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• Numero 9 – Maggio 2009 • TRASFORMAZIONI DI UN FELINO – FELIX KLEIN E IL PROGRAMMA DI ERLANGEN – DADI DA GIOCO E POLIEDRI REGOLARI – LE STRUTTURE DELLA MATEMATICA – ARMONIE MATEMATICHE – DATAMINING – COORDINATE GEOGRAFICHE – MATEMATICA E ARTE Anniebee – Green dice http://www.flickr.com/photos/anniebee/6395800/

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• Numero 9 – Maggio 2009 •

TRASFORMAZIONI DI UN FELINO – FELIX KLEIN E IL PROGRAMMA DI ERLANGEN –DADI DA GIOCO E POLIEDRI REGOLARI – LE STRUTTURE DELLA MATEMATICA –

ARMONIE MATEMATICHE – DATAMINING – COORDINATE GEOGRAFICHE –MATEMATICA E ARTE

Anniebee – Green dicehttp://www.flickr.com/photos/anniebee/6395800/

Come proporre un contributoIstruzioni per gli autori

La rivista pubblica articoli, interviste, buone pra-tiche e giochi relativamente alla matematica e al-la sue applicazioni in fisica, ingegneria, econo-mia ed altri campi.Lo stile, la terminologia e le idee espresse devo-no essere chiari e accessibili a tutti.Gli articoli saranno valutati da uno o più collabo-ratori esperti in materia. La Redazione si riserva,dopo ponderato esame, la decisione di pubbli-care o non pubblicare il lavoro ricevuto.In caso di accettata pubblicazione, sarà curadella Direzione informare gli autori dell’accetta-zione; l’articolo sarà pubblicato in forma elettro-nica così come è, salvo eventuali interventi reda-zionali, anche sul contenuto, per migliorarne lafruibilità da parte del lettore. È possibile che laRedazione subordini la pubblicazione dell’artico-lo a modifiche sostanziali che devono essere fat-te dall’autore.I contributi devono essere inviati in forma esclu-sivamente elettronica al direttore responsabile.Gli articoli o gli altri tipi di contributi devono es-sere in formato .doc, .rtf o formati analoghi. Leformule possono essere in Microsoft EquationEditor o MathType o immagini nei formati gif,jpeg, png, tif. Sono ammesse figure, tabelle egrafici purché estremamente curati e inviati in fi-le a parte. Di ogni elemento non testuale deveessere indicata la posizione precisa all’internodel testo. Se le immagini utilizzate sono protetteda diritti d’autore, sarà cura dell’autore dell’arti-colo ottenere le autorizzazioni necessarie.Nella prima pagina andranno indicati: titolo dellavoro, nome e cognome degli autori, qualificaprofessionale e istituzione o ambiente professio-nale di appartenenza, indirizzo e-mail, CV sinte-tico (100-200 parole).L’articolo dovrà iniziare con un breve sunto (5-10righe) preferibilmente in italiano e in inglese, edovrà terminare con una bibliografia. I riferimenti bibliografici devono essere indicatiall’interno del testo nel seguente modo [3]. Le note al testo dovrebbero essere in generaleevitate; sono preferiti all’interno del testo riman-di alla bibliografia.I contributi non devono complessivamente su-perare le 12 pagine.Gli autori sono responsabili del contenuto dei te-sti inviati per la pubblicazione. La redazione nongarantisce la correttezza scientifica del contenu-to degli articoli.

Se l’articolo è stato pubblicato in altra sede l’au-tore deve richiederne l’autorizzazione a chi hapubblicato per primo l’articolo e fornire le coor-dinate alla Redazione.I testi pubblicati in questa rivista, se non diversa-mente indicato, sono soggetti a licenza CreativeCommons Attribuzione – Non commerciale –Non opere derivate 2.5: la riproduzione, distribu-zione e divulgazione dei testi sono consentite acondizione che vengano citati i nomi degli auto-ri e della rivista Matematicamente.it Magazine;l’uso commerciale e le opere derivate non sonoconsentiti.

MATEMATICAMENTE.IT MAGAZINERivista trimestrale di matematica per curiosi e appassionatidistribuita gratuitamente sul sitowww.matematicamente.it

Registrazione del 19.12.2006 al n.953 del Tribunale di LecceISSN 2035-0449

Direttore responsabileAntonio [email protected]

VicedirettoreLuca [email protected]

RedazioneFlavio [email protected] AlbertoLuca BarlettaMichele Mazzucato

Hanno collaborato a questo numeroAntonio Bernardo, Ivano Bilotti, Nicola Chiriano,Giuseppe De Cecco, Giuseppe di Saverio, Luca Francesca, Michele T. Mazzucato, Gaetano Zazzaro.

Progetto graficoAnna Gangale

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sommario

107. “Affelinità” nel piano ............................................................................ 5NICOLA CHIRIANO

108. Felix Klein e il programma di Erlangen, quadro storico-biografico ........ 10ANTONIO BERNARDO

109. La regolarità per i poliedri e i dadi da gioco ....................................... 19GIUSEPPE DE CECCO

110. Le fondamenta: le strutture matematiche .......................................... 26LUCA FRANCESCA

111. Armonie matematiche ...................................................................... 30IVANO BILOTTI

112. Data Mining: esplorando le miniere alla ricerca della conoscenza nascosta .............................................................. 37GAETANO ZAZZARO

113. Coordinate geografiche di un qualsiasi luogo del globo terrestre ricavate dalla misura di angoli orizzontali di una tripletta stellare .......... 46MICHELE T. MAZZUCATO

