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TRIBUNALE DI MILANO RITO COLLEGIALE SEZIONE I PENALE DOTT.SSA ICHINO GIOVANNA Presidente DOTT.SSA BERTOJA ANTONELLA Giudice a latere DOTT.SSA RIZZARDI BRUNA Giudice a latere VERBALE DI UDIENZA REDATTO DA FONOREGISTRAZIONE PAGINE VERBALE: n. 226 PROCEDIMENTO PENALE N. R.G. TRIB. 14037/09 - 19926/08 R.G.N.R. A CARICO DI: BERNESCHI GIOVANNI ALBERTO + 20 UDIENZA DEL 21/04/2011 MI0036 Aula 1^ Ass. App. Esito: RINVIO AL 29.04.2011 ___________________________________________________________________________ Caratteri: 296742

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TRIBUNALE DI MILANORITO COLLEGIALE SEZIONE I PENALE

DOTT.SSA ICHINO GIOVANNA PresidenteDOTT.SSA BERTOJA ANTONELLA Giudice a latereDOTT.SSA RIZZARDI BRUNA Giudice a latere

VERBALE DI UDIENZA REDATTO DA FONOREGISTRAZIONE

PAGINE VERBALE: n. 226

PROCEDIMENTO PENALE N. R.G. TRIB. 14037/09 - 19926/08 R.G.N.R.

A CARICO DI: BERNESCHI GIOVANNI ALBERTO + 20

UDIENZA DEL 21/04/2011

MI0036 Aula 1^ Ass. App.

Esito: RINVIO AL 29.04.2011___________________________________________________________________________

Caratteri: 296742

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Società Cooperativa ATHENA

N. R.G. TRIB. 14037/09 - 19926/08 R.G.N.R. - 21/04/2011 c/BERNESCHI GIOVANNI ALBERTO + 202

INDICE ANALITICO PROGRESSIVO

Conclusioni.............................................................................................................................. 3Parte Civile, Avv.ssa Spedicati.................................................................................. 3Parte Civile, Avv. Accinni....................................................................................... 28

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TRIBUNALE DI MILANO - RITO COLLEGIALE SEZIONE I PENALEMI0036 Aula 1^ Ass. App.

Procedimento penale n. R.G. TRIB. 14037/09 - 19926/08 R.G.N.R. Udienza del21/04/2011

DOTT.SSA ICHINO GIOVANNA PresidenteDOTT.SSA BERTOJA ANTONELLA Giudice a latereDOTT.SSA RIZZARDI BRUNA Giudice a latere

SIG.RA AMITRANO ANNALISA Ass. d'UdienzaSig.ra Quadraccia Ornella Ausiliario tecnico

PROCEDIMENTO A CARICO DI – BERNESCHI GIOVANNI ALBERTO+ 20 -

Conclusioni

Parte Civile, Avv.ssa Spedicati

AVV. SPEDICATI – Buongiorno, Presidente. Avvocato Spedicati

per Consob. Premetto subito che, per l’esigenza di

contenere il mio intervento nei tempi che ci eravamo

detti, ho preparato anche una memoria, a cui farò rinvio,

spesso, nel corso dell’intervento.

Consob è qui costituita parte civile, per ottenere il

ristoro dei danni, morali e materiali, conseguenti alle

condotte ascritte agli imputati Consorte, Sacchetti e

Cimbri, imputati, al capo b), per ostacolo alle funzioni

di vigilanza della Consob, di cui all’art. 2638.

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Poiché abbiamo visto, nelle giornate precedenti, che i

fatti dell’odierno giudizio sono stati tutti,

completamente, già illustrati e compendiati dalla

Pubblica Accusa, nel loro complesso, il mio intervento si

limiterà a soffermarsi sulla scansione degli accertamenti

di vigilanza, posti in essere dall’Autorità di controllo,

e dei relativi risvolti giurisdizionali, focalizzando più

da vicino quelli che sono gli aspetti di specifico

interesse di questa Difesa.

In relazione, proprio, al capo d’imputazione b) si è

visto, appunto, che in data 18 marzo 2005, giorno in cui

BBVA annuncia al mercato l’intenzione di promuovere l’OPS

sul 100% del capitale di BNL, Unipol a quella data

detiene l’1,97% del capitale ordinario di BNL, Unipol e

BNL possiedono, ciascuna, il 50% di BNL Vita S.p.A.,

jointventure del settore delle assicurazioni, nel ramo

vita, mentre una significativa porzione del capitale di

BNL, circa il 24,2%, è posseduta da società facenti capo

ad azionisti, cosiddetti immobiliaristi, aderenti al

cosiddetto contropatto; l’11 maggio 2005, come si è

visto, Unipol chiede alla Banca d’Italia l’autorizzazione

a salire al 9,99% del capitale di BNL e motiva la sua

richiesta con l’obiettivo di difendere la sua

partecipazione, del 50%, in BNL Vita; tra il 17 e il 18

di maggio, Consob richiede, ai sensi dell’art. 115, sia a

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BPER che a BPI, proprio in relazione ad acquisti

effettuati nelle giornate immediatamente precedenti -

acquisti di azioni BNL, rispettivamente, per l’1,97% e

l’1,67% del capitale di BNL -, di comunicare l’eventuale

sussistenza di accordi con soggetti terzi, in relazione a

dette partecipazioni; il 19 maggio, BPER e BPI comunicano

a Consob che non sussistono accordi, con soggetti terzi,

in relazione a detta partecipazione, e negli stessi

giorni, però, vengono inviate, da Consob, specifiche

richieste, anche ad Unipol: in particolare, il 18 maggio

2005, Consob chiede a Unipol delucidazioni, ai sensi

dell’art. 115, con particolare riferimento – ne ha fatto

cenno, già, anche il Pubblico Ministero, ma vorrei essere

qui,, sul punto, più dettagliata – sia alla finalità

dell’investimento in azioni BNL, alla luce della

richiesta dell’autorizzazione alla Banca d’Italia di

aumentare la propria partecipazione sino al 9,99% e

all’eventuale titolarità di opzioni o altri strumenti che

consentano di acquistare o vendere azioni BNL, e chiede

anche chiarimenti sulla sussistenza di eventuali accordi,

con soggetti terzi, in relazione alla partecipazione

detenuta in BNL, con particolare riferimento alla

partecipazione all’assemblea del precedente 30 aprile

2005, poi non costituitasi, e al governo della società.

Il successivo 19 maggio, Consob chiede, sempre ai sensi

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dell’art. 115, un ulteriore chiarimento, a Unipol, e

delucidazioni, in merito alla sussistenza di eventuali

rapporti contrattuali, diretti o indiretti, con soggetti

riconducibili al contropatto, e la risposta di Unipol

arriva con lettera del 23 maggio 2005, che è proprio

quella oggetto di contestazione, nell’odierno processo,

al capo b), lettera di Unipol, a firma di Consorte, che,

con riguardo alla richiesta di comunicare le finalità

dell’investimento in BNL, dichiara che l’operazione è

finalizzata ad accrescere la presenza del gruppo Unipol,

all’interno della compagine azionaria di BNL, al fine di

meglio tutelare l’investimento effettuato nella

jointventure associativa BNL Vita; inoltre, con

riferimento alla specifica richiesta, relativa

all’eventuale sussistenza di accordi con soggetti terzi,

Unipol dichiara testualmente, e qui vorrei ripetere

esattamente il testo della missiva: «Non sono stati posti

in essere, né da Unipol, né da Aurora o da altre società

del gruppo Unipol, contratti preliminari e contratti a

termine, ovvero condizionati a... aventi ad oggetto

l’acquisto o la cessione di azioni BNL, né sono vigenti

accordi con soggetti terzi, in relazione alla

partecipazione detenuta in BNL, con particolare

riferimento alla partecipazione alla suddetta assemblea

del 30 aprile», e, nella medesima giornata, Unipol –

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quindi si parla sempre del 23 maggio – diffonde un

comunicato, con cui rende noto di aver acquistato, sia

direttamente, sia indirettamente, attraverso la propria

controllata Aurora, 90 milioni di azioni BNL - a seguito

di tale acquisizione, dunque, Unipol detiene,

direttamente o indirettamente, il 4,955% del capitale

sociale ordinario di BNL - e, anche in questo caso, la

società dichiara che l’operazione è finalizzata,

esclusivamente, a tutelare il proprio investimento in BNL

Vita.

Consorte - poi vedremo -, come ha detto anche qui, nel

corso del suo interrogatorio, all’odierno dibattimento

ribadisce anche tale obiettivo, quindi la tutela

dell’investimento in BNL Vita, nel corso di un incontro

tenutosi presso gli uffici della Consob, in data 30

maggio, e, nell’ambito di tale incontro, alla fine

precisa che tale strategia difensiva si sarebbe potuta

articolare in vari modi - comunque, tutti, allo stato,

ancora in itinere e da definire in futuro – e tra le

varie ipotesi rappresenta la possibile adesione all’OPS

promossa da BBVA e conseguente cessione di BNL Vita, il

possibile accordo con i pattisti, cioè con Generali, e un

accordo con il contropatto, che avrebbe comportato la

promozione di un’OPA obbligatoria.

Dunque si desume, da tutto quanto sopra esposto, che

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Unipol reiteratamente ha affermato che l’interesse nei

confronti di BNL si inquadrava, unicamente, in un’ottica

di strategia difensiva, della partecipazione detenuta in

BNL Vita, comunicando ufficialmente tale obiettivo alla

Consob, sia attraverso la missiva del 23 maggio che nel

corso dell’incontro successivo, del 30 maggio; tuttavia,

dall’esame degli elementi, informativi e documentali,

successivamente acquisiti, da Consob, alla Procura della

Repubblica di Milano, nell’ambito dell’attività di

collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, è emerso un

quadro parzialmente difforme, rispetto a quanto

comunicato, alla Consob, con comunicazioni ufficiali,

nonché, anche, a quanto comunicato attraverso il relativo

documento dell’OPA: si fa riferimento, qui, ai documenti,

che sono stati acquisiti, da Consob, alla Procura, che

riguardano sia la vicenda BPL-Antonveneta, sia gli atti

sottostanti all’ordinanza del G.i.p. Forleo, del 20

luglio 2007, nonché l’avviso ex 415 bis, relativo

all’odierno procedimento, ed è proprio alla luce della

suddetta documentazione, tra cui emergono in particolare,

come rilievo, gli interrogatori di Gianpiero Fiorani e di

Gianfranco Boni, che Consob ha potuto effettuare una

rivalutazione di ruoli e posizioni e dell’attività posta

in essere da alcuni soggetti coinvolti nell’odierna

vicenda, primo, fra tutti, Unipol, ma anche BPI, Banca

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Popolare di Vicenza, Carige e BPER, ed è stato possibile

individuare che, anche diversamente, rispetto a quanto

reso noto alla Consob, in tutte, appunto, queste citate

occasioni ufficiali, il momento in cui nasce un concreto

interesse, da parte di Unipol, all’acquisizione del

controllo di BNL, anche attraverso appositi accordi

stipulati con altri soggetti, che vengono però negati

alla Consob, ed è in questo ambito, infatti, che, come

già messo in luce dal Pubblico Ministero, sin dal marzo

2005, avvalendosi della collaborazione dello Studio

Vitali & Associati, Unipol predispone un primo progetto,

denominato “Gruppo Unipol, ipotesi di progetto

strategico”, datato 27 aprile, ma successivamente vengono

predisposti, a cura dello stesso Studio Vitali &

Associati, taluni altri studi di fattibilità, concernenti

la possibile acquisizione di BNL, da parte di Unipol, e,

in particolare, il documento dal titolo “Ipotesi di

acquisizione di azioni BNL, da parte di Unipol”, datato

17 maggio 2005, che prevede già, in via alternativa,

un’offerta pubblica di acquisto, volontaria e

obbligatoria, eventualmente, anche insieme ad altri

soggetti, e poi, datato 20 maggio 2005 – quindi, sempre

siamo in date precedenti alla missiva del 23 maggio,

inviata a Consob -, un progetto denominato “OPA su BNL”,

non firmato, che riporta in copertina l’indicazione

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“Presidenza e consiglio di amministrazione di Holmo” e

“Presidenza e consiglio di amministrazione Finsoe”, in

cui si ipotizzano operazioni di aumento di capitale, di

Ariete e di Holmo, finalizzate all’aumento di capitale di

Finsoe e quindi, a cascata, di Unipol, necessarie,

laddove si arrivi alla decisione del lancio di un’OPA sul

100% di BNL. Anche questo progetto prevede

alternativamente un’OPA volontaria o obbligatoria e

presuppone la ricerca di alleanze volte a determinare un

minor esborso, in fase di OPA. Il documento poi, come ha

ben messo in luce anche il Pubblico Ministero, precisa

che l’OPA naturalmente può essere lanciata solo nella

misura in cui vi sia la certezza, prima di lanciarla, che

il 51% delle azioni di BNL è controllato da Unipol e dai

suoi allegati.

Ora, con riferimento proprio all’operazione in esame e al

capo d’imputazione a cui ci riferiamo, occorre rilevare

che Consorte nella propria memoria agli atti, intitolata

“Operazione OPA BNL”, acquisita, da Consob, sempre dalla

Procura di Milano, dichiara, invece, che solo a partire

dalla rottura delle trattative con BBVA, data indicata

nel 28.06.2005 o, al massimo nel 30.06.2005, prende avvio

il progetto di fattibilità dell’OPA obbligatoria su BNL e

la ricerca degli alleati disponibili a seguire il

progetto di Unipol, attraverso l’acquisizione di quote

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BNL, dal contropatto, e in tale ottica verrebbero

avviati, poi, i rapporti con gli alleati, ossia le banche

che già detenevano una quota di BNL, cioè Banca Popolare

di Lodi, Banca Popolare di Vicenza, BPER e Carige;

viceversa, però, è stato accertato dalla Consob, ma lo

dimostrano, inequivocabilmente, gli atti dell’odierno

procedimento, che già a partire dalla fine di aprile e

inizi maggio 2005 - quindi, ben prima della data indicata

da Consorte, del 28 giugno, di rottura delle trattative

con BBVA - era stato già avviato un progetto di scalata

alla BNL, perseguito attraverso diversi accordi

rilevanti, ai sensi dell’art. 122 del TUF , tra gli

esponenti di Unipol e gli esponenti delle banche già

citate, stipulati in data antecedente al 18 luglio 2005 e

concretamente realizzati anche mediante acquisti

concordati di azioni BNL.

In conclusione – ed è, qui, un punto, secondo me, di

estremo rilievo -, mentre la posizione ufficialmente

perseguita e comunicata in tutte le sedi ufficiali era

quella di difendere la propria partecipazione in BNL

Vita, gli accertamenti della Consob, gli atti

dell’odierno procedimento e le emergenze dibattimentali

hanno fatto emergere lo svolgimento, parallelo e

contemporaneo, di diverse iniziative, che sono andate

oltre, rispetto all’intento ufficialmente dichiarato,

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evidenziando l’attuazione di un più ampio accordo, volto

ad acquisire congiuntamente il controllo della BNL:

l’iniziativa difatti subisce, nel suo evolversi,

un’intrinseca trasformazione, a mezzo di iniziative e di

interventi, ad opera proprio di Consorte, Sacchetti e

Cimbri, i quali attraverso una rete di rapporti

personali, operativi e strategici, operano, fattivamente,

con l’intento di rafforzare la posizione di Unipol, in

BNL, in vista dell’acquisizione del 51%, più volte

enunciato da Consorte, come emerge dalle relative

intercettazioni, già a partire dal 5 luglio, e dichiarato

dallo stesso Consorte, sempre nelle intercettazioni, come

raggiunto già il 15 luglio.

È sulla base di tali nuovi elementi che Consob ha potuto

accertare che Unipol già in data antecedente al 18 luglio

2005, data in cui, invece, aveva dichiarato l’avvenuta

stipula di taluni patti parasociali rilevanti, ai sensi

dell’art. 122, con vari soggetti, aveva già stipulato

patti parasociali occulti, aventi ad oggetto l’acquisto

concertato di azioni BNL e l’esercizio, anche congiunto,

di un’influenza dominante sulla banca stessa. In

particolare, i patti si riferiscono a Banca Popolare di

Lodi, che da Consob è stato accertato come stipulato

quantomeno in data 10 maggio 2005, a Banca Carige, patto

stipulato quantomeno in data 4 luglio 2005, a Banca

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Popolare Vicentina, patto stipulato quantomeno in data 28

giugno 2005, e a Banca Popolare dell’Emilia Romagna,

patto stipulato quantomeno in data 18 luglio 2005, ma mai

dichiarato.

Detti accordi sono stati realizzati con modalità che

seguivano uno schema operativo ripetuto, rappresentato da

un primo acquisto di azioni BNL, effettuato nel periodo

intercorrente tra il 10 maggio e il 5 luglio, preceduto

da contatti con i rispettivi esponenti societari,

talvolta eseguito mediante l’intervento operativo della

stessa Unipol o di BPI e seguìto, in taluni casi, da un

ulteriore incremento della partecipazione, nella stessa

data del 18 luglio. Qui, per evidenti motivi di sintesi,

rinvio alla memoria, per l’individuazione degli elementi

sulla base dei quali Consob ha ritenuto sussistenti tali

patti.

È stato poi accertato, in base alla rivalutazione

consentita dalla documentazione acquisita dalla Procura,

che Unipol, con riferimento ai contratti di opzione

stipulati, in data 24 e 25 maggio 2005, con Dresdner Bank

e HVB e, in data 1° luglio, con Deutsche Bank, Dresdner e

HVB, aveva in realtà effettuato acquisti, tramite

interposta persona, di azioni BNL, così acquisendo

partecipazioni effettive, e non potenziali, come invece

dichiarato in quei giorni, con conseguenti omesse

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comunicazioni delle soglie del 5 e del 10%, rilevanti, ai

sensi dell’art. 120: infatti, in concomitanza con gli

acquisti delle azioni BNL, pari al 3,21%, effettuati, il

24 e il 25 maggio, da Dresdner Bank e HVB, il gruppo

Unipol stipula con le stesse banche, sempre negli stessi

giorni, contratti derivanti, aventi ad oggetto,

rispettivamente, la medesima percentuale di azioni BNL,

e, in relazione a detti contratti, Holmo comunica di

avere la facoltà di acquisire il 3,2%, circa, di azioni

BNL, che, sommate alla partecipazione effettiva del

4,955, determinano una partecipazione potenziale,

complessiva, pari all’8,164%. Analogamente succede, in

data 1° luglio 2005, che Unipol stipula, con Deutsche

Bank, HVB e Dresdner, diversi contratti di opzioni,

aventi ad oggetto azioni dalle stesse acquistate nei

precedenti giorni, 29 e 30 giugno, per un quantitativo

complessivo del 4,968%, e, sempre in data 1° luglio,

Holmo presenta a Banca d’Italia un’istanza per

l’autorizzazione a incrementare la propria

partecipazione, in BNL, fino al 14,99%. Unipol diffonde

un comunicato stampa, col quale dichiara di aver

richiesto la suddetta autorizzazione, precisando di

detenere, direttamente o indirettamente, il 9,95% del

capitale ordinario di BNL e di disporre, in virtù dei

contratti di opzione, della facoltà di incrementare la

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propria partecipazione fino al 14,92% del capitale

ordinario di BNL; in sostanza, però, Unipol attraverso

dette operazioni ha posticipato il trasferimento formale

delle azioni, in questione, ad una data successiva, in

relazione alla necessità di ottenere le prescritte

autorizzazioni da Banca d’Italia; solo dopo tale evento,

infatti, Unipol, esercitando le opzioni, trasforma anche

in titolarità formale ciò che, di fatto, già rientrava

nella sua disponibilità sostanziale.

A tale riguardo assumono particolare rilievo, le

dichiarazioni di Simetovic e Duval, operatori di

Euromobiliare SIM, intermediario abituale di Unipol, nel

periodo di riferimento: in particolare, tali operatori

hanno riferito che le operazioni sono sempre state

ordinate da Cimbri, il quale disponeva di (inc.) talune

operazioni di compravendita con soggetti diversi dalle

società del gruppo, in quanto Unipol a quella data non

poteva figurare come formale acquirente.

Tale complessiva rivalutazione ha dato avvio a

procedimenti sanzionatori, di Consob, con lettere di

contestazione del 2 maggio 2008, nei confronti di

Consorte, Sacchetti e Cimbri, nonché nei confronti i

Unipol, Finsoe e Holmo, come responsabili in solido, e

con lettera di contestazione, del 14 maggio 2008, nei

confronti degli esponenti aziendali di BPI, Carige, Banca

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Popolare Vicentina e Banca Popolare dell’Emilia Romagna,

per la conclusione, con Unipol, dei patti parasociali

occulti, sopra citati.

Come confermato anche dalla dottoressa Mazzarella, nel

corso dell’udienza del 28 maggio 2010, mentre la Banca

Popolare di Vicenza ha oblato, avvalendosi della facoltà

di procedere al pagamento in misura ridotta, ai sensi

della legge 689 del 1981, gli altri soggetti sono stati

tutti destinatari di provvedimento sanzionatori, da parte

di Consob: in particolare, con la delibera 16865, del 16

aprile 2009, Consob ha irrogato sanzioni amministrative e

pecuniarie, a Giovanni Consorte, per un totale di

1.450.000 euro, e a Ivano Sacchetti, per 1.200.000 euro,

per le violazioni dell’art. 115, per la comunicazione di

informazioni non corrette, in risposta alla richiesta,

formulata da Consob, in data 18 maggio, concernente

l’esistenza di accordi, per la violazione dell’art. 120 e

per la violazione dell’art. 122, per l’omessa

pubblicazione di patti parasociali; con la delibera

16866, del 16 aprile 2009, Consob ha irrogato una

sanzione amministrativa e pecuniaria, a Cimbri, per

580.000 euro, per la violazione dell’art. 122, e, con

riferimento alla medesima vicenda, sempre nella stessa

data del 16 aprile 2009 Consob ha adottato delibere

sanzionatorie anche nei confronti di BPI, Carige e BPER.

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Ora, come è noto, tutti i soggetti sanzionati hanno

presentato ricorso in opposizione, alle competenti Corti

d’Appello, le quali, però, sono pervenute a decisioni

diverse: mentre le Corti d’Appello di Genova e di Bologna

hanno accolto i ricorsi, la Corte d’Appello di Venezia ha

respinto il ricorso di BPI, confermando la sanzione

irrogata da Consob, a BPI, con la delibera 16867 del 16

aprile 2009. La Corte veneziana, vorrei evidenziare, con

decisione pubblicata il 12 agosto 2010 ed emessa, quindi,

successivamente a quella delle altre Corti d’Appello ha

ritenuto sussistente la conclusione di un patto

parasociale, non dichiarato, né pubblicato, tra Unipol e

BPI, quantomeno in data 10 maggio 2005.

Ora, Consob, come era stato già anticipato dall’avvocato

Providenti, nel corso della sua testimonianza, ha nel

frattempo presentato ricorso in Cassazione, avverso il

decreto della Corte d’Appello di Genova, relativo a

Carige, nonché avverso il decreto della Corte d’Appello

di Bologna, in relazione alle sanzioni irrogate a Unipol.

Infine, rilevante è anche la delibera 17511, del 29

settembre 2010, con cui sono stati sanzionati nuovamente,

da Consob, Consorte e Sacchetti, nonché Unipol, come

responsabili in solido, per diverse violazioni dell’art.

114 TUF, per la mancata comunicazione, al pubblico, di

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informazioni rilevanti. Queste informazioni in

particolare consistono nei quattro comunicati stampa,

emanati da Unipol, relativi alla stipula di contratti di

opzione, quindi datati 31 maggio, 1° giugno, 1° luglio e

15 luglio 2005, che non contenevano uno specifico

riferimento alla vendita di opzioni di tipo put, come ben

ha evidenziato il Pubblico Ministero, nella sua

requisitoria; inoltre, l’altra comunicazione che è stata

ritenuta non completa e comunque non corretta è quella

del 6 giugno 2005, ove non era stata menzionata

l’avvenuta valutazione, da parte di Unipol, dell’ipotesi

di lanciare un’OPA su BNL.

Ora, da quanto sin qui illustrato, emerge che gli

imputati indicati al capo b), riguardante l’ostacolo

all’esercizio delle funzioni di vigilanza della Consob,

hanno chiaramente occultato fatti, circostanze e

informazioni che avrebbero dovuto viceversa comunicare

all’Autorità di controllo, esponendo, in talune

comunicazioni previste dalla legge, quindi dall’art. 115,

alla stessa Autorità di controllo, informazioni mendaci e

fuorvianti, in relazione a specifiche richieste formulate

dalla stessa Consob. In particolare, i menzionati

imputati hanno dolosamente ostacolato le funzioni di

vigilanza della Commissione, mediante le seguenti

condotte: in risposta alla richiesta ai sensi dell’art.

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115, del 18 maggio, circa le finalità dell’investimento

di Unipol in BNL, Consorte dichiara, nella nota del 23

maggio 2005, a sua firma, che l’operazione è finalizzata

ad accrescere la presenza del gruppo Unipol, all’interno

della compagine azionaria di BNL, al fine di meglio

tutelare l’investimento effettuato nella jointventure

assicurativa BNL Vita.

Si è tuttavia illustrato come la successiva attività di

vigilanza di Consob abbia fatto emergere una serie di

iniziative, da parte di Consorte e Sacchetti, con il

contributo fattivo e operativo di Cimbri, volte, invece,

a un rafforzamento diretto, tramite i propri alleati,

della partecipazione azionaria in BNL, che sono andate

oltre, rispetto a quanto ufficialmente dichiarato, con

l’intento di difendere la propria partecipazione in BNL

Vita.

Secondo punto: analogamente, infatti, quanto alla

dichiarazione secondo cui Unipol alla data del 23 maggio

2005 non stesse puntando a un’OPA sul capitale di BNL, si

è visto, invece, come Consob abbia poi accertato che il

progetto di scalata era stato avviato, quantomeno, a

partire da fine aprile e, comunque, nel maggio 2005;

infine, nella stessa nota del 23 maggio 2005, con

riferimento ad altra specifica richiesta formulata da

Consob, sempre con la nota del 18 maggio, relativa

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all’eventuale sussistenza di accordi con soggetti terzi,

in relazione alla partecipazione detenuta in BNL,

Consorte risponde che, a quella data, Unipol non aveva

stipulato patti parasociali, con soggetti terzi, e si è

visto, invece, come Consob abbia, poi, successivamente

accertato e sanzionato il patto parasociale occulto, tra

BPI e Unipol, stipulato, quantomeno, in data 10 maggio

2005, e si rammenti, appunto, come si è appena detto,

che, proprio in relazione a tale accordo, la Corte

d’Appello di Venezia ha confermato la sanzione della

Consob, quindi, nei confronti degli imputati.

Le descritte condotte, provocando lo sviamento delle

funzioni tutorie e di vigilanza a cui la Consob è

istituzionalmente preposta, sono senza dubbio

riconducibili alla sfera dell’art. 2638, che tutela il

regolare ed efficiente svolgimento delle funzioni di

vigilanza e di controllo, attribuite, dall’ordinamento,

alle Autorità di vigilanza, tra cui rientra, certamente,

Consob. Anche su questo punto, diciamo, sull’art. 2638 e

tutte le sue implicazioni in diritto, mi permetto di

rinviare alla memoria.

Si rileva, altresì, che tali condotte, appena enunciate,

hanno poi, effettivamente, anche provocato l’evento di

ostacolo, determinando un danno all’Autorità di

controllo. Ieri ha ben detto, il Pubblico Ministero, che

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non è necessario, poi, per la configurazione

dell’ostacolo, che la vigilanza debba essere

completamente annullata, e, cioè, che l’Autorità di

vigilanza non possa svolgere un’attività, è sufficiente

un intralcio; ma qui, in realtà, effettivamente l’evento

di ostacolo si è proprio determinato, e questo emerge,

all’evidenza, dal fatto che, soltanto grazie all’esame

degli elementi informativi e documentali, successivamente

acquisiti, da Consob, alla Procura di Milano, l’Autorità

è pervenuta a una rivalutazione dei ruoli e delle

attività poste in essere dai soggetti coinvolti nella

vicenda e ha potuto poi, successivamente, adottare

provvedimenti di competenza; né vale, al fine di negare

il cagionamento dell’evento d’ostacolo, la ricorrente

affermazione di Consorte, che è andato ripetendo nel

corso dell’odierno dibattimento e in ogni occasione,

secondo cui egli avrebbe via via informato la Consob, di

ogni sua intenzione e di ogni sua iniziativa intrapresa,

e ciò, ovviamente, non risponde al vero, perché, se così

fosse stato, la Consob avrebbe posto in essere,

tempestivamente, gli opportuni interventi di vigilanza e

di controllo, non i provvedimenti sanzionatori,

successivamente adottati, soltanto, grazie alla

collaborazione dell’Autorità Giudiziaria; quindi deve

definitivamente chiarirsi che Consorte ha comunicato agli

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uffici della Commissione i soli acquisti ufficiali,

effettuati da Unipol, non, naturalmente, quelli dei

propri alleati, con i quali andava stipulando patti

parasociali occulti, né l’acquisizione di partecipazioni

effettive, e non potenziali, di azioni BNL, come invece è

stato dichiarato in quelle sedi, con riferimento ai

contratti di opzione stipulati, in data 24 e 25 maggio

2005, con Dresdner Bank e HVB e, in data 1° luglio, con

Deutsche Bank, Dresdner e HVB.

Con riferimento alle condotte di ostacolo, nel corso del

dibattimento sia l’imputato Consorte che il consulente di

Unipol, professor Gualtieri, hanno altresì sostenuto che,

pochi giorni dopo la missiva del 23 maggio, proprio nel

corso dell’audizione, del 30 maggio 2005, degli esponenti

di Unipol, presso gli uffici della Commissione, lo stesso

Consorte avrebbe riferito ai funzionari, in maniera

assolutamente trasparente, ogni aspetto della vicenda,

precisando che Unipol avrebbe valutato tre possibili

ipotesi, tra cui, anche, l’accordo con i contropattisti,

che avrebbe comportato a sua volta l’eventuale promozione

di un’OPA sulle azioni BNL; ma sul punto occorre rilevare

che nel corso dell’audizione, intanto, Consorte conferma

che l’interesse nei confronti di BNL si inquadrava,

unicamente, in un’ottica di pura strategia difensiva

della propria partecipazione detenuta in BNL Vita, e,

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dunque, le tre alternative sono state presentate come tre

ipotesi finalizzate a tale obiettivo, mentre poi è emerso

- come si è detto prima -, dagli atti acquisiti e dagli

atti del dibattimento, lo svolgimento, parallelo e

contemporaneo, di diverse iniziative che sono andate

oltre a detto intento dichiarato.

In definitiva, l’aver riferito, a quella data, di avere

allo studio tre ipotesi alternative, da valutarsi nei

giorni successivi, per individuare la migliore soluzione,

ai fini della tutela della propria partecipazione in BNL

Vita, è, a parere di questa Difesa, cosa ben diversa, dal

dichiarare alla Consob le reali intenzioni di Unipol, nei

confronti di BNL, che invece, come si è visto, erano ben

già definite, alla data del 30 maggio 2005. Su tale

aspetto, appunto, si sono soffermate anche la dottoressa

Mazzarella e la dottoressa Carbone, che erano presenti

all’incontro del 30 maggio 2005; in particolare, la

dottoressa Mazzarella ha riferito, nel corso dell’esame

testimoniale, che l’ipotesi dell’OPA comunque era stata

rappresentata, da Consorte, come ipotesi molto residuale.

Dunque, passando al danno subìto dall’Autorità di

controllo, vi è, da premettere, che le fattispecie

delittuose previste dall’art. 2638 cagionano sempre,

all’Autorità di vigilanza offesa dal reato, un danno non

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patrimoniale e possono cagionarle altresì un danno

patrimoniale: il danno non patrimoniale consegue al fatto

di reato, in via immediata e diretta, posto che

quest’ultimo comprime il diritto, di Consob, a

efficacemente operare per il perseguimento delle finalità

istituzionali che le sono proprie, di talché l’interesse

leso dal reato, previsto dall’art. 2638, coincide con il

diritto della personalità dell’ente, che è diritto

assoluto ed essenziale. Muovendo da tali premesse, la

giurisprudenza, soprattutto di questo Tribunale di Milano

e Corte d’Appello di Milano, ha frequentemente

riconosciuto il danno non patrimoniale da ostacolo,

derivante, appunto, dal vulnus inferto alla funzionalità

dell’attività di vigilanza di Consob, all’esito di alcuni

procedimenti, tra i quali si ricorda, in particolare,

quello relativo alla vicenda Parmalat, a carico di Tanzi

e altri, ove il Tribunale di Milano ha riconosciuto alla

Consob il danno da ostacolo, liquidandolo,

equitativamente, in 200.000 euro.

Per quanto sopra, le condotte sanzionate dall’art. 2638,

così come ascritte agli imputati, compromettendo

l’interesse al regolare svolgimento delle funzioni di

vigilanza, da parte di Consob, di cui essa è

istituzionalmente titolare, che ne costituiscono la

stessa ragione di essere, secondo la propria legge

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istitutiva, hanno sicuramente inciso sul diritto

soggettivo di esistere e di efficacemente operare, della

medesima Autorità, inibendole di realizzare, con maggiore

celerità, le finalità di tutela del mercato, a cui essa è

istituzionalmente preposta, e rendendo, altresì,

estremamente complesso e difficoltoso l’esercizio dei

poteri di vigilanza, ad essa attribuiti dalla legge.

Quanto al danno patrimoniale, che pure si richiede in

questa sede, il danno patrimoniale solitamente si

rinviene nel costo sostenuto, dall’Istituto, per lo

svolgimento delle complesse istruttorie di vigilanza, dei

funzionari e dirigenti - in questo caso, della Divisione

Emittenti - che hanno proceduto agli accertamenti dei

fatti per cui è processo, che è danno che viene

quantificato da questa Difesa, in via principale,

mediante il costo totale delle retribuzioni dei

dipendenti che si sono occupati delle relative

istruttorie, ovvero, in subordine, quantomeno nel surplus

di tali costi, rispetto a un’istruttoria standard. Mi

spiego meglio: l’orientamento del Tribunale di Milano è

stato, per un certo periodo, nel senso di riconoscere il

danno patrimoniale, a Consob, inteso nella totalità dei

costi relativi alle retribuzioni dei dipendenti che si

sono occupati delle istruttorie; poiché, però,

recentemente vi è stato anche un orientamento di tipo

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diverso, che valorizza, esclusivamente, non il complesso

delle retribuzioni, ma quella parte delle retribuzioni

che è stato necessario riferire ai funzionari, in quanto

l’istruttoria è stata assolutamente resa più difficoltosa

dagli eventi di ostacolo, va valutato, appunto, che le

condotte contestate, protrattesi nel tempo e di accertata

gravità e attitudine ingannatoria, hanno inevitabilmente

comportato, per l’Istituto, un effettivo ed ulteriore

aggravio, nel disimpegno delle funzioni di controllo, sia

in termini di risorse che di costi, rispetto all’attività

che personale, pur qualificato, di Consob svolge,

ordinariamente, in relazione a un’istruttoria standard.

Sul punto, la Divisione Emittenti, interessata alle

istruttorie che hanno avuto ad oggetto i fatti

dell’odierno procedimento, in relazione, appunto, al capo

d’imputazione b), ha quantificato in che misura

quell’attività di vigilanza ha inciso sull’attività delle

risorse che ad essa erano state dedicate, quantificando

separatamente - come emerge dalla documentazione

depositata, da questa Difesa, all’udienza del 25 febbraio

2011 - quella parte che è stata individuata come un

determinante aggravio di costi aggiuntivi, rispetto a una

istruttoria che può essere definita standard, ossia

un’istruttoria che non subisce ostacoli e solitamente

viene svolta in tempi determinati e con un determinato

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numero di persone.

In conclusione, proprio la quantificazione del surplus,

indicata nella documentazione citata, rende evidente come

le condotte contestate agli odierni imputati abbiano

provocato, in capo a Consob, pesantissime ripercussioni,

sull’attività di vigilanza, e che, pertanto, il danno

patrimoniale possa essere, quantomeno in via subordinata,

riconosciuto in quella somma, relativa al surplus, come

risultante, più chiaramente, dalle conclusioni scritte

che si andranno a depositare.

Conclusivamente si chiede, dunque, che codesto Onorevole

Tribunale voglia affermare la penale responsabilità degli

imputati, per i fatti ai medesimi ascritti nel capo

d’imputazione b), condannandoli alla pena ritenuta di

giustizia e, conseguentemente, condannare i medesimi

imputati a pagare a Consob le somme, meglio indicate

nelle conclusioni scritte, che si depositano unitamente

alla presente memoria, da identificarsi, quanto al danno

non patrimoniale, derivante dal vulnus inferto alla

funzionalità dell’attività di vigilanza della Consob,

nella somma che codesto Eccellentissimo Tribunale riterrà

di determinare secondo criteri equitativi, ai sensi

dell’art. 1226, e, quanto al danno patrimoniale, nella

somma da quantificarsi, in via principale, nel complesso

dei costi sostenuti dall’Istituto, ovvero, quantomeno,

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nel surplus di tali costi, rispetto all’attività

istruttoria di vigilanza standard, come meglio

dettagliati nelle conclusioni che si vanno a depositare.

Grazie.

Quindi, io deposito la memoria, con le conclusioni

scritte, e la nota spese.

PRESIDENTE – Grazie.

* * * * *

Si dispone una breve sospensione. L’udienza riprende e si

procede come di seguito:

Parte Civile, Avv. Accinni

AVV. ACCINNI – Signor Presidente, Signori del Collegio, Signor

Pubblico Ministero, cari amici e colleghi, che cosa rende

davvero razionali e prevedibili i comportamenti? Sono

soltanto le norme giuridiche, e, più precisamente, il

loro rispetto: sono soltanto le norme giuridiche, che

rendono razionali e prevedibili, di conseguenza, i

comportamenti; laddove le regole non sono rispettate e

laddove non c’è trasparenza, dominano i conflitti

d’interesse, la completa asimmetria delle posizioni e, di

conseguenza, la scarsa affidabilità dei mercati, ecco

perché le regole non possono rimanere prive della loro

effettività sanzionatoria, e questo è il significato

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istituzionale di questo vostro giudizio, un giudizio che

ha ad oggetto il rispetto delle regole, intese ad

assicurare la correttezza dei meccanismi di mercato e la

loro trasparenza, ed è, invero, precisamente questo, il

significato di quella norma imperativa che vieta la

commissione del delitto di aggiotaggio: se il mercato è

manipolato e il presidio del bene tutelato, che appunto è

quello della trasparenza e della correttezza dei

meccanismi di mercato, è venuto meno, l’inganno si è

realizzato e divengono possibili sistemi, altrimenti

inammissibili, di competizione, e, non per nulla, il

danno a BBVA permea l’intero capo d’imputazione; il

mancato rispetto di quella norma imperativa ha fatto

venire meno quei presidi e reso perciò possibili sistemi,

altrimenti inammissibili, di competizione.

I fatti oggetto d’imputazione agli odierni imputati

costituiscono un unicum, logicamente inscindibile, del

danno a BBVA; il danno è la conseguenza, diretta e

immediata, della distorsione della realtà realizzata, e

cioè, a dire, della manipolazione commessa con altri

artifici, e le condotte di cui al capo a) sono state

poste in essere per contrastare, ostacolare e comunque

rendere meno agevole l’OPS lanciata da BBVA.

