18 giugno 2010 nella sua residenza a Lanzarote, nella località di Tías, sulle Isole Canarie si è spento uno dei uno dei grandi della letteratura del 900, JOSÈ SARAMAGO

BBIOGRAFIAIOGRAFIA

José de Sousa Saramago nasce ad Azinhaga, in Portogallo il 16 novembre 1922. Il suo primo romanzo, 'Terra del peccato' (1947) non riceve un grande successo nel Portogallo oscurantista di Salazar. Nel 1959 si iscrive al Partito Comunista Portoghese che opera nella clandestinità sfuggendo sempre alle

insidie e alle trappole della famigerata Pide, la polizia politica del regime. Negli anni sessanta Saramago diventa uno dei critici più seguiti del Paese nella nuova edizione della rivista "Seara Nova" e nel '66 pubblica la sua prima raccolta di poesie I poemi possi-bili. Diventa quindi direttore letterario e di produzione per dodici anni di una casa editrice e dal 1972 al '73 curatore del supplemento culturale ed editoriale del quotidiano Diario de Lisboa. Sino allo scoppio della Rivoluzione dei Garofani, nel '74, Saramago vive un periodo di formazione e pubblica poe-sie 'Probabilmente allegria' (1970), cro-nache 'Di questo e d'altro mon-do' (1971), 'Il bagaglio del viaggia-tore' (1973) testi teatrali, novelle e ro-manzi. Il secondo Saramago, vice di-

JosèJosè

SaramagoSaramago

Tania Maffei Un ricordo di unoUn ricordo di unoUn ricordo di uno

dei grandi delladei grandi delladei grandi della letteratura del ‘900letteratura del ‘900letteratura del ‘900

Aforismi «Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono.» «I viaggiatori possono prolungarsi in memo-ria, in ricordo, in narrazione. Quando il viag-giatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero.» «Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in pri-mavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, la pietra che ha cambiato posto.»

Page 44: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

44

rettore del quotidiano Diario de Noticias, nel '75 e scrittore a tempo pieno, libera la narrati-va portoghese dai com-plessi precedenti e dà l'avvio a una generazio-ne post-rivoluzionaria. Nel 1977 lo scrittore

pubblica il lungo e im-portante romanzo 'Manuale di pittura e calligrafia', seguito nel 1980 da 'Una terra chiamata Alentejo', incentrato sulla rivolta della popolazio-ne della regione più a Est del Portogal-lo. Ma è con 'Memoriale del conven-to' (1982) che ottiene finalmente il suc-cesso tanto atteso.

In sei anni pubblica due opere di grande impatto 'L'anno della morte di Riccardo Reis' (1984) e 'La zattera di pie-tra' (1986) ottenendo numerosi riconoscimen-ti. Gli anni Novanta lo con-sacrano sulla scena in-t e r na z i o n a l e c o n 'L'assedio di Lisbo-na' (1989), 'Il Vangelo

secondo Gesù' (1991), e quindi con 'Cecità' (1995). Ma il Saramago autodidatta e comu-

nista senza voce nella terra del salaza-rismo non si è mai fatto avvincere dalle lusinghe della notorietà conservando

Siamo in un posto e un tempo indefiniti quando scoppia improvvisamente una strana epidemia che rende tutti ciechi, nessuno escluso. Il governo, non sapen-do come curare chi si ammala, reclude in modo forzato tutte le persone in un ex manicomio trasformato in una specie di "lager" dove chi entra non può più uscire se non rischiando la vita. Poco cibo, nessuna assistenza, totale mancan-za di igiene, una situazione paradossale dove ognuno cerca solo la propria so-pravvivenza. I ciechi, divenuti tutti uguali, hanno perso la loro identità, si chiamano per nome e fingono una solidarietà che li porterà a odiarsi sempre di più. Una di loro, una donna misteriosamente, non ha perso la vista e, pur di restare accanto al marito medico, finge di essere cieca, I suoi occhi saranno lo specchio di tutto quello che accade e di fronte al quale non si può che inorridi-re. I ciechi divenuti tutti uguali, con la malattia hanno perso la loro identità, si chiamano per nome e tendono a prendere il sopravvento l'uno sull'altro in mo-do meschino, falso, non tentando, in alcun modo di aiutarsi gli uni con gli altri convinti come sono che la sopravvivenza di uno non possa che comportare la morte di un altro. Il titolo originale del libro è "Ensaio sobre a Cegueira" (Saggio sulla cecità), uno studio minuzioso sui comportamenti degli esseri umani che, in situazioni di estrema difficoltà e paura, arrivano ad un degrado umano totale, un percor-so angoscioso che conduce agli inferi, dove il senso più puro e semplice della vita viene perso, in cui la dignità, l'etica, il rispetto sono calpestati da ogni sor-ta di violenze e soprusi. Saramago dice: "Volevo raccontare le difficoltà che abbiamo a comportarci come esseri razionali, collocando un gruppo umano in

una situazione di crisi assoluta. La privazione della vista è, in un certo senso, la privazione della ragione” [...] "È una vecchia abitudine dell'umanità, passare accanto ai morti e non vederli […] Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo […] ciechi che, pur vedendo, non vedono […]. Il mondo è pieno di ciechi vivi". Può sembrare, (ed è di certo), una metafora fin troppo banale e scontata ma "sta succedendo in qualunque parte del mondo in questo momento.”

Interessante notare come la punteggiatura quasi non esista e lo scorrere del tempo sia scandito dagli eventi che si susseguno in modo frenetico uno dietro l'altro. Romanzo particolarissimo ai limiti della fantascienza. Sotto certi aspetti un vero e proprio incubo che non può lasciare indiffe-renti, per il suo crudo realismo e la profondità del messaggio inviato.

Recensione Recensione di di Tania MaffeiTania Maffei

Cecità

Josè Saramago Feltrinelli

(2010)

Page 45: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

45

una schiettezza che spesso può tra-dursi in distacco. Meno riuscito è il Saramago saggista, editorialista e viag-giatore, probabilmente frutto di neces-sità contingenti, non ultima quella di tenere vivo il suo nome sulla scena let-teraria contemporanea. É del 1998, sollevando un vespaio di

polemiche soprattutto da parte del Va-ticano, il conferimento del Nobel per la letteratura. I romanzi di Saramago hanno le loro

radici in quella cultura che mostra di aver sempre giocato su un confine la-bile tra storia e sogno, tra realtà e fan-tasia che può portare ad approfondi-menti del vero così come appare e sino a una vera e propria visionarietà dalle volute barocche. José Saramago muore il giorno 18

giugno 2010 nella sua residenza a Lanzarote, nella località di Tías, sulle Isole Canarie.

BBIBLIOGRAFIAIBLIOGRAFIA ESSENZIALEESSENZIALE

DEIDEI ROMANZIROMANZI::

•1977 - Manuale di pittura e calligra-fia (Manual de pintura e caligrafia) •1982 - Memoriale del convento (Memorial do convento) •1984 - L'anno della morte di Ricardo Reis (O ano da morte de Ri-cardo Reis) •1986 - La zattera di pietra (A janga-da de pedra) •1989 - Storia dell'assedio di Lisbona (História do cerco de Lisboa) •1991 - Il Vangelo secondo Gesù Cristo (O Evangelho segundo Jesus Cristo) •1995 - Cecità (Ensaio sobre a ce-gueira) •1997 - Tutti i nomi (Todos os nomes) •2004 - Saggio sulla lucidità (Ensaio sobre a lucidez) •2008 - Il viaggio dell'elefante (A via-gem do elefante) •2009 - Caino (Caim)

SARAMAGO POETASARAMAGO POETA

Pochi sanno in Italia che quest'arti-sta era anche un grande poeta.

CCORPOORPO -- MMONDOONDO

Che strade del tuo corpo non conosco, all'ombra di che valli io non dormo, che monti io non scalo, che distanze non abbraccio negli occhi dilatati, che torrenti non guado, che fiumi fondi la nudità del mio corpo non varca, che spiagge profumate non percorro che selve, che giardini, che pianure?

PPOESIAOESIA AA BOCCABOCCA CHIUSACHIUSA

Non dirò: che il silenzio mi soffoca e imbavaglia. Zitto io sto e zitto me ne resto: la lingua che io parlo è di altra razza. Si ammucchiano parole logorate, ristagnano, cisterna d'acque morte, amare pene in limo trasformate, melma fangosa con radici torte. Non dirò: che proprio non son degne neppure

d'essere dette, parole inette a dire quanto so qui nel rifugio in cui non mi conosco. Non solo limo o melma si trascinano, non solo bestie, morti, ansie galleggiano, turgidi frutti in grappoli s'intrecciano nel nero pozzo dove dita affiorano. Dirò solo, arcignamente solitario e muto, che chi ha taciuto quando io ho taciuto non può morire senza dire tutto.

Page 46: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

46

I l 7 novembre si celebra il centena-rio della morte di Lev Nicolaievicht Tolstoj, scrittore sulla cui grandez-

za è inutile spendere parole. Volendo ricordarlo, avevo inizialmente pensato di rievocare solo la sua morte che, per le modalità in cui avvenne, è stata de-finita l’ ultimo romanzo di Tolstoj, ma successivamente ho ritenuto opportu-no iniziare questa conversazione rievo-cando le principali tappe della sua vi-ta, ed anche le sue opere principali, af-finchè l’ omaggio allo scrittore sia com-pleto. Il conte Lev Tolstoj nacque nella te-

nuta di famiglia a Jasnaia Poliana il 1828, e lì trascorse i primi anni di vita. L’ avvenimento che turbò la sua infan-zia fu la morte prematura della madre, da lui ampiamente ricordata nei suoi scritti, ma questi primi anni vissuti in campagna furono importanti anche perché egli ebbe così modo di osserva-re la vita dei contadini russi, che nella sua mente ben presto assursero a va-lore di mito, e che sono sempre pre-senti nelle sue opere. Dopo i primi studi, frequentò l’ Uni-

versità, ma senza profitto, e perciò si ritirò a Jasnaia Poliana dove incomin-ciò a scrivere. Così ben presto fu pub-blicata la trilogia “Infanzia, Adolescen-za, Giovinezza” , piena di nostalgia per gli anni trascorsi ,che lo fece emergere subito tra gli scrittori russi più famosi dell’ epoca.

Intanto, oltre a scrivere, Tolstoj leggeva libri di fi-losofia e rifletteva sullo scopo che la vita di ognuno dovrebbe avere. Si formò così in lui una concezio-

ne etica secondo la quale ognuno do-vrebbe vivere mirando al proprio perfe-zionamento morale, per poter così combattere il male e la menzogna che si insinuano ovunque. Tolstoj rimase sempre fedele alla

sua legge morale, e cominciò a metter-la in atto fondando nel 1862 a Jasnaia Poliana una scuola per i figli dei conta-dini le cui condizioni miserevoli dipen-devano, secondo lui, soprattutto dall’ ignoranza. Nello stesso anno sposò Sonja An-

dreevna Bers. Il legame tra i due, che ebbero 13 figli, durò fino alla morte, anche se spesso fu burrascoso, a cau-sa della forte personalità di entrambi. Ma ecco che Tolstoj pubblica il suo

primo romanzo “Guerra e pace”, i cui numerosi protagonisti agiscono sullo sfondo della guerra tra la Russia e la Francia, tra lo Zar Alessandro e Napo-leone. É estremamente difficile riassumere

la trama di questo romanzo, ma volen-do semplificare possiamo dire che si tratta di una storia intrecciata di due famiglie: i Rostov e i Bolkonski.

La figura e l’operaLa figura e l’opera

di Lev Tolstojdi Lev Tolstoj

Dai grandi romanziDai grandi romanziDai grandi romanzi alla discussaalla discussaalla discussa

conversione moraleconversione moraleconversione morale

Luisa Catapano

Page 47: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

47

É però di importanza fondamentale anche la figura del conte Pierre Bezuchov, nel quale To-stoj afferma di avere tra-sposto una parte di se stesso, e che spesso ha una funzione risolutiva nelle varie vicende. Tornando alla famiglia

Rostov vediamo subito emergere la figura della giovanissima Natascia, non bellissima, ma piena di spontaneità, di gioia di vivere, di desiderio di a-mare e di essere amata, e questi sentimenti che le si potevano leggere ne-gli splendidi occhi neri la rendevano affascinante come nessun’altra fan-ciulla. Natascia ad un ballo

imperiale conosce il Prin-cipe Andrej Bolkonski che, rimasto vedovo di recente, poiché la moglie è morta dando alla luce il piccolo Nikoluska, tra-volto dalla disgrazia, cre-de che ormai la vita non abbia più significato per lui, e partecipa al ballo solo perché non può far-ne a meno, ma è comple-tamente disinteressato alle numerose fanciulle presenti nel salone. La vista di Natascia,

però, è per lui decisiva. Egli si innamora di lei e la chiede in moglie. Prima di sposarsi, pe-

rò, poiché Napoleone in-combe come una nube minacciosa sulla Russia, egli ritiene suo dovere andare a combattere, e Natascia promette di a-spettarlo.

Ma Natascia è tanto giovane e tanto bella, e durante l’assenza del principe Andrej si sente tanto sola, e perciò cede al disonesto corteggia-mento e alle insidie di Anatol Kuragin, giovane bellissimo e dissoluto il quale, desiderando pos-sederla, stabilisce, con il consenso di Natascia, di rapirla. Il rapimento non av-

viene grazie al tempesti-vo intervento di Pierre, grande amico del Princi-pe Andrej che lo aveva pregato di vigilare sulla s u a f i d a n z a t a , nell’assenza di lui. Pierre agisce tempesti-

vamente, e cerca di sof-focare lo scandalo, ma Natascia, avendo com-preso la colpa di cui si è macchiata nei confronti del Principe Andrej, desi-dera solo ottenere il suo perdono. Nella battaglia di Au-

sterlitz il principe Andrej viene gravemente ferito e quindi ricondotto a Mosca nella sua carrozza privata e con l’assistenza del medico personale. Intanto Mosca è ormai

quasi deserta, perché tutti quelli che possono cercano di fuggire, per paura dei Francesi che si dice stiano per arrivare. Anche i Rostov fuggo-

no, stipati in un carro in cui ripongono i loro og-getti più pregiati, e acca-de che il carro che tra-sporta la famiglia Rostov e la carrozza che condu-ce il principe Andrej fac-

ciano tappa nello stesso luogo. Natascia, che lo viene

a sapere, nottetempo si reca dal Principe Andrej, per chiedergli di perdo-narla, e fra i due si riac-cende l’antico amore. Na-tascia dimostra di essere un’abilissima infermiera p e r i l P r i n c i p e Andrej, che però, dopo una breve fase di miglio-ramento, all’improvviso peggiora: egli diventa paurosamente indifferen-te a tutto, e dà chiari se-gni di non potere, o non volere più vivere, perché l’anima sua non lotta più contro la morte, ma con-tro il corpo da cui vuole liberarsi. Ed infatti egli muore

quietamente e serena-mente, lasciando nella disperazione Natascia. Ma, dopo qualche tem-

po, il cuore di Natascia, inaridito dal dolore, sem-bra ricoprirsi di un nuo-vo terriccio vitale: ella ri-torna alla vita grazie all’amore che Pierre da tanto tempo nutre per lei, e che non aveva mai osato dichiararle. A “Guerra e pace” se-

guì “Anna Karenina”, ro-manzo completamente diverso per contesto e per intreccio. Infatti il contesto storico, non p a r t i c o l a r m e n t e accentuato, è decisa-mente più recente di quello nel quale si muo-vono i personaggi di “Guerra e pace”, e la tra-ma riguarda un amore illecito, un amore colpe-vole che sorge, sponta-

Page 48: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

48

neo e irresistibile, tra Anna, moglie di Aleksey Karenin, alto funzionario statale, e l’affascinante s c a p o l o p r i n c i p e Wronski. Questo amore coglie i

due a prima vista, quan-do casualmente si incon-trano alla stazione di Mosca, ma purtroppo nasce accompagnato da un fosco presagio. Infatti, proprio mentre

Anna e Vronski fanno conoscenza, un ferrovie-re muore travolto da un treno in arrivo, avendo messo il piede in fallo ed essendo caduto fra i bi-nari. Superato il turbamen-

to dovuto a questa disgrazia, con il susse-guirsi degli incontri l’amore tra Anna e Vron-ski diventa sempre più forte, ma è un amore tutt’altro che tranquillo, perché Anna è tormenta-ta dalla gelosia, e spesso è turbata da un sogno ri-corrente che la angoscia molto, al quale non rie-sce a trovare spiegazio-ne. E una sera lei confida

questo suo sogno a Wronski: dice di sognare un contadino che lavora ad un paio di scarpe in un angolo buio, ed in-tanto biascica fra sé al-cune parole in francese, e lei, Anna, non sa nean-che perché ne abbia tan-ta paura. Intanto, con il passar

del tempo, Anna diventa sempre più triste e sola: lei ormai ha rinunciato a tutto: alla sua posizione

sociale, ed anche al fi-glioletto tanto amato per stare con Wronski, ma comprende bene che tut-ti i sacrifici gravano su di lei, che ha una posizione irregolare che non le per-mette di frequentare la società, mentre Wronski, che non intende rinun-ciare alla sua libertà, si dedica volentieri agli sports e alle riunioni po-litiche, ossia a tutto quello che gli permette di uscire da casa e stare lontano da Anna, la cui gelosia è ormai diventata per lui asfissiante e fonte di numerosi litigi. Per questo, dopo

l’ennesima partenza di Wronski che va a trovare la madre, ma che ad An-na sembra motivata solo dal desiderio di allonta-narsi da lei, anch’ella si reca alla stazione per r a g g i u n g e r l o . M a all’improvviso nella sua mente si accende un lampo: ecco il modo per punire l’amante che lei ritiene infedele. Il ricordo della disgrazia ferroviaria che segnò il loro incon-tro, e l’immagine pauro-sa e ricorrente del cia-battino fanno il resto, e lei si lascia cadere sui bi-nari di un treno in arri-vo. Dopo Anna Karenina,

che è un romanzo d’amore, di tutt’altro ge-nere sono le riflessioni che impegnarono Tolstoj nel 1880. É questo l’anno, infatti, che egli chiama l’anno della sua conversione morale, del suo ritorno al Vangelo

nella maniera più auten-tica, tanto che Tolstoj di-venne inviso alla Corte Imperiale e fu scomuni-cato dal Sinodo russo co-me eretico e ateo. Questa sua crisi spiri-

tuale e , insieme, l’atteggiamento critico che egli aveva assunto verso le autorità del suo Paese sono ben presenti i n “Resurrezione”, roman-zo pubblicato nel 1899, i cui proventi, secondo Tolstoj, dovevano essere destinati ad aiutare un gruppo di evangelici russi dissidenti a fuggire dalla Russia per emigra-re in Canada. La cosa poi non avven-

ne, ma in tutto il roman-zo è evidente la critica al-le leggi costituite, perché esse colpiscono i più umili e i più poveri. Il protagonista di

“Resurrezione” è il prin-cipe Nechliudov, il quale, non ancora completa-mente guasto dalla vita indolente e comoda che da tempo conduce, viene casualmente a sapere che una fanciulla di no-me Katiuscia, una gra-ziosa cameriera da lui conosciuta in giovinezza, dapprima amata di un amore rispettoso e puro, ma poi sedotta e abban-donata a se stessa, è di-ventata prostituta e, in-giustamente accusata di omicidio, è condannata ai lavori forzati in Sibe-ria. Nechliudov ritiene che

la causa della triste si-tuazione di Katiuscia sia sua, e decide di redimer-

Page 49: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

49

la, anche a costo di spo-sarla. Egli inizia a fre-quentare il carcere per porgere aiuto a Katiu-scia, che intende accom-pagnare in Siberia, ma così conosce anche altri detenuti i quali gli rivela-no le violenze di cui sono fatti oggetto, pur essendo spesso completamente innocenti. Nechliudov cerca di

aiutarli come può, ma intanto si prepara a se-guire Katiuscia in Sibe-ria, dove dovrebbe giun-gere la grazia dello Zar, di cui lui ha incaricato un avvocato. Egli, però, è ormai

tanto stanco nel fisico m a s o p r a t t u t t o nell’anima a causa di tutte le brutture e le vio-lenze vedute. Finalmente, però, in

un capoluogo siberiano giunge la notizia che lo Zar ha concesso la grazia a Katiuscia, e lui si reca a comunicarle la notizia, e a rinnovare la richiesta di sposarla. Ma, con sua grande

sorpresa, Katiuscia, pur ringraziandolo, rifiuta di sposarlo, perché dice di avere accettato un’altra proposta di matrimonio, quella del detenuto poli-tico Simonson, persona eccellente e onesta oltre ogni dire. Ma a Nechliudov basta

uno sguardo per com-prendere che Katiuscia, pur amandolo (e forse pur avendolo sempre a-mato) sposa un altro per ridargli la libertà.

E così Nechliudov è di nuovo libero e solo, e di-nanzi a lui si prospetta una nuova missione umanitaria: quella di aiutare i carcerati. Ecco, questi sono i te-

mi di carattere umanita-rio che, ad un certo pun-to, infiammarono i rap-porti tra Tolstoj e Sofia Andreevna. Si può comunque af-

fermare che la coppia, nonostante l’amore reci-proco, non aveva mai vissuto una vita tran-quilla, perché, come si rileva dai diari di en-trambi, fin dall’inizio del-la vita coniugale frequen-ti erano stati i contrasti, sempre poi superati per-ché in realtà l’uno non poteva fare a meno dell’altra. E allora, ci si può do-

mandare, di quale dei due la colpa definitiva consumatasi con la fuga di Tolstoj da Jasnaia Po-liana? Se si leggono i diari di

Sofia Andreevna, la colpa sembra ricadere su di lui, che viene descritto come un individuo egoi-sta, che sfruttava la mo-glie la quale era curatrice dei suoi scritti (dovette riscrivere Guerra e Pace per ben sei volte) ed a cui erano lasciate com-pletamente le cure della famiglia e dei numerosi figli, perché lui, il Genio, non aveva tempo di oc-cuparsi di queste cose. Ma dal diario di lui

emerge un’altra verità: la figura di un padre amo-roso, di un marito che

non tradì mai la moglie, e che ne sopportava con pazienza le crisi isteriche e l’assillante gelosia. Ma quando Tolstoj at-

tuò la sua conversione morale, cambiando com-pletamente stile di vita, abbracciando la dieta ve-getariana per compassio-ne verso gli animali, dichiarando di non desi-derare lusso alcuno e di non volere possedere al-cunché, il conflitto con la moglie si esacerbò. Egli aveva scritto in

un testamento di voler lasciare alla moglie i suoi diritti d’autore di tutti gli scritti antecedenti il 1880, ma poi, cambian-do idea, espresse la volontà di lasciare tutto al popolo russo. Ciò suscitò un contra-

sto ancora più forte dei precedenti, perché Sofja Andreevna temeva seria-mente che in questo mo-do la famiglia sarebbe caduta in povertà. Il contrasto tra i due si

acuì sempre più. Lei di-venne sospettosa al pun-to di frugare di nascosto tra gli scritti di lui che, proprio per non farglieli leggere, li nascondeva negli stivali. M a l a s a l u t e

d e l l ’ o t t a n t a d u e nn e Tolstoj, nell’ultimo scor-cio dell’ottobre 1910, non era affatto buona. Sappiamo, comunque,

che la mattina del 27 ottobre egli fece una pas-seggiata a cavallo in compagnia del suo medi-co e amico, e che poi tra-

Page 50: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

50

256K 256K

256 256 RACCONTIRACCONTI DADA 1024 1024 BATTUTEBATTUTE

prima edizione

Sono ammessi racconti, poesie e immagini in tema cyber/digitale, ovvero che abbiano come soggetto il computer e tutte le attività a esso correlate (realtà virtuale, telefonini, videogiochi, robot...). Concorso gratuito. Troverete maggiori dettagli sul sito BraviAutori

scorse una giornata tranquilla. Però, la notte tra il 27

e il 28 ottobre, egli si ac-corse che la moglie era entrata nel suo studio e stava frugando fra le sue carte. Da ciò la decisione di

Tolstoj di fuggire da ca-sa, ma prima di andarse-ne, sempre in compagnia del medico amico, lasciò alla moglie un biglietto in cui era scritto:

“La mia partenza ti addolo-rerà, ma ti prego di capire e credere che non posso fare altrimenti. La mia condizione in que-sta casa è diventata intolle-rabile.” Tolstoj iniziò così la

sua fuga verso il Sud, e precisamente verso la Crimea. O verso la morte? Nessuno potrà mai ri-

spondere a questa do-manda. Faceva freddo nel treno, e il medico

provvedeva a riscaldare per lui un po’ di the. Egli intanto guardava l

paesaggio dal finestrino e annotava:

“La luce del giorno era gri-gia, ma coloriva lontane be-tulle e olmi, dove volavano i corvi.” Ma nevicava, e lo

scompartimento era fred-do. Tolstoj venne preso da forti brividi di febbre, e l’ amico medico consta-tò che una brutta polmo-nite si era impadronita dello scrittore, per cui era necessario scendere alla prima stazione. La stazione in cui Tol-

stoj ammalato scese fu quella di Astapovo, e il capostazione mise subito la sua abitazione a di-sposizione dell’illustre malato, al capezzale del quale corsero subito me-dici, figli e amici. Anche la moglie, di-

sperata, accorse ad Asta-povo, ma i medici non l’ammisero alla presenza

di lui perché – dissero – temevano che egli ne sa-rebbe stato turbato. Intanto Tolstoj accet-

tava con ubbidienza tut-to quello che i medici ri-tenevano opportuno dar-gli, e sopportava serena-mente le sofferenze pro-vocate dalla malattia. Intanto, ad Astapovo,

si erano radunati i mag-giori corrispondenti dei giornali russi, fotografi e perfino cineoperatori, per cui si può ben dire che la morte di Tolstoj è stata la prima morte avvenuta in diretta, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Tutti costoro sostava-

no, in attesa di notizie, nei pressi della casa del capostazione. E la notizia giunse all’

alba del sette novembre. Era un’ alba grigia e neb-biosa. Qualcuno uscì dalla

casa del capostazione e annunciò: “Tolstoj è morto.”

BraviAutori presentaBraviAutori presenta

Page 51: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

51

A Londra, alla fine degli anni 80, il tastierista Alex Pater-son inventa la sigla ORB con

la quale firma le proprie composizioni elettroniche basate su campionamenti ed effetti sonori creati in studio. Si tratta di un collage dove sopra un

ritmo technodance si alternano voci, rumori e melodie di ogni genere, non dissimili dalle sonorità dei Massive At-tack, che attraverso l'elettronica, si i-spirano al Soul Reggae e all’ambient. Gli ORB - la parola intende piccole

sfere somiglianti a globi di luce che si possono vedere nell'obiettivo di una macchina fotografia - nella loro prima fase, furono inspirati a uno spacerock di grande creatività, qualche critico ar-rivò a supporre che Paterson avrebbe potuto ereditare il titolo di “Pink Floyd del nuovo millennio”. I primi esperimenti in fatto di com-

posizione, porteranno gli ORB a sonda-re quella che verrà definita “musica li-quida”, pezzi che dimostreranno l'am-bizione di compiere un grande "viaggio", fin dentro le pieghe dell'ani-ma. Purtroppo, un eccessivo appiatti-

mento tecnologico produsse uno sterile sinth-pop di scarso valore artistico. Oggi il cerchio si chiude: ascoltate

questi Merlino dell'elettronica combi-nare il loro spazio poetico con la chi-tarra di David Gilmour, dove nell'al-bum intitolato appunto, "Metallic spheres" fanno gridare, se non al mira-

colo, almeno alla nascita di una colla-borazione molto ispirata che potrà da-re ancora nuove emozioni lunari e ip-notiche. Ascoltando i migliori ORB, e soprat-

tutto i primi due album, si ha la sen-sazione di una grande fuga dalla steri-le quotidianità che ci opprime. Le interlinee melodiche e la ritmica

narrativa finiscono per trasportare chi ascolta in una terra di mezzo, fuori dalla coscienza, e la sensazione è quel-la di guardare un musical attraverso u n v e t r o : n i e n t e è c om e sembra. La loro musica sovverte i ritmi com-

merciali e come un puzzle ambiguo di-segna nella nostra mente una mappa del suono capace di mutare continua-mente. Il loro doppio album di debutto “The

orb 's adventures beyond the ultraworld” ha permesso agli ORB di conquistare le classifiche discografiche del 1991, risultando un prodotto di

ORB,ORB,

“musica liquida”“musica liquida”

Stefano Napolitano ORB, la musicaORB, la musicaORB, la musica

elettronica di elettronica di elettronica di Alex PattersonAlex PattersonAlex Patterson

Page 52: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

52

grande profondità e spessore, capace di sfio-rare le corde inquiete dell’animo umano. Il la-voro propone un'unica suite in dieci movimenti. Si segnalano la solare “Little fluffy clouds” e l'ultima parte di “Into fourth dimension” con frammenti di musica vi-valdiana e litanie liturgi-che in un concerto denso e imprevedibile che ne costituisce l'apice narra-t i v o . Il secondo episodio musi-cale di indubbio valore è “u.f.or”. In questo disco sono

presenti universi sonori più astratti e legati alla

poetica ambient, attra-verso lamenti astrali che danno l'idea di un blues spettrale con atmosfere urbane scure e depri-menti. I l t e r z o a lbum

“O.O.B.E.” (acronimo di out of body experience) è una miscellanea di sono-rità aliene, provenienti da una lontana base or-bitale. Il pezzo Blue Room (17 minuti ma la versione su singolo arri-va a 40) si impreziosisce della collaborazione di Steve Hillage, ed è una tela sonora di una sug-gestiva malinconia. Seguiranno altre colla-

borazioni come quella

prestigiosa con Robert Fripp; non tutte, a dire il vero, saranno testimo-nianze di altrettanti suc-cessi. Gli ORB, in ogni caso,

dimostreranno anche di essere in grado di ripren-dere i discorsi interrotti, e il loro sound è sempre capace di servire uno scacco matto, come in una sorta di rivelazione che è il ritratto del loro ultimo viaggio.