114. Matematica e Arte ............................................................................ 50GIUSEPPE DI SAVERIO

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La copertina di questo numero è dedicata ai dadi da gioco,oramai ne esistono di tanti tipi. l’articolo di Giuseppe De Ceccoè infatti dedicato ai poliedri regolari e ai possibili dadi da gioco,cioè ai poliedri probabilisticamente regolari. Nicola Chiriano cipresenta un’esperienza didattica sulle trasformazionigeometriche nel piano, in particolare sulle trasformazioni delgatto Arnol’d ormai abituato a essere deformato in ognidirezione. Io ho ripreso un mio vecchio articolo sul Programmadi Erlangen di Felix Klein, a mio avviso sempre attuale nelladidattica della matematica; l’articolo era stato pubblicato in unvolumetto sul Programma di Erlangen, edito nel 1998 dallaEditrice La Scuola. Luca Francesca ci descrive il fascino dellestrutture che ampliano gradualmente la linea d’orizzonte delleconoscenze matematiche. Ivano Bilotti ci parla di rapportiarmonici e di musica. Anche Giuseppe Di Saverio riprende iltema del rapporto tra la matematica e l’arte, la poesia inparticolare. Michele Mazzucato ci parla di topografia pratica,dei problemi legati alla valutazione delle coordinate geografichedi un qualsiasi luogo del globo terrestre.

Antonio Bernardo

editoriale

1 Premessa

Nel curricolo di Matematica al Liceo Scientifi-co PNI, uno dei temi caratterizzanti (e più

trascurati) riguarda le trasformazioni geometri-che nel piano. Gli allievi dovrebbero apprendernele definizioni in prima liceo, la classificazione in se-conda, le equazioni in terza, la trattazione matri-ciale in quarta e infine, in quinta, dovrebbero sa-perle applicare ai grafici di funzione reale.Essendo quindi un argomento trasversale neltempo e nella collocazione tra varie branche dellaMatematica, è facile che i ragazzi possano, primadel loro insegnante, venir presto colpiti da… in-tolleranza per assuefazione. Occorre pertantoun’idea per renderle più user friendly, magariusando il PC, visto che siamo al PNI.

Il deus ex machina della situazione è il softwareopen-source Geogebra [www.geogebra.org],usando il quale ho personalmente constatato co-me la mia azione didattica potesse utilmente gio-varsi di ciò che i ragazzi chiamano “vedere a cosaserve la Matematica”, un “toccare con mano” cheli riempie di soddisfazione.Ho poi chiesto aiuto al gatto di Arnol’d, da sem-pre disponibile ed abituato ad essere deformatoin ogni direzione [1]. Il matematico russo Vladi-mir Arnol’d usò in effetti l’immagine di un gattoper mostrare gli effetti di una trasformazione cao-tica da lui studiata: applicandola ripetutamente,il povero gatto viene tagliuzzato, arrotolato, par-cellizzato, “fantasmizzato”, sottoposto a penosedeformazioni [2] e, solo dopo un certo numero diiterazioni, riportato allo stato (integro) iniziale.

Premetto alla nostra discussione alcuni doverosima brevi cenni teorici. Consiglio di approfondire

il tema su alcuni validi testi scolastici come ad es.[3] o [4].

2 Definizioni e proprietà (sintesi)

Una trasformazione geometrica lineare è una cor-rispondenza tra i punti del piano per cui, fissatoun punto , le coordinate del punto suo tra-sformato sono in generale della forma:

(1)

o, usando le matrici:

ovvero , dove A è la matrice associataalla trasformazione, è il trasformato di

tramite A e è un vettore di traslazio-ne. Indicheremo con A indifferentemente la tra-sformazione (1) o la matrice ad essa associata.

Senza perdere di generalità, ci limitiamo a tratta-re il solo caso in cui : infatti, in forma com-patta

ossia il sistema (1) assume la forma

(2)

Si può verificare come la composizione tra due tra-sformazioni A e B sia caratterizzata dalla matriceprodotto B · A: se , allora .P P

B A

�⋅

′′P P PA B

� �′ ′′

′ = +′ = +

⎧⎨⎩

x a x a y

y a x a y11 12

21 22

′ = ⋅ + ⇔ ′ − = ⋅ ⇔ = ⋅v A v t v t A v w A v

t � 0

t�v OP� ���� ′�v OP ′

� ����′ = ⋅ +v A v t

′′

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

=⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

⋅⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

+x

y

a a

a a

x

y

b

b

11 12

21 22

1

2

⎛⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

′ = + +′ = + +

⎧⎨⎪

⎩⎪

x a x a y b

y a x a y b

11 12 1

21 22 2

′ ′ ′( )P x y,

P x y,( )

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107. “Affelinità” nel pianodi Nicola Chiriano1

1 Docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Scientifico “L. Siciliani” di Catanzaro.

Se A è biunivoca, ossia se ad ogni punto P(x, y)del piano corrisponde uno e un solo trasformatoP´(x´, y´), A si chiama affinità del piano. In talcaso il sistema (2) ammette un’unica soluzione,ossia è determinato. Essendo , A è inverti-bile. La sua inversa è data da:

(3) .

In definitiva, per , si ha:

.

Indicheremo con A–1 sia la trasformazione inver-sa, anch’essa un’affinità, che la matrice ad essa as-sociata.