E come si ostacola? Con un’altra operazione, o rendendo

più costosa l’operazione che è in essere, l’operazione

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che si vuole contrastare; ma c’è un limite e, questo

limite, il nostro ordinamento pone con il divieto di

utilizzare altri artifici. Se si vuole competere, non si

può utilizzare qualunque mezzo: è fatto divieto di

avvalersi di condotte che per le modalità di esercizio e

per il contesto in cui vanno a inserirsi non siano

riconoscibili come parimenti leciti, e perciò, e soltanto

perciò, anche di mercato.

L’intersezione tra le finalità dell’OPA - non

dimentichiamoci che BBVA aveva lanciato un’offerta

pubblica – e la necessità di una corretta informazione al

mercato, come del rispetto dei suoi meccanismi, sono la

costante che rende manifesta l’illiceità delle condotte

oggetto d’imputazione, il che non significa, lo chiarisco

subito, che nessuno abbia mai pensato, abbia mai ritenuto

e la Pubblica Accusa abbia mai contestato che Unipol, o

chi per essa, dovesse lanciare un’OPA concorrente, ossia

tecnicamente tale, ai sensi del regolamento Emittenti,

significa, come andremo chiarendo, che il fine non può

essere raggiunto con qualunque mezzo: la disciplina di

un’offerta pubblica e la disciplina del mercato, del suo

sviluppo e del suo efficiente funzionamento sono momenti

tra di loro coincidenti.

Di chi è, dunque, il compito di intervenire, quando

queste regole non sono state rispettate o addirittura non

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sono state fatte rispettare, un compito di ultima

istanza, quello di questo giudizio, e, per questo, ancor

più importante? È l’ultima occasione di giustizia, a

riaffermare che il nostro mercato, e, prima ancora, il

nostro ordinamento, è affidabile e consente quindi

affidamento. Chi investirebbe in un mercato manipolato?

Chi lo farebbe, in un mercato il cui ordinamento non

sanziona e non scoraggia chi viola o elude quelle regole,

che sole rendono appunto razionali e quindi prevedibili i

comportamenti, se queste stesse regole potessero essere

impunemente violate? Ecco il valore istituzionale di

questo vostro giudizio.

La mancanza di enforcement, con espressione molto attuale

ed elegante, costituisce un non luogo del diritto e

lascia i mercati finanziari e i suoi protagonisti, che ne

abbiano approfittato, privi di regole, con effettività

sanzionatorie, ciò che sarebbe ancor più grave, a fronte

di fattispecie, come l’aggiotaggio, che hanno ad oggetto

una natura pubblica e superindividuale.

L’orizzonte del diritto si apre, grazie al continuo

impegno di Giudici, come quello già profuso dai Signori

Pubblici Ministeri, che, impegnando la loro dignità e

indipendenza, concorrono a rivendicare con vigore, con

espressione che prendo a prestito da Guido Rossi, i

principi delle libertà democratiche e della giustizia,

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sia con valutazioni corrette della realtà, sia con

riferimento, quando necessario, agli standards di

civiltà, per bloccare la violenza, le iniquità e le

ingiustizie delle degenerazioni del capitalismo.

La disciplina dell’OPA ha, ad oggetto, solamente titoli

quotati, ossia immessi sul mercato; perciò, l’attuazione

dell’OPA è soggetta all’autorità pubblica, che per

definizione vigila sul buon andamento e sulla trasparenza

del mercato, e, non per nulla, l’ipotesi criminosa, di

cui all’art. 185 del TUF, è destinata a trovare specifica

applicazione, soltanto con specifico riguardo agli

strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i

quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla

negoziazione, in un mercato regolamentato, italiano o di

altri Paesi dell’Unione Europea. Trasparenza e regolarità

dei meccanismi di mercato è un oggetto di tutela, di

natura pubblica e superindividuale, e, per questa

ragione, sottoposto all’attività di vigilanza della

Commissione Nazionale per la Società e la Borsa.

Anche nella previgenza della disposizione di cui all’art.

2637 c.c., la relazione di quel testo di legge

riconosceva che il bene giuridico tutelato è di natura

pubblica, espressamente specificando che la fattispecie

mira a tutelare l’economia pubblica ed in particolare il

regolare funzionamento del mercato.

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La vigente disposizione di cui all’art. 185 del TUF si

ripropone come presidio di un bene giuridico, di

carattere pubblico, identificabile nella trasparenza e

nella correttezza del mercato, come pure è reso

immediatamente manifesto dalla stessa mutazione del nomen

iuris, manipolazione del mercato, appunto, e

manipolazione significa utilizzo di un artificio. Non è

per caso, che la fattispecie posta a tutela degli

strumenti finanziari non quotati, l’attuale disposizione

di cui all’art. 2637, resta nel corpus del codice civile,

ove la fattispecie posta a tutela del mercato, l’art. 185

del TUF, è stata appunto traslata nel Testo unico degli

intermediari finanziari.

È un processo, dunque, dall’elevatissimo valore

istituzionale, carico di significato, di senso del dovere

e del rispetto istituzionale, quello stesso che i fatti

di questo processo hanno tradito - infatti, questo è

anche un processo alle istituzioni, a cominciare da Banca

d’Italia -, ed è pure un processo molto tecnico, la cui

comprensione, ai fini di una corretta formulazione di un

giudizio, necessita, dunque - oltremodo, in un caso come

questo -, di una corretta impostazione del problema,

perché le risposte di un giudizio si misurano sul

contenuto delle domande che ci si sa individuare e porre;

la risposta, per essere corretta, necessita, cioè,

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dell’identificazione della domanda, a cui, perciò, si

deve davvero poter dare risposta. È sulle domande,

quindi, che si misura il giudizio e la corretta

valutazione della realtà.

I consulenti tecnici della Difesa non hanno saputo

individuare le corrette domande, quelle a cui andava

davvero fornita risposta; così, i loro sforzi risentono,

inesorabilmente, del vizio di impostazione, da cui hanno

preso le mosse, e sono, per la più loro parte,

inservibili, ai fini di questo giudizio.

Lo sviluppo del tema del giudizio deve perciò passare dal

valore e significato, espresso nella forma degli altri

artifici, dalla verifica di sussistenza di siffatta

condotta atipica, rispetto ad un’imputazione di

aggiotaggio, e cioè, a dire, dalla verifica di un

giudizio di conformità della condotta, al tassativo

paradigma legale di manipolazione del mercato e, infine,

dall’accertamento della sussistenza della prova, a

verificare che l’individuazione di quella imputazione e

della sua conformità allo schema legale tipico sia

davvero sorretta da sufficienti elementi di evidenza

processuale, in punto di fatto e, quindi, anche di

elemento psicologico, ed è, questo, il contributo che mi

propongo di fornire, con questo mio intervento, al

giudizio del Tribunale.

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Quali, allora, le domande su cui misurare il giudizio?

Già il Signor Pubblico Ministero ha citato il professor

Pedrazzi e addirittura gli ha attribuito la qualità di

“bibbia”. Nel giorno di giovedì santo non mi sento di

arrivare a tanto, perché mi suona, un po’, eccessivamente

blasfemo, però non è casuale, che sia il Pubblico

Ministero che io ci abbeveriamo a questa stessa fonte.

Anticipo e rassicuro subito il Collegio che non farò una

mera ripetizione di quanto loro hanno già sentito.

Questa materia, il diritto penale commerciale, è stata

fondata da due grandissimi autori: uno, il mio maestro, è

il professor Alberto Crespi e l’altro è il professor

Cesare Pedrazzi. Il mio maestro mi dice: «Guarda che

Cesare Pedrazzi era quello bravo», ed effettivamente,

quando, nel ’58, scrive il suo testo, ha 28 anni, e il

professor Crespi mi dice: «Guarda, quelle cose o le

scrivi a quell’età, o non le scrivi più»; per cui ci

siamo messi tutti l’anima in pace, ma non che

coltivassimo ambizioni così elevate.

È vero che il professor Pedrazzi scrive “Problemi del

delitto di aggiotaggio”, nel 1958, ma, più recentemente,

nel ‘99 scriverà per il Digesto penale “La voce turbativa

dei mercati” e sarà lui stesso, in quel “La voce

turbativa dei mercati”, nel Digesto penale del ‘99, a

spiegarci come la fattispecie di aggiotaggio comune,

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quella su cui aveva scritto la monografia, nel ’58, e la

fattispecie di aggiotaggio societario, allora la

disposizione di cui all’art. 2628 c.c., ricalcasse, per

l’appunto, quella di aggiotaggio comune, tanto che, come

egli si esprime, nessuna differenza reale è dato

scorgere, tra gli altri artifizi dell’art. 501 c.p. e gli

altri mezzi fraudolenti dell’art. 2628 c.c.; così non vi

è alcuna differenza, tra lo schema normativo, già allora

considerato, e quello di cui all’attuale 185 del TUF,

soprattutto per gli effetti, qui, di maggiore rilevanza,

ossia, a dire, gli altri artifici, e quanto

all’omogeneità delle risposte che saranno sviluppate; del

resto possiamo fissare subito questo importante concetto:

la nozione di regolare funzionamento dei mercati altro

non costituisce che una specificazione della più ampia

espressione “economia pubblica”.

Un’unica profezia non si è avverata, dello scritto del

professor Pedrazzi, il quale scriveva: «L’età dell’oro,

dell’aggiotaggio, probabilmente è tramontata». Fu l’età

delle epidemie speculative e delle frodi incredibili,

macchinate ai danni di risparmiatori, appunto, e forse è

l’unica profezia, su cui si sbagliava. Io devo dire che

raramente... era veramente da tempo, che non provavo una

forma di entusiasmo e di passione, a leggere uno scritto

di diritto - ormai l’abbiamo un pochino persa, ci

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serviamo, tutti, delle banche dati e cerchiamo un pochino

rapidamente la risposta -, ma l’attualità dei principi

individuati dalla lucidità di quella testa è sconcertante

e veramente affascina. Prendendo quindi a prestito una

espressione cara al professor Tullio Padovani, è sulle

spalle di quel gigante, che vado a ergermi, a

semplificare il compito che devo svolgere. La premessa

l’ho già ricordata, l’aggiotaggio è delitto contro

l’economia pubblica, e il punto di partenza è, dunque,

questo: la distorsione della realtà è il disvalore

penalmente sanzionato; l’inganno al mercato, che è

l’essenza della manipolazione, sta nel disvalore,

penalmente sanzionato, che è radicato nella distorsione

della realtà. Questo è il tema del processo - la

distorsione della realtà – e oggetto d’imputazione è un

aggiotaggio nella forma degli altri artifici. Nella

vigenza della disposizione di cui all’art. 2637, già si

era evidenziato come si tratti di una condotta a valenza

residuale, a indicare gli atti o i comportamenti dotati

di capacità fraudolenta e di connotazione ingannatoria,

desumibili, come tali...

Non ripeto cose già dette dal Pubblico Ministero, voglio

fissare due concetti, per noi fondamentali, che si

chiamano “modalità di realizzazione della condotta” e

“contesto in cui queste modalità vanno ad inserirsi”.

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Quanto disvela la distorsione della realtà sono le

modalità della condotta ed il contesto in cui vanno ad

inserirsi. Lo ha già spiegato il Pubblico Ministero, che

quello che connota gli artifici e la loro potenzialità

decettiva, ossia oggettiva valenza ingannatoria...

Riprendiamo il concetto, da questo punto di vista: come

artifici possono risultare punibili anche delle condotte

analoghe alla pubblicazione o divulgazione di notizie

false, esasperate o tendenziose, quantunque non proprio

conformi ai termini di quest’ultima ipotesi, il che

significa che la voce “artifici” ha, in prima

approssimazione, sapore strumentale, cioè è un concetto

di relazione: la condotta non può dirsi artifizio, in sé

stessa, ma, unicamente, in rapporto a un certo scopo o

risultato. Che cosa vuol dire? Significa che non si

tutela un determinato prezzo, da possibili rialzi o

ribassi; non del livello del prezzo, bensì del meccanismo

di formazione dei prezzi, la norma si preoccupa e vuole

che questo meccanismo non venga alterato da cause

perturbatrici. Questo, nel caso che ci occupa, è

oltremodo rilevante, posto, pure, che la determinazione

del prezzo di acquisto, secondo i criteri normativi

imposti allorquando si lancia un’offerta pubblica, trova

la sua espressa ragion d’essere, anche, proprio

nell’esigenza di poter offrire all’offerente la concreta

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possibilità di acquisire pacchetti di controllo, una

necessità avvertita e tutelata proprio per salvaguardare

l’esigenza che un uso troppo spinto di forme di libertà

negoziale possa comunque venire a costituire un ostacolo

alla sana contendibilità del controllo societario, e non

è sana, quella impedita od ostacolata con altri artifici.

La regolarità dei meccanismi di mercato - determinazione

dei prezzi e prevenzione dai possibili fenomeni

distorsivi - e la sua trasparenza sono l’oggetto di

tutela pubblica, anche in ragione dell’esigenza di dare,

a chi si fa promotore di un’offerta appunto pubblica, la

concreta possibilità di acquisire pacchetti di controllo.

Il criterio di determinazione del prezzo prescelto si

spiega, proprio, anche con il timore che il riferimento

al solo valore di mercato avrebbe reso oltremodo onerose,

e, quindi, difficilmente realizzabili, le acquisizioni di

pacchetti di controllo, ecco perché è un criterio legale

predeterminato e imposto per legge, ed ecco perché questo

criterio è dal legislatore riconosciuto come idoneo a

tutelare la regolarità del meccanismo di formazione del

prezzo.

Parlando di perturbazione, non rilevo dunque una

peculiarità dell’effetto, bensì delle cause, e cioè, a

dire, denunciamo nella regolarità di funzionamento del

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mercato un intervento inammissibile, ciò che

semplicemente significa che non sempre la ragione della

illiceità va ricercata nel disvalore di un effetto della

condotta; vi sono dei risultati che è lecito perseguire,

non, però, con qualunque mezzo: è così lecito, ad

esempio, non solo sfruttare le oscillazioni naturali, ma

anche operare per imprimere ai prezzi un indirizzo

vantaggioso; la legge però vieta di servirsi di artifici,

ecco il limite normativo di riferimento, sostanzialmente,

eluso dai consulenti tecnici di controparte, nel

tentativo di atomizzare la vicenda, che ci occupa, in

tanti fotogrammi, proiettati come ciascuno a sé stante,

senza davvero considerare le concrete modalità della

condotta ed il contesto in cui si sono inserite, ecco il

limite normativo che solo rende i comportamenti razionali

e prevedibili.

Che la legge vieti di servirsi di altri artifici è tanto

vero, che gli stessi possono essere adoperati,

lecitamente, non solo per provocare un rialzo o un

ribasso, ma anche per mantenere artificiosamente i prezzi

esistenti, per impedire il rialzo o il ribasso a cui il

mercato naturalmente tenderebbe, e il reato

sussisterebbe, anche, perfino se, in ipotesi, il nuovo

prezzo apparisse, in concreto, più consono all’equilibrio

del mercato.

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Ecco il punto: «La verità è che la condotta incriminata

implica già un danno, per l’economia pubblica...», così

scriveva Pedrazzi e abbiamo già anticipato che il

regolare funzionamento del mercato altro non è che una

specificazione del concetto, più ampio, di economia

pubblica. «... il danno è già nel ricorso a sistemi

inammissibili di competizione economica». Così, Pedrazzi

scriveva, a proposito dell’aggiotaggio comune, ma non

senza, poi, ammonire che la fattispecie societaria, in

allora – art. 2628 c.c. –, era ancora più severa, perché

imponeva agli amministratori una condotta lineare, che

vieta qualunque atteggiamento che appaia atto a spargere

il seme dell’inganno e del disorientamento, quanto,

proprio oggi, caratterizza la forma di manipolazione del

mercato, di cui al previgente art. 2637 e all’attuale

disposizione di cui all’art. 185. Come avevo anticipato,

l’attualità di quello scritto sconcerta e affascina.

Se la ragione dell’illiceità va ricercata nella

inammissibilità di certi schemi di condotta e di certe

manovre, intese - non importa in che senso - a turbare la

regolarità del mercato, non si vede perché tale

inammissibilità dovrebbe venir meno, per il solo fatto di

contrapporsi a un’iniziativa altrui, parimenti

inammissibile, e figuriamoci, dunque, se l’iniziativa

altrui, come nel nostro caso, non è parimenti

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inammissibile, ma lecita... anzi, l’unica lecita, ma

contrastata, ostacolata e a renderla più difficile. Il

danno è già nel ricorso a sistemi inammissibili di

competizione, e precisamente è il significato del nostro

capo d’imputazione: non si può ostacolare un’altra

offerta, l’unica davvero pubblica, rendendola più

costosa, o contrapponendovi un’altra operazione, se

questa avviene, facendo ricorso a sistemi inammissibili

di competizione.

L’impostazione del problema non è poi, allora, a ben

vedere, così complessa: non è lecito usare qualunque

mezzo, per conseguire un fine, ancorché, in sé, lecito, e

non lo è, perché la legge lo vieta, vieta gli artifici,

e, cioè, il qualunque mezzo; vieta, cioè, di ingannare e

di disorientare ciò che resta vietato, anche, quante

volte ci si contrapponesse perfino a un’iniziativa

parimenti inammissibile; sistemi di competizione

inammissibili sono illeciti, perché vietati dalla

condotta identificata come “altri artifici”.

Così, il problema della conformità al paradigma legale è

risolto e resterebbe solo la prospettiva di eventuali

cause di giustificazione, ma a una difesa legittima non

può pensarsi, posto che la sanzione non colpirebbe

l’ingiusto aggressore, ma l’intera collettività, e

l’interesse particolare è irrilevante, a fronte di un

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oggetto di tutela che investe l’intero della

collettività.

Potrebbe allora invocarsi a legittima difesa, come in

certo qual modo è stato fatto con il richiamo

all’esigenza di tutela di BNL Vita, uno stato di

necessità, inteso molto largamente, ma si dovrebbe però

presupporre l’impossibilità di qualunque altra difesa, e

vedremo che non è il caso nostro, un caso in cui, certo,

non era impossibile qualunque altra difesa, ma sarebbe

bastato competere secondo le regole, ponendo in essere

condotte lecite, perciò di mercato, senza distorsioni

della realtà.

Le considerazioni sulla ratio della norma risolvono, poi,

anche il problema dei limiti tra configurazione unitaria

dell’aggiotaggio e concorso omogeneo dei reati, che pure

è rilevante, a comprendere l’unità di contesto, l’unità

distinta e l’unità di contesto cronologico; invero, se il

valore degli strumenti finanziari fosse l’oggetto della

tutela, in quanto tale, e non, come già anticipato, il

suo regolare meccanismo di formazione, se la norma si

proponesse, cioè, di scongiurare il rialzo o il ribasso,

in sé considerato, la conclusione sarebbe obbligata: la

misura sarebbe determinata dal singolo prezzo,

indebitamente aggredito, e darebbe allora luogo a un

concorso ideale e omogeneo, la diffusione di una notizia

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falsa, atta a provocare il rialzo o il ribasso di più di

un prezzo; ma, dopo quanto detto, risulta chiaro che la

soluzione deve invece far capo al momento dell’azione.

Intanto, il dato è letterale: lo stesso termine

“artifici”, al plurale, fa pensare a manovre complesse e

laboriose, manovre intessute di mosse, magari, in

apparenza, contraddittorie, però concatenate, sì che nel

loro complesso congiurano a imprimere al mercato un’unica

e medesima spinta al ribasso o al rialzo, e poco importa,

se questa spinta travolgerà uno o più prezzi, o anche un

numero indeterminato di prezzi, il sigillo dell’unità sta

in questa omogeneità e convergenza di attitudine.

Naturalmente bisogna calcolare la concatenazione che lega

i fatti e che può legare anche i fatti, a prima vista,

più lontani, ma bisogna tenere presente il collegamento,

che può amplificare gli effetti di una spinta, la quale,

ciò malgrado, resta unitaria, unità di spinta e unità di

contesto cronologico, un contesto cronologico che non sia

spezzato, e queste sono proprio le caratteristiche dei

fatti oggetto di questo giudizio. L’unità del reato di

aggiotaggio non può invece determinarsi in base all’unità

del fine perseguito dall’agente: il momento dello

sfruttamento dell’alterazione dei prezzi è del tutto

estraneo alla fattispecie legale. Quella di aggiotaggio,

come è noto, è una fattispecie di pericolo concreto,

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cioè, e significa che, ai fini della possibilità di suo

riconoscimento, non è richiesto che gli altri artifici

abbiano effettivamente provocato un’alterazione del

prezzo, o di strumenti finanziari, o un affidamento del

pubblico, ma è necessaria, e sufficiente, la loro

potenziale capacità a provocare siffatto evento.

Non è, quindi, l’unità del fine ultimo perseguito, a

rilevarlo, un fine che può essere perfino diverso, per

ciascuno degli attori, ma rileva l’attitudine delle loro

condotte, a descriversi l’unità di quel medesimo

contesto, e vedremo quanto è importante, questo, a

comprendere la qualificazione delle condotte dei membri

del contropatto.

I fini e gli intenti sono irrilevanti, in sé, perché non

giustificano i mezzi, e il momento dello sfruttamento o

dell’alterazione dei prezzi è del tutto estraneo, alla

fattispecie legale, che perciò presenta lo schema della

consumazione anticipata; non è l’intento, che richiede

l’attenzione del legislatore, ma le modalità operative,

la loro concreta idoneità ad incidere sui meccanismi di

mercato e la loro trasparenza.

Dal punto di vista a cui la fattispecie dà rilievo, cioè,

appunto, quella dell’attitudine della condotta a

ingannare e a fuorviare l’affidamento del pubblico, la

coordinazione finalistica, in un unico e medesimo quadro

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speculativo, rileva, di per sé, solo come unità di

disegno criminoso, ai fini della continuazione, e quanto

caratterizza la figurazione unitaria dell’aggiotaggio

sono, invece, le modalità della condotta e il contesto in

cui si inseriscono, unità di spinta, unità del contesto

cronologico, unità di spinta e di contesto cronologico

definitivamente chiarite e confermate, nel nostro caso,

proprio dalla data del 18 di luglio e, vedremo, anche da

quella del 15 di luglio, in funzione della stessa data

del 18 di luglio, e, appunto, dalle sue molteplici

ragioni e necessità di essere, unità di contesto

comprovato, proprio, per quanto paradossalmente possa a

prima vista sembrare, dalla stessa offerta pubblica di

scambio di BBVA, un’offerta che doveva essere contrastata

e ostacolata, ma anche costituire la rete, l’uscita di

sicurezza, il piano B, qualora il piano A, quello stesso

a ragione del quale pure contrastare l’iniziativa di

BBVA, non avesse potuto avere concreto successo.

E veniamo, così, all’altra domanda che dobbiamo porci:

può costituire reato anche un’attività lecita? Non mi

dilungherò, su questo punto, perché il Tribunale sa bene

che la risposta si è già consolidata come affermativa, il

tema è già stato trattato anche in altre memorie di

questa Difesa e verrà ripreso anche nella memoria che

consegnerò al Tribunale, all’esito di questo mio

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intervento; per cui procediamo, soltanto segnalando che

anche questa stessa giurisprudenza, sia di merito, del

Tribunale milanese e non, sia della Suprema Corte di

Cassazione, riconferma la necessità di apprezzare le

condotte, calcolandole, appunto, nel contesto concreto in

cui si sono davvero svolte. La norma, parlando di

artificio, fa uso di un’espressione capace di abbracciare

anche un’attività lecita, posta però in essere

artificiosamente, avuto riguardo alle modalità con cui

sia realizzata.

Ora è vero che nel nostro ordinamento non esiste un

diritto assoluto alla verità; l’interesse a non venire

ingannati, a differenza dell’interesse a non subire

violenza, non è tutelato, in sé e per sé, ma solo come

avamposto di interessi, di altro genere, che attraverso

l’inganno potrebbero venire aggrediti. Nella specie di

aggiotaggio, a cui ci riferiamo, nondimeno nella cerchia

dei soggetti esposti all’inganno non sono solo coloro che

entrano in rapporti diretti con l’aggressore, sono anche

terzi; sono tutti coloro che seguono l’andamento del

mercato, che possono venire indotti a operare sulla

scorta di impressioni fallaci. È chiaro che dal punto di

vista dei terzi non avrebbe senso, rilevare la regolarità

delle operazioni dell’aggiotatore, il quale verso i terzi

non è vincolato altro che dal generico divieto del

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neminem laedere, di cui, peraltro, sarebbe arduo

determinare, in materia, l’esatto tenore. D’altra parte,

se non ammettessimo la rilevanza di un inganno al quale

si trovano esposti i terzi, anche diversi dalle

controparti, come potremmo riconoscere ingannevoli le

operazioni fittizie, in cui taluno fa da contropartita a

sé medesimo? Va da sé che, dalle operazioni fittizie,

solo i terzi possono restare ingannati, ma non basta,

perché l’inganno, a cui si trovano esposti tutti quelli

che seguono l’andamento del mercato, non è incriminato,

per sé medesimo, ma proprio in ragione degli interessi

sociali tutelati - ecco perché la relatività nel mondo

del diritto compare, qui, in versione pubblicistica -, e

questo costringe l’interprete a superare ogni ristretta

impostazione privatistica. L’aggiotaggio risponde a

un’impostazione pubblicistica dell’inganno; è la visuale

pubblicistica dell’inganno, che quindi caratterizza

l’aggiotaggio. Un problema di affidamento dei soggetti

ingannati non si pone neppure, perché la posizione

giuridica dei soggetti esposti all’inganno esorbita dalla

visuale della norma. L’inganno potenziale dei singoli è

dalla norma considerato in quanto, in linea pure di

fatto, ne può derivare alterazione dei meccanismi di

mercato e della loro trasparenza; cioè è siffatta forma

di turbamento, che contrasta con le finalità della norma,

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perfino se l’inganno, da cui deriva – e non è il nostro

caso -, non ferisse alcun legittimo affidamento dei

soggetti ingannati, e, si badi, è lo stesso effetto della

dissimulazione, che non a caso rappresenta il lembo

estremo dell’inganno, nel nostro ordinamento; è una

condotta architettata in modo da deviare l’attenzione

della controparte, dei soci e dei terzi, da una realtà

che si vuole far passare inosservata. L’attualità del

maestro sconcerta. La caratteristica dell’artificio è

appunto quella di falsare la condotta degli altri

operatori, sollecitando, da loro, atteggiamenti sfasati e

risposte non adeguate alla realtà del mercato.

La discriminazione di trattamento giuridico rispecchia

una gerarchia di pericolosità: le operazioni che

esorbitano dal gioco normale della concorrenza si fanno

tanto più pericolose, tanto più riescono ad attuarsi

copertamente; l’artificio, che inganna o dissimula,

impedisce agli altri operatori di comportarsi di

conseguenza e di svolgere un’azione, in un certo modo,

equilibristica; l’inganno in tal senso non deve, neppure,

necessariamente rappresentare la direttiva principale

della condotta.

Ecco, allora, che, pur nel rispetto della linea di

maggior rigore, quanto è necessario e sufficiente, ai

fini della riconoscibilità di sussistenza, anche,

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dell’elemento soggettivo, è la consapevolezza

dell’attitudine manipolativa della condotta; la

consapevolezza dell’attitudine manipolativa della

condotta integra e realizza la sussistenza dell’elemento

psicologico del reato.

Per arrivare a fornire risposta a questi interrogativi, è

necessaria una ricostruzione della vicenda, ma -

rassereno immediatamente, subito, tutti - dopo una

ricostruzione tanto ampia e analitica, come quella già

operata dal Signor Pubblico Ministero, ridurrò la mia a

quanto necessario a evidenziare l’unità di contesto,

l’unità cronologica, le modalità della condotta e il

contesto in cui sono andate ad inserirsi, con uno sforzo

che, rispetto alla generosa lettura del professor Reboa -

è stato premiale, perché mi dice: «È come una storia

avvincente» -, non so se riuscirò a essere

sufficientemente brillante, con voi, e a rendere anche

questo aspetto di continuità.

Il prologo della nostra storia è il 18 di marzo del 2005,

allorquando BBVA presenta alla Banca d’Italia

un’informativa preventiva, relativa all’intenzione di

promuovere l’OPS su BNL. Nello stesso giorno, ABN AMRO

annuncia l’OPA su Banca Antonveneta e la reazione ad

entrambe le iniziative è la stessa ed è immediata. E chi

reagisce? Vorremmo poter dire che reagisce Banca

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d’Italia, ma non è così, in realtà è il governatore della

Banca d’Italia, che convoca una riunione, che di

istituzionale ha assai poco, che si tiene, infatti, in

casa propria e la convoca, già, per l’indomani mattina,

ossia sabato 19 marzo 2005, presenti, nel salotto di casa

Fazio, l’ex governatore, il dottor Frasca e il dottor

Bianchi, con i signori Fiorani e Boni, della Popolare di

Lodi, e i signori Borghesi e Ditadi, di Banca Lazard, e

l’incontro è già stato oggetto di amplissima

ricostruzione. Per certo, oggetto dell’incontro, per

quanto ora ci interessa, fu quello di iniziare a

verificare come poter da subito contrastare l’OPS di

BBVA, annunciata il giorno prima, quindi verificare quale

alternativa poter contrapporvi, venuta meno anche quella

della Banca Popolare di Verona. L’iniziativa di BBVA va

contrastata e la sua offerta ostacolata o resa meno

agevole, come ha confermato lo stesso ex governatore.

Io citerò vari passaggi delle trascrizioni e non sto a

dire: «Loro han detto, all’udienza... a pagina...»,

perché lo troveranno nella memoria; cerchiamo di essere

più sintetici.

Cosa dice, l’ex governatore, rispondendo, in controesame,

al Pubblico Ministero? «Si parlò dell’Antonveneta e poi,

diciamo, a margine ne uscì fuori la BNL».

Quanto all’offerta su BNL, Fiorani, ascoltato il 24

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giugno, rispondendo sempre alle domande del Pubblico

Ministero ha ricordato: «Il 19 marzo, il governatore

comunica a me che la Verona esce di scena,

dall’operazione. Questo crea una grande preoccupazione,

nel governatore, perché il governatore mi aveva riferito,

in quelle circostanze - più volte me l’ha detto e penso

che avesse ragione -, che questo atteggiamento aveva dato

un’incredibile accelerazione al Banco di Bilbao, per

lanciare l’OPA su BNL; quindi, lui mi ricordo che diceva:

“Oltre al fatto di avere avuto il danno, c’è la

beffa...”». Come “la beffa”? Quale beffa? Per chi? Perché

beffa? «“... perché questi adesso hanno mosso, come

condizione consequenziale, il Banco Bilbao, a lanciare

l’OPS”, che poi, effettivamente, ha lanciato». Oltre al

danno, la beffa. Ma beffa per chi? Perché?

Fiorani, imputato in procedimento connesso, secondo

alcune Difese è poco credibile, ma non si capisce che

ragione avrebbe, di mentire sulla riferita circostanza, e

fatto, sì, è che anche Arnaldo Borghesi, un teste sulla

cui credibilità nessuno ha mostrato di avere dubbi,

conferma il ricordo di Fiorani: «La riunione è stata

incentrata, direi, su argomenti relativi sia alla vicenda

Popolare di Lodi-Antonveneta, sia alla vicenda BNL,

perché il governatore sentiva le due operazioni

estremamente concatenate». In effetti, le due operazioni

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erano sicuramente concatenate, perché sono partite

insieme, ed evidentemente c’era dietro, difficile da

andare a capire, una regia. Queste cose non succedono per

combinazione; quindi, evidentemente, c’era un qualche

disegno, sottostante a questa operazione, un disegno che

non era gradito al governatore, perché l’opinione del

governatore era quella di mettere il più possibile

l’italianità delle banche, e, che fine farà l’italianità,

nel caso di specie, lo abbiamo poi visto. Fatto, sì, è

che l’indirizzo del destino della BNL è da subito oggetto

della volontà dell’ex governatore, in casa propria, con

Fiorani, non una volontà di favore, per l’OPS di BBVA, e

perfino una beffa e neppure di neutralità. Né Borghesi,

né Ditadi, pur avvezzi ad essere coinvolti in operazioni

di alta finanza, erano mai stati ricevuti, privatamente,

a casa del governatore, né prima, né dopo quel giorno.

Perfino Frasca non ha potuto non manifestare la sua

dichiarata sorpresa, nel ritrovarsi a una riunione, a

casa del governatore, in presenza di estranei, quali,

appunto, Borghesi e Ditadi; forse, Fiorani era

considerato un po’ meno estraneo.

Dice Frasca: «La cosa mi sorprese, perché era la prima

volta, che vedevo queste persone, perché non mi sembrava

il luogo, per un incontro con persone...».

Anche il dottor Innocenzi ci ha confermato che,

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nonostante, perfino, avesse in animo di lanciare

un’offerta, non era mai stato ricevuto a casa del

governatore, e si capisce.

E dove seguita, l’incontro, e con chi? In un’altra casa

privata, quella dell’ingegner Caltagirone, dove Fiorani,

Boni, Borghese e Ditadi si recano, pur dopo un breve

intervallo nella sede di Efibanca, accompagnati anche da

un’altra figura, che ritroveremo spesso, in questa

vicenda, che non è poco rilevante, a comprendere questa

vicenda: è quella dell’Avvocato Giani, che a quel

momento, par di capire, interveniva sia quale consulente

di Caltagirone, sia quale Avvocato di Fiorani, nella

vicenda Antonveneta, e sarà, poi, ancora lui, ad

assistere, con il suo studio, anche l’ingegner Consorte e

Unipol, lui e il suo studio prepareranno la richiesta di

autorizzazione di Unipol, a salire fino al 15% del

capitale sociale di BNL, e saranno il principale advisor

legale, più Unipol, con buona, ma, abbiamo compreso, non

troppa pace dell’Avvocato Pedersoli, e ci ritornerò, per

un breve flash, più avanti.

Anche in quest’altra casa vi è un punto, su cui non vi è

dissenso: è non gradito, che l’OPS potesse avere

successo, è un’OPS che andava contrastata, impedita,

ostacolata.

Ricorda Ditadi: «L’obiettivo di Fiorani era quello di...

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perché poi lo dichiarò nel pranzo con Caltagirone. Adesso

vengo a questo passaggio: l’obiettivo era quello di,

sostanzialmente, mettere insieme un nocciolo duro, in

grado di contrastare l’offerta degli spagnoli, facendo

leva sulle azioni degli immobiliaristi». Gli

immobiliaristi non c’erano, a pranzo, c’era l’ingegner

Caltagirone, che, però, poi terrà quel polo coeso e

unito.

Ricorda ancora, Borghesi, che l’ingegner Caltagirone ha

sempre avuto grande attenzione, a tutte quelle realtà che

hanno la sede a Roma; cioè, per lui, il mantenimento di

un centro decisionale di BNL, su Roma, era una condizione

importante, perché, quando la banca perde il centro

decisionale, il legame col territorio si attenua e c’è un

danno, per il territorio, e, per queste ragioni, lui

riteneva non accettabile, che una banca come BNL,

fondamentale non solo per il Paese, ma per il territorio,

finisse in mano agli spagnoli. È tutto legittimo,

ancorché, magari, un po’ disinvolto e non elegantissimo,

ma sono uomini d’affari, non l’ex governatore, a

condizione, pur tuttavia, che questa contrarietà non si

traduca nella compartecipazione a quel qualunque mezzo,

che è vietato per legge.

Caltagirone è d’accordo con Fiorani e con l’ex

governatore, nell’avversità all’iniziativa di BBVA, e

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anche i loro professionisti non hanno difficoltà, a

rappresentare interessi, per ciò stesso, evidentemente,

valutati come non incompatibili.

Nel contesto del pranzo a casa dell’ingegner Caltagirone

si decide, quindi, di provare a sondare il terreno, per

capire che tipo di orientamento avesse un altro socio di

BNL. E chi è, questo altro socio di BNL? Chi da subito

viene chiamato? Ecco che già al 19 marzo incontriamo

anche, da subito, Unipol. È sempre Fiorani, a raccontare,

e saltiamo un po’, perché sappiamo la storia: cercano

Consorte, ma non lo trovano; trovano Sacchetti e parlano

con Sacchetti. Quello che è importante rilevare sono

questi due passaggi: Fiorani ci racconta che fu

Caltagirone, a chiedergli di telefonare. «... cosa che io

feci all’ingegner Consorte, ma non lo trovai. Sono a casa

dell’ingegner Caltagirone e c’è questo problema, della

novità della Popolare di Novara...». Problema? Perché

problema? Per chi, problema? «... il governatore mi ha

detto di fare un approfondimento e io sto facendolo con i

contropattisti. Tra i contropattisti c’è anche l’ingegner

Caltagirone, che mi chiede di sapere “cosa farete voi,

come Unipol, dinnanzi all’OPS lanciata da Bilbao”. La

risposta di Sacchetti fu telegrafica: “Non lo so,

dobbiamo valutarlo”». Si dice che a quel momento

traccheggia e, per l’amor di Dio, niente di più vero, ma

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rimane il fatto che da subito vengono contattati e che,

poi, i veri protagonisti di questa vicenda saranno loro.

Si cerca anche Consorte, e Consorte poi ce lo ha

spiegato; dice: «Ero a Roma, con altri signori, con altre

persone coinvolte nell’operazione BNL...», parole che

hanno un certo significato, ma non stiamo certo a

sottigliare, su questo.

Anche il dottor Frasca, che pure non era presente, dà

conto di questa telefonata, tra Fiorani e Sacchetti, come

di un accadimento effettivamente avvenuto. Insomma, sin

dal giorno della sua prima manifestazione, l’offerta di

BBVA doveva poter essere avversata e ostacolata. E chi se

ne fa carico? L’ex governatore, presente e non

dissenziente, Frasca, con Fiorani e Caltagirone, e,

quindi, anche l’Avvocato Giani, ancorché un’assistenza

legale a quel momento del pranzo non è ben chiaro in che

cosa sarebbe dovuta e potuta mai consistere.

Il principio dell’unità di direzione è attivato:

contrastare l’OPS di BBVA. E chi si inizia a chiamare e a

verificare una proprio disponibilità? Uno degli allora

soci di BNL. E quale, tra tutti i soci? In primis,

Unipol, nella persona di Consorte e, in sua assenza, di

Sacchetti, che poi, appunto, è lo stesso, per la loro

perfetta fungibilità e complementarietà, come il gatto e

la volpe. Il gatto lo abbiamo visto e sentito più volte,

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anche qui, e la volpe è volpe e non si è fatta vedere, ma

c’è.

