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TRIANGOLO ROSSO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici Nuova serie - anno XXI N. 1 aprile 2001 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT Si può perdonare un nazista assassino pentito? TESTIMONI DEL ’900 Gianrico Tedeschi un attore nato nei lager Da pag. 4 Nel mese di maggio la televisione tedesca manderà in onda un documentario sulle stragi naziste in Italia, che avrà la durata di 50 minuti. Prima tappa dell’inchiesta il cimitero militare te- desco di Costermano sul lago di Garda dove accanto alle sal- me di 20.000 ufficiali e soldati della Wehrmacht sono sepolti tre criminali delle SS, tra cui Christian Wirth, il boia di Treblinka, Sobibor e San Sabba. Tra le altre tappe vi sono Civitella Val di Chiana e Sant’Anna di Stazzema. È troppo chiedere alla Rai Tv di acquistare questo programma per farlo conoscere anche ai telespettatori italiani? La sconvolgente testimo- nianza di Simon Wiesenthal sull’incontro con una SS morente. Da pag. 3 Migliaia di pri- gionieri italia- ni lasciati mo- rire di fame nei campi di con- centramento. Le fucilazioni di rappresaglia. Da pag. 8 Un documentario tedesco sulle stragi in Italia La tragedia dei “traditori di Caporetto” www.deportati.it

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TRIANGOLOROSSO

Giornale a cura dell’Associazionenazionale ex deportati politiciNuova serie - anno XXIN. 1 aprile 2001Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

IT

Si può perdonare un nazista assassino pentito?

TESTIMONI DEL ’900

Gianrico Tedeschiun attore nato nei lager Da pag. 4

Nel mese di maggio la televisione tedesca manderà in onda undocumentario sulle stragi naziste in Italia, che avrà la duratadi 50 minuti. Prima tappa dell’inchiesta il cimitero militare te-desco di Costermano sul lago di Garda dove accanto alle sal-me di 20.000 ufficiali e soldati della Wehrmacht sono sepoltitre criminali delle SS, tra cui Christian Wirth, il boia di Treblinka,Sobibor e San Sabba. Tra le altre tappe vi sono Civitella Valdi Chiana e Sant’Anna di Stazzema. È troppo chiedere alla RaiTv di acquistare questo programma per farlo conoscere ancheai telespettatori italiani?

La sconvolgente testimo-nianza di Simon Wiesenthalsull’incontro con una SSmorente.

Da pag. 3

Migliaia di pri-gionieri italia-ni lasciati mo-rire di fame neicampi di con-centramento.Le fucilazionidi rappresaglia.

Da pag. 8

Un documentariotedescosulle stragi in Italia

La tragedia dei “traditori di Caporetto”

www.deportati.it

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Metteremarchio Guado

Questo numeroIT

Le immagini di Triangolo RossoLe cartoline della prima guerra mondiale fanno parte della raccolta privata della sig.na Vittoria Calzoni di Varese; le foto-grafie che illustrano l’intervista a Gianrico Tedeschi sono di Tommaso Lepera e Nikos Moise; le foto della prima guerra mon-diale sono tratte dal libro di Lucio Fabi degli Editori Riuniti.

Triangolo Rosso

Giornale a cura dell’Associazione nazio-nale ex deportati politici nei campi nazisti Una copia lire 5.000. Abbonamento lire 20.000via Bagutta 12 - 20121 Milano.Tel. 0276006449 - Fax 0276020637.E - mail: [email protected]

Direttore: Gianfranco Maris

Ufficio di presidenza dell’Aned Gianfranco Maris (presidente)Bruno Vasari Bianca PaganiniDario SegreItalo Tibaldi Miuccia Gigante

Comitato di redazioneGiorgio BanaliEnnio ElenaBruno EnriottiFranco GiannantoniIbio Paolucci (coordinatore)Pietro Ramella

Redazione di RomaAldo Pavia

Collaborazione editorialeFranco MalagutiMaria Rosa TorriMarco MicciMonica Pozzi

Isabella Cavasino

Numero chiuso in redazione il 15 aprile 2001Registr. Tribunale di Milano n. 39,del 6 febbraio 1974.

Stampato da:

Via Picasso, Corbetta - Milano

Pag 3 Ma è consentito perdonare un nazista assassino pentito?Pag 4 Protagonisti del ’900.

Gianrico Tedeschi l’attore che nacque nei lagerPag 8 Caporetto, il “prima” e il “dopo”Pag 9 Il genocidio dimenticatoPag 11 “Dopo tutto quel faticare ci danno la fucilazione”Pag 13 Cronache dell’immane massacroPag 15 Caddero vittime di una plateale ingiustiziaPag 17 Jospin: riabilitare i soldati francesi uccisi nelle rappresagliePag 18 Le rotaie dell’orrore. Il viaggio cominciò dalla TiburtinaPag 19 Quel “treno fantasma” verso DachauPag 21 Dopo 55 anni i resti potranno tornarePag 24 I nostri ragazzi

Le lacrime di un testimone più eloquenti di un libroUn lumino anche per mio nonnoPerché non venne fermata quell’immensa sofferenza?Incontro dibattito con studenti tedeschi

Pag 28 I nostri luttiPag 30 Giorno per giornoPag 32 Storia e libertà d’insegnamento: ecco alcuni perchéPag 38 BibliotecaPag 40 L’eredità scomoda della giustizia italianaPag 42 Migliaia di contatti nel sito Aned

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Due libri ed un film usciti in epo-che diverse, ma più che mai at-tuali, che sostanzialmente ripro-

pongono il drammatico interrogativo sesia lecito perdonare chi, pur pentito, sisia macchiato di orrendi delitti. Le treopere in questione sono Il girasole diSimon Wiesenthal (Garzanti), Uomini co-muni di Christopher Browning (Einaudi)e Concorrenza sleale, per la regia di EttoreScola. A porre l’interrogativo è Wiesenthal,il grande cacciatore di criminali nazisti,con un racconto autobiografico sempli-cemente sconvolgente. Reduce da ben tre-dici campi di sterminio, nel 1943, aLeopoli, una città prima polacca, poi rus-sa, infine ucraina, che lui ben conoscevaper avervi abitato, gli capitò di vivereun’esperienza terrificante. In breve, spe-dito con altri in un ospedale militare perlavori di bassa manovalanza, fu avvici-nato da una infermiera tedesca che, do-po avergli chiesto se era ebreo, gli dissedi seguirla fino ad una cameretta dove sitrovava un giovanissimo delle SS, ago-nizzante, che gli racconta come, fanati-co di Hitler, volontario a vent’anni nelleSS, sia stato protagonista di un crimineinfame, avendo partecipato al massacrodi centinaia di ebrei, uomini donne bam-bini di tutte le età, chiusi in un caseg-giato e bruciati vivi.

Tormentato per l’orrendo delitto epentito, sembra sinceramente, il te-desco chiede a lui, in quanto ebreo,

di perdonarlo e di consentirgli, così, dimorire in pace. Wiesenthal l’ascolta congrande disagio, poi esce dalla stanza insilenzio, senza perdonarlo. Vent’anni do-po, sopravvissuto, scrive il racconto e sichiede, a chiusura dello scritto, se “l’or-rore suscitato in lui da quel primo delit-to lo avrebbe trattenuto da un secondo eda un terzo”. No, non l’avrebbe tratte-nuto.La risposta si trova nell’altro libro, che,ricostruendo i crimini del battaglione 101della Riserva di polizia tedesca, sulla ba-se dei verbali di interrogatorio di 210membri superstiti di quel medesimo grup-po, spiega come persone che mai avreb-

sua città natale, trova nel suo stesso scom-partimento alcuni commercianti che gio-cano a carte e che indispettiti per la suaindifferenza lo invitano a prendere partealla partita. Al suo rifiuto, uno di essi loafferra per il bavero della giacca e losbatte fuori nel corridoio. Arrivati allameta, alla stazione il rabbino trova unfolto gruppo di ammiratori che lo fe-steggiano. Il commerciante chiede chi siail festeggiato e appreso che si tratta delfamoso rabbino, subito gli si avvicina perchiedergli il perdono, che il rabbino ri-fiuta una prima e poi una seocnda e unaterza volta, sempre con un secco no.Intercede, finalmente, un suo nipote, alquale lo zio spiega: “Io non posso per-donargli. Lui non sapeva chi ero. Quelcommerciante ha offeso un uomo comu-ne. Vada dunque da lui a chiedergli per-dono.”

Convincente la risposta di Terracini,che scrive che, semmai, non al-l’ebreo, ma ai suoi aguzzini la SS

avrebbe dovuto rivolgersi: “Si, avrebbedovuto gridare la propria accusa, la pro-pria esecrazione a tutti i tedeschi, i na-zisti, con i quali poteva ancora comuni-care: i medici, gli infermieri, i colleghid’arme, con la voce, con muti gesti, conlo scritto, instancabilmente, fino a chefosse rimasto un residuo di energia”. EPrimo Levi: “Nel caso specifico, poichélei era uno Haftling, cioè una vittima pre-distinata, e poiché lei sentiva allora dirappresentare la totalità del popolo ebreo,lei avrebbe sbagliato assolvendo il suouomo, e proverebbe oggi un rimorso piùgrande di quello che prova forse oggi peraverlo condannato”.

Infine il fim di Ettore Scola, che rac-conta il calvario di un commercianteebreo romano a seguito delle infami

leggi razziali del 1938. Ricordare, in unfilm, la pagina più vergognosa degli an-ni del fascismo, equivale a fornire un gros-so contributo nella lotta contro chi, di-rettamente o con forme più subdole e dun-que persino più pericolose, vorrebbe unariconciliazione omologante. Valga alloraciò che il grande scrittore francese Vercors,autore del bellissimo racconto Il silenziodel mare, scrisse a Wiesenthal: “Hitlertrionfa dappertutto, il mondo intero è con-taminato.Senza rimorso si ricorre al delitto, allamenzogna, all’aggressione: ai mezzi chela morale riprova. Rammentare di conti-nuo le ragioni di questa putredine è quan-to di più utile possiamo fare per il benedell’umanità”.

bero pensato di diventare assassini, lo di-ventino poi in forme spietatamente effi-cienti, pur traumatizzati anch’essi, nellamaggior parte dei casi, alla loro pirma“esperienza”.

Ma torniamo a Wiesenthal, che,scritto il libro, si rivolge ad unaquarantina di eminenti perso-

nalità di tutti i continenti per chiedere seha fatto bene o male a non concedere ilperdono. Rispondono scrittori, uomini po-litici, religiosi, giuristi, scienziati, filo-sofi, statisti, fra cui Primo Levi, GoloMann, Gabriel Marcel, Herbert Marcuse,Jacques Maritain, Martin Niemoller, KurtEdler von Schuschnigg, Leopold Senghor,Umberto Terracini, Vercors. Naturalmentele risposte, sempre di straordinario inte-resse, sono di segno diverso. Ma su al-cuni punti di fondamentale importanzal’accordo è totale. Mai il perdono chepossa essere inteso, sia pure larvatamente,come cancellazione. Scrive Wiesenthal:“Oggi il mondo ci chiede di perdonareanche a quelli che con il loro atteggia-mento continuano a provocarci. Ci chie-de di cancellare con un tratto di penna,come se nulla di grave fosse accaduto”.Altro punto sul quale si registra l’unani-mità di vedute è che uno, tutt’al più, puòconcedere il perdono per il male che èstato fatto a lui, ma non agli altri, tantopiù quanto gli “altri”, come nella fatti-specie degli ebrei, sono qualcosa comesei milioni di innocenti di tutte le età edi entrambi i sessi. Certo, per un credentecristiano, il perdono è d’obbligo. “Secondoun’antica leggenda medievale - ricordail filosofo inglese Christopher Hollis - gliapostoli si riunirono in cielo per cele-brare nuovamente l’Ultima Cena. C’erail vuoto, finché sulla soglia comparveGiuda, ed entrò e Cristo si alzò e lo ba-ciò e gli disse: ‘Ti stavamo aspettando’”.

Per contro Habraham Heschel, di-rettore del Jewish TheologicalSeminary of America, gli con-

trappone la storia del famoso rabbino diBrisk, che, in viaggio da Varsavia per la

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di Ibio Paolucci

Ma è consentito perdonare un nazista assassino pentito?

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L’attore

chenacque

nei lager

La memoria

ha un futuro?

Intervista a

Gianrico TedeschiTra le squallidebaracche e il filospinato di un campodi concentramento il debutto delpopolare interprete di tanti lavori teatrali

Recitare per resistereall’oppressionee alla violenzanaziste

Un drammatico ma salutare risveglioper scoprire la democrazia

Una prestigiosaattività lunga mezzo secolo e che continua

PROTAGONISTI DEL ’900

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ENRICO IV

LA SCELTA IL DEBUTTO

LE SCUOLE CONVITTOÈ l’anno 1944, lager diSandbostel, Germania. Si re-cita uno dei capolavori diPirandello, l’Enrico IV. Rivivela tragica vicenda del giova-ne che cade durante una ca-valcata in costume mentre ve-ste i panni dell’imperatoreEnrico IV di Germania, im-pazzisce e per dodici anni vi-ve in una fittizia atmosferacomportandosi come il per-sonaggio che interpretava almomento dell’incidente. Poirinsavisce e per vendicarsidell’antico rivale in amore chene provocò la caduta lo uc-cide e deve quindi continua-re a vivere nella finzione, or-mai prigioniero di quella fol-lia e di quel personaggio chesi era cucito addosso.Protagonista del lavoro pi-randelliano è il tenenteGianrico Tedeschi, classe1920, milanese, già studentedella facoltà di magisterodell’Università Cattolica mi-lanese. Chiamato alle armi,

inviato in Grecia, l’Enrico IVdi Sandbostel è poi diventa-to uno dei 600 mila militariitaliani deportati dai tedeschidopo l’armistizio dell’8 set-tembre: generali, ufficiali, sot-tufficiali, soldati abbandona-ti in Italia e all’estero dal re,dal principe, da Badoglio, dagenerali e ammiragli in fugaverso l’ospitale Brindisi.“Mi catturarono a Volos”, ri-corda, “ dopo due anni cheero in Grecia, due anni tra-scorsi in un’inutile, buffone-sca caccia a partigiani greciche non si trovavano mai.”Ricorda i tre lager nei qualiè stato: Beniaminovo,Sandbostel, Wietsendorf. Ericorda anche la fame, i mal-trattamenti, la paura. Era unIMI, sigla che sta per InternatiMilitari Italiani, una deno-minazione inedita, non pri-gionieri di guerra ma “tradi-tori” ai quali i nazisti aveva-no deciso di riservare un par-ticolare trattamento.

“A Milano mi presentai allascuola convitto Rinascita.Parlai con il direttore, il pro-fessor Raimondi, al qualeespressi l’ intenzione di fre-quentare l’Accademia d’ArteDrammatica di Roma e, quin-di, la necessità di iscrivermialla scuola convitto della ca-pitale. Raimondi mi disse:“Nell’Italia rinnovata ci saràbisogno anche di bravi atto-ri.’’ A Roma la scuola con-vitto era diretta da un nomeprestigioso della cultura ita-liana, Lucio LombardoRadice.”Che ricordo ha della scuo-la convitto ?“Ottimo. Queste scuole era-no state istituite dal ministe-ro per l’assistenza post-bel-lica per consentire a quanti -reduci, partigiani, internati-avevano dovuto interrompe-re gli studi a causa della guer-ra di poterli riprendere.”Eppure poi furono chiuse.“Furono chiuse, paradossal-

Lei in precedenza aveva mairecitato ?“Mai. Avevo con me tre testiteatrali: l’Enrico IV e Il fio-re in bocca di Pirandello eGli spettri di Ibsen e decisidi rappresentarli, perché mipiacevano molto e perché oc-correva pur far qualcosa perreagire a quella cupa atmo-sfera.“Devo precisare che malgra-do la fame e le angherie deitedeschi nei campi di noi uf-ficiali si svolgeva un’intensaattività culturale che servivaanche, come si dice, a tenersu il morale ed era favoritadal fatto che i tedeschi, men-tre erano sospettosi alla vistadi qualsiasi biglietto, eranoassolutamente tolleranti neiconfronti dei libri in base alsingolare presupposto che seun testo veniva stampato si-gnificava che era lecito.”Come andò il debutto ?“Bene. Fra i miei compagni

di prigionia c’erano molti rap-presentanti dell’“intellighen-zia” fra i quali il filosofo EnzoPaci; Giuseppe Lazzati, chediventerà rettore della Cat-tolica di Milano (e uno deipiù prestigiosi esponenti delcattolicesimo democratico,fondatore dell’associazioneLa città dell’uomo, n.d.r.);Alessandro Natta, destinato adiventare il segretario gene-rale del PCI; lo scrittoreGiovanni Guareschi; il dise-gnatore satirico e caricaturi-sta Giuseppe Novello; l’au-torevole critico teatraleRoberto Rebora. Fu propriolui che dopo avermi ascolta-to mi disse: “Tu devi fare l’at-tore”. Ci furono altre recitenei lager e poi finalmente laliberazione.Partii per Milano deciso, do-po il giudizio di Rebora, cheil mio lavoro, la mia vita sa-rebbero state quelle dell’at-tore.”

“Alla fine del primo anno diaccademia giunse la richiestaper la mia partecipazione aduno spettacolo allestito al tea-tro Olimpico di Vicenza.Occorreva chiedere il permessoal direttore, Silvio D’Amico,che lo concesse. Era il 1948,e si rappresentava l’Edipo re,interpretato da Renzo Riccimentre a Ruggero Ruggeri eraaffidato il ruolo di Tiresia, ilcieco indovino tebano. Era ilmio debutto ufficiale, dopoquello nei lager. Della com-pagnia facevano parte ancheCarlo Ninchi, AndreinaPagnani e Vittorio Gassman.Lo spettacolo venne rappre-sentato anche a Parigi e aLondra. Poi ritornai in acca-demia per un altro anno di stu-dio. Il terzo debutto, se possocosì posso definirlo, fu quan-do entrai a far parte della com-pagnia di Gino Cervi eAndreina Pagnani.” Da alloraè stato un susseguirsi di in-

terpretazioni in vari generi eruoli ricorda Tedeschi: rivistacon Anna Magnani, comme-dia con Tognazzi., commediemusicali con Rascel, DeliaScala, Memmo Carotenuto,una numerosa serie di com-medie, molti lavori di stile di-versi. E diverse sedi: il Piccolodi Milano, lo Stabile di Genovae quello di Trieste.”Qual è stato il lavoro più no-to che ha interpretato ?“Il cardinale Lambertini diTestoni.”E quello che ricorda più vo-lentieri ?“Casamoreinfranto di GeorgeBernard Shaw. E di Shaw hointerpretato anche un altro no-to lavoro, Il maggioreBarbara.”Lei ha recitato con diversiregisti. Quale pensa sia sta-to il migliore ?“Ho molto stimato Visconti,Squarzina e Strehler, con unaleggera preferenza per il primo.”

mente, perché funzionavanotroppo bene e perciò non era-no in sintonia con il clima chesi era creato nel Paese. Questaè la verità.”

Gianrico Tedeschi nel “Il riformatore del mondo”(foto Tommaso Lepera).di Ennio Elena

PROTAGONISTI DEL ’900

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UN DOPPIO ESORDIOUna breve pausa, poi dice,con giustificato orgoglio:“Sono 52 anni che lavoro inteatro.” In effetti sono quat-tro in più considerando le re-cite nei lager quando, con-temporaneamente, nasce unattore e un giovane ufficialeprende coscienza, nella dram-matica realtà della prigionia,dopo quella della guerra inGrecia, della verità nascostadal fascismo sotto il mantodella retorica.Un attore popolarissimo,Gianrico Tedeschi, anche perla sua versatilità, che proba-bilmente il grosso pubblicoperò conosce soprattutto co-me simpatico “testimonial”di un noto formaggio. D’altraparte un altro popolare atto-re, Ernesto Calindri, venivaricordato più per la pubbli-cità ad un famoso aperitivoche per le sue numerose e bril-lanti interpretazioni. È l’Italia.Da oltre mezzo secoloGianrico Tedeschi reca consé il ricordo di quel tempo

lontano ma ben radicato nel-la memoria. Il tempo dell’i-solamento dalla famiglia, dal-la patria, delle angherie na-ziste, della fame.“Fu allora che cominciammoa capire, ad aprire gli occhi,noi giovani cresciuti sotto ilfascismo. Prima la guerra epoi l’internamento furono unbrusco, drammatico ma salu-tare risveglio” dice.“Noi rifiutammo, malgradominacce e lusinghe, di aderi-re al fascismo ed al nazismo.Avevamo capito, provato sul-la nostra pelle qual era la mi-naccia che rappresentavanoper la pace e la libertà, per ilfuturo nostro e delle genera-zioni che sarebbero venute.”Una decisione condivisa dal-la stragrande maggioranza de-gli internati.Avete anche rifiutato di la-vorare.“Sì, perché lavorare in quel-la situazione significava con-tribuire ad alimentare la guer-ra, l’oppressione.”