Riassumendo:A è un’affinità ⇔ A è invertibile ⇔

e quindiAffinità ⇔ Trasformazioni lineari invertibili

3 Invarianti delle affinità

In omaggio a Felix Klein e al suo programma diErlangen (1872), accenniamo al fatto che le affi-nità, e le trasformazioni in genere, possano essereclassificate in gruppi sulla base dei loro invarian-ti, ossia delle proprietà del piano che non subi-scono modifiche dopo aver applicato la trasfor-mazione.Rimandando ad una trattazione più completa su[3] o [4], sintetizziamo tale classificazione in unatabella:

In particolare, appuntiamo le proprietà conse-guenti al fatto che un’affinità sia una trasforma-zione:lineare ⇒ trasforma rette in rette

Affinità1. allineamento punti2. parallelismo

Similitudini3. ampiezze angoli4. rapporti tra segmenti

Isometrie 5. lunghezza segmenti

A ≠ 0

′ = ⋅ ⇔ = ⋅ ′−v A v v A v1

A ≠ 0

AA

a a

a a− =

−−

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

1 22 12

21 11

1

A ≠ 0

invertibile ⇒ trasforma rette parallele in retteparallele

4 Alcuni esempi di affinità

Identità

Omotetia di centro O

Doppio stiramento

Simmetria rispetto l’asse x

Simmetria rispetto l’asse y

Simmetria rispetto O

Rotazione di α

Similitudine

5 Trasformata di una curva γ

Data una curva nel piano di equazione

per ricavare l’equazione della sua trasformata γ ′tramite A ricaviamo anzitutto x e y tramite A–1:

(4)

Sostituendo i valori trovati nell’equazione di γ siha

6 Modifica del reticolato

Sin dalle elementari gli allievi usano i “reticolatitrasformati” per riprodurre in scala loro disegni:

′ ′ ′( ) =γ : ,F x y 0

Ax a x a y

y a x a y

A

A

−= ′ − ′( )= − ′ + ′( )

⎧⎨⎪

1

1

22 12

1

21 11

:⎪⎪

γ : ,F x y( ) = 0

k⋅±

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

cos sin

sin cos

α αα α

cos sin

sin cos

α αα α

−⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

−−

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

1 0

0 1

−⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

1 0

0 1

1 0

0 1−⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

h

k

0

0

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

k

k

0

0

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

1 0

0 1

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

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Ora che sono grandi è giunto il momento di rive-lare loro che queste figure sono tra loro affini…

La trasformazione del reticolato cartesiano parte dalconsiderare i trasformati dei versori degli assi, chenon sono altro che le due colonne di A, infatti:

Passiamo quindi dal reticolato ortogonale a qua-dretti unitari ad un reticolato a parallelogrammidi area :

è un’area “con segno”, ossia l’affinità è:diretta (conserva l’orientamento dei

punti)invertente (lo inverte, come in figura).

Per convenzione il verso positivo di percorrenzadi una curva è quello antiorario.

A < ⇒0

A > ⇒0A

A

i i i

j j

=⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

′ = ⋅ =⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

=⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

1

0

0

1

11

21

Aa

a

== ⋅ =⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

Aa

aj 12

22

Per determinare i parallelogrammi alla base (sic!)del reticolato trasformato, ricaviamo dalla matri-ce A:a) i loro lati e

b) l’angolo θ da essi formato, tramite.

7 Condizioni di Similitudine

Anche i bimbi delle elementari sanno che se il“nuovo” reticolato è fatto di quadrati più grandi,magari ruotati rispetto al reticolato originale, lafigura risulterà ingrandita ma manterrà la stessaforma. Ciò si interpreta, al liceo, dicendo che ledue figure sono fra loro simili. Proviamo a dirlonel linguaggio più appropriato.

Usare “quadratoni” invece di quadretti significa che:a)

b) .

Tali condizioni sono quindi quelle che A devesoddisfare affinché sia una similitudine.

In tal caso i lati tra figure corrispondenti sarannoin proporzione e il loro rapporto di similitudine(k) sarà uguale a quello tra i´ e i o tra j´ e j, ossia:

.

Possiamo attribuire a k lo stesso segno di . Aquesto punto, è facile individuare una isometriacome similitudine con k = 1 (diretta) o k = –1 (in-vertente).

8 Affinità… per felini (“affelinità”)

Siamo pronti a far stiracchiare un po’ il nostrogatto Blue, ma prima facciamo bene la sua cono-scenza. Per costruirlo in modo da occupare ilquadratino unitario abbiamo usato, ispirandoci a[2] e rendendolo simmetrico rispetto a x = 0.5:viso: semiellisse di semiassi a = 0.5 e b = 1fronte: arco di circonferenzaorecchie: due segmenti rettilineiocchi: un cerchio e un’ellissebocca: triangolovibrisse: non esageriamo…

A

k a a a a= + = +11

2

21

2

21

2

22

2

⇔ + =a a a a11 12 21 22

0′ ⊥ ′i j

⇔ + = +a a a a11

2

21

2

21

2

22

2′ = ′i j

′ ⋅ ′ = ′ ′i j i j cosθ

′ = +j a a21

2

22

2′ = +i a a11

2

21

2

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Come visto al punto 6, la trasformazione A è uni-vocamente determinata fissando i vettori i´ e j´,attraverso il loro estremo mobile. Nel foglio diGeoGebra evidenziamo il parallelogramma chegenera il nuovo reticolato e che conterrà il visodel gatto trasformato, Red.Il nuovo reticolato è ottenuto costruendo, col co-mando Successione[ ], due fasci di rette parallele ai´ e j´.