Veniamo, quindi, alla veloce maturazione della

determinazione di Unipol, intanto, ad accrescere le

proprie ambizioni da protagonista. L’intervallo di tempo,

in cui il ruolo da coprotagonista viene vissuto e ci si

propone come un ruolo da protagonista, è estremamente

significativo e rapido. L’ingegner Consorte ha spiegato

nel corso di più udienze, con dovizia di argomenti e di

dettagli, quale fosse l’importanza di BNL Vita, per

Unipol, nella dichiarata volontà di ricondurre l’esigenza

dell’OPA ad una forma di autotutela dell’investimento

fatto in BNL Vita; però, per vero, sin da subito vi è già

un’ambizione più elevata, e cioè, a dire, la volontà di

promozione di Unipol e di tutto il mondo cooperativo, nei

salotti buoni della finanza italiana. Come non ricordare,

qui, l’incipit delle dichiarazioni dell’onorevole

Fassino: l’onorevole Fassino è venuto e, da capace

politico qual è, in apertura della propria deposizione ha

avvertito l’esigenza di difendere le iniziative del mondo

cooperativo da coloro che ne volevano limitare l’ambito

d’azione ai soli supermercati, e, diciamolo pure, a

commento - anche se è un po’ ultroneo, ma questo è il

momento -, non ha fatto una gran bella figura. Questo se

lo ricordava assai bene, ma poi, però, non ricordava,

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assolutamente, più nulla, eppure, un attimo prima di

incontrare Abete, cerca con affanno e insistenza

l’ingegner Consorte e, un secondo dopo aver finito

quell’incontro, si ripremura di immediatamente chiamare

l’ingegner Consorte, per relazionargli come è andata...

non una gran bella figura.

Come non ricordare la commozione del Presidente Stefanini

e la stizza dello stesso ingegner Consorte, nei confronti

di Leoni, che lo reputava non sufficientemente titolato

ad essere l’amministratore delegato della nuova BNL: fu

proprio l’ingegner Consorte, parlando al telefono con

Gonzalo Toragno, a volergli precisare uno dei significati

dell’operazione: «Soprattutto, guarda, Gonzalo, tu

bisogna che capisca una cosa, te lo dico questa volta e

non te lo ripeterò mai più: noi in Italia rappresentiamo

un mondo, che è un mondo che è di sinistra, rappresento

una regione, che è l’Emilia Romagna, e rappresentiamo

l’ex partito comunista; quindi abbiamo dei nemici, però

noi la dignità non l’abbiamo mai persa, Gonzalo». È a

metà, tra - chi vuole intendere, intenda - il nostro peso

ed un orgoglio, che pure tutti abbiamo potuto riscontrare

direttamente, in quest’aula.

La vicenda dunque ha una sua ragione, anche nel

tentativo, di un uomo, di una società e di un’intera

categoria economica e politica, di mettersi, finalmente,

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al pari delle grandi istituzioni del Paese, che sino ad

allora li avevano, quasi, un po’ snobbati, una ragione

che non è così secondaria e di contorno, per comprendere

questa vicenda ed il suo contesto, che poi è quanto,

solo, davvero rileva.

Il controllo della BNL avrebbe insomma consentito di

raggiungere anche un obiettivo di riscatto del mondo

cooperativo, come di chi teneva a rappresentarlo e

difenderlo. Per arrivare a controllare BNL, bisognava

però superare un ostacolo, non poco sgradito e rilevante,

quale quello dell’offerta pubblica di scambio, di BBVA, e

questo, in quel particolare contesto, garantiva alla

operatività di Unipol il placet di Banca d’Italia e, per

conseguenza, l’appoggio del sistema, un connubio, cioè,

sicuramente nuovo e, perciò, ancor più interessante e

gradito.

Ma - procediamo con ordine – il martedì successivo al già

ricordato sabato 19, e cioè, a dire, il 22 di marzo,

Consorte e Sacchetti si recano in Banca d’Italia ed

incontrano sia il dottor Frasca che il governatore. In

proposito, il dottor Frasca, sempre più circospetto e

quasi imbarazzato, ma fedele a chi sempre potrà contare

di averlo al suo fianco – ed, invero, mai Frasca ha preso

le distanze dall’ex governatore -, cerca di sminuire

l’importanza di quell’incontro, negando che ci fosse

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alcun tipo di relazione, con i fatti del sabato

precedente, e affermando che in esso si parlò,

esclusivamente, di problematiche connesse

all’acquisizione di sportelli Antonveneta. È, invece,

l’ingegner Consorte, che ci fornisce le coordinate più

esatte, per comprendere l’effettiva importanza di

quell’incontro: Consorte afferma che con il dottor Frasca

si parlò, esclusivamente, di Antonveneta, ma poi

soggiunge: «Mentre eravamo lì, il dottor Frasca ci disse

che il governatore ci voleva vedere. Il governatore ci

esternò una serie di riflessioni, relative, soprattutto,

al Monte dei Paschi di Siena e relative a BNL, non un

discorso generico. Il governatore vedeva di buon’occhio,

oggettivamente, che il Monte dei Paschi assumesse una

posizione e che lanciasse un’OPA su BNL, e vedeva molto

bene un’operazione Monte dei Paschi-BNL». Si capisce, era

un player bancario di prima importanza. Si capisce meno,

perché ne volesse parlare a loro, o forse si capisce

anche troppo bene, la spiegazione che ci è stata fornita:

«Il governatore sapeva che il Monte dei Paschi di Siena

aveva il 39% di Finsoe, cioè una quota rilevante, era

nostro alleato e sapeva che noi eravamo azionisti del

Monte dei Paschi e sedevamo nel consiglio del Monte dei

Paschi. Nei giorni successivi, Consorte

parla...».Sappiamo già queste cose. «... con l’Avvocato

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Mussari, con cui avevamo un rapporto di consuetudine...».

Che il governatore avesse scelto non a sproposito i

propri interlocutori, è dimostrato dal contenuto del

messaggio che Consorte passa a Mussari. «... e

raccontammo queste riflessioni, che il governatore ci

aveva fatto; anzi dicemmo di più, al dottor Mussari, per

essere chiari fino in fondo; si disse: “Guarda che, se tu

lanci l’OPA, noi ti diamo una mano”». Dunque, solo dopo

pochi giorni dall’informativa preventiva di BBVA, il

governatore di Banca d’Italia si è rivolto ad Unipol,

socio del Monte dei Paschi, auspicando che lo stesso

Monte dei Paschi assumesse un’iniziativa volta ad

acquisire il controllo di BNL, ossia un’iniziativa

antagonista, rispetto a quella già avanzata da BBVA, un

player bancario forte, a cui Unipol avrebbe potuto

affiancarsi, in ruolo da gregario o coprotagonista - ma

siamo, ancora, soltanto al 22 di marzo -, sennonché

l’Avvocato Mussari non accoglie gli auspici del

governatore e Monte dei Paschi esce di scena, ma non

escono di scena, Consorte e Sacchetti, che, anzi, il mese

successivo, e precisamente il 21 di aprile, tornano a

parlare con il dottor Frasca. L’allora capo della

vigilanza ha in proposito ricordato: «Mi dissero che loro

potevano crescere, in BNL, e avevano fatto uno studio, su

questo argomento, acquisendo...». Fino a quel momento

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avevano il 2%, in BNL. «... le quote degli

immobiliaristi, quindi prendendo il 23%, perché mi

parlarono del 25% di BNL». In seguito a questo,

diventando soggetto di riferimento, perché non c’era

nessuno che aveva il 23 e rotti percento, come

partecipazione, avrebbero poi realizzato un’aggregazione,

tra Unipol Banca e BNL; loro avrebbero conferito Unipol

Banca in BNL; con questo conferimento sarebbero loro

saliti intorno al 33%, complessivamente, e in BNL non c’è

bisogno dell’OPA obbligatoria, perché - è una certa norma

del Testo Unico della Finanza -, essendo un’aggregazione

di tipo industriale, non c’è bisogno.

E qua è la svolta: il player secondario si propone come

primario, ma ricerca soluzioni meno dispendiose, ben

consapevole, e memore, di chi è davvero un acquirente

debole. L’ingegner Consorte ha avuto cura di spiegare e

motivare che il progetto di aprile non aveva alcun tipo

di rapporto, con quanto, poi, effettivamente realizzato,

ma, se stiamo alla sostanza dei fatti, vi è che, solo un

mese dopo il 19 di marzo, i rappresentanti di Unipol

sottoposero all’Autorità di vigilanza un progetto che

avrebbe loro consentito di divenire soci di maggioranza

relativa, in BNL, a seguito dell’acquisizione delle quote

del contropatto e senza necessità di lanciare un’OPA, e

il contesto va delineandosi, in modo sempre più chiaro e

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coerente, nel solco di quella unità di spinta, indicata

dal governatore di Banca d’Italia, a cui, infatti, e non

a caso, ci si va a proporre.

Il dottor Frasca, che è uomo di concretezza e capacità

tecnica fuori di ogni possibilità di dubbio, non apprezzò

il progetto, per due ordini di ragioni, e, innanzitutto,

una, appunto, di carattere tecnico: un’aggregazione

avrebbe necessitato dell’approvazione dell’assemblea

straordinaria di BNL e verosimilmente non ci sarebbero

state mai le maggioranze; ma Frasca esprime anche un

secondo ordine di valutazione, e lo esprime, questa

volta, in termini di inopportunità: posto, infatti, che

BBVA aveva lanciato l’OPS, come si può presentare, al

mercato, una cosa di questo genere? Sembra, quasi, che

uno voglia cortocircuitare tutto quello che è un processo

trasparente, per tutti quanti. Lungimiranza, o prudenza?

Buonsenso processuale, oggi, lettura assennata anche

allora. Unipol, considerata in via autonoma, non era un

rivale credibile, per BBVA. Ancorché la fondatezza già

della prima, soltanto, di queste obiezioni risultasse

comunque assorbente, pare che la seconda, pur se espresse

valutazione di inopportunità, significasse la necessità

di maggior cautela, una cautela che poteva avere ragione,

nel rispetto delle regole, o nella più verosimile

esigenza che nessuno potesse censurare quelle stesse

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regole, come appunto violate o eluse, e fatto, sì, è che

il mancato apprezzamento, da parte di Banca d’Italia,

convince dunque Unipol a non perseguire nella

realizzazione di quel progetto. Peraltro è appena il caso

di ricordare che, all’epoca, nessuno venne informato, né

ebbe conoscenza, di simili propositi di Unipol, perché,

come ricordato dall’ingegner Consorte, il progetto fu,

sì, illustrato e poi depositato in Banca d’Italia, ma in

maniera non ufficiale, proprio per evitare che gli uffici

dovessero poi pronunciare un assenso o un dissenso

formale, quindi pubblico.

Allora, Unipol decide un’altra mossa - incrementare la

propria partecipazione diretta, in BNL -, una mossa,

certamente, più dispendiosa, ma, a quel punto, senza

alternative, che pure si pone, pur sempre, in quell’unità

di indirizzo e contesto che va maturando secondo la

direzione già da subito identificata e che cerca la sua

concreta possibilità di evolvere, una possibilità che

trova la sua concretezza, con gli acquisti di maggio, che

non a caso segnano l’inizio di questa vicenda

processuale.

Molto rapidamente, su questi incrementi di partecipazioni

di Unipol, il 23 maggio è la data che segna l’inizio del

periodo temporale posto a oggetto di imputazione; infatti

è in quella data, che Unipol pone in essere i primi

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massicci acquisti di aziende BNL. In proposito è bene

ricordare, solo, che, l’11 maggio 2005, Unipol aveva

presentato a Banca d’Italia un’istanza volta a ottenere

l’autorizzazione a poter incrementare la propria

partecipazione, in BNL, sino al 9,99%, e l’istanza era

motivata in ragione, soltanto, dell’esigenza di tutelare

l’investimento in BNL Vita, secondo una motivazione non

così coerente col contenuto dei pregressi incontri avuti

coi vertici della Banca d’Italia e, soprattutto, con la

circostanza che, solo la settimana prima, Banca d’Italia

aveva bocciato un progetto di Unipol, volto a divenire

socio di riferimento, in BNL, e fatto, sì, è che Banca

d’Italia autorizzò (inc.), il giorno 27 maggio 2005, ma,

già il 23 maggio, Unipol aveva appunto effettuato i primi

acquisti, pur assestandosi al di sotto della quota

rilevante del 5%, per la quale non era ancora necessaria

alcuna autorizzazione. Preme invece porre in evidenza che

nei due giorni successivi, ossia il 24 e il 25 maggio,

Unipol e Aurora stipularono con le banche internazionali,

Dresdner e HWB, dei contratti di opzione, put and call,

aventi ad oggetto quantitativi di azioni BNL che,

unitamente a quella già in portafoglio, eccedevano il

limite del 5%, al cui superamento Unipol e Aurora non

erano ancora state autorizzate, il che significa che,

prima ancora di ottenere l’autorizzazione di Banca

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d’Italia, Unipol si era, di fatto, già garantita la

provvista sufficiente a incrementare la propria

partecipazione in BNL, sino al limite che sarebbe poi

stato autorizzato, ma, su questo, già ha detto il

consulente tecnico del Pubblico Ministero, la consulenza

è in atti, il Tribunale la conosce e non stiamo a

dilungarci.

L’altra circostanza da rammentare è che il pacchetto

acquistato dalla Dresdner, quindi opzionato da Unipol,

venne intermediato da Euromobiliare. A questo proposito,

il teste Ivan Simetovic ha ricordato di essersi

interfacciato con Cimbri, che a fine giornata, anziché

comprarle, diede indicazione del nominativo di un trader

della Dresdner, da contattare per il collocamento;

poiché, tuttavia, questo trader non si rese reperibile,

Cimbri, che era tutt’altro che un soggetto di secondo

piano, nella realtà di Unipol, in cui, oggi, occupa il

più alto posto di amministratore delegato, chiede a

Euromobiliare di tenere le azioni, per una notte, con una

richiesta almeno insolita, considerando che il blocco

raggruppava circa l’1,87% di BNL.

Manifesto che Unipol non avrebbe potuto acquistare il

blocco, non avendo le necessarie autorizzazioni, ma

questo è solo il primo, di una serie di episodi, sui

quali si avrà modo di soffermarsi, nei quali Carlo Cimbri

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si intromette per collocare blocchi di azioni BNL, presso

soggetti in qualche modo vicini ad Unipol; infatti, il

medesimo schema operativo viene replicato, allorquando,

in data 1° luglio, Unipol presentò a Banca d’Italia

l’istanza, per essere autorizzata ad accrescere la

partecipazione fino al 15%, e l’istanza fu motivata non

soltanto col consueto e sempre meno credibile richiamo

all’esigenza di tutelare l’investimento in BNL Vita, ma

anche a proposito di assumere un ruolo rilevante, nel

capitale di BNL, per cogliere l’opportunità di creare

sinergie con le attività, bancarie e finanziarie, svolte

dal gruppo Unipol, il tutto anche in relazione alle

possibili evoluzioni degli assetti societari di BNL

medesima, affermazione la cui oggettiva chiarezza

ciascuno può ben comprendere.

Contestualmente alla presentazione dell’istanza vennero

sottoscritti dei contratti di opzione, con HWB, Deutsche

Bank e Dresdner Bank, che avrebbero consentito

l’immediato incremento nel capitale sociale della target,

non appena ottenuta la relativa autorizzazione. Anche in

questo caso, la scadenza dell’opzione fu fissata in una

data che non è certo priva di significati, e cioè, a

dire, quella del 18 luglio 2005, ciò che pare confermare

non solo che Unipol era sicura di poter conseguire un

provvedimento positivo, in tempi rapidissimi, come

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infatti fu, ma che la stessa Banca d’Italia, nel

provvedere in maniera così sollecita, pur in assenza di

una qualsivoglia apparente ragione di celerità, doveva

essere, nella realtà, ben consapevole della necessità di

chiudere l’operazione, prima del 22 luglio, come, poi, in

effetti fu.

Sulle tempistiche torneremo; qui mi preme porre in

evidenza un diverso aspetto: il pacchetto azionario

opzionato da Unipol, il 1° di luglio, viene acquistato da

HWB, Deutsche Bank e Dresdner Bank, nei due giorni

precedenti, ossia il 29 e il 30 giugno 2005, tramite

l’intermediario Euromobiliare, che si rifornì presso i

suoi clienti abituali, hedge funds. Qui mi hanno spiegato

che si chiamano gli spazzini. Perché? Che operazione

fanno? Il flottante si riduce. Sono i soggetti che vanno,

si appropriano, sul mercato, dei titoli ancora in

circolazione e, come fanno gli spazzini, raccolgono tutto

e poi collocano. Il trader Duval in proposito ha

rappresentato che quegli acquisti non furono

spontaneamente richiesti dalle banche acquirenti, ma

vennero organizzati sempre su richiesta di funzionari

Unipol: talvolta, Carlo Cimbri e, tal altra, Stefano

Dall’Aglio.

«La trattativa, io l’avrò fatta con qualcuno, in Unipol,

per la parte acquirente, i nostri clienti hedge e la

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parte venditrice; dopodiché, poi, dopo, Unipol mi disse

che l’operazione avrei dovuto confermarla con HWB». Il

che sta a significare che non soltanto Unipol si è

assicurata in anticipo la provvista necessaria a

incrementare la propria partecipazione in BNL, non appena

ottenuta la relativa autorizzazione, ma, soprattutto, che

nei giorni precedenti al 1° di luglio, data in cui venne

richiesta l’autorizzazione, Carlo Cimbri brigò con

l’intermediario Euromobiliare, per costruire i blocchi di

azioni, poi opzionati e parcheggiati presso le banche

internazionali.

Sul tema dei blocchi, che il professor Gualtieri ritiene,

a torto, essere l’unica componente di aggiotaggio

manipolativa contestata, lì, dove il capo d’imputazione

nel suo intero contesta una fattispecie di aggiotaggio,

per l’appunto, e solo manipolativo, chiariamo, subito,

che l’obiezione, secondo la quale gli acquisti al mercato

dei blocchi, estranei, per loro natura, al mercato

telematico, non avrebbero potuto determinare l’effetto di

price sensitivity, proprio della fattispecie contestata,

non è condivisibile ed è, anzi, priva di pregio - bastano

pochissime e telegrafiche osservazioni -, perché è vero

che il mercato ufficiale e il mercato di blocchi non sono

due ambienti isolati ed incomunicanti, e non lo sono,

innanzitutto, perché il mercato ufficiale viene informato

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del passaggio del blocco, della quantità di titoli

scambiati e del relativo prezzo, e, secondariamente,

perché le negoziazioni dei blocchi, fornendo

un’informazione su un prezzo contrattuale ed incidendo,

comunque, sul flottante residuo, non possono restare del

tutto prive di conseguenza, sui mercati dei titoli; ad

esempio, il prezzo di un blocco può ben influenzare i

prezzi d’asta di chiusura o dell’asta di apertura del

giorno o dei giorni successivi, e prova ne sia che,

proprio per effetto delle negoziazioni dei blocchi, il

valore di mercato delle azioni BNL è stato mantenuto a

livelli più alti, del prezzo dell’OPS, tra i mesi di

maggio e la metà di luglio 2005, ma su questo torneremo

più avanti; d’altra parte, e così ho concluso anche

questa parte, pare pure corretto osservare che il blocco

deve essere appunto costruito. L’acquisto di un blocco di

azioni, detenuto da un hedge fund...

AVVOCATO – Dev’essere costruito?

AVV. ACCINNI – L’acquisto di un blocco dev’essere costruito.

Eh, il blocco deve essere costruito; quindi, l’acquisto

di un blocco di azioni, detenuto da un hedge fund,

presuppone, inevitabilmente, che il fondo – il ruolo

degli spazzini – abbia subito prima della vendita

rastrellato i titoli sul mercato, con ogni consentita

urgenza, ciò che nuovamente non può non incidere sul

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prezzo degli stessi.

E veniamo, quindi – e qui saremo molto più sintetici e

schematici -, al tema delle trattative con BBVA, un tema

che sicuramente non sto a ripercorrere in tutti i suoi

passaggi, per questo vi è la memoria e per questo, ormai,

vi è, già, ampia conoscenza, da parte del Tribunale; il

tema però è importante, per tre grandi ordini di ragioni.

E quali sono, questi tre ordini di ragioni? La prima sono

le contraddizioni e le sconfessioni delle dichiarazioni

dell’ingegner Consorte, che dunque si riconferma come

inattendibile; la seconda è la conferma che Unipol non ha

lanciato un’OPA, commettendo un aggiotaggio difensivo,

per ragioni difensive, e la terza è la conferma che, ove

il piano A non fosse potuto approdare in porto, dove,

pure, ormeggerà sicuro, il 18 di luglio, avrebbe avuto

successo, la via di uscita, la rete di sicurezza, e cioè,

a dire, il piano B, il che significa l’OPS di BBVA, e

vedremo che valore ha, questo, rispetto al danno da

perdita di chance, per calcolare la possibilità di

successo dell’offerta, in assenza del comportamento

illecito intervenuto.

Il tema delle trattative è stato sviscerato a fondo e

numerosi sono i momenti di inattendibilità. Non mi sto a

soffermare su tutte quelle del dottor Giai, uno dei testi

meno credibili, in questo processo, mi basta ricordarne

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una: il dottor Giai afferma che vi sarebbe stata una

proposta di gentlemen’s agreement, con una stretta di

mano e la chiudiamo lì, e che questa sarebbe stata

operata dall’Avvocato Gioscia. L’Avvocato Gioscia non ha

mai presenziato, non solo ad alcuni degli incontri per la

trattativa, ma a nessuno dei momenti della trattativa,

per la precisa ragione che, già sedendo nel consiglio di

amministrazione di BNL, ebbe opportunamente a ritenere

inopportuna la sua presenza a un tavolo di negoziati come

quello.

Quando, e perché, nasce, per l’ingegner Consorte, la

necessità di affermare che sarebbe venuta meno una

trattativa con BBVA? Nasce nella fase delle indagini

preliminari, allorquando l’ingegner Consorte, ritenendo

di poter smentire l’individuazione di un dies a quo, da

cui far nascere, originare e dipendere la propria

volontà, come Unipol, di lanciare un’offerta pubblica,

ritiene di dover dire che questo accadde soltanto alla

fine di giugno, dovendo perciò poter anche attribuire la

responsabilità di questo alla controparte, cioè a BBVA.

Per questo, però, necessitava di una ragione e questa

ragione, allora, lui indica nella indisponibilità, di

Banca di Bilbao, di aver un preventivo assenso, o un non

espresso mancato dissenso, da parte di Consob; solo che,

questa affermazione, l’ingegner Consorte la fa in un

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momento in cui non dispone delle bozze, poi prodotte in

atti, e, in quel momento, i suoi rapporti con la società

non sono facili – la società lo ha denunciato, a Roma,

per un’ipotesi di appropriazione indebita – e si rifiuta

– secondo me, illegittimamente, ai fini della possibilità

di esercitare il suo diritto difensivo – di mettere a

disposizione quelle bozze, che, perciò, lui ignora, e

prova ne sia che le copie fornite dalla Difesa

dell’ingegner Consorte sono la fotocopia delle nostre,

cioè di quelle prodotte da noi; così, in udienza

preliminare – posso fare queste affermazioni, perché ho

contestato le affermazioni fatte dall’ingegner Consorte,

in sede di controesame, così, poi, le dichiarazioni

divengono utilizzabili -, l’ingegner Consorte, che aveva

detto: «Se avessimo chiuso con BBVA, tutti i problemi

nostri sarebbero stati risolti e non c’era più bisogno di

pensare a niente», viene documentalmente sconfessato, sul

punto della indisponibilità ad andare in Consob. E perché

viene documentalmente sconfessato? Beh, a parte la

ragione logica, che capisce chiunque, che chi veramente

aveva interesse a questo era proprio Banca di Bilbao,

perché è la Banca di Bilbao, che aveva effettivamente

lanciato un’offerta pubblica.

Nelle prime due bozze, predisposte da Unipol e dai suoi

consulenti, di questa condizione non c’è traccia; questa

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condizione compare nella premessa della bozza redatta su

incipit del cliente, l’avvocato Arbisu, ai propri

consulenti legali dello Studio Ughi e Nunziante, e lì vi

è la condizione che tutto è valido, se non vi è un

mancato dissenso, da parte di Consob. Per essere precisi,

l’efficacia della proposta è soggetta al fatto che Consob

non abbia espresso, neppure verbalmente, un giudizio

negativo, sul contenuto della stessa; solo a seguito del

verificarsi di tali condizioni, tale proposta diventerà

vincolante, per la proponente, che era, per l’appunto,

BBVA, ed è per questo, che compare Artigiancassa. Non c’è

più la possibilità di dire: «È caduta per

l’indisponibilità di BBVA», il dato è documentalmente

smentito e, tra parentesi, è di nessun pregio, il

tentativo del gioco delle tre tavolette, fatto dal

professor Gualtieri, di comparare la bozza 3 con la bozza

1: la bozza 3 non è una risposta alla bozza 1, la bozza 3

sostituisce integralmente la bozza 1, come bozza

negoziata, sulla quale interviene l’accordo tra avvocati.

Compare Artigiancassa e, si noti bene, in tutti i

comunicati ufficiali fatti da Unipol, fino a quel

momento, si diceva della esigenza di tutela di BNL Vita,

ma non si diceva una parola, sull’esigenza di tutela di

Artigiancassa, ma questo lo capisce benissimo chiunque;

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voglio dire, fai saltare un’operazione di offerta

pubblica, per Artigiancassa? Ma non gliene fregava niente

- chiedo scusa, per l’espressione – a nessuno, di

Artigiancassa, c’era il problema di ordine giuridico,

quello lo comprendevano tutti, ma non era certo ragione,

per farlo saltare, come non lo era BNL Vita, nella

maniera più assoluta; dopodiché, che l’interesse di

Unipol fosse, in realtà, tutt’altro, lo riconfermano i

numeri, la logica e i fatti.

In sede di controesame del professor Gualtieri abbiamo

già potuto vedere quali erano i numeri spesi da Unipol,

per andare a sedersi al tavolo di quella trattativa, e li

abbiamo potuti confrontare con quello che era l’effettivo

valore del 50% di BNL Vita; la sproporzione è drammatica:

spende un miliardo, per andare ad acquistare qualcosa che

ha un valore che risulta, documentalmente, dal prospetto

di offerta di Unipol e dal progetto presentato a Frasca,

dell’ordine di 170 milioni, e, per l’amor di Dio, i

premi... ma gli utili dei premi, stimati dalla stessa

Unipol, al 2007... è di poco superiore all’ordine dei 300

milioni, e un certo equilibrio, tra valore e utili,

bisognerà che effettivamente possa rimanere; ma c’è di

più: dopo che ha speso tutti questi soldi, per sedersi al

tavolo della trattativa, va e si siede al tavolo di

quella trattativa? No, il 20 di giugno va, dopodiché, in

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realtà, si reca a Vicenza e si reca a Genova. Qui c’era

il suo problema di non rientrare in contraddizione.

Perché? Come motivava, che già trattava con le Popolari,

quando, per la verità, era aperto ancora un tavolo della

trattativa e ancora si stavano incontrando con BBVA? Che

poi questi soldi li avesse spesi per BNL, e non per BNL

Vita, ce lo ha riconfermato molto onestamente, devo dire,

il professor Gualtieri. Testualmente, rispondendo a una

mia domanda, in sede di controesame, a pag. 69 della

trascrizione, ad espressa domanda - «Quindi, in realtà,

quel miliardo non lo hanno tanto speso per sedersi al

tavolo della trattativa, ma per investire in BNL? Questo,

Lei mi ha detto finora?» -, risposta testuale: «Questo,

senz’altro».

Quando il Tribunale ha bisogno di interrompere, in

qualunque momento, ci possiamo interrompere.

Si dispone una breve sospensione. L’udienza riprende e si

procede come di seguito:

AVV. ACCINNI – Stavo ricordando, Signor Presidente e Signori

del Collegio, che la stessa Unipol nel proprio prospetto

informativo per l’OPA aveva stimato per il 2007, per il

100% di BNL Vita, un utile del 37,66%, per essere

precisi, e che, alla mia domanda al professor Gualtieri –

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«Quindi, in realtà, quel miliardo non lo hanno tanto

speso per sedersi al tavolo della trattativa, ma per

investire in BNL? Questo, Lei mi ha detto finora?» -, la

sua risposta testuale fu: «Questo, senz’altro».

È poi notizia di questi giorni, che l’attuale Unipol, in

persona del suo attuale amministratore delegato, Carlo

Cimbri, ha venduto il 51% di BNL Vita - il 51%, perché

aveva acquistato un 1%, per poter consolidare i premi da

BNP Paribas - e, successivamente, alla scadenza del

contratto fatto ha venduto ad un prezzo, il 51%, di 323,2

milioni. Si dirà: «Certo, aveva acquistato la rete

distributiva di Arca Vita», e va benissimo, però, se

avevamo bisogno di una riconferma, che non è che non

esistessero altre strade e altre alternative, l’abbiamo

avuta. Non è vero, che non vi fossero altre alternative,

ma la verità è che questa trattativa non è mai fallita e,

per quanto paradossale possa sembrare a prima vista, su

questo sono d’accordo, tanto BBVA quanto Unipol, nella

persona di Toragno e nella persona dell’ingegner

Consorte...

Rispondendo a una domanda del Presidente, il teste

Toragno così ha risposto... il Presidente chiedeva: «Ma

Lei quando ha avvertito che questa trattativa sia

fallita?». «A me, mi ha stupito, io pensavo che c’era un

accordo, che andremo in Consob, io l’ho visto così.

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Veramente, la trattativa, io ho visto che si è rotta, il

15 luglio, quando Consorte mi ha detto che non c’era la

trattativa, perché avevano il 51%». La trattativa

veramente si interrompe, soltanto, quando non ha più

necessità effettiva di poter e dover essere, perché il

piano A è approdato in porto e lì può finalmente

ormeggiare sicuro.

L’ingegner Consorte, parlando il 5 di luglio con

l’onorevole Fassino, testualmente riafferma: «Noi

sostanzialmente, con gli spagnoli, un accordo l’abbiamo

raggiunto...». Anzi, non “sostanzialmente”, di fatto,

proprio, concreto. «... e naturalmente ci siamo riservati

di sentire i nostri organi». Ha soggiunto: «Rispetto a

questo accordo, che non lo sa nessuno, non lo sa nessuno,

sennò gli avvocati così...», e puntini di sospensione.

Fassino gli domanda ragguagli, sui contenuti

dell’accordo, e Consorte gli spiega: «L’accordo si

configura che noi aderiamo alla loro OPS, loro ci danno

il controllo di BNL Vita, ci passano le quote e ci danno,

anche, proprio tutti gli asset». Quindi 8 miliardi di

euro, che BNL Vita gestisce, cioè tutta l’azienda,

proprio. Queste stesse cose le riconfermerà, il giorno

dopo, a Vanes Galanti, in altra telefonata, appunto,

dell’indomani.

Ora, per vero, ha preso anche un po’ un abbaglio,

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l’ingegner Consorte, quando, nella fase delle indagini,

ha ritenuto di dover individuare l’esatto dies a quo, che

pure ai fini dell’imputazione non è necessario dover

individuare, perché quello che solo rileva è che

l’insieme delle condotte ha realizzato quella distorsione

della realtà, che costituisce l’aggiotaggio manipolativo

contestato, e fatto, sì, è che l’affermata tutela di BNL

Vita è uno dei momenti che ha concorso a realizzare

siffatta distorsione della realtà.

Un’ultima notazione, non così secondaria: per seguire

tutta la parte delle trattative, Unipol si è avvalsa di

uno studio, che non era lo studio dell’Avvocato Giani, ma

che era lo studio dell’Avvocato Carlo Pedersoli. Chi lo

conosce bene, sa il fastidio che ha provato, a dover fare

la figura di un avvocato di secondo piano, ma in realtà

non è un avvocato di serie B, per nulla, è che era

l’avvocato utilizzato per il piano B, che è cosa

completamente diversa. Il significato di questa scelta,

appunto, non è irrilevante: il perseguimento del piano A

è affidato allo studio dell’avvocato, presente sin dal 18

di marzo, ed è lo studio dove si recherà, l’avvocato

Pasquale Marini, a portare la bozza siglata dagli

avvocati, proprio il 30 di giugno. Loro non possono

sapere, ma lo studio dell’avvocato Giani si trova di

fronte a quello degli avvocati Ughi e Nunziante, a Roma.

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Nello studio dell’avvocato Gianni, l’avvocato Pedersoli è

presente, ma addirittura non sapeva della presenza

dell’ingegner Consorte.

L’ingegner Consorte dichiara testualmente: «Non dovrebbe

essere stato presente, perché io ho segnato la presenza

mia, del dottor Sacchetti e del dottor Cimbri»; anzi ci

ha ancora spiegato che non solo non è stato lui, a

redigere quella stessa sera l’istanza alla Banca

d’Italia, per l’autorizzazione a salire al 15%, ma che

neppure ne era stato informato, neppure sa che stanno

redigendo l’istanza di autorizzazione, a Banca d’Italia,

a salire al 15%.

È lui stesso, a chiarirci: «Io sono stato coinvolto,

personalmente, fino a quella famosa riunione del 1°

luglio. Ricordando, oggi devo dire che, da allora in poi,

non io, ma al mio studio fu delegato il ruolo di back

office. Produttori di carta, non partecipammo più a

riunioni e neanch’io fui informato delle negoziazioni in

corso».

L’ingegner Consorte, rispetto a quanto ha dichiarato

nella sua telefonata all’onorevole Fassino, potrà, forse,

ancora venire a dirci, e ha facoltà, fino alla fine, di

intervenire... ma il significato era: «Noi avremmo

comunque potuto anche riaprire i termini di quella

trattativa». Non è quello che dice all’onorevole Fassino,

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che è l’interlocutore con cui non ha ragione di mentire,

ma, quand’anche questo dicesse, si riconfermerebbe che

Unipol non ha posto in essere un’OPA, per un’esigenza di

tipo difensivo; questo tipo di esigenza non c’era, non è

stata costretta, dall’assenza di altre alternative, a

tutelare il suo investimento, in BNL Vita. È stato

costretto a contraddirsi più volte; questa, che era una

delle due architravi della sua memoria difensiva, in fase

di indagini, «Abbiamo iniziato a lavorare, sull’OPA, solo

dopo il fallimento della trattativa» - l’altro caposaldo

era: «BPER era a sé, non era vincolata a noi» -, viene

meno e lui perde ogni credibilità. L’altra riconferma è

che Unipol stessa, se il piano A non fosse potuto

approdare in porto, avrebbe aderito all’OPS di BBVA.

Veniamo, quindi, a completare questa parte, inerente,

diciamo così, alla parte Unipol, e lo faremo, molto

velocemente, affrontando, ancora, soltanto un paio di

temi. Il primo di questi è il comunicato del 18 di

luglio, che per noi è molto importante, per due ordini di

ragioni: il primo ordine di ragioni è che l’ora X, in cui

tutto si deve compiere e in cui tutto si realizza, cioè,

è la conferma dell’unità cronologica e di contesto, e il

secondo momento di rilevanza è che è anche, in sé, falso

e intrinsecamente perturbativo: non solo il comunicato

del 18 luglio altro non è che il tentativo di trovare un

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modo formalmente corretto, per disvelare una situazione

che si era potuta costruire e realizzare in modo

illecito, ma è, soprattutto, la prova dell’unità di

contesto cronologico ed il punto di arrivo di quella

univocità di spinta che aveva avuto il suo momento di

inizio, sin dal 19 di marzo, a casa del governatore.

Quella del 18 di luglio non è data casuale: intanto vi è

che Unipol ricevette da Banca d’Italia l’autorizzazione a

crescere sino al 15%, soltanto il 15 – “soltanto”, si fa

per dire - di luglio; quindi, in assenza di quel

provvedimento formale, nessuna comunicazione avrebbe

potuto essere fatta e non si poteva arrivare prima.

L’autorizzazione di Banca d’Italia arriverà in tempo

utile, ai fini del comunicato del 18 di luglio, perché

neppure si sarebbe potuti arrivare dopo... non si poteva

arrivare prima, ma non si poteva arrivare dopo. E perché

non si poteva arrivare dopo? Non si poteva arrivare dopo,

perché il 18 di luglio era l’ultimo giorno, ancora utile,

in cui BBVA avrebbe potuto richiedere la proroga, anche

finalizzata ad un rilancio, del periodo di adesione alla

propria offerta, che sarebbe scaduta il successivo

venerdì 22 di luglio. La proroga del periodo di adesione

alle offerte in aumento – nel nostro caso non si può

parlare, tecnicamente, di un rilancio, perché non è

un’offerta tecnicamente concorrente -... possono infatti

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essere effettuate fino a tre giorni di mercato aperto,

prima della data di chiusura del periodo di adesione, lo

prevede l’art. 43 del regolamento Emittenti; quindi, per

effettuare la proroga dell’offerta di aumento,

l’offerente deve comunicare a Consob e al mercato questa

sua iniziativa e pubblicare un supplemento al documento

di offerta, previa autorizzazione alla pubblicazione, da

parte di Consob; in pratica è quindi necessario

effettuare il comunicato al mercato e alla Consob, dare a

quest’ultima il tempo materiale di esaminare il

supplemento e approvarlo, per poi pubblicarlo non più

tardi del terzo giorno antecedente alla chiusura del

periodo di adesione. Nel caso di specie, il periodo di

adesione sarebbe terminato venerdì 22 luglio, quindi

sarebbe stato necessario pubblicare un piccolo

supplemento, non più tardi di martedì 19 luglio, ma, per

fare questo, BBVA avrebbe dovuto presentare alla Consob

la bozza di supplemento ed effettuare il comunicato, al

mercato, non più tardi del 18 di luglio, magari avvisando

anche, un paio di giorni di prima, gli uffici, essendo

che avrebbero dovuto convocare i commissari, per il

lunedì. Il comunicato viene pubblicato nella tarda

mattinata del 18 di luglio e la scelta di uscire allo

scoperto, in questo momento, è esattamente la necessità

imposta, a significare il definitivo e irrimediabile

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affossamento dell’OPS di BBVA.

Torneremo sulla prospettazione del problema del rilancio

e anticipiamo questo: l’unica evenienza che avrebbe

potuto indurre BBVA a un rilancio, beh, sarebbe stata,

intanto, di avere avuto un’offerta con cui potersi

confrontare; secondo, rispetto a una target che fosse

davvero contendibile e il terzo è di potersi misurare con

dei meccanismi di mercato che non fossero stati alterati

dalla condotta illecita.

Ancora al 18 di luglio, l’unica offerta giuridicamente e

finanziariamente vincolante è quella di BBVA. Qui c’è il

paradosso, e il paradosso è che il rispetto delle regole,

da parte di BBVA... avendo lanciato un’offerta pubblica

di scambio, sono diventate la ragione della propria

sconfitta, nel senso che lei quelle regole le ha seguite

competendo con altri, che hanno agito, invece, al di

fuori di quelle regole.

Ricordo che Gonzalo Toragno con un’espressione abbastanza

simpatica dice: «Mai abbiamo rilanciato». Perché

rilanciare, e sotto che scenario? «Lo scenario era uno

scenario dove noi avevamo messo un’offerta pubblica di

scambio e non c’era nessuno che... c’erano tanti, facendo

la piccola compera, però pensavamo che erano

speculatori». Ecco l’effetto della distorsione della

realtà: impedire ad altri di comportarsi di conseguenza e

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agire correttamente. Non erano speculatori, è una realtà

che si è fatta passare inosservata e la realtà è che non

c’era altra offerta, per competere; pertanto non aveva

ragione. Questo era prima del 18 luglio; dopo il 18 di

luglio c’era il 51%, in mano di Unipol e dei suoi amici –

e il Tribunale già conosce il contenuto del comunicato

del 18 luglio, che appunto non è espressione di rispetto

delle disposizioni degli artt. 102 del TUF e 37 del

regolamento Emittenti -, e questo avverrà solo il 16 di

agosto, ma è espressione di rispetto della disposizione

di cui all’art. 114 del TUF.