“NON VOGLIO NIENTE”Pochi giorni prima di questaintervista si parlò della pos-sibilità che agli ex prigionie-ri nei campi nazisti costrettiai lavori forzati venisse cor-risposto un modestissimo ri-sarcimento. Questa possibi-lità ora ha preso corpo e siparla di una somma di quin-dici milioni, beneficio dal qua-le sarebbero esclusi gli inter-nati militari, equiparati ai pri-gionieri di guerra, Si disse,anche, che proprio GianricoTedeschi sarebbe stato scel-to come “testimonial” per po-polarizzare l’iniziativa. Perquesto appena lo incontrai glichiesi se era vero che avreb-

be svolto questo compito.“Non so niente” rispose in to-no brusco, contrastante conla cortesia manifestata durantel’incontro. In un’intervista ala Repubblica,successiva aquesta, ha spiegato i motividi quel diniego. “Io non holavorato, quindi non credo diessere risarcibile per la solaprigionia. Ma se anche neavessi diritto quei soldi nonli vorrei perché non c’è prez-zo per quello che abbiamopassato.”Una posizione in-transigente come fu alloraquella di Tedeschi e della qua-si totalità dei militari italianiinternati.

NON MOLLAREAl loro dramma, alla fierez-za con cui, pur laceri, affa-mati e angariati opposero un“no” deciso ai nazifascisti hadedicato un libro AlessandroNatta, L’altra Resistenza. Nellibro si citano anche gli spet-tacoli messi in scena aSandbostel e a Beniaminovoche segnarono l’esordio ar-tistico di Gianrico Tedeschi.Il volume ricostruisce il fa-ticoso cammino di molti pri-gionieri per i quali l’inter-namento con il suo carico diprivazioni e di violenza, maanche di incontri, di dibatti-ti rappresentò la scoperta diun mondo nuovo, libero, percui in molti casi i “lager” di-ventarono, come per GianricoTedeschi, una scuola di de-mocrazia.Fu un lungo percorso, rilevaNatta, verso la consapevo-lezza, “in modo da mutare ingiudizio critico la ribellionesentimentale contro il fasci-smo ed in meditato fatto po-litico il nostro no.”

“Il fatto più importante del-la resistenza degli internati”,scrive l’autore, “non è cheessi abbiano scelto la via del-la non collaborazione e del-la lotta, all’indomani dell’8settembre, ma che siano sta-ti capaci di durare, di nonsfaldarsi qualche mese dopodi fronte all’ingigantirsi del-lo spettro del campo di con-centramento, al sacrificio, al-la persecuzione.”Lo fecero soprattutto graziead un intenso, appassionatodibattito politico, dice Natta,“ che si svolse nei campi de-gli ufficiali” e che consegnòall’Italia giovani provati nel-la carne ma rinnovati nellospirito.E che quella rivolta ideale,quella resistenza rinnovanoquando, come affermaGianrico Tedeschi,“in unastoria come questa le cifrenon esistono. È un’offesa solamente ini-ziare a discuterne.”

GianricoTedeschi nel “Il riformatoredel mondo”(foto NikosMoise).

La memoria ha un futuro? Intervista a Gianrico Tedeschi

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RICORDAREL’intervista a Tedeschi si èsvolta al teatro San Babila diMilano mentre l’attore stavaper andare in scena con la mo-glie Marianella Laszlo eWalter Mramor ne Le ultimelune l’ultima fatica artisticadi Marcello Mastroianni.Tedeschi interpreta il ruolo diun vecchio professore di let-teratura che sente il peso del-l’età avanzata, che è arriva-to, appunto, alle ultime lune.Ma il personaggio che mi eradavanti nel camerino era in-vece un uomo pieno di vita-lità, che a 81 anni ( che com-pirà il prossimo 20 aprile),non solo continua nella suaintensa attività artistica ma sisente impegnato civilmente.Lei ha ricordato le violen-ze naziste, quelle nei vostriconfronti e quelle ancorapiù feroci nei campi di ster-minio.Sa che c’è chi cerca di mi-nimizzarle e, addirittura, dinegarle.

La risposta, accompagnata daun moto di rabbia, è tacitia-na: “Buffoni !”Domanda scontata ma ine-vitabile: quale messaggio sisente di indirizzare, so-prattutto ai giovani ?“Un messaggio di libertà, dipace, di coerenza e a tutti l’in-vito a ricordare. Qualche anno fa abbiamomesso in scena a Gibellina,in Sicilia, un lavoro di unoscrittore spagnolo, JorgeSemprun. Era ambientato inun campo di sterminio doveun gruppo di prigionieri si ri-bella. Alcuni raggiungonol’URSS ma anche là vengo-no internati perché animati daun’ansia di libertà che nonpiaceva neppure a Stalin.L’ultima parola del lavoro èricordare.”Il tono con cui Tedeschi pro-nuncia la parola trasformaquesto verbo in una solennepromessa, per se stesso e pertutti noi.

GianricoTedeschi nel “Sior Toderobrontolon”

GianricoTedeschi con la moglie,l’attriceMarianellaLaszloe l’attoreWalterMramor.

“Quando vidi recitare Pirandello

dall’internatoGianrico Tedeschi”

Il ricordo di Alessandro Natta

“Quando nei lager di Sandbostel e diBeniaminovo vidi il mio compagno diprigionia Gianrico Tedeschi insieme adaltri internati recitare Pirandello e Ibsennon riuscii a capire se si trattava di un at-tore professionista o di un appassionatodi teatro il quale dava corpo alla sua pas-sione in quello scenario di oppressione edi sofferenza. Ho poi visto che quell’e-sordiente è diventato un brillante, popolare attore tenuto abattesimo nel 1944 tra il filo spinato dei campi di concen-tramento nazisti.“Quelle recite facevano parte di un’intensa attività cultu-rale e anche ricreativa che si svolgeva nei lager, agevolatadai comandi italiani di campo, un’attività che comprende-va corsi di diverse materie, vere e proprie “università”, eche serviva, in una situazione di isolamento e di oppres-sione, tormentati dalla fame e dalle malattie, a farci senti-re uomini. “C’era anche un vivace dibattito politico, congiornali parlati. Ricordo che in uno di questi scrissi un edi-toriale nel quale affermavo che la monarchia era politica-mente finita e che al ritorno in patria avremmo quindi do-vuto scegliere tra monarchia e repubblica. Un articolo chenaturalmente fece molto rumore.“Ricordo anche che nell’autunno del ’44 successe un fattostraordinario: a Sandbostel c’era stata un’epidemia di tifopetecchiale che si concluse, per fortuna senza danni, conuna quarantena durante la quale restarono naturalmente ilfilo spinato e le sentinelle sulle torri ma noi e i nostri pi-docchi diventammo padroni del campo.“Poi le cose precipitarono e iniziarono i trasferimenti aWietsendorf dove gli internati avrebbero dovuto essere av-viati al lavoro e dove fummo assediati dalla fame, dal fred-do, dalle malattie e dalla bestialità dei tedeschi. Ma riu-scimmo a resistere, ad impedire di essere costretti al lavo-ro forzato. Un atteggiamento di fierezza e di dignità che hovisto con piacere Gianrico Tedeschi ha con orgoglio re-centemente rivendicato.”

8

il “prima” e il “dopo”Caporetto,Migliaia di prigionieri italiani vennero lasciati morire di fame nei campi

Un libro inchiesta racconta la storia dell’alpino Ortis e dei suoi compagni.

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È il 1917, Caporetto segna iltragico fallimento dello StatoMaggiore di Cadorna, gli au-striaci sono alle porte dellapianura padana, il rischio del-l’invasione fa tremare il re.

Come spiegare all’Italia in-terventista l’insuccesso, sen-za mettere alla berlina ilGeneralissimo che avrebbedovuto fare un boccone del-l’odiato nemico? L’alibi al-

l’italiana è a portata di ma-no. Un bel complotto, meglioun ignominioso “sciopero mi-litare” da parte del “popoloal fronte”. Nei confronti deitrecentomila soldati italianifatti prigionieri in quella di-sfatta autunnale si scatena unainfame campagna di accuseconfezionate a tavolino, ac-compagnate da quello cheD’Annunzio, con qualche an-ticipo, aveva affermato sulCorriere della Sera, e cioèche “chi si rende prigioniero,si può veramante dire che pec-chi contro la Patria, control’Anima e contro il Cielo”.

Il genocidio dimenticato

1918 di Mauthausen e di Theresienstadt

Da un pugno di lettere riportate alla luceda Giovanna Procacci, la tragica storiacostruita dallo Stato Maggiore per depi-stare la responsabilità della disfatta.

di Franco Giannantoni

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Caporetto,il “prima” e il “dopo”

Contro questi innocenti “pec-catori”, gli alti comandi mi-litari, assumono dopo qual-che mese un’iniziativa sin-golare, contraria a tutte le con-venzioni internazionali sultrattamento da riservare ai pri-gionieri: i pacchi viveri, in-viati dalle famiglie, debbonoessere bloccati. Nessuno dicoloro che per debolezza, pau-ra, viltà (in realtà per l’inca-pacità dei loro condottieri)concorsero al crollo difensi-vo, dovrà essere ricordato néalimentato. Una vergognosavendetta. I prigionieri, inter-nati in campi che avrebberoun paio di decenni dopo as-sunto il lugubre marchio del-lo sterminio di massa,Mauthausen, Theresienstadt,diventano veri e propri “mo-renti”, uomini giovani e ma-turi, molti con moglie e figli,abbandonati al loro tragicodestino, senza notizie, cibo.Senza speranze. Morenti chefiniranno (almeno 100 mila)la loro vita, cancellati dalleprivazioni e dal sospetto di

un tradimento ignobile, ali-mentato da una martellante,ignobile campagna di di-sinformazione e d’odio delgoverno nell’animo dei lorostessi familiari. Centomila vit-time, un quarto dei caduti sulcampo di battaglia. È un ge-nocidio.Questa vicenda, rimasta ge-losamente nascosto per oltresettant’anni (e si capisce ilperché, a cominciare dal re-gime fascista che, fondandole basi del suo potere sullaGrande guerra, aveva teso apresentare Caporetto comeuna grande epopea patriotti-ca), esce oggi dalle paginedel libro di Giovanna ProcacciSoldati e prigionieri italianinella Grande guerra (Bollatie Boringhieri, lire 58 mila,pp. 519), con il peso di unadenuncia folgorante, tremen-da, che rischiando di non la-sciare traccia nel grande pub-blico (dunque sepolta per laseconda volta), ha comunquela forza di una requisitoriadella Storia. Centomila vitti-

me dimenticate, cento milamorti mai rivendicati.Tutto inizia da un gruppo dilettere dei prigionieri di guer-ra (che Mario Missori, fun-zionario dell’ArchivioCentrale dello Stato anni fasegnalò presenti nel Fondo“Tribunale Supremo Militare”alla Procacci) che si rivolgo-no increduli alla patria, allefamiglie dalle quali sentonodi essere progressivamenteabbandonati. Lettere addolo-rate, disseminate dallo stra-zio, che in molti casi mostranocome la perfida manovra del-le autorità civili e militari ven-ga assorbita dalle migliaia deipadri e delle madri delle vit-time innocenti. Parole pesanticome macigni. Scrive daTheresienstadt un prigionie-ro: “Non mi degno chiamar-vi caro padre avendo ricevu-to la vostra lettera, dove les-si che ho disonorato voi e tut-ta la famiglia. Perciò d’ora inpoi sarò il vostro grande ne-mico e non più il vostroDomenico”. Risponde un pa-

dre ad un figlio detenuto nel-l’inferno del campo diMauthausen: “Tu mi chiedi ilmangiare ma ad un vigliaccocome te non mando nulla; senon ti fucilano quelle cana-glie d’austriaci ti fucilerannoin Italia. Non scrivere più checi fai un piacere. A morte lecanaglie”.L’effetto psicologico è vio-lento, eppure nessuno di que-sto oscuro capitolo della sto-ria patria aveva mai parlato,lo scandalo è stato rimosso,confinato in un angolo dellamemoria, un angolo assolu-tamente estremo, una feritaprofonda dentro quella bar-collante identità italiana checontinua a ignorare tragediedi questa dimensione, una re-quisitoria senza appello con-tro quello che, a fronte del fa-scismo (il totalitarismo all’i-taliana), viene tuttora indica-to come il buon governo “li-berale”, modello di demo-crazia e di pluralismo. È ve-ro invece il contrario perchése è scontato che “la prima

Lettere di prigionieri di guerra italiani controllate dal RepartoCensura Militare

Da L’Aquila a Mauthausen (Austria

21.8.1917Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te nonmando nulla; se non ti fucilano quelle canaglie d’au-striaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, untraditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva semprel’Italia, morte all’Austria e a tutte le canaglie tedesche:mascalzoni. Viva l’Italia viva Trieste italiana. Non scri-vere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie (...).(Nota: la lettera è diretta dal padre al figlio. Il destinatario non figu-ra negli elenchi dei disertori).

Da K.u.K. Station (Austria) a Cremona

22.2.1918

(...) Oggi stesso ho mangiato una gavetta di carne dicane che mi è parsa buonissima. La debolezza si è im-possessata di me a tal punto che quando cammino misembra di essere un ubriaco, un sonnambulo e per dipiù la vista mi è venuta meno, che non ci vedo quasipiù (...).

Da Mauthausen (Austria) a Bianco (Reggio Calabria)

1.12.1916Mia cara madreHo ricevuto la vostra (...). Il contenuto di essa, riguar-dante la mia disgrazia mi ha recato dolore e anche pian-to. Mamma io sono innocente, ve lo confesso con am-pia sicurezza, perché la mia coscienza me lo dice e melo rafferma. Sono libero da ogni rimorso (...), ho granfede in Iddio perché lui riconoscerà la mia innocenzae mi aiuterà nella lotta che sosterrò al mio ritorno. Sì,al mio ritorno, dico, perché io verro, verrò a giustifi-care la mia ingiusta accusa. Anziché rinunciare la miapatria, desidero anche ingiustamente soffrire la con-danna (...). State tranquilla mamma perché vostro figlionon vi ha disonorato (...).

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vera esperienza di prigioniasu scala mondiale fu vissutadurante gli anni della primaguerra mondiale”, tutta ita-liana è la primogenitura diquesta bieca logica genocida.Una logica che anticipa quel-la del nazismo della secondaguerra mondiale persino inalcuni minuti aspetti pro-grammatici quando ilComando Supremo pensa diinternare in una colonia libi-ca alla fine della guerra gliex prigionieri, un progettoesattamente in linea con quel-lo hitleriano di segregare gliundici milioni di ebrei euro-pei, in alternativa allo ster-minio, in Madagascar. Una pagina vergognosa cheriuscì nell’impresa quasi dia-bolica di recidere i fili che le-gavano assieme figli e geni-tori, nonni e nipoti, fratelli esorelle, gente del nord e delsud, poveri disgraziati man-dati al macello in nome del-l’onore. Ma se questa è la col-pa, ancora più nefasto è lospegnersi della voce dei pri-

scontri nel primo anno dellaguerra mondiale ’15-’18.La sorte, in particolare deiquattro fucilati, è scandita da-gli avvenimenti del 23 giugno1916, quando denunciano, for-ti della loro esperienza (quel-le montagne infatti le cono-scevano come le proprie ta-sche), che un nuovo attacco

1916 - Un libro-inchiesta racconta la sto-ria dell’alpino Ortis e dei suoi compagni

“Dopo tuttoquel faticare ci danno la fucilazione”

“In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia diDio e volontà della Nazione Re d’Italia...”: questa la formuladi rituale retorica con la quale si insediava il Tribunale straor-dinario, per giudicare ottanta alpini e condannarne quattro al-la fucilazione, accusati di “rivolta”.

Facevano tutti parte del-la 109a Compagniadell’VIII Reggimento

impegnato in Carnia, sul “fron-te di pietra”, come venne chia-mata la zona tra il Pal Piccoloe il Pal Grande, una muragliadi montagne lunga più di cen-to chilometri, dove si svolsela scena apocalittica degli

gionieri salvatisi dall’infer-no, di chi ebbe la forza di la-sciare una traccia seppure fle-bile, del calvario percorso:“Superstiti, voi potreste rac-contare con i colori più fo-schi i patimenti vostri e di co-loro che non hanno potuto re-sistervi.Ma non sarete creduti, nonsaremo creduti, perché l’a-verli sopportati sembra un so-gno a noi stessi”. Esattamentequello che accompagnerà lavita di Primo Levi dopo la li-berazione.

Da Mauthausen (Austria) a Alberobello (Bari)

16.2.1918

(...) Ti hanno levato il sussidio. Sono grandi vigliacchiperché io quando fui fatto prigioniero fu colpa del miotenente e non è colpa mia, e poi noi fummo fatti pri-gionieri in 32 soldati e caporali e 2 sottotenenti comefanno a dire che io sono disertore? (....).

(Nota: lo scrivente caporale, non risulta negli elenchi dei disertori).

Da Mauthausen (Austria) a Cellino San Marco (Brindisi)

22.2.1918

(...) Vi scrivo questa mia lettera per ripetervi che la vi-ta che si fa da prigioniero ora, e che ci danno da man-giare, e quanti ne muoiono al giorno per fame, ne muoio-no 40-50 al giorno, che ci danno da mangiare ogni mat-tina tre reghe con vermi e brodi di farina amara (...).Si dorme come belve con un po’ di paglia vecchia, sen-za coperte (....). di Sergio Banali

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al Monte Cellon, quota 2238,nelle stesse condizioni dei pre-cedenti, si sarebbe inevitabil-mente concluso con un mas-sacro.Ortis Silvio di Paluzza, MatizBasilio di Timau, CorradazziGiovan Battista detto Giobattadi Forni di Sopra e MassaraAngelo di Maniago: questi inomi degli alpini brutalmen-te e sbrigativamente giusti-ziati, legati alle sedie davan-ti al muretto del cimitero diCercivento (Udine) alle 4,58precise del 1° luglio 1916.Due ore prima il Tribunale mi-litare, riunito con solenne pom-posità nella chiesa di SanMartino requisita per l’occa-sione, aveva pronunciato il fe-roce verdetto.Il processo era durato soltan-to due giorni, per una con-clusione già decisa in parten-za. Oltre alle quattro esecu-zioni capitali, la sentenza ave-va comminato 145 anni com-plessivi di carcere, mandan-do assolti 42 alpini degli ot-tanta che si erano rifiutati di

uscire allo scoperto, per unassalto privo di una adeguatacopertura di artiglieria.In particolare il caporal mag-giore Silvio Ortis venne indi-cato - insieme a Basilio Matiz- come un caporione della “ri-volta”. Prove? Nessuna, a me-no che considerare provaschiacciante quella frase “Nondobbiamo farci ammazzare dastupidi”, attribuita a Ortis econdivisa da tutti gli altri.Non ci fu nessun ripensa-mento, da parte dei giudici,sulle sofferenze i patimentibestiali nelle trincee, antica-mere fangose della morte. Enessuna pietà sull’orrore de-gli assalti, quando ondate diuomini balzavano “fuori” peravanzare sotto il fuoco mici-diale delle mitragliatrici e deimortai, magari imprigionatinei reticolati. Una sola cosacontava per il tribunale: “da-re l’esempio” ricorrendo alterrorismo, per “mettere in ri-ga” le truppe in preda al mal-contento e alla rabbia di fron-te allo spaventoso massacro.