Per ottenere Red, abbiamo applicato l’affinità A–1

alle curve che compongono Blue. Ecco cosa acca-de al viso:

Nello stiramento in figura seguente, abbiamo adesempio

Notiamo per inciso che il viso di Red nell’es. haun verso di percorrenza invertito rispetto a quellodi Blue e che l’area del parallelogramma “di base”del nuovo reticolato è il doppio di quella del qua-

′ + + + + + =γ : 4 4 4 1 02 54

2x xy y x y

γ γ:.

.:

x yx y x y

−( )+

−( )= ⇔ + − − + =

0 5

0 5

1

11 4 4 2 1

2

2

2

2

2 2 00

0 5

0 5

1

22 12

2

2

21 1

−−

⎝⎜⎞

⎠⎟+

− +

−A

a x a yA

a x a

γ :

.

.

11

2

2

1

11

yA

−⎛

⎝⎜⎞

⎠⎟=

drato di partenza. Tutte queste informazioni sonoricavabili dal semplice fatto che .

9 Rapporti di stiramento e direzioni invarianti

Per completare l’opera, individuiamo caratteristi-che essenziali di A ossia, se esistono, le sue dire-zioni invarianti con rispettivi rapporti di stira-mento.

Trovare direzioni invarianti significa trovare vet-tori che, trasformati, restano multipli di sé stessi,ossia tali che(5) ⇔Ciò equivale a chiedere che il sistema omogeneo

(6)

abbia soluzioni non nulle, ossia non sia determi-nato, e quindi sia verificata l’equazione caratte-ristica in λ

(7)

Le soluzioni di (7) si dicono autovalori di A. So-stituendoli nel sistema (6) otteniamo, se esistono,i corrispondenti vettori che soddisfano la condi-zione iniziale (5), chiamati autovettori. Se ad es.λ = 1 lungo una direzione, vuol dire che i puntidi quella retta restano invariati, al loro posto: ta-le retta si dirà unita.

GeoGebra non ha incorporati, nell’attuale versio-ne 3.0, comandi che permettano di trattare lematrici, ma se consideriamo la parabola a primomembro di (7)

è possibile trovarne gli zeri usando il comandoRadice[ ]: λ1 e λ2 sono le ascisse dei punti cosìtrovati.

π x a x a x a a( ) = −( ) −( ) −11 22 12 21

π λλ

λ( ) =

−−

=a a

a a11 12

21 22

0

a x a y

a x a y

11 12

21 22

0

0

−( ) + =

+ −( ) =

⎧⎨⎪

⎩⎪

λ

λ

A I v− ⋅( )⋅ =λ 0A v v⋅ = ⋅λ

A = −2

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Nell’es. in figura abbiamo la seguente situazione:

a tali autovalori corrispondono gli autovettori:

che individuano le direzioni (rette) invarianti

.

Nel grafico notiamo infatti che la punta P´ del-l’orecchio destro del gatto resta sulla retta y = x,

v y x v y1 2

0: := =e

v v1 2

1

1

1

0=

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

=⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

e

π λ λλ

λλ λ( ) = − =

− −−

= ⇔ = ∨ =A I3 1

0 20 2 3

1 2

ma dista il doppio dall’origine: . In-vece il mento Q´ giace ancora sull’asse x ma distail triplo dall’origine: .

COME VOLEVASI MIAGOLARE!

Il foglio dinamico descritto in questo articolo èsu:http://chiriano.thebrain.net/materiale/geogebra.asp?id=Reticolato1_Gatto&cat=Trasformazioni

Miao a tutti…

BIBLIOGRAFIA[1] http://en.wikipedia.org/wiki/Arnold’s_cat_maphttp://mathworld.wolfram.com/ArnoldsCat-Map.htmlhttp://demonstrations.wolfram.com/Arnol-dsCatMap/[2] E. Hairer, G. Wanner, Analysis by Its Histo-ry, Springer, 1995 [pag. 59][3] W. Maraschini, M. Palma, Multi ForMat (vol.15), Paravia, 2002[4] G. Zwirner, L. Scaglianti, Funzioni in R (vol.2), Cedam, 1998

OQ OQ′ =� ���� � ���

3

OP OP′ =� ���� ����

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Nel 1865, Julius Plücker, professore di mate-matica e fisica all’Università di Bonn, ha la

ventura di trovare fra i propri studenti del primocorso un giovane dotato di eccezionale talento ma-tematico, Felix Klein. Plücker lo fa nominare assi-stente, quando Klein ha solo diciassette anni.Plücker ha due diversi interessi scientifici: in ma-tematica si occupa di geometria proiettiva e in fi-sica dei raggi catodici.

1 Felix Klein: i suoi maestri, i suoi primi lavori

Nel periodo in cui Klein è assistente di Plücker,quest’ultimo mette a punto un compendio dellapropria ricerca matematica. Il primo volume dellavoro dedicato alla Neue Geometrie des Raumes,gegriindet auf die Betrachtung der geraden Linie alsRaumelement [Nuova geometria dello spazio,fondata sulla considerazione della retta come ele-mento spaziale] vede la luce nel 1868.Sin dagli esordi della propria carriera di matema-tico, Plucker, ispirandosi alle idee di Gergonne,aveva progettato di trattare analiticamente la geo-metria proiettiva.La geometria proiettiva aveva sollevato, agli inizidel secolo XIX, una serie di discussioni fra i ma-tematici. Il primo problema è originato da unacontesa fra J.V. Poncelet e J. Gergonne, allievi en-trambi di G. Monge, considerato il creatore diquesta nuova geometria. Poncelet ritiene che siasufficiente individuare intuitivamente le proprie-tà proiettive delle figure per stabilire principi eteoremi della geometria proiettiva; Gergonnepensa invece che il metodo proposto da Ponceletsia poco rigoroso e che pertanto anche per la geo-metria proiettiva sia necessario fare ricorso almetodo algebrico cartesiano. Il dibattito fra colo-