Cosa ci dice, il dottor Savini, rispetto al contenuto di

questo comunicato? «Da un punto di vista, diciamo, della

price sensitivity, per quanto riguarda un comunicato di

quel tipo, due erano gli elementi essenziali: “Avete

raggiunto, o non avete raggiunto, il 51%?”». Cioè la

società BNL. «È ancora una società oggetto di

competizione, o non lo è più?». Questo, lui dice. Il

secondo è il prezzo. Questo, lui dice, è l’elemento

rilevante, che qualifica la price sensitivity.

E allora, il carattere intrinsecamente ingannatorio di

quel comunicato è che non dice che la società non era più

contendibile, non lascia comprendere che la società non

era più contendibile, badate, sia che sussista, sia che

non sussista un patto parasociale, anche con BPER e anche

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con Deutsche Bank, perché Deutsche Bank aveva comunque un

impegno di lockup, a non aderire ad altra offerta, e

perché BPER, concertata o non concertata, aveva comunque

una partecipazione, che affermava indipendente, il che

voleva significare indisponibile, rispetto all’OPS di

BBVA, il che significa che, in ogni caso, la banca a quel

momento non è più contendibile, secondo gli stessi

parametri che ci indica il responsabile per la

comunicazione al mercato, di Consob; che poi il concetto

di raggiungimento del 50% più 1 sia da intendersi in

senso negoziale, lo chiarisce lo stesso ingegner

Consorte, nel corso di una telefonata con Vanes Galanti,

del 5 di luglio. Al collega, che non comprendeva la

strategia che si voleva perseguire, Consorte spiegò: «Eh,

certo, devi fare dei contratti, sennò è il solito

meccanismo. Dobbiamo avere in mano il 51, Vanes, prima».

Siccome Galanti aveva ventilato il problema della

mancanza di autorizzazione, Consorte soggiunse: «Il 51%

sarebbe stato così raggruppato: o di persone che

aderiscono e se le tengono, o di quelle che escono e te

le vendono; ma è assolutamente regolare, come contratto».

Galanti dimostra di comprendere e osserva: «Solo che devi

trovare chi le compera sottosoglia...» e Consorte non

tarda a confermargli che è proprio così.

Esistono, agli atti, una pluralità di telefonate,

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intercettate prima della data del 18 di luglio, nelle

quali Consorte, conversando con altri interlocutori,

dichiara che avevano già il 50% più 1, e il Tribunale le

conosce, sono richiamate nella memoria e non le sto a

ripercorrere.

Forse, le Difese vorranno poter obiettare che in realtà

era un po’ una sbruffoneria da imbonitore, quella di

Consorte, che faceva ricorso, per convincere i possibili

partner, della bontà dell’operazione, o i colleghi, della

propria abilità negli affari, senza, però, che le sue

parole corrispondessero ad effettivi assetti azionari.

Non è quello che dice e neppure (inc.) suona la

conversazione intercorsa, la sera del 15 luglio, tra

l’ingegner Consorte e Gonzalo Toragno; invero, la sera

del 15 luglio è Gonzalo Toragno, che telefona a Consorte,

per cercare, finalmente, di poter comprendere quale fosse

la strategia di Unipol e per ribadire la disponibilità a

chiudere l’accordo, quindici giorni prima. Consorte

descrisse quindi l’operazione - peraltro, non senza

mancare di rilevare che, testualmente, «né i giornali, né

nessuno ha idea, di quello che noi faremo» -, quindi

informando il proprio interlocutore che «detto fra me e

te, noi abbiamo già il 51» e subito soggiungendo: «Non

blufferei, io non sono abituato a raccontare balle, non è

nel mio carattere». Noi gli crediamo, tanto più che a

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quel momento non era più costretto a raccontare balle;

infatti vi sono anche delle circostanze successive, che

riconfermano la riferibilità, all’operazione di Unipol,

di una quota, di BNL, superiore al 51%.

Ci hanno ricordato, i testi Toragno e Arbisu, che, nel

gennaio del 2006, Carlo Cimbri prende nuovamente contatto

con BBVA e gli propone la cessione, in unica soluzione,

del 51% del capitale BNL, a un prezzo di 3 euro. Ricorda

Toragno: «Avevamo avuto questa riunione, dove Unipol ci

offre il 51% di BNL, a un prezzo di 3 euro, se non

ricordo male, e anche chiede che noi rinunciassimo a

tutte le azioni legali che fossimo a fare.

È interessante, ancora, ricordare che il prezzo richiesto

fu motivato, da Cimbri, con l’esigenza, per Unipol, di

rientrare di tutte le spese sostenute. La sua forma di

calcolare il prezzo... «Ci hanno spiegato che non

potevano abbassarlo, perché erano i costi che avevano

avuto; avevano comprato a un prezzo, aggiungevano tutti i

costi di commissioni, che avevano pagato per comprare, e

il prezzo era questo».

In merito a questa seconda trattativa, il teste Arbisu ha

ricordato che, in cambio della vendita dell’intero

pacchetto di BNL, Cimbri chiese la cessione, ad Unipol,

dell’1% di BNL Vita e ha anche precisato che i

rappresentanti di Unipol non fecero cenno ad

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Artigiancassa.

E veniamo a Banca d’Italia. Vi è un dato, di premessa, su

cui questa Difesa e il consulente tecnico di Banca

d’Italia sono perfettamente concordi. Scrive il professor

Carbonetti, a pag. 25 della sua consulenza tecnica: «La

Banca d’Italia doveva valutare, contemporaneamente,

diversi progetti, in modo che gli azionisti della BNL e

il mercato potessero scegliere la soluzione ritenuta di

maggiore interesse, e, una volta ritenuti validi i

progetti, la Banca d’Italia non poteva operare in modo da

privilegiarne uno». Verissimo, peccato che è,

esattamente, quanto non si è verificato, peccato che sia

mancata proprio la coerenza, con siffatta premessa, e i

comportamenti di Banca d’Italia sono stati la negazione

di siffatta premessa, una premessa che pure ripresenta il

solito vizio, chiamiamolo così: è vero, infatti, che vi

erano due progetti e non meno vero è che vi era una sola

offerta.

Richiesto, da questa Difesa, di chiarire se Banca

d’Italia non avrebbe potuto aspettare la scadenza del

periodo di adesione dell’OPS di BBVA, per pronunciarsi in

ordine alla richiesta, di Unipol, di autorizzazione a

salire al 15% del capitale sociale di BNL, l’ex

governatore testualmente ha risposto: «Non ne vedo il

motivo, per fare questo: erano concorrenti...». Le

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offerte non erano concorrenti, vi era una sola offerta

pubblica, quella di BBVA. Così, a fronte di siffatta

obiezione, il dottor Fazio dovrà correggersi: «...

concorrenti nelle intenzioni». Diciamo, nelle intenzioni

era concorrente», intenzioni a cui Fazio e Frasca non

erano affatto estranei. Banca d’Italia non poteva

aspettare il 15 luglio, perché quella autorizzazione

doveva arrivare prima del 18 di luglio. Solo lo stesso 18

di luglio, BBVA, che aveva anticipato la propria OPS sin

dal 18 di marzo, potrà quindi conoscere, con definitiva

certezza, almeno i termini della propria offerta, che

pure sarebbe scaduta già la settimana dopo, salva,

sempre, quella verifica, riservata a posteriori, ex post,

da parte di Banca d’Italia.

La data del 15 luglio, esattamente al pari di quella del

18 di luglio, è la prova della riconferma dell’unità di

spinta e di un contesto cronologico mai spezzato; le date

del 15 e del 18 di luglio sono intimamente interconnesse,

una in funzione dell’altra: i due momenti in cui può

perfezionarsi il piano A e i due momenti che evidenziano

la prova di unità di contesto e di cronologia. Quel

principio di spinta, di cui lo stesso governatore si fa

protagonista, a casa sua, sin dal 19 di marzo, si propaga

fino al rilascio, in data 15 luglio, di

un’autorizzazione, che non vi era ragione di negare, ed

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infatti non fu negata, ma che, non tempestivamente

rilasciata, ha consentito l’effetto di porsi come solo

formalmente legittima, concretizzandosi, nella sua realtà

e sostanza, alla stregua di un’autorizzazione

illegittimamente negata, un’autorizzazione che si connota

per la sua idoneità e capacità fraudolenta a determinare

un danno ingiusto, al pari delle autorizzazioni concesse

ad Unipol, che avevano definitivamente modificato gli

assetti proprietari di BNL, così impedendo qualsivoglia

possibilità di positiva conclusione dell’OPS di BBVA: il

flottante era stato rastrellato, un controllo di diritto,

e poi, addirittura, perfino di fatto, non è, più,

concretamente possibile e la banca non era più

contendibile.

L’autorizzazione a BBVA è stata rilasciata in data 14

luglio 2005, ma comunicata allo stesso Istituto, senza

telefonata, a mezzanotte, e senza baci in fronte, con

l’invio, anzi, di asettico fax, non a caso ritardato al

giorno successivo, il 15 luglio, appunto, ultimo giorno

formalmente utile, a far tempo dalla richiesta di BBVA,

che pure si era posta come necessaria, a seguito delle

precedenti, e lo stesso giorno in cui, con la stessa

tempistica ad orologeria, è stata inopinatamente

concessa, al gruppo Unipol, l’autorizzazione a salire al

15%, trascorsi solo quindici giorni dalla sua richiesta,

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a fronte di un termine che avrebbe potuto essere

prolungato fino a sessanta giorni, ponendosi, Unipol, al

di fuori di qualunque ambito di offerta pubblica. La

responsabilità di Banca d’Italia è appalesata in questa

data. Qual era, infatti, la realtà di BNL, che poi

determinerà l’epilogo del 15 luglio e, quindi, del 18 di

luglio? Il Tribunale lo sa bene, era quella di un patto

che riuniva oltre il 28%, di un contropatto che riuniva

circa il 24,2% e di un terzo patto parasociale che

riuniva il 7,8 e rotti percento; quindi, il cosiddetto

flottante della restante parte del capitale era pari a

circa il 37,9%, comprendendo il cosiddetto pacchetto

argentino, oltre a quella partecipazione assunta dal

gruppo Unipol, inizialmente pari all’1,97% e, quindi,

appunto autorizzata sino al 14,99%.

Ora è noto che l’acquisto del capitale sociale flottante

assumeva importanza decisiva, per il buon esito

dell’offerta e, quindi, per la garanzia del controllo di

BNL Vita - più azioni del flottante venivano rastrellate,

maggiori erano le possibilità di far fallire l’OPS di

BBVA -, ed è anche noto che, per tutto il periodo di

offerta, BBVA è stata obbligata a rispettare le norme,

volte a garantire parità di trattamento, e non

discriminazione, nei riguardi degli azionisti di BNL,

secondo le previsioni normative, intese a spingere

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l’offerente – in questo caso, BBVA – a non modificare

l’offerta e a non acquistare azioni a un prezzo diverso

da quello stabilito al momento del lancio dell’offerta,

e, per contro, gli azionisti, diversi da BBVA, hanno

potuto trattare le azioni BNL, per acquistarle a un

prezzo più alto di quello indicato, da BBVA, nel proprio

prospetto.

Il rilascio dell’autorizzazione di Banca d’Italia, per

modalità e tempi in cui si è di fatto sviluppata, ha,

dunque, direttamente tutelato un’opportunità, di Unipol,

non il buon funzionamento di BNL. I provvedimenti

autorizzativi del 15 di luglio sono intervenuti

allorquando il controllo di BNL era stato assicurato

altrove, in capo a chi agiva al di fuori di qualunque

offerta pubblica di acquisto, così consacrando la

definitiva, quanto reale, impossibilità, di BBVA, di

esercitare anche e solo quel controllo, ai sensi

dell’art. 23 del TUF, l’accertamento della cui

sussistenza si sollecitava vanamente, da tempo,

all’Istituto di vigilanza, anche nell’ambito di un’OPS

che lo stesso aveva già autorizzato.

Il rilascio di un’autorizzazione, che potremmo definire

veramente tale, autorizzazione, ossia, tempestiva,

avrebbe consentito a BBVA di poter venire a disporre

almeno del 30% del capitale sociale di BNL, ciò che,

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dobbiamo poter ritenere, avrebbe significato la

possibilità di riconoscimento dell’esercizio di una

situazione di controllo, prevista dal secondo comma

dell’art. 23 del TUF, e lo dobbiamo poter ritenere,

perché, nessun altro avendo lanciato nessun’altra offerta

pubblica, questo significava che nessun altro aveva

superato la soglia del 30%.

Alla data del 15 luglio, l’autorizzazione, che pure non

poteva essere negata, viene concessa, allorquando è

inutile, ed è un’autorizzazione, consapevolmente,

inutilmente data. L’unità di contesto e di cronologia ha

quindi la propria riconferma di prova: l’autorizzazione a

BBVA è stata rilasciata in un tempo che si sapeva

inutile, ai fini per cui era stata richiesta, e quella al

gruppo Unipol, rilasciata in tempo utile... sappiamo che,

alla data del 15 luglio, il gruppo Unipol già disponeva,

in virtù di contratti di opzione stipulati in data 1°

luglio, della possibilità di incrementare la propria

partecipazione sino al 14,92% del capitale sociale

ordinario e che, al 18 di luglio, Unipol si dichiarerà

alla guida di un patto che disponeva di oltre il 40% del

capitale sociale.

Ora, non solo il C.T. della Difesa, nel passaggio che ho

ricordato in premessa, ma lo stesso ex governatore ha

chiarito che le due istanze non potessero essere decise

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in modo atomistico, così come, invece, è stato. È lo

stesso Fazio, a ricordare e a chiarire la sua

consapevolezza, in ordine al fatto che è possibile

controllare una banca anche con il controllo di fatto,

però questo dipende dalle circostanze del mercato e del

possesso azionario; dev’essere una situazione di

diffusione del mercato azionario, che permette e fa sì

che un 40%, o un 30, o un 35 permetta il controllo di

fatto, e dipende... ma non è sempre così, perché, se Lei

ha di fronte due gruppi potenti, un gruppo, ad esempio,

al 30% e un altro gruppo che ha il 27-28, diciamo, e se

questo 27-28 trova un facile accordo con altri azionisti,

non si controlla, più, nemmeno il 30. L’unico controllo

sicuro è quando si supera il 50; l’unico controllo

sicuro, cioè, è quello che si realizza al 18 di luglio,

grazie all’autorizzazione rilasciata il 15 di luglio, ed

è quello stesso controllo per cui BBVA aveva

originariamente chiesto di essere autorizzata.

Questa contraddizione dell’iter autorizzativo è solo

apparente, avendo in realtà, nella data del 15 di luglio,

la sua reale e chiara spiegazione e di ragione d’essere,

altro che contraddittorietà delle richieste di BBVA, come

è stato lamentato. L’organo di vigilanza è preoccupato,

della governance di BNL; perciò, nel proprio

provvedimento, in data 13 maggio, e nella successiva

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lettera del 10 giugno 2005, sostanzialmente modificativa

della precedente autorizzazione, precisa a BBVA che

l’acquisizione di una soglia idonea a conseguire almeno

l’influenza dominante non sarebbe individuabile a priori

e che, perciò, Banca d’Italia avrebbe atteso l’esito

dell’OPS, per verificare la partecipazione in concreto

acquisita da BBVA e quindi l’esistenza, o meno, del

controllo; nessun via libera, dunque, in quel momento

topico, nel corso del quale, da metà maggio, verrà

rastrellato quasi tutto il flottante in circolazione, se

non a condizione di accertare, ex post, se BBVA avesse

assunto una partecipazione tale da consentire il pieno

controllo di BNL, ed ex post non si sarebbe sicuramente

potuto accertare, in capo a BBVA, alcun pieno controllo

di BNL Vita, per la semplice ragione che era già stato

assicurato altrove e, comunque, a BBVA reso

indisponibile.

Sappiamo i meccanismi di attribuzione del voto di lista e

non sto a tornare su questo; voglio però rilevare che

quelle condizioni... Banca d’Italia conosceva assai bene

la possibilità di esercizio di un’influenza dominante, ai

sensi del secondo comma dell’art. 23, e il fatto che la

guida di BNL sarebbe stata più sicura, se il controllo

fosse stato acquisito da un soggetto che

istituzionalmente operava nel settore dell’attività

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bancaria. Che le conoscesse assai bene, queste due

condizioni, lo dimostrano i comportamenti, le

dichiarazioni dell’ex governatore, i suoi provvedimenti

autorizzativi e quell’opera di moral suasion, che appunto

è stata fatta, non a caso, nei confronti dei principali

players bancari - Monte dei Paschi, Intesa, Unicredit, di

Alessandro Profumo, e Banca Popolare di Verona e Novara

-, due condizioni note anche a BBVA, che, proprio a

fronte di siffatta consapevolezza, ha maturato

l’intenzione di acquisire il controllo della BNL, ma ha

avuto il torto di farlo attraverso un’offerta

trasparente, rivolta a tutti i detentori di azioni

ordinarie, alle stesse condizioni.

La stabilità degli assetti proprietari, che avrebbe

potuto derivarne, costituiva una condizione essenziale,

affinché BNL potesse crescere ed al contempo rafforzare

le proprie strutture organizzative, e BBVA lancia la

propria offerta, quella offerta pubblica di scambio che

sarà la ragione della sua procurata sconfitta.

È vero, anche, che il progetto industriale di BBVA era

già stato vagliato da Banca d’Italia ed è vero che con il

suo provvedimento autorizzativo del 13 maggio aveva

riscosso una valutazione del tutto favorevole, sennonché

la notizia del rilascio dell’autorizzazione condizionata

ha intanto provocato, nel mercato, immediate ricadute,

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consistenti nel rastrellamento massiccio di azioni BNL,

da parte di operatori, evidentemente, a loro volta ostili

all’OPS di BBVA, e con una condizione, che è poi

scomparsa all’improvviso, dopo, cioè, undici giorni dalla

sollecitazione di BBVA, in data 30 maggio 2005, anche se

il provvedimento autorizzatorio resterà, prudenzialmente,

non privo di sproporzionate limitazioni; per cui, Banca

d’Italia farà dipendere il buon esito dell’opzione di

BBVA da un criterio, appunto, di applicazione, ex post,

pur privo di qualunque ragionevole prevedibilità,

disancorato, com’era, da qualunque criterio, trasparente,

obiettivo, determinato e normativo: la verifica positiva,

sulla fluidità dei processi decisionali; ecco perché BBVA

è stata costretta a chiedere a Banca d’Italia l’ulteriore

autorizzazione ad acquisire una partecipazione inferiore

al 30%, quella appunto concessa col provvedimento del 15

luglio, allorquando, comunque, inutile, altro che una

novità rilevante, per la quale era necessaria

un’istruzione diversa da quella fino a quel momento

effettuata dall’organo di vigilanza, come si esprime il

consulente tecnico della Difesa, una richiesta imposta

dalla non imparziale reattività dell’istituto, pur

nell’ambito di un’offerta pubblica, che era, sì,

autorizzata, ma che non si doveva concretamente

consentire, in fatto, a differenza dei provvedimenti

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autorizzativi, riconosciuti a Unipol, che avevano effetti

immediati, nel senso di poter garantire subito

l’acquisizione delle azioni, ad un prezzo ben più alto,

rispetto a quello stabilito da BBVA, al momento del

lancio dell’OPS.

Il rastrellamento di azioni di BNL, reso, dunque,

immediatamente possibile al gruppo Unipol, per effetto

delle autorizzazioni di Banca d’Italia, ha di fatto

condizionato quel flottante, che assumeva importanza

decisiva, per il buon esito dell’offerta, ai fini del

raggiungimento proprio di quella soglia, idonea a

garantire la stabile governance di BNL, come imposto da

Banca d’Italia, a BBVA, nei menzionati provvedimenti del

13 maggio e 10 giugno 2005.

Il gruppo Unipol si è assicurato buona parte del capitale

flottante, mentre BBVA non poteva acquisire un’azione. A

nulla varrebbe, l’obiezione che il gruppo Unipol, al pari

di chiunque altro, poteva acquistare azioni di BNL e non

poteva non essere autorizzato; infatti non è, questa, la

censura che noi stiamo muovendo, il punto è altro, ed è

un punto decisivo: Banca d’Italia ha istruito e deciso la

sorte delle istanze del gruppo Unipol e quella di BBVA,

in modo atomistico, quasi che non fosse già stata

rilasciata, l’autorizzazione, a BBVA, e, dunque, senza

logica, né coerenza apparenti e di contraddizione,

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proprio, con quella premessa, indicata nella ricordata e

condivisa c.t. della Difesa, una coerenza, nei

comportamenti, che è mancata nella forma, ma che è stata

ben consapevolmente rispettata nella sostanza, di quanto

davvero istigato, voluto e consentito dall’ex governatore

e, con lui, dall’ex capo della vigilanza.

L’ex governatore non dice affatto il vero, quando afferma

che, per venire incontro alle esigenze di BBVA, sarebbero

stati particolarmente concessivi. È perfino grottesco, il

tema difensivo della tutela dell’investimento di Unipol,

in BNL Vita, una tutela, intanto, che non rientrava tra

le condizioni che avrebbero avuto ragione di essere

tenute presenti dall’organo di vigilanza, al fine del

rilascio dell’autorizzazione, e questo perché il criterio

imposto per legge era solo quello della sana e prudente

gestione di BNL, non di jointventure costruite tra BNL e

società non operanti nel settore bancario, BNL Vita, e

sappiamo che, a metà di luglio, Fazio e Frasca non

potevano credibilmente ritenere che Unipol continuasse a

investire miliardi, per presidiare BNL Vita, e non, già,

per assumere il controllo, di fatto, di BNL. Banca

d’Italia non ha semplicemente e acriticamente recepito le

dichiarazioni del gruppo Unipol, circa gli intendimenti

di tutela della partecipazione in BNL Vita, intendimenti

ben diversi da quelli che invece conosceva e doveva

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conoscere, circa l’intenzione, di Unipol, di poter

esercitare un’influenza dominante, quella stessa che sarà

disvelata, lunedì 18 luglio, grazie al contributo

consapevole dell’ultima autorizzazione di venerdì 15 di

luglio.

Non sto a ricordare il sollecito fatto dall’ingegner

Consorte, alla segreteria di Frasca, il 13 di luglio, lui

sa tutto, ci siamo visti questa mattina e, anche senza

siffatta, pur acquisita e ben pregressa, conoscenza –

ricordiamo l’incontro, già da aprile -, la tutela di

investimento di BNL Vita poneva quantomeno il seguente, e

non poco imbarazzante, dilemma, perché, delle due, l’una:

o per il gruppo Unipol era sufficiente acquisire il 9,99%

di BNL, per tutelare quell’investimento, atteso che la

sua prima istanza di autorizzazione, solo a questo scopo,

chiede di poter salire al 9,99%, ma allora non si

comprenderebbe la ragione della successiva istanza, di

salire fino al 14,99%, per la stessa ragione, e ancor

meno, quindi, la ragione di acritico recepimento

dell’istanza, nel secondo provvedimento, cioè quello del

15 di luglio, oppure le ragioni addotte dal gruppo

Unipol, a sostegno di entrambe le istanze, o, quantomeno,

della seconda, e questo già sarebbe sufficiente; erano

completamente diverse, mirando ad assumere il controllo

di BNL Vita, come disvelato il 18 di luglio, e nulla

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avevano a che fare con l’esigenza di tutela

dell’investimento in BNL Vita.

Allora, la domanda di non poco momento è la seguente: che

cosa sarebbe successo, se Banca d’Italia avesse respinto

le autorizzazioni di assunzione di partecipazione in BNL,

di Unipol, basate sulla falsa asserzione di voler

proteggere il proprio investimento in BNL Vita? Sarebbe

successo qualcosa che non è poca cosa: avrebbe indotto

Unipol a lanciare da subito un’OPA davvero volontaria e

trasparente. Ma qualcuno può, davvero in buonafede,

ancora credere che l’alterazione di tutti i meccanismi

sia saltata, in ragione della garanzia di un investimento

di Unipol in una jointventure assicurativa esterna a BNL?

Davvero nessuno. È vero che non sono stati tutelati né il

buon funzionamento di BNL, né il mercato, ma solo

quell’opportunità di Unipol, cioè, del fronte anti-BBVA,

a cui è stata data una consapevole sponda, perché è

l’unica alternativa possibile, a ostacolare e a impedire

l’OPS di BBVA.

Si è spinto, l’ex governatore, ad appoggiare un progetto

che pur non aveva un player bancario forte, e spiega e

motiva quella soddisfazione, che viene dipinta in forma,

addirittura, di autoerotismo, quando si trova un player

bancario: nessuno scrupolo, ad appoggiare il piccolo

Davide, con la sola preoccupazione dell’entità titanica

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di quello che era, per lui, lo sforzo finanziario

necessario – ecco la ragione di festa, per loro -, il che

ci riconferma, anche, che la qualità dell’acquirente non

è irrilevante. Non era in nulla irrilevante, la qualità

dell’acquirente, ai fini della valutazione che doveva

esprimere Banca d’Italia, e lo riconfermerà, Banca

d’Italia stessa, allorquando, a distanza di pochi mesi,

ma in composizione diversa – Fazio non più

governatore -, negherà l’autorizzazione ad Unipol,

espressamente rilevando, tra l’altro, che «circa la

qualità del soggetto istante, questo istituto ha

rappresentato che assumono rilievo, i procedimenti

giudiziari in corso, che coinvolgono sia esponenti di

vertice di Unipol, che solo di recente hanno rassegnato

le dimissioni dalle cariche, sia la stessa compagnia

assicurativa, nonché gli accertamenti compiuti dalle

Autorità di vigilanza» e concludendo che profili di

incertezza, derivanti dalle indagini giudiziarie e dagli

accertamenti ispettivi ancora in corso, non consentono

alla Banca d’Italia di disporre di un quadro informativo

compiuto, e definitivamente accertato, circa la

correttezza dei comportamenti del soggetto istante, e si

capisce: non ci si può preoccupare della stabilità della

società oggetto di acquisizione, senza per ciò stesso

preoccuparsi, al contempo, della qualità dell’acquirente.

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Sulla qualità di quell’acquirente, che pure si nascondeva

dietro alla fogliolina dell’affermazione di necessità di

tutela di BNL Vita, pesava il carattere, drammaticamente

elevato, dell’impegno finanziario dell’acquisizione;

basti richiamare il rapporto tra la capitalizzazione di

Borsa, di Unipol, verso la capitalizzazione di Borsa di

BNL: se si osserva la capitalizzazione di Borsa, espressa

dal mercato, al 31 marzo 2005, Unipol capitalizzava 2,6

miliardi di euro, mentre BNL, alla stessa data, 7,4

miliardi di euro; ossia Unipol capitalizzava e valeva, al

31 marzo 2005, il 35% del potenziale acquisto, cioè BNL.

Nei mesi successivi, questa proporzione non varia; anzi,

a seguito dell’incremento del prezzo, per azioni del

titolo BNL, il rapporto tra le capitalizzazioni di Borsa,

di Unipol e BNL, si incrementa: a giugno, Unipol

capitalizzava 3,1 miliardi e BNL 8,7 miliardi di euro e,

al 30 settembre 2005, il rapporto tra le capitalizzazioni

si incrementa, poi, ancora ulteriormente. Davide vuole

acquistare Golia. Evviva la non italianità di Nomura.

Solo per un confronto, BBVA capitalizzava, al 31 marzo

2005, oltre 43 miliardi di euro, e cioè, a dire, quasi

sei volte la capitalizzazione di BNL e più di dieci volte

la capitalizzazione di Unipol, alla medesima data.

Si riconferma, allora, come solo oggetto di tutela, in

concreto, e non sia stato un criterio normativo previsto

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per legge, quello della sana e prudente gestione, ma il

contributo consapevole a una determinazione, sin

dall’inizio voluta e quindi rafforzata anche nell’altrui

proposito, perché l’OPS di BBVA non poteva avere successo

e andava comunque ostacolata... meglio, se impedita.

I poteri di vigilanza non sono stati esercitati per i

fini per i quali sono stati istituzionalmente

riconosciuti, ma a consapevole contributo di

quell’unicità di spinta e di contesto, fortemente voluta

ed istigata dal suo primo autore, l’ex governatore, i cui

abusi hanno significato il tradimento della funzione di

vigilanza, che ha il proprio riconoscimento formale, per

il mercato, non contro il mercato, un mercato che Fazio

con Frasca hanno consapevolmente concorso a manipolare.

L’organo di vigilanza non è stato garante di un mercato

creditizio concorrenziale, con un obiettivo davvero

perseguito, in uno, con l’esigenza di stabilità del

sistema, ma ha fatto prevalere il suo carattere di

ostilità, nei confronti di un solo socio. La legittimità,

solo apparentemente formale, del provvedimento

autorizzativo del 15 luglio concorre a connotare le

condotte poste in essere, per la loro idoneità e capacità

fraudolenta, a tutela di interessi non legittimi e di un

solo gruppo di soci, ciò che non rientra, certo, nelle

funzioni dell’organo di vigilanza.

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BBVA non ha potuto dire al mercato se la sua offerta

fosse valida ed efficace, anche e soltanto in ragione del

conseguimento di un controllo di fatto, fino al momento

in cui siffatta possibilità non è stata resa nella stessa

realtà dei fatti, tamquam non esset, e Banca d’Italia ha

impiegato ben 73 giorni, a fronte di un periodo ridotto a

30, per il caso di OPA, riservandosi pure una valutazione

successiva, sull’esito dell’OPS. Unipol, che formalmente

non aveva promosso alcuna offerta, ha visto tutte le

proprie istanze autorizzate in soli 15 giorni, a fronte

di un periodo che poteva giungere sino a 60. E che la

qualità dell’acquirente fosse rilevante, ce lo

riconfermano proprio le pretese censure, mosse, da Banca

d’Italia, a BBVA: era azionista di riferimento, quella

banca, era una banca che aveva un sacco di problemi,

andava male e BBVA in qualche modo ne risponde.

Ora, la risposta a questa accusa è semplicissima: BBVA in

proprio non aveva la forza, di esercitare alcuna

leadership. Quello che è paradossale è che esattamente è

quello che ha chiesto BBVA: «Autorizzami, perché io possa

esercitare una leadership». Le si obietta, esattamente,

quello che le si è impedito, e di più, ancora, perché,

lanciando l’OPA, individualmente, avrebbe superato anche

quelle obiezioni, in forza delle quali si dice: «Sì, però

tu te ne stai con due soci che non sono bancari, Dorint e

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Generali». La lanci individualmente e, individualmente,

io ti sto chiedendo di poter esercitare una leadership.

Il silenzio che ha mantenuto Banca d’Italia, nonostante,

ancora, il sollecito che è stato formalizzato in data 5

di luglio, in ragione del quale BBVA non ha potuto

pubblicare quel supplemento del proprio documento

d’offerta, per chiarire con quali criteri e con quali

tempi di attesa, per il mercato, sarebbe potuto essere

stato riconosciuto il controllo, di fatto, che fosse

stato tenuto da BBVA, è equivalso, dunque, alla negazione

della possibilità di un corretto funzionamento del

mercato borsistico, corretto e tale da permettere pari

opportunità, per tutti i potenziali investitori.

La Suprema Corte di Cassazione, in tema di reato di abuso

d’ufficio, afferma un principio fondamentale, ai fini di

questo giudizio, statuendo che sia violazione di legge,

non solo quando la condotta sia stata svolta in contrasto

con le forme, le procedure e i requisiti richiesti, ma

anche quando essa non si sia conformata al presupposto

stesso, da cui trae origine il potere, caratterizzato,

a differenza dell’autonomia negoziale - quella tante

volte decantata dal professor Gualtieri -, dal vincolo di

tipicità e di stretta legalità funzionale; pertanto, il

potere esercitato per un fine diverso da quello voluto

dalla legge, e comunque estraneo alla pubblica

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amministrazione, si pone fuori dallo schema di legalità e

rappresenta, nella sua oggettività, offesa dell’interesse

tutelato, e vedremo, alla fine di questo intervento, che

cos’ha statuito, il Tribunale di Milano, in sentenza CIR,

quella famosa che ha dato origine a risarcimenti.

È mutato, nel nostro contesto... è stato violato, quel

dovere di imparzialità, costituzionalmente garantito

dalla Costituzione, che viene, anche a sé, a costituire

voce di (inc.), e non è neanche senza significato, che

Banca d’Italia si è dispiegata a esercitare la sua moral

suasion con tutti, tranne che uno: BBVA. È l’unica, che

considera BBVA una banca del Burundi; si rivolge a tutti,

ma non a BBVA, come se BBVA non fosse un player di tutto

rispetto e con una trac historia di acquisizioni e

integrazioni di successo. Addirittura, quando viene meno

l’offerta di Banca Popolare di Novara, non si acquieta e

dice: «Ma no, ma cercate di rilanciare, ancora, un po’ di

più» e loro gli dicono: «Neanche per sogno! 2,29, e non

un centesimo di più», e stiamo parlando di 20 centesimi

in meno, per azione, rispetto al concambio proposto da

BBVA. Monte dei Paschi gli dice: «Siamo appena rimasti

scottati dall’esperienza dell’acquisizione di Banca 121».

(inc.), rispetto a BNL. E allora non c’è difesa,

risorgimentale o non risorgimentale, dell’italianità, che

tenga. «Va benissimo, il principio, a condizione che tu

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faccia un’altra opzione, lecita e di mercato».

Per vero, il dottor Frasca a far tempo dal 4 di luglio,

come egli stesso ci ha spiegato, ha chiesto al

governatore di non doversi più occupare delle scalate, in

ragione della sua iscrizione nel registro degli indagati,

della Procura di Roma, per la scalata Antonveneta. Non

lascia il suo incarico di capo della vigilanza, ma dice

di non voler più assumere funzioni decisionali, con

riguardo alle scalate, e, quindi, anche a BNL, ed è vero,

pur tuttavia, che anche dopo il 4 di luglio non manca

evidenza di suoi interventi.

Così, per le non poco significative osservazioni, poste

dal dottor Castaldi, nel documento interno di Banca

d’Italia, intestato “Nota per il direttore generale”, in

data 6 luglio 2005, nel quale sono contenute le

valutazioni relative alle istanze di BBVA... vi si legge,

in particolare, che, circa le perplessità manifestate in

ordine alla connessione tra l’autorizzazione

all’acquisizione del 30% di BNL e l’autorizzazione che la

Banca d’Italia ha già concesso all’acquisizione del

controllo, si osserva che, in base alla normativa,

primaria e secondaria, i criteri di valutazione che

presiedono ai controlli sugli assetti proprietari non

variano, in relazione al fatto che l’istanza sia rivolta

all’acquisizione di una partecipazione rilevante, o del

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controllo di una banca; anzi si può affermare che la

severità, nell’applicazione dei criteri, debba crescere

proporzionalmente al peso della partecipazione da

autorizzare; quindi si conclude facendo presente che BBVA

in data 5 luglio ha sollecitato il riscontro alle

richieste di cui trattasi, al fine di poter adeguatamente

modificare il documento di offerta dell’OPS e fornire

così, al mercato, una pronta e compiuta informativa. In

calce al documento vi è l’appunto manoscritto del dottor

Frasca, che recita: «Dottor Castaldi, c’è un problema di

urgenza e intanto ti siglo la lettera. Tieni presente che

la giornata del 7 l’ho trascorsa, in larga parte, in

Procura, ma rimango perplesso, che nella lettera non si

ponga alcuna domanda...». Non credo che sia una

curiosità. «... circa la finalità di tale

partecipazione». Torno a ripetere, BPL e ABN avevano

illustrato le finalità. Ora, il riferimento a BPL e a ABN

pare, almeno, un po’ infelice, da parte di chi, proprio

per quella vicenda, aveva trascorso larga parte del

giorno in Procura, ma il punto ovviamente è altro, cioè:

che la risposta del dottor Castaldi è estremamente

chiara, a stigmatizzare, di fatto, il carattere di

pretestuosità delle perplessità appuntate. Testualmente,

dottor Frasca: «BBVA ha, nel tempo, già manifestato, sia

pure in diversi contesti, il proprio intendimento, di

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acquisire una posizione rilevante, anche se non di

controllo, nel capitale BNL, allo scopo di consolidare la

propria posizione di azionista di riferimento e la sua

capacità di influire sul processo di risanamento della

banca. Considerato che l’autorizzazione ora richiesta non

eccede la soglia del 30% e quindi non costituirebbe una

minoranza di blocco, non sono stati ravvisati motivi, per

chiedere a BBVA ulteriori spiegazioni». Insomma, Castaldi

dice: «Sappiamo benissimo quali sono le finalità di BBVA,

non possiamo chiederglielo un’altra volta e non possiamo

dilazionare ancora» ed è un documento di grave

significato.

Gianni Castaldi, all’epoca responsabile del servizio

concorrenza normativa e affari generali, non un soggetto

qualunque, conferma che la richiesta di autorizzazione al

controllo, di fatto, costituisse una sorta di minus quam,

della già ottenuta autorizzazione al controllo di diritto

- di tal che, neppure sarebbero stati necessari tempi di

istruttoria particolarmente lunghi -, e che gli uffici di

Banca d’Italia conoscevano perfettamente – addirittura,

sin dal 2002 - quali fossero gli obiettivi di BBVA, su

BNL, e, quindi, soprattutto sapevano che la volontà di

BBVA era pure quella di, testualmente, «poter influire

sul processo di risanamento della banca».

Il dottor Frasca ha dimostrato di avere una conoscenza

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dettagliatissima, di tutte le carte processuali e delle

problematiche sottese, e si è proposto in modo misurato,

garbato e credibile, ma non ha potuto convincere, e

resta, per vero, che quella del 4 luglio è la sola presa

di posizione, da parte del dottor Frasca, non è

un’affermazione di dissenso, dalla condotta e dalla

volontà del dottor Fazio, a cui è stato al fianco, sin

dal 19 marzo, rimanendo lui fedele, sempre, e ancora

oggi, e di cui era il braccio operativo, proprio, anche

in ragione delle sue elevatissime capacità tecniche.

Frasca è, certamente, un uomo delle istituzioni, di

elevatissime capacità tecniche. Chissà che travaglio ha

perciò vissuto, e vive, ma resta sempre fedele. È una

fedeltà nobile, ma processualmente costosa, perché non

priva di significati. A volte c’è bisogno di sapersi

separare e questo non è avvenuto: Frasca non ha saputo, o

potuto, separarsi dal suo governatore, che ormai

impersonificava un’istituzione malata, per aver abusato

di un potere che era diventato il proprio, esercitato,

cioè, per fini diversi da quelli per cui era

riconosciuto.

Va reso onore, all’ex governatore, di aver rivendicato a

sé la responsabilità di quello che faceva il suo istituto

di vigilanza; altri si sono sottratti, nascondendosi

dietro ai propri saluti collegiali e preferendo dialogare

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solo a quattr’occhi.

L’ex governatore ha ceduto solo alla tentazione del

richiamo della sua irritazione, per la mancata

presentazione della preventiva della preventiva, che, più

che uno sgarbo istituzionale, è stato vissuto, appunto,

come un’offesa al potere dell’uomo, ma il processo è

anche storia degli uomini e il Tribunale saprà giudicare.