Page 53: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

53

P er chi come me, fin dai primi an-ni dell’infanzia, si è cibato di ver-si scrivendo ininterrottamente

fino ad oggi, trovarsi impaludato in mi-gliaia di siti internet e leggendo ciò che scrive la maggior parte in poesia, sia come contenuti sia soprattutto come stile, è restare a pensare se poi ne è veramente valsa la pena pubblicare chilometri di parole per costatare che alla fine nasce un interrogativo di de-lusione: Poeta, dove vai? Gira e rigira ci si ritrova sempre con

gli stessi contenuti, valori familiari, amore, natura, sentimenti, ansie, con-dite con varie salse ma tutti dallo stes-so sapore in forme che con la poesia, quell’intesa Vera e che resta nella mente del fruitore, hanno ben poco da spartire. Buona parte di chi fa poesia è con-

vinto che basti scrivere un pensiero, come un articolo e mettendo una frase sull’altra, è avere scritto una lirica, prosodia, metrica e stilistica sono ter-mini che poco importano avere studia-to o averne immagazzinato almeno un’infarinatura, a loro basta il compli-mento, spesso suggerito dall’affettività, del parente più vicino, a spingerlo non dico prima a pubblicare, come si face-va tanti anni fa su un periodico carta-ceo ed ora, con l’avvento d’internet, on line, ma addirittura a mettersi alla ri-cerca spasmodica dell’editore di turno: Questi, nella maggior parte dei casi, se si tratta d’uno importante non lo pren-

derà nem-meno in considera-zione, se è uno stam-patore gli chiederà u-na cifra tot per un certo numero di copie e l ’ a u t o r e penserà di aver toccato

il cielo con un dito e di aver raggiunto l’agognato traguardo di entrare far par-te, di diritto per giunta, nella schiera dei maggiori poeti contemporanei. Ho sempre sorriso quando ho appre-

so che un insegnante, tanto per fare uno dei numerosissimi esempi, andan-do in pensione si è svegliato una mat-tina col desiderio di diventare poeta, magari a 65/70 anni, senza avere in tutta la sua vita mai scritto un verso, e usando le sue reminiscenze scolasti-che inizia a scrivere, magari contando sulla punta delle dita sul naso le varie battute decasillabe o endecasillabe, la sua prima poesia su un genitore de-funto e si ritrova a sentirsi poeta, sa-rebbe il meno se mettesse il frutto del suo pensiero in un cassetto, e ci crede a tal punto da inviare subito l’elaborato ad uno dei tantissimi con-corsi (se ne contano più d’uno al gior-no) con la speranza di arrivare tra i

Luciano Somma

Poeta,Poeta,

dove vai?dove vai?

I vani sogni diI vani sogni diI vani sogni di gloria di tantigloria di tantigloria di tanti

poeti improvvisatipoeti improvvisatipoeti improvvisati

PremioPremio

di di

PoesiaPoesia

1° Classificato1° Classificato

Page 54: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

54

primi. Basterà avere un diploma di merito (un rettangolo di carta non si nega a nessuno…) e dun-que si sentirà non solo appagato, ma ne scriverà ancora tanti di titoli per potere poi gareggiare per tentare di vedersi ricono-sciuta l’aureola del gran-de vate agli occhi dei pa-renti e degli amici. É bene sottolineare

che la partecipazione a questi concorsi è condi-zionata al pagamento d’una certa cifra per la partecipazione, seguiran-no poi, in caso di segna-lazione dell’elaborato in-viato, le spese di viaggio, vitto ed alloggio per rag-giungere la località della mani f es ta z ione ( l a presenza in molti concorsi è indispensabile pena il non consegui-mento del premio in caso d i a s s e n z a ) . Ma si, spendiamoli pure questi 300 o 400 euro, in

totale, si dirà, gonfio co-me un pavone per quello che ritiene il raggiungi-mento chissà di quale traguardo senza capire che quel diploma, con targa, coppa o medaglia, che andrà a ritirare, sarà stata dato a decine di al-tri concorrenti che come lui credono sia quella la strada che porta al suc-cesso letterario. Senza ombra di dub-

bio la strada dei concorsi è importantissima da percorrere ma non certa-mente per gente che si è improvvisata scrittore o poeta, dalla sera alla mattina ed ad una certa età, bensì per i giovani i quali mettono su carta i loro pensieri che però, a pari passo con gli studi, sanno fare gavetta per uscire dall’anonimato e spesso con grandi sacri-fici, e qui la loro poetica sarà sicuramente testi-monianza filologica di chi

esaminerà i loro lavori, bussare alle porte edito-riali serie, quelle che contano, per immettersi sulla non facile strada della poesia. Sono queste le consi-

derazioni che mi fanno riflettere su un cammino percorso dall’età di 13 anni e che ancora oggi, anche se spesso nella ve-ste di giurato, mi vede presente in qualche con-corso anche se da un paio di lustri la mia atti-vità è prevalentemente quella di autore di testi canzoni, appunto perché quella poetica, nei secoli, tranne qualche doverosa eccezione, non ha dato mai pane a nessuno, che mi fanno gridare (a me stesso) poeta, dove vai?

SE TELEFONANDO

via Val di Fassa, 58 00141 Roma

Tel. 06 8174549

i miei i miei i miei i miei

VersiVersi

Page 55: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

55

S tefano Simone de-butta con un lun-gometraggio inco-

raggiante dopo le buone prove registrate in alcuni corti horror - thriller co-me Kenneth (2008) e Cappuccetto Rosso (2009). Una vita nel mistero è

un film difficile che parla di fede, speranza, amore c o n i u g a l e e d e ven t i m i r aco l os i , ascrivibile al genere drammatico, sostanzial-mente religioso, ma ricco di effetti speciali e di ri-mandi alla cinematogra-fia di genere italiana. “Il cuore ha le sue ra-

gioni che la ragione non conosce”, è la citazione filosofica presa in presti-to da Blaise Pascal per introdurre lo spettatore in un’atmosfera misterio-sa. Simone dirige con

semplicità e sicurezza una storia sceneggiata in maniera lineare da Ema-nuele Mattana, senza omissioni e imperfezioni, che ha il solo limite di

alcuni dialoghi troppo impostati. La storia racconta

l’amore di una coppia borghese che travalica la vita terrena, i piccoli ge-sti di tenerezza del mari-to, la grande fede che unisce entrambi, gli eventi miracolosi che portano prima a una guarigione inspiegabile e quindi alla morte della donna. La pellicola rac-conta per immagini, tra dissolvenze e visioni sug-gestive, per una precisa scelta del regista che ri-corre al dialogo solo quando non ne può fare a meno. La colonna sonora di

Luca Auriemma è fonda-mentale nell’economia del film, a tratti pare ispirarsi alla musica sa-cra e riproduce un cre-scendo di tensione nei momenti decisivi della storia. Simone è bravo anche nel montaggio, perché il film gode di buona tensione - pur non essendo un thriller - e lo spettatore segue con trasporto la vicenda. La fotografia è un ulte-

riore punto di forza che induce ad apprezzare i paesaggi marini di Man-fredonia e suggestive ambientazioni campestri. La fotografia e la musica sono un mix interessan-te, studiato nei minimi particolari, una vera e propria fusione di sono-rità e immagini priva di sbavature. Lo stile di regia è so-

brio ed essenziale, Simo-ne guida gli attori con sicurezza e i due prota-gonisti (Tonino Pesante e Dina Valente) recitano con bravura, pure se ri-sentono di una imposta-zione squisitamente tea-trale. Stefano Simone mette

in pratica tutta la sua conoscenza del cinema fantastico, dimostrando di aver appreso la lezione di Michele Soavi e del suo San Francesco tele-visivo. Simone è consa-pevole che non esiste te-matica più fantastica che raccontare i miracoli di un santo, per questo gui-da la macchina da presa alla scoperta di pendole che si fermano, asciuga-

Una vitaUna vita

nel misteronel mistero

Il primo Il primo Il primo lungometraggio di lungometraggio di lungometraggio di

Stefano SimoneStefano SimoneStefano Simone

Gordiano Lupi www.infol.it/lupi

Page 56: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

56

mani che assumono for-me surreali, nubi che di-segnano lotte tra bene e male, fotografie impres-sionate da eventi anoma-li e volti di Padre Pio ri-cavati da molliche di pa-ne. I tempi del film non sono dilatati, se esclu-

diamo qualche passeg-giata di troppo e un paio di sequenze inserite per raggiungere i tempi ca-nonici di un lungome-traggio. Simone riesce a fondere una forte temati-ca minimalista come quella dell’amore coniu-

gale con ele-menti visio-nari, onirici e fantastici. Non era un compito faci-le. Sembra che il giova-ne regista pugliese ab-bia studiato a fondo il ci-nema di In-gmar Ber-gman, so-p r a t t u t t o Scene da un matrimonio (1973), ma anche altre pellicole del grande sve-dese intrise di elementi f an t a s t i c i . L ’ i n c o n t r o del vecchio sulla panchi-na del parco che si ripete-rà in un vi-colo oscuro della città rappresenta un impor-tante mo-mento di tensione e lascia indeci-si sulla sua natura so-

prannaturale. La finestra che si apre, la candela che si spenge, la rivista che si sfoglia da sola so-no una serie di episodi che servono a far capire l’evento miracoloso. Ve-diamo l’immagine di un cuore ricavata da una

Page 57: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

57

goccia di caffè, il fazzo-letto piegato che sembra un angelo, il telefono che squilla a vuoto. Il fanta-stico è fuso con un tene-ro amore coniugale, ricco di fede (sarà lui a darci la forza, non ci abbando-nerà), preghiera e devo-zione a Padre Pio. Simo-ne è consapevole di gira-re cinema religioso, ma non lo rende stucchevole e pietistico, la sua è una religiosità pasoliniana fatta di piccoli gesti quo-tidiani e di grande amore per la vita. Il santo vive insieme alla coppia e lot-ta al loro fianco contro il male, salva la donna dal-la morte per tumore, ma in seguito non può evita-re che venga fatta la vo-lontà divina. Nella parte finale apprezziamo alcu-ne scene di puro cinema horror che Simone inse-risce con bravura. In un negozio di scarpe appare e scompare un frate fan-tasma, personificazione della morte, che succes-sivamente torna a scon-volgere i sogni di moglie e marito. La parte onirica che porta alla morte del-la donna è ben fatta, possiamo dire che si tratta di ottimo cinema fantastico ricco di sugge-stioni orrorifiche. Vedia-mo il male che lotta con-tro il bene, ma questa volta Padre Pio non può sconfiggere la morte per-ché l’ora della separazio-ne terrena è giunta. Gli effetti speciali sono

ottimi, la scena madre colpisce a dovere e lascia in sospeso lo spettatore

sui motivi del decesso. Rivediamo il marito al cimitero mentre compie i gesti d’un tempo e com-pra rose rosse per la mo-glie scomparsa. Ritorna il frate, rappresentazione della morte, segue l’uomo nel parco, scom-pare e infine si allontana nel sole. “Dio è ovun-que”: una religiosità francescana mostra l’immagine di Padre Pio anche nel pane quotidia-no. La solitudine del pro-tagonista è totale, anche se resta il ricordo della moglie, unito al grande

amore per la fotografia e a una fede potente. Una vita nel mistero è un buon lavoro di esordio che fa ben sperare per le future prove di Stefano Simone, regista caratte-rizzato da una marcata vena horror - fantastica. Il giovane regista puglie-se ci consegna un’opera che va oltre le classifica-zioni di genere, utilizza momenti onirici e visio-nari, ma riesce anche a far pensare.

Una vita nel misteroUna vita nel mistero

SCHEDA DEL FILMSCHEDA DEL FILM

Origine: Italia.

Anno di produzione: 2010.

Durata 86’.

Genere: Drammatico.

Formato: 16:9 widescreen (1.77:1).

Audio: Stereo PCM.

Regia: Stefano Simone.

Soggetto e Sceneggiatura: Emanuele Mattana.

Musiche: Luca Auriemma.

Fotografia e Montaggio: Stefano Simone.

Costumista: Dora De Salvia.

Produzione: Jaws Entertainment.

Interpreti: Tonino Pesante, Dina Valente, Francesco Granatiero, Don Antonio D’Amico, Cosimo S. Del Nobile, Lello Castriotta, Amilcare Renato, Grazia Orlan-do, Sabrina Caterino.

Page 58: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

58

Si è appena concluso il primo concorso BraviAlunni, indetto da BraviAutori con la partecipazione della Professoressa Angela di Salvo. I concorrenti in gara, tutti iscritti al liceo classico, si sono misurati sul tema “Il destino”. Vi proponiamo il racconto vincitore del concorso.

L a pioggia sbatte sui vetri. È ottobre ma sembra di essere a dicembre inoltrato. Fuori gli al-

beri si muovono convulsi, le strade so-no fiumi di acqua e fango. Vedo qual-che macchina ferma davanti ai grandi cancelli delle ville irlandesi. Queste case così composte e perfette, con i giardini sempre curati e verdi, sem-brano tutte uguali. Il buio e la pioggia le rendono inquietanti, ne deformano i contorni. La pioggia scende dai tetti rossi, pare quasi di essere in un video-gioco. Tutto si amalgama con il resto. Dentro ogni casa tante persone vivono esistenze diverse, eppure in questa notte buia e piovosa siamo tutti ugua-li. Sono sola. La casa è buia, nessun rumore, solo il vento impetuoso e i ve-tri che sembrano infrangersi sotto il peso della grandine e dell'acqua. Guardo fuori, osservo le cose nei det-tagli. Non è una cosa che ho sempre fatto, anzi, di solito si guarda distrat-tamente in giro, non si osservano ac-curatamente le cose semplici che ci

circondano quotidianamente. Tanto si ha una vita intera per farlo. Ma io una vita intera non ce l'ho.

Per questo ho imparato ad amare anche le cose più piccole e insignifi-canti, così "dopo" ricorderò tutto, mi sarò goduta ogni singola virgola di questo mondo. Eppure mi mancano delle esperienze, delle cose che deside-rerei ma che non posso fare. Non per-ché io non voglia, ma perché non pos-so materialmente. Non ne ho la forza. Perciò in questo giorno di pioggia così triste e uggioso, che si addice appieno alla mia vita, decido di buttare qual-che chiazza di colore qua e là nella speranza di lasciare un’ impronta di me come di una ragazza felice e spen-sierata e non come la piccola malata che fra qualche mese non potrà più muoversi. Accendo la radio, la metto al massimo volume e canto. Ricordo che una volta mio padre, mentre can-tavo a squarciagola, mi gridò dal pia-no di sotto: «Catherine, se vuoi fare la cantante, stai messa male !». E io pen-savo che non volevo fare la cantante, no, io volevo fare la scrittrice! Perché avrei lasciato qualcosa di me, avrei messo nero su bianco i miei pensieri e le mie paure, e nessuno li avrebbe po-tuto più cancellare. Non c’è migliore eredità di noi che quella di affidare i nostri pensieri alla scrittura. Credo di avere un po' il complesso del voler la-sciare qualcosa di me agli altri. Ma penso sia normale per una ragazza

Prima Prima

di...di...

Il racconto vincitore Il racconto vincitore Il racconto vincitore del concorsodel concorsodel concorso

BraviAlunni 2010BraviAlunni 2010BraviAlunni 2010 Nancy Cultrera e Roberta Pappalardo

BraviBraviAlunniAlunni

Page 59: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

59

malata di cancro che ha solo forse 5-6 mesi di vita. Mentre la musica pompa sulle note dei Nicklblack, ripenso a qualche settimana fa, quando tutto è incominciato, quando la mia vita è cambiata. Non ho praticamente ricordi prima dell'ospedale. So con assoluta certezza che ero a scuola, ridevo, scherzavo e parlavo con le mie compa-gne di classe e poi ..il nulla. Ho circa tre ore e mezza di vuoto in cui tutto è sprofondato nell’oscurità . Con il sen-no di poi, ho capito che in quelle ore non ho sognato né pensato a nulla. Era come se fossi entrata in uno stato di catalessi completa. Dopo tre ore, mi sono svegliata ed mi ritrovata stesa su un letto d'ospedale abbagliata dalla luce giallognola dei neon. Dalle fine-stre non passava nemmeno un filo di sole. Non c’era nessuno accanto a me. Mi sono ricordata che i miei erano fuori in viaggio e che probabilmente non avevano fatto in tempo a tornare prima che mi riprendessi. Dopo qualche ora, un giovane medi-

co con apparente freddezza , mi ha detto che a scuola ero svenuta e che avevo avuto delle convulsioni. Nella confusione generale tutti erano entrati nel panico e non mi avevano soccorsa subito. Il mio cuore si era fermato per circa due minuti e mezzo fino a quan-do non era arrivato il medico della scuola con un defibrillatore e mi aveva salvata. Devo ricordarmi di ringraziar-lo un giorno. Ho chiesto al dottore per quale motivo ero svenuta così improv-visamente. «Avrei preferito parlare prima con i

tuoi genitori» dichiarò esitante. «Non ci sono adesso, sono in Italia.

Ma parli pure con me. Voglio sapere…e non ho paura di sapere.» Non scorderò mai i suoi occhi. La

contrazione delle sopracciglia e il mo-vimento nervoso delle sue mani. Mordendosi con palese imbarazzo il labbro, mi ha informata che avevo un cancro. Forse c’erano stati dei sintomi che avevo sottovalutato perché si pre-sentano spesso in coloro che hanno la

mia d'età. Mal di testa, dolore ai mu-scoli, vomito, ecc. Non ho pianto e non mi sono dimo-

strata disperata, come chiunque in quella situazione avrebbe fatto. Ero in paralisi momentanea del cervello. Ave-vo intuito che stavo per morire, ma non avevo ancora realizzato per bene questa "eventualità". Abbassò gli occhi il medico, e si di-

leguò con la solita frase «Mi dispiace davvero, ma faremo tutto il possibile. Intanto aspettiamo i tuoi genitori e poi cominciamo la cura al più presto». Nei giorni seguenti a casa incominciai ad analizzare tutta la situazione e a capire che chi è più fragile si dimostra più forte per dare conforto agli altri. Ecco perché ho cominciato a prefis-sarmi degli obiettivi e delle cose che voglio fare nella vita che mi resta. Quindi, in questo giorno piovoso mi sono seduta sul letto e ho scritto le uniche due cose che voglio davvero provare, che voglio fare prima di mori-re. Voglio provare a essere come tutti gl i altr i , per qualche volta. Lista: 1) Bagno a mare in pieno inverno… 2) Guidare la porche di papà

(possibilmente senza che lui lo sappia)

Finisco di scrivere e guardo la lista. Sono abbastanza soddisfatta. Suona il campanello e vado ad aprire. È Marco. Marco è il mio migliore ami-co. Siamo cresciuti insieme, si è tra-sferito dall'Italia quando io ero molto piccola e i nostri genitori sono subito diventati amici. Dal momento in cui ci siamo incontrati, siamo diventati inse-parabili. Saliamo nella mia stanza e ci sediamo sul tappeto morbido. Marco è stato il primo a sapere della mia malattia. Penso debba anche essere il primo a sapere della mia lista. Gli passo il fo-glietto scritto a mano, senza dire nien-te. Lo guardo e basta. Marco legge attento. Poi alza gli occhi e mi dice: «Sai bene che ti aiuterò, non mi tiro indietro».

Page 60: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

60

Sulla sua totale disponibilità non ave-vo dubbi. Marco è stato il primo con cui ho fatto le esperienze che mi han-no segnata di più. «Grazie, lo apprezzo», e gli regalo un sorriso. Uno di quelli che non potrà rivedere più. «Beh, credo sia il caso di mettere in atto il primo punto. Andiamo al mare, preparati», mi dice alzandosi dal tap-peto. «Ma come! Così? All'istante?»- ribattei sorpresa. Io sono sempre stata un po' paurosa. Lui invece è coraggioso. «Si, adesso, e quando sennò? Dai che ha anche smesso di piovere. Usciamo, andiamo con la mia macchina.» Mi preparo e dopo 10 minuti salgo sull’auto di Marco. Guida fino alla scogliera, dove ci fermiamo e io scen-do. Marco posteggia mentre io lo aspetto. Guardo l'orizzonte. Avrò dav-vero il coraggio di tuffarmi in pieno oceano a ottobre? Marco mi viene incontro, mi prende

la mano e camminiamo sulla sabbia. Mi fermo davanti al bagnasciuga, mi tolgo le scarpe, la felpa e i jeans. Ri-mango in costume. E cammino verso l'oceano. L'acqua mi bagna i piedi e per un attimo penso: “Ma sono pazza? Sono malata di cancro e mi sto tuffan-do a mare!” Però continuo, proseguo e

mi immergo del tutto. Non sento le braccia, le gambe e il busto, ma rido, rido, rido. Credo di non essermi mai sentita così viva. Esco dall'acqua completamente ge-lata e Marco mi av-volge in un asciu-gamano. Non mi dice niente. Non ci diciamo nulla, ri-maniamo così, ab-bracciati. Tra di noi è sempre stato co-sì, poche parole e

tanti gesti d’affetto. La sera rientro distrutta a casa e,

dopo una doccia calda, mi metto subi-to a letto. Ripenso alla giornata di og-gi, e mi rendo conto che mi rimane davvero poco tempo. Le stagioni si susseguono, mi ritro-

vo seduta al solito posto accanto la finestra. Credo di avere una concezio-ne del tempo molto più veloce rispetto a quella degli altri. Passano i mesi ma a me sembrano settimane. Fino a 5 mesi fa la pioggia inondava le strade, la neve si depositava dolcemente sui marciapiedi. Adesso si intravedono i primi raggi di sole, le foglie autunnali sono sparse sulle strade. Se si prova a osservarle, si può notare come i loro colori acquistino una diversa grada-zione ogni giorno che passa. Ecco, adesso che fisso tutti i parti-

colari di questa strada, dei tetti tutti rossi e dei giardini verdi e perfetti, an-cora una volta mi rendo conto che ho poco tempo. Incomincio ad avere un po' di paura. Non per la morte in sé, ma per quello che lascio, per quello che avrei voluto provare e che invece non proverò mai. Però mi manca an-cora una cosa da fare. E penso che adesso, ora che i dolori si sentono a-cutissimi e che i medici mi imbottisco-no di morfina, ora che la mia pelle è quasi trasparente, ora che ho perso

Page 61: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

61

tutte le forme, penso sia giusto per me esaudire l'ultimo desiderio prima che fra qualche settimana io non sia più in grado di farlo. Prendo il telefono e di getto chiamo

Marco, ho bisogno di lui. Non rispon-de. Il telefono squilla a vuoto. Così scendo in garage, mentre a casa anco-ra tutti dormono e accendo il motore della porche di mio papà. L'adrenalina aumenta mentre ingrano la marcia e parto, destinazione: casa di Marco. Appena mi vede arrivare, lo vedo im-pallidire, si mostra sorpreso e preoc-cupato, di certo non capita tutti i gior-ni che una malata terminale di cancro guidi una porche! Sale subito in mac-china con un espressione disperata e eccitata insieme. Guida lui, NON SI FIDA! In Irlanda esistono delle piste dove i piloti principianti corrono con le macchine. Marco si dirige li. Non vuo-le rischiare la vita e sa che la velocità è una sensazione che voglio provare, non potrebbe mai riuscire a impedir-melo. Arriviamo al circuito, comincia la corsa!! Marco ingrana la prima, la seconda… la velocità aumenta, l'adre-nalina sale. Sono schiacciata sul sedi-le accanto al guidatore. Non ho la for-za di ridere ma godo nella mente. È una sensazione mai provata. Guardo fuori dal finestrino e, mentre la mac-china sfreccia come un bolide, il pae-saggio è diventato solo un miscuglio di colori, il verde l'arancione, il rosso, il giallo, tutti amalgamati. E penso che, se dovessi morire adesso, mi rimarrebbe tutto questo, la percezione di que-sti colori smaglianti che si fondono fra di loro e con tut-to. Dopo questo pensiero… il buio. Mi risveglio dopo tante ore

sul solito letto d'ospedale. “Sempre qua sono”, mi dico. Apro gli occhi e c'è Marco

accanto a me. Non dice nien-te, come al solito. Mi stringe la mano e ba-

sta. Uno dei suoi tanti gesti

di insostituibile e caro amico. E il suo silenzio strano mi fa capire tutto. Il silenzio vale più di mille parole,

così dicono. Chi l'ha detto, ci ha az-zeccato. Mi hanno raccontato che il mio cuore questa volta non si è ferma-to, ma che sono svenuta per l'ennesi-ma volta. Marco ha corso verso l'ospe-dale mentre ero in preda alle convul-sioni. Grazie, porche di papà. La velocità

qualche volta forse aiuta. Mi hanno salvata in tempo, ma il mio sangue è infetto. È come se circolasse veleno nelle mie vene. Nelle ore successive, mi imbottiscono di morfina, per non sentire i dolori. Arrivano parenti mai visti, persone conosciute a salutarmi, sorridono, parlano ed è come se mi dicessero addio. Che cosa strana ve-dere chi prima non ti considera nep-pure, che poi alla fine vuole venire a salutarti un’ultima volta anche se non te lo dice. Ma le persone più importanti per

me sono sempre state vicino a me. Marco, mia madre, mio padre non si sono mossi un solo istante. Sono an-cora accanto a me mentre la mia vista si annebbia e non sento più nessun muscolo. Regalo un ultimo sorriso a loro e poi chiudo gli occhi. Non so che mi aspetta…. ma so che ho lasciato un segno di me. Adesso posso anche andare.