“Dopo tutto quello che ab-biamo fatto per loro”, avevadetto Matiz alla lettura dellasentenza,“ecco cosa ci dan-no”.Il dramma dei giustiziati, unpiccolo, terribile segmentodelle decimazioni per rappre-saglia, è raccontato passo do-po passo nel libro La fucila-zione dell’alpino Ortis diMaria Rosa Calderoni, giàgiornalista dell’Unità e at-

tualmente collaboratrice diLiberazione. È la storia do-cumentata e incalzante dellavita e della morte di un sol-dato-contadino (uno degli ol-tre cinque milioni mandati alfronte tra il 1915 e il 1918).Un giovane di 25 anni, con lalicenza di terza elementare,due medaglie al valore in dueguerra, la Libia del 1912 e ilfronte Carnico del ’16.L’autrice - che si è avvalsa diuna ricca documentazione rac-colta nei luoghi della trage-dia e negli archivi civili e mi-litari - ha scelto efficacemen-te di “far parlare” il fucilatoOrtis, che “racconta” la Carniapovera e affamata, l’emigra-zione, la famiglia, l’amore; epoi, sempre in prima perso-na, la guerra, l’arresto e la fi-ne, a conclusione di un pro-cesso spietato. E da rifare, do-po oltre 80 anni.Lo ha chiesto con dolorosa in-sistenza soprattutto la gentecarnica, che si è tramandatail ricordo della feroce ingiu-stizia di Cercivento. Intanto

Trincea italiana nei pressi di Castelnuovo, lu-glio 1916.

Caporetto,il “prima” e il “dopo”

Due dei quattro fucilati di Cercivento, Silvio Ortis eBasilio Matiz.

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ha inaugurato, da tempo, unmonumento con la stessa pie-tra del monte Cellon, sul pra-to dietro il cimitero, dove iquattro alpini vennero uccisi.Vittime della storia.

Maria Rosa Calderoni,La fucilazione dell’alpinoOrtis, p.p. 196, lire 22.000Mursia

Fu una decisione presa trop-po tardi e pagata un prezzotroppo caro, un prezzo san-guinoso. Perché la prima con-seguenza di una simile impo-stazione della guerra, così co-me è voluta dal Comando su-premo e mantenuta per oltredue anni fino alla defenestra-zione di Cadorna, è portareavanti le operazioni senza ri-sparmio di uomini e con il co-stante ricorso a un tipo di di-sciplina fondata sulla repres-sione. La storia della primaguerra mondiale in Italia è an-che questa, una pagina tragi-ca di cui ancora oggi sono suf-

ficientemente noti solo alcu-ni aspetti.(...) I tribunali militari isti-tuirono 100.000 processi perrenitenza (più altri 370.000 acarico di emigrati), altri60.000 a carico di civili, ad-dirittura 340.000 contro mi-litari alle armi, per lo più perdiserzione e rifiuto di obbe-dienza. Almeno un soldato sudodici fu processato; i fuci-lati dopo regolare processofurono 750 ( ofrse 1.500, idati sono discordanti); assaipiù numerosi i fucilati sulcampo per un semplice ordi-ne dei superiori, e quelli uc-

Il costo della “vittoria”

L’Italia siglò la “Vittoria” il 4 novembre 1918, a prez-zo di un altissimo tributo di sangue, pagato da un eser-cito di contadini e operai. La guerra - “una delle più violente e furibonde vi-cende”, scriveva Winston Churchill - “che fossero maitrascorse nella storia dell’umanità”, era costata al no-stro Paese oltre 600 mila morti, più di un milione emezzo di feriti, dei quali cinquecentomila mutilati einvalidi permanenti.

Come funzionò la spietata repressioneper “dare l’esempio”

Cronache dell’immanemassacroL’impostazione della guerra in Italia si basa sciagurata-

mente, sin dall’inizio, su un’esasperata strategia offen-siva. Doveva arrivare Caporetto a costringere i coman-

di militari a rinunciare a tale strategia e a piegarli ad adotta-re una nuova direzione delle operazioni, in chiave soprattut-to difensiva.

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cisi durante il combattimen-to, al minimo tentativo di fu-ga. Ma i dati al riguardo nonsono precisi, e lo stesso si de-ve dire per le decimazioni,anche se ci furono e non fu-rono affatto rare. È una giu-stizia che si muove con du-rezza e a vasto raggio. Sottoil codice inflessibile finisco-no diversi tipi di reati: diser-zioni, ammutinamenti, ribel-lioni di vario tipo, atti di co-dardia in faccia al nemico oin presenza del nemico, au-tolesionismo.Dalle messe di sentenze pro-nunciate dai tribunali milita-ri, ci sono pervenuti nella stra-grande maggioranza dei casisolo i dispositivi finali, “ilmomento conclusivo deldramma nella sua più aridadimensione giuridica e buro-cratica”. Di questo “immen-so cimitero di drammi uma-ni” non si conosce molto. Perquasi cinquant’anni, questoaspetto è stato pressoché igno-rato dalla cultura italiana. Glistorici, anche quelli più au-

torevoli, ne fanno appena qual-che cenno; e d’altro canto, idocumenti relativi vengonotenuti ben nascosti. Né vi èinteresse a portarli alla luce.Basti pensare che la stessa re-lazione ufficiale su Caporettoè stata pubblicata solo nel1967.Secondo l’accurata ricostru-zione compiuta da AlbertoMonticone, su “circa 5 mi-lioni e 200.000 italiani cheprestarono servizio militaretra il 1915 e il 1918, ci furo-no 870.000 denunce all’au-torità giudiziaria (470.000 del-le quali emesse per renitenzaalla chiamata)”. Restano ben400.000 le denunce per reaticommessi sotto le armi, unnumero piuttosto impressio-nante. Al 2 settembre 1919(quando viene emesso il de-creto che concedeva la “am-nistia ai disertori”) la giusti-zia militare aveva messo a se-gno 350.000 processi, con140.000 sentenze di assolu-zione e 210.000 di condanna.In pratica, in tre anni e mez-

zo di guerra, “circa il 15 percento dei cittadini mobilitatie il 6 per cento di coloro cheprestarono effettivo serviziomilitare furono oggetto di de-nuncia”.(...) Quando all’andamentodella giustizia militare, le con-danne subiscono una bruscaimpennata nel primo anno diguerra, e aumentano nel se-condo, in concomitanza conl’offensiva austriaca nelTrentino, quella che va sottoil nome di Strafexpedition(spedizione punitiva); poiscendono nel 1917 fino ad at-tenuarsi nel 1918.Il numero delle condanne ca-pitali continua a essere in-

certo. Le cifre fornite dal-l’ufficio statistico del mini-stero della guerra parlano di750 condanne eseguite, 311non eseguite e ben 2.967emesse in contumacia. In to-tale 4.028 condanne a morte,il 2,3 per cento di tutte le sen-tenze emesse per tutti i tipidi reato. Tale quadro non è però esau-riente. Mancano pressochécompletamente i dati sulleesecuzioni sommarie, sulledecimazioni, le fucilazionicompiute sul campo di bat-taglia contro i soldati che ten-tavano di retrocedere. Lo stes-so Ufficio giustizia militarenel 1919 dichiarava che nonsempre pervenivano rapportiin merito dai comandi su-bordinati.La giustizia penale durante laguerra era affidata a un uffi-cio appositamente costituito:il “Reparto disciplina, avan-zamento e giustizia militare”:il principio base fu sempre esoltanto quello della “giusti-zia punitrice”. Il che ha sem-

Fanterie italiane in marcia verso monteMosciagh, giugno 1916.

Dal libro La fucilazione dell’alpinoOrtisdi Maria RosaCalderoni.Schede di ap-profondimentoe Documenti

Caporetto,il “prima” e il “dopo”

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plicemente significato, so-prattutto nei primi due annidel conflitto, la più rigida in-terpretazione e applicazionedel codice. Tutti - presidentidi tribunale, avvocati milita-ri, giudici - furono incitati al-la massima severità e rim-proverati per ogni atto di cle-menza. Venne cioè messo inatto “un meccanismo ben chia-ro: pressione sui tribunali per-ché si adeguino alle richiestedell’accusa, pressione sugliavvocati fiscali affinché con-figurino i reati sotto le spe-cie più gravi e chiedano le pe-ne più esemplari, il tutto ac-compagnato dalla minacciadi rimozione dal posto”.(...) Fu una giustizia militaredalla mano sempre molto pe-sante. Su un totale di 170.000condanne, circa 40.000 com-portarono pene superiori aisette anni di reclusione; lametà di esse furono condan-ne a pene gravissime 4.000 amorte e 15.000 all’ergastolo.Un altro dato di fatto è da ri-marcare: i giudici si dispose-

ro e si piegarono quasi total-mente ai bandi del Comandosupremo e ai tanto racco-mandati criteri del massimorigore; anzi, in molti casi sene fecero esecutori estrema-mente diligenti.E come giudizio complessi-vo, va detto che fu essenzial-mente una giustizia militareusata come potente strumen-to per tenere a freno un eser-cito costituito prevalentementeda contadini. “Una immensaschiera di processati e con-dannati, un esercito nell’e-sercito”: spia insieme “del dis-senso di molta parte delle trup-pe e della incomprensione del-le classi dirigenti”. Della in-comprensione e delle imper-donabili colpe».

Il documento della Commissione difesadella Camera che ha chiesto la revisione delvergognoso processo di Cercivento nel Friuli

Caddero vittime di unaplatealeingiustiziaIn merito alla riabilitazione degli alpini fucilati a Cercivento(Udine) nel 1916, la Commissione difesa della Camera ha ap-provato la Risoluzione che pubblichiamo integralmente.

La IV Commissione, pre-messo che: permane or-mai da troppo tempo

l’indignazione per l’ingiustacondanna a morte dei giova-ni alpini Ortis, Matiz,Corradazzi e Massara, ese-guita il 1° luglio 1916, nel-l’ambito della vicenda notacome della “decimazione diCercivento”:solo nel 1997 si sono avvia-te iniziative per ottenere lariabilitazione dei quattro al-pini fucilati e nel febbraio1998 è stata presentata la pro-posta di legge Camera 4519Spini recante “Modifica al-l’articolo 683 del codice diprocedura penale” per offri-re una soluzione che con-sentisse di perseguire l’au-

spicata riabilitazione;l’istituto della riabilitazionetuttavia, anche nella pro-spettiva della modifica legi-slativa proposta, non apparein concreto applicabile inquanto - nonostante la deno-minazione - presuppone unavalutazione della condotta delreo successiva alla condan-na, impossibile nell’ipotesidi condanna a morte;invece contro le condanne in-giuste è esperibile il rimediodella revisione, in base alleprevisioni dell’articolo 401del codice penale militre dipace (cpmp);tale disposizoine richiama ledisposizioni del codice di pro-cedura penale (cpp), preci-sando - rispetto al regime del-

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Trincea avanzata nei pressi di Selz fotografata dal tenente Venuti nella primavera del 1916.

Caporetto,il “prima” e il “dopo”

la revisione in diritto pro-cessuale penale - che “ la ri-chiesta di promuovere il pro-cedimento di revisione ema-na dal Ministro (...) ed è tra-smessa al procuratore gene-rale militare dellaRepubblica” e che l’istanzaè promossa davanti alla Corted’Appello militare; in tal modo si consentirebbel’applicazione degli articoli629 cpp, che ammette la re-visione delle sentenze di con-danna in ogni tempo, anchese la pena è stata eseguita,l’articolo 630 cpp, che pre-vede che la revisione può es-sere richiesta, tra gli altri, neicasi di prove nuove ovverose si dimostra che la senten-za di condanna fu emessa inbase a falsità o altro reato, el’articolo 632 cpp, in base alquale la revisione può esse-re richiesta anche se il con-dannato è morto;il potere del Ministro di ri-chiedere la revisione si con-figura come un istituto di di-ritto processuale penale mi-

litare, attesa l’originalità del-la citata disposizione di cuiall’articolo 401 cpmp, per-tanto tale potere sembra in-suscettibile di sindacato po-litico o amministrativo inquanto previsto nell’interes-se dell’amministrazione del-la giustizia militare, nel ca-so sussistano presupposti difatto di sufficiente chiarez-za;si tratta inoltre di un presup-posto essenziale del giudizio,rispetto al quale la valuta-zione del procuratore gene-rale militare della Repubblica,al quale l’istanza va tra-smessa, non può travalicarel’accertamento della mera re-golarità formale, essendo in-fatti rimessa al solo organogiurisdizionale la valutazio-ne della fondatezza nel me-rito in sede di giudizio di re-visione;impegna il Governo ad assicurare che il Ministrodella difesa provveda all’e-sercizio del potere ad esso at-tribuito dall’articolo 401

cpmp, per non precludere larevisione del processo che hacomportato l’ingiusta con-danna dei quattro alpini vit-time della decimazione diCercivento.Firmato “Spini, Gatto,Ruffino, Lavagnini”.

Le cartoline della propaganda

Alcune rarissime cartoline di queste pagine furono in-viate dal fronte e dall’ospedale militare di Bozzolo(Mantova) dal soldato Ferdinando Calzoni di Varesealla famiglia. I messaggi utilizzati dalla propaganda patriottarda del-la monarchia, saranno ripresi e amplificati durante laseconda guerra mondiale. Naturalmente contro nemi-ci diversi.

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Jospin: riabilitarei soldati francesiuccisinelle rappresaglie

Una autorevole voce, quella del primo ministro franceseLionel Jospin, si era levata per la riabilitazione dei sol-dati fucilati per “diserzione” o “ammutinamento” du-

rante la prima guerra mondiale. Lo ha fatto - come si ricor-derà - dalla cosiddetta “Collina dei disertori” di Craonne.Quell’operazione militare costò quasi duecentomila morti fran-cesi; trecentomila furono gli ammutinati, quarantamila i pro-cessati per alto tradimento, quaranta i fucilati.“Questi soldati - propose Jospin - fucilati per dare l’esempio,in nome di una disciplina il cui rigore aveva come eguale so-lo la durezza dei combattimenti, facciano ritorno oggi, piena-mente, nella nostra memoria collettiva nazionale.”In Italia l’allora ministro della Difesa, Carlo Scognamiglio,aveva fatto eco alle posizioni di Jospin, dichiarando che “i no-stri soldati fucilati non furono meno eroici dei loro commili-toni caduti in combattimento”, tanto più “che i veri colpevolifurono comandanti che tentavano di nascondere la loro inca-pacità”.

Il primo ministro francese dalla cosiddetta“Collina dei disertori” lancia un appello

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Il viaggio cominciòdalla Tiburtina

Le rotaie dell’orrore

A Birkenau più di 800, tra i quali 243bambini, vennero subito uccisi nellecamere a gas.Una lapide del Comune di Roma,dell’Aned e della Comunità ebraica

Per oltre mille ebrei romani

L’appuntamento è a Roma,stazione ferroviaria Tiburtinaper la posa di una lapide, perricordare il 16 ottobre 1943quando il Ghetto era percor-so dalla soldataglia nazistache strappava dalle loro ca-se più di mille ebrei per de-portarli a Birkenau.Quando arrivarono alla piùtremenda delle “fabbrichedella morte”, più di 800 es-sere umani vennero subitoinviati alle camere a gas. Tradi loro 243 bambini. Oltre550 le donne. Gli ebrei ro-mani furono i primi italianiad essere deportati inAuschwiz.Per ricordare la loro trage-dia e quella di tutti i depor-tati italiani nei lager nazisti,l’Aned, il Comune di Roma

e la Comunità ebraica dellacapitale, la più antica dellaDiaspora, hanno voluto ap-porre una lapide a fianco delprimo binario, alla stazioneTiburtina, dalla quale partì,il 18 ottobre del ‘43, il tra-sporto con i razziati delGhetto. La lapide è stata sco-perta alla presenza di nume-rosi superstiti e di familiari,di studenti, di professori, dal-l’allora sindaco di Roma,Francesco Rutelli, del mini-stro della Pubblica Istruzione,on. Tullio De Mauro, del

Rabbino capo, prof. ElioToaff e di altre numerose au-torità, con la partecipazionedi tutte le Associazioni del-l’antifascismo e dellaResistenza, con i loro me-daglieri. Ha preso la parolaper una breve allocuzione ilpresidente della sezione ro-mana dell’Aned, cui ha fat-to seguito l’intervento diRutelli. In entrambi gli in-terventi si è voluto sottoli-neare il più ampio significa-to dell’apposizione della la-pide. Non solo un momento

di ricordo e di commozione,bensì un chiaro atto di vo-lontà politica e culturale difronte a quanto in Europa enel nostro Paese giornalmenteaccade. Al ripresentarsi dirazzismi criminali, al pro-porsi di nuove schiavitù, al-le ripetute parole e non soloparole, di intolleranza, di di-scriminazione, di odio.Alla inaugurazione della la-pide ha fatto seguito un in-contro con oltre seicento stu-denti romani, con i loro pro-fessori, cui è stato presenta-to il cd-rom “DestinazioneAuschwitz” realizzato dalCdec. Marcello Pezzetti, do-po l’intervento del presiden-te della Comunità ebraica diRoma, ing. Leone Paserman,e del ministro De Mauro, neha evidenziato le caratteri-stiche principali, avvalendo-si anche della preziosa pre-

di Aldo Pavia

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“Meditateche questo è stato”Primo Levi

Il 16 Ottobre 1943più di mille ebrei romani,intere famiglie, uomini,donne, bambini,vennero strappati alle loro case,colpevoli solo di esistere.

Da questa stazione,racchiusi in carri piombatiil 18 Ottobrevennero dai nazistideportatinei campi di sterminio.

Sedici uomini e solo una donnafecero ritorno.

La loro memoriae quella di tutti i deportatiromani, ebrei, politici,militari, lavoratori,sia monito perenneperché ovunque similitragedie non debbanoessere rivissute.

MAI PIÙ

Comune di RomaAnedComunità ebraica di Roma

16 Ottobre 2000

senza di Shlomo Venezia, su-perstite del SonderKom-mando di Birkenau.L’incontro è stato chiuso daun lucido ed intenso inter-vento del prof. Amos Luz-zato, presidente dell’Unionedelle Comunità ebraiche ita-liane.Ecco il testo della lapideapposta alla stazione fer-roviaria di Roma Tiburtina:

Quel “treno fantasma”verso Dachau

Lo chiamarono così per il suo caricodi prigionieri in gran parte malati einabili - Alla fame, alla sete e alle di-sumane condizioni igieniche, si ag-giunsero bombardamenti e mitra-gliamenti - E i cadaveri non si pote-vano scaricare dai vagoni.

L’allucinante cronaca di un trasporto dalla Francia

I trasporti della deportazionerappresentarono l’inizio di unincubo che avrebbe raggiun-to il suo acme con l’ingressonei campi di sterminio. Incuboprovocato dall’inumanità delviaggio, esseri umani stipatiin uno spazio ristretto con pro-blemi di aerazione, vitto e so-prattutto di igiene. Incubo lacui durata dipendeva dalla di-stanza tra la stazione di par-tenza ed il campo di destina-zione e dalla percorribilità del-

le linee ferroviarie. Era il pri-mo lacerante contatto con unarealtà neppure immaginabile,quando si pensava di aver toc-cato il fondo ci si accorgevache il baratro era ancoraprofondo. Questa è la storiadi uno degli ultimi trasportipartiti dalla Francia, giunto inGermania dopo quasi due me-si, iniziato quarantasette gior-ni dopo lo sbarco degli allea-ti in Normandia e conclusosidopo la liberazione di Parigi.

2 luglio 1944

I tedeschi prelevano dal cam-po d’internamento di Vernetd’Ariége gli ultimi quattro-cento prigionieri, sono dete-nuti politici francesi e di al-tre nazionalità, ex soldati del-l’esercito repubblicano spa-gnolo, questi ultimi internatidal febbraio 1939 ed alcuniisraeliti. Vi sono diversi ele-menti ritenuti pericolosi e sog-getti a sorveglianza specialema perlopiù sono malati edinabili1 , quelli sani sono eva-si o sono stati arruolati nel-l’organizzazione tedesca Todt.Vengono trasferiti alla sta-zione di Tolosa dove sono rin-chiusi a gruppi di settanta incarri bestiame insieme a cen-tocinquanta detenuti preleva-ti dal carcere di Saint-Micheldi Tolosa e a sessanta donne.I quaccheri riescono a distri-

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buire una pagnotta ed una sca-tola di sardine ogni due uo-mini ed un pan pepato ognisette.

3 luglio

Alla sera il treno si muoveverso Nord sulla linea Tolosa– Clermont-Ferand, ma que-sta è stata interrotta dai ma-quis prima di Brive-La-Gaillarde2 , per cui viene di-rottato da Mountauban sullaBordeaux-Poitiers. Durante ilviaggio il convoglio è mitra-gliato da aerei alleati, i de-portati sventolano una ban-diera tricolore fatta di strac-ci; il mitragliamento ha fine.Si prosegue fino adAngoulême.

6 luglio

Tre giorni di sosta, durante iquali i tedeschi aprono unavolta al giorno i vagoni perpermettere ai prigionieri di fa-re i loro bisogni sotto i carried alla Croce Rossa di distri-buire pane, frutta ed acqua.Bombardamento della città.