ro che sostengono l’efficacia del metodo sinteti-co-euclideo e quelli che prediligono invece il me-todo analitico è centrale nella cultura tedesca. Iprimi, grazie ai lavori di Steiner, riescono a gene-rare da enti e principi proiettivi anche le figurepiù complesse come le coniche e le superfici e,con von Staudt, giungono a dimostrare l’indipen-denza della geometria proiettiva da quella metri-co-euclidea. I secondi, a opera di Möbius, Hessee Plücker, introducono l’algebra in geometriaproiettiva, individuando un nuovo modo per de-terminare le coordinate geometriche di un punto.Il problema da risolvere consisteva nel trovare ilmodo di descrivere algebricamente i punti im-propri o all’infinito, elementi specifici della geo-metria proiettiva. Questa scienza era nata comerappresentazione grafica di figure tridimensionalisu di un piano. Per dare a un disegno il senso del-la profondità, è necessario realizzarlo come se tut-te le rette fra loro parallele andassero a converge-re in un punto. Dato che nella realtà simili puntidi convergenza non esistono, i matematici li chia-mano punti impropri o all’infinito.Plücker comprende che, per descrivere i punti all’in-finito, non sono sufficienti le coppie di coordinatecartesiane. Attribuisce allora a ogni singolo puntoterne numeriche che chiama coordinate omogenee;attraverso questo coordinate, infatti, le equazioni re-lative alla geometria proiettiva sono tutte omogenee.Le coordinate di Plücker sono individuate in modotale che, quando il valore del terzo numero è “zero”,le coordinate descrivono i punti all’infinito.Nel citato lavoro del 1868, Plücker tratta algebri-camente anche le superfici più complesse e dimo-stra la fertilità dei metodi algebrici in geometriaproiettiva, perché assume, riprendendo una suavecchia idea, la retta e non il punto come elemen-to fondamentale dello spazio.

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108. Felix Klein e il programmadi Erlangen, quadro storico-biografico1

di Antonio Bernardo

1 Questo articolo è una rivisitazione di Antonio Bernardo, Quadro storico-biografico, in Felix Klein, Il Programma di Erlangen, a cura diE.Agazzi e A.Bernardo, Editrice La scuola, 1998.

Plücker muore in quello stesso anno e lascia il se-condo volume della sua opera allo stato di sem-plici appunti. Klein perde il posto di assistentema consegue il diploma di laurea a Bonn sotto laguida di A. Clebsch, che proprio nel 1868 vienenominato professore di geometria a Gottinga. Latesi di laurea di Klein (Sulla trasformazione del-l’equazione generale di secondo grado a una for-ma canonica, per mezzo delle coordinare di retta)resta nel solco della linea di pensiero avviata daPlücker, ma la scomparsa del maestro rende Kleinincerto sulla direzione da dare alla propria ricer-ca: non sa, cioè, se dedicarsi alla matematica o al-la fisica. Il caso decide per lui.Agli inizi del 1869, l’editore Teubner di Lipsia,per non lasciare incompiuta l’opera di Plücker,chiede a Clebsch di curarne la seconda parte.Clebsch, colpito quanto Plücker dalle straordina-rie capacità matematiche del giovanissimo Klein,ritiene che sia quest’ultimo la persona più adattaper un tale incarico. Ottiene quindi da Teubnerche sia Klein a curare l’edizione del secondo vo-lume del lavoro di Plücker. Gli eventi seguonoquesto corso e Klein si trasferisce a Gottinga.Clebsch ha interessi più vasti di quelli di Plücker,perché si occupa di geometria proiettiva, di geo-metria delle superfici e di teoria degli invarianti.Mentre Plücker rimaneva legato a un’immaginedella geometria proiettiva come settore autono-mo e seguiva quindi il proposito di adattare lageometria cartesiana alla nuova geometria proiet-tiva, Clebsch studia la geometria proiettiva infunzione delle forme algebriche e avvia quel set-tore d’indagine denominato in seguito Geome-tria Algebrica. Quest’ultima individua le caratte-ristiche globali di una curva o di una superficie estudia quelle equazioni algebriche, che sono ingrado di rappresentare la totalità dei punti di unafigura.La più ampia e chiara visione dei problemi dellageometria del tempo, resa possibile dal distacco ge-nerazionale che separa Plücker da Clebsch, spingequest’ultimo a individuare quel che vi è di comu-ne nei diversi metodi usati in geometria, anzichéfissare la propria attenzione sulle diversità di queimetodi. È Clebsch che trasmette al giovane Kleinl’interesse per l’unità dei metodi in geometria.Poco prima dell’arrivo di Klein a Gottinga, Clebschfonda i Mathematische Annalen. Accade così che i