Veniamo, quindi, al contropatto. Quella del contropatto

è, apparentemente, la difesa più facile. Si dice: «Ma che

volete, da noi? Ma che andate cercando, ancora? Noi siamo

venditori, siamo stati lì, abbiamo aspettato e alla fine

abbiamo aderito a chi offriva di più. Ma che cosa andate

cercando? Che ci facciamo, ancora, in questo processo?».

Caltagirone addirittura chiede al consulente tecnico di

verificare se, alla luce della dottrina finanziaria e

della prassi di mercato, la sua condotta aveva una

razionalità e obiettiva giustificazione, sul piano

economico, quasi che sia stato davvero un investitore

qualsiasi, rispetto al quale, dunque, poter valutare la

sua condotta, secondo, appunto, i criteri di razionalità

e obiettiva giustificazione, sul piano economico. È

l’unico investitore qualsiasi, che chiede tre mandati di

presidenza della banca e un put che gli potesse

consentire di uscire dal capitale, senza perdite, oltre

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alle deleghe sulle attività dei fondi immobiliari di BNL

e l’internal audit.

Ma davvero è così facile, la difesa del contropatto? La

realtà dei fatti e la loro corretta qualificazione

giuridica pare determinare una sicura risposta negativa

ed è una difesa tutt’altro che scontata e agevole: i

signori del contropatto non sono stati imputati per

errore; la reazione dell’ex governatore, all’OPS, e il

suo carattere di ostilità, del 19 marzo, si spostano da

casa Fazio a casa Caltagirone, in una contiguità privata,

dove siffatto testimone è portato dal tedoforo, per

eccellenza, dell’allora governatore, e cioè, a dire,

Fiorani, che pure non è solo, ma con l’avvocato Giani,

altra continua presenza e di non poco significato, e

l’avvocato Giani vuol dire Caltagirone.

Che cosa si doveva fare, dall’angolo prospettico del

contropatto, per creare un fronte italiano che si

opponesse a BBVA? Certamente, un fronte che avesse

raggiunto il 50% più 1 dei titoli - obiettivo primario

-, come ha spiegato l’ex governatore, avrebbe impedito

effettivamente l’offerta di BBVA e un fronte che avesse

raggiunto il 33% più 1 dei titoli avrebbe comunque

rappresentato un’efficace minoranza di blocco, atteso che

BBVA non sarebbe stata in grado di approvare nessuna

delibera, in sede di assemblea straordinaria, e lo stesso

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fronte sarebbe stato in grado di nominare 7 membri del

C.d.A.

Era, dunque, così difficile, individuare, sin da subito,

la strategia, per correre quella staffetta, a cui,

metaforicamente, lo starter aveva dato il via? No, di

certo. Ce lo ha spiegato il professor Gualtieri... a

ricordare che la strategia intelligente non poteva

prescindere da un accordo con il contropatto, titolare

del 27% del capitale sociale. Dall’angolo prospettico del

contropatto, dunque, era sufficiente una resistenza

passiva, all’OPS di BBVA, senza dare luogo ad un vero e

proprio accordo, tra i soggetti facenti parte del fronte,

così evitando l’obbligo di lancio di un’OPA obbligatoria,

nulla di più e nulla di meno, almeno fino al 18 di

luglio.

Una prima individuazione di alcuni dei partecipanti del

fronte italiano è già presente a casa Caltagirone ed

invero è, pure, quasi intuitiva: Fiorani è già presente,

Banca Popolare di Lodi, Sacchetti viene subito

contattato, poi vi sono gli amici degli amici, cioè

Gnutti, Lonati e quelli su cui ancora poteva ancora

contare, l’ex governatore, esercitando la sua influenza

moral suasion, e Carige e BPER. Lo stesso 19 marzo,

l’amministratore delegato, Leoni, si sente al telefono

con Fazio, su BNL e Popolare di Vicenza. Fantasia? Sto

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improvvisando? Non credo, ma ovviamente atteniamoci,

esclusivamente e rigorosamente, all’obiettiva evidenza

processuale.

Il primo dato obiettivo, facilmente comprensibile, era

che la semplice resistenza passiva necessitava di

un’unica condizione, e, cioè, che il contropatto non si

sgretolasse, che rimanesse coeso, perché uno

sgretolamento avrebbe reso più difficile una siffatta

resistenza, per l’ovvia ragione che sarebbe stato più

difficile dimostrare l’assenza di un concerto, tra le

parti, a cui sarebbe stato richiesto di acquistare le

azioni. Ma è sufficiente una resistenza passiva, purché

si rimanga coesi, per evitare problemi a chi deve

acquisire? Aspettare coesi, fino all’ultimo momento

utile, quindi consentendo tempi e modi, al fronte

italiano, e quindi non vendere prima di quel solo limite

temporale, costituito dall’esigenza di far decorrere il

termine, per la via di uscita, rappresentata dall’OPS di

BBVA... la possibilità di adesione all’OPS di BBVA era

l’ultimo momento utile, per il perseguimento del piano A;

fino ad allora era sufficiente una resistenza passiva e

coesa, e di più non occorreva.

Come si contrasta l’OPS di BBVA? Con un’altra opzione, di

cui rispettare tempi e modi, oppure anche facendo pagare

di più gli spagnoli. I signori del contropatto avevano

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chiarissimo, come la loro richiesta di pagamento - al

tempo, t=0 – confermerà, il tema del costo finanziario

dell’acquisizione di BNL, tema a cui erano, certo, non

poco interessati, in qualità di venditori, e, non a caso,

altri, che si erano posti alla stregua di valutazione di

comportamenti davvero razionali – Intesa, Unicredit,

Monte dei Paschi -, avevano declinato l’invito, agli

allora correnti prezzi di Borsa. Questo problema, quello

del costo dell’opzione, manterrà, quindi, tutti

consapevoli della necessità di una via di uscita.

Soggetti come Ricucci, Coppola, Statuto e Lonati, non

interessati, cioè, alla possibilità di rimanere, anche,

quali azionisti di minoranza, necessitavano di una way

out dal capitale sociale di BNL. La razionalità del

comportamento dell’ingegner Caltagirone, come degli altri

componenti del contropatto, risponde a logiche economiche

e di potere, a cui il gradimento dell’establishment non

era affatto estraneo, al pari del supporto di Banca

d’Italia, una logica scaltra e intelligentemente

rispondente alle ragioni di soddisfazione del piano A e

delle stesse, proprie e più egoistiche, senza nessuna

incompatibilità, tra questi due momenti. Come ci ha

ricordato il professor Gualtieri, solo chi è sprovvisto

di potere contrattuale è destinato a perdere. È vero che,

se il contropatto non avesse venduto le proprie azioni ai

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soggetti indicatigli dall’ingegner Consorte e avesse

aderito all’OPS, le probabilità di successo dell’OPS di

BBVA sarebbero state certe, potendo allora sommare, alla

propria quota azionaria, anche il 27% del contropatto e,

a quel punto, anche le partecipazioni di Dorint e di

Generali, che a loro volta non erano interessate a

rimanere, ove un unico soggetto avesse avuto in proprio

la maggioranza del capitale sociale della banca.

E allora domandiamoci che cosa è successo e naturalmente

domandiamoci che cosa è probabile. Intanto è stata

realizzata la resistenza passiva all’OPS di BBVA e il

contropatto si è mantenuto coeso, fino al 18 di luglio,

allorquando, non meno coeso, ha venduto. Il significato

di questa resistenza passiva è reso manifesto dalla

telefonata tra l’ingegner Consorte e Vanes Galanti, in

cui Consorte, che pure sta spiegando che a quel momento

si stava adoperando per mettere in fila tutti quelli che

devono comprare, rappresenta al suo interlocutore che i

contropattisti non sono disponibili a vendere le proprie

quote, sotto condizione sospensiva del rilascio delle

autorizzazioni di Banca d’Italia, all’OPA, perché loro

dicono: «A voi, le autorizzazioni le danno fra tre o

quattro settimane e nel frattempo è scaduta, l’OPS; se

poi non vi autorizzano, noi a chi cazzo le diamo, le

azioni? Questi quindi sono disposti ad aspettare fino al

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20 di luglio, perché è una data entro la quale loro

comunque sanno benissimo che siamo solo noi, a fare

l’opzione, no? Quindi, entro il 20 di luglio, loro

dicono: “Se non la fate voi, per il 22, facciamo in tempo

a darle all’OPS”, no?».

L’indomani mattina, Consorte richiama Galanti – è il 6 di

luglio – e gli dice: «Questi qua, tutti quanti, si sono

decisi, cioè, fra di loro, e vogliono vendere, compreso

l’ingegner Caltagirone, il quale... eh, insomma, capito

che non c’erano spazi, per strumentalizzazioni, pugnette

e storie impresentabili - no? -... loro hanno capito,

intanto, che per loro è l’ultima spiaggia, perché tanto

ci siamo noi e poi non c’è nessun altro; quindi, se non

la contrattano, la facciamo cash e loro devono dare le

azioni all’OPS, in titoli di BBVA. State tranquilli, fino

al 20 di luglio non aderiamo, però non pregiudichiamoci

la rete di sicurezza e la via di uscita; fino ad allora

rimaniamo coesi, fermi e inerti».

Dall’altra parte, intanto, come si esprime, l’ingegner

Consorte? Che ci fossero, di fatto, solo loro, cioè il

fronte italiano, è confermato anche da un’altra

importante telefonata - è una telefonata che esordisce

con pettegolezzi piccanti, che ovviamente non ci

interessano in questo momento -, che è di due giorni

precedenti ed interviene tra due protagonisti: Fiorani e

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Gnutti. In questa conversazione è Fiorani, a ricordare a

Gnutti: «L’alleanza tra banche popolari l’abbiamo già

fatta; siamo noi, l’Emilia Romagna, la Vicenza e la

Carige e insieme facciamo il 14%». Il fronte dei

venditori è coeso e non aderirà all’OPS, almeno fino al

20 di luglio, l’alleanza tra banche popolari è fatta e ci

sono solo loro. L’impegno di non aderire fino al 20 di

luglio ha un contenuto, a pensarci, sostanzialmente non

dissimile da quello del contratto di spot hedge, per cui

Consob ha censurato Deutsche Bank. Il contenuto delle

intercettazioni telefoniche ha quindi la propria

riconferma, nello stesso svolgimento dei fatti: i

contropattisti non hanno venduto al miglior acquirente,

ma agli acquirenti che al 18 di luglio si erano resi

disponibili ad intestarsi le azioni degli immobiliaristi,

per poi vincolarle ad Unipol, con appositi patti

parasociali... non si è per nulla verificato, quello che

il professor Comana evidenzia nella sua slide n. 43,

spiegando che la prassi attendista, in forza della quale

gli investitori normalmente attendono gli ultimi giorni

del periodo di adesione, per scegliere come comportarsi,

rispetto a un’OPS, è prassi comune di mercato, dato, in

sé, vero, ma non rispondente alla realtà dei fatti.

Scrive, testualmente, il professor Comana: «Gli

investitori ragionevoli attendono gli ultimi giorni del

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periodo di offerta, così da poter osservare il

comportamento degli altri azionisti e dei soggetti

eventualmente interessati a contrastare l’offerta in

atto». I signori del contropatto non si sono affatto

limitati ad osservare il comportamento degli altri

azionisti e dei soggetti eventualmente interessati a

contrastare l’offerta; infatti, prima li hanno di fatto

assecondati con la loro resistenza passiva all’OPS di

BBVA, mantenuta coesa fino al 18 di luglio, poi hanno

venduto al prezzo dell’OPA, che è stata annunciata lo

stesso 18 di luglio, e non avranno bisogno di aspettare

fino al 20 di luglio. Il 17 di luglio, il contropatto è

sciolto, la vendita è avvenuta la mattina del 18 di

luglio e, all’ora X, il dado è tratto.

L’ingegner Consorte, che non poteva acquistare una sola

azione, per Unipol, ha trattato la compravendita dal

contropatto, con il contropatto, e si capisce bene, che

abbia trattato lui, e ce lo ha spiegato lui stesso. È

vero che non poteva acquistare un’azione, ma il rischio

finanziario era in capo a Unipol; infatti, Unipol con il

lancio dell’OPA garantirà, finanziariamente, per tutti.

E da chi è stato assistito, nella negoziazione,

l’ingegner Consorte? Intanto è stato assistito

dall’avvocato Giani, che ha preparato gli accordi ed i

contratti di compravendita di azioni dei contropattisti.

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Già avvocato di Caltagirone, anche nei negoziati a suo

tempo intrattenuti anche con il dottor Innocenzi, come ci

ha ricordato lo stesso dottor Innocenzi, avvocato di

Fiorani, in vicenda Antonveneta, e avvocato di Unipol, in

vicenda BNL, ma non, in siffatta sua veste, allora

presente a casa di Caltagirone, il 19 marzo. Egli stesso

aveva, già, pur propiziato il primo abboccamento

dell’ingegner Consorte, con Caltagirone, e sempre allo

studio dell’avvocato Giani, come già ricordato, si era

recato l’avvocato Pasquale Marini, con in mano la bozza

siglata da lui e dall’avvocato Giuseppe De Falco, in data

30 giugno, e ancora lui con il suo studio predisporrà la

richiesta di autorizzazione Unipol, a salire al 15%.

E chi altri ha coadiuvato l’ingegner Consorte, ai fini

dell’accordo con il contropatto? Già da tempo, Fiorani

aveva dato indicazioni precise, ai membri del

contropatto: «Cercate di fare squadra, l’allenatore è il

Giani. Vi ho detto, io, che il coach è Giani; lui decide

i ruoli e decide anche i tempi, per cui non c’è

alternativa; per cui non è che si può decidere i tempi e

i modi, li decide il Giani». Tempi e modi non potevano

essere oggetto di negoziato, altro che comportamento

razionale; infatti, i tempi in funzione dei modi sono

quelli del 18 di luglio e, gli acquirenti, quelli

indicati da chi negoziava - lo stesso allenatore, il

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Giani -, con buona pace della volontà di massimizzare un

profitto, che certo sarebbe stato ben superiore, in caso

di OPA concorrente, con rilanci competitivi.

Già in data 1° luglio, Consorte chiede a Fiorani di

riferire ai tre amici, Ricucci, Coppola e Statuto: «Tu

gli devi dare il messaggio, che ci devono vendere al

prezzo dell’OPA». Ricucci come lo stesso ingegner

Caltagirone rinunciano a ogni diversa loro velleità e

cedono, nel rispetto della coscienza del Paese, come la

definisce Fiorani, quando lamenta, nella sua già

ricordata telefonata con Gnutti, che non si può sempre

far prevalere la speculazione. Ah, è bellissimo. Detto da

lui, a Gnutti, devo dire che straordinario non è, è un

colloquio tra San Tommaso e Sant’Agostino, due soggetti

non insensibili al prodotto della speculazione; eppure

Fiorani dice a Gnutti: «Qua non è possibile, bisogna

saper cedere alla coscienza del Paese, non si può sempre

far prevalere la speculazione». La coscienza del Paese...

questi, i paladini della coscienza del Paese.

Danilo Coppola, poi, sul punto è chiarissimo. Coppola,

che non si limita a vendere, ma a cui si dovrà la grazia

di aver messo in contatto l’ingegner Consorte con Luigi

Grasso, di Nomura, così pure favorendo l’ingresso,

nell’operazione, della banca giapponese, che ridarà

serenità a tutti e, in primis, al governatore, il 9

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luglio parla al telefono con Consorte ed è proprio la

telefonata in cui Coppola fa il nome di Grasso. In quella

conversazione telefonica, Consorte dice a Coppola:

«L’importante è che voi teniate botta agli impegni» e

Coppola gli risponde: «Noi teniamo... guarda, se quelli

ci dicono “3-3,5”, cioè, non me ne frega niente.

Propongano pure il prezzo che vogliono, noi teniamo botta

agli impegni. Del 3-3,5 non me ne frega niente, noi

teniamo botta agli impegni». Gli impegni vengono

mantenuti: il contropatto ha mantenuto una resistenza

passiva, prima, mentre si sono realizzati i

rastrellamenti, concesse le autorizzazioni di Banca

d’Italia e compattato il fronte italiano, e ha quindi

venduto poi, il 18 di luglio, al prezzo di 2,70 euro,

allo stesso fronte italiano, di cui allenatore era il

Giani. Allora, la data del 18 di luglio si riconferma il

momento di unità cronologica e di prova principe, delle

responsabilità oggetto d’imputazione.

Quando contropatto vende ed esce quindi, immediatamente a

seguire, il comunicato di Unipol, dello stesso 18 di

luglio. Il contropatto non ha più la possibilità di

aderire all’OPS di BBVA, quand’anche avesse rilasciato, e

la ragione è assai banale: ha venduto e, una volta che ha

venduto, non è più nella disponibilità delle azioni e

quindi, quand’anche BBVA avesse rilanciato, non avrebbe

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certamente potuto aderire all’offerta di BBVA; per cui,

delle due, l’una: o è vero, eppur sappiamo che non è

così, che, al 18 di luglio, BBVA avrebbe potuto

rilanciare, come ancora affermato dal professor Comana,

ed allora il contropatto aveva perso la possibilità di

disporre delle proprie azioni, perché aveva venduto,

oppure, come è stato, ben sapeva che non vi sarebbe

stata, a quel momento, più possibilità di rilanciare,

proprio perché con la sua condotta aveva definitivamente

precluso la concretezza di una siffatta possibilità, che

non avrebbe invero avuto più alcun senso.

E allora ci rimane un’ultima domanda: è ravvisabile, in

capo all’ingegner Caltagirone e agli altri membri del

contropatto, l’elemento di consapevolezza della

attitudine della loro condotta? È riconoscibile, in capo

a questi signori, la consapevolezza dell’attitudine

manipolativa delle loro condotte, a contribuire a

realizzare quella distorsione della realtà, che è

l’essenza della manipolazione imputata? L’ingegner

Caltagirone e gli altri membri del contropatto hanno

davvero fatto affidamento sul solo gioco delle componenti

obiettive del mercato, alla stregua di meri investitori

razionali? La risposta ovviamente è negativa: la loro

condotta non è stata per nulla indipendente, da ciò che

si configurava e facevano gli altri compartecipi, dei

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tempi e dei modi della loro condotta, come pure

consentiti da quelli di Banca d’Italia; la resistenza

passiva e la vendita all’ora X, poi, non sono state

condotte prive di significato, sul piano concausale, e la

consapevolezza dell’attitudine di siffatto contributo, a

contribuire in una manovra più laboriosa e complessa, con

condotte pur concatenate nel solco di quella stessa unità

di spinta e di perfetta unità cronologica, perché tutto

potesse compiersi, come si compirà al 18 di luglio,

secondo i tempi e i modi dell’allenatore – il Giani -, ne

sono la riconferma. È in questa consapevolezza di

attitudine, che anche fatti, solo a prima vista più

lontani, si riconfermano come unitari e asserviti alla

realizzazione del piano A, che infatti, con il loro

determinante contributo, è approdato in porto, secondo

quegli stessi tempi e modi. I fini e gli intenti, lo si

ripete, sono, in sé, irrilevanti - ricordate quel

discorso di premessa – e possono essere, anche, tra loro

diversi, ma non giustificano i mezzi, e il momento dello

sfruttamento dell’alterazione dei prezzi era estraneo al

paradigma della fattispecie legale e perciò, appunto, a

consumazione anticipata.

Il contropatto non ha avuto ruolo meramente attendista,

nel senso indicato dal professor Comana, non è stato ad

osservare inconsapevolmente i soggetti intervenuti a

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contrastare l’offerta in atto, consapevolmente

mantenendo, invece, quella resistenza passiva che

l’opzione necessitava fino al compimento dell’ora X, al

18 luglio, allorquando siffatta resistenza passiva

cesserà con una non meno coesa vendita, e non un

comportamento da investitore razionale, ma da consapevole

compartecipe di quella coscienza del Paese, come la

chiamava Fiorani, che era supportata dalla stessa Banca

d’Italia, e perfettamente consapevole dell’attitudine

della propria condotta. La prospettiva del solo venditore

non è aderente alla realtà dei fatti, e non erroneamente

imputati, i membri del contropatto, a titolo di

contributo causale consapevole, per la riuscita di

un’opzione illecita. Quella del solo venditore è

prospettiva che inficia, quindi, anche la consulenza

tecnica del professor Comana, che pure si dimostra

interessato, appunto, alla sola prospettiva di un

contropatto che si limita a vendere, ed invero, nelle sue

analisi, il professor Comana non considera mai

l’andamento dei volumi del titolo BNL, dunque evita di

esprimersi proprio su quegli acquisti di Unipol, Banca

Popolare di Lodi e BPER, che hanno influenzato

l’andamento del titolo BNL, sotto OPS, così contribuendo

al suo fallimento. Il professor Comana non riporta gli

equity resource antecedenti al 18 marzo 2005, quelli,

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cioè, dai quali si evince che il titolo BNL era

sopravvalutato, rispetto ai fondamentali, con target

price 1,75, le opzioni, quindi glissa, sul fatto che gli

equity resource, che esprimono giudizi sulla

migliorabilità dell’offerta e sul possibile rilancio di

BBVA, sono perlopiù datati l’ultima settimana di maggio,

e questo, non a caso, a seguito, proprio, dei massicci

acquisti, da parte degli hedge fund, in concomitanza agli

acquisti ai blocchi, posti in essere da Unipol, BPL,

BPER, Popolare di Vicenza, che avevano sfalsato i giochi,

rastrellando titoli, facendone alzare il prezzo e

generando incertezze sul mercato, sull’esito dell’OPS, e

su questo ovviamente torneremo ex professo.

Il professor Comana non si preoccupa di darsi ragione,

del perché i termini dell’OPS sono rimasti convenienti e

attrattivi, per 40 giorni borsistici, e, cioè, del perché

l’OPS di BBVA sia stata in the money e attrattiva, fino

alla prima decade di maggio, e poi travolta da una brusca

impennata dei prezzi di BNL, che hanno posto

temporaneamente out of the money l’OPS di BBVA. Non ha

esaminato, né ha dato perciò conto, dell’andamento dei

volumi del titolo e delle dinamiche degli acquisti, in

Borsa e fuori Borsa, e ha confermato di non essere stato

intenzionato a ricercare fenomeni particolarmente

significativi, intervenuti nel periodo 10-23 maggio,

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proprio in quei pochi giorni in cui il flottante, ad

allora disponibile, è stato rastrellato, per la sua

massiccia parte, mentre BBVA non poteva acquistare

un’azione.

Manca poi, ancora, il professor Comana, di dare conto del

fatto che il socio che avesse aderito all’OPS di BBVA,

dopo il 18 di luglio, portando i suoi titoli, in adesione

all’OPS, avrebbe guadagnato maggiormente, che cedendoli a

Unipol, al prezzo di OPA. Il prezzo teorico – ed è ai

prezzi, che il professor Comana pone la sua esclusiva

attenzione – era superiore a quello dell’OPA Unipol, dopo

il 18 di luglio, e più conveniente, per l’investitore

razionale, è il valore di concambio dell’OPS di BBVA.

Il professor Comana si è limitato al pedissequo rilievo

della dinamica dei prezzi effettivi, ma senza alcun

riferimento ai movimenti dei volumi, in Borsa e fuori

Borsa, e ai blocchi, nel periodo 10 maggio-31 maggio e

28-30 giugno, allorquando, appunto, si sono concentrati

quegli acquisti, che hanno di fatto ridotto e assorbito

il flottante ad allora disponibile.

Neppure, quindi, pare poi tenere in conto a quanto

ammontava il flottante dei titoli, dopo il 4 di luglio,

ossia l’acquisto di Carige, così afferma che il prezzo

delle azioni di BNL si è allineato all’offerta di Unipol,

senza significative variazioni di Borsa; sicché non si

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comprenderebbe quale sarebbe stato l’effetto manipolativo

della mancata comunicazione di un accordo, che neppure

quando è stato comunicato al mercato, il 18 luglio,

appunto, avrebbe prodotto significative variazioni dei

corsi di Borsa, e quasi dimentica, il professor Comana,

che le azioni erano state rastrellate e che non c’era,

sostanzialmente, più mercato; Unipol, BPL, Carige, BPER e

Banca Popolare di Verona, il fronte italiano, avevano il

18,76%, che, sommato alle azioni del patto, del

contropatto e a quelle del cosiddetto pacchetto

argentino, significava che non c’era, pressoché, più

flottante. E come aspettarsi il rialzo del titolo, se non

c’è più mercato? Il titolo torna ad afflosciarsi, una

volta che il piano A si è realizzato. Gli studi delle

banche d’affari, richiamati dal professor Comana,

prendono il loro spunto proprio dal brusco rialzo di metà

maggio, che ha condotto l’OPS... ha avuto in mani.

Insomma non è possibile ignorare questa circostanza;

questa è la circostanza. È chiaro che angli gli analisti,

nel momento in cui viene ingenerata l’incertezza di

un’altra offerta alternativa, che pure non si sa chi

lancerà e a che prezzo lancerà, iniziano a rivedere le

loro previsioni al rialzo. Il valore dell’OPS, in sé, non

ha nessun significato, quello che conta in quel momento è

questa attesa, e quegli studi riflettono l’attesa che è

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stata in questo modo ingenerata; non si può però omettere

di dire qual è stato e di andare a considerare qual è

stato il peso dei volumi degli acquisti, dei modi degli

acquisti e dei loro acquirenti, e non ci si può

nascondere dietro a “è stato il mercato”; il mercato,

quando ha dei protagonisti che sul mercato intervengono e

han nomi e cognomi... questo determina addirittura uno

straordinario paradosso. E qual è, questo straordinario

paradosso? Lo straordinario paradosso è che le condotte

imputate e la distorsione della realtà, realizzatasi per

effetto delle modalità delle condotte imputate e del

contesto in cui si sono inserite, hanno precluso, queste

sì, ai terzi, di affacciarsi sul mercato, in veste di

soggetti davvero razionali, per operare e assumere

decisioni davvero consapevoli.

Presidente, io passerei al tema delle banche popolari e

lascio valutare a Lei, se vuole fare, ora, mezzora o

quaranta minuti di intervallo.

Si dispone una breve sospensione. L’udienza riprende e si

procede come di seguito:

PRESIDENTE - ... dare atto che l’Avvocato Accinni aveva

chiesto che venisse risentita una trascrizione

dell’udienza del 31 marzo, per quanto riguardava una

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trascrizione di una frase detta dall’Avvocato. Avevamo

dato incarico all’Athena, di risentire, e l’Athena

riconferma il contenuto della sua trascrizione, ma mi

sembra che l’Avvocato Accinni... dato che era Lei, che

parlava, quindi è Lei, che può meglio precisare la sua

domanda. La trascrizione sarebbe “t=0, investendo 6,

quindi ha guadagnato 1” e l’Avvocato Accinni prima mi ha

detto che in realtà voleva dire “t=0, investendo 10”, è

così? Se non ci sono problemi, noi prendiamo atto che la

sua interpretazione autentica è “investendo t... 10”. Poi

non mi sembra che sia il caso, di disporre un ulteriore

supplemento di accertamento; quindi, questo qui lo

mettiamo a verbale.

(seguono accordi tra il Presidente e le Parti in merito

all’organizzazione delle successive udienze)

PRESIDENTE – Avvocato Accinni, se vuole...

AVV. ACCINNI – Grazie, Presidente. Abbiamo detto del

contropatto, a cui altro non si richiedeva che rimanere

fermi e coesi, fino al 18 di luglio, per poi vendere ai

tempi e modi indicati dall’allenatore, e veniamo, quindi,

ai profili di corresponsabilità delle banche popolari e

dei loro esponenti, come espressione della coscienza del

Paese.

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La prospettiva degli acquirenti e, quindi, delle banche

popolari non è, poi, così diversa da quella dei signori

del contropatto, a iniziare dalla medesima data, cioè da

quella del 19 di marzo.

Ancora una volta è Gianpiero Fiorani - all’epoca dei

fatti, uno degli uomini più potenti d’Italia, proprio

perché poteva rendersi corresponsabile degli abusi di

potere dell’ex governatore -, a ricordarci che, proprio

in quello stesso giorno, a rassicurare lo stesso

governatore, alterato per la beffa dell’OPS, gli aveva

ricordato come le banche popolari potevano avere un

ruolo, in questa partita. E quale, tra le tante banche

popolari del Paese, Fiorani menziona al governatore, come

possibile partner di un progetto industriale volto a

rafforzare la governance di BNL? Oltre alla Popolare di

Lodi e alla Popolare di Vicenza, la Popolare dell’Emilia

Romagna e Carige. Bingo, o una fortunata coincidenza?

Sembrerebbe più verosimile, il bingo, a sentire Fiorani,

che, così, testualmente seguita: «Quindi, questi discorsi

li facciamo in maniera molto serena, col governatore, il

quale li apprezza moltissimo, e li facciamo, anche,

dinnanzi all’ingegner Caltagirone». Doppio bingo. È

difficile poter credere a tante coincidenze ed è almeno

singolare, che la partita BNL fosse all’esame di tre

tecnici, apparentemente, così poco omogenei, e fatto, sì,

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è che l’apprezzamento del governatore fu tale, che

Fiorani iniziò subito a contattare sia il dottor

Berneschi, di Carige, che il dottor Leoni, di BPER. «In

proposito è lo stesso dottor Fazio, ad aver ricordato la

telefonata ricevuta da Leoni, proprio il 19 di marzo, per

parlare di BNL, di un progetto di acquisizione e di un

possibile, diciamo, progetto, che riguarderebbe BNL... di

un acquisto, diciamo, di alcune azioni di BNL, per

partecipare al progetto di un possibile... come parte di

un progetto, si potrebbe dire, con le altre banche

popolari». Se non è bingo, è tombola, perché le

coincidenze sono davvero troppe.

E quali erano, secondo il dottor Fazio, le ragioni per le

quali si stava valutando questo progetto di banche

popolari, per cui anche Leoni lo chiama? «La difficoltà,

ormai nota, in cui si trovava la BNL, e lo stesso lancio

dell’OPS. Allora abbiamo fatto tutto il cucuzzaro: lo

stesso lancio dell’OPS...». Così, testualmente, dal

dottor Fazio. Le quattro banche popolari rimarranno

anch’esse coese, sino al 18 di luglio, e sensibili alla

coscienza del Paese, tanto cara a Fiorani, quanto all’ex

governatore; ma anche qui restiamo, una volta di più, ai

fatti e alle evidenze processuali. Il 3 di luglio,

Fiorani confidò telefonicamente all’amico Chicco Gnutti:

«L’alleanza fra banche popolari l’abbiam fatta già; siamo

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noi, l’Emilia Romagna, la Vicenza e la Carige e insieme

facciamo il 14%, per cui viene fuori anche un asset

interessante». Soggiunge: «Dico, se ne accorgeranno poi,

questi, alla fine, che gli abbiamo dato una mano, oppure

no? Non ti pare?». Eh, è una manona, che nel linguaggio

del diritto penale si chiama “concorso di persone nel

reato”.

La telefonata presenta anche un altro aspetto, di non

secondario interesse; infatti, Fiorani dice: «Insieme

facciamo il 14%», ma alla data di quella telefonata, che

è il 3 luglio, le popolari risultavano avere solo l’8%,

sicché l’affermazione di Fiorani o significa che avevano

già, nella loro disponibilità, diretta o indiretta, il

14%, o comunque - ma non cambierebbe, poi, molto -

andrebbe intesa alla stregua di una sorta di

dichiarazione programmatica: «Ci siamo impegnati ad

arrivare al 14%». Certo è che con gli acquisti, che

saranno effettivamente posti in essere nei giorni

successivi, le popolari si assesteranno su una quota pari

al 12%, circa, e cioè, appunto, molto prossima a quella

indicata da Fiorani. Il coinvolgimento dei quattro

moschettieri, poi, da Consorte è confidato anche a Franco

Boni, il 16 di luglio: «C’è un’alleanza industriale,

Nomura e Credit Suisse... scusami, e Deutsche Bank,

Popolare dell’Emilia Romagna, Popolare di Lodi, Popolare

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di Vicenza e Cassa di Risparmio di Genova». Quindi, poi,

parlando ancora al telefono, ma con Salini, a cui il 17

di luglio chiarisce che le quattro banche popolari erano

Emilia, Genova, Vicenza e Lodi, ancora Consorte il 18 di

luglio, subito dopo la chiusura dell’operazione e la

diffusione del comunicato, chiama l’onorevole Fassino e

gli conferma del coinvolgimento di quattro banche

popolari, che insieme hanno il 12%, ed è una conferma e

un’ammissione di non poco momento, se solo si considera

che il comunicato stampa, diffuso da Unipol, un’ora prima

della stessa telefonata, non menzionava BPER, tra i

pattisti, né computava la relativa quota azionaria, nel

totale delle quote asservite al progetto di Unipol.

Insomma, l’ingegner Consorte è più trasparente con

Fassino, che con il mercato, ma si capisce: ciascuno ha

le proprie priorità.

In grande sintesi, la generosità di questi quattro

paladini della coscienza italica si è tradotta nella loro

disponibilità ad incrementare la propria quota, in BNL,

acquisendo azioni, e così, anche, ulteriormente riducendo

il flottante in circolazione; nella loro disponibilità ad

assorbire una parte delle azioni vendute dai

contropattisti – BPER compra dai fratelli Lonati; Banca

Popolare di Vicenza, da Coppola e Statuto -, nei modi e

nei tempi stabiliti dall’allenatore, quelli, dunque, del

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18 di luglio; nella loro disponibilità a utilizzare la

propria partecipazione, nel rispetto delle esigenze

dell’operazione di Unipol, cioè del piano A, rendendola

comunque indisponibile all’OPS di BBVA, e, infine, nel

loro concreto e non meno generoso supporto finanziario.

Per questi motivi, la stessa Consob, con la tempestività

che pure ha connotato tutti i suoi interventi, nella

presente vicenda, ha pronunciato, nel mese di aprile del

2009, cinque provvedimenti sanzionatori, ravvisando la

violazione delle norme del TUF, in tema di pubblicità dei

patti parasociali – e il Tribunale sa bene –, e, più in

dettaglio, quattro patti parasociali, Unipol e Banca

Popolare Italiana, quantomeno in data 10 maggio 2005,

Unipol e Banca Popolare di Vicenza, quantomeno in data 28

giugno 2005, Unipol e Carige, quantomeno in data 4 luglio

2005, nonché Unipol e Popolare dell’Emilia Romagna, in

data 18 luglio, istituto, quest’ultimo, che veniva

finalmente riconosciuto come concertista e, dunque,

solidalmente tenuto al lancio dell’OPA.

Ora non corrisponderebbe al vero, l’affermazione che

tutti questi provvedimenti sanzionatori sono stati

censurati dalle Corti d’Appello. È vero che Banca

Popolare di Vicenza non ha proposto alcuna impegnativa,

anzi si è avvalsa della facoltà di pagare anticipatamente

una sanzione ridotta, è vero, anche, che la Corte

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d’Appello di Venezia, col proprio provvedimento in data

15 luglio, ha rigettato l’opposizione proposta dalla

Banca Popolare di Lodi, oggi Banca Popolare, così

confermando la legittimità della sanzione, ed è vero,

anche, che le Corti d’Appello di Genova e Bologna hanno

invece annullato le sanzioni applicate nei confronti di

Carige, Unipol e BPER, ma tutto questo, nel mio

convincimento, ha assai poca rilevanza: intanto, perché

le ragioni di annullamento non attengono al merito della

vicenda, quanto, piuttosto, a ritenute carenze

istruttorie, da parte degli uffici di Consob, che

avrebbero fondato i propri accertamenti, quasi

esclusivamente, sulle risultanze delle intercettazioni

telefoniche acquisite dalla Procura di Milano, più di

quattro anni dopo i fatti, intercettazioni pure portate

all’attenzione delle Corti d’Appello, solo in parte e

senza contestualizzazione dei loro contenuti, nel più

ampio ambito dell’odierna vicenda processuale, e senza

elementi di riscontro; cioè, le Corti d’Appello dicono:

«Cari Signori, sulla base di questi elementi, e soltanto

di questi elementi, noi non siamo in grado di esprimere

un giudizio», il che significano altrettante censure alla

carente attività investigativa di Consob, piuttosto, e

prima ancora, che valutazioni nel merito delle condotte

poste in essere dagli odierni imputati; difatti,

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sostanzialmente, queste non sono esistenti, il che mi

porta a dover aprire una parentesi, che avrei preferito

non dover aprire, facendo mio quel grande insegnamento

che Shakespeare nell’Amleto mette in bocca a un padre,

allorquando, partendo il figlio per la guerra, gli dice:

«Non farti lodare per ciò che dirai, ma per i tuoi

silenzi»; poiché, però, questo insegnamento non è stato

fatto proprio anche da altri e, addirittura, il professor

Gualtieri ha la pretesa di corroborare le conclusioni

della propria consulenza tecnica, rifugiandosi nelle

braccia di mamma Consob, occorre alcune parole spendere,

perché quelle braccia sono, ahimè, davvero fragili. Ma

davvero Consob non disponeva di autonomi e idonei poteri

di accertamento, in proprio? Le vicende Parmalat e altre

– la mia digressione sarà brevissima – ci hanno insegnato

che Consob lavora con una lettura scrupolosa dei

comunicati e una non meno attenta lettura dei giornali,

però anche con dei colloqui informali, con i vigilati. A

leggere l’atto di costituzione di Consob - l’atto di

costituzione di parte civile, in questo processo -, è

Consob stessa, che ci spiega che ha dovuto attendere

quattro anni, per prendere visione degli atti d’indagine

posti a disposizione dalla Procura e rivedere le proprie

valutazioni, e non lo dico io, lo dicono loro,

testualmente: «Più recentemente, nell’ambito

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dell’attività di collaborazione con l’Autorità

Giudiziaria, la Consob in data 13 marzo 2008 ha acquisito

dalla Procura della Repubblica, presso il Tribunale di

Milano, nuovi elementi, informativi e documentali,

dall’esame dei quali è emerso un quadro parzialmente

difforme, rispetto a quanto comunicato alla Consob e reso

noto al mercato, durante il periodo di riferimento,

attraverso i comunicati stampa e le comunicazioni

ufficiali, dovute ai sensi di normative di legge

regolamentari, nonché attraverso il documento relativo

all’OPA promossa da Unipol e dai soggetti coinvolti nella

vicenda», e si tratta, in particolare, degli atti

sottostanti all’avviso di conclusione delle indagini

preliminari, ex art. 415-bis, a cura dei sostituti

procuratori... e blablablà. «Alla luce della suddetta

documentazione è stata effettuata una rivalutazione dei

ruoli e dell’attività posta in essere, oltre che dalla

stessa Unipol, da Banca Popolare di Lodi, Banca Popolare

di Vicenza, Banca Carige e Banca Popolare dell’Emilia

Romagna. Noi all’epoca dei fatti siamo stati sollecitati

da più parti e non abbiamo fatto niente; adesso, però,

vediamo che ci sono queste cose, il vento è cambiato e

rappresentiamo la nostra rivalutazione». Che la stessa

Consob non lo ritenesse, tutto, del tutto incensurabile,

è provato dal fatto che è intervenuta sul prezzo

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dell’offerta, ritenuto non corretto, in 2,70,

provocandone un rialzo. È un operato, francamente,

davvero imbarazzante, quello di Consob, ed è lo stesso

imbarazzo che tutti abbiamo provato nel vedere il

presidente di Consob che ci spiega che la sua attività

consiste in saluti collegiali e si rifiuta di parlare, se

posto a quattr’occhi; però, che Consob dei poteri li

avesse e che il suo presidente fosse pronto ad

esercitarli, è documentato da una telefonata - che per

fortuna non è avvenuta con il diretto interessato,

perché, altrimenti, forse avrebbe avuto un ruolo assai

diverso, su questi banchi – in cui Consorte riferisce a

Stefanini di una conversazione con Cardia, che a

proposito dei contropattisti ebbe a dire: «Bene. Allora,

voi gli fate fare un comunicato, che loro hanno chiuso

l’accordo, con voi, perché, se poi questi signori fanno i

furbi e tendono di rilanciare e di andare a contattare

gli spagnoli, per rilanciare, io, con i poteri che ho,

gli blocco tutte le proprietà». Braccia assai fragili,

quelle di Consob, per andare a cercare riparo e rifugio,

ma rimaniamo a quanto davvero rileva, ai fini del vostro

giudizio, perché la sussistenza o insussistenza di patti

parasociali, di per sé, non è rilevante, quello che è

rilevante è la sussistenza, o meno, di un concorso, e la

sussistenza, o meno, di un concorso non necessita anche

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del riconoscimento formale di sussistenza, o meno, di un

patto parasociale. I patti parasociali occulti, di per

sé, nella loro sussistenza o insussistenza non sono

determinanti, ai fini di sussistenza di un contributo

causale consapevole, mentre i fatti, per come sono stati

accertati nel corso del dibattimento – e ciò solo,

appunto, qui rileva -, attestano chiaramente il

contributo causale delle banche popolari, nel reato

contestato sub a); che poi queste condotte poste in

essere possano acquisire anche significato, come patto

parasociale, è circostanza, pure, in sé rilevante, ma che

invero non determina, in quanto tale e per ciò solo, la

sussistenza, o meno, del concorso nel reato, né a questi

fini è necessaria la dimostrazione di sussistenza di un

patto parasociale, riconoscibile, come tale, ai sensi

della disposizione di cui all’art. 122 del TUF. In questo

senso, anzi, assai eloquente è proprio uno dei decreti,

e, precisamente, quello della Corte d’Appello di Bologna,

pronunciato in accoglimento del ricorso della Difesa di

Guido Leoni, quindi della Banca Popolare dell’Emilia

Romagna: sebbene, infatti, la Corte abbia escluso la

sussistenza, tra Unipol e BPER, di un patto parasociale,

propriamente inteso, nondimeno ha espressamente

riconosciuto che l’affermazione fatta da Consorte, nella

conversazione con Vanes Galanti, del 15.07.2005, alle ore

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13:23, secondo cui, dopo due ore di discussione con il

presidente, Leoni – presidente del collegio sindacale –

aveva portato a casa il risultato e quindi erano sopra al

51, va letta non, già, come espressione di un patto

concluso, ma come riferita alla circostanza che

l’acquisizione della quota, da parte di BPER, in

considerazione del fatto della manifesta intenzione,

della banca, di considerare stabile la propria

partecipazione in BNL, avrebbe comportato l’insuccesso

dell’OPS promossa di BBVA, e tanto basta e ne cresce;

cioè è proprio la Corte d’Appello di Bologna, che pure ha

escluso la configurabilità di un patto parasociale, tra

Unipol e BPER, a riconoscere che BBVA non avrebbe più

potuto acquisire il controllo di BNL, proprio perché la

maggioranza del capitale sociale era ormai stata

assicurata altrove e resa indisponibile alla possibilità

di successo dell’OPS di BBVA, che è quanto, appunto,

basta - e ne cresce - a concretizzare quel contributo

causale, nel reato contestato, che integra il concorso.