Page 62: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

62

“Sono un servitore del fuoco segreto e reggo la fiamma di Anor!” pronuncia in tono concitato ed im-

perativo il mago Gandalf il Grigio, per-sonaggio ben noto del Signore degli Anelli, confrontandosi con il demone di fuoco Balrog negli oscuri recessi delle miniere di Moria, richiamando così all'attenzione numerose tematiche a sfondo alchemico di cui la non meno importante quella riferita al posto centrale ed elitario occupato nell'Alchi-mia dal fuoco, in particolare dal Fuoco Segreto. Fin dai popoli primitivi e nostri avi

primigeni, secondo la corrente inter-pretazione della comparsa dell'uomo sul pianeta Terra, il fuoco ha esercitato un'attrazione ed un misticismo particolare. A cominciare dalla scoperta

del fuoco per passare al suo u-tilizzo per manipolare i metalli fino al suo uso per il riscalda-mento e per l'illuminazione. Per parlare solo del fuoco fisico, perché in vero esistono nume-rose altre forme ed espressioni del fuoco, a partire da quello fisico per passare a fuochi più sottili e metafisici. Secondo Pitagora e le antiche

tradizioni tutto è regolato dal f u o c o c h e batte il ritmo del sette: i sette colori dell’arcobaleno, le sette note, le sette porte dell’anima, i

sette giorni della creazione, i sette pia-neti, i sette cieli, i sette Chakra o ener-gie vitali, e così via. Anche Ippocrate ricorda come il numero sette, per le sue virtù occulte, tende a realizzare tutte le cose; è il dispensatore di vita e fa parte di tutti i cambiamenti, come la luna che cambia ogni sette giorni. L'Alchimia è per prima cosa l'Arte in

grado di manipolare con saggezza ed umiltà il fuoco in tutte le sue forme, tanto è vero che molti maestri alchemi-ci sono noti per aver ricevuto l'altiso-nante e pregevo le t i t o lo d i “Philosophus per Ignem”, ovvero di Fi-losofo per mezzo del fuoco, in quanto nel fuoco, in particolare nel suo dosag-

I maestriI maestri

del fuocodel fuoco

I servitori del fuoco I servitori del fuoco I servitori del fuoco segreto ed i maestri segreto ed i maestri segreto ed i maestri

dell'arte del fuocodell'arte del fuocodell'arte del fuoco

Luigi Cristiano

foto 1 - Segreto del Fuoco

Page 63: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

63

gio, è centrato molto del segreto alchemi-co, come citato spes-so da numerosi auto-ri nella frase ermeti-ca descrittiva dei la-vo r i a l chem ic i : l’Alchimia è come il cucinare delle donne ed il giocare dei bam-bini! Se prendiamo un

qualunque diziona-rio, la parola fuoco è comunemente riferita alla combinazione di un bagliore brillante coordinato ad una grande quantità di calore emessa duran-te un rapido processo autoalimentato di ossidazione esotermi-ca, ergo il fuoco pro-duce luce ed energia sotto forma di calore ed è proprio questa m a s s i v a l ibe raz ione che l'alchimista deve sapientemente con-trollare, dentro e fuori dal forno, così come den-tro e fuori di sé stesso. Desidero ricordare co-

me l’energia che rende possibile il lavoro alche-mico è un’energia ra-diante, un agente cele-ste, un flusso cosmico denominato Fuoco Se-greto, l'agente trasmuta-torio principe di ogni tra-sformazione in ogni pia-no di esistenza. “Fuoco Segreto” come terminolo-gia è facilmente inter-scambiabile con la frase “Segreto del Fuoco” ed ogni piano di esistenza possiede il suo Segreto del Fuoco (foto 1).

Nel piano fisico, ovvero nella materia, abbiamo naturalmente la manife-stazione del classico Fuoco fisico, come tutti ne abbiamo consapevo-lezza. Esso è il fuoco ele-mentare che arde nel for-no, su un becco bunsen, come anche la più bana-le fiamma di una cande-la, usato con particolare vigore e sapienza nella cosiddetta “Via Secca” alchemica, a contrappor-si alla “Via Umida”. La Via Secca si opera

ai fornelli con crogioli di porcellana, grafite o in terracotta refrattaria e vengono utilizzate alte

temperature per la fusio-ne dei metalli (anche fino a 1200-1500 °C) (foto 2) Ma la reale accezione di Fuoco fisico non è solo questa. Esistono altre due forme di Fuoco fisico ed esse sono: il Fuoco A s t r a l e , o v v e r o l’irraggiamento celeste proveniente dal Sole (ma anche dalla Luna e dalle lontane Stelle), che non veicola solo l’energia infrarossa dello spettro elettromagnetico delle onde fisiche (che ci per-mette di esperire la per-cezione del calore), ma anche il principio vitale conosciuto in maniera

foto 2 - Via Secca

Page 64: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

64

eccellente dalle filosofie e religioni mistiche orien-tali come Prana, Ki, Chi, C ’hi ed eredi tato dall’Occidente come energia orgonica, biopla-sma o energia vitale. La terza forma di fuo-

co fisico, ma non meno importante, è quella che potrebbe essere chiama-ta Fuoco Segreto elemen-tare, che si può evincere in modo squisito durante una qualunque reazione esotermica da laborato-rio, come quella che si ot t iene sc iogl iendo l’idrossido di sodio in ac-qua distillata, che pur non producendo fiamma e v i d en t e , p r oduce energia sottoforma di ca-lore. Nel piano emozionale

troviamo essenzialmente due manifestazioni stret-tamente correlate del fuoco come Fuoco emo-zionale: il Fuoco Segreto emozionale esoterico (cioè invisibile agli occhi) che si può p e r c e p i r e molto bene quando si provano forti emozioni co-me l’amore o la rabbia. Le emozioni, so-p r a t t u t t o quelle inten-se, sono in grado di vei-colare una g r a n d e quantità di energia e ‘bruciare’ co-me un fuoco l’animo u-

mano, sia come fuoco generativo, nel caso della gioia e dell’amore, che come fuoco distruttivo, nel caso della rabbia e dell’ira. Di seguito esiste il Fuoco emozionale es-soterico (cioè visibile) che deriva dal precedente e s i evince perché manifesta-to dalla pelle come rossore e calore, soprat-tutto al petto e al volto, quindi è essenzialmente Fuoco Segreto emoziona-le esoterico liberato verso l’esterno del Sè. Qualun-que persona innamorata, per fare un esempio, è in grado di provare questo fuoco dentro di se, che parte dal cuore e si irra-dia dal volto quando è insieme alla persona a-mata. Lo stesso dicasi per una grande gioia. Avere un buon equili-

brio dei chakra del corpo, in particolare una buona apertura del chakra del cuore, o

Anahata Chakra, per-mette di riconoscere, comprendere e dirigere il Fuoco Segreto emoziona-le esoterico come una pura onda e sensazione di calore e amore nel pet-to, unita ad una sensa-zione di gioia e pace. La pratica costante e disin-teressata da speculazioni economiche del Reiki co-sì come di altre tecniche affini, permette di stimo-lare la presa di consape-volezza sul chakra del cuore (foto 3). Nel piano mentale vi è

un unica forma di fuoco, quello che potrebbe esse-re definito Fuoco Segreto mentale, il fuoco delle idee che guidano l’individuo verso un o-biettivo specifico oppure il fuoco dei più alti prin-cipi morali ed intellettua-li. È un fuoco legato alla volontà umana e al p o t e r e i n t r i n s e c o d e l l ’ i n t u i z i o n e e dell’intenzione. Si pensi

foto 3 - chakra del cuore

Page 65: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

65

ai più grandi rivoluziona-ri mistico-intellettuali della storia, a cominciare da Gesù Cristo, per pas-sare a Giovanna d’Arco fino al venerabile Mahatma Ghandi, che con le loro azioni oltre a dare un esempio impor-tante di alchimia sociale hanno segnato profonda-mente l’inconscio collet-tivo e la mentalità del ge-nere umano, fornendo esempi di forza di Fuoco Segreto mentale da cui trarre insegnamento ed ispirazione. Nel piano spirituale il

Fuoco Segreto spirituale si manifesta come puro stato di estasi, condizio-ne di particolare trance mistica esperita da molti Santi e mistici di tutto il mondo, nonchè simbo-leggiata in Alchimia dall’ardente Fenice (foto 4). Alcune tecniche parti-

colari di meditazione e situazioni di intenso coinvolgimento psico-sensoriale, come pure una frequente e disinte-ressata opera di Servizio senza aspettative, ne possono di certo stimola-re l’esperienza personale. Una tiepida percezione di questo fuoco la si ha quando ci sentiamo collegati con tutto ciò che ci circonda, con la m a g i a d e l l ’ i n t e r a Creazione, dove cadono le barriere psichiche e percettive fra il Sè ed il resto del mondo. Usare correttamente questo fuoco permetterebbe di raggiungere particolari

consapevolezze e stati v ibrazionali e levati dell’essere, aprendo all’uomo le porte della Conoscenza Segreta, via diretta per la vera Illumi-nazione e per destinazio-ni leggendarie come l ’Eden, Shambal la , Shangri-la ed il Nirvana, p e r n on p a r l a r e dell’Ascensione. Raggiungere la consa-

pevolezza per usare correttamente tutti i fuochi dell’essere è la meta finale del percorso alchemico e sotto questa luce appare chiaro come raggiungere il Donum dei voglia dire diventare veri e propri Maestri del Fuoco Segreto e ciò contraddistingue chi serve il fuoco come i soffiatori, oppure chi si serve del fuoco, come i veri Artisti. E per concludere, la

verità è che nessuna reli-gione, filosofia, libro, sistema politico o ca-sta elitaria o setta mistica possiede di per se tutte le chiavi, le tec-niche e le co-noscenze per i s t r u i r e l ’ a s p i r a n t e fuochista a raggiungere la meta ultima del percorso Alchemico. L’unico mo-

do per diven-tare novizi e poi Maestri del Fuoco è di

porre attenzione ed osservare la Natura e soprattutto sè stessi. Il forno è l’essere umano stesso e la materia prima non è altro che l’anima. Impariamo tutti a guar-darci dentro, a trovare dentro di noi la vera Luce e donarla al mondo. Sta a noi non cascare

nella maya, nell’illusione della divisione, della separazione e ripercor-rendo la via del Fuoco a ritroso sapremo riunire, ritrovare l’armonia e fi-n a lm en t e t o r n a r e all’Uno. Solo così potrà compiersi l’ultima gran-de rivoluzione umana, quella dell’anima, tanto attesa nei prossimi anni, che porterà il mondo med i e va l e a t t ua l e dall’oscurità alla vera lu-ce.

foto 4 - l’ardente Fenice

Page 66: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

66

S ono seduto in terrazza, e mentre un'ape si coccola sotto un sole incredibilmente caldo per essere

ai primi di Novembre, penso a quanto sia strana la vita. Così, all'improvviso, mi è venuta voglia di mangiare un paio di uova, ma non di quelle com-prate al supermercato, grosse come pomodori, ma che come i pomodori sanno di acqua e sono pallide come lune; il problema è che, quando mi viene voglia di mangiare un paio di uova degne di questo nome, ancora calde di covata, col tuorlo rosso e pic-cole e dolci come albicocche, mi viene sempre in mente mia nonna. E il suo pollaio. Una volta che ero piccolo (mi ricor-

do che eravamo in estate perché si stava raccogliendo il fieno e la sera stessa mi era venuta una febbre aller-gica mica da ridere), la nonna mi ave-va ordinato, o mi aveva chiesto, di an-dare a prenderle le uova. «Mé racomàndi: fa' no cascàr gnàn-

ca òna, ve'!» e poi, come sempre, s'era fatta il segno della croce. Io, che ero bambino e molte cose le capivo ma al-tre no, ero convinto che quella racco-mandazione me la facesse perché le vendeva al mercato il sabato pomerig-gio e non voleva perdere neanche il duecento lire di un uovo caduto per sbaglio. Il segno della croce era una delle cose che non mi tornavano, ma immaginavo che i vecchi se lo facesse-ro anche quando dovevano accendere

il televisore o durante le giornate di pioggia, non so se per farla durare o smettere. Entrambe le cose, pensavo. Fatto sta che avevo messo giù la

forca ed ero corso in direzione del bo-sco, con nonna che urlava: «No per di là, no per di là, che s'è pièn di spìn!», riferendosi ai rovi e alle robinie che per me rappresentavano solo avventu-re e mostri, e principesse legate da la-sciar lì a soffrire. Non sono mai stato un gran cavaliere, neanche da bambi-no. E poi, dal bosco ci mettevo pure meno tempo che a passare per la stra-da. Il pollaio era piccolo, non certo uno

di quegli allevamenti enormi in cui i polli stanno immobilizzati in una gab-bia e vivono solo per mangiare, covare, dormire, mangiare, covare, morire. Ne avevamo una quindicina, di gal-

line, e ancora oggi non so quanto da-rei per sentire di nuovo quel buon odore di guano ed erbe secche e terra

L’uovo delL’uovo del

DiavoloDiavolo

Il racconto vincitore Il racconto vincitore Il racconto vincitore della GARA 17 deldella GARA 17 deldella GARA 17 del forum Bravi Autoriforum Bravi Autoriforum Bravi Autori

i raccontii racconti

di di

BraviAutoriBraviAutori

Alessandro Cal

Page 67: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

67

fresca che allora mi proteggeva, silen-zioso e sicuro come un padre, dal mondo di fuori. Quando la porticina in legno cigola-

va per farmi entrare, oltre ai meravi-gliosi profumi che ho già menzionato, mi accoglieva un chiacchiericcio soffu-so che sembrava di entrare in una stanza piena di mamme che cullavano i loro bimbi. I volatili prendevano a fis-sarmi, curiosi e un po' impauriti: non si ricordavano mai che ero io, né ave-vano idea di cosa fossi andato a fare da loro. Rispondevano a un solo ri-chiamo: il barattolo pieno di granaglie che agitavo per chiamarli verso di me, e guai se non gliene concedevo una manciata quando erano tutti ai miei piedi a guardare in su. Insomma, una volta che li avevo richiamati dai loro giacigli con il solito giochetto, potevo impossessarmi delle uova di cui ormai si erano scordati. Mentre si accaniva-no sul terreno coi loro becchi, agguan-tavo il cestino di vimini e mi davo da fare pure io: c'erano giorni che riusci-vo a riempirlo quasi tutto fino all'orlo. E quello era uno di quei giorni: l'ulti-mo uovo proprio non si decideva a starsene in equilibrio dove lo mettevo. Ora che ci penso, sarebbe stato più

saggio metterselo in tasca della tuta o, ancor meglio, tenerlo nella mano libe-ra. Ma non ci avevo pensato, sempli-cemente. O, semplicemente, era una delle solite sfide infantili che intra-prendevo con me stesso. Il punto è che, a un certo punto, mi era sfuggita la presa e l'uovo si era schiantato nel-la polvere, spargendo il proprio conte-nuto vischioso in ogni direzione come fosse stato un fantasmino pesto. Qualcuno dietro di me aveva gridato. «Oh Maria Vergine, oh Maria Vergi-

ne! Ma cosa hai fato tì, ma cosa!». Mi ero spaventato tanto che per po-

co non avevo fatto cadere tutto il ce-stino. Mia nonna era lì, affacciata all'ingresso del pollaio, a disperarsi con le mani sulla fronte, poi con le mani sugli occhi, poi con le mani nei capelli. «Maria Vergine, oh Maria…»

sussurrava senza sosta, e giù segni della croce a ogni sillaba. Io avevo provato a rassicurarla,

spiegandole che l'uovo gliel'avrei paga-to, che le duecento lire le trovavo sen-za problemi, ma lei non si calmava e anzi i suoi lamenti diventavano sem-pre più confusi. Alle "Vergine Maria" si era presto aggiunto un nome un po' più cupo che suonava come "il Diavo-lo, il Diavolo" e ancora segni della cro-ce, e "Diavolo, Diavolo". Alla fine, in mezzo a tutti quei piagnistei, credo di aver capito che, secondo lei, il Diavolo potesse intrufolarsi nelle uova per po-ter poi entrare in casa alla gente e che, se l'uovo ti cascava in terra per sbaglio, il demonio veniva fuori e ti si attaccava addosso. Io credevo ai mo-stri, agli spettri, ai morti che parlano, ma al Diavolo no: ci credevano troppi adulti, al Diavolo. Da quel giorno, comunque, nonna

non mi ha più permesso anche solo di guardare da lontano i suoi pennuti o di parlarle prima di avermi bagnato con una certa acqua contenuta in una madonnina cava. L'avevo presa per matta. Poco dopo, siamo stati costretti a

comprare un appartamento lontano dalla casa in cui ho passato l'infanzia, per dei motivi che non sto qui a rac-contare. So solo che, quando sto sul terrazzo, come ora, e come ora guardo le strade sotto di me serpeggianti di veicoli, e vedo la gente che corre per non pensare alla propria solitudine o sento il puzzo di quella che è diventa-ta la mia vita, basta che un'ape si ap-poggi su una delle mie piantine perché mi tornino in mente mia nonna, il suo pollaio e quell'odore meraviglioso di cose vive e frementi, incorniciate dal sussurro dei campi che parlano col vento. E il Diavolo, certo, lui non me lo scorderò davvero più. Quello non mi si è mai staccato di dosso. Ho iniziato a credere da molto tempo che esista davvero, il Diavolo.

Page 68: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

68

N ell'episodio precedente ab-biamo parlato dello scrittore che ha introdotto il sesso nel-

la fantascienza. Quindi, cari maschietti, niente storie: ora si parla della zia Jane. Non si conoscono

tutti i particolari della vita di Jane Austen (la sorella Cassandra di-strusse quasi tutte le sue lettere non appena la fama, sebbene po-stuma, cominciò ad arrivare: del resto, non si può non pensare che la zia non sarebbe stata affatto contenta che degli estranei leg-gessero la sua corrispondenza privata). Tuttavia, possiamo conoscerla nel mo-do migliore, attraverso le sue opere: “Jane Austen pervade di sé ogni parola che ha scritto, proprio come fa Shake-speare”, dice Virginia Woolf e chi sia-mo noi per contraddirla? Di certo la Austen fu capace di trarre da una vita non particolarmente avventurosa, fatta di passeggiate in campagna, balli e vi-site ai vicini (è sempre la Woolf a ricor-darci che “era impossibile per una donna andarsene in giro da sola”) il materiale per dei romanzi che hanno fatto la storia della letteratura, dipin-gendo l'ambiente in cui viveva e i per-sonaggi che lo abitavano con un'incon-

fondibile e impareggiabile ironia. Lo scrittore inglese Ford Madox Ford scrisse che la Austen lo faceva sentire come se stesse “davvero seduto su una poltrona a Mansfield Park […] in com-pagnia dei personaggi”. Rispetto alla sterminata produzione

di Farmer, la musica è decisamente cam-biata: della Asten ab-biamo solo sei ro-manzi canonici. Ma questi sei romanzi sono bastati a ren-derla la scrittrice più amata della lettera-tura inglese. Parlia-moci chiaro: per le vere appassionate Orgoglio e Pregiudi-

zio non è un romanzo, è IL romanzo.

OORGOGLIORGOGLIO EE

PPREGIUDIZIOREGIUDIZIO

Confessione: ho letto Orgoglio e Pregiudi-zio almeno duecento volte. Un lessico da perdere la testa: pa-role come “laddove”, “iattura”, “tripudio”. Patisco le pene dell'inferno: Eliza-beth e il Signor

Jane Jane

AustenAusten

Ritratti di donne Ritratti di donne Ritratti di donne realizzati con ironiarealizzati con ironiarealizzati con ironia

da una grande autriceda una grande autriceda una grande autrice

Ylenia Zanghi

Page 69: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

69

Darcy vivranno insieme? Leggilo, ti piacerà.

[C'è post@ per te] Chi non ha mai senti-

to parlare di questo clas-sico inglese? Le sue rivi-sitazioni, sia letterarie che cinematografiche, sono numerosissime e ancor di più sono le cita-zioni di questa romanti-cissima storia (come non citare il Mr Darcy di Bri-djet Jones?). Curiosando tra le recensioni anobia-ne (il mio vizietto) ho tro-vato una frase a effetto che non potevo non ri-portare: “la storia perfet-ta dell'incontro tra due anime imperfette”. Non commettiamo però l'erro-re di pensare che si tratti di un romanzo rosa. Al contrario, affronta tutti i temi tipici della Austen: il rapporto tra i sessi, il ruolo della donna, l'influenza che fattori economici e sociali pote-vano avere nel determi-nare la scelta del matri-monio. Non voglio certo risparmiarvi le pene dell'inferno raccontando-vi come andrà a finire ma non posso non parla-re della crescita interiore e della maturazione dei due protagonisti nel cor-so del romanzo: l'orgoglio di lui e il pregiudizio di lei (ma anche il contra-rio) verranno duramente colpiti, entrambi comin-ceranno a capire meglio sé stessi e gli altri, impa-reranno dai loro errori anche dolorosamente, a volte. Il contesto sociale non sarà dei più favore-

voli (la media e l'alta bor-ghesia verranno tratteg-giate più che efficace-mente dalla Austen che affianca alla storia d'amore una “commedia di costume”: le sorelle Bingley, Lady Catherine, Mr e Mrs Bennet, Mr Collins ci inseriscono subito nell'ambiente, mostrandoci una società basata sulla nascita, sul-le parentele e sulle ren-dite), questo però non ci impedirà di sorridere co-gliendo la già citata iro-nia nelle parole della zia Jane (“Le visite a Mrs. Phillips erano fonte ora di informazioni estrema-mente interessanti. Ogni giorno aggiungeva qual-cosa alla loro conoscenza dei nomi e delle amicizie degli ufficiali”, “si era trasferito con la famiglia in una casa a circa un

miglio da Meryton [...] dove poteva riflettere pia-cevolmente sulla sua im-portanza”). Leggetelo, vi piacerà!

RRAGIONEAGIONE EE

SSENTIMENTOENTIMENTO

Ho ricevuto una lettera da una mia amica che vive a Parigi. Ha letto un libro bellissimo appena uscito. È intitolato Raison and Sensi-bilité. [..]La mia amica dice c h e chiunque sia la donna che ha scritto quel libro, ne sa più dell'amore di chiunque altra al mondo.

[Miss Austen's Regrets] Ragione e sentimento

è considerato il romanzo “meno perfetto” di Jane Austen (gli altri subirono molte più revisioni). La storia dei due caratteri

JJANEANE AAUSTENUSTEN

Jane Asten nacque il 16 Dicembre 1775 a Steventon,

nell'Hampshire, settima degli otto figli del reverendo George Austen e di Cassandra Leigh. Fu per lo più istruita in casa, anche se lei e sua sorella Cassandra furono mandate per breve tempo in collegio (e non lo gradirono mol-to). Gli Austen erano amanti della letteratura (il reverendo possedeva una biblioteca di ben 500 volumi) e Jane era una lettrice vorace: incoraggiata dal padre, cominciò a scrivere ancora giovanissima. Pare che fosse molto legata ai suoi fra-telli e in particolar modo a Cassandra, soprattutto dopo la morte del fidanzato di questa, Tom, nel 1798. All'età di venti-sei anni si trasferì a Bath coi genitori e la sorella, in seguito al pensionamento del padre. Alla morte di questi, nel 1805, le tre donne dovettero lasciare la città a causa di difficoltà finanzia-rie; da allora cambiarono più volte residenza: Southampton, Chawton, Winchester. Nel 1815 la scrittrice cominciò a mani-festare i sintomi del morbo di Addison, che l’avrebbe uccisa (la malattia all'epoca non era conosciuta, per cui non poteva essere diagnosticata e curata). Nell’aprile del 1817 fece testa-mento lasciando tutto alla sorella Cassandra e il 18 Luglio 1817 morì. Fu seppellita nella cattedrale di Winchester.

Page 70: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

70

in contrasto, qui rappre-sentati dalle due sorelle Elinor (la più assennata) e Marianne (la più pas-sionale) è presente anche in altri romanzi della Au-sten ma qui diventa il fulcro del romanzo. Da che parte sta la

Austen? Da una posizio-ne di equidistanza che le permette di prendere sot-tilmente in giro tutti i suoi personaggi e forse anche noi, che scegliere-mo la nostra “sorella pre-ferita” in base al nostro carattere e alle nostre e-sperienze (col risultato che, rileggendolo, po-tremmo accorgerci di preferire invece l'altra). Sullo sfondo delle storie d'amore delle due sorelle riemerge però prepoten-temente il ritratto della condizione civile ed eco-nomica della donna che in questo caso assume anche connotati biografi-ci (la povertà della madre e delle sorelle dopo la morte del padre a causa della legge che vincola l'eredità all'erede ma-schio, la tragedia rappre-sentata dalla mancanza di una dote cospicua).

EEMMAMMA

La tesi di Jane Austen è che nessuna di queste cose è re-ale. Emma agisce sulla base delle sue fantasie.

[Il club di Jane Austen]

Secondo la critica Beatrice Battaglia, Emma è “un or-goglio e pregiudizio scritto vent'anni dopo”. Invece di farci identificare con la pro-

tagonista, la Austen qui cre-a un'eroina “antipatica”, che è il primo bersaglio della sua comicità. Emma è vanitosa, capricciosa, vizia-ta, presuntuosa. È un perso-n a g g i o c o m p l e s s o , amato e odiato dai lettori, capace di reggere un intero romanzo sulle sue graziose spalle. Se volete esprimere il vostro giudizio su questa controversa protagonista, non dovete fare altro che leggere il suo romanzo.

MMANSFIELDANSFIELD PPARKARK

Ok, sentite: io adoro Fanny! Lavora sul serio e mette sempre la famiglia prima di sé stessa e non smette mai di amare Ed-mund, mai!

[Il club di Jane Austen] A proposito di eroine

controverse: Fanny Price è l'anti-elizabeth (o l'anti-emma, se preferite). È modesta, virtuosa, lonta-nissima dalla vivacità in-tellettuale della signorina Bennett. I fan della Au-sten si spaccano: Fanny è una fanciulla dolce-mente ingenua o una pe-dante ragazzina noiosa? Se appartenete alla se-conda schiera, forse po-trà consolarvi l'idea che la critica più recente ha proposto un'interpreta-zione rovesciata di Man-sfield Park, secondo cui il romanzo non sarebbe altro che una parodia dei conduct books dell'epoca e la voce narrante del ro-manzo in realtà sposa la prospettiva moralista e patriarcale per farci ve-

dere quanto restrittiva e “immorale” essa sia.

L'L'ABBAZIAABBAZIA DIDI

NNORTHANGERORTHANGER

Qui la Austen, giovane scrittrice, mette in discus-sione sé stessa. Che cos'è un'eroina? Qual è un buon soggetto? I romanzi sono una perdita di tempo? Devo mettermi a scrivere? E che devo scrivere?

[Il club di Jane Asten] L'abbazia di Northan-

ger è il primo romanzo di Jane Austen, pubblicato postumo nel 1818. Qui la parodia è evidente e sfacciata e a esser presi di mira sono i generi più in voga: il romanzo senti-mentale e quello gotico, in particolare I misteri di Udolpho, di Ann Radclif-fe, esplicitamente citato dai personaggi ma anche certi aspetti più cupi di Jane Eyre. La protagonista, brut-

tina, sciocca, priva di ca-risma, ci viene presenta-ta, già dall'incipit, in mo-do quasi sarcastico “Nessuno che avesse co-nosciuto Catherine Mor-land nella sua prima in-fanzia avrebbe mai sup-posto che il suo destino sarebbe stato quello di essere un'eroina. Tutto era contro di lei: la posi-zione sociale, il carattere del padre e della madre, il suo aspetto fisico e perfino le sue inclinazio-ni.” e per tutta la durata del romanzo, la voce nar-rante continuerà a la-mentarsi della sua man-canza di eroicità.

Page 71: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

71

L'autrice si profonde inoltre in un'appassiona-ta difesa del romanzo (“Sebbene le nostre pro-duzioni abbiano fornito piacere assai più vasto e costante di quanto non abbia fatto qualsivoglia altro genere letterario al mondo, nessun'altra composizione è stata mai altrettanto denigrata”). Un romanzo che parla di romanzi e del romanzo, come opera prima, non è cosa da poco (anche se è stato rivisto in seguito dall'autrice) e L'abbazia di Northanger, anche se non sarà il libro più fa-moso della Austen, resta sicuramente il più diver-tente.

PPERSUASIONEERSUASIONE

- È bellissimo. - Ah, sì? - Sì. È un libro sull'attesa, con due persone che si in-contrano e si innamorano ma al momento sbagliato e si devono separare. Ad anni di distanza si rivedono e hanno un'altra occasione, solo che non sanno se è passato troppo tempo... La lunga attesa, sai, può aver cambiato le cose... - Perché ti piace? - Non lo so! - Non mi fraintendere, è bellissimo, è solo... è terri-bile! - Sì, lo è! È una tragedia!