primi lavori di Klein compaiano sul secondo nu-mero della suddetta rivista. Il più interessante diquesti scritti è l’articolo Zur Theorie der Linienkom-plexe des ersten und zweiten Grades [Sulla teoria deicomplessi di rette di primo e secondo grado]. Ve-diamo brevemente di cosa si tratta.Nel 1866, E. Kummer aveva individuato la solu-zione algebrica di quella superficie che risulta dal-l’anomalia ottica per la quale la luce riflessa da untelescopio parabolico non converge in un puntoma costituisce una superficie, detta appunto su-perficie di Kummer. Nello scritto citato, Klein,assumendo l’identità fra raggi luminosi e fasci dirette, dimostra che è più semplice generare la su-perficie di Kummer a partire da un complesso dirette, anziché da un insieme di punti. Lo scrittodi Klein è un’applicazione pratica dei metodi geo-metrici di Plücker e mira a dare risalto alla loroefficacia.L’influenza di Clebsch non ha solo spinto Kleinad allargare i propri interessi ai vari metodi dellageometria, ma ha anche generato il desiderio delgiovane studioso di comprendere le ragioni delconflitto teorico fra le diverse scuole tedesche dimatematica. Problema questo che, in età matura,Klein affermerà essersi posto sin da giovane. Inragione di ciò, dopo avere pubblicato il secondovolume dell’opera di Plücker, si trasferisce daGottinga a Berlino. Siamo nel 1869.A Berlino, frequenta il Seminario Matematico,fondato da Kummer e da quest’ultimo diretto incollaborazione con K. Weierstrass e L. Kronecker,e, nell’intento di chiarire a se stesso quale usopossa realmente farsi del metodo geometrico diPlücker, segue con particolare interesse i corsi digeometria diretti da Kummer.Proprio in quegli anni si era recato a studiarepresso Kummer anche il matematico norvegeseSophus Lie. Quest’ultimo ha una formazionemolto prossima a quella di Klein e conosce a fon-do la geometria di Plücker. Questa circostanzaspiega l’amicizia che s’instaura fra i due giovanistudiosi.Al “seminario matematico”, Lie presenta una re-lazione nella quale avanza l’ipotesi che sia possi-bile ricondurre lo studio dei complessi di rette diPlücker allo studio di un insieme continuo di tra-sformazioni geometriche. A Klein una simile ideasembra originale. Pertanto, aiuta Lie a redigere

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un articolo in tedesco su questo tema e si preoc-cupa di farlo pubblicare da Clebsch sul “Notizia-rio” dell’Università di Gottinga. Il lavoro di Lieinduce Klein ad approfondire la conoscenza deicontributi di A. Cayley alla geometria proiettiva.Il matematico inglese Arthur Cayley aveva svilup-pato la teoria degli invarianti algebrici, cioè diquelle proprietà delle forme algebriche che resta-no invariate per una trasformazione lineare dellevariabili. In un secondo momento, Cayley hal’idea di applicare la teoria degli invarianti alge-brici alla geometria, assimilando le trasformazio-ni algebriche lineari alle trasformazioni proiettivee gli invarianti algebrici agli invarianti proiettivi.Da ciò consegue che la geometria proiettiva è, perCayley, «tutta la geometria». La geometria di Eu-clide è quindi un caso particolare di geometriaproiettiva [1].Altra importante esperienza berlinese di Klein èl’incontro con il matematico austriaco OttoStoltz. Costui fornisce a Klein notizie dettagliatesulla geometria di Bolyai e Lobacevskij. Venuto aconoscenza dell’esistenza delle geometrie non eu-clidee, Klein intuisce che, se si tengono presenti irisultati di Cayley, anche le metriche non eucli-dee dovrebbero potersi costruire come casi parti-colari di geometria proiettiva. Avanza la suddettaipotesi in una relazione tenuta al “Seminario ma-tematico” di Weierstrass.Weierstrass esprime un giudizio altamente nega-tivo sull’ipotesi avanzata da Klein, perché ritieneche una geometria costruita indipendentementedal concetto di distanza non abbia alcun senso.In verità, l’intervento di Klein è lacunoso e affret-tato. Egli, infatti, non aveva tenuto conto del fat-to che Cayley aveva trattato algebricamente lageometria proiettiva, servendosi delle coordinatedi Plücker: coordinate che assumono implicita-mente il concetto euclideo di distanza.Il mancato apprezzamento di Weierstrass, giusta-mente considerato in quel tempo il più grandematematico vivente, sarà per Klein e Lie motivodi un risentimento che durerà tutta la vita. La ve-rità è che Weierstrass non nutriva alcun interesseper gli studi di geometria, di fatto cessati a Berli-no con la scomparsa di Steiner; per altro verso,Klein e Lie erano del tutto ignari a quell’epocadel lavoro che Weierstrass stava conducendo nel-la direzione della “aritmetizzazione dell’analisi”,

obiettivo diventato fondamentale per la ricerca diWeierstrass e, più in generale, della scuola mate-matica di Berlino.La divergenza d’interessi sugli sviluppi della ma-tematica fra la scuola di Berlino da un lato e i gio-vani Klein e Lie dall’altro, consiglia a questi ulti-mi di recarsi in Francia, patria indiscussa dellageometria proiettiva. Lie si trasferisce a Parigi agliinizi del 1870; Klein lo raggiunge a distanza diqualche mese.Il sistema culturale francese è completamente di-verso da quello tedesco. La mancanza di uno sta-to nazionale centralizzato ha generato in Germa-nia una serie di capitali culturali, che coltivanociascuna la propria tradizione, mentre Parigi èl’unico vero centro della cultura francese. Al con-trasto fra Gottinga e Berlino, come rispettivi cen-tri di studio della geometria e dell’analisi, Parigioppone la simultanea presenza di due grandimaestri, Michel Chasles per la geometria e Char-les Hermite per l’analisi. Questo fatto induceKlein e Lie a pensare di avere effettuato la giustascelta della propria sede di studi.A Parigi, i due giovani studiosi conoscono Cha-sles e intessono rapporti d’amicizia con GastonDarboux e Camille Jordan. Confrontando i lavo-ri di Darboux con i propri, Klein e Lie traggonola conclusione che, nonostante la diversità deimetodi impiegati, alcuni dei risultati conseguitisono comuni. Klein e Lie avevano infatti studia-to le curve e le superfici con gli strumenti dellageometria proiettiva, mentre Darboux aveva af-frontato gli stessi argomenti con i metodi dellageometria metrico-differenziale.L’indirizzo geometrico differenziale, contraria-mente a quello algebrico, si occupa delle caratte-ristiche locali di curve e superfici, vale a dire del-le caratteristiche che riguardano ciò che si verifi-ca nelle immediate vicinanze di un punto. Si trat-ta in realtà di uno studio che getta un ponte fraanalisi e geometria. È un tipo di ricerca che, ini-ziata in Francia con Monge, vi ritorna diversi de-cenni dopo, arricchita dai fondamentali contri-buti di Friedrich Gauss.Il confronto con Darboux suggerisce a Klein e Liedi redigere due note, che Chasles presenta all’Ac-cademia delle scienze [2]. Riprendendo l’ideacentrale dei loro precedenti lavori, i due giovanistudiosi dimostrano che una famiglia di curve o