Veniamo, quindi, ad esaminare la posizione di ciascuna

delle tre - Banca Popolare di Lodi ha patteggiato,

quindi, evidentemente, non la tratteremo -... e

cominciamo da Banca Popolare dell’Emilia Romagna - il cui

amministratore delegato era il dottor Guido Leoni -,

che fra tutte le banche popolari coinvolte nella vicenda

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è quella più emblematica, perché il ruolo svolto dal

dottor Leoni esprime al meglio quella dicotomia, tra ciò

che si stava veramente facendo, da un lato, e ciò che

veniva comunicato al mercato, dall’altro lato, e che

costituisce la cifra caratteristica di tutta la vicenda

che ci occupa, nella distorsione della realtà che l’ha

contraddistinta. Esistono, invero, prove manifeste, della

corresponsabilità di Guido Leoni: intanto, BPER non viene

nemmeno menzionata, nel testo del comunicato stampa

diffuso da Unipol, il 18 luglio 2005, circostanza che

significativamente stupirà Salini, ma si argomenterà

come, in sé, non risolutiva; risolutiva è, però, la

ricostruzione dei fatti e delle evidenze processuali: il

nome di BPER e di Guido Leoni, al pari di quelli di

Fazio, Frasca, Fiorani, Unipol e Caltagirone, compare già

il 19 di marzo, allorquando – ed è stato già ricordato

– Leoni stesso telefonò al governatore, per parlare di un

progetto su BNL. BPER acquista il suo primo pacchetto di

azioni BNL, pari all’1,97%, il 17 maggio 2005, e cioè, a

dire, solo quattro giorni prima dell’assemblea che in

seconda convocazione avrebbe dovuto nominare il nuovo

C.d.A. di BNL. Vi sono evidenze significative, in ordine

a questo acquisto: fu, infatti, il dottor Boni, della

Banca Popolare di Lodi, a mettere in contatto il

venditore, Fondo Leonardo, e l’acquirente BPER. Il teste

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Vandelli, all’epoca direttore finanziario di BPER, in

merito a questo acquisto ha riferito: «Il dottor Leoni mi

chiamò, dicendomi che era venuto a conoscenza che c’erano

alcuni pacchetti azionari di BNL, in vendita, e mi disse

di prendere contatto con il dottor Boni, della Popolare

di Lodi; quindi credo che la notizia, che ci fossero dei

pacchetti azionari in vendita, venisse da quella fonte,

quindi, immagino, dal dottor Fiorani. Questa fu

l’indicazione che mi diede il dottor Leoni, fornendomi,

direi, il numero telefonico del dottor Boni, col quale

prendere contatto, per verificare appunto la

disponibilità del pacchetto azionario, per poi andarlo a

perfezionare». Poiché, però, questa circostanza, cioè

quella di questo primo acquisto, è fuori dal periodo

d’imputazione, mi limito ad osservare che l’acquisto è

avvenuto ai blocchi, da un hedge fund che pure ha svolto

un ruolo importante, nei rastrellamenti delle azioni; ma

un secondo pacchetto dei titoli BNL, pari all’1,98%, è

stato acquistato, il 18 di luglio, dai fratelli Ettore e

Tiberio Lonati, al prezzo di 2,70 euro per azione.

L’acquisto, deliberato, il giorno precedente, dal

consiglio della banca, sarebbe stato di tipo strategico e

fatto come stabile investimento o come partecipazione,

secondo quanto ha affermato il professor Marani,

all’epoca presidente della banca, nel corso del suo

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esame, qui, ma questa affermazione si concilia assai

male, tuttavia, con diverse circostanze: intanto, le

intercettazioni telefoniche confermano che l’investimento

venne suggerito, a BPER, dall’allenatore – il Giani -,

che negozierà la compravendita, chiusa alla mattina del

18 di luglio, ma - vi è di più - la posizione di BPER è

resa infatti particolare, per il fatto che proprio il

pacchetto di azioni BNL, in suo possesso, avrebbe fatto

sì che la quota, complessivamente asservita

all’operazione di Unipol, superasse il 50% di BNL e

dunque rendesse, definitivamente, non più contendibile il

controllo di diritto della banca romana, e, che

l’ingegner Consorte dicesse di avere già il 50% più 1,

delle azioni BNL, è dato che trova conferma in

innumerevoli telefonate, l’abbiamo già detto. Solo pochi

minuti dopo la diffusione del comunicato stampa del 18 di

luglio, Consorte parla al telefono con Fassino,

spiegandogli che l’operazione coinvolgeva quattro banche

italiane e il 51% del capitale di BNL, un ammontare,

appunto, non spendibile, senza BPER, che era la quarta,

tra le banche italiane coinvolte. Già sedici giorni

prima, cioè in data 2 luglio, Consorte aveva riferito a

Fiorani di aver incontrato Leoni e che l’incontro era

andato benissimo: «Lui mi ha detto: “Ho già parlato con i

due presidenti del consiglio e collegio sindacale e sono

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okay” e mi ha scritto tra parentesi: “Potrei andare anche

oltre la Popolare Vicentina”». E, cioè, oltre il 3,5% che

già aveva raggiunto la Popolare Vicentina.

Lui, però, cos’ha detto, a un certo punto? «Quindi è bene

che tu lo sappia, no?» dice Leoni. «Ma, se non ci

mettiamo d’accordo, io però m’impegno a vendere a voi...

se non ci mettiamo d’accordo, io però m’impegno a vendere

a voi».

Al 2 luglio, Leoni non ha ancora parlato con il consiglio

e sabato 16 luglio, prima ancora della riunione di

consiglio di BPER, che si sarebbe svolta domenica 17,

Leoni iniziò a ventilare a Consorte: «Un’altra ipotesi

che veniva fatta era che noi potremmo aderire, cioè

facciamo l’operazione e non firmiamo il patto, ecco,

però, essendo concordati, con voi, di fare tutto... senza

mancare degli impegni che abbiamo preso; insomma, gli

impegni che abbiamo preso restano». Quanto davvero

rilevava era solo “di essere concordati, con voi, di fare

tutto”, ma è meglio evitare la stipula di un patto

formale, tanto pericoloso, quanto non veramente

necessario.

Il giorno successivo, domenica 17 luglio – la domenica è

il giorno preferito da chiunque, perché sia dedicato a un

C.d.A. -, dopo la riunione del C.d.A. di BPER, Leoni

chiamò Consorte, per anticipargli in via informale le

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decisioni; allora gli dice: «Noi confermiamo il nostro

appoggio al progetto, in linea di massima, anzi siamo

pronti anche a fare l’investimento suppletivo del 2%,

quello che serve per Lonati, e, quindi, a portarci vicino

al 4%; quindi, sotto questo aspetto, non c’è problema.

Poi, anche prendiamo atto del progetto, decideremo e noi

appoggeremo questo progetto che tende a portare BNL

nell’orbita di Unipol e del sistema delle cooperative.

L’orientamento che noi abbiamo... è fermo, quello di non

aderire all’OPA e, quindi, di tenerci la partecipazione,

ecco; noi però non vogliamo firmare il patto, nel testo

in cui è redatto. Insomma, stai tranquillo, noi non

aderiamo all’OPA, né all’OPS e vi confermiamo così il

nostro appoggio, pronti anche a fare l’investimento

suppletivo, ma senza firmare alcun patto, essendo, con

voi, già concordati di fare tutto». Potrebbe volersi

sostenere che il consiglio di BPER abbia ritenuto di non

voler sottoscrivere il patto, perché non interessato

all’opzione, ma solo all’investimento in BNL, in se e per

sé considerato, per il suo valore strategico, e, nella

realtà, la spiegazione è differente ed è proprio il

dottor Leoni, ad esplicitarla nel corso della menzionata

conversazione del 17 luglio: «Quei patti – dice – sono

inaccettabili, sono troppo vincolanti, troppo duri e non

hai alcun potere. La società Unipol giustamente vuole

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fare quello che vuole fare e lo fa come le pare a lei, ma

è una cosa che, secondo me, una banca non può accettare».

La scelta, di BPER, di non firmare il patto viene

presentata come motivata da esigenze di immagine della

banca; non si può certo pretendere che per telefono gli

dicesse: «Se firmiamo, il concerto è acclarato». Nella

realtà dei fatti resta vero, che la proposta di Consorte

viene accolta e la quota dei Lonati acquisita.

Prosegue Leoni: «Noi appoggiamo finanziariamente il

progetto e siamo disponibili a fare l’investimento, però

vogliamo essere liberi, anche: non possiamo andare in

Banca d’Italia, a dire che abbiamo anche una

partecipazione vincolata alla volontà degli altri. La

nostra partecipazione è libera e noi siamo fermamente

decisi a supportare il mondo cooperativo, in questo

progetto». Consorte chiede, allora, a Leoni se BPER, pur

non sottoscrivendo il patto parasociale, fosse disposta a

concedere una call, ciò che per lui era fondamentale –

così si esprime -, per avere il 51, indipendentemente da

come va l’OPA. Leoni gli rispose che il consiglio non

aveva previsto la concessione della call, ma “prendiamo

atto del progetto e lo sosteniamo”; quindi, su questo non

c’è dubbio, va bene... va bene, non c’è dubbio. «Ma che

altro vai cercando? La formalizzazione di un patto che

avrebbe significato la prova di un guaio? Lascia stare,

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non serve, noi il progetto lo sosteniamo, rilassati». Ma

l’ingegner Consorte era un po’ tanto stressato, in quei

giorni, e, quindi, insolitamente ansioso; così, la

mattina del 18 luglio, Consorte e Leoni si sono

nuovamente sentiti, per definire il contenuto del

comunicato stampa che sarebbe stato diffuso dopo qualche

ora, e Leoni lo torna a rassicurare: «Con noi vi potete

fidare, non c’è bisogno di fare documenti di questo

genere». Ossia contratti e call. «Noi siamo partners e

sai che faremo quello che dobbiamo fare, ma a far girare

i documenti, così, eh, non mi piace. Noi ci siamo, noi

teniamo... voi dite che è più l’Emilia, che tiene la sua

partecipazione, e basta, dopodiché c’è... le cose sono

chiare, insomma, non avere timore. Che bisogno c’è, di

dire... noi siamo lì e faremo l’OPA totalitaria, stop,

finito». La parola di un galantuomo è il valore della sua

persona. “Stop, finito” e... stop, finita la possibilità

di successo, di BBVA, a cui è resa indisponibile quella

determinata partecipazione; ciò che, per dirla ancora coi

giudici di appello di Bologna, già ricordati, avrebbe

comportato l’insuccesso dell’OPS promossa da BBVA.

Consorte, forse meno avvezzo al rispetto della parola

data, nel senso di essere più prudente, secondo il

principio “bretelle e anche cintura”, prova ancora ad

obiettare: «La Vicentina la call me l’ha data». A quel

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punto, Leoni gli replica: «E va beh, se ci sarà bisogno,

te la darò. Non farmi firmare dei contratti, perché, se

ci sarà bisogno, te la darò, mi hai capito? Capisci anche

me e la mia posizione, con il consiglio. Se ci sarà

bisogno, avrai anche questo, faremo l’OPA totalitaria e,

stop, finito». Il contenuto dell’accordo sostanziale,

patto parasociale o meno, intercorso tra Consorte e

Leoni, e, dunque, tra Unipol e BPER, è chiaro e provato:

in quella prospettiva, la circostanza che il patto

parasociale o il contratto call non siano stati

formalizzati è del tutto inconferente, anzi contribuisce

a rendere ancor più manifesto il carattere manipolativo,

cioè ingannatorio, di quanto realizzato; non occorreva

formalizzare quanto convenuto, si sarebbe fatto così, e,

proprio per ciò, non si doveva formalizzare.

Le Difese del dottor Leoni e di BPER non mancheranno di

evidenziare che le telefonate intercorse con il

presidente di Unipol costituivano nulla di più che meri

atti di cortesia informale, mentre la volontà sociale,

espressa dal C.d.A. e dal suo presidente, sarebbe stata

ben diversa, e, naturalmente, soltanto quest’ultima

conterebbe; se però si vanno a leggere i verbali del

C.d.A. e la successiva corrispondenza - questa volta,

ufficiale -, si scopre che, nella realtà, la volontà

espressa dal consiglio non era per nulla incoerente, con

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quanto il dottor Leoni aveva rappresentato

telefonicamente; la parte formale era, infatti,

perfettamente coerente con quella sostanziale, convenuta

tra Leoni e Consorte, ma oculatamente preparata, nella

consapevolezza del rischio di contestazioni, e di

concerto. Si è, infatti, già avuto modo di rammentare

che, domenica 17 luglio 2005, il consiglio di BPER si è

riunito, in via di urgenza, per valutare l’opportunità di

un ulteriore investimento in BNL, e, all’esito della

discussione, il C.d.A. ha deliberato come segue:

«Autorizza l’acquisto di azioni BNL, sino a un massimo di

ulteriori 60 milioni, ad un prezzo unitario non superiore

a euro 2,73, con appostazione, a partecipazioni,

dell’interessenza acquisenda; afferma la non

disponibilità della banca alla sottoscrizione di patti

parasociali di sorta, con Unipol Assicurazioni, in quanto

la banca intende mantenere piena libertà di gestione

della propria partecipazione in BNL, in considerazione

della sua natura d’investimento, durevole nel tempo;

esprime l’orientamento, allo stato, di non aderire

all’OPA che Unipol Assicurazioni dovesse promuovere sul

mercato; auspica che si creino le condizioni, nel futuro,

per concorrere, congiuntamente ad altre primarie banche,

all’operazione di finanziamento, a sostegno dell’OPA che

Unipol Assicurazioni intenderebbe promuovere, e ciò a

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condizioni di mercato; infine manifesta disponibilità a

valutare eventuali coinvolgimenti della nostra banca,

nella governance di BNL, solo dopo la positiva

conclusione dell’OPA che Unipol Assicurazioni dovesse

promuovere».

Il giorno successivo, ossia il 19 di luglio, consta

essersi poi svolto un incontro, tra i rappresentanti di

Unipol e quelli di BPER, ciò di cui dà conto Sacchetti,

in una missiva inviata, il 22 luglio, a Marani, Leoni e

Ascari, rispettivamente presidente, amministratore

delegato e presidente del collegio sindacale di BPER. Tra

le altre cose, nella missiva si legge: «Abbiamo ancor più

apprezzato quanto ci avete significato, in merito al

fatto che considerate tale partecipazione come un

investimento durevole e di lungo periodo, e che intendete

dopo la conclusione dell’OPA valutare la possibilità di

sottoscrivere accordi di consultazione con le banche

nazionali, socie di BNL. Dopo l’ottenimento delle

necessarie autorizzazioni, assembleari e regolamentari, a

partire dal prossimo mese di settembre vi chiediamo di

volerci rappresentare, se possibile, anche formalmente,

quanto convenuto, ovvero che BPER non aderirà all’OPA da

noi promossa, né ad altre OPA o OPS concorrenti, promosse

o che dovessero essere promosse da altri, autorizzandoci

a rappresentare l’eventuale vostro impegno alle autorità

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competenti, in materia di offerte pubbliche di acquisto,

il tutto nel rispetto delle norme regolamentari e di

legge». E aggiungiamo pure “nel rispetto formale”.

Il successivo 26 luglio 2005, l’amministratore delegato,

Guido Leoni, riscontra quindi la missiva di Sacchetti e

scrive: «Sono lieto, che Lei abbia potuto cogliere lo

spirito di collaborazione che ci anima, in uno, con la

volontà di concorrere, nei modi possibili, ad un progetto

che consenta di mantenere nel nostro Paese il controllo

di un istituto di credito storicamente prestigioso, qual

è la Banca Nazionale del Lavoro». È uno scambio che resta

di una formalità spendibile, è un accordo sostanziale,

non spendibile, come tale, verso l’esterno. Questo

carteggio mi ha ricordato una circostanza curiosa della

mia vita: una volta sono andato a fare un week-end di tre

giorni, a Marrakech, con un amico; torniamo da questo

week-end e mi arriva una mail, che mi dice: «Caro

Avvocato, desidero ancora ringraziarla, per la relazione

che ha voluto fare al nostro convegno e l’invito che ha

voluto fare...», e io dentro di me ho pensato: «Boh, mi

vuole prendere in giro». Dopo un paio di giorni lo sento,

si lamenta e dice: «Ma tu non mi hai risposto...».

«Scusa, ma mi stai continuando a prendere in giro, per

cosa?». Dice: «No, tu mi devi rispondere; così, se un

domani qualcuno ci chiede, noi possiamo dedurre i costi

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del viaggio, in termini fiscali, perché siamo stati a un

convegno». Ecco, questo scambio di carteggio mi ha fatto

tornare in mente questo curioso episodio.

Seguita, e concludo sul punto: «Le confermo che, se non

interverranno fatti nuovi o imprevedibili, anche nella

qualità dei nostri rapporti, la Banca Popolare

dell’Emilia Romagna non aderirà all’OPA promossa da

Unipol, in coerenza con la decisione già assunta dal

proprio consiglio, che ha considerato, l’investimento

compiuto, come stabile e duraturo nel tempo, così pure,

riducendo il costo, a quel momento, di quell’offerta,

senza necessità di dover trovare anche un nuovo e

ulteriore acquirente». La forma è coerente con la

sostanza: è un capolavoro di distorsione della realtà,

verso l’esterno, e coerenza verso l’interno, cioè, quello

oggetto delle conversazioni, tra Leoni e Consorte. La

singolarità, poi, di un investimento stabile del 3%, in

una banca che è soggetta a un’offerta pubblica, resta una

contraddizione, spiegabile solo in capo a chi avesse

saputo che quella offerta pubblica di scambio non sarebbe

andata a buon fine.

Che cosa c’è, di meno stabile di una target di una banca

che è soggetta a un’offerta pubblica di scambio? Infatti

era a tal punto stabile, questa partecipazione, che, una

volta che salterà, e cioè verrà negata l’autorizzazione,

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a Unipol, BPER si affretterà a conferire le sue azioni

all’OPA di BNP Paribas. In realtà, la stabilità di quella

partecipazione era esclusivamente funzionale a che fosse

mantenuta indisponibile a BBVA e non riconoscibile come

facente parte di un accordo, di un concerto; infatti, nel

provvedimento con il quale la nuova Banca d’Italia,

tornata ad essere davvero indipendente, ha comunicato a

Holmo e Unipol che non ricorrevano le condizioni di

legge, per il rilancio dell’autorizzazione all’OPA, su

BNL, la verità è stata ristabilita. Testualmente:

«Riconoscendosi l’impossibilità di considerare BPER

giuridicamente vincolata a non aderire all’OPA, pertanto

si conferma l’inclusione di tale quota nelle azioni

oggetto dell’offerta». L’orientamento espresso, a mezzo

stampa, dal presidente del C.d.A. della BPER, non assume

rilevanza giuridica, pertanto lascerebbe impregiudicata

la validità di un’eventuale cessione del pacchetto

azionario, mediante conferimento in OPA del medesimo,

come, appunto, poi si è precisamente verificato con

l’adesione di BNP Paribas e come avrebbe potuto

verificarsi con la cessione successiva al successo

dell’OPA obbligatoria, tanto insistentemente oggetto

delle richieste di Consorte, con quella call che, “se ci

sarà bisogno, te la darò”.

E veniamo alla Popolare di Vicenza. La Popolare di

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Vicenza è uno dei soci storici di BNL, con una quota di

circa il 3%, e, nonostante ciò, il dottor Gronchi, che

all’epoca era il direttore generale della banca, ha

spiegato di aver appreso dalla stampa, nel mese di

giugno, la possibilità di un coinvolgimento, in qualche

modo, di una cordata italiana, su BNL. «A livello di

presidente e direttore generale...». E cioè, appunto,

Gronchi e Zonin. «... vedemmo con piacere questa

iniziativa, perché consentiva, in qualche modo, alla

Popolare di Vicenza di recuperare all’interno della BNL

un ruolo». Insomma, la stampa non sempre riporta soltanto

cattive notizie e meno male che questo invito a una

cordata italiana avviene alla stregua di un annuncio

pubblicitario sul Corriere della Sera, perché,

altrimenti, magari avrebbero perso l’occasione. Fu, però,

lo stesso Gronchi, che già conosceva personalmente

Consorte, Sacchetti e Cimbri, a contattarli

telefonicamente, nei dieci giorni precedenti il 24

giugno, data del C.d.A. della Popolare di Vicenza che

avrebbe autorizzato l’incremento della partecipazione. Il

dottor Gronchi è stato molto puntuale, nel collocare,

cronologicamente, siffatti contatti, pure avvenuti

allorquando Consorte e Sacchetti erano seduti al tavolo

delle trattative con BBVA.

Perché Gronchi decise di rivolgersi proprio a loro? Ce lo

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spiega: «Perché, in base alla stampa, sono quelli che

hanno il maggior interesse, sull’operazione». E qual era,

la finalità del contatto? Ce lo spiega sempre lui: «Per

capire se hanno dei pacchetti disponibili, per poter

acquistare, perché c’era questo discorso di aumentare la

nostra quota di partecipazione, per poter svolgere un

ruolo». In effetti, la risposta dei rappresentanti di

Unipol fu: «Hanno dei pacchetti disponibili». Eh, quando

si dice la fortuna... fossero arrivati tardi - passata la

festa, gabbato lo santo -, perdevano l’occasione.

Nel corso dell’esame, anche il Signor Pubblico Ministero

ha fatto un po’ di ironia, sulla circostanza che una

banca decida le proprie strategie di investimento, in

ragione di quanto pubblicato dalla stampa, ed è una

ironia difficilmente non condivisibile. Fatto è che il

dottor Gronchi, a motivazione del proprio operato, ha

ritenuto di dover precisare: «Il rischio operativo, da

parte della banca, è un rischio limitato, in quanto c’è

in piedi l’OPS del Bilbao; quindi, in qualche modo,

abbiamo un paracadute in uscita, perché sappiamo che a un

certo prezzo ci sono riconosciute». Eh, più che giovedì

santo, pare martedì grasso; è una tombola dietro l’altra:

il rischio per la realizzazione è limitato, perché

comunque è sicura, la possibilità del piano B. È un volo

con il paracadute, ma di soli pochissimi metri - «Se

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non va in porto, il piano A, aderiamo al piano B» -,

e... nessun problema, nessun rischio.

Il C.d.A. della Popolare, nella predetta seduta del 24

giugno, preso atto della formazione con probabile

presentazione di una contro-OPA e di uno schieramento

volto a mantenere la proprietà di riferimento in mani

italiane, conferì mandato, a Zonin e a Gronchi, affinché

definissero il comportamento da tenere, ai fini della

strategia della banca, e i due delegati dal consiglio

scelsero di incrementare la partecipazione della Popolare

di Vicenza, in BNL, con gli acquisti che vennero posti in

essere subito dopo, ossia nei giorni 28, 29 e 30 di

giugno. Le modalità operative sono state non poco

significative, come ci è stato spiegato: «Unipol ci

segnalava la disponibilità del pacchetto e ci indicava

l’intermediario con il quale sarebbe avvenuto il

sentiment, che nel caso di specie fu sempre

Euromobiliare. Consorte diceva il quantitativo e

l’importo, indicativamente, perché Euromobiliare doveva

ritrovare la partita, e i tempi e i modi li fa il Giani».

Come si forma un blocco, è chiarito.

Anche Edward Duval, trader di Euromobiliare, rispondendo

alle domande del Signor Pubblico Ministero, ha confermato

la circostanza, ossia che gli acquisti dei giorni 28, 29

e 30 furono sempre trattati, per parte acquirente, da

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Unipol, in persona di Carlo Cimbri o Stefano Dell’Aglio,

e fu poi Unipol, ad indicare, dopo il perfezionamento

dell’accordo con il venditore, che l’acquirente finale

sarebbe stata, invece, la Popolare di Vicenza. Duval

all’epoca si fa qualche comprensibile scrupolo. Ci ha

detto: «Io devo però sentire la Popolare di Vicenza, se

vuole fare l’operazione, e a quel punto lì sentii la

Popolare di Vicenza, che mi conferma tutti i dettagli

dell’operazione».

Unipol, che stava conducendo la trattativa con BBVA, si

prende il disturbo di collocare dei pacchetti di azioni

BNL, presso la Popolare di Vicenza, il 29 di giugno,

mentre è ancora in corso l’operatività, con le modalità

descrittesi, e mentre pendono ancora le trattative con

gli spagnoli. Consorte non si presenta nello studio Ughi

e Nunziante, per le trattative, ma va a Vicenza, per una

riunione con Gronchi e Zonin, forse perché preoccupato

che la Popolare di Vicenza non perdesse l’occasione, che

riportavano i giornali, ma a quel fine sarebbe bastato

inviargli una copia dei giornali.

È sempre il dottor Gronchi, a raccontarci cosa accade in

quella riunione: «In quell’occasione, Consorte

rappresenta quelle che sono, o che possono essere, le

strategie della Unipol - la voglia di crescere e,

possibilmente, arrivare al controllo della banca - e

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chiede se la Popolare di Vicenza può aiutare Unipol, n

questo disegno, sia considerando il pacchetto azionario

che già possiede, sia, eventualmente, finanziando

l’operazione. Da parte nostra – e per “nostra” intendo

del presidente Zonin e mia – assicuriamo che questa

assistenza e questa collaborazione ci sarà». Dunque,

subito è molto persuasivo, l’ingegner Consorte, e d’altra

parte era lì, per fare una cortesia: in effetti, la

Popolare di Vicenza non solo vincolerà il proprio

pacchetto azionario all’operazione di Unipol,

sottoscrivendo il patto parasociale del 18 di luglio, e

non solo entrerà nel pool di banche che finanzieranno

l’operazione, ma farà ancora di più: accetterà di

acquistare, il 18 di luglio, una parte delle azioni di

Coppola e Statuto, e sappiamo quanto, a quel momento,

fosse difficile trovare e identificare degli acquirenti

disponibili ad essere tali, e, cioè, ad intestarsi quella

quota che Unipol non poteva intestarsi direttamente.

Grazie, dunque, anche per questa ulteriore e generosa

disponibilità, che è uno scambio di generosità che quasi

commuove, nel mondo degli affari.

La dedizione o la coscienza italiana, anche da parte di

Gronchi e Zonin, è, quindi, non meno magnificamente

graziosa, al punto da rendersi disponibili a rilevare,

addirittura, anche la quota di Lonati, che sarebbe dovuta

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spettare a BPER, nell’eventualità che il consiglio di

amministrazione della banca emiliana non approvasse

l’acquisizione; ciò che, come sappiamo, non fu poi

necessario.

Ci si potrebbe poi domandare quale fosse la convenienza

economica, per Banca Popolare di Verona - come si

esprime, testualmente, il suo C.d.A. del 24 giugno -,

nell’effettuare un incremento nel capitale BNL, per poi

vincolarlo, tramite una call, alle sorti della scalata.

Un’ultima osservazione: a smentire la tesi difensiva

secondo la quale è prassi che, in costanza di un’offerta

pubblica, la scelta di aderire, o meno, venga adottata

soltanto negli ultimi giorni del periodo di adesione, fu

infatti, già in data 12 luglio 2005, che il C.d.A. della

Popolare di Vicenza si pronunciò nel senso di non aderire

all’OPS. La ragione della scelta, adottata ben dieci

giorni prima dello spirare del termine di adesione

all’OPS, è stata chiarita dal dottor Gronchi: “Perché, a

quel punto, il patto della cordata italiana era

abbastanza vicino, diciamo così... vicino al 18 di

luglio». Forse, i consiglieri della Popolare di Vicenza,

nel giorno del Signore, preferiscono fare altro, a

differenza dei loro colleghi emiliani, che stare seduti

in un C.d.A.

La Cassa di Risparmio di Genova, anch’essa già socia di

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BNL, con una quota pari allo 0,5%, acquista ai blocchi,

il 4 di luglio 2005, un ulteriore pacchetto, pari

all’1,49%, portando così la propria partecipazione

complessiva sino all’1,99%, quota che Carige vincolerà,

poi, all’opzione di Unipol, sottoscrivendo i patti

parasociali del 18 di luglio. Anche per quanto attiene al

coinvolgimento di Carige, lo stesso risale all’epoca in

cui erano ancora pendenti le trattative con BBVA.

Il teste Sanguinetto - che all’epoca dei fatti era il

direttore generale della società -, rispondendo a una

domanda del Signor Presidente, ha infatti affermato: «Io

credo... sono abbastanza sicuro, di essere stato

informato di questa operazione, il 22 giugno. Lo posso

affermare con sicurezza, che solo il 22 giugno ho avuto

notizia di questa operazione, perché ero a Londra. Mi

ricordo che, mentre viaggiavo, mi è arrivata la

telefonata del mio presidente, che mi dice: “Guardi, ci

prospettano questa cosa: cosa ne pensa?”, e lì abbiamo

cominciato a ragionare». L’ingegner Consorte si era

dunque rivolto al presidente di Carige, dottor Berneschi,

intorno al 20 di giugno, mentre Sacchetti e Giai stavano

scambiando le prime bozze di protocollo d’intesa, con

BBVA.

È sempre il teste Sanguinetto, a ricordarci che i vertici

di Unipol hanno rappresentato il loro intendimento di

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tentare di assumere il controllo di BNL, attraverso le

loro azioni, di cui erano possessori, attraverso accordi

che pensavano di poter raggiungere con altrettanti

azionisti: «Hanno interessato anche noi, perché avevamo

questo 0,50%, e ci hanno chiesto, in quella circostanza,

se eravamo disponibili ad incrementare la

partecipazione».

Il comitato esecutivo di Carige autorizzò l’incremento

azionario, in data 1° luglio 2005, con la seguente

motivazione: «Considerato che da parte di Unipol,

nell’ipotesi di lanciare una contro-OPA, unitamente ad

altri investitori istituzionali, viene indicativamente

prospettata l’eventualità di pervenire al controllo di

BNL, attraverso ipotetici e opportuni accordi di

coordinamento con detti investitori istituzionali, si

autorizza...». Cioè si è autorizzata la direzione

generale a incrementare la partecipazione – posseduta, in

portafoglio, dalla CARIGE - nella BNL, fino al limite

massimo del 2%, mediante l’acquisto sul mercato, o ai

blocchi... di approvare un’eventuale partecipazione della

Carige agli ipotetici accordi di coordinamento, con altri

investitori istituzionali e altri soci guidati da Unipol,

con l’obiettivo di dare una stabile governance alla

suddetta banca, ossia a BNL, attraverso le azioni di un

gruppo di investitori istituzionali, guidati da Unipol,

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una eventualità, quella indicativamente prospettata da

Unipol, di pervenire al controllo di BNL, evidentemente

comunicata già prima del 1° luglio, in cui è quindi

potuta intervenire siffatta autorizzazione. L’acquisto,

come si è detto, verrà effettuato al mercato dei blocchi,

il 4 di luglio, al prezzo di euro 2,90 ad azione.

Ora, quanto particolarmente rileva, per la posizione di

Carige, è che la banca ligure contrattò ed ottenne da

Unipol la concessione, a proprio favore, di un’opzione

put, con un prezzo di esercizio esattamente pari al

prezzo pagato per l’acquisto del 4 di luglio, quindi,

addirittura, superiore al prezzo di esercizio, permesso

da tutte le restanti put, pure concesse il 18 di luglio,

di Unipol, a favore di altri.

La dichiarazione definitiva, quindi, del teste

Sanguinetto è: «In definitiva, noi facevamo un’operazione

di tipo finanziario, (inc.) come mettere questi capitali

a disposizione di Unipol, su un conto interbancario,

remunerato ai tassi correnti del momento; quindi

prendevamo solo un rischio di controparte». Cioè un

rischio di inadempimento, da parte di Unipol; insomma era

come fare un prestito e per Unipol era, correlativamente,

come la previsione di un acquisto a termine.

È probabile che il professor Gualtieri, quando si è speso

ad affermare che non vi erano soggetti fiduciari, non

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avesse presente questa dichiarazione del dottor

Sanguinetto, ma, quali che siano le definizioni, resta il

dato di sostanza, e il dato di sostanza è quello spiegato

da Sanguinetto.

E veniamo, quindi, a Deutsche Bank. Deutsche Bank è una

delle tre grandi banche d’affari internazionali che il 18

di luglio acquistano un rilevante pacchetto di azioni,

dai contropattisti, vincolando, poi, anch’esso al

successo dell’operazione di Unipol, tramite due distinti

contratti, denominati “spock hedge and put” (fonetico) e

“call and hedge” (fonetico), che mi fanno venire in mente

“fresh and clean” e “fish and chips”. Anche a questo

fine, le trattative furono condotte da Carlo Cimbri, che,

infatti, l’11 luglio, conversando telefonicamente con

Consorte, gli riferì: «Mi ha chiamato Deutsche Bank e mi

ha detto: “Oh...”». Che mi ricorda un certo personaggio

cabarettistico della trasmissione di Bisio. «Oh, noi

abbiamo fatto... a noi, ’sta roba interessa molto...

pigliamo il 5%». Il successivo 13 luglio, sempre Cimbri

parla al telefono con Consorte, per riferirgli di alcune

perplessità manifestategli da Deutsche Bank: in

particolare, Deutsche Bank temeva di poter essere

chiamata, in concerto – udite, udite – con Unipol, a

dover lanciare l’OPA. Il messaggio di Consorte, che in

quel momento si trovava presso gli uffici di Consob –

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quando si dice le coincidenze... -, è chiaro: «No, no,

gliel’ho già detto, non c’è problema, loro devono solo

dichiarare... me lo diceva, adesso, Salini, che nel

momento... a chi comprano e a chi vendono. Domenica ci

sarà il comunicato e tutto è finito». Se glielo diceva,

in presa diretta, Salini, che è il responsabile, per

Consob, della comunicazione ai mercati, c’è da credergli.

Anzi, per dare maggior tranquillità agli amici di

Deutsche, Consorte chiede, addirittura, al dottor Salini

la gentilezza di essere disponibile a confermargli

direttamente la circostanza, al telefono. E Salini,

sdegnato, rifiuta? No, cortese e disponibile, spende

questa sua disponibilità, che però, per fortuna, non sarà

necessaria, perché, pochi istanti dopo, Cimbri richiama

Consorte e gli dice: «I tedeschi comprano, non chiamano

neanche la Consob, hanno già fatto l’approvazione». Eh,

meno male, perché chissà che imbarazzo, altrimenti, in

capo a Consob, quando, poi, sarebbe andata a censurare

l’operato di Deutsche Bank.

La sera del 13 luglio, Consorte parla con Chicco Gnutti,

che gli dice: «Sono qui con Deutsche, io». Consorte: «Già

chiuso, anche loro». Chicco: «Ti han già dato la

risposta?». Consorte: «Sì». A quel momento, gli accordi

con Deutsche Bank sono, dunque, già chiusi.

Il contributo di Deutsche Bank, al successo

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dell’operazione, non è però limitato a questi acquisti

del 18 di luglio; invero, allorquando Unipol presentò a

Banca d’Italia l’istanza di incrementare la propria

partecipazione, in BNL, sino al 15%, il 1° luglio 2005,

stipulò tre contratti di opzione, con altrettante banche

internazionali, funzionale a garantire l’immediato

incremento, non appena ottenuta la relativa

autorizzazione, e uno di questi contratti, quello che

aveva ad oggetto il pacchetto maggiore, il 2,48%, fu

stipulato proprio con Deutsche Bank. Non è certo privo di

rilievo, che la banca si fosse procurata la provvista

necessaria a costituire con blocco, il giorno precedente,

tramite Euromobiliare, acquistando i titoli da tre fondi

distinti.