9 luglio

Rientro a Bordeaux. Sosta pertre giorni su binari morti inattesa che le linee diventinopercorribili. Cibo fornito dal-la Croce Rossa: un piatto di“vermicelli” e una pagnottadi pane.

12 luglio

Alle due del mattino i tede-schi fanno sgombrare il tre-no. Destinazione i locali del-la sinagoga di rue Labirat,saccheggiata di ogni arredoe piena di sporcizia. La per-manenza dura tre settimanedurante le quali la CroceRossa fornisce zucchero, bur-ro e biscotti, ma i tedeschivietano la scodella di zuppaquotidiana.

10 agosto

I detenuti sono riportati al-la stazione, il nuovo convo-glio comprende dei vagonisu cui sono stati stipati i pri-gionieri prelevati da Fortedu Ha di Bordeaux; com-plessivamente i deportati rag-giungono le settecento unità,tra cui sessantadue donne. Iltreno parte diretto a Nimes,il viaggio dura due giorni.Ogni ventiquattro ore, il so-lito quarto d’ora d’aria in unclima reso soffocante dalgran caldo. Oltre alla sete litormentano mosche, pidoc-chi e pulci.

11 agosto

Arrivo e sosta a Nimes.

15 agosto

Il treno è bloccato a Remo-ulins. Lo sbarco alleato in

Provenza ha intensificato i mi-tragliamenti degli aerei ame-ricani.

18 agosto

Arrivo a Roquemaure. I pri-gionieri vengono fatti scen-dere, si prosegue a piedi peruna marcia di diciassette chi-lometri. A mezzogiorno la co-lonna transita per Chate-auneufe-du-Papè e raggiun-ge Sorgues verso le sedici alcanto della "Marsigliese". Lapopolazione si precipita allastazione e malgrado le mi-nacce della scorta distribui-sce ai prigionieri pomodori,meloni e vino. Approfittandodella confusione creata dal-la folla, alcuni ferrovieri fan-no evadere trentaquattro de-portati che vengono nascostidagli abitanti3 . Gli altri ri-partono alle ore ventuno.

19 agosto

Montélimar. Il mitragliamen-to del treno costa tre morti esedici feriti in un vagone. Itedeschi non danno l’autoriz-zazione di scaricare i morti.Trasbordo su un altro treno.

20 agosto

Valence. Un coraggioso fer-roviere aiuta undici detenutia fuggire, facendoli travesti-re da operai addetti alle stra-de4 .

21 agosto

Transito per Lione.

22 agosto

Sosta a Chalon-sur-Saone.Vengono distribuiti 2.400grammi di pane per settantauomini ed un secchio d’acquaper vagone.

24 agosto

Beaune. La popolazione rag-giunge in massa la stazione,ma questa volta la scorta è at-tenta e non permette di avvi-cinarsi ai vagoni. Confisca vi-veri e vino. Su un vagone idetenuti sono riusciti con unaleva e un coltello a fare unbuco nel pavimento ed alleventidue, mentre il trenoviaggia, si calano sulle ro-taie: undici riescono nel-l’intento indenni, il dodice-simo ed il tredicesimo han-no una gamba troncata dal-le ruote. Gli altri desistono.

28 agosto

Arrivo a Dachau. Ai deporta-ti vengono assegnati i nume-ri dal 93834 al 94376; tra eva-si e morti mancano circa cen-to uomini. Le donne proseguono perRavensbrück. I carri armatidi Leclerc sono alla Ported’Italie a Parigi.

NOTE1. Appunto dall’aspetto di questi “passeggeri” malati, scheletrici e storpi prenderà il nome di “Treno fantasma”2. È in corso la bataille du rail tendente a bloccare il traffico ferroviario per impedire ai tedeschi di mandare rinforzi alle truppe impegnate contro gli alleati sbarcati

in Normandia.3. La via della stazione, dopo la Liberazione, diverrà Rue des 700 déportès.4. In una di queste evasioni fuggirà l’italiano Francesco Fausto Nitti,combattente della guerra di Spagna e della Resistenza francese; racconterà la sua avventura in

Chevaux 8, Hommes 70.

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Dopo 55 anni i resti potrannotornare

Un doloroso e atteso rimpatrio delle vittime dei lager

Luciano Zamboni, nato aMizzola (Verona) il 3 feb-braio 1923, venne arrestatoa Caprino Veronese e subì12 mesi di deportazione traBolzano e Flossenburg (ma-tricola 43728) dove morì. Perl’interesse suscitato dal pro-blema del recupero delle sal-me, riteniamo utile pubbli-care la lettera di RobertoZamboni.

Egregio signor presidente,sono il nipote di un ex de-portato morto nel campo diconcentramento di Flossen-burg il 4 maggio 1945, a so-li 22 anni. Mio zio venne sepolto nelcimitero del paese che ospi-tava il famigerato campo enel marzo del 1958 i restidella salma furono traslatinel cimitero militare italia-

no di Monaco di Baviera dalCommissariato generale ono-ranze caduti in guerra delministero della Difesa.Qualche anno prima, il 5 gen-naio 1951, venne promulga-ta la legge n. 204 la quale,all’articolo 4, prevedeva chele salme definitivamente si-stemate a cura del Commis-sariato generale non potes-sero più essere concesse aicongiunti. Con questo arti-colo, crudele ed assurdo,molti si videro negato il di-ritto di poter riportare a ca-sa i propri cari, morti tra mil-le sofferenze nei campi disterminio.Il 10 marzo 1998, con l’aiu-to del Presidente dellaCamera on. Luciano Violante,riuscii a far presentare inParlamento una proposta dilegge chiedendo la modifi-ca dell’articolo sopracitato.

Il 14 ottobre 1999, al termi-ne della procedura legislati-va, venne firmata dal Capodello Stato la legge n. 365che cambiava l’articolo inquestione, permettendo co-sì ai parenti dei caduti se-polti nei cimiteri militari dalCommissariato generale ono-ranze caduti in guerra, di po-ter riavere i resti dei propricari rimasti sepolti per 55anni lontani dalle loro fa-miglie.Il secondo comma dell’arti-colo 4 della legge 9 gennaio1951, n. 204 venne sostitui-to dal seguente: “Le salmedefinitivamente sistemate acura del Commissariato ge-nerale possono essere con-cesse ai congiunti su richie-sta ed a spese degli interes-sati”.Dopo aver testato personal-mente l’efficacia di questa

Il rimpatrio delle salme nei campi diconcentramento nazisti, in una lette-ra al presidente nazionale dell’Aned,sen. Gianfranco Maris, da RobertoZamboni, in rappresentanza del ca-duto Luciano Zamboni.Ed ecco il testo della lettera:

Le rotaie dell’orrore

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nuova legge che, grazie al-l’impegno del Commissariatogenerale ed al consolato ge-nerale d’Italia a Monaco diBaviera, mi ha permesso difar rimpatriare i resti del miopovero zio il 2 dicembre2000, ho pensato che sareb-be stato utile avvisare ancheil Centro di documentazio-ne ebraica contemporanea,l’Associazione nazionale exdeportati e l’Associazionenazionale ex internati inGermania, così da permet-tere loro di attivarsi comu-nicando alle varie sezioni oalle varie comunità ebraichesparse per l’Italia della re-visione della vecchia leggedel 1951.Pertanto le invio di seguitol’indirizzo al quale dovran-no eventualmente rivolgersii parenti dei caduti per po-ter avere informazioni det-tagliate sul rimpatrio e sul-la spesa che dovranno so-

stenere che in linea di mas-sima dovrebbe aggirarsi in-torno a £. 1.600.000. Talespesa comprenderà:

1. Riesumazione dei restimortali, sistemazione incassetta-ossario e conse-gna all’aeroporto di par-tenza con la documenta-zione necessaria.

2. Rimpatrio dei resti cheverranno custoditi pressoil Sacrario militare delVerano (Roma) a dispo-sizione dei parenti per laconsegna, o su richiesta,potranno essere traspor-tati all’aeroporto più vi-cino alla città del richie-dente.

Con la speranza di essere sta-to in qualche modo utile, leinvio i miei più cordiali sa-luti.

Roberto Zamboni

Per saperne di piùLo stesso Zamboni, in calce alla lettera, fornisce inol-tre le seguenti indicazioni. Per informazioni dettagliate i familiari dei caduti po-tranno rivolgersi a:Ministero della Difesa(Commissariato generale onoranze caduti in guerraDirezione situazione e statistica Ufficio estero)piazzale Luigi Sturzo, 2300144 Roma, telefono e fax 06.59.17.895

Il 15 dicembre 2000 ho presentato - scrive ancora Zamboni- una petizione al Senato della Repubblica (annunciataall’assemblea del 17 gennaio 2001 con il n. 847 ed as-segnata alla quarta Commissione permanente della Difesa)chiedendo che tutte le spese riguardanti l’esumazione,la sistemazione dei resti mortali in cassetta-ossario ed ilrimpatrio siano totalmente a carico dello Stato. Inoltreè stata data copia di questa mia petizione ai presidentidei gruppi parlamentari alla Camera dall’onorevoleLuciano Violante, auspicando così che si possano atti-vare presentando una proposta di legge che modifichiquella vigente.

“Ho potuto seppelliremio padre al paese”

Sul medesimo problema, l’Aned ha ricevuto un’altra lettera da Lavena Ponte

Tresa (Varese):

Vi annunciamo che dopo 55 anni mio padre Giacomo Banfinato a Milano il 19 giugno 1915 e morto a Mauthausen il18 maggio 1945 e qui seppellito nel cimitero italiano è sta-to rimpatriato in Italia.In febbraio, leggendo il giornale degli invalidi di guerra,abbiamo saputo che era stata approvata la legge 14 otto-bre ‘99 n. 365: a spese dei familiari si potevano portare iresti in Italia. Ho avuto una corrispondenza molto attivacon il ministero della Difesa e il 26 ottobre 2000 i resti dimio padre sono arrivati a Malpensa. Dove sono stati por-tati nel cimitero del nostro paese. Ne siamo immensamentefelici.

Maria Febea BanfiNerina Furio

Un mattino del ’44Era neve calpestata,fango ghiacciatomembra doloranti, cuori sanguinanti.

Le belvelatravano un numero,la mascellaimpietrita ghiacciatarifiutava l’appelloinfernale.

La marea zebrataincombevati calpestavaavanzava,nell’alba lividaun’altro giornocominciava.Perfette le file per cinqueuna ogni giornoqualcuno mancava,il numero urlato passavaera “pace” per quello......... ma non “libertà”.

Maria Musso Gorlero(deportata di Ravensbruck)

Le rotaie dell’orrore

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DimenticareSe perdono vuol direnon desiderare, neppure per un attimoche i vostri crimini ricadanosu figli innocentiin questo senso noi perdoniamo

Se perdono vuol direnon ammettere neppureche dobbiate soffrirelungamente l’agoniasinché la morte divenga liberazioneIn questo senso noi perdoniamo

Se perdono vuol diresperare che anche per voi sorga il giornoperché nella ritrovata matricein voi rinascail fratello uccisoIn questo senso noi perdoniamo

Ma se perdono vuol diredisperdere la memoriacome al vento la cenere dei mortiChiudere occhi, orecchiimpedire al cervello di pensarementre voi sognate altri massacrialtri bagni di sangue, altri roghi

Ebbenecercate altrovei vostri complici e i vostri serviFinché avremo un respiroun atomo di forzaun lampo di pensieroli useremo contro di voifinché quel Ventrenon sarà insterilito.

Dopo, soltanto dopopotremo dimenticare.

Maria Montuoro(sopravvissuta di Ravensbruck)

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Le lacrime di un testimone piùeloquenti di un libro

I nostri ragazzi

Schio: ricordi e impressioni dopo un viaggioad Auschwitz, Mauthausen, Birkenau e Gusen

Auschwitz, Birkenau, Mauthausen e Gusen: queste le tappedel viaggio nella memoria, organizzato dalla sezione dell’Aneddi Schio, con oltre cinquanta partecipanti, tra cui 14 studentidi vari istituti, un preside (che è anche vice-sindaco della città)e due consiglieri comunali. A Gusen la delegazione è stata ac-colta da tre sindaci (della stessa Gusen, di S. Georgen e diLangenstein) e da cinque consiglieri comunali. A conclusionedell’incontro, agli ospiti italiani è stato offerto il “Pane del-l’amicizia”. Dal canto loro gli studenti hanno riassunto le lo-ro riflessioni.Abbiamo viaggiato a lungo - scrivono i ragazzi - per ricorda-re; ricordare quello che l’odio razziale, il cinismo e la politi-ca dell’intolleranza hanno causato poco più di cinquant’annifa. La sofferenza, la perdita di se stessi, la fame sono come unmarchio inciso in quei luoghi, come quel numero di serie ta-tuato sull’avanbraccio.Adesso là tutto è così in ordine, come un qualsiasi museo, ep-pure quei luoghi sono stati lo scenario di una cruenta rappre-sentazione: morte, fame, freddo, umiliazione e alienazione fu-rono protagonisti; le persone, succubi burattini, si trovaronoinvolontariamente a lottare contro di loro, sotto lo sguardo fol-le degli aguzzini.Ci rimarrà viva nel ricordo come un’esperienza utile e positi-va la visita a campi di sterminio nazisti di Birkenau, Auschwitz,Mauthausen e Gusen. Ciò che abbiamo visto resterà indelebi-le in noi, tanto siamo stati impressionati e scossi da una cosìgrande atrocità, disumanità, cattiveria compiuta da uomini con-tro uomini e dettata da un odio profondo, da un’intolleranzaradicata in quei “fabbri di morte”.Abbiamo camminato dove miglliaia di persone hanno avuto laloro fine, dove uomini, donne e bambini erano ridotti ad unstato di impotenza, privati di ogni dignità umana; abbiamo cal-

Nei campi

dello

sterminio

perconoscere,

pestato quella stessa terra e ci ha assalito un senso di orrore eperfino di colpa davanti a quello spettacolo terribile. Abbiamoosservato e meditato ammutoliti e sconcertati.Ad aiutarci a riflettere ci sono state le testimonianze dei so-pravvissuti; abbiamo visto una lacrima che scendeva su un vol-to segnato dal tempo: quella lacrima un libro di storia non cela potrà mai dare. C’è chi vuole nascondere, soffocare tuttoquello che c’è stato e negare che sia veramente accaduto. Nondeve essere così. È giusto che tutti sappiano la verità, chi havissuto non deve dimenticare ma portare dentro l’esperienza efarne dono agli altri.Nel nostro tempo di benessere e di pace siamo troppo abitua-ti all’indifferenza, non apriamo gli occhi sulla realtà che ci staattorno. Ci sono deboli che tutt’ora vengono condannati e pri-vati della dignità umana, anche solo per il colore della pelle oper il loro credo religioso. È difficile per noi ragazzi pensaredi poter fare qualcosa di concreto per i nostri fratelli. Forse sa-rebbe sufficiente solo raccontare e far riflettere i nostri amicisu quanto è successo cinquant’anni fa. Faremo in modo che lastoria non abbia a ripetersi, “che non siano state inutili tantemorti e che il frutto dell’odio di cui abbiamo potuto toccarecon mano le tracce, non dia nuovo seme né domani né mai”.La conclusione viene ripresa dagli studenti anche nei loro rin-graziamenti.“Noi ragazzi vogliamo ringraziare tutti coloro che ci hanno da-to l’opportunità di vivere quest’esperienza: in particolar mo-do i nostri Comuni, l’Aned e tutte le persone che ci hanno re-so partecipi delle loro esperienze aiutandoci a capire una realtàstorica che ha segnato la nostra umanità. Speriamo di portaresempre con noi e tra gli altri quello che abbiamo direttamen-te appreso, per far sì che ciò che è stato non si ripeta né ora,né mai. Grazie di cuore”.

Angela Riva, Elena Marzari, Andrea Canepa, Antonella Maculan,Chiara Meneguzzo, Mirko Ballardin, Mirko Moscianese,Annamaria Zanotelli, Enrico Barossini, Lorenza Gasparella,Martina Orizzonte, Francesca Groppa, Anna Grandesso, AndreaFochesato.

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Un lumino anche per mio nonno

La tromba suona il silenzio e una triste quiete scende sulle te-ste chine dei presenti: un attimo di commozione, di preghie-ra, di assorta meditazione per i parenti, per i concittadini cheda là non fecero ritorno. Cinque lumini vengono accesi, e unodi quelli per mio nonno, morto a Mauthausen pochi giorni pri-ma che gli americani gli portassero la libertà.È difficile esprimere i pensieri, le emozioni, gli interrogativiche mi hanno rapita in quel momento, che per me è stato il piùsignificativo di tutto il viaggio... So solo che la rabbia, la tri-stezza, me li porto ancora dentro e ogni volta che penso a quelmuro, alle bocche dei forni, alle immagini in bianco e nero,riaffiorano con una violenza inaudita.Tutto quello che avevo studiato, letto, appreso su libri e do-cumentari non erano parole, e nemmeno una triste storia diatrocità. Tutto quello è tuttora qualcosa di terribilmente gran-de, qualcosa di inaccettabile. È difficile guardare a un passa-to così, è difficile ricordare, passare in rassegna le vicende del-la storia di un’umanità sbandata, accecata dall’odio verso i suoisimili proprio perché simili non erano considerati.Mi sono chiesta: “Perché tutto ciò? Perché tanto odio? Perchétanta morte?”Non ho ancora trovato risposta.

Angela Riva

Da Schio aicampi di con-centramento:un momentodel viaggionella memoria.

capire,

testmoniare

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Perché non venne fermata quell’immensasofferenza?