[La casa sul lago del tempo] Persuasione è l'ultimo

romanzo di Jane Austen (e l'unico il cui titolo non è stato scelto dall'autri-ce, che era morta prima

della pubblicazione). Ol-tre alla consueta critica sociale (spietato il ritrat-to dell'aristocrazia che la Austen realizza con gli Elliot), questo romanzo presenta delle novità e delle peculiarità che lo distinguono da tutti gli altri. È, se vogliamo, il più romantico. La voce narrante sposa in pieno il punto di vista della protagonista e sembra condividerne pensieri e opinioni. Il tono del ro-manzo è modellato sulle caratteristiche dell'eroi-na, Anne, la più “umana” delle protagoniste auste-niane, che nel libro af-fronta un percorso di crescita che la porterà fi-nalmente a non dipende-r e p i ù d a l l a “persuasione” altrui ma a fidarsi del proprio giu-dizio (“era stata costretta a essere prudente da gio-vane, ma crescendo ave-va imparato a essere ro-mantica: naturale conse-guenza di un inizio inna-turale”). Alla fine della sua esistenza, la Austen scrive un romanzo sulle seconde occasioni, che lei non aveva avuto e che invece Anne e Frederick otterranno e sapranno sfruttare. È il romanzo più incentrato sulle sen-sazioni ed emozioni della protagonista (una parola detta da lui occupa mol-to più spazio che intere conversazioni con altri, nella mente di Anne così come nelle pagine del li-bro), il più attento alla fisicità (Anne non cam-bia solo psicologicamen-

te nel libro, anche il suo corpo si risveglia). Anche se Annie è molto più ti-mida e obbediente di Eli-zabeth, alla fine sarà proprio lei a prendere in mano il suo destino, a rendersi responsabile delle proprie scelte, a fa-re “il primo passo” (e il secondo e il terzo), per-ché anche Anne è, in fondo, un'eroina femmi-nista e l'opinione della Austen sul ruolo che la donna dovrebbe avere non è certo cambiata (i coniugi Croft ne sono la prova: per la prima volta la zia si passa lo sfizio di raccontarci una coppia in cui è lei a tenere le re-dini del calessino, una donna capace di discute-re di contratti come un uomo, anzi, meglio di molti uomini!). Infine, chi non si è

sciolta leggendo la lettera in cui il Capitano rivela finalmente i suoi senti-menti? Per concludere: chi ha

già letto la Austen non ha certo bisogno che sia io a consigliargli di rileggerla, tutti gli altri, invece, fa-rebbero meglio a darsi u-na mossa, ché ne vale davvero la pena (sì, an-che gli uomini! Basta pensare che la Austen ha scritto romanzi rosa!). Io vi saluto e vi do ap-

puntamento al prossimo

Ringrazio il Jane Austen Bookworm Club per il supporto che mi hanno dato gli iscritti.

Page 72: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

72

N ero inchiostro, il nero profondo del cielo notturno, del mare nell’oscurità tagliato a tratti da

fugaci bagliori di luce, in cui si muovo-no corpi nudi e sedotti dal buio. Le opere di Roberta Guardascione

nascono da un contesto letterario e decadente. Da sempre affascinata dal mondo

della celluloide ne riprende i ritmi ed il linguaggio, cristallizzandolo in illustra-zioni cupe ed affascinanti, dai tagli ci-nematografici. É costantemente alla ricerca di un

modo di raccontare il proprio mondo interiore, quel luogo fatto di ricordi e sogni, talvolta incubi, e cerca di tra-sportarli sopra fogli immacolati, sulle tele, sui muri, creando una dimensio-ne parallela in cui far muovere i propri personaggi, plasmati da luce e ombra. Un artista dagli slanci moderni ma

che mantiene una solida struttura classica, capace di affondare le sue ra-dici nelle antiche illustrazioni di vec-chie fiabe, di libri dimenticati in polve-rose soffitte, consumati dall’umidità e dal tempo. Fiabe cupe ricche di metafore sulla

condizione umana, sospesa tra la ri-cerca dell’amore e la consapevolezza della morte. Un contrasto evocato dai chiaroscuri

delle sue opere, nelle quali la ricerca della luce non fa altro che rendere i neri ancora più profondi.

È un incontro fatale, amore e morte trasformati in immagini, in equilibrio perfetto, come gli acrobati del circo che volteggiano leggeri sui loro trapezi, consapevoli del baratro che si apre sot-to di loro, dal quale possono essere ri-succhiati al minimo errore. Le immagini del circo sono una

costante fin dalle opere giovanili, quelle scolastiche di quando era ancora una studentessa dell’Accade-mia di belle arti. L’influenza dei film di Wim Wenders

e delle opere del periodo blu di Picasso è molto forte. Il circo racconta la condizione

dell’uomo, l’equilibrio tra il mondo interiore e la realtà che fa da pallido sfondo. Nell’illustrazione “La donna canno-

ne” la leggerezza si fa beffa della mole della protagonista che si china al suolo con una grazia degna di un esile balle-rina, il suo peso appartiene ad una

Roberta Roberta

Guardascione Guardascione

Artista dagli slanci Artista dagli slanci Artista dagli slanci moderni con una solida moderni con una solida moderni con una solida

struttura classicastruttura classicastruttura classica

BraviAutori

La donna cannone

Page 73: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

73

realtà che gli è del tutto indifferente, il suo spirito è leggero. Lo studio della grafica

pubblicitaria e della foto-grafia al liceo e poi della pittura all’accademia hanno reso la sua forma-zione completa, da una p a r t e i l r i g o r e nell’equilibrio compositi-vo e dall’altra schemi vi-sivi aperti a nuove pro-spettive, rifacendosi a concetti che appartengo-no alla filosofia surreali-sta. L’incontro tra la grafi-

ca e la pittura ha genera-to il suo amore per l’illustrazione che si nu-tre di entrambe le disci-pline, ma che abbraccia anche il mondo lettera-rio. Le fiabe dell’infanzia

sono l’impalcatura su cui si costruiscono le sue opere, ma le venature, le sfumature si sporcano di fumo nero, quello che esce dai tombini delle città di notte. I suoi per-sonaggi fremono al suo-no di chitarre distorte di musicisti sofferenti. Nell’opera “Guitar

man” l’inquadratura ta-glia in due il soggetto e l’immagine appare spez-zata, come una foto scat-tata per sbaglio, in que-sto caso i piedi del perso-naggio sono ben saldi al suolo, il contatto con la realtà è solido, ma il re-sto della figura è assen-te, è interrotta da un frammento di chitarra che compare in un guiz-zo metallico. L’essenza del musicista, e quindi

dell’artista, che si con-centra nelle sue mani e nella sua testa, è nasco-sta, risiedono in un’altra dimensione, quella del sogno. La sua chitarra è in

primo piano mentre lui sembra che venga in-ghiottito lentamente dal buio, in un progressivo abbandono di quella re-a l t à , o f f r e n d o all’osservatore il suo strumento, il mezzo con cui comunica, con cui la sua anima si esprime. L’uso di materiali pro-

priamente tradizionali come chine, acquarelli, acrilici e matite caratte-rizzano le prime opere, mantenendo un rigore legato al passato, rispol-verando anche vecchi sistemi di stampa, come l’acqua forte e l’acqua tinta, grazie al suo inte-resse per un’artista che sul piano compositivo l’ha influenzata profon-damente, Gustav Dorè, a cui ha dedicato la sua te-si di laurea. Un punto di partenza

che sembra abbia attra-versato tutte le epoche

fino ad approdare a quel-la contemporanea grazie all’incontro con la digital art. La fusione di tecniche

manuali a quelle digitali è la ricerca attuale del suo lavoro, fortemente incuriosita dai nuovi lin-guaggi delle arti visive. N e l l ’ i l l u s t r a z i o n e

“Attraverso lo specchio” la mescolanza di tecni-che manuali e digitali ha dato luogo ad un imma-gine surreale e di grande effetto visivo, ricca di u-na forte struttura lette-raria, a cominciare dal titolo, lampante riferi-mento all’opera di Lewis Carroll, che fa seguito al celeberrimo “Alice nel paese delle meraviglie”, opera fantastica e “non sense” di fine ottocento dalle delicate atmosfere surreali, che ha sempre affascinato l’artista fin dall’infanzia. L’opera di Roberta, pe-

rò, rivoluziona in qual-che modo l’iconografia classica che vede Alice una bambina dalle gote rosee e il vestitino da bambola, che diventa un’eroina trasgressiva che ammalia l’osservato-re con il suo sguardo magnetico, in un imma-gine che si riflette all’infinito negli occhi di chi guarda, come un de-siderio ossessivo, una vanità artificiale e sedut-tiva che trascina con prepotenza nel buio di u-na stanza dai parati an-tichi, arrivando in luoghi oscuri della mente e dell’anima.

Guitar Man

Page 74: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

74

Attraverso lo specchio

Page 75: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

75

L’interesse al digitale e quindi l’incontro con nuove soluzioni stilisti-che, ha cominciato a concretizzarsi maggior-mente sulla scia di un progetto a cui tiene mol-to e che fermenta da an-ni tra i suoi schizzi, l’idea di creare una grafic novel, fondendo l’amore per l’immagine e della parola stampata, che na-sce dal bisogno di rac-contare una storia che parli di se stessa e del suo rapporto con il mon-do. Il progetto “Robin in

the dark”, al quale si de-dica tra una commissio-ne e l’altra, nasce da una folgorazione improvvisa, una sensazione che l’investì una sera d’estate in un bar affollato di vol-ti estranei. Tra i mormorii confusi

e la musica assordante immaginò la sua Robin, un personaggio alter ego che vive nel mondo pa-rallelo dei suoi disegni, chiusa in una stanza vuota dalla quale non può uscire. Gli unici contatti con

il mondo sono l’orologio appeso al muro (chiaro riferimento al tempo co-me simbolo concreto del-l a f u g a c i t à dell’esistenza), che assie-me al letto costituisce il solo elemento d’arredo della stanza, e la finestra dalla quale scruta la grande città che troneg-gia maestosa davanti ai suoi occhi. Numerosi flashback corredano la storia, che si confondono

al presente fino a gene-rare un vorticoso intrec-cio tra il reale e il ricor-do, nel viaggio di una mente distorta e soffe-rente. Il mondo del fumetto

offre molte possibilità ad un’artista visivo che con-cepisce immagini preva-lentemente narrative, raccontano storie ma an-che riflessioni fugaci, co-me fotografie. Il linguag-gio dell’illustrazione e del fumetto soddisfano en-trambe le esigenze, da u-na parte la condensazio-ne in una sola immagine di un’intera storia, come accade nella fotografia, e dall’altra la scorrevolezza di uno story board, come la pellicola di un film, il fumettista prima che di-segnatore deve essere un buon regista. L o s t u d i o

dell’anatomia del corpo umano è fondamentale per la sua ricerca, la struttura realistica che serve a plasmare l’illusione di una realtà

tangibile, ma che si tinge di tinte surreali, capovol-gendo le leggi della fisica. Un mondo onirico in

cui volti corrucciati si defilano alla ricerca della luce, metafora della scin-tilla interiore, della vita fugace, della leggerezza infantile, ma che è sem-pre rincorsa dall’ombra perenne e dalla sua pe-santezza. Attualmente vive e la-

vora in una piccola citta-dina a nord di Napoli, luogo dalle radici stori-che molto antiche, il pae-saggio che la circonda è costellato di rovine ro-mane che hanno alimen-tato profondamente il suo mondo immaginifico, fatto di luoghi fantasiosi e allo stesso tempo spa-ventosi, la tradizione po-polare è pregna ancora della mitologia pagana che ha generato leggende superstiziose e affasci-nanti che raccontano di streghe e fantasmi. Il monte di Cuma che

scorge dalla sua finestra, è un posto legato a molti tabù. Nessuno oserebbe mai

andarci durante la notte, troppe storie strane cir-condano la collina ed il suo bosco, minaccioso come il monte Fato di Tolkien. Lei stessa sembra far

parte di una di queste storie, abita in una deli-ziosa casetta in mezzo al bosco che alla luce del giorno appare eterea e rassicurante, in mezzo ad una natura rigogliosa e fiabesca, ma al calare

Alla finestra, robin in the dark

Page 76: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

76

delle tenebre lo scenario cambia radicalmente: le ombre cominciano ad al-lungarsi, il canto allegro dei passeri ammutolisce al grido sinistro e stridu-lo della civetta, gli alberi diventano macchie scu-re, ovunque è tenebra e solo una lucina è accesa, quella della lampada del suo tavolo da disegno sul quale lavora incessante-mente, come una strega che prepara pozioni ma-giche, tra le cose che a-ma, mentre i gatti si ac-coccolano sulle ginoc-chia. L’ambiente in cui è

cresciuta ha influito pro-fondamente sul suo peri-odo paesaggistico, corre-dato di immagini fiabe-sche, di boschi nebbiosi con alberi dai rami spet-trali. Le illustrazioni di Alan

Lee e Brian Froud sono state un’ispirazione co-stante, assieme alla let-ture fantasy, spaziando tra autori come Love-craft, Edgar Allan Poe e Michael Ende. I neri vellutati delle

matite e i bagliori velati degli acquerelli creano immagini delicate ma al-lo stesso tempo pregne di una profonda inquietudi-ne. L’opera ”Le rovine” è

un chiaro esempio di questa fase, la nebbia rende il bosco impalpabi-le, è quasi un sogno, nel quale mura antiche par-lano di un passato che langue in un eterno oblio c h e s i l i b e r a n o dell’impronta umana la-

sciandosi assorbire dalla natura, in un abbraccio materno fatto di arti in-corporei, nebbiosi ed e-vanescenti. L’eterno contrasto tra

natura e cultura, rispol-verando ideologie roman-tiche che creano un inte-ressante discorso poeti-co, caratterizzando inte-ramente la sua produzio-ne artistica, antico e av-veniristico mescolati fino a creare un linguaggio intimistico e ricco di si-gnificato. Un’artista dai ricchi e

interessanti contenuti,

capace di esprime le in-quietudini del nostro tempo attraverso uno sti-le tradizionale ma con schemi aperti a nuove prospettive.

Le rovine

Page 77: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

77

A Rimini tantiA Rimini tantiA Rimini tanti eventi letterarieventi letterarieventi letterari

rivolti ai ragazzirivolti ai ragazzirivolti ai ragazzi

Mare di Libri Festival dei Ragazzi che leggono

17-18-19 giugno 2011 Rimini - IV Edizione Intervista a Gianluca Guidomei, Vice Direttore Artistico da parte di Tania Maffei per la rivista Il Foglio Letterario

Che cos’è Mare di Libri? “Mare di libri – Festival dei Ragazzi

che leggono” che si svolge ogni anno nel mese di giugno a Rimini, con il pa-trocinio ed il contributo del Comune di Rimini, il patrocinio della Provincia e della Regione Emilia Romagna nonché

dell’Università di Bologna è il primo ed unico evento sul territorio nazionale specificamente rivolto al pubblico degli adolescenti che si concretizza in un fine settimana di tre giorni di incontri con autori e altri eventi legati alla let-teratura, come tavole rotonde, spetta-coli teatrali e una grande caccia al tesoro. L’edizione del 2010 ha avuto un

grande successo: il centro storico di Rimini ha visto la presenza di oltre 4000 persone, 1800 biglietti venduti, 80 ragazzi volontari fra i 13 e i 18 anni

Tania Maffei

Mare di LibriMare di Libri

Festival dei Ragazzi che leggonoFestival dei Ragazzi che leggono

Page 78: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

78

che hanno collaborato alla realiz-z a z i o n e dell’evento, 12 rappre-sentanti di case editri-ci . Quasi cento le u-scite su te-state fra quotidiani settimanali e televisioni varie. E soprattutto i ra-gazzi hanno potuto in-contrare autori e perso-nalità del calibro di Mar-gherita Hack, John Bo-yne , Anne Laure Bondoux, Celia Rees, Fabrizio Gatti, Silvano Agosti, Mino Milani, Silvia Avallone, Todd Strasser, Cristiano Cavi-na e tanti altri.

Da quanto tempo si svolge e da cosa è nata l’idea di creare una manifestazione del genere? Énata nel 2008 dalla

volontà di tre libraie di Rimini, Alice, Elena e Se-rena che, sentendo la mancanza di un evento dedicato al target degli adolescenti, hanno pen-sato di “allargare” il club dei lettori che frequenta-vano la libreria Viale dei Ciliegi 17 a tutti i ragazzi italiani. Per quale motivo sce-

gliere una città come Ri-mini? La città innanzi tutto

costituisce storicamente un nome di richiamo per il turismo noto anche tra i giovani e la presenza

del mare aumenta l’attrattiva di un festival collocato nel periodo e-stivo. La dimensione del

centro storico cittadino ben si presta poi ad un festival che prevede spo-stamenti a piedi tra un luogo e l’altro. A queste caratteristiche si abbina la forte ed efficiente struttura di accoglienza alberghiera, di ristorazio-ne e servizi offrendo così un soggiorno costruttivo, divertente e tranquillo.

Che senso ha oggi pre-sentare un festival cul-turale legato solo all'e-ditoria per ragazzi? Esistono in Italia nu-

merosi festival molti dei quali dedicano eventi a target misti di bambini, ragazzi e adulti. Tuttavia, a parte il ca-

so del festival di Manto-va, capostipite e modello per tutte queste manife-stazioni, hanno dimo-strato particolare suc-cesso quei festival che si sono concentrati su con-tenuti e/o target più spe-cializzati consentendo così di attrarre un pub-

blico specifico ma a livel-lo nazionale. “Mare di Libri” ha

quindi funzionato pro-prio perché ha individua-to come target specifico quello degli adolescenti, presentandosi così come evento unico e consolida-to nel panorama nazio-nale. Il festival si rivolge ai

preadolescenti e agli a-dolescenti, ragazzi che frequentano le scuole medie inferiori e superio-ri, forti e fortissimi letto-ri, ma anche ai numerosi lettori medi e deboli avvi-cinati alla lettura dai grandi fenomeni editoria-li rivolti alla loro età. Basti pensare a fenomeni come Harry Potter o a Tre metri sopra il cielo o Twilight. Un target secondario

sono gli adulti, inse-gnanti, genitori, addetti ai lavori e tutti coloro che si interessano alla letteratura per adole-scenti e, più in generale, ai fenomeni culturali e s o c i a l i l e g a t i all’adolescenza per i qua-li sano previste specifi-che iniziative dedicate.

Page 79: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

79

Come si svolge la mani-festazione? La maggior parte degli

eventi è costituita da in-contri con uno o più autori ma sono previsti anche laboratori, tavole rotonde e spettacoli tea-trali, proiezioni cinema-tografiche. Il programma degli in-

contri con gli autori pre-vede come ospiti i miglio-ri autori per ragazzi ita-liani e stranieri, alcuni dei quali fanno in genere al festival la loro unica presentazione italiana. Negli anni hanno presen-tato qui le loro opere Niccolò Ammaniti, Helga Schneider, Valerio Mas-simo Manfredi, Shlomo Venezia, Licia Troisi, Aidan Chambers, Paolo Giordano, Silvana De Mari, Randa Ghazy, Federico Moccia oltre a quelli sopracitati dell'edi-zione del 2010. Il programma è co-

struito tenendo conto delle migliori uscite edi-toriali dell'anno, ma an-che e soprattutto crean-do eventi che vanno oltre

la semplice presentazio-ne di un libro e mettendo a confronto più ospiti su temi sociali, politici an-che di rilievo internazio-nale come razzismo, mi-grazioni, mafie, ecologia. Dalla prossima edizio-

ne, in collaborazione con alcuni dei più importanti editori per ragazzi sarà lanciato un concorso di booktrailer ovvero video recensioni realizzate dai ragazzi su libri letti in anteprima e sarà istitui-ta una collaborazione con un importante festi-val del cinema per ragaz-zi per la scelta e la pre-sentazione del film che chiuderà l'evento. Ovviamente stiamo già

pensando agli ospiti del 2011 che saranno come al solito importanti ed accattivanti per i ragazzi di oggi, così curiosi, vo-gliosi di ascoltare voci capaci di leggere il mon-do con umanità ed intel-ligenza e soprattutto in grado di regalare loro un'idea di futuro. Anche quest'anno è

importante sottolineare

l'importanza del lavoro e dell'impegno dei volonta-ri dello staff organizzati-vo che ha reso possibile la buona riuscita del Fe-stival. É con orgoglio che vantiamo 80 adolescenti come effettivi gestori del-la manifestazione. Nei tre giorni di eventi sono loro a preparare le sale degli incontri, ad accogliere gli ospiti in stazione o aero-porto, ad accompagnarli in albergo e ristorante, a fungere da angeli custodi agli autori stessi, dei quali spesso diventano amici; ad introdurre gli incontri, a vendere i libri, a gestire il Punto Infor-mazioni, a staccare i bi-glietti d’ingresso, ad aiu-tare i loro coetanei venu-ti da altre città ad orien-tarsi nel centro storico di Rimini, altro grande pro-tagonista di Mare di Li-bri, con i luoghi degli in-contri, come il Museo della Città; il Palazzo del Podestà e il Palazzo dell’Arengo, entrambi af-facciati su Piazza Ca-vour; la Cineteca ed il Cortile della Biblioteca Gambalunga; il Teatro degli Atti. A Mare di Libri i ra-

gazzi sono i veri protago-nisti. I ragazzi partecipano

entusiasti. Lavorano. Si divertono. Imparano. Ascoltano. Fanno domande.

Page 80: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

80

D a sempre l’uomo guarda al-le stelle. Nella nostra società

contemporanea fatta di città peren-nemente illuminate abbiamo ormai perso l’abitudine a fissare il cielo notturno e le costellazioni, salvo che in rare occasioni. Eppure meno di un secolo fa l’umanità, anche nella progredita Europa, conosceva a menadito le stelle, i loro nomi, il periodo di apparizione delle costel-lazioni e via dicendo. Questo perché la volta celeste,

con i suoi ritmi precisi e cadenzati distribuiti nell’arco di un anno o di un periodo determinato di anni, hanno per millenni rappresentato un validissimo calendario, utile per conoscere il periodo della semina, del raccolto e lo scorrere delle sta-gioni. Le singole stelle o costellazio-ni venivano inoltre associate o addirittura identificate con le divini-tà dei relativi pantheon. In particolar modo le civiltà sorte

nella Mezzaluna Fertile, nel Centro America e lungo le rive del Nilo, vuoi anche per condizioni climatiche ideali, avevano sviluppa-to una vera e propria ossessione nell’osservazione del cielo. Gli antichi Egizi diedero il nome a

tutte le stelle visibili, lo Zodiaco

come lo conosciamo noi oggi è una invenzione sumero-babilonese, i Maya avevano sviluppato un calendario stellare che arrivava a prevedere le eclissi lunari con mille anni di anticipo. Per non parlare degli osservatori

astronomici di Stonehenge, dei complessi megalitici francesi di Karnac o degli annali di osservatori cinesi dei secoli avanti Cristo. Pur essendo a conoscenza di tale

interesse, soprattutto di matrice religiosa, per l’osservazione delle stelle noi smaliziati uomini del ventunesimo secolo non avevamo mai, appieno, compreso quanto forte e potente essa potesse essere stata per i popoli antichi. Nell’inverno del 1988 l'ingegner

Robert Bauval era accampato, assieme ad alcune guide locali, nel deserto in prossimità della Piana di Giza. Assieme al giornalista Graham Hancock stava scrivendo un libro sui misteri delle antiche civiltà e sulla possibilità che esse fossero ben più antiche di quanto la storiografia ufficiale sostenesse. Durante una cena all’aperto uno degli arabi, fissando la Costellazio-ne di Orione, esclamò “Vedi le stelle della sua Cintura? Due sono di ugual grandezza e allineate, l’altra è

Una introduzioneUna introduzione

all’Archeoastronomiaall’Archeoastronomia

Le piramidi comeLe piramidi comeLe piramidi come specchio dellespecchio dellespecchio delle

posizioni astraliposizioni astraliposizioni astrali

Roberto Guarnieri

Page 81: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

81

più piccola e spostata in giù, e il gran fiume della via Lattea gli scorre di fronte.” Da questa frase nac-

que , a detta dello stes-so Bauval, l’intuizione che portò alla scoperta di una nuova chiave di lettura per comprende-re la genesi e l’età dei monumenti di tutto il mondo. Gli egiziani conside-

ravano sacra la costel-lazione di Orione, che è una delle più grandi e individuabili, tanto da porla come base per tutte le loro raffigura-zioni di uomini e re. Per intenderci il classi-co omino con le spalle larghe, la vita stretta e l’ampia veste larga, che campeggia in tutti i siti e in tutti i bassorilievi altro non è che la sua stilizzazione.

In particolar modo la Cintura di Orione, ovvero le tre stelle col-locate al centro della costellazione, erano ritenute origine della vita e simbolo di fecon-dità, probabilmente perché posizionate all’altezza degli organi genitali della figura disegnata dalle stelle. Secondo la mitologia egiziana il Faraone, figlio delle Stelle e del Sole, proveniva dalla Cintura e al termine della sua vita terrena tornava ad essa con un l u n g o v i a g g i o nell’Aldilà. I tre astri hanno tut-

tora i loro nomi arabi: Altitak, Anlilak e Mintaka. Due più grandi e lu-

minose, poste in asse tra loro, e una più pic-cola, leggermente spo-

stata rispetto all’asse principale. Bauval, Hancock e il

loro collega John West compresero immedia-tamente che le tre pira-midi di Giza riproduce-vano lo stesso schema. Nessuna teoria era sta-ta sino ad allora abbastanza valida da spiegare perché le pira-midi di Cheope e Chefren fossero della stessa grandezza e po-sizionate sullo stesso asse diagonale e quella di Micerino più piccola e spostata rispetto alle altre due. La tesi uffi-ciale è che Micerino non disponesse dei mezzi dei suoi illustri antenati e avesse quin-di realizzato una tom-ba più piccola, per di più sbagliando la sua posizione sul terreno! Inoltre queste presunte tombe dei faraoni non hanno, al loro interno, nessuna mummia e nessuna iscrizione fu-nebre. Anzi, esclusa quella di Cheope, nemmeno nessun sar-cofago. I tre colleghi, con u-

na cartina dell’Egitto sottomano, individua-rono, oltre alle Pirami-di di Giza, altre pirami-di in rovina o iniziate e mai terminate che, tut-te assieme, riproduce-vano in terra la costel-lazione di Orione, con

Page 82: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

82

il fiume Nilo a rappre-sentare la Via Lattea. La notizia, studiando

bene i testi sacri egi-ziani, era addirittura scontata. Uno dei motti più

noti dell’antichissimo corpus religioso, infat-ti, recita proprio “Come Sopra così Sotto.” una nozione ripresa poi da-gli alchimisti medioe-vali e, in una forma più velata, dal Cristianesi-mo nel suo “Come in Cielo così in Terra”. Scoperta questa

chiave di lettura non fu difficile applicarla a altri complessi archeo-logici famosi nel mon-do, per ottenere risultati sorprendenti. I templi del complesso di Angko r Wa t i n Cambogia riproducono esattamente la costel-lazione del Drago. Le p i r a m i d i d i Teotihuacan la costel-lazione delle Pleiadi, e via dicendo per moltis-simi altri siti. Il Faraone, una volta

defunto, era deposto nella Camera del Re all’interno della Pirami-de di Cheope a Giza, corrispondente ad una stella della Cintura e “spedito” con un rito funebre nel suo luogo di origine. Già fin qui la scoper-

ta, seppur logica consi-derando il rapporto de-gli Antichi con le stelle,

era sensazionale. Ma quello che Bauval e Hancock scoprirono in seguito lo era ancor di più. La volta celeste non

appare sempre uguale nei secoli. Per un feno-meno chiamato Preces-sione degli Equinozi l’inclinazione rispetto all’orizzonte delle co-stellazioni varia nei se-coli. Per capirsi meglio se oggi vediamo il Grande Carro sorgere e arrivare a una altezza massima nel cielo, mil-le anni fa la costella-zione giungeva ad un punto diverso e si pre-sentava con un’altra angolazione. Considerando che gli

Egizi avevano rappre-sentato al suolo, con le piramidi e il grande fiume, il cielo che sta-vano osservando, Han-cock, con un software apposito, riprodusse la volta celeste come si doveva presentare nel

2300 avanti Cristo, anno della presunta realizzazione delle pira-midi stesse secondo la storiografia ufficiale. Ma la posizione delle

stelle e della via Lattea rispetto alle piramidi e al Nilo non combaciava affatto! Per ottenere la giu-

sta configurazione bi-sognava andare indie-tro sino al 10.500 a-vanti Cristo. La Piana di Giza è

dunque una rappre-sentazione del cielo co-me appariva dodici millenni prima della nostra era, e novemila anni prima della pre-sunta comparsa della civiltà egizia secondo le teorie ufficiali. Non a caso la data

del 10.500 a.c. corri-sponde al periodo che gli egizi chiamavano “Zep Tepi” o Primo Tempo. Quello della lo-ro origine e nascita e

Page 83: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

83

che dava inizio al loro calendario. Ma c’è molto di più. Come noto esiste

una feroce disputa sulla reale età della Sfinge. La teoria uffi-ciale la ritiene contem-poranea alle piramidi ma ci sono molti punti oscuri e molti indizi che contraddicono tale tesi e che fanno ritene-re che essa sia molto più antica. Uno su tutti è che la scarpata del bacino che la con-tiene, fatta di tufo, è consumata con una morfologia che solo l’acqua di grandi piog-ge torrenziali, per inte-ri secoli, può aver pro-vocato. E le ultime piogge torrenziali su Giza si sono avute nel 9.000-8.000 avanti Cristo, prima che la zo-na divenisse desertica.