Il trader di Euromobiliare, Duval, ha confermato, come

era già avvenuto per gli acquisti della Popolare di

Novara, posti in essere proprio in quei giorni, che il

nominativo di Deutsche Bank, per la parte acquirente, era

nominativo che gli era stato indicato da Unipol, e,

precisamente, da Carlo Cimbri, e si è, pure, già avuto

modo di ricordare che i contratti di opzione, stipulati

con Deutsche Bank, il 1° luglio, avevano una data di

scadenza, nuovamente, non casuale, e cioè, a dire, il 18

di luglio.

Nel comunicato stampa diffuso da Unipol, la mattina del

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18 di luglio, a proposito di Deutsche Bank viene fatta

questa precisazione: «In data odierna, Unipol ha anche

sottoscritto, con Deutsche Bank AG London, taluni

accordi, aventi ad oggetto strumenti finanziari, ai sensi

dei quali Unipol ha acquistato da Deutsche Bank opzioni,

di tipo call, esercitabili per un periodo di sei mesi.

Deutsche Bank ha acquistato da Unipol opzioni di tipo

put, con scadenza a tre anni, aventi ad oggetto,

complessive numero azioni - e blablablà -...

corrispondenti al 4,99% del capitale sociale di BNL.

Deutsche Bank si è impegnata a non conferire le azioni

BNL, che sono oggetto dell’operazione di acquisto, di cui

al precedente punto 1, ad altre...». Come se ce ne

fossero chissà quante altre, e ce n’era una. «... offerte

pubbliche, attualmente in corso». L’esistenza degli

accordi con Deutsche Bank è stata dunque menzionata nel

testo del comunicato stampa, ma la quota di azioni,

detenuta dalla banca, non è stata formalmente computata

tra le azioni a disposizione di Unipol. Sotto

quest’ultimo aspetto, il trattamento riservato a Deutsche

Bank è del tutto simile a quello riservato a BPER, come

se le loro azioni, pure acquistate a seguito degli

accordi con Cimbri e Consorte, fossero svincolate e

indipendenti dall’offerta di Unipol.

È noto che è intervenuta la Consob, che ha fatto adeguare

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il prezzo e ha sanzionato De Nicolais e Rafael

Gil-Alberdi, e la sanzione è stata impugnata davanti alla

Corte d’Appello di Roma, che ne ha dichiarato

l’illegittimità, annullandola. Attenzione, però, che

siffatta pronuncia non attiene tuttavia, in alcun modo,

alla riconosciuta sussistenza di un accordo parasociale,

tra Unipol e Deutsche Bank, anzi è confermata dai Giudici

di appello. Invero, i Giudici di seconda istanza hanno

ritenuto che il comunicato stampa, diffuso da Unipol, il

18 luglio 2005, pur non qualificando formalmente il

rapporto con Deutsche Bank, in termini di patto

parasociale, ha messo una valenza informativa, rispetto

allo stesso soggetto, comunque sufficiente ad escludere

violazioni di legge. È un’affermazione che quindi non

pare tuttavia risolutiva, ai fini del presente giudizio,

perché non suscettibile di escludere il contributo

causale, fornito da Deutsche Bank, per il successo del

piano A.

Da ultimo, con la realizzazione di un accordo di

disponibilità, già in essere, almeno, dalla sera del 13

luglio, ma non conosciuto dal mercato, sino al momento in

cui tutto doveva perfezionarsi ed era possibile uscire

allo scoperto, e cioè, a dire, lunedì 18 di luglio... né

pare potersi assolutamente obiettare che la banca

d’affari sia intervenuta solo a cose fatte, quale mero

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acquirente - una mosconata dell’ultimo momento -, in

un’opzione alla cui ideazione e organizzazione, quindi,

non aveva partecipato, sia pure in un lasso di tempo

assai più circoscritto, ma non poco rilevante, quello

degli ultimi giorni. È vero, infatti, che Deutsche Bank

non si è limitata a comprare le azioni dei

contropattisti, la mattina del 18 di luglio, ma aveva,

anche, già accettato di intestarsi, per conto di Unipol,

quote di azioni BNL, in attesa che Banca d’Italia

concedesse alla compagnia di assicurazioni le necessarie

autorizzazioni, e non pare solo sfortunata coincidenza,

che il pacchetto opzionato da Deutsche sia stato

costruito previa indicazione di Carlo Cimbri,

all’intermediario Euromobiliare, ed acquistato da

Deutsche Bank, esattamente, il giorno prima a quello in

cui Unipol chiese l’autorizzazione a Banca d’Italia e

quindi stipulò, con Deutsche Bank stessa, un’opzione

call, in scadenza al 18 di luglio; infatti, una simile

tempistica non sembra il frutto di improvvisazione. Se il

ruolo dell’istituto, in quanto tale, è chiaro, onestà

intellettuale impone di convenire con il Signor Pubblico

Ministero, perché l’evidenza processuale, rispetto alla

responsabilità penale, che è personale dei singoli, cioè

dei funzionari, non è tale, ad avviso e convincimento di

questo Difensore, da consentire un’affermazione diversa

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da quella di cui al secondo comma dell’art. 530 c.p.p., e

rispetto a questi due soggetti non concluderò, quindi.

Io, Presidente, la parte delle popolari e di Deutsche

Bank l’ho terminata e a questo punto ho, da trattare, le

risposte alle domande, oggetto di questo giudizio, e

quindi, da ultimo, anche il profilo della concreta

idoneità a incidere sul prezzo, dopodiché la tematica del

danno. Se quindi il Tribunale ha piacere di fare, ora,

una breve sospensione, prima di rendere le conclusioni, o

se invece preferisce farla dopo... come preferisce il

Tribunale.

Si dispone una breve sospensione. L’udienza riprende e si

procede come di seguito:

AVV. ACCINNI – Grazie, Presidente. L’ultimo ostacolo, che ci

separa dalle meritate vacanze pasquali, è quello che

attiene alle conclusioni...

AVVOCATO – È il penultimo ostacolo.

AVV. ACCINNI – ... quantomeno costituito da me, diciamo.

Veniamo, intanto, all’epilogo della nostra vicenda: al 18

di luglio, i giochi sono fatti, la maggioranza di diritto

è stata definitivamente resa indisponibile, a BBVA, e

Unipol può senz’altro esercitare un’influenza dominante,

su BNL; che poi questa fosse effettivamente pari al 50%

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più 1, come l’ingegner Consorte andava sbandierando nelle

sue conversazioni telefoniche, oppure inferiore o

superiore, poco importa, perché quanto solo rileva è che

disponeva, per certo, di una quota che consacrava la

realizzazione del piano A, in ragione, proprio, della

indisponibilità, per BBVA, del 50% più 1, e la sua

offerta risultava contrastata, anzi impedita con

successo.

Il 19 di luglio, a seguito del comunicato del 18 di

luglio, di Unipol, BBVA emetteva dunque, a propria volta,

un comunicato, che reca la data del 18 di luglio, con cui

comunica che manterrà la sua offerta di acquisto, sulla

Banca Nazionale del Lavoro, invariata, per quanto

concerne le condizioni di prezzo e di termine. L’offerta

di BBVA, il cui periodo di adesione termina il prossimo

venerdì 22 luglio... si ricorda le condizioni che

prevedono... quindi si ricorda che è stata formulata in

piena trasparenza e nel rispetto delle regole di mercato,

con pari condizioni, per tutti gli azionisti della BNL, e

sottoposta al previo ottenimento di tutte le

autorizzazioni previste dalla legge, sia in Italia, sia

nell’Unione Europea. L’offerta di BBVA è, attualmente,

l’unica, che è dotata dei mezzi finanziari necessari, per

portarla a termine, e, debitamente autorizzata, è

indirizzata a tutti gli azionisti di BNL, senza che, ad

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oggi, nessuna offerta sia stata formalizzata nei termini

e condizioni prescritti dal diritto italiano. Niente di

più vero: il periodo di adesione di tale offerta, i cui

termini iniziali non variano, termina il 22 luglio

prossimo.

In relazione, poi, al comunicato di Unipol, nello stesso

comunicato di BBVA si afferma: «La società assicurativa

Unipol ha reso noto, oggi, di aver sottoscritto, ieri,

diversi accordi, con alcuni soci, finanziari e non

finanziari, che hanno acquistato, negli ultimi mesi,

azioni di BNL, a prezzi diversi, e che congiuntamente

sarebbero titolari del 46,95% del capitale della

società». Nel comunicato, Unipol riconosce che tale

acquisizione è concertata e la obbliga a promuovere

un’offerta obbligatoria, cash, entro i prossimi 30

giorni. Unipol intende promuovere tale offerta, al prezzo

di 2,70 euro per azione, qualora siano conseguite le

autorizzazioni, dell’Autorità di vigilanza, volte a

verificare la validità del procedimento, dal punto di

vista legale, di vigilanza prudenziale e di tutela degli

azionisti, nonché i mezzi finanziari, necessari per

eseguire detta offerta.

«Nel comunicato, diffuso, questa mattina, da Unipol, non

è stato divulgato, il contenuto completo degli accordi

raggiunti, e non si rendono neanche noti i dettagli delle

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garanzie finanziarie del progetto». La consulenza tecnica

del professor Gualtieri, a pag. 290, recita: «Il mercato

evidentemente attendeva un eventuale rilancio, da parte

di BBVA, che, invece, il giorno seguente, 19 luglio,

comunicò che avrebbe mantenuto invariati i termini e le

condizioni economiche dell’OPS, il cui periodo di

adesione si sarebbe concluso il 22 luglio successivo».

Il professor Lamandini, alle pagg. 7 e 8 del suo

elaborato, a sua volta osserva che BBVA avrebbe potuto

rivedere al rialzo il prezzo della propria offerta, anche

dopo la comunicazione di Unipol, del 18 luglio 2005, che

rendeva noto al mercato il prezzo dell’offerta pubblica

di acquisto obbligatoria, successiva, che Unipol e i

soggetti che agivano di concerto con essa avrebbero

promosso; BBVA avrebbe pertanto potuto sino alla data del

19 luglio, stante la fissazione della data di chiusura

del periodo di adesione al 22 luglio, liberamente

modificare in aumento il corrispettivo della propria

offerta, e BBVA con il comunicato del 19 luglio ha

espressamente escluso la volontà di aumentare il

corrispettivo dell’offerta.

Ora, l’affermazione non è stupefacente, solo se

considerata nella sua astrattezza dalla realtà e dal

contesto, come se un rilancio avesse ancora avuto reale

possibilità e senso, come se il 18 luglio e come, anche,

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prima di quel momento non fosse successo niente, come se

la volontà di BBVA sia stata davvero libera, e,

soprattutto, come se fosse, in qualche modo, BBVA, a

dover rispondere di un suo mancato rilancio, che poi,

appunto, è l’accusa che implicitamente viene mossa, ma

BBVA non ha avuto, in alcun momento, un’offerta, con cui

misurarsi, e, perfino al 18 di luglio, la sua è ancora

l’unica, giuridicamente e finanziariamente, vincolante;

ma il punto, per quanto, ora, qui è di rilevanza

decisiva, è che BBVA si è dovuta misurare con delle

condotte illecite, e non con un’opzione di mercato, ma

con l’illiceità delle condotte poste in essere a

contrastare la sua iniziativa e ad ostacolarla. È un

inversion method, quello della pretesa obiezione

implicita, in ordine al perché BBVA non riveda i termini

della propria offerta, migliorandola, senza prima

chiarire e qualificare le condotte che sono state poste

in essere a tutto il 18 di luglio, e, quindi, quella

distorsione della realtà, di cui i protagonisti di questa

vicenda si sono resi corresponsabili, quasi che BBVA non

avesse avuto diritto, a misurarsi con condotte al pari

delle proprie, lecite e, quindi, di mercato, e quasi che

il nostro ordinamento appunto non preveda il delitto di

aggiotaggio, e, cioè, che vi sono dei risultati che è

illecito perseguire, e non, però, con qualunque mezzo.

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Coerente al contesto - quindi è espressione significativa

della realtà e dei risultati delle sue alterazioni - è la

lettera, del 20 luglio, di Diego Della Valle, e mi ci

intratterrò assai poco, perché già ne ha parlato il

Pubblico Ministero. Ha molti profili di rilevanza, quella

lettera, e molti che attengono a Banca d’Italia, di cui

non starò, in questo momento, a discutere. Per restare al

tema più rilevante, ora in discussione, vi si afferma: «A

mio giudizio, gli elementi sommariamente delineati

forniscono una prima indicazione, dei dubbi che ad oggi

condizionano l’efficiente andamento del mercato e delle

contrattazioni, costringendo gli investitori ad assumere

decisioni più in base a valutazioni discrezionali, che ad

informazioni certe. Quindi si conclude permettendosi di

esprimere la motivata aspettativa...». La lettera è

indirizzata sia a Banca d’Italia che a Consob. «... che

codeste Spettabili Autorità, per quanto di rispettiva

competenza e nei limiti dei relativi poteri, assumano le

decisioni più opportune, per favorire la diffusione delle

informazioni necessarie a consentire agli azionisti di

BNL di decidere il tempo utile, per l’eventuale adesione

all’offerta di BBVA, e in modo consapevole, e, quindi, di

tutelare il loro investimento». Circostanza che ci

riconferma che non... intendeva mantenere la propria

partecipazione e che ci riporta alla problematica delle

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manipolazioni, delle incertezze e della distorsione della

realtà, su cui, ora, andremo a concludere. Banca d’Italia

non risponderà, dirà: «Non ci è stato chiesto,

espressamente, di rispondere». In realtà, competente

sarebbe Consob, e Consob ci ha già fatto sapere che non

intende rispondere. Poi, significativamente - e qui,

proprio, c’è la circolarità dei meccanismi che

connaturano la vicenda di questo processo -, osserva di

non aver ricevuto alcuna istanza di autorizzazione,

all’acquisizione del controllo di BNL, mediante OPA, da

parte di Unipol, e, quindi, di essere, a quel momento,

nell’impossibilità di assumere decisioni, al riguardo, e,

conseguentemente, fornire alcuna informazione al mercato.

«Cioè, a me non l’hanno chiesta, l’autorizzazione, e che

cosa devo dire, io?». È straordinaria, la circolarità del

meccanismo.

E allora, qual è, a fronte della ricostruzione dei patti,

come operata dal Signor Pubblico Ministero e come, anche,

operata da questa Difesa, oggi, il significato del

divieto di perseguire risultati, anche leciti, attraverso

qualunque mezzo, e, cioè, attraverso altri artifici, e

quali, dunque, in conclusione, le risposte alle domande

di questo giudizio? Intanto, la ricostruzione dei fatti

ci conferma che sono solo le norme giuridiche, ed il loro

rispetto, a consentire comportamenti razionali e

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prevedibili, solo il loro rispetto rende davvero

razionali e prevedibili i comportamenti che

l’allontanamento dalle regole, nella prevalenza di forme

spinte di libertà negoziale, rispetto alla norma

operativa, norma operativa che nel nostro caso è quella,

appunto, espressa dal divieto di servirsi di altri

artifici, caratterizzano comportamenti non prevedibili ed

illeciti, e ciò, appunto, è tanto più vero, quando le

regole delle norme giuridiche sono, come è nel nostro

caso, quelle che attengono alle modalità operative e alla

loro conseguente turbativa: la regola giuridica, infatti,

quella espressa dell’aggiotaggio manipolativo, commesso

con altri artifici, il cui valore, penalmente sanzionato,

è radicato nella distorsione della realtà... questo,

dunque, è il parametro normativo, alla stregua del quale,

solo, si riconferma doversi valutare l’illiceità, o meno,

delle condotte realizzate. Modalità operative della

condotta e contesto in cui le medesime vanno ad inserirsi

sono gli elementi di riferimento che qualificano gli

altri artifici, che sono oggetto d’imputazione e del

vostro giudizio.

BBVA, che pure era stata promotrice di un’offerta

pubblica, è stata privata della concreta possibilità di

acquisire pacchetti di controllo. E come si ostacola? Con

un’altra opzione, o facendo pagare di più, come ricordava

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Boni. Chi ha lanciato un’offerta pubblica è stato privato

della concreta possibilità di acquisire pacchetti di

controllo, in ragione di condotte non lecite, di mercato,

ma realizzatesi in modo che potessero essere attuate

copertamente, deviando l’attenzione della controparte e

dei terzi. La controparte doveva comunque essere

impedita, nella sua possibilità di esercizio, di

un’influenza dominante, di fatto o di diritto, e in ogni

caso ostacolata, rendendo la sua offerta più costosa, un

maggior costo che pure avrebbe quindi avuto la sua

ragione, non, già, per l’effetto di una risposta di

mercato, ma di condotte illecite, e, di qui, il

paradosso: il rispetto delle regole, da parte di BBVA, ha

determinato il suo fallimento e - ciò che è,

sostanzialmente, lo stesso - la necessità di un maggior

costo della sua offerta, quale conseguenza non, già, di

una spontanea risposta di un mercato non alterato nei

suoi meccanismi, ma dell’inganno e della dissimulazione.

La pretesa di un rilancio al pari dell’affermazione della

sua possibilità omettono di considerare che sarebbero

state le conseguenze non, già, di una libera

determinazione e non, già, della risposta, sincera e

spontanea, di meccanismi di mercato non alterati, ma

della loro perturbazione. Il danno è già nel ricorso a

sistemi inammissibili di competizione, realizzati con

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qualunque mezzo; questo è il significato di quanto

chiarito dal professor Pedrazzi. Vi sono dei risultati

che è lecito perseguire, non, però, con qualunque mezzo.

Il limite è dato dalla liceità dei mezzi, dalle modalità

operative e dal contesto in cui si inseriscono. La legge

vieta di servirsi di altri artifici. Il meccanismo di

formazione dei prezzi non può essere alterato da cause

perturbatrici. Il danno per il mercato e la sua

regolarità di funzionamento è già nel ricorso a sistemi

inammissibili di competizione e, trattandosi di fatto

lesivo d’interessi collettivi, non è ammissibile, un

aggiotaggio difensivo teso a contrastare, con mezzi

illeciti, manovre altrui, lecite.

In capo ai vertici di istituzioni di vigilanza e di

controllo e di soggetti attivi ai vertici di società

quotate si giustifica, dunque, un più rigoroso

trattamento punitivo. La ragione sta proprio nell’insidia

aggiuntiva, rappresentata dal fatto che proprio le loro

posizioni, le loro qualifiche, come i loro poteri

accreditano i loro comportamenti, al pari delle loro

esternazioni, di fronte al mercato, consentendo loro, al

contempo, di sintonizzare eventuali manovre speculative,

con l’andamento della gestione di cui hanno conoscenze

anticipate, rispetto agli estranei, una sintonizzazione

che pure concorre alla realizzazione dell’artificio e che

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inganna, impedendo ad altri, BBVA e i terzi, di

comportarsi di conseguenza, e, così, anche i

provvedimenti di Banca d’Italia.

La linea di maggior rigore si esprime, perciò, anche

nella stessa dilatazione dell’elemento psicologico, ai

fini del quale è sufficiente la consapevolezza

dell’attitudine manipolativa della condotta, della sua

attitudine, cioè, a concorrere a quella distorsione della

realtà, che realizza l’illecito, ed, ai fini della

comprensione, in linea di fatto, di siffatta distorsione,

neppure si può omettere di segnalare l’amplificazione

degli effetti di quelle condotte, in ragione, proprio,

anche della sussistenza di un flottante già, a maggio,

esiguo, come ricorda il professor Comana, quindi reso

sempre più sottile. Non è ignorabile, infatti,

l’avvertenza d’obbligo che la valenza artificiosa debba

essere verificata anche tenendo conto della

iperreattività dei mercati, che pure concorre, anch’essa,

a qualificare il contesto e la concretezza delle modalità

delle condotte. Lo stesso arbitrio degli osservatori,

nell’interpretare i segnali colti sul mercato, lungi

dallo smentire l’artificio a monte, viene a

rappresentarne una componente, quante volte entri nei

calcoli del manipolatore, e così, dunque, per gli equity

resource della seconda metà di maggio, che esprimono

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giudizi, sulla migliorabilità dell’OPS di BBVA e sulle

probabilità di rilancio, datati per lo più, appunto, le

ultime settimane di maggio, dunque successivi, e

determinati da quei massicci acquisti, di Unipol, BPL e

BPER, che hanno sapientemente fatto lievitare il prezzo

del titolo, con ciò concorrendo a ingenerare incertezza

nel mercato, sull’esito dell’OPS, proprio perché

l’aumento di valore del titolo induceva appunto gli

investitori ed analisti all’aspettativa di un’offerta

concorrente, un’offerta di cui non si sapeva se, ed a che

prezzo, sarebbe stata lanciata, ma di cui il rialzo del

valore ufficiale del titolo, provocato dagli acquisti,

legittimava l’attesa, intanto, ponendo out of the money

l’OPS di BBVA. Costituiscono invero artificio, le

condotte che siano accompagnate con accorgimenti atti a

diffondere interpretazioni fallaci, della realtà

economica sottostante, in modo da stimolare reazioni

sfasate, rispetto alla vera situazione di mercato. Tipico

dell’artificio è di dare l’avvio a rialzi o a ribassi

privi di basi reali e destinati ad afflosciarsi, una

volta esaurita la manovra - ed è, esattamente, quanto si

è verificato -, come la mera osservazione del titolo, su

cui torneremo fra un attimo, conferma. Il titolo è

lievitato, a partire dalla seconda metà di maggio, e

tornerà addirittura ad afflosciarsi, esaurita la manovra

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che ha condotto alla data del 18 di luglio, momento in

cui il valore del titolo BNL resterà invariato,

riposizionandosi sui valori di concambio dell’OPS e,

perfino, sotto a quegli stessi valori, subito dopo il 18

di luglio.

Le consulenze tecniche dei consulenti di controparte

riflettono dunque lo stesso errore dello stratagemma

difensivo, in forza del quale si pretenderebbe di poter

atomizzare ogni singolo passaggio della vicenda, per

affermarne la liceità, così negando rilevanza, a ciò,

solo, che qualifica gli artifici: le modalità della

condotta e del contesto in cui vanno ad inserirsi.

Quella di artificio, invero, è nozione relativa, che, a

differenza proprio delle falsità informative, non

afferisce, necessariamente, ad un certo tipo di condotta,

che si riscontra ricostruendo la manovra, in tutti i suoi

passaggi, collocandola nel suo contesto ambientale e

analizzando i segnali percepibili dagli osservatori

esterni, ovvero maliziosamente occultati alla percezione

dell’esterno, mediante precauzioni dissimulatorie.

Così, il professor Pedrazzi, nella “Voce del digesto” del

‘99: «L’effetto di disorientamento dei mercati può

conseguire ad un’accorta combinazione di mosse, anche

isolatamente insignificanti. Il tentativo di

atomizzazione della ricostruzione, per affermare la

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liceità di ogni singolo passaggio, è, perciò, priva di

pregio e perfino fuorviante».

In ultima analisi, da parte dei C.T. è mancato il vero

confronto, con la manipolazione imputata, cioè con gli

artifici, quali espedienti operativi, diversi dalla

diffusione di informazione fallace, mediante i quali

viene fatta apparire una situazione di mercato, diversa

dalla reale, o viene dissimulata un’azione reale.

Dimentichi, il C.T. della Difesa, che l’artificiosità di

una condotta va valutata alla stregua delle modalità con

cui è realizzata; l’artificiosità non attiene al

risultato, ma al mezzo: «Un livello dei prezzi è

artificioso, in quanto provocato mediante artifici, e, a

definire in tal senso gli artifici, non serve, perciò,

neppure quel parametro, a cui si fa spesso riferimento,

del gioco normale della domanda e dell’offerta, parametro

– così osserva il professor Pedrazzi, nella “Voce del

digesto” – tautologico, ancorato ad una normalità che è

tutta da definire». Non a caso, la fattispecie delittuosa

presenta lo schema della consumazione anticipata, al

momento della concreta attitudine a incidere sul valore

del titolo. Non del livello, bensì del meccanismo di

formazione dei prezzi, la norma si preoccupa, e vuole che

questo meccanismo non venga alterato da cause

perturbatrici, quale, appunto, la distorsione della

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realtà. La distorsione della realtà è quanto caratterizza

la vicenda processuale, oggetto di questo giudizio. È

stato disatteso e violato, l’obbligo, penalmente

sanzionato, che ha, nella volontà di evitare siffatta

distorsione, la propria ragione d’essere; questa è la

risposta alle domande di questo giudizio.

E veniamo al vero problema, cioè a quello di un valore di

offerta che non ha potuto misurarsi con prezzi che non

fossero espressione di un inganno, ed al falso problema,

cioè quello del mancato rilancio e la sussistenza della

concreta idoneità della distorsione della realtà, quindi

dei meccanismi di mercato e della loro trasparenza, a

incidere sul valore del titolo BNL, quindi la rilevanza

dei volumi degli acquisti, dei loro tempi e dei modi,

dell’identificazione degli acquirenti e dei principali

protagonisti della vicenda processuale nostra. Chi lancia

un’offerta, ha diritto di potersi confrontare - quindi,

di vincere o di soccombere - con dei prezzi che non siano

il frutto di un inganno, e, cioè, di un’alterazione, non

trasparente, dei meccanismi di mercato. Il tema del

mancato rilancio, da parte di BBVA, va dunque rivisto nel

suo solo corretto significato, cioè quello della

commissione di un delitto, perché è manifesto, che non

sia esigibile, che ci si debba far carico di un maggior

costo, determinato da una condotta illecita, e questo è

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ancor più vero, a considerare che il valore,

originariamente stimato corretto, da BBVA e dai suoi

advisor finanziari, a far tempo della metà di maggio,

così come correttamente imputato, non si è potuto

confrontare con un mercato i cui meccanismi di formazione

dei prezzi non fossero stati alterati dalla realizzata

distorsione della realtà: non è stato, cioè, il mercato,

nella sua spontanea e genuina reazione, a rendere quel

valore dell’OPS soccombente e a decretarne la sua

concreta non attrattività, ma una condotta illecita, che

ha privato BBVA della stessa possibilità che i termini

della propria offerta fossero valutati da un mercato non

manipolato.

Come avrebbe giudicato, il mercato, il valore dell’OPS,

se non ci fosse stata distorsione della realtà e

perturbazione dei suoi meccanismi? È una domanda che ha

ovviamente risposta impossibile e che ci introduce,

perciò, alla vera domanda: il valore dell’offerta di BBVA

è potuto essere stato giudicato e valutato, in termini

liberi e consapevoli, da un mercato la cui realtà è stata

distorta? BBVA non aveva ragione, né concreta

possibilità, di rilanciare, non solo perché - tanto,

pure, che già basta - il 50% più 1 del capitale sociale

di BNL le è stato reso comunque indisponibile, anche

grazie ad autorizzazioni a orologeria, rilasciate da

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Banca d’Italia, e perché fatti quindi trascorrere, ad

arte, i termini, perché potesse concretamente e

fruttuosamente richiedere la proroga di quelli, per

l’adesione alla propria offerta, ma anche perché non era

certo esigibile, che si facesse carico, nel permanere

dell’assenza di altra offerta giuridicamente e

finanziariamente vincolante, di un costo superiore a

quello che aveva stimato corretto e come tale, invero,

supportato anche dagli analisti finanziari, che sono

stati i suoi advisor, e dai giudizi che altri analisti

hanno espresso negli equity resource, precondizionamento

degli acquisti massicciamente intervenuti a metà di

maggio, e cioè, a dire, prima dell’inizio degli acquisti,

appunto, oggetto d’imputazione, allorquando, ancora, il

valore della sua offerta era in linea con quello espresso

dal mercato. Gli artifici hanno impedito a BBVA di

confrontarsi in una competizione leale, di mercato, e di

poter comportarsi di conseguenza. Non sono certo estranei

agli artifici, e cioè, appunto, alle modalità delle

condotte e al contesto in cui si inseriscono, i volumi

degli acquisti, le loro modalità, i loro tempi e, non da

ultimo, i soggetti che li hanno posti in essere; è

proprio la mancata considerazione dei volumi, come

operata dai C.T. delle Difese, ad inficiare le loro

valutazioni.

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Perché il mercato attendeva un rilancio? Da quale momento

ha iniziato a coltivare siffatta aspettativa? Cosa ha

reso non attrattivo un concambio che cessa di essere

tale, solo dalla seconda metà di maggio, per poi tornare

ad esserlo, proprio da subito dopo il 18 di luglio? Per

vero, nel corso del mese di aprile, il titolo si mantiene

sostanzialmente stabile, nell’intorno di 2,464 euro,

prezzo medio ponderato al 1° aprile e al 29 aprile. Solo

il 28 di aprile, l’OPS risulta per la prima volta,

ancorché di poco, out of the money, ma la ragione di

questo è soltanto la flessione che il titolo BBVA aveva

avuto nella settimana precedente, l’apprezzamento che

aveva avuto il titolo BNL, la combinazione di due

ordinari e semplici elementi, elementi che poco, anzi

nulla hanno a che vedere, con le presunte pressioni sul

titolo BNL, in prossimità dell’assemblea della banca

romana, tanto enfatizzata, dai consulenti tecnici, come

pretesa causa della crescita del titolo, e fatto, sì, è

che, dal 2 maggio al 10 di maggio, il titolo rimane

sostanzialmente stabile; la differenza, rispetto al

prezzo implicito da OPS, si mantiene su grandezze

negative, nell’intorno del 2%, uno scarto, cioè,

modestissimo, che si presenta come fisiologico e/o di

assestamento, e comunque, in ogni caso, certo non uno

scarto a cui possa essere riconosciuto il significato di

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una bocciatura dell’OPS, o l’esigenza di un rilancio, da

parte di BBVA.

E che cosa avviene, invece, immediatamente dopo? Quando,

solo, dunque, l’OPS di BBVA davvero perde la propria

attrattività e va out of the money? Il 10 maggio vengono

realizzati pesanti acquisti, in Borsa, di Banca Popolare

Italiana e dall’11 maggio si registra un periodo di

grande turbolenza, sino al 30 di maggio; sono sedici

cruciali giorni borsistici, in cui si assiste a un

consistente rialzo del prezzo del titolo, oltre il 9%, in

controtendenza, rispetto all’indice delle banche

nazionali, che passa dal 2,53 al 2,76 euro per azione;

allora, l’offerta degli spagnoli perde di attrattività e

il differenziale tra prezzo di mercato e prezzo

implicito, che sino al 10 maggio si conteneva in pochi

picchi percentuali, si apre considerevolmente: all’11

maggio, lo scostamento è pari a -3,12%, che sale al

6,82%, il 16 maggio; al 7,70%, il 17 maggio, e al 9,01%,

il 23 maggio. Seguono altri acquisti, ancora ad opera

degli stessi soggetti, il cui ruolo ho già indicato nella

ricostruzione di questa vicenda: tra il 10 e il 16

maggio, Banca Popolare Italiana acquista l’1,70% del

capitale sociale, che, tenuto conto delle azioni in

circolazione, corrisponde a circa il 5,67% del flottante,

sempre pacchetto argentino escluso. Avendo riguardo agli

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scambi giornalieri di Borsa, Banca Popolare Italiana ha

acquistato il 19,9% dei volumi scambiati il 10 maggio; il

32,3%, l’11 maggio; il 32,7%, il 13 maggio, e il 15,9%,

il 16 maggio. Sono evidenti, i riflessi di tali acquisti,

sulla dinamica dei prezzi borsistici - rammentate che,

per Consob, il 20% è indicatore e significativo -, e

certo non sono acquisti che si conciliano con le

motivazioni di trading speculativo, addotte da Fiorani.

Nella stessa giornata borsistica del 16 maggio, Leo Fund

acquista, sul mercato, azioni pari al 45,41% dei volumi

scambiati in quella data, che, sommati agli acquisti di

Banca Popolare Italiana, rappresentano oltre il 60% dei

volumi scambiati quel giorno. Ogni commento è superfluo.

Ancora il 17 di maggio, BPER acquista ai blocchi, da Leo

Fund, azioni - l’1,97% di BNL e quasi il 7% del flottante

-, per un prezzo di 2,73 euro per azione. Questi

movimenti hanno fatto sì che, dal 10 maggio al 17 di

maggio, il prezzo del titolo BNL si sia incrementato

dell’8,52%, con un balzo, il solo 16 maggio, del 4,47%,

rispetto al prezzo del 13 maggio, venerdì, e ancora, dal

20 al 23 maggio, il titolo cresce, in Borsa, del 3,06%,

per volumi negoziati, di oltre 75 milioni, su un

flottante di circa 693 milioni di titoli; dal 23 al 31

maggio intervengono, poi, numerosi acquisti ai blocchi, i

cui destinatari finali sono ancora i portatori della

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coscienza italica; invero, il 23 maggio, Unipol acquista

ai blocchi, da Leo Fund, 90 milioni di azioni, pari al 3%

del capitale di BNL, per un prezzo di 2,77 euro, e, lo

stesso giorno, il prezzo di mercato del titolo BNL si

attesta a 2,796 euro; il 24 maggio, Unipol stipula un

contratto di opzione, scadenza 7 giugno, con DKB

(fonetico), per 56.820.000 azioni, che quest’ultima ha

acquistato da Euromobiliare; il 25 maggio, Unipol stipula

un contratto di opzione, scadenza 7 giugno, con HWB, per

40 milioni di azioni BNL; tra il 30 e il 31 maggio,

Unipol acquista ai blocchi un totale di 55 milioni di

azioni, 45 milioni da Polson e 9,5 milioni da Leonardo

Fund.

Per ricapitolare, dal 23 maggio al 30 maggio, Unipol ha

acquistato ai blocchi, anche a termine e con derivati a

scadenza il 7 giugno 2005, il 7,99%, che, sommato

all’1,97, già in suo possesso, porta la partecipazione a

9,95%; gli acquisti complessivi di BPER e Banca Popolare

Italiana, nel periodo 10 maggio-31 maggio, ammontano

all’11,66% del capitale sociale - 7,99%, Unipol, più

1,97, BPER, più 1,70, BPI -; il flottante, argentine

escluse, si riduce, da circa il 27,2, a poco più del 17%

e - come ho anticipato -, nel periodo preso in

considerazione, il flottante passa da circa il 29%, del

mese di aprile, a circa il 22%, in data 23 maggio, e,

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quindi, a circa il 17,3%, in data 31 maggio. In buona

sostanza, nel mese di maggio, le azioni in effettiva

circolazione sono passate da 900 milioni a circa 541

milioni di azioni, ovvero sono stati rastrellati in Borsa

e ai blocchi, e quindi congelati, il 40% dei titoli in

negoziazione, sempre considerando sterilizzato il 10% del

pacchetto argentino.

Le quotazioni di Borsa, come è lecito attendersi, non

restano estranee, a tali scambi: il titolo, che dal 10 al

17 maggio era cresciuto dell’8,52%, continua a registrare

quotazioni in salita; il 27 maggio chiude a 2,770 euro,

con un incremento dell’11,87%, rispetto al 10 maggio, e

il 31 maggio chiude a 7,738 euro, con un incremento del

10,58%, rispetto al 10 maggio. Il differenziale tra il

prezzo implicito da OPS e il prezzo di mercato resta

ampio e si attesta a -6,38, rispetto a circa quel 2%

della prima decade di maggio.

A ben vedere, tutto è accaduto in soli 16 giorni

borsistici, dal 10 al 31 maggio, ed è stato in ragione,

solo, di siffatto drastico capovolgimento, che l’OPS di

BBVA è stata posta out of the money, a distanza di oltre

un mese dal suo annuncio, periodo precedente durante

tutto il quale era rimasta attrattiva, cioè, e allineata

al prezzo ufficiale; ecco l’importanza dei volumi, delle

modalità, degli acquisti e dei soggetti acquirenti.

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Come ho anticipato, il mercato non è un’entità astratta,

ma è composto, mai come in questo caso, da operatori, con

nome e cognome - nel caso di specie, da pochi soggetti -,

che hanno inciso sul prezzo, e fin qui, si dirà, niente

di male, ma senza, poi, nascondersi dietro al

paravento... «È stato il mercato, non siamo stati noi».

In relazione a questi acquisti, realizzati in questi

cruciali sedici giorni, il professor Gualtieri a pag. 282

fino a 285 della sua consulenza tecnica, cioè alle

pagine, appunto, dedicate a questo periodo temporale, non

esprime alcun commento, a ignorare questa straordinaria

dinamica dei volumi. In relazione all’impennata delle

quotazioni si limita, invero, solo a osservare che la

situazione è emersa con il deposito delle azioni e che

l’assemblea del 30 aprile 2005 evidenziava che pacchetti

di azioni, anche relativamente piccoli, avrebbero potuto

essere decisivi, per chi volesse acquisire la maggioranza

del capitale di BNL, e avrebbero conferito al loro

detentore un notevole potere negoziale, ragione per cui

soggiunge che sarebbe stata appunto questa, la ragione

per cui alcuni soggetti interessati alla contesa

acquisirono, nel periodo compreso tra le due convocazioni

dell’assemblea, azioni, soprattutto ai blocchi. Il primo

giorno di mercato, successivo all’assemblea del 21 di

maggio, il titolo registrò quindi un aumento dell’1,7% e,

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secondo il professor Gualtieri, in siffatto quadro

divenne ragionevole, per Unipol, accrescere la propria

partecipazione, che sino ad allora era, appena,

dell’1,97%. Non una parola, a contestualizzare siffatto

acquisto, nel contesto di quell’assalto alla diligenza

che era già in pieno svolgimento, se non l’affermazione

che, nello stesso periodo, altri soggetti acquisirono

azioni, consapevoli dell’importanza che avrebbero potuto

avere nell’imminente assemblea e, in generale, per

l’esito della contesa.

Il 21 di maggio, l’assemblea di BNL, in seconda

convocazione, nominò i nuovi organi di amministrazione e

di controllo, il patto ottenne il 48,21% dei voti e, il

contropatto, il 42,10%. Con riferimento, dunque, alla

situazione post-assemblea del 21 maggio, in cui il

contropatto riuscì a nominare sei esponenti, lo stesso

consulente ancora osserva che la situazione

dell’azionariato di BNL, risultante dall’assemblea,

mostrava che il capitale era quasi interamente allocato

tra grandi azionisti, il flottante residuo era minimo, la

soluzione della contesa avrebbe necessariamente dovuto

essere un accordo tra alcuni di essi e, in questo quadro,

la posizione negoziale del contropatto si rafforzò

notevolmente. Di nuovo, nessun commento, sui volumi e

sugli acquisti, e nessun’altra analisi, rispetto a quelle

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qui riportate, che, per vero, nulla o poco aggiungono,

diciamo la verità, a quello che già si sapeva da ben

prima, in termini di contrapposizione, tra patto e

contropatto. Non era una novità, una situazione di

contrapposizione, che non si era molto modificata,

rispetto a quella già esistente al 18 di marzo.

Nessun’altra spiegazione, da parte del professor

Gualtieri, che ancora a pag. 263 seguita ad ignorare la

concretezza del fatto imputato ed afferma che i rialzi

dei prezzi nulla avrebbero avuto a che vedere con gli

acquisti, mirati e di pochi, ma sarebbero stati coerenti

con le aspettative che si erano formate sul mercato,

quasi, appunto, che davvero gli acquisti, mirati e pochi,

a far salire il titolo, generando incertezze, per le

aspettative di rilancio, non avessero avuto alcuna

rilevanza, una rilevanza, per vero, invece decisiva;

infatti, il professor Gualtieri, come anche il professor

Comana, non spiega perché i prezzi di mercato del titolo

BNL avrebbero iniziato a salire considerevolmente, solo

quaranta giorni dopo l’annuncio dell’OPS, e, guarda caso,

a far tempo, proprio, da quel 10 di maggio, momento di

inizio degli acquisti.