I nostri ragazzidi poter decidere la morte di un suo simile? Nessun uomo puògiudicare un suo simile.Elisa (16 anni ) - Penso che le atrocità compiute in quel pe-riodo siano davvero immani. Non riesco a concepire questocomportamento. Mi ritengo pure fortunata per non aver vis-stuto in quel periodo perché non credo che sarei riuscita a re-sistere e vivere in prima persona quelle crudeltà, visto anchemi ha fatto un grande effetto la sola visita al campo di con-centramento.Elisa (19 anni) - Personalmente ritengo che gli orrori com-piuti nei campi di concentramento siano così gravi che unapersona, che non li ha vissuti personalmente, non sia in gradodi rendersi pienamente conto della disperazione che quelle po-vere persone hanno vissuto sulla loro pelle. Infatti, coloro chehanno vissuto un’esperienza simile, non potranno mai tornarea vivere serenamente; e ritengo che nessuno ha il diritto di ro-vinare così la vita ad una persona, perché la vita è una sola edognuno ha il diritto di essere felice.Filippo (18 anni) - Quando camminavo solo in mezzo a quel-l’immenso spazio piano, i miei occhi vedevano soltanto enor-mi rettangoli. Allora chiudevo gli occhi e provavo ad imma-ginarmi come poteva essere stato quel posto 55 anni fa, e al-la sofferenza delle migliaia di persone che erano ospitate.Giovanni (20 anni) - Facendo visita al campo di concentra-mento ho provato molta commozione nei riguardi di quellepersone che sono state brutalmente torturate. Mi sono sentitouna m... se si pensa che queste cose sono state fatte da uomi-ni a uomini. In questo caso non so se definire bestie coloroche facevano queste torture o coloro che le subivano. Mentrecamminavo e visitavo il campo avrei voluto che i nazisti, Hitlercompreso, avessero provato loro tutto questo e ancora di piùdi quello che hanno provato gli ebrei.Giuseppe (17 anni) - A me sembra assurdo vedere come sisiano organizzati i nazisti per lo sterminio degli ebrei e deglialtri deportati. È impossibile pensare alla crudeltà alla qualela gente era sottoposta e all’impotenza che ognuno aveva ver-so le SS. Secondo me è importantissimo adesso fare in modoche ciò non accada mai più.Luca (17 anni) - Le mie riflessioni si soffermano sui soprav-vissuti che, pur rimasti in vita, sono morti dentro a causa ditutto ciò che avevano dovuto subire e vedere.Matia (18 anni) - Mi sono reso conto delle condizioni in cuivivevano le persone costrette a vivere nei campi, sensazioniche hai solamente visitando quei posti. L’allegria che avevo

Le riflessioni dei giovani biellesi - “Credevo che non fosse possibile...” -Una conclusione comune:fare in modo che non accada più

Al di là dell’emotività suscitata dalla visita al campo di con-centramento di Dachau quali sono state le tue riflessioni?Questa la prima di cinque domande rivolte agli studenti dell’Itc“Vaglio Rubens” di Biella a conclusione del viaggio d’istru-zione al lager (dopo quella a Praga). Riprendiamo dal perio-dico dell’istituto un ampio “ventaglio” di risposte che arric-chiscono le “riflessioni finali” già pubblicate nel numero scor-so.Angelo (18 anni) - Non bisogna dimenticare l’orrore che èstato. Le immagini rimaste devono farci riflettere sull’atteg-giamento a volte sbagliato che abbiamo nei confronti dei piùdeboli, dei meno fortunati e degli extracomunitari.Anonimo (18 anni) - A volte penso e ripenso a quello che èsuccesso durante quel periodo. Non riesco ad immaginare chel’uomo sia stato capace di fare una cosa così crudele. Pensoche il lavoro eseguito a scuola e soprattutto la partecipazionedi Berruto1 mi abbiano avvicinato molto a questo problema,che fino a poco tempo fa mi era quasi sconosciuto.Anonima (19) - Sono rimasta colpita perché ero convinta diprovare un senso di angoscia, che quel luogo riuscisse a tra-smettere l’orrore di quello che lì era successo. Invece era unposto tranquillo e per niente angosciante.Bobo (18 anni) - È stata una bella esperienza soprattutto perdare un’impronta, un timbro a tutto il lavoro che io ed altri ra-gazzi della mia stessa scuola abbiamo compiuto. Durante talevisita ho avuto il coraggio di parlare pochissime volte, e pen-sare a ciò che era successo in quei luoghi mezzo secolo pri-ma. A me ha dato delle emozioni che mai e poi mai avrei pen-sato di poter provare.Daniela (17 anni) - Come un uomo può considerarsi miglio-re di un altro solo dal colore degli occhi o capelli, e credere

Nei campi

dello

sterminio

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Incontro dibattito con studenti tedeschi

durante la gita e l’esuberanza si sono esaurite in un attimo tra-sformandosi quasi in senso di angoscia che non riuscivo a spie-garmi. Non avrei mai creduto di sentirmi in quello stato d’a-nimo.Nazareno (18 anni) - Durante questa gita mi sono veramen-te divertito, ho scherzato e riso con i compagni, ma come so-no entrato nel campo di concentamento, tutto ciò si è smor-zato. Per un attimo ho provato a ritornare indietro negli anni,e dal mio cuore sono sorte sensazioni che non avevo mai pro-vato; non riesco neanche a descriverle. Posso dire con certez-za che l’ultima parte della gita è stata quella più emozionantee quella che mi rimarrà più impressa.Sara (19 anni) - Le sensazioni ed i pensieri che la visita hasuscitato sono infinite, ma il pensiero che ha prevalso in me èstato che siamo tutti in balia del “giudizio superficiale”, cioè,che siamo tutti capaci a giudicare ed a scegliere dall’apparen-za, dall’esteriorità senza cercare di conoscere, capire ciò checi troviamo di fronte. È troppo facile scegliere sempre il bel-lo, il più facile. Questo pensiero mi è venuto in mente perchéi tedeschi hanno giudicato una razza per quello che era senzaconoscerla e l’hanno sterminata. L’uomo dalla propria vita hamolte possibilità di scegliere... ma fino a che punto è respon-sabile della propria scelta?Tomasz (17 anni) - Subito non credevo fosse possibile chequello che vedevo fosse stato fatto da uomini come noi. Dopo,invece, mi sono reso conto di ciò che vedevo e non riuscivo acapire perché si era arrivati a tanto. Credo che non ci sia ri-sposta a questa domanda.Valentina (18 anni) - Il campo di concentramento di Dachauha calato un profondo silenzio su di noi. Ho cercato di imma-ginare i volti delle persone costrette a “vivere” dentro quel la-ger. Nonostante la loro sofferenza nessuno ha fermato tuttociò, ma perché? Questo non riuscirò mai a capirlo.

Visita a tre campi di concentramento

L’Aned di Torino e l’Associazione comitato Resistenza Colledel Lys hanno organizzato una visita ai lager di Ravensbruck,Sachsenhausen e Dachau. Al viaggio di istruzione, inserito nelprogetto riguardante l’anno internazionale della Donna, han-no partecipato venti studentesse delle scuole superiori “Pascal”di Giaveno e “Sraffa” di Orbassano (Torino). Accompagnatorilo storico prof. Federico Cereja, l’assessore alla cultura diOrbassano dott. Giorgio Brosio, il presidente ai gemellaggi delcomune di Collegno Ettore Sassi e, per gli organizzatori, BeppeBerruto, Anna Cherchi, Albino Moret dell’Aned e VincenzoMarino del Comitato Colle del Lys.A Berlino si sono avuti incontri con l’on. Fink, con il respon-sabile dell’organizzazione antifascista VVN-Bba, Stozel e conuna deportata tedesca di Ravensbruck, dove è stato organiz-zato un dibattito con una classe di studenti della città diNeubrandenburg (gemellata con Collegno), al quale hanno par-tecipato la presidente del consiglio comunale della stessa città.Dolores Brunzendorf insieme a rappresentanti del movimentoantinazista tedesco.La visita a Dachau ha concluso il viaggio. Le testimonianzedi Anna Cherchi a Ravensbruck e Sachsenhausen, nonché diBeppe Berruto a Dachau (integrate da quelle di Albino Moretex deportato di Dora), hanno favorito, unitamente ai dibattiticon le rappresentanze tedesche in riferimento anche al murodi Berlino, una più precisa conoscenza degli avvenimenti diallora e dei costi pagati dai partigiani e dai deportati politici erazziali durante la dittatura nazifascista.

(1) Beppe Berruto, un ex deportato che ha accompagnato i giovani a Dachau.

perconoscere,

capire,

testimoniare

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I NOSTRI LUTTI

L’Aned ricorda con dolore lascomparsa a Rocchetta Tanaro(Asti) nel febbraio scorso, di

Giacomo VignaleDi 77 anni, che subì la pri-gionia alle “Nuove” di Torino,a Bolzano, Sorantino (Bz) ea Mose Val Passiria.

L’Aned di Sesto San Giovanniricorda con sincero affetto lafigura di

Giacinto Pellieriex deportato e membro ono-rario del Consiglio di Sezione.Nato il 2 novembre 1917 aSesto San Giovanni dove èstato sempre residente, ha la-vorato alla Breda Elet-tromeccanica come tornito-re. In seguito agli scioperidel marzo 1944, fu arrestatoin casa, nella notte del 14dello stesso mese. Incarceratoa San Fedele e, successiva-mente, a San Vittore, vennetrasferito nella caserma diBergamo, da dove iniziò “ilviaggio” nell’orrore versoMauthausen.Matricola 59045, subì lo spo-stamento a Gusen, dove ri-mase fino al novembre ‘44.Riportato a Mauthausen, ven-ne trasferito ad Auschwitz,dove - con il numero di ma-tricola 202084 - rimase cir-ca un mese, per essere nuo-vamente riportato a Mau-thausen, con la matricola nu-mero 124154. Ma la tragica odissea non eraancora finita: il marzo 1945lo vede prigioniero nel sot-tocampo di Wels, da dovefuggì - dopo l’evacuazione -dandosi alla macchia, per poifinalmente essere accolto dal-le truppe americane.Fermo nella difesa dei valoriantifascisti, attento alle sof-ferenze dell’uomo e dedito al-la vita della famiglia.

L’Aned di Pisa ha subito, ne-gli ultimi giorni del 2000, lagravissima perdita del suo pre-sidente

Italo Gelonideportato nei campi di con-centramento di Flossemburg,Hersbruck, Mauthausen eDachau.Partigiano, arrestato dopol’8 settembre 1943 nei pres-si di La Spezia, venne in-viato nei campi di stermi-nio. La “sua” vita in tuttiquesti anni è stata dedicataa trasmettere ai giovani lamemoria di quella terribileesperienza condivisa da mi-lioni di persone, molte del-le quali non sono più torna-te. Degna di grande lode èstata la sua testimonianza,portata nelle scuole e orga-nizzando viaggi di studio neicampi nazisti.

L’Aned di Milano ricorda ladolorosa scomparsa nel gen-naio scorso di

Giovanni Invernizzidi 80 anni. Dopo aver subitonel 1944 il carcere a Pavia eSan Vittore, venne trasferitodapprima a Bolzano e, suc-cessivamente, a Mauthausen.

La sezione Aned di Schio an-nuncia con dolore la morte di

Giacomo Carraroex deportato a Buchenwald(matricola 113228), decedu-to il 13 febbraio 2001. L’Anedperde un combattente che hasempre lottato per riafferma-re i valori della memoria edella libertà.

La stessa sezione ricorda conrimpianto la scomparsa di

Giovanni Montanarodi Montebelluno, ex deporta-to a Dachau.Ai familiari le più sentite con-doglianze.

La sezione Aned di Padova co-munica con dolore la morte di

Maria Zontaarrestata durante gli scioperialla Snia Viscosa dell’aprile1944, venne trasferita nel car-cere di Santa Maria Maggiorea Venezia, dove subì lunghiinterrogatori da parte delle SS.Fu poi inviata al campo diBolzano e poi a Ravensbruck,dove rimase fino allaLiberazione.

Nello scorso gennaio è de-cedutoGiuseppe Alfredo Moliternidi 86 anni, già deportato nelcampo di Dora.L’Aned esprime profonde con-doglianze.

La sezione Aned di Pontederacomunica la scomparsa di

Antonio Oggianosuperstite del campo di Dora.Catturato in giovane età du-rante azioni di sabotaggio amezzi nazisti, fu imprigiona-to nel carcere della Gestapoa Verona, il “San Mattia” e dalì trasferito a Dora, dove fuliberato nel 1945.

Con dolorosa tristezza, l’Anedannuncia la scomparsa, avve-nuta il 25 febbraio scorso di

Giorgio Cigalarinchiuso, in un primo temponelle carceri di Torino e S.Vittore, venne trasferito aBolzano per poi subire il cam-po di sterminio di Mauthausen.

È scomparsa a Milano, su-scitando nell’Aned profondatristezza

Maria MontuoroDopo essere stata trasferita daS. Vittore al campo di Fossoli,subì la durissima detenzioneper lunghi mesi nel campo disterminio di Ravensbruck.

L’Aned di Corno di Rosazzo(Udine) ricorda con vivo rim-pianto

Antonio Fantigche, catturato dai nazifascistiin un rastrellamento nel 1944,subì la deportazione a Dachaue in alcuni dei suoi sottocam-pi. Rimpatriato in pessime con-dizioni di salute dovette emi-grare in Belgio come minato-re. Rientrò in Italia colpito dal-la silicosi, che gli “fruttava”una misera pensione di inva-lidità. “Triangolo Rosso” el’Aned rinnovano ai familiarile più sentite condoglianze.

L’Aned di Milano annunciacon dolore la scomparsa, il 15gennaio scorso, di

Mario Scottidi 75 anni, che subì, dopo ilcarcere a Corno, la deporta-zione a Kemten, Dachau eFichen, nel periodo dal gen-naio 1944 all’aprile 1945.

La moglie Maria ricorda condolore la morte, avvenuta aGinevra, di

Albino Del Zeneroex deportato a Buchenwald(matricola 39036) e a Dachau(matricola 59162).

Tristezza e dolore dell’Anedper la scomparsa di

Carlo Baracchinodi 77 anni, ex deportato sulcampo di Bolzano.

È deceduto Edgardo Spreafico

nato a Milano nel 1913, in-carcerato a San Vittore, fu in-viato al campo di Bolzano.

È deceduto il nostro associa-to

Brusco Annunzionato a Dolcè (Vr), superstitedel campo di Bolzano.

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Deportazione,leggi razziali e lavorocoattoal premio “MarioBrasca”La deportazione, le leggirazziali, il lavoro coattoin Germania: questo il te-ma del primo concorso na-zionale indetto a NovateMilanese dalla sezionedell’Aned, con il patroci-nio del Comune, per le te-si di laurea discusse neglianni accademici 1994 eseguenti. A giudizio del-la commissione, comeinforma un comunicatodell’Aned di Novate, so-no risultati vincitori i se-guenti lavori:“La deportazione dei si-

ciliani nei campi di ster-minio nazisti (1943-1945)”Dott.ssa Giovanna D’Ami-co (Università di Catania);“La deportazione milita-re italiana nei lager nazi-sti”,1 Dott.ssa Patricia Gu-glielmino (Università diCagliari);“I percorsi della soprav-vivenza: 8 settembre 1943- 4 giugno 1944. Gli aiu-ti agli ebrei romani nellamemoria di salvatori e sal-vati”,Dott.ssa FedericaBarozzi (Università LaSapienza di Roma).“L’iniziativa - informa an-cora l’Aned - si è dimo-strata particolarmente riu-scita sia per la qualità sto-riografica degli studi pre-miati sia per il vivo inte-resse ottenuto dalla tavo-la rotonda, cui hanno par-tecipato i ricercatori, svol-tasi in occasione della ce-rimonia di consegna deipremi.” Durante la ceri-monia, che ha registratoanche un’alta partecipa-zione di cittadini, è statopresentato il libro di te-stimonianza di EliaMondelli deportato aMauthausen.

Chiedono informazioniMi chiamo Roberta Vitalesta e sono la nipote di GiovanniRizzo, deportato e morto a Gusen. Vi scrivo per sapere sequalcuno si ricorda di lui. Fu arrestato a Milano. Da SanVittore fu portato a Fossoli e poi al campo di Bolzano dadove, il 5 agosto 1944 partì con destinazione Mauthausendove giunse il 7 agosto. Fu poi trasferito a Gusen dovemorì il 13 marzo 1945. Il suo numero di matricola era82500. Io non so se il mio appello troverà risposta dopotutti questi anni, in ogni caso vi ringrazio in anticipo perl’attenzione.

Roberta Vitalestavia Denti, 220133 Milano

Mi chiamo Maria Galli, sono la figlia di Attilio GiuseppeGalli, deceduto nel campo di sterminio di Flossenburg il27 dicembre 1944. Chiedo se qualcuno ha avuto modo diconoscerlo, di dirmi qualche cosa di lui. Prego di contat-tarmi a questo indirizzo: Maria Galli, via G. Pascoli 150,21010 Samarate (Varese); telefono 0331-235586, 0331-234537.Ringrazio di tutto cuore.

Si richiedono informazioni relative alla scomparsa di MariaFontanin, in Fillinich, presumibilmente deceduta nel cam-po di concentramento di Ravensbruck nel marzo 1945.(Eventuali notizie possono essere inviate all’Aned o allaredazione di “Triangolo Rosso”).

Si cercano notizie di Umberto Tonoli, nato a Calvisano,in provincia di Brescia. Lavorava alla Caproni di Milanocome saldatore specializzato. Appartenente alla 40° BrigataMatteotti, venne arrestato a Milano e detenuto a San Vittoreper due mesi. Fu poi trasferito nel lager di Bolzano (17agosto - 5 settembre 1944), a Flossenburg (dal 5 settem-bre al dicembre dello stesso anno) e a Gusen II dove re-stò, con il numero di matricola 21707, fino al marzo 1945.(Anche in questo caso, eventuali informazioni possonoessere inviate all’Aned o al nostro giornale).

Una sottoscrizione da Rocchetta Tanaro

In ricordo del compianto Giacomo Vignale, il gruppo de-gli ex deportati di Rocchetta Tanaro, nonché soci soste-nitori, devolvono la somma di £. 320.000 a questa be-nemerita Associazione con lo scopo di sostenerne le at-tività presenti e future e come segno tangibile di rin-graziamento per quanto in questi anni, grazie al lavoroe all’impegno che sempre ha dimostrato, è riuscita adottenere per noi tutti.Cordialmente

I Soci sostenitori di Rocchetta Tanaro

L’Aned di Genova ricorda il cav. Rosario Fucile

che ha dedicato l’intera vitaall’Associazione ex deporta-ti per tenere viva la memo-ria dei campi di sterminio na-zisti

Rosario Fucile è stato presi-dente dell’Aned di Genova peroltre vent’anni.Ha sempre accompagnato ipellegrinaggi organizzati pergli studenti delle scuole del-la provincia e in molti, allie-vi, accompagnatori, rappre-sentanti della pubblica am-ministrazione, ha lasciato unricordo indelebile della suapersonalità attiva e profon-damente umana.Alcuni anni fa l’allora sin-daco di Genova Adriano Sansagli ha dedicato un incontronella Sala di rappresentanzadel Comune, non solo in ri-conoscimento della sua atti-vità come ex deportato ma an-che per la generosità e dedi-zione con cui ha fondato e di-retto il Centro anziani “LaRotonda” di Genova Quinto,piacevole luogo d’incontri perla popolazione del suo quar-tiere. La sua attività ha avu-to un graduale indebolimen-to soltanto pochi anni fa, aseguito della malattia dellamoglie, che richiedeva un’as-sistenza costante e pressochéininterrotta. Il figlio Giuseppe,anch’egli molto attivo perl’Associazione, lo poteva aiu-tare soltanto nel fine setti-mana, perché lavorava fuoriGenova.Tra i suoi contatti umani piùstretti si ricorda l’amiciziacon Liana Millu, che per mol-ti anni lo ha affiancato comevice presidente dell’Aned diGenova e con Marina Picassovalidissima accompagnatricedegli ultimi dieci pellegrinaggi.La stessa Marina Picasso hacollaborato con Rosario perla stesura del libro: Dachau:matricola n. 11305,Buchenwald: matricola n.94453. Insieme con LianaMillul Rosario Fucile ha scrit-to Dalla Liguria ai campi disterminio.

Gilberto Salmoni

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Giornoper

giorno

Oscurantismoe revisionismo

(f.g.)- La beatificazione, lo scorso marzo, di 233 martiri"dell'odio contro la fede" durante la guerra civile spagno-la da parte di Giovanni Paolo II , ha avuto come risultatoquello di nascondere le responsabilità storico-politiche del-le gerarchie ecclesiastiche nel sostegno al franchismo che,ora, con questo gesto, vengono platealmente rivendicate.Con un'aggravante: quella dell'incredibile "continuità" po-sta dal papa tra "l'orrore di quegli anni" ed "il terrorismo"presente (quello dell'Eta). Comunisti uguale a terroristi. Una "continuità" che vuoleavvolgere la storia in un bavaglio sorprendente prima cheinaccettabile. Il pontefice della Chiesa di Roma con il ri-conoscimento verso i 233 beati (226 sono della sola Valencia,di cui 38 sacerdoti mentre la gran parte degli altri eranouomini e donne dell'Azione Cattolica della stessa comu-nità) ha privato di ogni connotazione storica e politica ilconflitto di Spagna. Parlando di "martiri non implicati in lotte politiche o ideo-logiche e che non volevano entrarvi", il papa ha dato, co-me si suol dire, un vigoroso colpo di spugna. Ha fatto fin-ta che non ci sia stata l'aggressione franchista e fascistaalla Repubblica democratica, ha ignorato che in Spagnafossero arrivati con i loro potentissimi eserciti Hitler eMussolini, ha dimenticato che altri religiosi e altri laici difede cattolica, soprattutto baschi, sono caduti al fianco deidifensori della democrazia repubblicana e che altri, so-pravvissuti, sono stati duramente perseguitati. Ha ridottola guerra civile "a quella grande tragedia vissuta in Spagnadurante il secolo XX", senza aggiungere un solo rigo. Ilgiudizio storico è stato calpestato. "È uno scandalo, è una vergogna", è stato il commento diGiovanni Pesce, medaglia d'oro della Resistenza, giova-nissimo combattente anche in Spagna, per tre volte feritosul fronte dell'Ebro. "Non riesco a capire come si possanocommettere errori storici di questa portata - ha commen-tato l'ex capo dei Gap - e come si possano ignorare queisacerdoti che caddero accanto a noi, fucilati da Franco do-po il colpo di Stato". Per la Chiesa di Roma sappiamo orache non sono beati. Per loro, colpiti dal furore assassinodi Franco, non c'è stato un segnale. Forse debbono essereconsiderati dei "banditi"? O, per essere più chiari, dei "co-munisti"? La vita ha pesi diversi? La verità è che un pessimo vento spira dall'Oltretevere. Unvento contrario a quello che soffiò, per esempio, al tempodel Concilio Vaticano II quando la Chiesa spagnola si spin-se tanto lontano da chiedere il "perdono" per il sostegnoai franchisti. Ma era, malgrado non siano trascorsi troppianni dal papato di Giovanni XXIII, un'altra epoca.