La Sfinge, in origine s c o l p i t a c o n una testa di leone, è perfettamente rivolta ad Est, nel punto pre-c i s o i n c u i , all’equinozio di prima-vera, sorge la Costella-zione che di fatto da’ il nome all’Era in cui ci troviamo. Attualmente vediamo sorgere la Co-stellazione dei Pesci e siamo, infatti, in tale Era, dalla quale u s c i r e m o p e r entrare in quella dell’Acquario. Non è un caso che i pesci siano stati, all’inizio del Cri-stianesimo, un simbolo sacro e protagonisti di arte sacra. Ora nel 2.300 a.C.,

epoca della presunta costruzione de l la Sfinge, essa vedeva sorgere a primavera la costellazione del Toro.

Per logica do-vrebbe aver avu-to la testa o la forma di questo animale, consi-derato che in quel periodo sto-rico tutta l’arte sacra celebrava appunto i tori (vedi arte minoi-ca di Creta.). Nel 10.500 a.C., al contrario, la S f i n g e all’equinozio ve-deva sorgere la costellazione del Leone, ovvero la

sua stessa immagine, come in uno specchio! In sostanza tutto

sembra tornare. Gli ar-chitetti egizi o, a questo punto, quelli di un popolo antecedente di cui ignoriamo tutto, hanno raffigurato nella Piana di Giza una riproduzione in terra della volta celeste del 10.500, scolpendo la S f i n g e c o m e l’indicatore temporale di conferma. Con lo stesso metro

si è constatato che an-che altri siti latino-americani o orientali sono sfasati di millenni rispetto alla presunta epoca di costruzione. Un esempio su tutti: l’allineamento del tem-pio di Tihuanaco in Bolivia, risalente se-condo la teoria ufficiale ai primi secoli della no-stra era cristiana, è spostato di quattro gradi rispetto al nord attuale. Si è sempre detto per incuria e im-perizia dei progettisti e costruttori. Peccato che nel 11.000 a. C. quell’allineamento sa-rebbe stato perfetto con uno scarto di po-chi secondi. Questa data così ri-

corrente non è casuale e ha una rilevante im-portanza scientifica e geologica, come potre-mo vedere in un pros-simo articolo.

Page 84: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

84

U n Movimento di avanguardia nato in seno alla fantascienza italiana con l’intento di far

tesoro delle avanguardie del secolo passato, così di acuire la sensibilità verso il postumanismo e le tecnologie moderne, così da ricercare le radici del futuro nelle dimensioni fisiche che at-tualmente sono solo teorizzate Il Connettivismo è un Movimento

artistico memore di alcune avanguar-die del ‘900; nasce dai pensieri del Cubofuturismo russo, dagli ermetici, dai crepuscolari, dai surrealisti, dai futuristi e dal cyberpunk, l’ultima vera punta di diamante che ha sconvolto l’avanguardia per eccellenza, la Fanta-scienza. Il Movimento è nato il 22 dicembre

2004, e si è fatto annunciare da un Manifesto, rivisto e aggiustato nell’estate del 2006; il gruppo, inizial-mente composto da soli tre elementi, si è rapidamente espanso, con l’intento dichiarato di rifondare il genere fanta-scientifico e fantastico, usando le no-zioni tecnologiche, le avvisaglie di un mondo ipertecnologico che porteranno, si spera inevitabilmente, all’avvento del postumanismo. Campi di attività per i membri del

Movimento sono qualsiasi cosa possa evocare arte, elucubrazioni, empatia e senso di cosmico. Siamo – natural-mente – scrittori, quindi poeti, quindi sceneggiatori, di fumetti e di cortome-traggi; siamo autori di programmi

radio in cui attualità e reading di liriche connettiviste si mischiano a musica elettroscura, acida e noize. Siamo persone che declamano di fron-te a una platea e siamo tecnologici, perché amiamo l’escalation tecnologi-ca, perché sappiamo che tramite la scienza e la matematica possiamo giungere fino al kernel della nostra anima, decodificandola seguendo le indicazioni degli antichi sciamani che non erano religiosi, ma mistici. La nostra attività principale è in

Rete, ma abbiamo un bollettino carta-ceo che esce (più o meno) a ogni solsti-zio ed equinozio (NeXT è il suo nome) in cui mischiamo editoriali e rubriche d’indagine tecnico/sociologica - nonché scientifica - a brani di breve prosa per poi giungere a sillogi ispira-te, condendo il tutto con le immagini grafiche dei migliori artisti, orientati verso le nostre idee, che la Rete ci sug-gerisce. Due premi Urania (del 2006 e del 2008) sono stati vinti da due esponenti del Connettivismo: Giovanni “X” De Matteo e Francesco “Xabaras” Verso Molto attivo, per noi, è il settore

dell’editoria: a fronte di due case editrici dirette da due connettivisti (EDS e Kipple/Avatar, rispettivamente dirette da Marco “pykmil” Milani e Lukha Kremo Barincinij, quest’ultima con l’aiuto di Francesco Verso e me medesimo) abbiamo pubblicato ben tre raccolte a tema connettivista

Breve introduzione Breve introduzione

al Connettivismoal Connettivismo

Un Movimento diUn Movimento diUn Movimento di avanguardia dellaavanguardia dellaavanguardia della

Fantascienza italianaFantascienza italianaFantascienza italiana

Sandro “zoon” Battisti

Page 85: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

85

(SuperNova Express, Frammenti di una rosa quantica, A.F.O. Avan-guardie Futuro Oscuro) più un’altra che è una silloge, Concetti spaziali, oltre. L’attività editoriale ferve quindi molto attorno a queste due realtà che producono anche materiale non prettamente connettivi-sta, come dimostrano titoli tipo Vorrei che il cielo fosse imparziale di Vito Introna (EDS) e Ulti-ma pelle, di Alberto Cola (Avatar) Ma come è iniziato il

tutto? Connettivismo è, ormai, una parte non trascurabile di storia italiana del fandom della fantascienza, vissuta soprattutto su Internet, relativamente ai primi anni di questo nuovo millennio. Precedentemente, esi-

stevano soltanto fram-menti disaggregati d’idee in formazione, embrioni e vaghe sensibilità che, spesso, non avevano possibilità di svilupparsi poiché tutto era affidato alla fantasia di uno o pochi altri sviluppatori (il termine informatico usa-to non è un caso, parlan-do di Connettivismo non è difficile cadere nel mondo tecnologico e digi-tale dello sviluppo sof-tware). Questi artigiani vagavano, nella Rete co-me nella realtà usuale, alla strenua ricerca di una finestra sul mondo per affermare il proprio grido, la propria sensibi-lità verso il futuro che

doveva essere intriso non più soltanto di tecnologia e software e backup, ma anche di misticismo, di un senso d’oscurità profonda che affondava le proprie radici nelle ghost stories di inizio ‘900 e anche fine ‘800, pregne di un senso misterico che affondava, a sua volta, nell’antico mondo classico e più indietro ancora. All’inizio del nuovo

millennio quindi, in mol-titudine anonima ed ete-rogenea, ci si cominciò a ritrovare alla corte di Massimo Ferrara e del suo Club G.Ho.S.T., uno dei principali luoghi di

confluenza del fandom internettiano di allora. Inconsapevoli del nostro comune cammino comin-ciammo a tracciare prima rapporti di amici-zia ramificati e poi, sempre più frequente-mente, filamenti di feeling creativo comune ma, stavolta, dedicati; così, nel mentre che pro-getti creativi prendevano rapidamente vita e si sfasciavano con la stessa velocità, si cominciarono a discriminare i contatti, alla ricerca della scintilla definitiva. Verso la fine del 2002 strinsi i legami con Marco Milani e nacquero così, su

Page 86: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

86

Internet, il sito amatoria-le - gestito da Marco stesso - Domn-mistic-on (evolutosi poi nel più so-lido ‘Domist.net Lettera-tura e Pace’) e, quasi contemporaneamente e con funzione orbitante proprio attorno a Domn-mistic-on, il mio sito uffi-ciale – ufficiale, nel sen-so che conteneva e con-tiene tutto il materiale finito di mia produzione. Come collante a queste due realtà più o meno statiche e con funzione stavolta dinamica, speri-mentale e propedeutica al futuro, nasceva poco dopo il blog Cybergoth, gestito perlopiù da me. Ecco, l’impianto fun-

zionale del Connettivi-smo era nato. Si era nella primavera

del 2003 quando Giovan-ni De Matteo irruppe nel Club G.Ho.S.T. col suo Notturno n° 23; subito fu aggregato nell’organico del blog perché le sue sensibilità riconducibili al buon Sterling della Matrice spezzata, oltre che al retroterra emozio-nale e percettivo descrit-to all’inizio di questa postfazione, erano irresi-stibili e chiare. Da allora, il nome del

blog Cybergoth e dei suoi redattori cominciò a cor-

rere in Rete; in quanto luogo di sperimentazione presto maturò l’esigenza di guardare oltre. Io e De Matteo cominciammo a confrontarci sugli obietti-vi da raggiungere, sul concepire la nuova fron-tiera che doveva definirsi per mantenere alto il livello sperimentale del blog e della nostra poeti-ca. Era l’autunno del 2003 e, improvvisamen-te, prese forma per iniziativa di De Matteo il Manifesto del Connettivi-smo, in una forma non troppo embrionale ri-spetto a quella definitiva; ma era presto, non si era pronti alla diffusione e, soprattutto, non erava-mo pronti all’adesione nemmeno noi. Fu deciso di tenere il Manifesto in stand-by ma, al contem-po, De Matteo fondò il blog Junction (ora diven-tato Lo strano Attrattore, sulla piattaforma di Fantascienza.com) con lo scopo preciso di farlo funzionare come ulterio-re attrattore caotico verso il germe connettivi-sta; si attendeva, così, che le sperimentazioni di scrittura si evolvessero verso un punto qualsia-si, come se un fiore dovesse prima o poi sbocciare, senza che se

ne avesse nemmeno la sicurezza. Il momento venne un

anno dopo, quasi casual-mente. Rilessi per caso il Manifesto ed ebbi la fol-gorazione dell’esattezza delle visioni di De Matteo; era necessario andare oltre il cybergoth per definire non solo la parte tenebrosa del nuovo mondo, ma anche tutto il resto. Eravamo diventati coscienti, nel frattempo, di avere eredi-tato empaticamente ger-mi del Cubofuturismo russo; ma si era eredi, anche, dei Crepuscolari e dell’Ermetismo. Pure il Surrealismo era diventa-to il padre del Connetti-vismo e ultima - ma non ultima - la paternità del Futurismo si agitava su di noi: forse perché era qualcosa di italiano, prima di tutto, come il Connettivismo nella sua genesi e nel suo tentativo di organizzare la sfilac-ciata scena della Fanta-scienza (italiana), e forse perché era davvero l’unica branca artistica in grado di incarnare in quel momento il concetto d’avanguardia. Futuri-smo anche per la smania di esplorare il mondo del futuro, fatto di parametri quali la modernità contro

Page 87: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

87

l’antico (anche se, per quanto ci riguarda, par-zialmente contro), la ve-locità contro la stasi, in un’esaltazione della mo-dernità che passa anche tramite la ridefinizione dei canoni estetici, pre-scindendo dai deliri belli-ci e politici che il Futuri-smo si è poi fatalmente portato appresso duran-te il ventennio fascista. Il tutto si mescolava,

come in un magico crogiuolo, col cyberpunk che aveva scosso e de-stato le coscienze degli anni ’80, che aveva dato le coordinate verso cui il mondo si sarebbe mosso, con ogni probabilità, nei venti anni successivi; il Connettivismo si distan-ziava però subito da esso con una proporzione che s u o n a v a c o m e “Connettivismo che sta al cyberpunk così come il Romanticismo sta all’Illuminismo”: era come aprire gli occhi non più sul mondo bensì sull’anima. A noi connet-tivisti premeva, così - im-provvisamente e forte-mente, come se fossimo stati folgorati dalla nostra stessa visione – dare i punti nodali di un Movimento, spesso definito rozzamente e con una punta di man-cata conoscenza come il Movimento “del post-cyberpunk”: si comincia-va, così, a parlare di un mondo in cui le sensibili-tà si stavano connetten-do in un modo inedito grazie alla Rete e alla tendenza al postumani-

smo – forse l’unico vero legame che il Connettivi-smo ha col cyberpunk – e anche attraverso le sensibilità espresse nel passato della storia umana, tramite le ultime discipline matematiche (su tutte, quella del caos), della fisica quanti-stica, nonché delle scienze umanistiche che hanno imperversato du-rante tutto l’arco storico conosciuto. Da allora è successo

quasi di tutto e la comu-nità connettivista si allarga come un'infezione (i membri, al momento, sono circa una trentina o più, non riusciamo più a contarci analiticamente): a naso e istintivamente dico, dimenticando sicu-ramente qualcuno, Gian-luca Kremo Baroncini (che si è aggiunto prati-camente da subito - la sua Nazione Oscura, di cui molti di noi sono membri, è casualmente nata la stessa notte del Connettivismo), France-sco “Xabaras” Verso, Marco Antares666 Mo-retti, Salvatore Proietti, Domenico 7di9 Mastra-

pasqua, Umberto Ubi Bertani, Umberto 2x0 Pace, Mario “Black M” Gazzola, Fernando Bla-ckHoleSun Fazzari, Michele DottoreInNiente Nigro, Alex Logos Tonelli, Simone AbateDegliStolti Conti, Mauro Dixit Cancian, Roberto ro Fur-lani, Filippo “Leo Bulero” Carignani Battaglia, Maurizio "Scarweld" Landin i , Chr is t ian "Ulver" Ferranti, Paolo "Evertrip" Ferrante, Marco "Alazif" Marino, Francesca "Nimiel " Fuochi, Simone “Abate degli Stolti” Conti, Da-niele Cascone, Francesco D’Isa e tanti altri che sono lì, a sbirciare e assorbire le vibrazioni che salgono anche dal portale del Movimento – www.next.station.org. Da ammirare e interio-

rizzare come un bellissi-mo e indicativo fossile anche il Manifesto, pre-sente sul link http://www.next-station.org/nxt-ex-1.shtml

"Radio Notte è un susseguirsi

di percezioni, fallimenti, polvere da sparo, sabbia e morte.

Radio Notte racconta le mace-rie del cuore, soppesa un futuro incerto, partorito da un passato devastante" - Will.

dal Catalogo Narrativa Il Foglio www.ilfoglioletterario.it

Page 88: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

88

I l regista protagonista di questa se-conda uscita della rivista “Braviautori – Il Foglio Letterario” è

un professionista che ha all’attivo più di 200 film di vario genere e che si contraddistingue per un’anarchia che lo porta a distaccarsi dai canoni tradi-zionali. Artista (anche se lui odierebbe questo termine) spesso costretto a gi-rare con budget inconsistenti e con tempi di produzione ristrettissimi, a-spetti che ne hanno penalizzato la re-sa, perseguitato costantemente dalla censura e, negli anni ’70, dal Vaticano. Sto parlando di Jesus Franco Manera meglio conosciuto come Jess Franco. Per l’occasione ho contattato uno dei

più affezionati ammiratori del regista spagnolo, nonché un grande conosci-tore del cinema bis (e non solo), cioè il regista/montatore Pierpaolo Dainelli. Peraltro, proprio grazie a Pierpaolo e alla sua idea “I B-Movie di TVR” ho co-nosciuto capolavori della filmografia italiana di genere che altrimenti diffi-cilmente sarei riuscito a scoprire. Sono quindi in debito con l’amico Pierpaolo e l’indimenticabile rassegna che con-duceva ogni domenica sera in prima serata sulla rete televisiva sopra men-zionata. Per tali ragioni, è per me un enorme piacere poterlo avere qui con noi in questa nostra “chiacchierata” te-lematica. In questo articolo/intervista, dopo

alcune domande che riguarderanno Pierpaolo e il suo amore per i b-movie,

ripercorreremo la carriera del regista spagnolo limitata-mente ai suoi film di punta con particola-re attenzione per le pellicole dalle atmo-sfere horror.

Pierpaolo, se gli a-manti di b-movie toscani ti conosce-ranno di sicuro per le epiche presenta-zioni dei film che lanciavi in prima serata su TVR, non so se lo stesso si possa dire per gli amici delle altre regioni. Per questo, mi piacerebbe tu potessi parlare del-la splendida “rassegna” che condu-cevi su TVR e di come e dove recu-peravi i film che poi lanciavi in pri-ma serata. È vero che hai salvato pellicole sul punto di essere definiti-vamente distrutte, perché abbando-nate in magazzini fatiscenti? Nella vita ho avuto due amori veri,

assoluti: il cinema e la televisione. Nel mio caso questi due media si accomu-nano, perché fu grazie alle primissime tv private e alla loro programmazione selvaggia che mi innamorai dei film più oscuri della settima arte. Il motivo di questi titoli bizzarri inseriti in palinse-sto me lo avrebbe svelato Paolo Salvi, presidente di TVR, molti anni dopo: “Dai cataloghi dei distributori sceglievo

Alla riscopertaAlla riscoperta

dei Bdei B--MovieMovie

Il regista Jess FrancoIl regista Jess FrancoIl regista Jess Franco raccontato daraccontato daraccontato da

Pierpaolo Dainelli Pierpaolo Dainelli Pierpaolo Dainelli

Le interviste Le interviste

di di

BraviAutoriBraviAutori

Matteo Mancini

Jess Franco

Page 89: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

89

solo film vietati e che co-stavano poco”. Vietati perché sicuramente la Rai non li avrebbe mai mandati in onda e quindi di sicuro appeal per il pubblico. Il fatto che do-vevano costare poco non ha bisogno di spiegazio-n i . Nei primi anni novanta iniziai a lavorare come montatore e operatore tv ed ebbi modo di collabo-rare con le maggiori e-mittenti televisive tosca-ne. Internet, come lo co-nosciamo oggi, all'epoca era fantascienza: i film più curiosi se volevi ve-derli dovevi trovarli. E io all'epoca mi davo

molto da fare.... Così tra un lavoro e l'altro mi in-filavo in una stanza in cui Paolo Salvi teneva vecchie registrazioni del-le prime emissioni di TVR, nella speranza di recuperare qualche film raro. Questo mio curio-sare non sfuggì agli occhi attenti di Paolo e di Elisangelica Ceccarelli che mi chiesero deluci-dazioni. Spiegai che le notti selvagge in cui TVR mandava in onda film i-ninterrottamente erano state tra i momenti più felici della mia esistenza e che mi avevano inse-gnato ad apprezzare film prodotti con pochi soldi, ma con molte idee. Paolo e Elisa rimasero così col-piti dalla mia passione che mi proposero di an-dare in video a presenta-re “I B-movie di TVR”. Dove “B” sta per BIS co-

me dicono i francesi: l'al-tro cinema, quello vero.. Con mia grande sor-

presa divenne un pro-gramma seguitissimo e sia io che Elisangelica spulciavamo continua-mente i cataloghi dei di-stributori televisivi alla ricerca di titoli sempre più rari e interessanti. E di rarità ne sono venute fuori molte, moltissime. Un grande numero delle tracce italiane che oggi impreziosiscono tanti dvd di film rarissimi pro-vengono proprio da “I B-movie di TVR” e ne sono molto felice. Nel continuo cercare film da mandare in onda non posso non citare la mitica “signora F r a n c a ” d e l l a “Programmi Tv” di Milano che costringevo ad andare a cercare i suoi titoli più rari negli angoli più remoti del suo magazzino e lei si faceva una bella risata e mi ac-contentava sempre. Gra-zie alla “signora Franca” sono saltati fuori titoli come la versione italiana di “Succubus” di Jess Franco. Un altro personaggio

particolarissimo e un gran signore è Paolo Nalotto della “Tele Cine Nord” di Padova. Paolo è perennemente in giro per tutta l'Italia con la sua automobile stracolma di nastri da consegnare o ritirati dalle varie emittenti. Era lui che ne-gli anni ‘70 riforniva di film incredibili una “Telemontecarlo” appena agli inizi. Il catalogo di

Paolo è sterminato e gra-zie a lui ho recuperato film come “Paroxismus” e “De sade 2000” di Jess Franco. Mi ricordo anco-ra quando andai a tro-varlo a Padova ed entrai in uno dei suoi magazzi-ni colpiti dal maltempo; con la morte nel cuore aprivo i box contenenti i nastri dei film e li ritro-vavo tutti pieni d'acqua. Ma non mi sono mai da-to per vinto, spesso quando i nastri non fun-zionavano, perché pieni di muffa, mi mettevo all'opera con pazienza certosina e li ripulivo sbobinandoli a mano.

Ricordo che le tue in-numerevoli presenta-zioni erano ricche di a-neddoti e che, da buon appass iona to de l “dietro le quinte”, ti guardavo, tanto per sentire le curiosità, an-che quando il film che stavi per lanciare (per il genere) pensavo non potesse interessarmi. Hai mai pensato di rac-cogliere tutto questo materiale in una sorta di antologia video, un po’ come ha fatto Bruschini per il cinema western italiano? Non è per falsa mode-

stia che lo dico, ma in vi-deo non mi sono mai piaciuto. Le mie presen-tazioni erano spesso fat-te al volo tra un montag-gio e l'altro. Inoltre non riesco mai a essere pie-namente soddisfatto di niente e quindi non ho mai dato peso alle mie

Page 90: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

90

presentazioni e non ne ho conservate nemmeno una; forse, visto l'affetto che ancora le persone mi dimostrano, ho sbaglia-to.

Voglio poi ricordare che Pierpaolo ha anche una grande passione per la regia e ha girato cortometraggi e spot pubblicitari. Progetti per il futuro? Ho iniziato a occupar-

mi di montaggio a diciot-to anni e ancora oggi, che ho superato la qua-rantina, sono sempre lì. Ho realizzato di tutto,

dai video sperimentali d'arte alle televendite. L'amore che da bambino avevo per cinema e tv mi ha dato molto: un lavoro e una grande passione. Il progetto che più amo e che ormai seguo da oltre dieci anni è Firenze Festival, una rassegna per il cinema fatto dai ragazzi che ha ottenuto riconoscimenti dall'ONU e dall'UNICEF. Ogni an-no per il Firenze Festival ho l'enorme privilegio di realizzare, insieme agli alunni delle scuole, una decina di cortometraggi. Si tratta di un'esperienza di grande soddisfazione che si conclude al Teatro della Pergola di Firenze alla presenza di oltre mille ragazzi. Quest'anno siamo giunti all'undicesi-ma edizione.

Prima di passare al per-sonaggio per cui ti ho contattato, pensi che i “b-movie” possano ri-

tornare in prima serata, come un tempo, oppure ci sono dei pro-blemi? Nessun problema. È

solo che non si trovano più film adatti da man-dare in onda. “I B-Movie di TVR” avevano un sen-so nella proposta di film difficilmente reperibili e purtroppo quello che potevamo trovare l'abbia-mo trovato e proposto. Per un po' abbiamo con-tinuato con i nostri cavalli di battaglia, ma poi mi sono reso conto che forse era meglio ten-tare nuove strade. Io credo moltissimo nel web e così ho creato una web-tv che in pratica ri-propone “I b-movie di TVR” 24 ore su 24 ed è visibile in ogni parte del g l obo a l l ' i nd i r i z zo www.fantastikatv.tk Mi è sembrata un'e-

sperienza nuova e l'ho abbracciata con entusia-smo. Inoltre le nuove web-tv permettono agli utenti di interagire e di-scutere durante la visio-ne di un film. Si tratta di una possi-

bilità nuova che la vec-chia Tv non può offrire. Le web-tv mi ricordano anche il pionierismo e la sperimentazione delle primissime tv private e quindi pur andando a-vanti è un po’ come tor-nare indietro nel tempo.

Veniamo adesso al per-sonaggio per cui ti ho contattato. Come e quando nasce il tuo amore(cinematografi-

co, si intende) per Jess Franco? Se non sbaglio hai anche scritto degli articoli sulle sue “vampire lesbiche” e organizzato serate a te-ma dove hai fatto proiettare in piccole sale pellicole semi-sconosciute (tra gli al-tri) di Franco, vero? All'epoca ero un bam-

bino, ma ricordo un film, che poi non ho più ritro-vato nella sua edizione italiana, in cui una ma-gnifica e misteriosa don-na avvolta da veli neri, seguita da altre misterio-se compagne, saliva su una nave e partiva verso mete ignote, mentre una musica dolcissima sotto-lineava il tutto. Era una sequenza che mi faceva impazzire e solo molti anni dopo ho scoperto che si trattava di un film d i J e s s F r an c o : “Sumuru, regina di foe-mina”. Poi iniziò a incu-riosirmi il fatto che du-rante le mie notti folli il nome “Jess Franco” ri-correva spesso alla regia delle più svariate pellico-le. E la faccenda iniziò a incuriosirmi... "I maghi del black

horror" strillavano i titoli di testa di “Dracula con-tro Frankenstein”, "regia di Jess Franco"; “Il conte Dracula”, "regia di Jess Franco" e così via. Inoltre questi film mi sembrava-no avere un tocco diver-so rispetto a tutti gli al-tri, una visione a volte poetica, a volte torbida. Fu così che nel lontano 1986, all'età di diciotto

Page 91: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

91

anni, a chiunque mi chiedesse quale era il mio regista preferito, ri-spondevo convinto: ”JESS FRANCO”, col ri-sultato di lasciare nello sconforto totale chi me lo aveva chiesto. Il mio articolo sulle

"Vampire Lesbiche" com-parso sulla rivista "Amarcord" fu un'idea del mio editore, Igor Molino Padovan. Quando me lo propose l'idea non mi entusiasmò però mi misi al lavoro e per diver-se settimane mi calai in questo strano universo. Devo dire che, a distanza di oltre un ventennio, ci sono persone che quan-do mi conoscono ram-mentano quel pezzo. Igor ci aveva visto giusto... Le rassegne in sala

nacquero come un pro-lungamento reale dei vir-tuali "b-movie" televisivi e fu molto interessante conoscere dal vivo i miei telespettatori. L'idea fu della direzione del Cine-città Cineclub di Firenze che oltre a darmi la pos-sibilità di vedermi molti dei miei film preferiti in pellicola mi fece anche grande piacere.

So che, tra i tanti per-sonaggi che hai incon-trato e intervistato, hai anche avuto modo di parlare con Jess Fran-co. In che occasione lo hai incontrato e che ti-po è? Mi confermi l’impressione che sia una persona molto alla mano, ma anche un po’

sopra le righe e bizzar-ra? Come tutti coloro che

sono davvero grandi, è una persona di un'umil-tà disarmante. Quando lo incontrai per la prima volta era seduto al tavolo di un ristorante e allora io per poter parlare con lui mi misi in ginocchio. Era molto divertito da questa mia posa referen-ziale e da quel momento parlammo ininterrotta-mente per due giorni... Gli chiesi di tutto e lui mi raccontò una monta-gna di aneddoti, feci solo una stupidaggine, non registrai la conversazio-ne. Ogni tanto se ne veni-

va fuori con delle affer-mazioni sul cinema in generale assolutamente non allineate, ma spesso condivisibili. Trovavo meno nelle mie corde il suo distacco verso i suoi primi film anche se, co-noscendo il suo percor-so, posso capirne il moti-vo. Lo rincontrai in occa-sione del Joe D'Amato Horror Festival, a Livor-no, del quale era ospite d'onore. Lui fu molto ca-rino e mi dimostrò tutta la sua simpatia. Ebbi modo di conoscere anche Lina Romay, una perso-na splendida che mi fece un po’ effetto quando tirò fuori dalla borsa un e-norme borsellino per pa-gare un panino. Anche uno dei miei più grandi miti di celluloide aveva una vita normale...