Il prezzo di mercato delle azioni BNL non ha ben presto

superato il corrispettivo implicito dell’OPS, non è stato

repentino e spontaneo superamento del corrispettivo

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implicito dell’OPS, il chiaro e inequivocabile segnale

che la contesa sarebbe proseguita, come si esprime il

professor Gualtieri, a pag. 264 della sua consulenza;

siamo, nuovamente, di fronte a un inversion method.

Quanto ha indotto investitori e analisti all’aspettativa

di un’offerta alternativa sono stati gli acquisti

realizzati da metà maggio, che hanno perciò messo out of

the money l’OPS di BBVA; le incertezze, per chi operava -

investitori e analisti -, sono iniziate da metà maggio,

in ragione degli acquisti operati e, dunque, di una

reazione di mercato, caratterizzata dall’incertezza

provocata dall’aspettativa di un’offerta alternativa e da

quella stessa, generata, pure, dai provvedimenti di Banca

d’Italia, che non consentiranno a BBVA di fornire

informazioni certe, in ordine alla propria offerta, fino

a metà luglio, allorquando sarà inutile. È uno stato di

incertezza, che certo non si è allineato ai prezzi di

Borsa, ma che, non meno, certamente li ha condizionati e

ne ha amplificato gli effetti. I prezzi non dicevano che

cosa si stava facendo, come afferma il professor

Gualtieri, e non erano di mercato, ma espressione di un

mercato perturbato ed espressione della distorsione della

realtà, provocata dalle condotte esaminate.

Il professor Comana utilizza la scusa, diciamo, per

essere eleganti, come certamente lui è stato... la tesi

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estrema della sottigliezza del titolo, a motivare di non

aver tenuto in conto i volumi. Testualmente, a pag. 84

della trascrizione del suo controesame, condotto da

questa Difesa, così si esprime: «La dinamica dei volumi

non è stata da me ritenuta significativa, perché era un

titolo, notoriamente, caratterizzato da un titolo

sottile, quindi caratterizzato da un andamento dei

volumi, che può risultare molto discontinuo, anche se gli

acquisti e gli scambi, che intervengono, sono di entità

relativamente modesta». Insomma, la sottigliezza del

titolo diviene un pretesto, per non considerare i volumi;

pur tuttavia non possiamo fingere di ignorare e

confondere il significato di titolo sottile, che a fine

aprile... la domanda è: «A quanto ammontava, il

flottante, ad aprile e dopo?». A fine aprile, il

flottante è dell’ordine del 30%, e cioè, a dire, del 30%

di un’emittente, di medio-grandi dimensioni, che

capitalizza oltre 7 miliardi di euro. Il livello di

sottigliezza, di circa il 30%, pacchetto argentino

escluso, a fine aprile era quindi composto da 908

miliardi di azioni ordinarie, che, con un valore di 2,5

euro per azione, significava una capitalizzazione, del

flottante, di quasi 2,3 miliardi di euro, ciò che

significa che sul mercato si negoziavano oltre 2,3

miliardi di euro, di capitalizzazione del flottante;

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quindi non era così sottile, da non meritare alcuna

considerazione, se solo voi considerate che la

maggioranza degli emittenti ha una capitalizzazione –

gli emittenti quotati – che per il 100% è ben inferiore a

2,3 miliardi di euro. Seguendo la giustificazione del

professor Comana, significherebbe poter legittimare la

conclusione che i movimenti dei volumi non hanno mai

senso, se non per le MIB 30, e neppure per tutte, perché,

in alcuni casi, il livello di capitalizzazione è

inferiore a quello, a quel momento, disponibile sul

mercato, pari a 2,3 miliardi. Allora, questo paradosso

chiarisce il senso, appunto, estremistico della

giustificazione proposta, ad affermare la mancata

considerazione dei volumi.

Anche la minimizzazione di prospettiva, operata dal

professor Gualtieri, che riduce la dimensione

manipolativa dell’aggiotaggio agli acquisti fatti ai

blocchi, contestando una dimensione solo informativa, non

coglie l’essenza dell’imputazione manipolativa di

aggiotaggio. Non entrare nel merito degli acquisti,

significa non aver compreso l’oggetto dell’imputazione di

aggiotaggio manipolativo, che, a differenza proprio della

mera falsità informativa, si riscontra tenendo in conto

le modalità delle condotte, in tutti i loro passaggi e

nella loro collocazione del contesto.

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E andiamo, quindi, a concludere l’analisi dell’andamento

del titolo, ricordando qual è stata la dinamica dei

volumi, rispetto al periodo successivo al mese di maggio,

e che cosa, ancora, è successo dopo: vi è, intanto, che

dal 1° al 27 giugno si mantiene il trend rialzista, con

turnover giornalieri nell’ordine del 2% del flottante

residuo; i prezzi in crescita raggiungono il picco, mai

più toccato, il 17 giugno, con un prezzo di 2,889 euro,

per poi scendere a 2,695, il 27 di giugno; dal 28 giugno

al 30 giugno si realizzano gli ultimi noti scossoni, ai

blocchi, ed è Banca Popolare di Vicenza, che tra il 28 e

il 30 di giugno acquista 22 milioni di titoli, lo 0,74%

del capitale sociale, mentre, il 30 giugno, Euromobiliare

cede ad IBL il 2,39% e, ad HWB, l’1,64%, per il

complessivo 4,13% del capitale di BNL; questi ultimi due

pacchetti, integrati di uno 0,82% del capitale ceduto da

DHV (fonetico), sono stati oggetto di contratti di

opzione, con Unipol, il 1° luglio, per consentirle di

incrementare la propria partecipazione, dal 9,95% al

14,9%; in Borsa, il titolo si riporta da 2,695, del 27

giugno, a 2,853 euro, il 30 giugno, e, dal 1° luglio, il

titolo non raggiungerà più i 2,8 euro, viaggiando,

sempre, poco sopra i 2,7 euro.

Vi è, allora, da domandarsi: «Ma perché il mercato si è

appiattito su quotazioni stabili e ha smesso di nutrire

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aspettative al rialzo, proprio al più concreto

approssimarsi dell’offerta alternativa?» Certo, a quel

momento ignorava che il prezzo sarebbe stato fissato

proprio in 2,70 euro per azione - quindi, si badi bene,

di poco inferiore alla quotazione allora corrente – e,

dal 1° luglio al 18 luglio, l’andamento di Borsa è flat,

è piatto, si registra solo l’acquisto ai blocchi, di

Carige, garantito, peraltro, da Unipol, a seguito del

quale il flottante passa dal 16,52%, al 30 giugno, e al

10,07%, il 4 luglio, sempre con l’incognita del 10% del

pacchetto argentino, che si assume essere stato

sterilizzato; il differenziale, tra il prezzo di mercato

e il prezzo implicito da OPS, si va progressivamente ad

assottigliare, sino al 18 di luglio; il titolo di BBVA

cresce, seguendo l’andamento della Borsa spagnola, ed, in

specifico, del settore bancario spagnolo, mentre quello

di BNL è inchiodato, cioè fermo, tutto il mese, per poi

invertire disegno ed esprimere di nuovo un premio, per la

conversione all’OPS. In altri termini, in prossimità del

18 luglio, il valore dell’OPS aveva di nuovo recuperato

la sua iniziale attrattività, nel senso di una

sostanziale equivalenza economica, tra il prezzo

implicito da OPS e il prezzo ufficiale del mercato; lo

scarto di pochissimi punti percentuali sarebbe poi

tornato ad essere addirittura pregnante, per l’OPS, dal

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21 di luglio, per giungere a, quasi, più 10%, nel

dicembre di quell’anno; la differenza di valore, tra

prezzo dell’OPS e prezzo di OPA Unipol, si è dunque

assottigliata, sino a svanire, in contestuale

concomitanza con il momento in cui il 50% più 1 del

capitale sociale di BNL è stato assicurato come

indisponibile a BBVA stessa. I volumi delle transazioni,

i loro tempi, le modalità degli acquisti e i loro

protagonisti non sono affatto irrilevanti, a comprendere

la dinamica perturbatrice che ha agito sui suoi

meccanismi di formazione dei prezzi e sulla loro

trasparenza; vi è stata un’operatività che, per modalità

delle condotte e contesto in cui si sono inserite, è

degenerata a vero e proprio elemento perturbatore,

alterando i meccanismi di mercato e la loro trasparenza.

È legittimo, per carità, di per sé, acquistare anche in

costanza di un’offerta pubblica, ma non eludibile è il

tema delle modalità della condotta e del loro contesto.

Il limite, a risultati che pure è lecito perseguire, è

sempre lo stesso ed è possibile, ma non con qualunque

mezzo. L’intento, il fine, non giustifica il mezzo. Come

fuori da ogni preoccupazione moralistica affermava il

prof. Pedrazzi, il punto è che non è l’intento, anche di

sfruttamento dell’instabilità dei mercati, a richiamare

l’attenzione del legislatore, ma sono, piuttosto, le

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modalità operative e la conseguente turbativa del sistema

economico. Così, dalle sue spalle, ho finito per cadergli

in braccio... braccia forti.

Gli artifici hanno impedito a BBVA di confrontarsi in una

competizione leale, di mercato, e di poter comportarsi di

conseguenza, ed i terzi sono stati impediti, nella loro

possibilità di assumere decisioni consapevoli.

L’intervento penale si giustifica proprio in funzione di

una tutela dei mercati, sotto il profilo del regolare

funzionamento del meccanismo di formazione dei prezzi e

della sua trasparenza.

Mi rimane l’ultimo tema, del danno, che è un tema di

sicuro fascino giuridico. Se avessi detto, solo, “di

sicuro fascino”, i più maliziosi avrebbero subito pensato

che è il fascino che esercita sull’Avvocato di Parte

Civile, che si appresta a confermare una richiesta di

danni, ma effettivamente il tema in sé è affascinante e

ci riporta a dei momenti su cui tutti ci siamo formati,

basti richiamare un grandissimo testo, quale “Causalità e

danno”, di Pietro Trimarchi, un testo su cui tutti, un

po’ più giovani, abbiamo sudato e speso, per preparare

l’esame di diritto civile. Il tema del danno è un tema

che non è affatto estraneo, come ho già ricordato, alla

formulazione dell’imputazione, proprio perché le

fattispecie contestate agli imputati, al capo a),

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costituiscono un unicum, logicamente inscindibile dal

danno a BBVA, e il danno a BBVA permea l’intera

imputazione. Questo è già stato osservato da questo

stesso Tribunale, con la propria ordinanza, in data 8

aprile 2010, con la quale ha ammesso la costituzione di

Parte Civile di BBVA, in cui, testualmente, si è

affermato: «Non si ritiene, oggi, seriamente contestabile

che, qualora venisse provato che la condotta di cui al

capo a) era direttamente funzionale a contrastare

l’iniziativa di BBVA e ad ostacolare e rendere meno

agevole l’offerta pubblica di scambio, promossa da BBVA,

sussisterebbe una stretta e immediata correlazione, tra

la condotta criminosa stessa e il danno lamentato dal

Banco di Bilbao, sia sotto il profilo patrimoniale, che

sotto quello non patrimoniale, e, cioè, della lesione di

un diritto della personalità, quantomeno sotto il profilo

del discredito, derivante all’immagine pubblica

dell’ente, e della perdita di prestigio».

C’è un tema, che è quello più affascinante. E qual è,

questo tema? A quale momento dobbiamo riferire il danno?

A quello di realizzazione delle condotte, o a quello

della sentenza? È il tema che è stato proposto dalle

consulenze tecniche del professor Marzio e del professor

Lamandini. Per la verità sono due, i problemi principali,

da approfondire: il primo è quello della natura

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qualitativa del danno subìto da BBVA, un danno da perdita

di chance, che dobbiamo poter qualificare se è danno

emergente o lucro cessante. Quello da perdita di chance è

un danno emergente, o è un lucro cessante? Qual è,

l’individuazione del momento rilevante, per la

quantificazione del danno? Nessun dubbio, che le spese

sostenute in connessione all’OPS siano voce di danno

emergente, ma anche questa seconda voce, proprio quella

di perdita di chance, è riconducibile alla qualità di

danno emergente, e cioè, a dire, di una perdita attuale e

presente: una perdita attuale è, come tale, già entrata

nel patrimonio del soggetto e dunque è presente, non,

già, un lucro cessante e un mancato guadagno atteso.

Badate che questa è affermazione che – anticipo - è

fatta propria, dalla giurisprudenza. La giurisprudenza di

gran lunga dominante afferma che la lesione di una chance

integra un danno emergente attuale. Più precisamente,

secondo siffatta interpretazione, il danno da perdita di

chance è pari al valore economico della possibilità di

conseguire vantaggi futuri, un valore già esistente nel

patrimonio del soggetto danneggiato, al momento in cui si

realizza l’illecito. Ai fini della quantificazione, la

perdita di chance viene, quindi, usualmente calcolata

secondo criteri prospettici che attualizzano il valore

dell’interesse futuro - non conseguito -, apportandovi

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poi una riduzione percentuale, pari alla differenza tra

il valore totale, cioè il 100%, e la probabilità di

realizzarsi, effettivamente riconosciuta dal Giudice: per

esempio, il 60% di possibilità, accertata giudizialmente,

implica una riduzione del valore del risarcimento, del

40%, rispetto al valore totale della chance. Ora, la

probabilità di successo dell’OPS, in assenza della

condotta illecita, è sicuramente stimabile come prossima

ad almeno il 100% e la ragione è tanto semplice, quanto

risolutiva: sappiamo che i membri del contropatto, se non

avessero venduto - perché l’operazione era pronta

ad approdare, secondo i tempi e i modi dell’allenatore,

il Giani -, avrebbero aderito a quella che per tutti è

sempre stata la rete di sicurezza - il piano B -, e il

piano B era l’OPS di BBVA. Ove il piano A non fosse

andato in porto, si doveva stare nei tempi, per poter

aderire e usufruire di quella via di sicurezza, quella

uscita di sicurezza, quel paracadute, come dice Gronchi,

e questo non è vero solo per il contropatto, è vero per

la stessa Unipol, che aveva a carico i più grossi rischi

finanziari, e ne abbiamo riconferma, proprio, dalle

trattative che sono state fatte con BBVA. Ove il piano A

non fosse andato in porto, si sarebbe verificato quello

che infatti si verificherà nel 2006, quando Cimbri andrà

a dirgli: «Volete il 51%? Questo è il prezzo». A quel

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punto, anche Generali e Dorint avrebbero aderito all’OPS

di BBVA, perché né l’uno, né l’altro, sappiamo, avevano

interesse, a mantenere una partecipazione di minoranza,

una partecipazione che per loro non era strategica, ove

un unico soggetto avesse avuto la possibilità di

esercitare un’influenza dominante, su BNL; difatti, gli

stessi aderiranno all’OPA di BNP Paribas, quando ci sarà

un unico soggetto che per l’appunto viene a detenere, in

proprio, il 50% più 1.

I C.T. di controparte, ai fini della quantificazione del

danno, hanno sottoposto, alle loro attenzioni, situazioni

di causalità, alternativa e ipotetica, ossia una serie di

eventi, successivi al fallimento dell’OPS, che

consentirebbe, il principale dei quali, la crisi bancaria

del 2007 e di sottostimare il danno, come quantificato da

BBVA, e, in particolare, dal professor Reboa.

Allora, la domanda che dobbiamo riproporci è la seguente:

«Il momento rilevante, a cui fare riferimento, per

quantificare il danno, è quello in cui l’illecito si è

consumato, ovvero quello successivo, in cui viene

pronunciata la sentenza che accerta e liquida il danno

medesimo?». Vi sono due opposte teorie: la prima - per la

verità, è più risalente e superata -, la teoria,

cosiddetta, differenziale o patrimoniale, è che il danno

va quantificato al momento della sentenza - infatti,

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il danno sarebbe suscettibile, secondo questa teoria, di

diverse valorizzazioni, sino, appunto, al momento della

sentenza -, e a questa teoria si contrappone la teoria

reale, o dell’aestimatio rei, quella che è fatta propria

dalla stessa giurisprudenza, che il danno va quantificato

al momento dell’illecito, irrilevante essendo ogni

successiva circostanza, e vedremo che in questo senso si

esprime la Suprema Corte di Cassazione, nei propri

pronunciamenti, il più recente dei quali è del 2010.

Che la Cassazione abbia ragione, è comprovato da due

esempi, in sé affascinanti: diamo il caso di un’auto che

vada completamente distrutta in un incidente stradale,

incidente stradale di cui sarebbe responsabile,

esclusivo, il soggetto danneggiante, e qualche giorno

dopo l’incidente, il garage, in cui il veicolo veniva

abitualmente parcheggiato, esplode, a causa di una fuga

di gas. Ora è altamente probabile, ma, si badi bene, non

sicuro, che, laddove l’incidente stradale non fosse

avvenuto per colpa del danneggiante, la vettura si

sarebbe trovata nel garage, al momento dell’incendio,

quindi sarebbe comunque perita anche in mancanza

dell’incidente. L’alternativa d’interrogativo è quindi

chiara: il risarcimento va escluso, in base alla

considerazione che, anche laddove l’incidente stradale

non avesse avuto luogo, il perimento dell’automobile si

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sarebbe comunque verificato, oppure, limitandosi

all’esame del processo di causazione del danno, si deve

tener conto solo di questo processo causale, a

prescindere dall’elevata probabilità che la macchina

sarebbe comunque perita? Secondo la teoria reale è fuori

di dubbio, che l’incidente stradale rappresenti la causa

unica, la conditio sine qua non, del perimetro

dell’automobile; al contrario, la teoria differenziale

argomenterebbe che non sussista alcun danno risarcibile,

perché il patrimonio del preteso danneggiato avrebbe

subìto il medesimo pregiudizio, ossia il perimetro

dell’automobile, anche in assenza dell’incidente, e

quindi, risarcendo il danno dovuto all’incidente, si

produrrebbe addirittura un ingiustificato arricchimento,

a favore del preteso danneggiato; questa è la tesi

sostenuta dal professor Marzio e, implicitamente, anche

dal professor Comana.

Trimarchi ha sostenuto che il danno deve essere comunque

risarcito, e ciò in quanto, al tempo in cui agisce -

l’eventuale causa alternativa ipotetica -, il diritto al

risarcimento era, appunto, già parte integrante del

patrimonio del danneggiato, al punto che egli avrebbe

potuto anche disporne, ad esempio, cedendolo e facendone

oggetto di negoziazione.

Del resto, come potrebbe, il Giudice, acquisire la

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certezza che la sopravvenuta causa alternativa sarebbe

stata in grado di produrre proprio l’evento che si è

prodotto? Come si potrebbe, nell’esempio considerato,

affermare che la macchina non sarebbe rimasta

parcheggiata fuori, proprio la sera dell’esplosione del

garage? Nel nostro caso, come si fa, ad affermare che

BBVA non avrebbe ceduto la propria partecipazione di

controllo in BNL, proprio poco prima della crisi bancaria

del 2007? O come si fa, ad affermare che il

rafforzamento, anche con l’integrazione di BNL, non

avrebbe permesso a BBVA, appunto integrata con BNL, di

uscire indenne, o addirittura rafforzata, dalla crisi

bancaria? Ciò che nel caso di BBVA è stato leso non è

soltanto il bene, chance esistente, in cui il momento

dell’illecito è stato realizzato, ma BBVA ha subìto la

perdita della possibilità di esercitare, in chiave

dinamica, la propria attività d’impresa, rispetto al

controllo di BNL.

Attribuire rilevanza ai fenomeni successivi all’illecito

perpetrato dagli imputati, e, dunque, alla crisi bancaria

del 2007, al fine di ridurre o voler escludere il

risarcimento del danno, equivale, in sostanza, ad

estrapolare dei dati, peraltro parziali, inerenti

all’andamento imprenditoriale del sistema bancario, nel

suo complesso, e utilizzarli per sottostimare il valore

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dell’attività d’impresa che sarebbe spettata a BBVA, se

l’illecito non si fosse realizzato, il che nuovamente

equivale, da un lato, a negare a BBVA il proprio diritto

dinamico alla libertà d’impresa e il diritto ad entrare

nel mercato bancario italiano, ed, al contempo,

utilizzare dati macroeconomici di quel settore

imprenditoriale in cui è stato negato ingresso a BBVA, il

mercato bancario, proprio per svalutare il pregiudizio

già subìto da BBVA.

Per vero, la tesi differenziale, invocata dal professor

Lamandini, dal professor Marzio e dal professor Comana,

sconta un manifesto limite intrinseco, e, cioè, che,

spostare sempre in avanti, nel tempo, l’accertamento

dell’ammontare del danno, sino al tempo della sentenza

passata in giudicato, presenta dei rischi di ingiustizia

e incongruenze ben maggiori di quelli che deriverebbero

dalla teoria reale, che appunto fissa tale momento in

quello della verificazione dell’evento lesivo. E come

davvero far dipendere il danno dai tempi del giudizio? Ma

voi pensate che, se il giudizio è concluso prima del

2007, è un danno e, se è concluso dopo il 2007, è un

altro danno.

Ipotizziamo il caso di un’improvvisa e rapidissima

crescita dei mercati e degli utili bancari, in un momento

compreso tra la chiusura del dibattimento e il deposito

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della sentenza: in un caso del genere, sposando la teoria

che attribuisce rilevanza a eventi successivi all’evento

dannoso, il Giudice sarebbe chiamato a pronunciare una

sentenza, nella piena consapevolezza dell’ingiustizia

effettiva, non meramente ipotetica, delle proprie

statuizioni, in quanto andrebbe a liquidare un danno che

tiene conto della crisi bancaria, ma che, rispetto al

momento in cui è pronunciata la sentenza, è già

rivalutato, per effetto di nuovi eventi, di cui,

comunque, non potrebbe tenersi più conto, per via delle

preclusioni processuali. Se si dovesse, cioè, attribuire

rilevanza ad alcuni eventi successivi, si porrebbe un

manifesto problema di selezione di tutti gli altri

possibili eventi successivi, più o meno probabili, che

avrebbero potuto eliminare il rilievo di quello

considerato; pertanto, spostando sempre più in avanti il

momento della quantificazione del danno, si metterebbe il

Giudice di fronte a rischi di esiti giudiziari realmente

incongrui, come quello di non poter più tenere conto di

altri fatti, esclusivamente per questione di ordine

processuale, più che sostanziale, oppure quello di

compiere una selezione, parziale e irragionevole, delle

possibili cause alternative, ipotetiche e successive, il

che ci porta al secondo esempio: i C.T. di controparte

pretendono di svalutare la quantificazione del danno,

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prospettata dal professor Reboa, attribuendo, appunto,

particolare rilevanza causale, rispetto al quantum, alla

crisi bancaria del 2007, sennonché questa crisi non è un

fatto alternativo, di per sé, solo idoneo a produrre, in

danno di BBVA, esattamente gli stessi effetti del reato

contestato agli odierni imputati. Un provvedimento

legislativo che determina la nazionalizzazione, coatta e

senza indennizzi, del sistema bancario, intervenuta, per

ipotesi, nel 2006, quello, sì, creerebbe questa

situazione e quello, sì, creerebbe gli stessi effetti, ma

non è, questo, il nostro caso. Solo in questa seconda

eventualità, quella di questo esempio, un provvedimento

legislativo di nazionalizzazione, coatta e senza

indennizzo, del sistema bancario, nel 2006, si potrebbe

davvero ragionare sulla circostanza, per cui il

pregiudizio, ascrivibile al comportamento illecito del

terzo, si sarebbe comunque verificato in capo a BBVA;

solo in questo esempio saremmo, cioè, di fronte ad un

caso di circostanza alternativa, che determinerebbe la

stessa conseguenza giuridico-patrimoniale dell’illecito,

ovverosia la perdita della partecipazione di controllo di

BBVA, in BNL.

Del tutto diverso, invece, è il caso prospettato dai

consulenti di controparte, in quanto la crisi bancaria,

successiva agli eventi contestati, non avrebbe in alcun

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modo inciso sulla situazione soggettiva, ossia il

controllo di BBVA, su BNL, eliminandola del tutto; semmai

avrebbe potuto ridurre il margine di profitto, per un

certo periodo, e magari, però, sarebbe stato altrettanto

possibile che, in una fase successiva, i margini di

profitto sarebbero stati molto più elevati e tali da

compensare interamente la depressione ciclica del periodo

2007-2011, o, addirittura, anche più elevati; ecco perché

la giurisprudenza di legittimità – e non mi attarderò a

leggerla o, soltanto, a citarne un brevissimo passaggio -

afferma che l’accertamento delle conseguenze

pregiudizievoli verificatesi va riferito al momento del

fatto causativo del danno; pertanto sono irrilevanti, le

vicende anteriori o posteriori a tale momento, se quindi

il diritto al risarcimento del danno entra nel patrimonio

del leso, nel momento in cui il pregiudizio si è

verificato, tanto che solo ad esso si deve far

riferimento, per accertare l’entità del danno. È evidente

che le vicende anteriori e posteriori non rilevano, a

quel fine, ancora nel 2010, e ne deriva, pertanto, che le

vicende, anteriori o posteriori al momento in cui il

pregiudizio si è verificato, non rilevano, a quel fine.

Anche la giurisprudenza di merito, milanese, ci offre un

caso oltremodo emblematico, ai fini di cui stiamo

discorrendo, perché, pur nella diversità, anche in quel

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caso è stata negata la possibilità di acquisizione di una

partecipazione rilevante, in termini di possibilità di

esercizio di controllo, di diritto: è la vicenda

CIR-Fininvest, conclusasi, in primo grado, con la nota

sentenza del 3 ottobre 2009, che attiene proprio alla

tematica della perdita di chance, e, più precisamente, al

caso di condotte illecite – in quel caso, corruttive –

che abbiano impedito l’acquisizione di pacchetti di

controllo, nel capitale di altre società.

È una vicenda nota - sappiamo che, in quel caso, la

condotta illecita era la corruzione di un Giudice della

Corte d’Appello di Roma, peraltro giudizialmente

accertata – e naturalmente non ripercorro quei fatti;

quello che è da ricordare è che il Tribunale di Milano,

pur ritenendo dimostrata l’ingiustizia della sentenza

della Corte d’Appello di Roma e la derivazione causale

della corruzione del Giudice, ha ritenuto, tuttavia, di

non poter affermare, con certezza, quale sarebbe stata la

decisione di un Collegio totalmente incorrotto e per

questa ragione è stata accolta la domanda presentata da

parte attrice, in via subordinata, ossia il risarcimento

del danno, dovuto non, già, alla mancata pronuncia di una

sentenza, che sarebbe stata sicuramente favorevole, ciò

che appunto il Tribunale di Milano ha ritenuto di non

poter provare, bensì alla perdita di chance, di ottenere

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una sentenza che probabilmente avrebbe potuto essere

favorevole.

Nella sentenza, il Tribunale di Milano ha pure sposato la

teoria della chance, quale entità reale, esistente nel

patrimonio del danneggiato, intesa come opportunità

realmente esistente e come ragguardevole probabilità di

un risultato favorevole, della lite CIR contro Fininvest,

che, in quanto tale, era davvero un elemento attivo,

acquisito, all’epoca, al patrimonio dell’attrice. In

pratica, il Tribunale di Milano aderisce alla tesi della

perdita di chance, quale danno emergente, maturato al

momento dell’illecito, da stimare e quantificare al tempo

dell’illecito. È interessante e importante ricordare che

i danni di natura patrimoniale, liquidati dal Giudice di

Milano, sono stati ricondotti a tre diverse voci: il

danno da perdita di chance, sotto forma di indebolimento

della posizione contrattuale di CIR, nelle trattative con

Fininvest, il danno da pagamento delle spese legali, a

vario titolo sostenute da CIR, e il danno patrimoniale e

all’immagine imprenditoriale di CIR; due, invece, le voci

autonome di danno non patrimoniale: la lesione della

propria integrità, della propria onorabilità e

reputazione di persona giuridica e la lesione del

diritto, costituzionalmente garantito, ad un giudizio

reso da un giudice imparziale. Nel nostro caso, l’ho

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anticipato, si tratta di lesione, sempre, al diritto

costituzionalmente garantito e, questa volta, al buon

andamento e imparzialità della pubblica amministrazione,

art. 97, c. 1, della Costituzione, atteso che sicuramente

Banca d’Italia e i suoi funzionari di vertice rientrano,

certamente, nell’alveo della pubblica amministrazione.

Mi vado, velocemente, ad avvicinare alle conclusioni.

BBVA, dunque, intanto ha patito un danno emergente,

connesso ai costi per le consulenze finanziarie illegali,

oltre che ai costi amministrativi sostenuti per l’OPS

fatta fallire. Il danno in cui è incorsa, BBVA, per la

perdita della possibilità di acquisire la partecipazione

di controllo in BNL è da qualificarsi come perdita di

chance. La perdita di chance è, anch’essa, una forma di

danno emergente, non un lucro cessante. Il pregiudizio

economico, derivante dalla perdita di chance, va stimato

al momento in cui esso si verifica, non al successivo

momento della sentenza. Siffatta conclusione è oggi

confermata dalla giurisprudenza della Suprema Corte di

Legittimità e anche da quella, ricordata, di merito,

entrambe più in linea col dato sistematico del codice

civile.

Gli argomenti spesi dai consulenti tecnici di

controparte, per tentare di svalutare l’entità del

risarcimento, sono faziosi e non corrispondono al reale

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concetto di causalità, alternativa e ipotetica, nella

misura in cui quest’ultima consista in qualcosa che

successivamente al verificarsi del fatto principale è in

grado di determinare, esattamente, lo stesso risultato,

pratico e naturalistico, derivante dal fatto illecito -

gli esempi dell’auto distrutta, del crollo del garage e

della nazionalizzazione coatta, senza indennizzi delle

banche -, e non, invece, in qualche cosa che potrebbe al

più incidere sul valore del risarcimento - crisi bancaria

del 2007 -; tra l’altro, la scelta di limitare la

prospettiva cronologica al 2007, o, comunque, a tutto il

periodo di durata della crisi bancaria, è pure non

obiettiva, perché esclude, irragionevolmente, tutta una

serie di possibili situazioni, favorevoli per BBVA, che

si sarebbero potute comunque verificare. Il danno subìto

ricomprende anche le altre voci di danno, e cioè, a dire,

il danno patrimoniale da lesione della reputazione

commerciale e il danno, non patrimoniale, derivante dalla

lesione del diritto, costituzionalmente garantito, ad un

esito della procedura amministrativa, imparziale, e un

ulteriore danno, non patrimoniale, da lesione della

propria integrità e della propria onorabilità e

reputazione di persona giuridica, che sono le ultime voci

di danno risarcibile, recentemente riconosciute nel

richiamato caso CIR-Fininvest, avente, ad oggetto,

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proprio il risarcimento della perdita di chance,

conseguente alla mancata acquisizione del controllo di

una società.

Farò soltanto un executive summary, dei criteri

individuati a motivare la richiesta di provvisionale,

anche perché abbiamo ritenuto di attenerci al principio

di un importo complessivo, che si connoti per una marcata

prudenza e cautela, nella stima, e che rispecchia e

asseconda la necessità di non appesantire il giudizio

penale, con accertamenti e esigenze di motivazione che,

invece, maggiormente si adducono ad un giudizio civile,

consapevoli delle difficoltà che già ha questo Tribunale.

Gli indici quantitativi, quindi, le risultanze probatorie

e le argomentazioni che abbiamo ritenuto utilizzabili, a

tal fine, sono sostanzialmente riassumibili in punti, che

cito solo sinteticamente, che Loro poi avranno la

pazienza di trovarli, più diffusamente, nella memoria che

vado a presentare: il primo è che non c’è nessun limite,

né formale, né sostanziale, all’impiego del metodo

equitativo, per la qualificazione del danno, in sede

provvisionale; questo afferma la giurisprudenza e questo

si desume, innegabilmente, dal fatto che il metodo

equitativo è già, appunto, ampiamente adoperato dalla

giurisprudenza penale, per riconoscere, in sede

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provvisionale, il risarcimento del danno non

patrimoniale, in favore della parte civile. Ciò implica

che tale metodo è di per sé utilizzabile, per stimare il

danno, certo, nella sua sussistenza, sino all’ammontare

della somma liquidata, e, di conseguenza, il metodo

equitativo può essere a maggior ragione impiegato per

stimare la soglia, a cui collocare quel limite di

certezza oggettiva del danno patrimoniale, anche ove

esso, come nel caso de quo, sia un danno costituto da

categorie giuridiche – lesione della chance e lesione

della reputazione commerciale -, per loro natura, da

stimarsi in via equitativa. In pratica, il metodo

equitativo, come metodologia di quantificazione del

danno, è compatibile con il requisito della certezza del

danno.

La presenza di un danno non patrimoniale, nel caso di

specie, induce a valorizzare, secondo il prudente

apprezzamento del giudice di merito, anche la presenza

della funzione punitiva, che è propria del risarcimento

del danno non patrimoniale. Tale funzione punitiva,

legata alle valutazioni, circa l’intensità del dolo e

l’intrinseca offensività dei reati in questione, attiene

quindi, esclusivamente, alla componente del danno non

patrimoniale, conseguente al reato, eppur di essa sembra

corretto tenersi conto, perché così si esprime la stessa

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giurisprudenza. Per converso, se il risarcimento del

danno non patrimoniale si caratterizza per una

concorrente funzione punitiva, il risarcimento del danno

patrimoniale è, per sua natura, compensativo. Il giudice,

pur liquidando un danno, valutato e stimato in termini

monetari, si dovrà pur sempre limitare a risarcire il

valore negativo della lesione ormai consolidatasi, ma il

risarcimento del danno conseguito in esito a una sentenza

del giudice è, per sua natura, inidoneo, a ricostituire

lo status quo ante, e da qui, dunque, l’estrema

importanza del risarcimento del danno patrimoniale, che

pertanto è giusto che sia, nei limiti del possibile,

anticipato, il più possibile, anche in sede

provvisionale.

Nel caso di specie vi è certezza, per tabulas, di un

danno patrimoniale, pari a 13.780.000 euro, per le

consulenze e gli altri costi amministrativi

documentalmente comprovati, e sul presupposto che si

ritiene dimostrato... e, cioè, che la possibilità di

successo dell’OPS di BBVA fosse pari al 100%, un altro

danno subìto da BBVA si aggira intorno a euro 924.000,06

milioni; pertanto, il danno - che si ritiene già

quantificato, in parte, in via di liquidazione, per

tabulas, e, in parte, in via equitativa - ammonta a euro

937.084 e rotti, cioè i 13.078 dei costi delle consulenze

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Società Cooperativa ATHENA

N. R.G. TRIB. 14037/09 - 19926/08 R.G.N.R. - 21/04/2011 c/BERNESCHI GIOVANNI ALBERTO + 20223

e la voce, pari a 924,06, a cui vanno aggiunte le

ulteriori voci, connesse alla lesione della reputazione

commerciale, e alle altre voci di danno non patrimoniale,

la cui stima sarebbe rimessa al prudente apprezzamento

del Giudice.

In conclusione, alla luce di tutte le prove e degli

argomenti giuridici avallati dalla citata giurisprudenza

e tenuto conto della notevole entità del danno subìto -

in parte, già stimato e, in parte, da stimarsi -, appare

congruo affermare che di questi ingentissimi danni, a

tutto voler concedere, gli imputati dovranno essere

condannati a una provvisionale, per un importo non

inferiore a euro 70 milioni. Il principio di

ragionevolezza, che induce a tale stima, si fonda sul

presupposto che, una volta sgombrato il campo dalle

suggestive argomentazioni di controparte, volte a

sottostimare il valore della perdita di chance, non vi

sono dubbi, in merito al fatto che, a fronte di circa un

miliardo di euro di danni, il danno certo, nella sua

sussistenza, sia nell’ordine del 10% dell’ammontare

complessivo del danno, e, si badi bene, ciò non vuol dire

che BBVA implicitamente neghi o contraddica la

quantificazione di circa un miliardo di euro, che infatti

è qui ribadita e confermata.

Alla luce di quanto sopra, pare corretto chiedersi una

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provvisionale, pari al 10% del danno subìto e, comunque,

non inferiore a un totale di euro 70 milioni, comprensiva

di risarcimento del danno patrimoniale, per spese e costi

comprovati per tabulas, nonché di quelle quote delle

altre voci di danno patrimoniale e non patrimoniale.

Formalmente, le conclusioni che vado a consegnare, anche

in forma scritta, al Tribunale, unitamente alla nota

spese, sono le seguenti: voglia codesto Illustrissimo

Tribunale, riconosciuta la penale responsabilità degli

imputati Giovanni Alberto Berneschi, Vito Bonsignore,

Francesco Gaetano Caltagirone, Carlo Cimbri, Giovanni

Consorte, Danilo Coppola, Antonio Fazio, Francesco Maria

Frasca, Giulio Grazioli, Divo Gronchi, Guido Leoni,

Ettore Lonati, Tiberio Lonati, Stefano Ricucci, Ivano

Sacchetti, Giuseppe Statuto e Giovanni Alberto Zonin, in

ordine al reato di cui agli artt. 110 e 112, c. 1, n. 1,

81 capoverso, c.p., e 185, TUF, così come a loro ascritto

al capo d’imputazione sub a) del decreto che dispone il

giudizio, emesso, in data 18 settembre 2009, dal Signor

Giudice per l’udienza preliminare, presso codesto

Illustrissimo Tribunale, condannarli alla pena ritenuta

di giustizia; voglia altresì condannare i predetti

imputati a risarcire la Parte Civile BBVA di tutti i

danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti e

patiendi, oltre a interessi e rivalutazione, da

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liquidarsi in separato giudizio civile; voglia comunque

condannare i predetti imputati, ai sensi del secondo

comma dell’art. 539 c.p.p., al pagamento di una

provvisionale, immediatamente esecutiva, almeno pari a 70

milioni di euro; voglia infine condannare gli imputati al

pagamento delle spese, dei diritti processuali e degli

onorari di difesa, nel presente procedimento, come da

separata nota che si deposita.

Non mi resta, perciò, che consegnare le conclusioni

scritte e la nota allegata e depositare formalmente la

memoria, che depositiamo in originale e su supporto

informatico, nonché, per mera utilità del Collegio, in

tre copie della medesima, unitamente al supporto

informatico. Metteremo a disposizione, naturalmente, di

tutte le Difese questa stessa memoria e quindi non mi

resta che ringraziare e augurare a tutti buona Pasqua.

Si dispone il rinvio del procedimento all’udienza del

29.04.2011, alle ore 09:30, presso aula I sezione penale, per

conclusioni delle Parti Civili Bava e Zola e della Difesa

Stefanini.

Il presente verbale, prima dell’upload a Portale Giustizia perla documentazione e certificazione finale del computodei caratteri, risulta composto da un numero parziale dicaratteri incluso gli spazi pari a: 296742

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Il presente verbale è stato redatto a cura di SocietàCooperativa ATHENA

L'ausiliario tecnico: Sig.ra Quadraccia Ornella

Il redattore: Sig.ra Scalise Loredana - Trascrittrice

Sig.ra Scalise Loredana - Trascrittrice ____________________