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La “Decima Mas”da Paolo Limiti:

Rai-tv, a noi!(f.g.)- Tornano le camicie nere, quelle peggiori, se si puòstilare una graduatoria. Il "nero" lordato di sangue dellaDecima Mas del principe Junio Valerio Borghese, che "pa-cificato" dalla generosa applicazione dell'amnistia di Togliatti,pensò bene negli anni '60 di organizzare un bel "golpe",rientrato, non si sa perché, all'ultimo istante. Tornano i"marò" fucilatori ed impiccatori di partigiani alla grande,come si merita un Paese revisionista, distratto, inondatodai sogni di Berlusconi. Tornano in piazza, a due passi daBologna e in tv (quella di Stato) che per questo scandalo-so episodio non ha fatto una piega (come del resto il pub-blico che ha gradito).Cominciamo dal secondo appuntamento, quello televisivo.Se lo spezzone dell'infame esibizione non fosse stato ri-proposto da "Blob" sulla rete 3, ai più sarebbe sfuggito.Da rimanere interdetti: schierati, impettiti sull'attenti, inuna fiammante tuta mimetica nera come da copione, quin-dici baldi giovani, sotto gli occhi ammiccanti del condut-tore Paolo Limiti (la trasmissione contenitore era "Ci ve-diamo su Rai 1", ore 14,30) con voce intonata, presenti al-la parte, si direbbe orgogliosi, hanno offerto all'Italia i lu-gubri inni della banda omicida. "… Quando all'obbrobrio l' 8 settembre, abbandonò la patriail traditore, sorse dal mar la Decima Flottiglia e prese l'ar-mi al grido "per l'onore""!! E giù un mare di applausi, ancor più eccitati ed appassio-nati quando l'ultima strofa, quella che ricordava "che noiritorneremo", si stava stemperando nel pomeriggio cano-ro, ingentilito, dopo tanto oltraggio, dalla voce della vete-rana Nilla Pizzi. Tutto vero. Tutto accaduto. Come assordante (e vero) è stato il silenzio generale cheha accompagnato l'esibizione del coro apologetico. Nessuncommento, nessuna interpellanza, nessuna denuncia.Ma c'è di più. Come se non fosse bastata l'incursione in tv,qualche giorno dopo è seguita un'adunata dei reduci del-la Decima a Migliarino (Ferrara) per ricordare alcuni ca-merati caduti lungo il Po, con tanto di biglietto d'invito conimpresso il famigerato teschio. Ma siccome l'Emilia-Romagnanon è la trasmissione di Limiti e, soprattutto gli emilianinon sono i plaudenti spettatori della canzone, la provoca-zione (l'adunata è durata ben tre giorni, dal 22 al 24 mar-zo) è stata sdegnosamente contestata dal Comitato unita-rio antifascista della città di Alfonsine, decorata di due me-daglie d'argento per la Resistenza. Contro la sfilata nera, il Comitato unitario ha ricordatocome ad Alfonsine "57 anni fa quella brigata fronteggiò, afianco della 16a divisione corazzata tedesca, l'avanzata del-le forze di Liberazione, mettendo in atto atrocità contro ipartigiani. Siamo indignati che gli assassini di un temporialzino la testa ma non siamo sorpresi. Sappiamo infatti che la libertà va difesa ogni giorno".Non c' è stata, al di fuori di Alfonsine, alcuna "sdegnata"

reazione. Il ventre molle del Paese sembra voler accoglie-re il peggio.

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Il parere di un gruppo di docenti

Storia e libertàd’insegnamento:eccoalcuni perché

Il dibattito politico solle-vato a proposito dellacommissione di controllo

sui libri di testo di storia, vo-luta dal presidente delConsiglio regionale del Lazio,chiama in causa gli insegnantiche utilizzano tali testi co-me sussidi didattici.Le reazioni espresse fino almomento da varie parti del-la società italiana si attesta-no su posizioni abbastanzaavverse a tale iniziativa, an-che se non mancano diver-genze ideologiche alquantoprovocatorie. Alcuni docen-ti della scuola pubblica, com-prendendo gli aspetti politi-ci dell’argomento in que-stione e distinguendoli dalproprio ruolo sociale, inten-dono richiamare l’attenzio-ne sui seguenti principi de-mocratici sanciti dalla nostraCostituzione italiana:1) l’autonomia dell’inse-

gnamento della storia ri-spetto alla politica, per-ché si tratta di una disci-plina scolastica caratte-rizzata da una propria epi-stemologia e fondata sumetodi scientifici di in-dagine;

2) la libertà di insegnamen-to della storia, perché ta-le premessa è fondamen-tale per un confronto de-mocratico delle varie opi-nioni, tutte valide finchénon vengono falsificate;

3) il rispetto della compe-tenza professionale del-l’insegnante di storia;

4) il primato della funzio-ne educativa della storiapoiché è una materia d’in-segnamento finalizzata al-la formazione culturale,umana e civile di sogget-ti in fase di crescita.

Ora è bene sottolineare cheogni insegnante, di storia co-me di qualsiasi materia cur-ricolare, non ha la facoltà diimporre i libri che vuole aisuoi alunni. La normativa as-segna al Collegio dei docentila competenza per l’adozio-ne dei libri di testo, anzi suc-cede non di rado che l’inse-gnante, essendo trasferito dauna scuola all’altra, ha l’ob-bligo di far usare i testi scel-ti l’anno precedente da altricolleghi.

Infine va ribadito che i te-sti scolastici di storia so-no in funzione della rela-

zione interpersonale che l’in-segnante instaura con i suoiallievi i quali, essendo nel-l’età dello sviluppo, sono darispettare maggiormente nel-la loro dignità umana per di-ventare persone libere e re-sponsabili. Pertanto il rispettodei loro diritti umani impli-ca il ricordare tutti i fatti sto-rici, negativi e positivi, nonper fare gli interessi di par-te ma per riflettere sui com-portamenti dell’uomo nellasocietà.L’interpretazione degli stes-si eventi storici è parte inte-grante della disciplina, nontrascurando che l’afferma-zione di una interpretazionerispetto ad altre è anch’essaun fatto storico.

1I DOCENTI

Itis “E. Majorana” Grugliasco;Ipsia “Amaldi” Torino;Ipc “Giolitti” Torino;Sms “Alvaro” Torino;Sms “66 Martiri” Grugliasco;Lc “Cavour” Torino;Ls “M. Curie” Grugliasco;Sms del Comune di Scalenghe;Itc “Sraffa” Orbassano;Itcg “Galilei” Avigliana;Istituto Magistrale “Barti” Torino.

In merito al problema dei libri di testo nelle scuole e l’in-segnamento della storia, riceviamo da un gruppo di inse-gnanti il comunicato che pubblichiamo qui a fianco.

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L’insegnantedella storiafra rimozionie dimenticanze

2LO STORICO

Mentre infuria la polemica sui libri di testo

Nella storia della scuo-la italiana - soprattut-to nella storia della

reale prassi didattica presen-te nella scuola italiana - esi-ste un curioso paradosso: do-po il Risorgimento e persinodurante il fascismo la storiacontemporanea era studiatae si riteneva del tutto vvio escontato che la scuola par-lasse di un periodo storicoche giungeva fino all’età con-temporanea. Dopo la cadutadel fascismo, a partire daglianni Cinquanta fino allo scos-sone rappresentato dai mo-vimenti giovanili di protestadella fine degli anni Sessanta,la storia contemporanea è sta-ta invece dimenticata, rimossae non più insegnata.

Dopo il ‘68 l’interesseper la contemporaneitàè rinato con prepoten-

za ma è stato voluto, richie-sto e praticato solo prenden-do le mosse dalle istanze de-gli studenti col risultato che

quando l’onda lunga dei mo-vimenti giovanili della con-testazione ha iniziato a cala-re, anche l’insegnamento del-la storia contemporanea è sta-to ben presto rimosso, conuna velocità pari a quella concui la “base” studentesca l’a-veva imposta. Col bel risul-tato che a partire dalla finedegli anni Settanta la prassididattica più diffusa nellescuole italiane rimuoveva nuo-vamente l’insegnamento del-la storia contemporanea.Certamente dopo la conte-stazione giovanile degli an-ni Sessanta molto è cambia-to nelle scuole e così moltiistituti - soprattutto quandoin essi hanno iniziato ad in-segnare quegli stessi ex-stu-denti che negli anni Sessantaavevano contestato sia l’ob-solescenza della scuola tra-dizionale, sia la sua incapa-cità nel trasmettere un sape-re critico e dotato di un sen-so culturale preciso - hannoiniziato percorsi autonomi diriflessione e di insegnamen-to concernenti, più diretta-mente, il Novecento. Tuttavia,occorre anche riconoscere co-me nella stragrande maggio-ranza delle scuole l’insegna-mento della storia delNovecento, per molti decen-ni, si sia sempre fermato al-la fine della prima guerramondiale oppure alla nasci-ta del fascismo. Non si osa-va andare più in là.Perché? Per un motivo chevoleva essere radicato in unmotivo teorico presentato co-me molto plausibile e sensa-to: per studiare la storia conoggettività occorre lasciaretrascorrere un sufficiente las-so di tempo. In fondo, si so-steneva, solo il tempo che ciallontana dagli eventi ci for-nisce un giusto sguardo sul-la storia liberandoci da ognipassione di parte e resti-tuendoci i fatti storici nella

di Fabio Minazzi

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loro evidenza specifica e neu-tra.

Per questo motivo - si so-steneva da più parti - lastoria contemporanea

non può essere insegnata per-ché si trasforma immediata-mente in un discorso politi-co nel quale la soggettivitàdell’insegnante finisce pertravolgere ogni oggettività.La lezione di storia, da le-zione educativa, si trasfor-merebbe così in una lezionepolitica. Secondo questa cu-riosa concezione della storiaquesta disciplina poteva dun-que essere studiata solo invirtù del tempo che passa:più un episodio si allontanadalla contemporaneità, me-glio può essere inteso e stu-diato. Naturalmente questaimpostazione non forniva peròalcuna misura temporale pre-cisa per sapere quale storiapoteva essere studiata obiet-tivamente e quale invece do-veva essere ignorata per at-tendere che il velo del tem-po cancellasse ogni faziositàe ogni animosità. Quanti de-cenni bisognava lasciar tra-scorrere per studiare un pe-riodo storico: dieci, venti,trenta, oppure cinquanta, ses-santa? Domande che in que-sta prospettiva rimanevanodel tutto inevase poiché ognidocente si regolava come pre-feriva finendo il proprio pro-gramma, come si è detto, su-bito dopo la fine della primaguerra mondiale o nel suo“intorno” storico più o me-no immediato.

Questa impostazione eradavvero curiosa e pa-radossale. Anche per-

ché nella stessa cultura ita-liana - in posizione spessoegemonica - non era manca-to chi, come aveva fatto, peresempio, Benedetto Croce,aveva sottolineato più voltecome ogni storia non poteva

non essere sempre una storiacontemporanea.Perché ogni storia doveva es-sere sempre, di necessità, unastoria contemporanea? Perchélo studio di qualsiasi perio-do storico implica un suo ri-pensamento che attualizzaquegli stessi eventi. Inoltre,nel compiere questa opera-zione di studio e di rifles-sione, lo storico non può maifare a meno di rivivere que-gli stessi eventi presi in con-siderazione ponendoli su diun piano che li riattualizzain un modo che non è affat-to esente da prese di posi-zione soggettive e del tuttoindividuali. Per questo mo-tivo - sosteneva giustamen-te Croce - ogni storia nonpuò che essere, sempre, unastoria contemporanea.Malgrado l’enorme influen-za di Croce questo suo ra-gionamento volto a sottoli-neare la contemporaneità diogni storia non riuscì tutta-via a scalfire una pessimaprassi scolastica che fuggi-va dalla contemporaneità co-me da una peste bubbonica.

Per quale motivo la sto-ria contemporanea è sta-ta rimossa dalla pratica

didattica della maggior par-te dei docenti? Per un moti-vo che non risiede solo nelragionamento, alquanto clau-dicante, precedentemente ri-portato - concernente la im-plicita “faziosità” di ogni stu-dio di storia contemporanea- ma che rinvia anche ad unascelta di opportunismo (o, sesi preferisce, di “cerchiobot-tismo”) assai diffusa in unaclasse insegnante moderataquando non del tutto conser-vatrice o reazionaria.L’insegnamento della storia- e non solo quello della sto-ria contemporanea - è infat-ti un insegnamento che spiaz-za continuamente lo stessodocente: lo costringe a veni-

re allo scoperto, dichiarando,con chiarezza ed onestà, ilproprio punto di vista che de-ve necessariamente confron-tarsi non solo con i risultatiacquisiti dalla storiografia piùaggiornata, ma anche con al-tri punti di vista diversi; al-ternativi e, a volte, anche aper-tamente conflittuali. Ma persostenere questo confrontocritico, aperto e plurale è na-turalmente necessario viverel’insegnamento in modo sin-cero e complessivo.

In questa prospettiva l’in-segnamento della storia sirivela essere un insegna-

mento complesso e certa-mente non facile, soprattut-to nella misura in cui a vol-te ci pone in relazione con inervi scoperti di una societàe della sua stessa storia. Ma,allora, per insegnare la sto-ria in questo modo, assu-mendosi coscientemente laresponsabilità della propriaposizione occorre investiremolte energie e molto studionell’insegnamento, essendodisposti ad aprire delle que-stioni decisive concernenti ilsenso e il significato di ciòche insegna.È ben vero che oggi questasituazione - perlomeno quel-la relativa all’insegnamentodella storia del Novecento -è molto cambiata per dispo-sizione ministeriale, soprat-tutto a partire dal decreto diBerlinguer del 1996 volto adintrodurre lo studio delNovecento nella scuola ita-liana. Da allora molti pro-grammi di storia hanno fi-nalmente assunto ilNovecento in tutta la sua com-plessità e molti docenti han-no iniziato ad insegnare unsecolo che, ironia della sor-te, è ormai alle spalle dei lo-ro studenti i quali si eserci-teranno la loro attività futu-ra nel nuovo millennio e nonpiù nel XX secolo.

Ècomunque un fatto cheora l’accento e l’inte-resse dei docenti - mi

riferisco soprattutto a queidocenti che aspettano di mo-dificare la loro impostazionedidattico-educativa solo dal-le circolari ministeriali - si èspostato con maggior deci-sione sul Novecento.Ma l’insegnamento delNovecento non può attuarsisenza affrontare un nodo spi-noso e doloroso - per più mo-tivi spinoso e doloroso - rap-presentato dalla tragedia del-la seconda guerra mondialee dalla inquietante presenzadell’ideologia nazi-fascista edei connessi campi di ster-minio.Oggi una pedagogia dopoAuschwitz non può non as-sumere come centrale il pro-blema della Shoah e il pro-blema, ancor più radicale,della genesi stessa dei cam-pi di sterminio nazisti.Per la verità in questi ultimianni molte realtà istituzionalidi primissimo piano hannovarato specifiche iniziativeche aiutano i docenti ad af-frontare queste tematiche.Mi riferisco, per esempio, alprogetto I giovani e la me-moria avanzato dal ministe-ro della Pubblica istruzioned’intesa con il presidente del-la Camera Luciano Violante.Oppure mi riferisco all’im-pegno internazionale assun-to dai vari governi europeiche hanno deciso di trasfor-mare il 27 gennaio nella gior-nata della memoria, per ri-cordare la tragedia dei cam-pi di sterminio.

Queste iniziative istitu-zionali - accompagna-te da molteplici circo-

lari e indicazioni d’ordine di-dattico-educativo - aiutanocertamente i docenti nel lo-ro non facile percorso di in-segnamento del Novecento (edella Shoah, in particolare).Tuttavia, malgrado questi au-torevoli suggerimenti istitu-zionali non sempre il lavoroda svolgere in questa dire-zione è del tutto agevole onon privo di molteplici osta-coli.

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“Uguali”nella morte?Ma le sceltefurono profondamentediverse

3UN TESTIMONE

Il significato della memoria dopo oltre mezzo secolo

Ma aldilà degli elogisinceri all’autore, chesignificato ha oggi la

memoria di un periodo stori-co lontano più di mezzo se-colo? La risposta è nell’ac-canimento con il quale le de-stre attaccano proprio quellamemoria. L’offensiva è ini-ziata verso la fine degli anniOttanta quando in Germaniaprima e in Italia poi si sonodiffuse tendenze storiografi-che revisioniste. In Germaniail caposcuola è stato lo stori-co Ernst Nolte, secondo ilquale il nazismo sarebbe sta-to soltanto il momento piùdrammatico di un percorso disangue che ha attraversato tut-to il ventesimo secolo: “Primadei lager nazisti ci sono sta-ti i gulag sovietici - dice Nolte- prima ancora lo sterminiodegli armeni perpetrato dal-l’impero turco nel 1915; do-po ci sono stati i massacri del-le guerre di liberazione colo-niali e, in anni recenti, lo ster-minio di classe voluto inCambogia dai Khmer rossi diPol Pot”.

Tutto questo è vero: lascia di sangue della sto-ria ha radici lontane,

ben precedenti al ventesimosecolo. Entro questa corniceinterpretativa il nazismo tro-va però una forma sottinte-sa di assoluzione, un ridi-mensionamento delle sue re-sponsabilità morali: in sededi ricostruzione storica nonsi può, invece, dimenticareun dato e cioè che il nazismorappresenta un “unicum” nel-la storia perché ha messo alservizio della morte la ra-zionalità e l’intelligenza. Altrimassacri ci sono stati nel cor-so dei secoli, figli della ir-razionalità e l’intelligenza.Ma le stragi naziste sono al-tra cosa: i dodici milioni dimorti nei lager sono il frut-to di una programmazioneprecisa, scientifica metico-

di Gianni Oliva

Presentare la testimo-nianza dell’amico BeppeBerruto è l’occasione per

ripercorrere il ruolo della me-moria storica e intervenire neldibattito storiografico semprepiù teso sul significato delpassato. Ciò che scrive Berruto(la sua militanza antifascista,l’arresto, la deportazione aDachau) è ciò che tante vol-te ha raccontato nelle scuo-le: la storia di un “balilla” checresce nella scuola del regi-me, che attraverso l’esperienzadella guerra capisce sino infondo che cosa significhinodittatura e nazionalismo, chenella prigionia di Dachau ve-de con gli occhi tutto l’orro-re e la degradazione umana acui ha portato l’ideologia na-zifascista. Il libro è scritto con sempli-cità, con un linguaggio im-mediato, lo stesso con il qua-le Berruto colloquia con lescolaresche: proprio per que-sto la testimonianza risultacosì efficace e penetrante.

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Recital di giovanisul ’900 e la memoria

Borse di studio a Feltre e Pedavena - Il ricordo delle retate SS, deportazioni,

impiccagioni, lavori forzati

A Feltre e Pedavena sono stati ricordati - con due iniziati-ve di alto significato - i 114 deportati nel lager di Bolzano.Dopo la retata delle SS tedesche il 3 ottobre 1944 (sei diloro non sono più tornati dai campi di Mauthausen eFlossemburg) in quello stesso giorno tre partigiani venne-ro impiccati e altre 200 persone avviate ai lavori forzati inValsugana, per approntare le linee di difesa in previsionedell’avanzata dell’esercito alleato.La prima manifestazione si è svolta presso la Sala Guarnieridi Pedavena dove i ragazzi delle tre classi medie della scuo-la “F. Berton” avevano allestito un recital sul “900, i gio-vani e la memoria”. Dopo aver visitato la Risiera di S.Sabba, la Foiba di Basovizza, l’Ossario di Redipuglia edaver letto e commentato in classe i libri di Primo Levi,Anna Frank e Gianni Faronato, gli alunni hanno presen-tato ai genitori, al preside, al sindaco, alla presidente del-la sezione Aned di Schio, agli insegnanti e agli ex depor-tati il loro lavoro, costituito da poesie di Quasimodo,Ungaretti, Neruda, da letture di brani sulla deportazione,da canti di Migliacci, Pataccini, Vandelli, Borghi e Bartoli.Erano presenti un una sala gremita di genitori le bandie-re della sezione Aned di Schio, della brigata partigianaGramsci operante nel Feltrino, il sindaco e gli assessori diPedavena, il preside Liotta con il corpo insegnanti al com-pleto, una rappresentanza dell’Anpi. Sono stati premiaticon una borsa di studio, istituita con il ricavato della ven-dita del libro Ribelli per la libertà scritto dal deportatoFaronato, due alunni che si sono distinti nel corso dell’annoscolastico. Il recital ha destato vivo interesse ed una in-tensa commozione. La seconda iniziativa si è svolta a Feltresempre in occasione dell’anniversario del rastrellamentodel ‘44, alla presenza del sindaco, della presidente dell’AnedGianna Zanon, della rappresentanza dell’Associazione mu-tilati ed invalidi di guerra e da numerosi deportati con iloro familiari. Durante la messa sono stati ricordati i seideportati che non hanno fatto più ritorno e sulla cui lapi-de sono state deposte corone d’alloro. La conclusione del-la cerimonia con l’allocuzione La resistenza nell’analisi enei ricordi dei sacerdoti Feltrini, ha visto premiate, con laconsegna di borse di studio, due alunne della terza media“G. Rocca” di Feltre.

losa, al servizio della qualesono state messe professio-nalità e competenza. L’interosistema concentrazionario,che spesso erroneamente im-maginiamo come sempliceprodotto della violenza, è sta-to programmato a tavolino perpermettere all’economia te-desca di avvalersi di milionidi schiavi ridotti nella condi-zione di lavoratori silenziosi,incapaci di reazione e talvol-ta persino di volontà.