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di superfici può essere studiata per mezzo di unaclasse infinita di trasformazioni lineari. In realtà,l’uso delle trasformazioni lineari in geometriaproiettiva è reso chiaro dagli invarianti, mentrel’uso di questo stesso metodo risulta difficile daapplicare alla geometria differenziale delle super-fici. È per questa ragione che i citati lavori diKlein e di Lie non ricevono consensi, nemmenoda parte di Clebsch. Questo insuccesso spingeKlein e Lie ad approfondire sia lo studio delle tra-sformazioni geometriche, sia i rapporti fra geo-metria differenziale e geometria proiettiva. Pur-troppo l’esplodere del conflitto franco-prussianocostringe i due studiosi a lasciare Parigi e a sepa-rarsi. Klein non partecipa alla guerra, perché siammala di tifo a Düisseldorf, suo paese natale. Inquesta sede, Lie lo raggiunge per una breve visita.Agli inizi del 1871 Klein ritorna a Gottinga, do-ve consegue l’abilitazione all’insegnamento uni-versitario e dove, sempre in collaborazione conLie, approfondisce il problema della strutturadelle trasformazioni geometriche. Gli autori in-travedono una certa analogia tra il proprio mododi trattare le trasformazioni geometriche e quellousato da Jordan per le sostituzioni algebriche [3].Non riescono comunque a unificare i due campidi ricerca, perché la struttura delle trasformazionigeometriche è continua, mentre quella delle sosti-tuzioni algebriche è discreta. E vero che la strut-tura delle sostituzioni, come dice Jordan, si fondasul concetto di gruppo, ma Klein e Lie non rie-scono a vedere che anche la struttura a “sistemachiuso” sulla quale fondano le trasformazioni puòessere considerata come un gruppo.Nonostante quest’impasse, i due giovani amicicomprendono di avere individuato un interessan-te filone di ricerca, in ragione di ciò separano i ri-spettivi ambiti d’indagine. Lie, abile nel calcolo,studia i gruppi continui e le applicazioni di essiall’analisi, mentre Klein è tutto preso dal proble-ma dell’unificazione delle diverse geometrie.

2 Klein e le geometrie non euclidee

Un breve soggiorno di Stoltz a Gottinga facilita ilprogetto di Klein. Stoltz, infatti, comunica al-l’amico i risultati di von Staudt e la conseguentepossibilità di trattare la geometria proiettiva

indipendentemente da qualsiasi riferimento alconcetto di distanza. Questa notizia genera inKlein la convinzione che Weierstrass non fossecompletamente informato quando pensava allageometria come alla scienza della misura. Egli ri-prende quindi il progetto di costruire le geome-trie non euclidee, servendosi degli invarianti diCayley.A questo tema dedica sia una nota che Clebschpresenta alla “Reale Società delle Scienze di Got-tinga” [4], sia un lavoro pubblicato in due partisui Mathematische Annalen[5].Premette che è suo proposito riconsiderare sia lageometria di Gauss, Lobacevskij e Bolyai, sia quel-la di Riemann, evitando di prendere le mosse dalproblema delle parallele. Quest’ultimo modo ditrattare la questione introdurrebbe surrettiziamen-te in geometria considerazioni di tipo filosofico.Intenzione di Klein è invece dimostrare che latrattazione algebrica della geometria proiettivaconsente di affermare che le “cosiddette” geome-trie non euclidee altro non sono che casi partico-lari di geometria proiettiva.Nel primo paragrafo, l’autore si limita a fornire leinformazioni necessarie per fare comprendere co-me i diversi modi di trattare la teoria delle paralle-le producano geometrie diverse e non sovrapponi-bili. Nella geometria euclidea, per un punto passauna sola parallela a un retta data. In quella di Lo-bacevskij, Gauss e Bolyai ne passano almeno due,mentre nella geometria di Riemann nessuna.Per superare le barriere che separano le geometrie,è necessario affidarsi all’algebra e mettere da par-te l’uso dei modelli. I modelli sono imprecisi e in-sufficienti: possiamo infatti rappresentare pianinon euclidei per mezzo di modelli tridimensiona-li euclidei, mentre non possiamo in alcun modorealizzare modelli di spazi non euclidei. Klein siriferisce infatti al tentativo di E. Beltrami di for-nire un modello del piano di Lobacevskij attra-verso la pseudosfera e a quello di Riemann di of-frire un’immagine intuitiva di un diverso tipo dipiano non euclideo, facendo ricorso alla su-perficie di una sfera.Klein precisa che si servirà dell’idea di Cayley inmaniera generalizzata, e quindi estendendo il di-scorso dal piano allo spazio. Egli vuole definire ladistanza fra due punti dello spazio, partendo dal-la geometria proiettiva. A questo proposito, assu-