Da grande appassionato del cinema bis (come piace definirlo a noi), ti chiedo un profilo arti-stico di Jess Franco. Cosa diresti se tu do-vessi presentarlo a chi non ha mai visto un suo film? Su un sito ho letto che

il mio modo di presenta-re i “b-movie” era in “pompa magna” (non ho ancora capito perché) quindi tenterò di usare lo stesso metodo. Nessuno, nella storia

della settima Arte, ha mai saputo illuminare di così tanta luce le tenebre più perverse dell'animo umano e l'inevitabile oscurità profonda che si nasconde tra un foto-gramma e l'altro, nello scorrere della pellicola cinematografica. Ed è la verità. Nei film del regi-sta spagnolo il sesso e tutte quelli che sono i nostri desideri più recon-diti sono esplorati; i no-stri lati più oscuri sono messi in luce, talvolta in modo brutale, talvolta con immagini connotate da un gusto estetico de-cisamente fuori dal co-mune. Jess Franco ha sfidato

con violenza iconoclasta tabù morali ed estetici in un cinema spesso deco-rativo, gratuito fino all'assurdo ma sempre con uno sguardo distac-cato grazie alla sua sotti-le ironia. I temi centrali del suo cinema sono il sadismo, la perversione e un erotismo dagli aspetti torbidi ma allo stesso

Page 92: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

92

tempo poetici. Non per niente è stato spesso de-finito poeta dell'infimo. Incontrare il suo cinema si trasforma spesso in un guardare allo spec-chio ciò che di noi ci fa più paura e che teniamo nascosto.

A differenza di molti registi dell’epoca, a og-gi, Franco non è stato r i v a l u t a t o c o m e dovrebbe – a mio avviso anche a causa dei trop-pi film effettuati, molti dei quali girati con po-ca cura per esigenze di tempo – eppure ha nel suo curriculum collabo-razioni con maestri del calibro di Orson Wells e vanta gusti cinemato-grafici assai raffinati. Come ti spieghi questo atteggiamento di snob nei suoi confronti da parte anche di molti amanti dei film di ge-nere? Jess Franco vive per il

cinema e con il cinema. Il cinema gli ha dato tut-to: un motivo di vita e un modo per vivere. Quando vivi del tuo lavoro hai bi-sogno di lavorare e gua-dagnare. E quella del ci-nema non è certo una professione delle più semplici. Ecco che molte delle scelte “artistiche” di Jess Franco sono state dettate anche da motivi alimentari. E in questo non c'è niente di male. È anche impossibile tenere livelli qualitativi elevati quando si girano undici film in un anno, come accadde nel 1973.

Per quanto riguarda gli amanti del cinema di genere ci sono degli atteggiamenti che non mi spiego. Non ho mai ama-to o odiato un autore in toto. Amo il cinema in assoluto e non distinguo tra film di taluno o talal-tro ma solo tra film che mi piacciono e che non mi piacciono. Odiare il lavoro di chicchessia in ogni suo aspetto non mi sembra sensato. Però Franco o lo si ama o lo si odia, spesso non sono possibili posizioni inter-medie. Il suo è un cine-ma che vive su una lun-ghezza d'onda molto par-ticolare… o si riesce a coglierla oppure non c'è niente da fare.

Passando ai film del “nostro”, il primo che mi viene in mente, in ordine di tempo, è “Il Diabolico dottor Sata-na”. Si tratta di un film senza dubbio importan-te, per varie ragioni. Prima di tutto vede protagonista uno degli attori di riferimento di Jess Franco, cioè Howard Vernon (credo abbia fatto più di tren-ta film con lui); in se-conda battuta, fu il bi-glietto da visita che permise a Franco di aprirsi la strada in quello che sarà uno dei suoi generi prediletti: l’horror, anche se anco-ra legato a un certo classicismo. Mi risulta che il film u-scì in Italia in versione

tagliata. Che puoi dirci? Il film uscì in Italia di-

stribuito dalla Filmar, una casa specializzata in b-movie che aveva nel proprio reparto edizioni un dipendente dal nome che poi sarebbe diventa-to familiare per gli aman-ti del bis: Bruno Mattei. “Il diabolico dottor Sa-

tana” pur essendo un film apparentemente classico in realtà mostra-va la voglia del regista di rompere col passato, in quanto si tratta di un melange piuttosto etero-geneo in cui i “soliti” in-gredienti sono miscelati in modo anticonvenzio-nale ed esplosivo. Basti pensare ai seni nudi e al-le incisioni dal bisturi prontamente tagliati nell'edizione italiana. Il film rappresenta il

debutto nel cinema fan-tastico dello svizzero Howard Vernon che spesso, pur di lavorare con Jess Franco, accet-tava di venire assoldato come fotografo di scena perché altrimenti il suo compenso sarebbe stato troppo alto e la produzio-ne non avrebbe potuto permetterselo. Jess Franco ha sempre consi-derato Vernon il suo at-tore preferito.

Dopo il “Dottor Sata-na”, tra il 1961 e il 1967, Franco dirige una serie di film (tra cui “Miss Muerte” e “Necronomicon”.) che non sono ricordati tra i suoi masterpiece, tut-

Page 93: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

93

tavia sono importanti perché lasciano affiora-re elementi che carat-terizzeranno la cinema-tografia futura del regi-sta: in particolare la “poetica” dell’erotismo e il ricorso allo zoom che, nei film successi-vi, diventerà una sorta di vera e propria osses-sione (anche se Franco la motiverà per ragioni tecniche piuttosto che stilistiche). “Necronomicon”, usci-

to in Italia come “Delirium”, è un film im-portantissimo nella fil-mografia del regista e un capolavoro del cinema fantastico in generale. Lorna vive una realtà in cui irrompe con violenza la sua dimensione oniri-ca, per giungere a un fi-nale originale in cui i so-gni prendono il soprav-vento in modo poetico su una realtà sempre meno interessante. Questo film è anche al

centro di un giallo curio-so, in quanto proprio nel nostro paese fu distribui-to in una versione che non trova corrispettivi su altri mercati. Intere se-quenze sono completa-mente diverse anche se non sembrano avulse dal resto della pellicola e specialmente il finale si scontra concettualmente in modo violento con quello conosciuto. Fran-co a tal proposito ricono-sce la piena paternità della versione internazio-nale, ma alcuni studiosi dell'opera di questo regi-sta (compreso me) ipotiz-

zano che la versione ita-liana sia la director's cut. Tale teoria è suffragata dal fatto che le riprese in questione non sembrano fatte in un secondo mo-mento e rispecchiano so-luzioni visive tipiche dell'opera del regista. L'utilizzo eccessivo

dello zoom deve essere contestualizzato per po-ter essere compreso. Il pancinor (poi detto zoom) era stato per decenni un miraggio dei cineasti in quanto costosissimo, co-sì quando divenne alla portata di tutti ci fu una voglia smisurata di spe-rimentarne le possibilità espressive. Negli anni settanta

venne percepito come qualcosa di nuovo nel linguaggio cinematografi-co e quindi se ne fece un uso intenso. Dietro a quel semplice gesto di premere il pulsante dello zoom c'era molto di più di quanto ci possa sem-brare ai giorni nostri. Inoltre era un espediente che permetteva di ridur-re i costi sia per il fatto che volendo si poteva fa-re a meno di cambiare le ottiche davanti alla mac-china da presa, sia per-ché in un piano sequen-za era possibile cambiare focale senza interruzioni.

Con il 1968 e l’incontro con il pro-duttore Harry Alan Towers inizia, a mio av-viso, il periodo d’oro di Franco. In questi anni gira film potendo con-tare su assi come il

pazzo Klaus Kinski, Christopher Lee, Her-bert Lom e i risultati da un punto di vista tecnico non si lasciano attendere con film, co-me “The Blood of Fu Manchu”, “Il conte Dra-cula” (i cui interni sono stati girati dietro casa mia, per la cronaca), “Justine ovvero le di-savventure della virtù” dove recita una giova-nissima Romina Power (di cui Franco continua a dire peste e corna). Si tratta, a mio avviso, dei film più curati di Franco, ma nonostante questo le pellicole non ebbero il successo atte-so e portarono alla rot-tura del regista con il produttore. Cosa non funzionava secondo te in questi film, sempre che tu possa vederci qualche vizio? “Il conte Dracula” è la

versione più affascinante che sia mai stata tratta dal romanzo di Stoker. È un film, assai sentito sia dal regista che da Christopher Lee, che portava sullo schermo i dialoghi così come erano stati scritti da Stoker. In questo senso la sequenza in cui Dracula ricorda come in passato il castel-lo fosse un potente baluardo contro i Turchi mi emoziona ogni volta che la vedo (menzione d'onore al livornese Emi-lio Cigoli che doppia Lee in modo formidabile). Il film fu un grande

successo in Germania, ma andò male negli USA

Page 94: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

94

e per questo motivo la sua uscita nel nostro paese fu cancellata. Solo nel 1974 quando la FILMAR, la società che lo aveva prodotto, fallì la INDIEF ne acquisì i dirit-ti e finalmente lo fece u-scire. Inoltre sia in questo

film che in “Justine” le musiche sono di Bruno Nicolai che firma delle colonne sonore memora-bili che sottolineano in modo potentissimo le se-quenze più belle. Al riguardo di questo

secondo film, come non ricordarne l'inizio, con De Sade (Kinski, e chi sennò!?) tormentato nel-la cella dai fantasmi del-le sue creature letterarie, un momento, a mio avvi-so, tra i più alti di tutta la produzione di Franco. “Justine” ebbe ovun-

que problemi con la cen-sura e non poteva essere altrimenti. Harry Alan Towers era

un produttore inglese as-sai astuto che con capi-tali americani riusciva a organizzare film a medio budget per noi europei, ma assolutamente low budget per i canoni dell'industria americana. Towers vide in Franco un regista velocissimo che ben si sposava con i suoi stessi tempi. La leggenda vuole che Towers scri-vesse le sue sceneggiatu-re per i suoi film durante i trasferimenti in aereo tra Londra e Los Angeles. In realtà il loro rappor-

to fu proficuo solo che, a un certo punto, fu Fran-

co a stancarsi di questa collaborazione in esclusi-va. Probabilmente questi film, essendo produzioni più impegnative, non gli garantivano quella liber-tà assoluta in cui era abituato a lavorare. Franco e Towers inol-

tre avevano due forti per-sonalità e questo può portare facilmente a im-maginare che tra i due fossero frequenti grossi scontri.

Nel cast tecnico de “Il conte Dracula”, essen-do una co-produzione che coinvolgeva anche l’Italia, c’era anche Bruno Mattei. Ne ap-profitto per aprire una parentesi su questo artigiano nostrano che so che conoscevi per a-verlo incontrato di per-sona. Che aneddoti ci puoi regalare su Mat-tei? Ricordo che parla-vi sempre delle sue in-venzioni quanto mon-tava i film provenienti dalla Cina senza sapere chi fossero gli attori. Altra persona di

un'umiltà disarmante nonostante fosse dotato di un grande intuito ci-nematografico e di doti come montatore non co-muni. Bruno era una persona abituata a com-battere, ad arrangiarsi e nonostante tutto riusciva a imprimere la sua personalità in ciò che fa-ceva. Posso dirti che è stato

sfruttato fino in fondo. Quando ebbe l'idea di a-dattare per il grande

schermo i telefilm della serie UFO in film che in-cassarono miliardi, a lui non dettero nemmeno i soldi per le sigarette. Ha curato l'edizione i-

taliana di un numero sterminato di film, tra cui “La vendetta del vampiro” di Corona Bla-ke e “Paroxismus” dello stesso Franco di cui ta-gliò il finale perché non gli piaceva. Per i film di Kung-Fu

non gli mandavano mai le traduzioni in inglese dei nomi degli attori e al-lora lui se li inventava. Per questo in Italia è un vero problema individua-re le versioni originali di molti film di questo ge-nere provenienti da Hong Kong.

Dopo il periodo Towers, Franco è costretto a gi-rare con pochi soldi, ma è in questo periodo che irrompe il suo ta-lento onirico e bizzar-ro, peraltro si trova per le mani un’attrice di una bellezza e una sen-sualità rara: Soledad Miranda (che aveva lan-ciato ne “Il conte Dra-cula”). So che sei un grande fan di questa at-trice (ti confido che siamo in due, detto tra noi), se non sbaglio la ricordavi sempre quan-do parlavi delle dive horror. Soledad Miranda era

una donna di rara bellez-za e femminilità. Gran parte del fascino de “Il conte Dracula” risiede proprio nell'eterea bellez-

Page 95: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

95

za del suo personaggio che, sotto sonno ipnotico indotto dal principe delle tenebre, vaga in una not-te resa fantasmatica dal-le musiche di Bruno Ni-colai. Anche quando Lucy (il personaggio in-terpretato da Soledad Miranda) cade preda del Conte vampiro la sua e-spressione di piacere mi-sta a repulsione riempie lo schermo di picchi di sensualità indescrivibili. Sono assai interessan-

ti le immagini di “Cuadecuc Vampir” di Pere Portabella che mo-strano l'arrivo dell'attrice sul set del film. La Mi-randa sembra una crea-tura eterea e immagina-ria, soprattutto nelle ri-prese del trucco prima del ciak che ce la mo-strano quasi in uno stato di trance. Purtroppo, da lì a poco, l'attrice avreb-be perso la vita in un tragico incidente auto-mobilistico.

Con la Miranda, Franco gira tre dei film horror con elementi erotici più “poetici” della sua filmografia, insieme al successivo “Un caldo c o r p o d i d o n -na” (conosciuto anche come “Erotikiller” o “La contessa nera”) - che vedrà invece prota-gonista la moglie Lina Romay, la quale racco-glierà il testimone abbandonato dalla sfor-tunata Miranda. Mi riferisco al suo capola-v o r o “ V a m p y r o s Lesbos”, ma anche al

thriller “She killed in ecstasy” e a “De Sade 2000” (che io non sono riuscito a recuperare, ma di cui ti ho sempre sentito parlare con grande entusiasmo). Penso di poter dire che con queste pellicole si assiste a un’evoluzione delle regia di Franco, con una improvvisazio-ne sul set che raggiun-ge livelli prima mai toccati, con effetti psi-chedelici che assumo-no la veste di una vera e propria firma del regi-sta. Che ci dici su que-sto lotto di film? Sono sicuramente le

cuspidi nella filmografia del regista spagnolo. Queste bellissime donne incarnano creature fan-tastiche condannate dal-la loro diversità alla soli-tudine eterna. Franco le immortala sullo schermo con soluzioni visive fuori dall'ordinario e con acco-stamenti di montaggio o-riginali. In “Erotikiller”, uno

dei film che amo di più, Franco crea il personag-gio di una vampira che vaga in foreste desolate. Questa solitudine è sot-tolineata dal suo essere muta e da un bisogno d'amore che la rende una delle creature più tristi di tutto il cinema fantastico. Un film che, nelle sequenze in cui dalle nebbie fluttuanti si materializzano strane e misteriosi voci, raggiun-ge assoluti vertici di poe-sia.

“De Sade 2000” è un’opera condotta con estrema libertà. Esplora le zone più oscure dell'animo umano, alla ricerca del piacere e della perdizione assoluta. Un film assai controverso, ma dove il nostro lato oscuro riesce a mostrare tutto il suo ambiguo e ammaliante fascino. Tra l'altro in questa pellicola Soledad Miranda sfodera un magnetismo e un fa-scino difficili da dimenti-care. Un plauso anche a Paul Muller che tratteg-gia uno dei personaggi più riusciti di tutta la sua carriera. L'improvvisazione per

Franco è essenziale. Lui è anche un musicista jazz e come tale conosce il potere creativo dell'im-provvisazione. Anch'io, nel mio piccolo, ho speri-mentato che quando si ha il coraggio di lasciarsi andare sul set si rag-giungono risultati assai più originali che non pia-nificando tutto a tavoli-no. È che il cinema è un'arte difficile da gestire senza un'adeguata piani-ficazione perché ha costi altissimi anche nelle pro-duzioni più piccole e per-mettersi di improvvisare o peggio ancora di sba-gliare, perdere tempo e di conseguenza soldi, è un lusso che non ci si può permettere. Eppure l'improvvisazione paga moltissimo in termini c r e a t i v i , a n c h e Hitchcock, che era uno che arrivava sul set con delle sceneggiature di

Page 96: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

96

ferro e storyboard preci-sissimi, riconobbe che l'improvvisazione che aveva adottato in alcune riprese de “Gli uccelli” aveva portato a eccellenti risultati. In questo senso Franco è unico, molte te-stimonianze riportano che questo regista men-tre girava un film aveva già in testa il successivo o addirittura iniziava già a girarne alcune scene fino ad arrivare a realiz-zarne due contempora-neamente, con il secondo film prodotto all'insaputa di troupe e produzione.

Con la morte della Mi-randa, a parte qualche eccezione, il cinema di Franco entra in una pa-rabola discendente. Nel 1976 ritorna a collabo-rare con Klaus Kinski dirigendo un film con un budget superiore ai suoi ultimi lavori: “Jack The Ripper” (in Italia presentato con l’orribile titolo di “Erotico Profondo”). Si tratta di un’opera dove il genio ribelle di Franco, seppur ancora riconoscibile, torna a incanalarsi in schemi prefissati. Personal-mente ricordo due o tre sequenze degne di nota (tra cui il primo omici-dio e quello perpetrato all’interno della fore-sta), poi una regia piat-ta e una sceneggiatura che mette in scena Jack lo squartatore per poi stravolgere i fatti storici e il modus ope-randi dell’assassino. Un

film confuso anche sul-la piega da seguire, so-speso tra il thriller e il poliziesco… Sono sicu-ro che mi contraddirai. Il cinema di Franco ha

conosciuto molte fasi e trasformazioni. In linea di massima Franco è uno che il cinema lo conosce molto bene ed è in grado di realizzare qualsiasi co-sa. Non c'è quindi da stupirsi del taglio classi-co con inquadrature stranamente bilanciate di “Erotico profondo”. Trovo che in questo film la trasgressione sia nel rappresentare con un ta-glio visivo da horror del decennio precedente si-tuazioni che sconfinano nello splatter e quindi re-se ancora più scioccanti dal contrasto che se ne ricava. Eppure l'ironia graffiante del regista è presente in più di una sequenza. Basti pensare a come si diverte a can-zonare la sua musa Lina Romay, quando sale sul palco e inizia a cantare con una voce al limite dello sgradevole e dal pubblico si levano grida che dicono: ”Mostra il culo che è la cosa che sai fare meglio!”. Una se-quenza impagabile.

Un altro film che ricor-derai con piacere, e che io non ho visto, è “Greta, la donna be-stia” del 1976. Se non sbaglio è riconducibile al genere women in pri-son (che in Italia vedrà Bruno Mattei come principale regista di ri-

ferimento) e alla serie Ilsa, di cui sei, se la memoria non mi ingan-na, grande estimatore. La serie Ilsa era in

realtà l'incarnazione ci-nematografica di una cattiva super maggiorata che oltre ad avere delle curiose connotazioni fumettistiche è anche l'incarnazione della mi-stress per eccellenza. La donna prosperosa in gra-do di dominare l'uomo: un sogno che da sempre rincorre gli amanti più spinti e trasgressivi del cinema bis. Però c'è da fare un distinguo, men-tre nella serie Ilsa tutto il contesto storico è poco più che un pretesto, nel film di Franco la denun-cia alla dittatura e ai suoi metodi per esercita-re il potere è sentita e sincera. In fondo lo stes-so Franco è stato messo all'indice per anni nel suo paese e il Vaticano sembra che lo avesse schedato come un regi-sta pericoloso. Infatti proprio in questo film lo sguardo spesso compia-ciuto che il regista spa-gnolo ha nei confronti di torture e sevizie, diventa ancora più cinico, più di-sincantato.

Dopo il 1976 inizia quello che io ritengo il periodo buio di Jess Franco. Come farà qualche anno dopo Joe D’Amato, il “nostro” scivola via via nel porno, proponendo, di tanto in tanto, horror di bassa lega di imita-

Page 97: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

97

zione tra i quali i can-nibalici “La donna can-nibale” (con la bella Sa-brina Siani e Al Cliver, al secolo Pierluigi Con-ti, attore feticcio di Lu-cio Fulci) e “Il caccia-tore di uomini”, ma an-che zombie movie co-me “Il lago dei morti viventi” e “Oasis of the zombies”. Non so se ci sia qualcosa da salvare, perché non ho visto tutti i film del periodo. Tu, consigli di recupe-rare qualcosa? Più che il periodo buio

per Jess Franco inizia il periodo buio per tutta la cinematografia cosiddet-ta “media”. L’uscita di film come “Guerre stella-ri” dette il via a film por-tati sullo schermo con milioni di dollari, mettendo in scena storie che fino a qualche anno prima sarebbero state re-alizzate con scotch e fil di ferro, segnando di fat-to la crisi dei film artigia-nali. Ecco che fiorisce lo

splatter, un genere che comunque anche con bassi budget permette di colpire e impressionare lo spettatore. Sono film fatti per motivi alimenta-ri e anche le sue sempre più frequenti incursioni nell'hard la dicono lunga sul bisogno di lavorare. Sinceramente non è il

periodo di Franco che preferisco, ma l'inizio de “La dea cannibale” con la bambina rapita dagli in-digeni e il carillon che suona mi ha sempre col-pito. Inoltre Franco si ri-

taglia in questa pellicola una delle sue tante ap-parizioni da attore che spesso, di film in film, sembrano lanciare mes-saggi autobiografici. In "La dea cannibale", Fran-co interpreta una specie di contrabbandiere che, a un certo punto, esclama: ”Non è colpa mia se mi fanno fare cer-te cose… devo pur lavo-rare!”. Lo stesso Franco mi confermò questa mia impressione.

18) Nel 1988 si registra il canto del cigno di Jess Franco, con un film criticato da molti ma che io considero un cult, cioè “I violentato-ri della notte”. Il film ha uno dei più grandi cast che Franco abbia mai avuto a disposizio-ne (Helmut Berger, Caroline Munro, Telly Sava l as , Br i g i t te L a h a i e , H o w a r d Vernon, Lina Romay). La sceneggiatura non è originale, cita un film degli anni ’60, ma rie-sce a intrattenere a do-vere e offre momenti gore molto interessanti (alcuni citano Fulci). Peraltro, c’è una scena che Stivaletti ripropor-rà pari pari per il suo “I tre volti del terrore”. Come presenteresti questo film se tu lo do-vessi lanciare ai “B movie di TVR”? In realtà ho avuto

l'onore di programmarlo e presentarlo su TVR e chiaramente fu una di quelle presentazioni in

cui avrei voluto dire mille cose e alla fine, forse, non riuscii a dire niente. Comunque lo lanciai co-me “il canto del cigno dell'horror classico del vecchio continente”. Il te-ma della bellezza perdu-ta, cardine del cinema fantastico europeo, viene qui attualizzato e portato alle estreme conseguen-ze. Il tipico mad-doctor è qui un chirurgo estetico che tenta di rendere la bellezza alla sorella dal volto sfigurato dall'acido. I due sono oltretutto le-gati da un rapporto ince-stuoso nella migliore tra-dizione franchiana. In questo film trovano posto tutti gli elementi che hanno accompagnato la lunga carriera del regista spagnolo: il dottor Orloff, la sua musa Lina Romay e la trama stessa che è in pratica un remake del suo primo film fantasti-co. “Les predateurs de la nuit” nasce per volontà del potentissimo distri-butore e produttore fran-cese Renè Chateau che, desideroso di lanciare sul piano internazionale Brigitte Lahaie, mette in-sieme un cast davvero sorprendente che va da Telly Savalas a Chris Mitchum, da Caroline Munro a Stephane Audran, da Brigitte Lahaie a Helmut Berger. Per non parlare di Howard Vernon che rico-pre il ruolo che già aveva interpretato ne “Il diabo-lico dottor Satana” e Lina Romay che il professor Orloff presenta come il

Page 98: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

98

suo capolavoro. Il gioco dei rimandi si fa quindi davvero interessante. Si tratta di un film dal

punto di vista tecnico ineccepibile tanto per sottolineare per chi non lo avesse ancora capito che quando Franco è tecnicamente sciatto lo fa o per cifra stilistica o perché non gli importa niente di quello che sta facendo. “Les predateurs de la nuit” è un film an-cora più cinico e disin-cantato di tutti gli altri realizzati dal regista spa-gnolo e si chiude con un finale che lascia pochi dubbi: i cattivi sono de-stinati a vincere, il male trionfa. Alla fine c'è un minimo segnale positivo, ma che il bene vinca è davvero molto incerto. Questo è Jess Franco.

Negli anni ’90 si scivola pian piano nell’ultima fase del regista, dove irrompe la sua cospicua produzione digitale, a me del tutto ignota. Hai visto qualcosa di questa ultima fase, c’è del buono? Sono riuscito a vedere

alcuni di questi titoli e devo dire che "Incubus" del 2002 e più che altro "Snakewoman" del 2005 sono un bel tuffo nel ci-nema di Jess Franco. Altri titoli sono un delirio puro che sembrano rea-lizzati più per accondi-scendere i motivi della sua fama presso le nuo-ve generazioni che altro. Io conservo nel cuore al-tri film..

Venendo agli attori “secondari” che hanno lavorato con Jess Fran-co, non posso non ri-cordare Horst Tapper, meglio conosciuto per aver interpretato l’ispettore Derrick. Ce ne erano però altri che ricordi con simpatia? Sono molti i caratteri-

sti che hanno lavorato con Jess Franco, primo tra tutti lo svizzero Howard Vernon, il suo attore preferito, indimen-ticabile nel ruolo dello zio Howard ne “Una ver-gine nella terra dei morti viventi” (1971) che in realtà è un morto vivente che abita le fredde acque dello stagno prospiciente il castello in cui si svolge tutta la vicenda. Altro at-tore svizzero che spesso collabora con Franco è Paul Muller, famoso in Italia per le sue parteci-pazioni alla saga di Fantozzi. Attore dalla lunghissima carriera ha però ricoperto il ruolo da protagonista solo in “De Sade 2000” di Jess Fran-co. Paul Muller è sicura-mente un attore che an-drebbe rivalutato specie per i suoi ruoli da raffi-nato villain nel nostro peplum e horror gotico. Altri due attori ricorrenti nella filmografia di Fran-co sono Fred Williams e Jack Taylor. Il primo do-po un importante incur-sione nel cinema di Fe-derico Fellini si dedicò alla moda aprendo una serie di negozi a Berlino, il secondo ha continuato a lavorare come attore e

lo si ricorda piacevol-mente ne "La nona por-ta" di Roman Polanski.

Una caratteristica di Franco, ma anche di molti altri registi im-portanti (tra i quali Hitchcock e Fulci) era quella di ritagliarsi sempre dei piccoli cam-mei. Come valuti il Jess Franco attore? Ne parlavo prima.

Quando Jess Franco partecipa ai suoi film si ritaglia sempre ruoli di personaggi ai margini. Spesso sono maniaci e malati di mente. In uno dei suoi film più contro-versi, “Le viziose” (1975), riveste addirittura il ruolo di un spretato coinvolto in messe nere. Ma il suo cammeo più divertente lo si può vede-re nel rimontaggio di due film di Jess Franco ope-rato da Joe D'Amato (Aristide Massaccesi): “Justine” (1979). In que-sto film Franco interpre-ta il ruolo di un cliente di una prostituta che essendo impotente cerca di eccitarsi con la coper-tina di una rivista di cinema che mostra Lor-na, la protagonista di “Delirium”, uno dei suoi film più belli. È esilarante quando in

"Una vergine tra i morti viventi" tenta di dare fuoco alla casa con una scatola di fiammiferi...

Chiudo con una doman-da sul cinema contem-poraneo di genere, sia italiano che americano.