Nulla è lasciato al casonel lager, come ha in-segnato Primo Levi

nelle pagine di Se questo è unuomo e come si ritrova nellestesse pagine di Berruto: losfinimento degli appelli, l’os-sessione delle regole, l’e-spropriazione del nome, lapaura della repressione, l’ar-roganza dei kapò, l’ombra in-quietante delle SS, in altre pa-role tutto ciò che rende l’uo-mo un semplice numero, èfunzionale ad avere un lavo-ratore schiavizzato, troppoimpaurito per disobbedire,esecutore indifeso di volontàaltrui.

Tutto questo è frutto diun progetto al qualehanno lavorato inge-

gneri, psicologi, esperti di or-ganizzazione del lavoro: lascienza al servizio dello ster-minio. Dimenticare questaunicità del nazismo significatradire la memoria, ingene-rare confusione nelle nuovegenerazioni, relegare il pas-sato in un’ombra indifferen-ziata, dove le ragioni e i tor-ti si elidono a vicenda.È la stessa operazione tenta-ta dal revisionismo italiano aproposito del 1943/45 e delsignificato della lotta diLiberazione. Più voci hannochiesto di riconoscere la buo-na fede di chi si è schieratodall’una e dall’altra parte; piùamministrazioni hanno deci-so di commemorare insiemei caduti partigiani e i cadutirepubblichini in omaggio alprincipio che “i morti sonotutti uguali”; da molte partisi è invocato un processo diriabilitazione. Certamentemolti tra i giovani che avent’anni hanno scelto la

Repubblica Sociale Italianaerano in buona fede, ragazziconvinti che da quella partesi difendessero i valori di pa-tria e di romanità nei qualierano cresciuti.

Ciò che però conta nel-la storia non sono gliindividui con il loro ba-

gaglio di idealità più o menomotivate: ciò che conta sonoi progetti. Nel 1943/45 si so-no contrapposti due progettinettamente diversi. Da un la-to c’era il progetto dellaRepubblica Sociale Italiana,che significava continuità conla guerra, con l’alleanza na-zifascista, con la politica raz-ziale di Hitler, con la ditta-tura; dall’altro lato c’era ilprogetto dell’antifascismo,che significava rottura con laguerra, con Hitler, con l’in-tolleranza, con il regime. È aquei progetti che bisogna fa-re oggi riferimento, rico-struendoli per i nostri studentinei percorsi attraverso i qua-li si sono sviluppati. Non èl’uguaglianza dei caduti ciòche dobbiamo insegnare, ma,al contrario, la differenza deiprogetti per i quali sono ca-duti. Solo così la storia di-venta un’occasione di arric-chimento e di crescita.

Anome mio personale e,credo, a nome di tuttivoi ringrazio Beppe

Berruto per il suo libro di te-stimonianze. Di fronte allemistificazioni di coloro chevogliono dimenticare il pas-sato per sostituirlo con l’i-pocrisia di un abbraccio as-solutorio, le testimonianzeservono a ricordare ciò che èstato, a ristabilire le ragioni,le responsabilità, le colpe.L’augurio è che questo volu-me possa diventare uno stru-mento didattico nelle nostrescuole, un’occasione per i piùgiovani di conoscenza e dieducazione.

Beppe Berruto,Valerio Morello

“Achtung? Dachau”Il dolore della memoria.

Prefazione di GianniOliva, editrice Il Punto,

Grugliasco (Torino) pp. 239, lire 26.000

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Strade d’Europa per ricordare i Testimoni di Geova

È auspicabile che iniziative simili siano adottate anche in Italia

Milioni di prigionieri di guerra e di ebrei, migliaia di zin-gari, omosessuali, oppositori politici e Testimoni di Geovasoffrirono e morirono nei campi di concentramento nazistidal 1933 al 1945. I “Testimoni” furono l’unico gruppo che venne perseguita-to per le proprie convinzioni religiose. Com’è noto gli ade-renti a questa religione si rifiutano di imbracciare le armicontro il prossimo e di partecipare, in qualsiasi modo, allaproduzione delle stesse. Di conseguenza è facile capire perché furono tra le vittimedel nazismo. Nei dodici anni in cui il regime di Hitler eser-citò il potere, migliaia di questi credenti, uomini e donne,vecchi e bambini, vennero brutalmente perseguitati. Moltifurono giustiziati per la loro obiezione di coscienza; un nu-mero ancora maggiore finì i suoi giorni nei campi di ster-minio, a seguito delle privazioni e degli stenti. Eppure essiavrebbero potuto riacquistare la libertà e salvare la vita sesolo avessero firmato un modulo con il quale rinnegavanole proprie convinzioni. Ma la stragrande maggioranza pre-ferì affrontare la persecuzione.Negli ultimi anni in vari Paesi che subirono l’occupazionenazista, le amministrazioni comunali hanno intitolato al-cune strade ai testimoni di Geova. Ecco un elenco somma-rio:Karl Erich Barthel venne giustiziato l’11 agosto 1944 aTorgau, vicino a Lipsia. Oggi ad Auberbarch/Vogtland c’è,in suo onore, la Barthel-Strasse (Via Barthel). È interes-sante osservare che questa strada gli venne intitolata quan-do la cittadina faceva parte dell’ex RDT dove, negli annicinquanta, i “Testimoni” venivano ancora perseguitati e im-prigionati, questa volta dal regime filosovietico. Sempre adAuberbach c’è anche la Seltmann-Strasse che prende il no-me da Alfred Otto Seltmann, ucciso nel campo di concen-tramento di Flossenburg.A Zwingenberg/Bergstrasse, vicino a Francoforte, la Hans-Gartner-Strasse (Via Hans Gartner) ricorda un “Testimone”ucciso il 26 aprile 1940 a Dachau.L’olandese Bernard Polman fu giustiziato dai nazisti il 10novembre 1944 a Bubberich. Nella città di Doetinchem, nel-la parte orientale dei Paesi Bassi, è ricordato dalla Bernard-Polman-Strasse.A Berlino, proprio davanti al monumento commemorativodella Resistenza tedesca, la Emmy-Zehden-Weg (Via EmmyZehden) ricorda una testimone di Geova che venne decapi-

ta il 9 giugno 1944 nella prigione di Berlin-Plotzensee, do-ve fu anche assassinato fra gli altri Bernhrd Grimm. Oggia Batmannsweiler/Pfalz, vicino a Wiesbaden, c’è la Bernhard-Grimm-Strasse.A Ravensbruk, Hildegard Blumstengel venne uccisa nellecamere a gas. A Langenleuba-Oberhain/Sachsen, vicino aDresda, c’è la Hildegard-Blumstengel-Strasse che comme-mora il suo sacrificio.Nel 1943 Antonie Freyermuth venne deporato dalla Franciae successivamente ucciso nella prigione di Berlin-Plotzensee.A Lingolsheim, vicino a Strasburgo, una strada ha preso ilsuo nome, la Rue A. Freyermuth.Rudolf Winkelmann morì pochi giorni dopo la liberazionedel campo di concentramento di Buchenwald, a causa deipatimenti sofferti. A Tachua/Sachsen, vicino a Lipsia, c’è insuo ricordo la Rudolf-Winkelmann-Strasse.Davanti al municipio di Sindelfinge/Baden-Wurttemberg,nella periferia di Stoccarda, una lapide ricorda altri duegiustiziati: Sigurd Spediel e Heinrich Hirsch. Infine aNiestetal/Hessen, cittadina nei pressi di Amburgo, c’è laWilhelmine-Potter-Strasse che ricorda una “Testimone” uc-cisa durante il Terzo Raich.Sono esempi che contribuiscono a ricordare il sacrificio diquanti seppero opporsi, in modo pacifico, a un’ideologiacrudele e sanguinaria. Quando nel nostro Paese si prende-ranno iniziative simili? Non dimentichiamo che in Italia laallora minuscola comunità dei Testimoni di Geova (circa200) venne duramente perseguitata, prima dal fascismo epoi dagli occupanti nazisti.Ventisei “Testimoni” ebbero condanne fino a 11 anni di re-clusione dal famigerato Tribunale speciale. Altri subironola deportazione. Fra questi ricordiamo: Salvatore Doria, diCerignola, che venne deportato prima a Dachau e aMauthausen; Luigi Hochrainer di Campo di Trens, detenu-to nel lager di Munchen Steidlheim e condannato a mortedal Tribunale militare di Bolzano; Narciso Riet, di Cernobbio,imprigionato prima a Dachau e poi a Berlin-Plotzensee.Processato e condannato a morte nel 1944, venne giusti-ziato poco prima della Liberazione.George Bernanos scrisse: “I martiri hanno raggiunto il fon-do delle sofferenze, noi abbiamo il debito verso di loro diandare fino al fondo della verità”. Anche l’intitolazione diuna strada potrebbe contribuire ad assolvere il nostro de-bito. Matteo Pierro

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BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

"Delatori"Mondadori, pp. 454, lire 35 mila

Mimmo Franzinelli

È un viaggio, attraverso i documenti d'archivio e alcune tremendetestimonianze, sulla delazione, lo strumento principe di ogni dittatu-ra. Mussolini ne fece il suo cavallo di battaglia: dalla seconda metàdegli anni '20, l'uso delle informazioni riservate e delle "soffiate" siconcentrò contro gli oppositori politici. Poi, con le leggi razziali del'38, la denuncia si sviluppò sempre di più con il progredire dellacampagna antigiudaica, sino ad assumere dopo l'8 settembre del '43il marchio infamante della indicazione delle notizie ai tedeschioccupanti. Le fila dei traditori da quel momento s'infittirono, com-presi plotoni di cosiddetti insospettabili: cittadini ingolositi daldenaro, finti amici per amore della patria, amministratori delle pro-prietà ebraiche. I protagonisti di questa infamia in genere furono icittadini di quella "zona grigia" che formalmente stava a guardare,senza pronunciarsi, in attesa che la guerra si concludesse. Per loro,ma non sempre, giunse dopo la Liberazione, il conto da pagare.

"L'ibm e l'Olocausto" (I rapporti fra il Terzo Reich e una grande azienda americana)Rizzoli, pp. 604, lire 36 mila

Edwin Black

Nell'immane tragedia dell'Olocausto una domanda è rimastasenza risposta: come vennero pianificate le deportazioni, comevennero selezionate le vittime, gli ebrei, gli omosessuali, gli zin-gari, come i nazisti riuscirono ad avere i loro nomi? Come accadde che milioni di persone salissero sui treni dellamorte, giungessero a destinazione, per ritrovarsi poche ore dopodavanti ad una camera a gas? Un mistero svelato non senza qual-che brivido d'orrore dalla penna di Edwin Black che mette inluce, nella sua ricerca, il ruolo determinante di un'invenzioneamericana, la scheda perforata che consentiva, grazie alle mac-chine selezionatrici che leggevano, decifravano e contavano leschede, di trattare un gran numero di dati. La società che contribuì a far camminare il progetto dello stermi-nio fu l'IBM, l'International Business Machines, grazie alla colla-borazione della filiale tedesca, la Dehomag, ma anche delle filialidi mezz' Europa, compresa quella della neutrale Svizzera. In unaparola, l'automazione della distruzione umana.

"Preferirei di no"Einaudi, pp. 336, lire 30 mila

Giorgio Boatti

Solo dodici professori universitari "ordinari" su 1250 l' 8 ottobre1931 rifiutarono il giuramento a Mussolini e al regime. Il prezzofu altissimo, la perdita immediata della cattedra e della libertà.Giorgio Boatti ricostruisce la storia di questi uomini, differentiper origini, carattere, modi di pensare, cultura, che in quel lonta-no autunno dall'alto della loro scienza seppero impartire adun'Italia già prona al dittatore che "dire di no" era una sceltamorale prima verso se stessi poi verso gli altri. I loro nomi: Ernesto Buonaiuti, Mario Carrara, Gaetano DeSanctis, Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto,Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco ed EdoardoRuffini, Lionello Venturi, Vito Volterra. Oscuri eroi di un gestoessenziale in nome di quegli "ideali di libertà, dignità e coerenzainteriore" nei quali erano cresciuti.

"I legionari rossi"(Le Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola 1936-1939)Città Nuova, pp. 308, lire 35 mila

Niccolò Capponi

All'interno di un conflitto in cui furono in gioco libertà e democra-zia e che vide schierati accanto ai generali di Franco, gli eserciti diMussolini e di Hitler, le Brigate Internazionali, formazioni militaridi volontari giunte da ogni parte del mondo (finanche dagli StatiUniti sotto le bandiere della "Lincoln") per sostenere la causa dellaRepubblica democratica, ebbero, in molte delle vicende belliche,un ruolo di rilievo, generalmente analizzato dalla storiografia sottoil profilo sociopolitico. Niccolò Capponi affronta nel suo libro l'a-spetto squisitamente militare: utilizzando la nuova, copiosa, inte-ressante ed inedita nuova documentazione proveniente dagli archi-vi russi e spagnoli, da poco resi disponibili, l'autore propone un'a-nalisi complessiva delle Brigate Internazionali come istituzionemilitare, soffermandosi in modo particolare su aspetti come l'adde-stramento, la qualità dei comandanti, le armi, l'equipaggiamento. Iltutto arricchito da tavole e da tabelle.

"Attentato al duce" (Le molte storie del caso Zamboni)il Mulino, pp. 291, lire 35 mila

Brunella Dalla Casa

Alla fine della rigorosa ricostruzione di Brunella Dalla Casa, diret-trice dell'Istituto per la Storia della Resistenza di Bologna, l'interro-gativo rimane vivo in tutta la sua drammaticità: chi, la sera del 31ottobre 1926 a Bologna, mentre si stava celebrando la gloria dellarivoluzione fascista e il quarto anniversario della marcia su Roma,sparò a Mussolini mentre sulla macchina scoperta si stava dirigen-do verso la stazione ferroviaria, circondato dai massimi gerarchi,da Arpinati a De Bono, da Balbo a Ricci ? Un attentato senza con-

seguenze fisiche per il duce (il proiettile della pistola perforò ilbavero dell'uniforme e scheggiò un'onorificenza) che costò la vitaal quindicenne Anteo Zamboni, indicato come l'attentatore, linciatoe poi massacrato a pugnalate sul posto dalla folla inferocita.L'attentato fece scattare immediatamente in tutta Italia la reazionefascista e diede l'esca alla promulgazione delle leggi eccezionaliche spazzarono via ogni traccia di democrazia, instaurando di fattola dittatura. Ma chi fu il colpevole dello sparo a vuoto che seguivaaltri tentativi falliti nei mesi precedenti? Il giovanissimo figlio di untipografo, già anarchico e al momento fascista, oppure altri oscuriattori, legati al facinoroso mondo della dissidenza interna allecamicie nere? Anteo è il tirannicida o la vittima casuale della piaz-za? Il mistero non è sciolto.

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Alberto Todros, “Memorie (1920-1952)”Trauben edizioni, Torino pp. 93, sip

Memorie è intitolato questoscritto autobiografico, quasifosse un documento di interes-se processuale, tanto è lontano,alieno nella sua rigorosa sec-chezza da ogni abbellimento,da ogni retorica. Nell’epigrafe l’autore precisadi non aver avuto l’ambizionedi scrivere un libro “ma solo lemie memorie perché amici eparenti conoscano, sappianochi sono, cosa ho fatto, perchél’ho fatto”. Nonostante l’obiet-tivo di restringere la narrazionealle vicende personali, il risul-tato è particolarmente interes-sante nel descrivere eventi chehanno devastato l’Europa e ilmondo.L’autobiografia si snoda dallanascita al matrimonio, maproietta illuminanti notizie sulcarattere e la personalità del-l’autore Alberto Todros, al di làdi questo traguardo: per ventianni consigliere comunale aTorino, consigliere provincialee assessore, per quattro legisla-ture deputato al Parlamento.Alberto nasce a Pantelleria nel1920 da madre isolana cattoli-ca, da padre torinese ebreo,ufficiale di marina. Nel 1923nasce il fratello Carlo. Nel 1925 muore il padre. I parenti del padre impongonola circoncisione dei due bambi-ni. La madre li farà battezzaresenza però registrare il sacra-mento. Dopo l’infanzia solarein Liguria ecco il ritorno aTorino per frequentare le scuo-le superiori, affrontando leinterdizioni delle infami leggirazziali del 1938.Negli anni della scuola supe-riore si afferma il suo intransi-gente antifascismo e inizia lamilitanza nell’Azione Cattolicadi cui diviene dirigente locale.Riesce a superare le difficoltàrelative all’iscrizione alPolitecnico convincendo leautorità universitarie condizio-nate dalle leggi razziali, ma

presente alla stazione di Carpialla partenza del convoglio cheporterà i suoi figli in Germaniasenza che le sia permesso diavvicinarsi. Durante il viaggiodall’Italia a Mauthausen, tenta-tivi di fuga dal vagone bestia-me cui partecipa ancheAlberto, sempre vigile eindombaile, ma, non per colpasua, senza successo. L’arrivoalla stazioncina di Maut-hausen, l’ingresso al lager, laprima accoglienza nonostanteil rigore descrittivo, formanovivissimi quadri.Non mancheranno le vicendedel lager dove la personalità diAlberto continuerà a manife-starsi in maniera audace e deci-sa: rifiuterà l’odine di un SS diprendere a cinghiate un depor-tato colpevole di un’infrazioneai regolamenti. Chi è stato nel lager sa ilrischio anche mortale di unasimile decisione.Raggiungerà la più alta caricamai raggiunta da un italiano:segretario del Baukomando.

Avrà dei privilegi e li spenderàper aiutare i compagni nellimite del possibile. Unicovanto ammesso di Alberto è diaver salvato la vita al fratelloCarlo e all’amico Raimondoper effetto della sua intelligenteinstancabile attenzione.Nel lager incontrerà straordina-rie figure che anch’io ho incon-trato e ammirato in ogni circo-stanza, Giuliano Pajetta, eVittorio Bardini, reduci diSpagna che, apprezzate le suequalità morali e intellettuali, lovorranno con loro nel PartitoComunista. Dopo il ritorno,l’accoglienza del partito, lalaurea e l’inizio della profes-sione fino all’incontro conRenata Musso, alla quale dedi-ca nella sua sobrietà alcunedeliziose righe. Perché queste“memorie” che possiamo chia-mare tardive? È la prevalenzadel dovere di testimoniare sulfastidio generato negli ascolta-tori che stentano a credere, sultimore che la testimonianza siaerroneamente considerataun’esaltazione del proprio ego,sulla preoccupazione della rea-zione di chi non ha visto inter-nare il proprio familiare.Conclude Alberto citando Aciascuno il suo, la scritta all’in-gresso del lager di Buchen-wald, non nel senso stravoltoche i nazisti hanno attribuitoall’unicuique suum tribuere deldiritto romano, ma in un altrosenso ancora e cioè: la vita è ilrisultato congiunto del miooperare e del mio destino.Vorrei essere riuscito a metterenella giusta evidenza l’operaredi Alberto ispirato ad unaprofonda scelta morale chetocca le punte più alte nelcostituirsi spontaneamente incarcere e nel rifiuto di picchia-re un prigioniero nel lager.B.V.

Mauthausen 114119P.S. Alberto ha la bontà dinominarmi per inciso: grazieAlberto.

Dall’Università al campo di sterminio

La scelta morale di Alberto Todros

sostanzialmente ben disposte.Distrutto da un bombardamen-to il Politecnico di Torino, icorsi vengono trasferiti adAcqui. Alberto ottiene l’abilita-zione all’insegnamento dimatematica e fisica e ritorna adabitare in Liguria. Il 25 lugliodel 1943 assalta la sede del Gufa Porto Maurizio “senza farmale a nessuno”. L’8 settembreriesplode la sua voglia di agiree trasporta in montagna le armirazziate in una caserma abban-donata dai soldati italiani infuga. Incomincia una serie dicarcerazioni e di scarcerazioniper la tendenza delle autoritàitaliane a chiudere un occhio efavorire amici, parenti e cono-scenti. Prevarrà infine il rigoredella Gestapo. Alberto e Carlo conoscerannole prigioni di Porto Mauriziopoi quella durissima di Savona,e infine Marassi di Genovanelle mani delle SS. In unodegli arresti viene catturatoCarlo, ma non Alberto che deci-de con grande coraggio e uma-nità di costituirsi segnandofavorevolmente il destino dientrambi e dell’amico Raimon-do. Da Genova al lager di tran-sito di Fossoli, dove tre voltecercherà di evadere e tre volte iltentativo fallirà.Nella prossimità del campo diFossoli comparirà spesso constraordinaria abnegazione lamadre di Alberto e di Carlo peressere informata, per esserevicina, per far entrare nelcampo generi di conforto. Sarà

di Bruno Vasari

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I sette anni a Palermo di GiancarloCaselli, come titolare della Procuradella Repubblica, rivivono in un libro di straordinaria intensità scritto a quattro mani da lui e dal pm AntonioIngroia. Caselli arrivò nel capoluogosiciliano poco dopo gli assassini dei giudici Falcone e Borsellino e il giorno stesso della cattura di TotòRiina, il boss dei boss della mafia.

Positivo il bilancio fatto di tanteoperazioni che hanno notevolmenteridotto il potere di Cosa Nostra,ma anche di grandi amarezze per i continui velenosi attacchi e per le incomprensioni da sponde dalle quali il magistrato legittimamentesi sarebbe aspettato sostegno e attestatidi solidarietà.

Un libro scritto a quattro mani dall’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli

L’eredità scomoda deQualcuno, come si è letto, pre-tenderebbe le scuse dal giu-dice Giancarlo Caselli.Eccessivo? Macché, VittorioSgarbi, per esempio, si è sca-gliato contro i magistrati “chesequestrano la Sicilia, che ar-rivano dal Piemonte per in-quinare la Sicilia, che cor-rompono la dignità dei sici-liani”. Paolo Liguori ha so-stenuto, ovviamente menten-do, che Caselli dopo aver com-battuto Falcone al Csm, ha co-minciato a parlarne ipocrita-mente bene solo dopo la stra-ge di Capaci. Lino Jannuzzisi è unito al coro degli accu-satori, elogiando i metodi diFalcone, dimenticando di ave-re definito Giovanni Falconee Gianni De Gennaro “unacoppia la cui strategia, pas-sati i primi momenti di ubria-catura per il pentitismo e peri maxiprocessi, ha approdatoal più completo fallimento”.Altri hanno accusato i magi-strati inquirenti di Palermo diaver creato una cupola ma-fiosa più pericolosa di quelladi Cosa Nostra. E l’elenco del-le calunnie e delle menzognepotrebbe continuare all’infi-nito. “Chiedere scusa? E per-ché, replica Caselli.Ripensando all’esperienza pa-lermitana, di tre cose sono si-curo: che è stato giusto an-dare a Palermo; che è statobello lavorarci; che è stato uti-le farlo”. Queste cose Caselli le dicenel libro scritto a quattro ma-ni con il pm Antonio Ingroia,curato da Maurizio De Luca,pubblicato da Feltrinelli conil titolo L’eredità scomoda.Da Falcone ad Andreotti, set-te anni a Palermo (pagine 220,lire 28.000). A dirigere laProcura del capoluogo sici-liano Caselli arriva il giornodella cattura di Totò Riina, ilboss dei boss. A Torino era

stato prima giudice istruttoree successivamente, per un bre-ve periodo, presidente di unasezione penale. Giudice istruttore lo era sta-to durante gli anni cosiddettidi piombo, quando quasi ognigiorno si apriva con la noti-zia di una vittima del terrori-smo. Anche contro di lui,Brigate rosse e Prima lineaavevano programmato atten-tati, per fortuna sventati dal-la sua scorta. Caselli, duran-te quegli anni terribili, avevaraccolto le confessioni diPatrizio Peci e di RobertoSandalo, la cui collaborazio-ne con la giustizia aveva con-tribuito in maniera decisivaallo smantellamento delle dueorganizzazioni più temibili delterrorismo.Passato alla “giudicante”avrebbe potuto trascorrere an-ni di tranquillo lavoro, ma l’as-sassinio prima di Falcone epoi di Borsellino, lo spinseroa candidarsi alla direzione del-la Procura di Palermo.“Qualcuno doveva pur an-darci” fu la serena risposta achi, in sostanza, gli chiedevachi glielo avesse fatto fare discegliersi una sede tanto a ri-schio. E pericolosa lo era dav-vero. Ogni giorno di quei set-te anni, la mafia avrebbe vo-luto fargli fare la fine diFalcone e Borsellino. Persino un lancia missile ven-ne sequestrato alla mafia, chedoveva essere usato contro lasua auto. E ancora, per farequalche altro esempio, vennesventato il progetto di imbot-tire di tritolo una falsa au-toambulanza da far penetrarenei sotterranei del Palazzo.Altro piano, quello di collo-care una autobomba nella stra-da che passa sotto l’incrociodavanti al Tribunale. Costrettoad una vita blindata, in unaPalermo la cui normalità gli

di Ibio Paolucci

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e da Antonio Ingroia

ella giustizia italiana

era negata (la Vucciria, dipintada Guttuso, avrebbe volutovederla, passeggiare rilassatofra un banchetto e l’altro delmercato), Caselli ha vissutogiorni di insuperabile inten-sità, di gioia per il positivo bi-lancio contro una mafia an-cora potente ma assai più de-bole per le molte catture diboss di primissimo piano, maanche di profonda amarezzaper i continui attacchi, le in-sinuazioni velenose, le man-cate solidarietà.“Evidentemente - osservaCaselli - un magistrato è bra-vo quando fa arrestareBagarella, Brusca, Aglieri eVitale. Diventa pregiudizial-mente incapace se si azzardaa inoltrarsi sul terreno vieta-to dei rapporti fra mafia e po-litica”. Lucida la sua analisi:“Quando le nostre indaginihanno oltrepassato l’ambitodei boss e dei picciotti ‘con-clamati’ e si sono allargatecoinvolgendo vari soggetti ac-cusati di ‘contiguità’ penal-mente rilevante, molti hanno

cominciato a chiedersi se nonstessimo esagerando e se ilcontrollo di legalità non stes-se diventando una specie dicontrollo sociale. Paure epreoccupazioni hanno avutolarga diffusione anche in am-bienti che non avevano pro-prio nulla da temere”. Ingenuo Caselli a non capireche bisognava essere più ac-corti, più furbi, meno decisie rigorosi nel sentirsi rappre-sentanti di un’Italia delle re-gole. Pure, nel tracciare un bi-lancio del suo lavoro aPalermo, Caselli ha capito be-nissimo di essersi trovato con-tro l’Italia delle impunità, “dichi le regole le conosce, leviola e pretende che nessunogliene chieda conto”. La maggiore amarezza, tutta-via, viene “dall’Italia dell’in-differenza, della normalizza-zione, dei compromessi, diun’improponibile pacifica-zione fra chi ha rubato e chino”. Caselli si sarebbe aspet-tato risposte più nette, rea-zioni meno tiepide, compor-

tamenti meno ambigui. E in-vece “è stato sorprendente perme dover constatare che tra iprincipali detrattori dei col-laboratori di giustizia c’è sta-to anche Otttaviano Del Turco,proprio quando aveva la re-sponsabilità di presidente del-la Commissione parlamenta-re antimafia”. Comunque, il bilancio dei set-te anni di Caselli a Palermo èfortemente positivo, basti pen-sare, per ricordare un solo da-to, che la cifra dei beni se-questrati alla mafia corrispondea qualcosa come diecimila mi-liardi di lire. Un intero capitolo del libro èdedicato al caso Andreotti, inriferimento al quale, special-mente sulla vicenda del baciofra Andreotti e Riina, sonostati versati fiumi d’inchio-stro, quasi sempre per mette-re sotto accusa la procura diPalermo e, innanzitutto, il suotitolare. Pochi, però, hannonotato, fra un Alleluja e l’al-tro in lode dell’imputato as-solto, che le argomentazioni

della sentenza sono quelle clas-siche dell’insufficienza di pro-ve, il che, a parte che il pro-cesso non si è ancora con-cluso, mancando il secondogrado, non pare possa tantoascriversi a gloria del “resu-scitato” Andreotti. E allora, ecco che torna d’at-tualità quella frase di PieroCalamandrei, ricordata daCaselli, a proposito di un mi-liardario che non riusciva afar assolvere il proprio figlio,reo di aver sfracellato un po-vero passante, guidando a ve-locità pazzesca. Il miliarda-rio, all’avvocato che non sa-peva come spiegargli che igiudici sono persone per be-ne, replicò sdegnato: “Ho ca-pito abbiamo avuto la sfortu-na di capitare in mano a ungiudice criptocomunista”.

Giancarlo Caselli eAntonio Ingroia

“L’eredità scomoda”Feltrinelli,

pp. 220, lire 28.000

Palermo, 1982. Giovanni Falcone al funerale di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo.

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Nel mese di gennaio, infatti,il nostro sito – all’indirizzo“www.deportati.it” – ha fattoregistrare 212.462 contatti. Peravere un metro di paragone ba-sterà dire che nel primo annoda quando abbiamo questo ge-nere di rilevazioni – e cioè dalnovembre 1999 all’ottobre2000 – il nostro sito aveva fat-to registrare complessivamen-te 586.000 contatti, una cifrache quest’anno sarà raggiun-ta in 4 o 5 mesi.Non accenna ad arrestarsi dun-que la crescita esponenzialedei nostri “lettori”, provenientiletteralmente da ogni angolodel mondo: ogni record sem-bra destinato ad essere can-

cellato, stracciato dal succes-sivo, ad appena pochi mesi didistanza. Qualche altra cifra ciaiuterà a dare l’idea dell’atti-vità impressionante che si svol-ge attorno al nostro sito.Sempre nel solo mese di gen-naio 2001 sono state ben 2.296le persone che hanno chiestodi consultare gli elenchi degliitaliani deportati nei Kz, cu-rati da Italo Tibaldi.E ancora: 8.609 persone han-no letto il sito nella versioneinglese; 712 quella in france-se e 400 quella in tedesco. La canzone delle ragazze diBirkenau, pubblicata il 26 gen-naio, in 5 giorni è stata ascol-tata da 1.179 persone; il testo

integrale del libro di testimo-nianze sul campo di Bolzano,curato dall’Anpi di Bolzano,è stato letto da 616 persone:una cifra altissima, soprattut-to se si considera che la ver-sione cartacea dello stesso vo-lume era stata stampata in1.000 copie); il testo della te-si di laurea di Gianluca Petronisul campo di Campagna (SA),che non aveva trovato un edi-tore, è stato letto sul nostro si-to da 470 persone; ben 739persone hanno consultato lascheda del film Schindler’s li-st; 3.063 hanno letto la sche-da del campo di Auschwitz;4.361 hanno aperto il nostro“dizionario”.

Si potrebbe continuare a lun-go, perché praticamente tuttele sezioni del nostro sito han-no trovato un numero recorddi lettori.Ma forse ciò che impressionamaggiormente è l’elenco del-le università e dei centri di ri-cerca internazionali che nel pe-riodo si sono collegati con noi.Nell’elenco dei nostri “clien-ti” figurano infatti – sempresolo nel mese di gennaio – ben104 facoltà universitarie ita-liane; 14 università tedesche;17 università americane e unadecina francesi, oltre a mol-tissimi giornali e televisioni ditutto il mondo. Non esiste inItalia alcun altro sito storico,

A gennaio 2001 battuto ogni recoQuattrolingueNel mese di gennaio, in concomitanza

con la celebrazione in tutta Italia del primo “Giorno della memoria”,il sito dell’Aned ha fatto segnare un incredibile record di “contatti” che locolloca nella ristrettissima cerchia dei piùimportanti siti italiani di storia, econfermano la sua indiscussa leadershiptra quelli – non solo del nostro Paese chetrattano della deportazione.

Tuttosull’Aned

Il vostronumero

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orientato o meno che sia ver-so il mondo della scuola, chepossa presentare risultati lon-tanamente paragonabili a que-sti. Ogni mese, da ormai 3 an-ni, questa nostra voce suInternet passa insomma un esa-me da brivido; letta, scanda-gliata, scrutata com’è da unnumero tanto elevato di esa-minatori esigenti e severi, co-me presumibilmente sono icentri di ricerca internaziona-li e i grandi organi di infor-mazione. E mi piace rilevareche ogni volta, da ormai 3 an-ni, noi puntualmente superia-mo questo terribile esame. Ciarrivano – è vero – molte let-tere, molte osservazioni criti-

che: ma quasi sempre si rife-riscono a quanto ancora, no-nostante tutti i nostri sforzi,nel sito non c’è; alle informa-zioni che mancano; ai libri eai film che si vorrebbero ve-der recensiti, alle foto che an-cora non si trovano.Lo ammetto: io stesso, av-viando questo lavoro ormaiquasi 3 anni fa, non immagi-navo che si sarebbero potutiraggiungere simili risultati incosì poco tempo, contando so-lo sul lavoro volontario di unpiccolo gruppo di amici e disostenitori.Non si contano, ormai, gli ar-ticoli di stampa dedicati a que-sto progetto e i link verso il

nostro sito reperibili su Internet,prove concrete di grande no-torietà e di elevato prestigio.Si tratta di un prestigio di cuiparadossalmente questa nostraesperienza sembra godere piùfuori che dentro l’associazio-ne, che ancora non si è abi-tuata all’esistenza – e quindiall’utilizzo – di un così po-tente strumento di documen-tazione e di comunicazioneverso l’esterno.I programmi futuri dipendonoormai direttamente dalla so-luzione che riusciremo a tro-vare al problema dello spazio:il sito ormai contiene circa7.000 pagine, e occupa tuttolo spazio che Agorà – il pro-

vider che ci ospita gratuita-mente fin dall’inizio – ci hamesso a disposizione. Stiamocercando una società disponi-bile a garantirci la possibilitàdi crescere così come i nostriprogrammi prevedono, insie-me a una elevata efficienza del-la rete, per consentire a tuttele nostre decine di migliaia dilettori di continuare a seguir-ci. Speriamo di avere prestodegli annunci da fare in pro-posito: in quel caso siamo pron-ti a compiere un ulteriore, im-portante salto di qualità. Madi questo parleremo quandoquesto progetto si sarà con-cretizzato.

Dario Venegoni

www.deportati.it

rd: 212.000 contatti nel sito AnedDate

e nomiOlocaustoal cinema

Tutte le parole

Gli altrisiti In ultima pagina l’elenco completo

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La Resistenza e la deportazioneAttraverso il nostro sito (www.deportati.it) arrivate ad una profonda “miniera” della memoria

● Il museo Yad Vashem di Gerusalemme, dedicato ai milionidi uomini, donne e bambini ebrei sterminati nei campi nazisti(contiene una vastissima banca dati, interrogabile via Internet).Testi in inglese.http://www.yad-vashem.org.il/

● Il museo dell'Olocausto di Washington dedicato alla Shoah(contiene archivi interrogabili direttamente da Internet). Testi ininglese.http://www.ushmm.org/

● L'ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Contieneinformazioni sul fascismo, l'antifascismo, la Resistenza. Ognigiorno una ricorrenza, un fatto o un personaggio degno di es-sere ricordato. Testi in italiano.http://www.anpi.it

● Il Memorial di Dachau, il campo nel quale fu deportato ilmaggior numero di italiani. Sito ufficiale della Fondazione cheha la responsabilità della manutenzione del campo e della con-duzione del museo, visitato ogni anno da centinaia di migliaiadi persone. Testi in inglese e tedesco.http://www.infospace.de/gedenkstaette/english/index.html

● Il Lager di Mauthausen, in Austria. Sito ufficiale del cam-po, oggi passato sotto la responsabilità del ministero degliInterni austriaco. Gli orari di visita, il museo, il programmadelle manifestazioni celebrative. Testi in inglese e tedesco.http://www.mauthausen-memorial.gv.at/engl

● Il campo di Gusen, dipendente da Mauthausen, dove mori-rono tra gli altri migliaia di deportati italiani. Testi in inglese etedesco.http://linz.orf.at/orf/gusen/index.htm

● Il Lager di Buchenwald, in Germania. Il sito ricorda la sto-ria del campo e offre indicazioni sugli orari di apertura delMuseo, le vie di accesso in auto e i mezzi pubblici utilizzabili.Testi in inglese, tedesco e in francese.http://www.buchenwald.de

● Il Lager di Neuengamme, in Germania. Il sito ricorda la sto-ria del campo e offre indicazioni sugli orari di apertura delMemorial, le vie di accesso in auto e i mezzi pubblici utilizza-bili da Amburgo. Testi in inglese e tedesco.http://www.hamburg.de/Neuengamme/welcome.en.html

● Il Museo Nazionale di Auschwitz. La più grande macchinadi sterminio che mai l'uomo abbia organizzato. Testi in inglesee in polacco.http://www.auschwitz-muzeum.oswiecim.pl

● Il Lager di Ravensbrück, dove furono deportate 130.000 don-ne e migliaia di bambini. Informazioni sulla storia del Lager esul Memorial.Testi in italiano, inglese, francese, tedesco e polacco.http://www.ravensbrueck.de

● Il Memorial di Dora Mittelbau, campo nel quale morirono amigliaia i deportati italiani, e tra loro anche centinaia di milita-ri. Testi in tedesco.http://www.th-online.de/Kommunales/Nordhausen/dora.html

● La Fondazione di Breitenau, nei pressi della città di Guxhagen,a 15 chilometri da Kassel. Il sito racconta succintamente la sto-ria del Lager e delle iniziative intraprese per perpetuarne la me-moria.Testi in inglese e tedesco.http://www.guxhagen.net/gedenkstaette/memorial.htm

● La Risiera di San Sabba, l'unico campo di sterminio nazistain Italia, dove furono uccisi e bruciati nei forni crematori circa5.000 persone. Testi in italiano.http://www.windcloak.it/cultura/risiera/laris.htm

● Il Memorial di Flossenbürg, terribile campo che seminò ter-rore e morte tra le sue vittime. Molte foto. Testi in tedesco. http://www.flossenbuerg.de/infozentrum/

● Il Campo fascista di Campagna (SA), sito allestito da GianlucaPetroni sulla base della propria tesi di laurea in Scienze Politiche.Informazioni preziose su un campo poco conosciuto. In italia-no.http://web.tiscalinet.it/gliebreiacampagna

● Il sito della FNDIRP, la Federazione francese degli interna-ti, dei deportati, dei resistenti. Contiene tra l'altro una cartinadei Lager e schede dei principali campi. Testi in francese.http://www.fndirp.org

● Il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Parigi.Ampia documentazione sulla persecuzione degli ebrei francesia opera dei nazisti con la collaborazione delle autorità di Vichy.Testi in francese.http://www.memorial-cdjc.org

● La Fondazione casa di Anne Frank, che custodisce il rifugiodella famiglia Frank a Amsterdam. Testi in inglese, spagnolo, te-desco e olandese.http://www.annefrank.nl

● Nizkor, grande banca dati americana sullo sterminio degliebrei, i campi nazisti, le memorie dei liberatori, la contestazio-ne delle tesi revisionistiche. Testi in inglese.http://www.nizkor.org/

● "Diamo un futuro alla memoria" sito di un attivissimo grup-po salernitano di amici dei deportati. Testi in italiano.http://members.tripod.com/~futuromemoria/

● "Progetto memoria" un progetto di ricerca permanente sulladeportazione delle suole superiori statali di Moncalieri (TO). Initaliano.http://www.provincia.torino.it/Scuole/emajorana/sito.html

● "Piccola storia grande storia" progetto degli studenti della 5F dell'ITC "Zappa" di Saronno vincitore del concorso ministe-riale "Il '900. I giovani e la memoria". Testi in italiano.http://www.kora.it/mauthausen

● "Viaggi nella Memoria" sito commerciale di una agenzia tu-ristica milanese, gestita dalla nipote di un caduto a Mauthausen,specializzata nei viaggi di studio negli ex campi nazisti. Testiin italiano.http://www.fabelloviaggi.com/memoria