Page 99: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

99

P rodotto da René Chateau nel 1988 con un

budget insolito per le pellicole di Jess Fran-co, “I violentatori della notte” - meglio noto con il più appropriato “Faceless” o con il tito-lo originale di “Les pre-dateurs de la nuit” - è l’ultimo grande film del regista spagnolo che dopo questa opera si dedicherà a film minori fino alle ultime fatiche girate in digitale. Il soggetto del duo

Chateau-Franco richia-ma alla memoria due celebri film del passato: il primo è l’horror tran-salpino “Occhi senza volto” del 1960, da cui viene ripresa l’idea del-lo scienziato pazzo che cerca di porre rimedio agli sfregi che deturpa-no il volto di una per-sona a lui cara, ese-guendo esperimenti su

cavie umane; il secon-do è “Il diabolico dottor Satana” del 1963, di-retto dallo stesso Fran-co e anch’esso forte-mente debitore di “Occhi senza volto”. Nonostante il film

non possa esser consi-derato originale, tutta-via costituisce un otti-mo esempio di cinema di genere anche perché sintetizza in novanta minuti tutta la filmo-grafia del prolifico regi-sta. Più nel dettaglio potremmo definire “I violentatori della notte” un cocktail assai esplo-sivo e affascinante frut-to di una commistione tra noir (detective pri-vato che indaga su una serie di omicidi), dram-matico (l’inadeguatezza per non sapere accetta-re il proprio corpo), na-zi-movie (abbiamo l’elemento dello scien-ziato pazzo e degli e-

I violentatoriI violentatori

della nottedella notte

“Faceless”, l’ultimo “Faceless”, l’ultimo “Faceless”, l’ultimo grande film direttogrande film direttogrande film diretto

da Jess Francoda Jess Francoda Jess Franco

Matteo Mancini

Cosa ne pensa un amante di cinema bis come te dei film di ul-tima generazione e pensi che in Italia pos-s a rinascere il cinema di genere? So che rischio di pas-

sare per snob e fanatico, ma siccome non lo sono esprimo tranquillamente il mio giudizio: non c'è rimasto più niente. Il ci-nema di oggi è solo un guazzabuglio senza sen-so montato con ritmi fre-netici e ossessivi nella remota speranza di inte-ressare in qualche modo lo spettatore. Abbiamo perso completamente i tempi e il gusto della narrazione cinematogra-fica e i film mi ricordano di più una partita gioca-ta al Nintendo o alla Playstation fatta con i miei figli. Ma niente ci-nema, quello è un'altra cosa! Certo è vero che poi

dalla Francia arrivano perle come “Calvaire” di Fabrice Du Welz oppure “Them” di Moreau e Palud. Ma sono sprazzi, il resto è desolante niente. Un caloroso ringraziamen-

to, da parte di tutta la reda-zione, a un vero amico del ci-nema di genere come Pierpao-lo Dainelli, a cui vanno anche i miei ringraziamenti persona-li per avermi fatto scoprire film come “Femina Ridens”, “La corta notte delle bambole di vetro”, “Le orme”, “Gli occhi al cielo” e moltissimi altri… Grazie di cuore.

Page 100: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

100

sperimenti chirurgici su cavie umane vive), horror (splatter a go go), thriller (un paio di assassinii in stile spaghetti thriller) ed e r o t i smo p e rve r s o (necrofilia, scena di amo-re saffico, voyeurismo, prostituzione). La sceneggiatura

(sempre del duo Chateau-Franco) e la c o n f e z i o n e della pellicola sono abbon-dantemente sopra la me-dia rispetto alla produzio-ne standard de l l ’ auto re . Tuttavia pro-prio questa maggiore cura dei particolari e l’investimento di importanti capitali deter-minano una ricaduta evi-dente sulla regia di Fran-co che finisce per essere “meno folle” e più conven-zionale, ma non per questo meno qualitativa. Non vi è in-fatti traccia di inquadra-ture sperimentali o im-provvisate, né un utilizzo smodato dello zoom o di altre trovate registiche finalizzate a fare di ogni necessità una virtù. Franco, su pressione

del produttore, cerca di dirigere in modo tale da rendere la pellicola adat-ta a un numero maggiore

di spettatori, ma non si può certo sopprimere l’estro di un artista forte come Franco e così, alla fine, ne esce fuori una pellicola in cui la crudel-tà e il gusto per la per-versione finiranno per configurarla come un prodotto di nicchia. Lo script, pur soffren-

do di alcune "distorsioni temporali" (evidente so-prattutto nell’epilogo), non viene penalizzato da dei difetti che si sarebbe-ro potuti evitare, quali alcuni comportamenti forzati dei personaggi che, talvolta, tengono condotte incompatibili rispetto alla meticolosità con cui pianificano le a-zioni delittuose.

Non mancano le scene disturbanti, e parlo di disturbanti con la "d" maisucola, tra cui un’intera sequenza - ri-proposta anche da Stiva-letti in "I tre volti del ter-rore" - in cui viene stac-cata la pelle dal volto di una ragazza per esser trapiantata su un altro

volto. In ogni caso, la scena più fastidiosa è quella nella quale si assiste a un assassi-nio perpetrato c on f i c c ando l’ago di una si-r i n g a nell’occhio del-la vittima, il tutto sotto lo sguardo atten-do di una mdp che riprende in primissimo pi-ano l’iride tra-fitta. Ci sono anche omaggi impliciti a Lu-cio Fulci e al suo “Paura nel-la città dei mor-t i v i v e n -ti” (scena del trapano).

Magistrale il make up artigianale di Jacques Gastineau (non aggiungo altro per non rovinarvi la visione). Come anticipato non

mancano le scene di ero-tismo perverso tipiche del regista tuttavia, per i motivi già detti, è palese il freno imposto dal pro-duttore e si ha la chiara e netta sensazione di un Franco imbrigliato, co-

Page 101: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

101

stretto ad abbozzare lad-dove il suo estro avrebbe voluto e potuto osare. Notevole il cast artisti-

co, a mio avviso il più importante che Franco si sia trovato a gestire an-che se non si registrano performance particolar-mente ispirate. Nei panni del protago-

nista troviamo un lucife-rino Helmut Berger (indimenticabile nel poli-ziottesco "La Belva col mitra"), nell’occasione un po’ spento, affiancato da volti popolarissimi come Telly Savalas e la bella Caroline Munroe (gli a-manti di b-movie la ri-corderanno in "Maniac"

di William Lustig o in "Star Crash" di Luigi Cozzi). Se la cavano bene an-

che i restanti attori, tra cui sono degni di men-zione la sexy ex porno-star Brigitte Lahaie (all’epoca fidanzata di Chateau che sembra confezionò il film proprio per cercare di lanciarla nel mondo del vero cine-ma), Howard Vernon (richiamato a interpreta-re lo stesso ruolo che più di venti anni prima lo a-veva lanciato con “Il dia-bolico dottor Satana”) e i simpatici cammei di Flo-rence Guerin e Stephane Audran all’epoca compa-

gna del celebre regista francese Claude Chabrol. Patinata la fotografia

di Maurice Fellous, men-tre la colonna sonora di Romano Mosumarra si rivela modaiola. Visione consigliata,

ma non agli amanti di cuore. Nonostante non sia amatissimo dai fan del regista e non sia una delle sue opere più rap-presentative, il sotto-scritto considera “I vio-lentatori della notte” uno dei B-Movie più curati di Franco. Consigliata la visione.

I violentatori della notteI violentatori della notte

SCHEDA DEL FILMSCHEDA DEL FILM

Produzione: Spa-Fra, 1998

Regia: Jesus Franco

Interpreti principali: Helmut Berger, Brigitte Lahaie, Telly Savalas, Christopher Mitchum, Caroline Munro, Howard Vernon.

Genere: Horror

Durata: 98

Trama

Chirurgo plastico (Berger) studia la maniera di ricostruire il volto della sorella. La donna, infatti, ha perduto la bellezza a causa del gettito di acido spruzzatole in faccia. Il dottor decide così di praticare delle operazioni, utilizzando delle cavie umane che le vengono procacciate da una seducente assistente (Lahaie) e quindi anestetizzate e sequestrate. Così, tra le tante giovani rapite, riesce a imprigionare persone dello spettacolo come Florence Guerin (che interpreta se stessa) e fotomodelle varie, tra cui la figlia (Munro) di un pericoloso boss americano (Savalas) che incarica un detective privato di mettersi a lavoro sul caso. Intanto il chirurgo plastico, insoddisfatto dei propri risultati, decide di contattare un celebre medico tedesco (Vernon) famoso per i suoi esperimenti nei lager nazisti…

Page 102: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

102

L’incipit, è un L’incipit, è un L’incipit, è un neonato dall’identità neonato dall’identità neonato dall’identità

precisa e ambiguaprecisa e ambiguaprecisa e ambigua

Lo stile Lo stile

del Campionedel Campione

Vincenzo Bonicelli della Vite

R itaglio personale del presente che inizia, l'incipit narrativo è un neonato dall’identità precisa ed

ambigua, dotato di sentimento interno e venuto al mondo per volontà esterna: l’opera nasce come un parto di natura particolare. La parola va oltre la natura stessa e la sua apparenza. Il suo Autore è insieme padre e madre della narrazio-ne. Il suo pregiudizio si riflette in una stortura delle cose nell’incipit narrativo, una distanza netta dal buon senso cor-rente.

Mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita.

Senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato. L'assenza di colpe di Joseph K è una

chiara stortura rispetto al fatto che ven-ga imprigionato, e il «qualcuno doveva aver calunniato» non spiega, ma lascia al tempo vitale della narrazione la riso-luzione di ogni ambiguità... l’evolversi della stortura iniziale in nuovo buon senso non più anonimo, ma personale. Umore e ambientazione della storia si

definiscono come identità in fieri: neo-nato che vuole vivere per propria volon-tà. Nell’incipit narrativo compare il pre-giudizio volontario dovuto all’Autore, la stortura che la narrazione porterà ad una soluzione originale. Il neonato ha un padre e una madre riuniti in un’unica persona che ne curano lo svi-

luppo, ne interpretano il silenzio e le parole, ne guidano i primi passi ed il percorso successivo fino allo sviluppo adulto ed autonomo. Ma intanto l’incipit è un flash sul ca-

os strillato che accompagna la nascita, la presenza di un apparato esterno che riprende il rumore di un nuovo e prepo-tente sentimento. L’inizio della vita è se-gnato dal sentimento del bambino e dal-la volontà esterna di babbo e mamma. Tre protagonisti che diventano due nella narrazione, ma ambiguamente: come nella vita, è il bambino l’unico vero pro-tagonista. L’ambiguità è nella coesisten-za di sentimento del protagonista e vo-lontà dell'Autore, che sono all'origine dell'incipit. Pirandello, nel suo saggio Arte e

scienza, mette in rilievo che non v'è arte se sentimento e volontà soggettivi non intervengono direttamente, ben pri-ma di ogni conoscenza intuitiva ed a-stratta. Se la narrazione è in prima per-sona, è evidente la coincidenza in una unica persona di ambedue i caratteri. Escludendo il sentimento e la volon-

tà, cioè gli elementi soggettivi dello spiri-to, e fondando l'arte solamente sulla co-noscenza intuitiva, dicendo cioè che l'arte è conoscenza, il Croce non riesce a vedere il lato veramente caratteristico di essa, per cui essa si distingue dal mec-canismo. Il modo dell'essere e la qualità sono dati dalla volontà e dai sentimenti: prima, abbiamo l'oggetto senza un mo-

Seconda parte

Page 103: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

103

do d'essere determinato e senza valore. L’inizio della vita è se-

gnato dal sentimento del bambino e dalla volontà esterna di babbo e mam-ma. Tre protagonisti che diventano due nella nar-razione, ma ambigua-mente, come nella vita, è il bambino l’unico vero protagonista. La coesi-stenza ambigua di volon-tà dell'Autore e sentimen-to del protagonista dà ori-gine alla vita dell’opera. Ma sentimento interno e v o l o n t à esterna, come nella vita individuale, hanno una bisogno dell’altra, coinci-dono in una precisa scel-ta di sopravvivenza. Cioè in una necessità di armo-nia. Così, sentimento e vo-

lontà partecipano insieme nel dare determinazione e valore all’oggetto lettera-rio. La disarmonia della realtà s’incarna nel neo-nato letterario. Le conferme vengono

all'inizio di importanti o-pere letterarie, non solo nella Divina Commedia o nel Processo. In Anna Karenina

«tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è in-felice a modo suo»: il pre-giudizio sulla famiglia «infelice» é ambiguo in quel «a modo suo». È pre-ciso nel definirne l’opposto felice delle f a m i g l i e c h e «s’assomigliano tutte», quelle unite dal buon senso.

Ne I tre Moschettieri, nella Prefazione, «si stabi-lisce che, nonostante i nomi in- is e in – os , gli eroi della storia che avremo l'onore di raccon-tare ai nostri lettori non hanno n i en t e d i mitologico». Il pregiudizio sta nella

realtà degli eroi Aramis, Athos e Porthos, realtà ambigua in quel «niente di mitologico», che segna la distanza temporale dell’autore dalle immagini del passato, per cui Du-mas dice «non ebbi pace finché non riuscii a trova-r e n e l l e o p e r e contemporanee una qua-lunque traccia di quei no-m i s t r a o r d i n a r i » . Anche qui vediamo la di-stanza dal buon senso e dall’ordine normale, la nascita di un presente. La precisione nei suoni finali dei nomi in «is» e in «os», p r e c e d u t a d a «nonostante» diventa un motivo iniziale di non anonimato, di personaliz-zazione fuori dal mito ep-pure straordinaria, che ha rilevanza per la storia da raccontare e per il sa-pore dato alle immagini dell'incontro con D'Arta-gnan. Esplicito l’incipit dell'O-

dissea. «Tu di queste av-venture da un punto qualsiasi movendo, rac-conta, o figlia di Zeus, an-che a me qualcosa. Tutti gli altri in quel tempo, quanti la morte scansaro-no, erano a casa salvi tor-nati dalla guerra e dal m a r e : l u i solo».

Incipit preciso in quel «lui solo»: il destino di U-lisse è unico, ben diverso da quello degli al-tri reduci della guerra di Troia, stortura nella vita dell’eroe protagonista. Di-sarmonia iniziale. Ma «da u n p u n t o qualsiasi movendo… rac-conta anche a me qualco-sa» è ambiguo: è la volontà della figlia di Zeus, non que l la dell’autore, che ordina gli eventi di questa esperien-za unica e singolare, dan-do senso alla neonata narrazione straordinaria. La volontà dell’incipit è quella del neonato: di per sé senza parole, ha biso-gno dell’aiuto divino. Il racconto soccomberebbe al sentimento e alla disar-monia narrativa, senza l’intervento della volontà superiore di un qualche Dio. È chiaro il pregiudizio

nell'Iliade: «Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta che infinita addusse lutti agli Achei.»: l'ira di Achille è precisa in quanto fune-sta, ma ambigua e fuori dal buon senso in quanto portatrice d'infini-ti lutti sospesi nel tempo divino, versione eccezio-nale dell ' ira degli umani. Degno di esame molto

attento è l’inizio del Don Chisciotte. «Può capitare che un padre abbia un figlio brutto e senza nessuna qualità, e l'amo-re che gli porta gli metta una benda sugli occhi per non vederne i difetti... Ma

Page 104: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

104

La ricerca di nuovo La ricerca di nuovo La ricerca di nuovo “spazio vitale” “spazio vitale” “spazio vitale”

fuori dal nostro pianetafuori dal nostro pianetafuori dal nostro pianeta

La Terra non La Terra non

è abbastanzaè abbastanza

Roberto Paura

“La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere in una culla tutta la vita”, lo diceva nel 1911 Constantin

Ciolkovskij, padre dell’astronautica e teorico della colonizzazione umana del-lo spazio. A un secolo da quella rivolu-zionaria dichiarazione, la culla dell’umanità si è fatta sempre più stretta, scomoda e sovraffollata: volen-te o nolente, presto saremo costretti davvero a lasciarla. Anche se le spa-ventose stime sulla sovrappopolazione diffuse fino ai primi anni ’90 sono or-mai state riviste al ribasso, tanto da ipotizzare che entro cinquant’anni la popolazione umana raggiungerà il suo picco e inizierà a declinare, il problema è un altro: le risorse. Secondo il Wwf, nel 2030 l’umanità

avrà bisogno non di una, ma di due Terre dato il tasso di sfruttamento del-le risorse naturali. E allora? La soluzione più equa e

auspicabile è un cambiamento nei ritmi di vita della popolazione occiden-tale; ma se le cose dovessero andar male, perché non pensare fin da subito all’ipotesi di spalmare un po’ dei nostri futuri figli e nipoti al di fuori del piane-ta? Un documentario cinematografico degli anni ’50 esordiva con rassicuran-ti parole: “É probabile che una parte dei nipoti di coloro che oggi siedono in questo cinema non nascerà sulla Ter-ra”. Previsione azzardata, ma rispetto a

sessant’anni fa abbiamo forse meno visionarietà, ma più mezzi. Per le nostre ipotesi di colonizzazio-

ne spaziale, non c’è del resto bisogno di scomodare Alpha Centauri, la stella più vicina al Sole (che dista pur sem-pre quattro anni luce, e la velocità del-la luce – si ricordi – è di 300.000 km al secondo, mentre l’oggetto più veloce costruito finora dall’Uomo, la sonda Ulysses, non supera i 40 km/s); né tantomeno Gliese 581G, il pianeta for-se abitabile più vicino a noi che siamo stati capaci di scovare a oggi (20 anni luce di distanza). A dir la verità non c’è bisogno nemmeno di uscire dall’orbita terrestre: i luoghi migliori fuori dalla Terra dove potremmo costruire delle colonie abitali sono i punti lagrangiani L4 e L5. Un punto lagrangiano (il cui nome deriva dal matematico Lagrange che per primo li teorizzò) è un punto dello spazio dove l’attrazione gravita-zionale tra due corpi si annulla reci-procamente, permettendo a un terzo corpo assai più piccolo di mantenere la posizione senza dispendio di energie. Nel nostro caso, la Terra e la Luna cre-ano due interessanti punti lagrangiani allorquando le loro reciproche influen-ze gravitazionali si annullano, proprio nei punti detti L4 e L5. Il primo a sostenere la possibilità di

costruire in quei punti delle grandi s t a z i o n i s p a z i a l i d o v e ospitare in permanenza esseri umani fu il fisico americano Gerald O’Neill, in

Page 105: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

105

un articolo pubb l i ca to n e l s e t t e m b r e 1974 sulla r i v i s t a “ P h i s i c s Today” e inti-tolato, per non lasciar spazio a e-quivoci, The Colonization of Space. La NASA

s e n e interessò per un po’ pri-ma di lasciar perdere a causa della mancanza di f o n d i . I problemi in realtà non sono solo i fondi. Anche se nei punti L4 e L5 si possono costruire tran-quillamente due grandi città orbitanti, senza il dispendio di energia ne-cessario per mantenerne la posizione, resta il rischio dell’esposizione alla radiazione cosmica, il cui effetto letale per gli esseri umani (i raggi cosmici ionizzano gli ato-mi e distruggono quindi il Dna) viene annullato sulla Terra dall’azione dell’atmosfera, ma è ben presente nello spazio extra-atmosferico. Ne sanno qualcosa gli astro-nauti, le cui tute rendo-no possibile le passeggia-te spaziali e – all’epoca – le esplorazioni lunari, ma non proteggono il corpo a lungo termine. È un problema tra i più importanti da risolvere per il rilancio dell’attività umana nello spazio perché a oggi gli astro-

nauti non possono resta-re troppo a lungo fuori dall’atmosfera senza ri-schiare la morte. Gli abi-tanti delle future colonie lagrangiane non potran-no quindi difendersi solo con la struttura esterna della colonia: l’ipotesi finora più accreditata è quella di costruire uno scudo schermante le cui pareti esterne e interne siano divise da svariate tonnellate d’acqua. Una soluzione impraticabile per le astronavi ma forse realizzabile per le ben più grandi colonie spa-ziali. Allora, resta un al-tro problema: come le costruiamo? Si tratta naturalmente

di costruire le colonie di-rettamente nello spazio, impresa difficoltosa ma non impossibile dato che l’assemblaggio della Stazione Spaziale Inter-nazionale (ISS) ci ha già permesso di sperimenta-re tecniche di costruzio-ne in orbita. Il problema è quello

dei costi: lanciare nello spazio i materiali neces-

sari costa, tanto più nu-merosi (e pe-santi) sono i materiali. Per comparazione: la costruzione della ISS ha reso necessari 40 lanci dello Space Shuttle e della Soyuz, e consideran-do che ogni lancio costa intorno ai 500

milioni di dollari, siamo già a 20 miliardi spesi. Una colonia lagrangia-

na necessiterà di ‘qualcosina’ in più… La soluzione sarebbe quella di costruirla utilizzando materiali presenti sulla Luna: la gravità sul no-stro satellite è quasi die-ci volte inferiore a quella della Terra, per cui lo sforzo per lanciare uno shuttle verso il cantiere della colonia sarebbe di gran lunga minore. Poi potremmo far girare la colonia su se stessa, così da produrre una forza gravitazionale più o me-no uguale a quella terre-stre, e ricreare all’interno le condizioni normali del ciclo biologico, così da far prosperare piante, c o l t u r e , a n im a l i . E l’acqua? Come nella ISS e nelle astronavi, si può riciclarla con un’efficienza pari quasi a l 100%, e con l’elettrolisi si scinde l’ossigeno dall’acqua e lo si immette nella colonia. Naturalmente, l’elevato fabbisogno necessiterà di

Page 106: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

106

periodici rifornimenti. Ma la recente conferma dell’esistenza di acqua nei poli lunari può essere la soluzione. Ancora me-glio sarebbe collegare le colonie lagrangiane con la Terra attraverso ascensori orbitali (ma ne parleremo nella prossima puntata). Ipotizziamo che vada

tutto bene. Potremmo cominciare a pensare di fare le cose in grande: le colonie lagrangiane sa-rebbero inizialmente solo sperimentali, poi ci po-trebbero prosperare nu-merosissime famiglie. Ma potremmo decider-

ci a colonizzare qualcosa di più grande: perché non la Luna? L’America e Cina ci so-

no già ufficialmente lan-ciate nell’impresa di co-struire una stazione lu-nare entro i prossimi die-ci o quindici anni, per poterla poi utilizzare con trampolino verso Marte. M a n a t u r a lm e n t e l’interesse di una stazio-ne lunare non si limita a quest’obiettivo: lì speri-menteremo la vivibilità del nostro satellite e, se lo trovassimo confortevo-le, inizieremo a espan-derci. Dopo tutto, sulla Luna ci potrebbero esse-re minerali molto prezio-si per la Terra, soprat-tutto per il nostro fabbi-sogno energetico (v. pre-cedente puntata). Tecnici e scienziati sa-

rebbero raggiunti dalle loro famiglie e presto la Luna brulicherebbe di umanità. Tutto sotto co-

perta, s’intende: la Luna è inospitale, ma nelle grandi colonie potremmo ricreare le stesse condi-zioni della Terra, assai più facilmente che nei punti lagrangiani dato che avremmo la terra sotto i piedi. E, come ab-biamo visto, non manca-no scorte di acqua. Le colonie lagrangiane po-trebbero in futuro diven-tare i punti di snodo di un fiorente commercio Terra-Luna, nato sulla base di interessi econo-mici e sviluppatosi poi al punto da fare del nostro satellite una seconda, comoda casa. A quel punto saremo

pronti per il grande bal-zo, quello che sogniamo da anni: Marte. Sì, per-ché ci sarebbe ben poca differenza tra la vita nelle colonie lagrangiane e quella sulla Luna: si tratta pur sempre di vi-vere all’interno di una grossa scatola, senza mai vedere direttamente il sole e respirare l’aria aperta. Su Marte le cose potrebbero andare diver-samente: potremmo deci-dere di terraformarlo. Per “terraformazione” s’intende il processo arti-ficiale tramite il quale si ritiene possibile rendere un pianeta simile alla Terra nei suoi parametri fondamentali di vivibili-tà. Marte ha già un van-taggio non da poco: un periodo di rotazione su se stesso quasi uguale al nostro, lungo 24 ore e trentanove minuti; in questo modo non distin-

gueremo la differenza c o n l a T e r r a nell’alternarsi del giorno e della notte. L’anno so-lare sarà lungo il doppio, il che vorrebbe dire un raddoppio dei tempi delle stagioni. Ma non è un problema. I l p r o b l em a è

l’atmosfera: estrema-mente rarefatta e irrespi-rabile in quanto compo-sta per il 95% da letale anidride carbonica. E l’acqua. Su Marte ce

n’è in abbondanza, ma ghiacciata. La prima cosa da fare,

quindi, è estrarla. Costruendo una serie di impianti, potrebbe essere poss ib i l e pompare nell’atmosfera marziana gas serra, tali da tratte-nere il calore sulla su-perficie e aumentare quindi la temperatura (che oggi oscilla da una minima proibitiva di -140° a una gradevole massima di 20 gradi nel-la stagione estiva). Con l’aumento della tempera-tura, l’acqua tornerebbe a scorrere allo stato li-quido sulla superficie marziana, com’era in passato. Il clima comin-cerebbe a diventare favo-revole allo sviluppo di alcune piante (e di microrganismi) che verrebbero impiantate dai coloni, permettendo la fotosintesi e quindi l ’ i m m i s s i o n e nell’atmosfera di ossige-no. La superficie torne-rebbe a diventare fertile, l’aria respirabile, la vita possibile.

Page 107: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

107

È un sogno, ma sulla carta è tutto assoluta-mente possibile. Certo, ci vorranno soldi; e i tempi saranno molto lunghi: nel migliore dei casi, due o tre secoli. Ma il tempo c’è, se

l’umanità avrà pazienza. Da qui a cinquecento an-ni, Marte diventerebbe una nuova Terra, abita-bile da un miliardo di persone. Magari i mar-ziani non potrebbero parlare al telefono o in videochat con i parenti terrestri, per via dei 6 minuti di intervallo che separano le comunica-zioni tra i due pianeti, ma nulla impedirebbe uno scambio regolare di e-mail e una chat con qualche minuto appena di ritardo nelle risposte. I trasporti sarebbero

lunghi, ma con l’evolversi dei sistemi propulsivi, allo stato attuale delle conoscenze, si può ipo-tizzare che un viaggio Terra-Marte (o viceversa) duri intorno alle quattro settimane. In fin dei con-ti, la vita per un marzia-no tornerebbe a essere per un po’ quella dei co-loni del Far West. Ne varrebbe sicuramente la pena (oltre al fatto che, per via della ridotta gra-vità, gli umani di origine marziana sarebbero più alti di noi, oltre due me-tri; ma avrebbero difficol-tà a deambulare sulla pesante, vecchia Terra). Spingendoci ancora

più in là, supereremmo la fascia degli asteroidi (preziosa fonte di materie

prime per le colonie spa-ziali) e ci ritroveremmo dall’altra parte del siste-ma solare, dominata dai giganti gassosi. Non c’è alcun modo di vivere su Giove, su Saturno, Ura-no o Nettuno, ma intorno a questi enormi mondi inospitali ci sono pur sempre delle lune, paradossalmente assai più vivibili della nostra. Su Europa, luna di

Giove, ci sono oceani di acqua allo stato liquido appena sotto la superfi-cie ghiacciata, e una tenue atmosfera di ossi-geno. Certo, le tempera-tura sono proibitive per via della lontananza dal Sole, ma future colonie ben sigillate potrebbero sopravvivere senza nessun bisogno di dipen-dere dall’esterno. Anche Ganimede pos-

siede acqua in gran quantità sotto la superfi-cie, oltre a ossigeno nell’atmosfera, ed è ben più di una luna: è infatti più grande di Mercurio, e possiede persino un campo magnetico, cosa che lo rende poco espo-sto al pericolo dei raggi cosmici.

Spingendoci oltre, troveremo Titano, la più grande luna di Saturno, di poco più piccolo di Ganimede. Titano pos-s i ede una densa a t m o s f e r a d i metano, e il metano scorre allo stato liquido in oceani, fiumi e bacini, tra i quali si stagliano grandi continenti. Geo-graficamente, Titano è quindi il corpo spaziale più simile alla Terra. È un mondo invivibile, ma terribilmente simile alla nostra Terra primitiva. La terraformazione di Titano non è al momento ipotizzabile, a causa dei problemi derivanti dalle possibili reazioni chimi-che. Ma tutto sommato sarebbe un posticino in-teressante da visitare, una volta cautelatisi dal m e t a n o e dall’ammoniaca; e anche un posto vivibile, perché di acqua ce n’è sicura-mente sotto la superficie. Comunque, queste so-

no solo soluzioni di ripie-go. Un giorno lontano potremo decidere di met-terci tutti in una grande astronave e lanciarci ne-gli abissi cosmici, verso nuove Terre abitabili, che scopriremo sicura-mente nel corso dei pros-simi vent’anni grazie agli straordinari successi dell’esoplanetologia. Da qui ad arrivarci è

un bel paio di maniche, ma le cose vanno fatte un passo alla volta.

pianeta Marte

Page 108: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

108

io, che benché sembri pa-dre, non sono in realtà che patrigno di Don Chi-sciotte, non intendo se-guire la corrente». Dopo avere precisato situazione e protagonista iniziali del-la storia, Cervantes ne prende le distanze in mo-do netto, non intendendo seguire la corrente del pa-dre che non vede i difetti del figlio. Cervantes ne è solo il patrigno: termine preciso ed ambiguo insieme che denota la re-altà letteraria precisa di un autore che si serve del suo personaggio, che non lo ama per tendenza e legge naturale. Il termine “patrigno” è ambiguo co-munque, però: coinvolge-rà il lettore in termini af-fettivi impuri, subalterni agli eventi stessi e al giu-dizio da darne successi-vamente in base a criteri narrativi. Il figliastro si meriterà commenti in funzione del suo compor-tamento, a posteriori e non secondo un a priori affettivo. A priori è però chiara la vanità che ispira il protagonista: la stortu-ra della impudente strada imboccata a dispetto dell’età avanzata. Don Chisciotte che evade dalla realtà prosaica delle cam-pagne della Mancha è u-na vittima predestinata, prigioniero del suo fanta-sticare su pulzelle minac-ciate, nemici cavalieri, gi-ganti ed incantatori. La definizione della narrazio-ne inizia così, precisa ma ambigua nella coinciden-za di sentimento e volontà dell’autore. Il leit motiv

d e l r oman z o h a origine qui, nella tenden-za iniziale di un percorso stilistico personale, che s’evolverà per contrasto, cioè per l'intervenire nel racconto di tendenze con-trarie al leit motiv stesso, disegnando la fase dina-mica della narrazione. In-fatti è nel contrasto che nasce l’accelerazione degli eventi. Don Chisciotte si scontra con la realtà pro-saica delle campagne del-la Mancha, contadini e contadine, viaggiatori, o-sti ed animali mentre la sua fantasia crea immagi-ni di pulzelle minacciate, c a v a l i e r i n em i c i , giganti ed incantatori: il contrasto accelera gli eventi, tragico e comico scaturiscono naturalmen-te dal racconto dei con-trasti tra le letture sui ca-valieri erranti e le realtà contadine, tra il riscontro dei fatti e le parole incom-prensibili che il nostro povero eroe declama nel suo delirio in cui è vero ciò che è falso, in cui le immagini stesse soggiac-ciono al predominio delle parole, come è naturale in un mondo letterario... co-me è naturale che le pa-role esprimano la loro po-tenzialità ambigua, il sov-vertimento dei fatti trami-te il racconto, sovverti-mento qui addirittura di-ventato tristemente uma-no nel Cavaliere dalla tri-ste figura. Letterarietà di immagi-

ni e parole: il potere di queste su quelle produce il ribaltamento del loro rapporto, facendo prose-

guire il leit motiv del mondo falso dei cavalieri erranti che vuol essere reale, proprio come i libri letti su di loro, pur non essendo presente, per cui le letture ri-scrivono la realtà degli eventi, ma poi vengono sempre amara-m e n t e s c o n f i t t e . R i b a l t a m e n t i e ri-scritture della realtà di immagini e parole porta-no la letterarietà all'apice espressivo nel libro di Cervantes. Viene conti-nuamente rivelata la superiorità della realtà delle parole laddove la lo-ro ambiguità esprime ap-pieno le potenzialità della letteratura, relegando le immagini all'univocità singolare della rappresen-tazione diretta. Proprio nell'ambiguità della paro-la risalta la letterarietà della forma narrativa. È il tempo della parola

che si estende al di là di quello contingente delle immagini. Mentre l'immagine non

può mostrare il non im-maginato, la parola dice anche il non detto, rac-chiude anche il silenzio, cioè il mondo ambiguo e sentimentale nascosto tra le pause della finzione narrativa che il lettore riempie a suo piacimento. Nel caso del Don Chi-sciotte, l'immagine della realtà effettiva, non caval-leresca, può solo eviden-ziare che l'invenzione let-teraria del mondo fanta-stico porta sempre più l'eroe alla follia dell'in-comprensione delle cose, ma anche che egli può

Page 109: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

109

continuare a fingere finché l'inverosimile è funzionale alla strategia narrativa. Finché l'emo-zione di fondo dell'Autore non è stata espressa com-piutamente e l'ambiguità non ha più ragione di es-sere nel racconto. Quindi il mondo fantastico creato dai libri sui cavalieri er-ranti diventa visibile an-che aldilà di quello che Don Chisciotte vede real-mente, perché ciò che ve-de la mente è predomi-nante rispetto a ciò che vedono gli occhi, le parole arrivano direttamente alla fantasia prima che le immagini passino dallo sguardo. Le parole del ro-manzo impongono la pre-cisione ambigua che il mondo cavalleresco ha assunto per il protagoni-sta. Almeno fino a che qualcosa d'imprevisto succede, segnando una svolta nel racconto e nella strategia narrativa. Ciò che ci preme a que-

sto punto è sottolineare il procedere della narrazio-ne per contrasti accelera-tivi degli eventi racconta-ti. È come se l'autista che

stava guidando a cin-quanta chilometri l'ora improvvisamente dovesse aumentare la velocità al doppio, per raggiungere un traguardo diventato i m p r o v v i s a m e n t e importante, come ad esempio raggiungere l'ospedale dove il passeg-gero di fianco a lui possa trovare assistenza. Allora da autista si trasforma in p i l o ta , l a s t rada

diventa più stretta e peri-colosa, le sue capacità vengono messe alla pro-va, coraggio e lucidità de-v o n o s o c c o r r e r l o necessariamente. Così ha luogo la trasformazione del protagonista in cam-pione, o in eroe persino (che sia positivo o negati-vo poco importa in termi-ni letterari, anche se rile-vante per la storia). Ma perché ciò avvenga, è ne-cessario che la realtà pre-cedente al contrasto ven-ga alterata in deformazio-ne della stessa, cioè che ci sia una perdita: perdita delle caratteristiche e dei caratteri della realtà pre-cedente (al contrasto). Il Cavaliere dalla Triste Fi-gura è un campione pro-dotto dall'accelerazione della realtà che si verifica quando il buon Quijote abbandona il villaggio do-mestico e le sue strade conosciute e limitate, dando spazio così al contrasto, creato con quell'ambiente di riferi-mento dal mondo fanta-stico e letterario delle nar-razioni cavalleresche. De-formazione e trasforma-zione, quindi: perché Don Chisciotte diventi campio-ne che sfida giganti, cava-lieri ostili ed incantatori, bisogna che la realtà per-da le caratteristiche soli-te, paesane e contadine della Mancha, che le lo-cande si trasformino in castelli e che le immagini reali siano trasfigurate dalle parole delle narra-zioni cavalleresche, di cui s'è cibata la mente del Chisciotte. Così la parola

del Cervantes crea il mondo magico, letterario d e l s u o m a t u r o «Campione dall'argentea barba» come un susse-guirsi fantastico ed amaro di avventure in cui la let-terarietà straordinaria è proprio nella paradossale sudditanza delle immagi-n i reali alle parole del rac-conto, il precipitare del reale nelle invenzioni del-la strategia della narra-zione, una strategia sdop-piata: da una parte quella dell'Autore che domina l'emozione di fondo del racconto nella consapevo-l e z z a d e l l a falsità dell'invenzione narrativa; dall'altra la strategia del Campione Don Chisciotte, in cui la passione che l'ha spinto dentro una realtà defor-mata diventa travolgente, tanto più quanto mostr i , ossessioni , incubi e demoni emergo-no come creature spontanee in un percorso sempre più rapido ed im-p r e v e d i b i l e v e r s o l'ignoto di nuove realtà, che non possono corri-spondere alle parole di precedenti narrazioni (quelle cavalleresche). La trasformazione reale è im-prevedibile, ben aldilà del lei motiv del mondo caval-leresco. Quindi deforma-zione e trasformazione sono momenti necessari della narrazione lettera-ria, forme dinamiche in c u i è p o s s i b i l e l'identità tra vita ed arte, anche ai livelli più fanta-

Page 110: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

110

stici di realtà inventate dalle parole. Il Don Chisciotte è solo

l'esempio -forse il più alto- di questa narrazione let-teraria, ma in tutte le o-pere vere, racconti o ro-manzi, poemi o fiabe, la parola procede lungo un leit motiv, si sviluppa dentro contrasti che acce-lerano gli eventi, e l'acce-lerazione porta a defor-mazione e trasformazione delle realtà rappresentate artisticamente. Prima di portare altri esempi in tal senso, vorrei chiarire gli elementi della deforma-zione e della trasforma-zione di situazioni e p e r s o n a g g i d e l l a narrazione. La deformazione com-

porta principalmente la perdita: la realtà prece-dente perde le sue carat-teristiche nel presente, assumendo forme e contenuti diversi dal nor-male, proprio perché la deformazione non le ren-de più riconoscibili come parti del presente. La per-dita della forma nota veri-ficabile nel presente dà luogo a mostri, ossessio-ni, paure ed incubi, de-moni e fantasmi (vedi «Cavaliere dalla Triste Fi-gura»). Eventi, personaggi e psicologie del racconto, ivi compresa quella dell'Autore, lasciano il terreno delle certezze e la direzione nota del leit motiv. Il percorso nella realtà è cambiato: il fondo stradale non è più liscio e piano, diritto e prevedibi-le. L'autista (i protagoni-sti, l'Autore stesso) deve

fare uno sforzo nella gui-da, è obbligato ad accele-rare in condizioni di diffi-co l tà ed ostaco l i crescenti. Il contrasto ha provo-

cato l'accelerazione degli eventi, solo l'Autore può prenderne le distanze. I personaggi possono tut-to al più andare in cerca d'Autore, vivere gli eventi senza uscire dal teatro arduo della vita, in cui perdita e scoperta, azione e reazione sono figure ne-cessarie dell'incontro tra parole ed immagini, vita e letterarietà. Solo l'Autore possiede l'ironia e la vo-lontà che lo rendono su-periore al senso di perdi-ta, ossessioni ed incubi fanno parte della sua consapevolezza. Solo lui può guidare i personaggi verso la loro trasformazio-ne in presenze coraggiose e lucidamente presenti nel precipitare degli even-ti narrati, farli divenire i nostri campioni che sfida-no l'ignoto esorcizzando la nostra inesperienza personale, inevitabile da-vanti alla vita intesa come narrazione dai mille risvolti possibili. Qui è piena la nostra identifica-zione coi personaggi: non possediamo né l'ironia né la consapevolezza totale dell'Autore delle nostre vite, come i personaggi della narrazione siamo dentro un ciclo vorticoso di cui ignoriamo la strate-gia. L’inizio e la fine. Co-me i personaggi della nar-razione, siamo di fronte a nascita e morte, a eventi magnifici o terribili, di-

screti o dispettosi, che ci spingono all'accettazione e alla forza di reazione, alla riflessione e alla pas-sione, nel coraggio e nella paura, nell'esagerazione e nel la moderazione: nell' impossibilità di conoscere il percorso disegnato per noi da una strategia superiore, logica ma arbitraria, pertinente a una realtà che solo in rari momenti si svela, quando, incrociando le nos t r e s t rade d i poveri e gioiosi viandanti, lascia alcune passeggere tracce del senso della fine di ciascuno di noi. Il rac-conto finirà con un qual-che ricordo indelebile del nostro inizio, l'ignoto della fine avrà un'attinenza in-conscia ed arbitraria colla nostra nascita. Così è an-che per la fine del raccon-to, o del romanzo: l'azione cesserà, lasciando solo in noi lettori la calma di e-mozioni che forse non im-maginavamo neanche. Non conoscevamo così a fondo certi particolari si-gnificativi del nostro esi-stere, prima di leggerli. Come scrive Kundera ne L’arte del romanzo : «Il romanzo deve raccontare solo ciò che il romanzo può conoscere». E ciò che può conos ce r e è l’attinenza emotiva tra fatti e persone che sem-brano non averne alcuna inizialmente, a partire dall’urto dell’incipit.

Page 111: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

111

Intervista ad Andrea Intervista ad Andrea Intervista ad Andrea Borla, curatore dellaBorla, curatore dellaBorla, curatore della raccolta Pater Nosterraccolta Pater Nosterraccolta Pater Noster

PaterPaterPaterPaterPaterPaterPaterPater

NosterNosterNosterNosterNosterNosterNosterNoster Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste Le interviste

di di

BraviAutoriBraviAutori

Pia Barletta

Hai iniziato diversi anni fa con pub-blicazioni rivolte alla scuola, tra cui un volume che parla di sicurezza sul lavoro. Questa esperienza ti ha in q u a l c h e m o d o a g e v o l a t o nell’approccio con gli editori? Quando lavori per un grande

editore, impari subito a mettere in di-scussione ciò che scrivi. La maggior parte degli autori è convinta che il risultato della propria arte sia perfetto e immutabile: soddisfa loro e quindi deve essere soddisfacente per tutti, in senso assoluto. In questo equilibrio universale, la modifica anche solo di una virgola o di una parola è un delitto. Imparare che le cose non stanno affatto così è doloroso ma indi-spensabile per poter crescere come scrittore. Qualche mese prima dell’uscita di Pater Noster ero al telefo-no con un editor di Pearson, per cui scrivo prettamente articoli di diritto. Quando gli ho spiegato che avrei cura-to la raccolta mi ha detto “Allora farai il mio lavoro”. E aveva ragione. L’esperienza maturata negli anni mi ha aiutato quando mi sono trovato “dall’altra parte”, non solo autore ma soprattutto curatore.

Oltre a scrivere, e naturalmente agli impegni lavorativi, collabori con riviste e giornali online, sei membro della giuria di alcuni premi, organiz-zi presentazioni di autori emergenti. Come riesci a conciliare il tutto?

Soprattutto negli ultimi tempi, cer-care un equilibrio tra le mie attività sta diventando problematico. Questo non significa che mi dia per vinto, ma mi ha costretto a rallentare i tempi delle pubblicazioni. Ho diversi romanzi nel cassetto a cui purtroppo non riesco a dedicare il tempo necessario. Nei pros-simi mesi dovrò assolutamente darmi da fare, concentrandomi sulla promo-zione delle mie opere.

Parliamo di Pater Noster, la tua ulti-ma fatica letteraria, in cui troviamo altri talenti più o meno conosciuti, come è iniziata, da dove è partita l’idea? E perché il titolo di una preghiera? Sono convinto che le strofe del Padre

Nostro nascondano una forza incredi-bile. È una preghiera conosciuta da tutti, atei e credenti, e forse per questo spesso banalizzata. Eppure i suoi versi sono una fonte inesauribile di medita-zione e, di conseguenza, da essi può nascere l’ispirazione per la scrittura. La mia intenzione iniziale era di scrivere tutti i racconti, ma mi sono accorto che alcune strofe sembravano perfette come titoli di opere di giovani autori che apprezzavo. Così ho pensato di coinvolgerli, riservandomi il ruolo di curatore. Una volta fissata l’idea principale, mi sono concentrato sulla cornice che doveva racchiudere i s i n g o l i r a c c o n t i , c o s t i t u i t a dall’introduzione (Nel nome del Padre,

Page 112: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

112

del Figlio e dello Spirito Santo) e dal racconto conclusivo (Amen).

Questa raccolta com-prende racconti di ge-neri più disparati. È stata una tua scelta o hai lasciato che gli autori si esprimessero come meglio riteneva-no opportuno? Il filone principale è

costituito da racconti thriller e noir, a cui si accompagnano alcuni testi di genere fantastico. La raccolta è coerente con le tematiche di molte pubblicazioni del le Edizioni Il Foglio e, infat-ti, comprende opere di autori scoperti da questa Casa Editrice. Il filo con-duttore è evidenziato dal sottotitolo: dodici vittime per cui pregare. La pre-senza della vittima, che spesso finisce per con-fondersi e scambiarsi di posto con il carnefice, è il vero elemento comune. Due soli racconti si di-scostano dal filone p r i n c i p a l e p e r stile e meccanismi narra-tivi, due testi più intimi-sti e concentrati sugli a-spetti psicologici dei per-sonaggi. In uno di essi (Venga il tuo regno di Alessandro Del Gaudio) la vittima è addirittura presentata in senso me-taforico: un musicista e compositore un tempo famoso costretto a fare i conti con lo show busi-ness.

Come definiresti que-sta esperienza?

Il libro comincia con una considerazione: il miglior modo per farsi dei nemici è curare una raccolta di racconti. Ma, s che r z i a p a r t e , l’avventura di Pater Noster mi ha dato note-voli soddisfazioni. La sfi-da era davvero comples-sa: realizzare una raccol-ta in cui l’ordine dei rac-conti non è modificabile dal curatore, ma che de-ve seguire obbligatoria-mente i versi della p r egh i e ra . Ques ta p e c u l i a r i t à r e n d e indispensabile una buo-na dote di flessibilità da parte degli autori, che devono mettersi al servi-zio della raccolta stessa. È stato spesso indispen-sabile che i racconti ve-nissero modificati dai lo-ro autori per adattarsi a questo o quel verso. È stato complicato, ma so-no contento del risultato finale.

Nell’introduzione e nel racconto conclusivo, entrambi scritti da te, compare Piero Scacchi. È un personaggio che ritorna sovente nelle tue opere. C’è un moti-vo particolare per cui sei così legato a lui? Piero Scacchi è il pro-

tagonista del mio roman-zo Odio e, in maniera in-diretta, del successivo Cerchi, nonché di altri tre romanzi ancora chiu-si nel mio hard disk. Piero è un trentenne condannato per un omicidio, che sconta la sua pena in carcere.

Sente il bisogno di com-prendere se stesso e, quindi, si trova di fronte a due strade: parlare con il cappellano o con lo psicologo del carcere. Visto che non è pentito di quel che ha fatto e ri-tiene di non dover chie-dere perdono a nessuno, scarta la via religiosa. Scacchi diviene così un nuovo Zeno Cosini, che scrive ricordi e racconti per il suo psicologo. È un uomo alla ricerca di se stesso e in questo mi ri-conosco pienamente in lui. In più, è in costante oscillazione tra il bene e il male, una condizione che lo accomuna ai suoi compagni di cella, un maestro elementare con-dannato per omicidio e pedofilia (il Professore), e un trafficante di droga (Carlos).

Don Lorenzo è un per-sonaggio emblematico: rappresenta la linea di confine tra due senti-menti, in questo caso fede e amore. Quanto, secondo te, è sottile questa linea? La fede e l’amore han-

no molto in comune, in primo luogo l’abbandono volontario di se stessi a un sentimento che ci spinge al di là della ra-gione. Quello che volevo però evidenziare è il rap-porto conflittuale che si crea tra le restrizioni che la fede porta con sé se si scontrano con l’amore per una donna o un uomo. La linea sottile diventa in quel momento

Page 113: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

113

un muro, che ognuno di noi può decidere di sca-valcare o meno. Entram-be le scelte portano tut-tavia a una rinuncia e a un tradimento. È una situazione di stallo in cui, qualunque mossa si scelga, non si può che perdere.

Vuoi darci un cenno su-gli altri autori? Sono felice che autori

con cui ho un rapporto

stretto e di cui apprezzo le opere abbiano accetta-to la sfida di confrontarsi con Pater Noster. Oltre ad Alessandro Del Gau-d i o , t r o v i a m o Emiliano Maramonte (Sia fatta la tua volontà) che dimostra una grande abilità letteraria quando, con una manciata di pa-role, catapulta il lettore in un mondo alternativo. Gordiano Lupi si ispira a Gloria Guida per un Non

ci indurre in tentazione improntato sulla fantasia e sul ricordo. Maurizio Cometto (Come in cielo così in terra) propone u-na figura di frate che molto ricorda Padre Pio, vista con gli occhi di un bambino di campagna, e che utilizza l’elemento fantastico per sconvolge-re le attese del lettore.

Conoscevi tutti gli au-tori della raccolta?

AA.VV., una sigla che a volte invoglia il lettore indeciso, fiducioso che tra tanti autori di sicuro ce ne sarà qualcuno che ha scritto un bel racconto. Nel nostro caso la scelta non delude. Pater Noster, una preghiera, forse la più co-nosciuta, altro non è che una serie di dodici versi e ognuno di essi diventa per l’occasione il titolo di un racconto. Horror, thriller, fantastico e intimistico si susseguono pronti a soddisfare i gusti di tutti. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo inizia con una domanda che è una premessa: cosa induce un prete a recarsi in carcere per portare un santino a un detenuto? E Piero Scacchi, il destinatario del santino, in che modo potrebbe aiutare il prete? A Piero piacciono i racconti, è senz’altro la persona più indicata per entrare nella psicologia dei personaggi, e così ci accompagna in un viaggio che fa da corollario, iniziando in una clinica psichiatrica per poi continuare tra suocere assassine. “Attento a ciò che desideri” potrebbe essere il motto di un sito internet, mentre delle semplici parole potrebbero trasformarsi in uno strumento atto a decretare la fama e il successo altrui. Una corsa affannosa per sfuggire a una condanna sommaria ci squasserà il petto, presagi che vengono dal cielo potrebbero confonderci e mettere in di-scussione la nostra fede e, ancora, ciò che fino a un attimo prima rappresenta-va il nostro ideale potrebbe rivelarsi una verità troppo banale per volerla accettare. Ci chiederemo se Sophie sia una vittima sacrificale o pioniera di una nuova era. Percepiremo in maniera palpabile il senso di colpa di Renaud e

l’ossessione per un sex symbol, e soprattutto capiremo quando quella che agli altri sembra follia è la consapevolezza del male che affonda le sue radici fino a toccare punti profondi.

Pregare per un innocente, è questo che vuole si faccia Don Michele. Tuttavia, dopo aver letto l’intero libro, avremo molti dubbi in più: ci chiederemo se la vittima è sempre innocente in quanto vittima o se talvolta è più colpevole del suo assassino. Piero Scacchi comprende, il motivo della reticenza del “colpevole” è sotto i suoi occhi, innocenza e colpevolezza diventano due concetti suscettibili di diverse interpretazioni, si intersecano, si intrecciano fino a confondersi.

Andrea Borla, il curatore, ha abilmente introdotto una sorta di preparazione all’epilogo, traccia una rotta, e tutti gli autori assolvono egregiamente il loro compito, attenendosi rigorosamente al tema del verso. Nessun racconto è l’inizio o il prosieguo di un altro, nessuna storia somiglia a un’altra e questo fa sì che l’attenzione del lettore sia sempre desta. Noi percorriamo l’itinerario costruito per noi con emozione, riflettiamo sui temi scottanti trattati e l’ultimo titolo, Amen, lo lasciamo un attimo sospeso, lo pregustiamo e nello stesso tempo avvertiamo il doloroso senso del distacco.

Recensione Recensione di di Pia BarlettaPia Barletta

Pater Noster -

A.A V.V.

Page 114: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

114

No, anche perché un’opera letteraria basa-ta soltanto sui rapporti interpersonali ha ottime probabilità di affossarsi sul nascere. Grazia a Pa-ter Noster ho potuto co-noscere ottimi scrittori come Fabio Lastrucci, che avevo già apprezzato nella raccolta Veleno (Edizioni Il Foglio), che in Come noi li rimettiamo ai nostri debitori presenta una storia di ambienta-zione medievale, o Laura Fidaleo, l’unica scrittrice che ha partecipato a Pa-ter Noster, autrice di uno dei racconti che ritengo meglio riusciti. Il suo Dacci oggi il nostro pane quotidiano è incentrato sulla disillusione di un fan che si trova di fronte al suo scrittore preferito, idolatrato sino a renderlo un dio, e scopre che si tratta soltanto di un uo-mo come tanti. Alessio Gradogna (Rimetti a noi i nostri debiti) scandaglia la personalità di un as-sassino convinto che le sue azioni siano guidate da un disegno superiore e siano votate al bene.

Molti autori hanno rap-presentato situazioni drammatiche consuma-te in famiglia. La raccolta inizia con

tre racconti incentrati proprio su questo tema. In Padre Nostro Simone Pazzaglia ci presenta un uomo che ripercorre inconsapevolmente le or-me del padre e, inevita-bilmente, commette i suoi stessi errori, che po-

tremmo anche chiamare “peccati”, nei confronti della famiglia. Valerio Biagi, in Che sei nei cieli, descrive la contrapposi-zione tra genero e suoce-ra scambiando la pro-spettiva tra vittima e car-nefice. Sia Santificato il tuo nome di Alessandro Napolitano descrive il do-lore per la perdita della persona amata e costrin-ge il protagonista a con-frontarsi con il suo desi-derio di rivederla a tutti i costi. Il tema emerge an-che nei racconti succes-sivi, come in Ma liberaci dal male di Matteo Gam-baro, incentrato su un episodio di violenza do-m e s t i c a c h e pone un interrogativo in-quietante: chi commette un omicidio per punire una persona che si è macch ia ta d i un crimine ancor più gran-de, è in qualche modo giustificabile?

Versatile e poliedrico ti definisco io, tu Giovane Aspirante Scrittore Famoso (G.A.S.F). È una promessa? Sto pensando seria-

mente di eliminare il “Giovane” dall’acronimo, perché gli anni passano. Rimarrà solo “Aspirante”, che non si capisce se ri-ferito a “Scrittore” o a “Famoso”. Ogni volta che ci penso mi vengono in mente le parole di mia cugina Elisa: “Cosa te ne frega di diventare famo-so? Devi diventare ric-co!”. A volte credo che abbia ragione lei, oppure che, alla fine, l’unica co-sa che importi veramente nella vita sia essere sem-pre aspiranti a qualcosa.

Page 115: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

115

Tutte le opere incluse in questo documento sono pubblicate sotto licenza Creative Commons (Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia www.creativecommons.it

Le opere originali di riferimento si trovano sul portale visual-letterario www.braviautori.it.

Tu sei libero:

di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare queste opere. alle seguenti condizioni: Attribuzione . Devi attribuire la paternità di ogni singola opera nei modi indicati dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza e in modo tale da non suggerire che essi avallino te o il modo in cui tu usi l'opera. Non commerciale. Non puoi usare queste opere per fini commerciali. Non opere derivate. Non puoi alterare o trasformare queste opere, né usar-le per crearne altre.

♦ Ogni volta che usi o distribuisci queste opere, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza. ♦ In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti utilizzi di ogni opera non consentiti da questa licenza. ♦ Questa licenza lascia impregiudicati i diritti morali. Gli autori delle opere pubblicate nel presente documento possono essere con-tattati personalmente attraverso le loro schede personali presenti nel portale

www.braviautori.it

Page 116: Un nuovo numero di Editoriale - braviautori.com meglio, se pensate che un nostro libro vende al massimo 1.500 copie. Il nostro maggior successo ha raggiunto una dif-fusione di 3.000

116

SostieniSostieni la la

nostranostra passione!passione! Puoi sostenere l'attività divulgativa dell'Associazione culturale BraviAutori acquistando uno dei nostri libri, i nostri segnalibri e altro ancora.

LLIBRIIBRI EDED EEBOOKBOOK

Nella nostra pagina de IlMioLibro.it sono acquistabili i nostri libri su carta. Nella nostra pagina di Lulu.com sono acquistabili i nostri libri in versione ebook.

SSEGNALIBRIEGNALIBRI

2 segnalibri a scelta saranno vostri con una donazione libera superiore ai 3,00 euro. Per ogni segnalibro in più occorre aggiungere 1,00 euro. Il costo della spedizione semplice (busta chiusa) è incluso nel prezzo. Se desidera-te una spedizione raccomandata, occorre aggiungere 6,00 euro al totale. É possibile richiedere segnalibri con grafica personalizza-ta. In tal caso i costi sopra citati vanno raddoppiati (tranne la spedizione). Tutti i segnalibri (disegnati da Bonnie) misurano 17,5x4,5 cm, sono plastificati e a doppia faccia.

AALTROLTRO

Puoi sottoscrivere un abbonamento, usufruendo così delle varie agevolazioni pre-viste. É solo grazie alla tua generosità che questo sito letterario può continuare a esistere e a offrire l'attuale supporto per una consultazione libera.

Grazie a tutti coloro che ci hanno sostenuto!

www.braviautor i.it