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me una superficie di secondo grado come superfi-cie fondamentale. Considera poi due punti qual-siasi dello spazio. La retta che unisce questi duepunti interseca la superficie fondamentale in altridue punti. Quattro punti formano un birappor-to2. Dato che il birapporto è un invariante proiet-tivo, il suo logaritmo può essere usato per defini-re la distanza fra i due punti dello spazio. In ra-gione di ciò, la superficie assoluta diventa lasuperficie dei punti all’infinito. Considerato poiche essa può essere scelta arbitrariamente, conse-gue che, se la superficie è reale, i due punti al-l’infinito sono reali e distinti, mentre, se essa è de-genere, i due punti all’infinito sono reali e coinci-denti. Infine, se la superficie è immaginaria, i duepunti all’infinito sono immaginari. Dato chel’iperbole ha due punti reali all’infinito, la para-bola ne ha uno e l’ellisse nessuno, Klein denotarispettivamente questi tre sistemi metrici comegeometrie iperbolica, parabolica ed ellittica. Nelprimo caso si costruisce la geometria di Gauss,Bolyai e Lobacevskij, nel secondo quella di Eucli-de e nel terzo quella di Riemann.Sempre nello stesso anno, in ragione del progettodi unificare i diversi modi di trattare la geometria,Klein torna a occuparsi di un problema che si eragià posto a Parigi, quello dei rapporti fra geome-tria proiettiva e geometria differenziale.Il primo intervento in questa direzione è l’artico-lo Ùber Linien-geometrie und metrìsche Geometrie(Sulla geometria delle rette e la geometria metri-ca). Utilizzando l’idea di Lie, per la quale le pro-prietà proiettive delle rette possono essere conver-tite in proprietà differenziali delle sfere, Kleinperviene alla convinzione che, assumendo la sferacome elemento fondamentale dello spazio, letrasformazioni di Lie consentono di affermareche geometria proiettiva e geometria differenzialeconseguono identici risultati, pur essendo duemodi diversi di trattare la geometria.L’aver compreso che geometria differenziale egeometria proiettiva hanno lo stesso grado di ge-neralità spinge Klein a rendersi conto che il pro-prio lavoro di unificazione dei metodi geometrici

non è ancora terminato. A una revisione critica diquesto tema è appunto dedicata la seconda partedel saggio Ùber die sogenannte Nicht-EuklidischeGeometrie (Sulla cosiddetta geometria non eucli-dea). Klein ha finalmente inteso che Riemannnon è soltanto il creatore di una nuova geometrianon euclidea, ma è soprattutto l’autore che hafatto con la geometria differenziale ciò che eglistesso ha fatto con la geometria proiettiva: en-trambi hanno dedotto le geometrie metriche dauna geometria più generale. Il metodo è diverso.Riemann si è servito dell’analisi; Klein dell’al-gebra. Lo scopo il medesimo: dimostrare che letre geometrie metriche corrispondono a tre di-stinte “varietà”, precisamente quelle a curvaturacostante, negativa, nulla o positiva.Scopo di Klein è quindi quello di stabilire un le-game fra le varietà riemanniane a curvatura co-stante e le varietà proiettive. Per compiere una si-mile operazione si serve dei gruppi di trasforma-zioni. Diviene allora possibile reinterpretare lageometria metrica sia come caso particolare dellageometria proiettiva, sia come caso particolaredella geometria differenziale di Riemann.Jordan ha dimostrato che i movimenti delle figu-re nello spazio formano un gruppo [6]. La geo-metria euclidea è pertanto lo studio delle proprie-tà che restano invariate rispetto a un certo grup-po, che Klein chiama principale. La geometriaproiettiva è invece lo studio delle proprietà cherestano invariate rispetto al gruppo delle trasfor-mazioni proiettive. Da quest’ultima affermazionesegue che il gruppo principale o euclideo è solouna parte del gruppo proiettivo, precisamentequella che lascia invariati i punti del cerchio im-maginario all’infinito. Più in generale, si ottienedalla geometria proiettiva una qualsiasi geometriametrica, quando si passa dal gruppo di tutte letrasformazioni proiettive a quelli che lascianoinalterata un’equazione di secondo grado. Si ri-cordi che la superficie fondamentale di secondogrado, della quale si è in precedenza parlato, è ap-punto espressa da un’equazione di secondo grado.Ciò dimostra che per mezzo della teoria dei gruppi

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2 II birapporto di quattro punti A, B, C, D, è l’espressione (AC: BC): (AD: BD). I primi studiosi di geometria proiettiva sapevano che ilbirapporto è l’unica grandezza numerica che si conserva nelle trasformazioni proiettive. Questi autori lo fondavano comunque sul con-cetto di distanza e, pertanto, su di un concetto metrico e non proiettivo. È stato Staudt a darne la definizione descrittiva della quale si èservito Klein.

di trasformazioni si possono ottenere gli stessi risul-tati conseguiti da Cayley in termini d’invarianti.Klein rivolge a Riemann un’obiezione. Riemanntratta la geometria fondandola su considerazionidi tipo fisico e asserisce che le uniche varietà sul-le quali è possibile effettuare misure sono quelle acurvatura costante. Riemann, in sostanza, pensasolo alle varietà sulle quali i segmenti si possonospostare senza subire modificazioni nella lun-ghezza. È questo il caso particolare dello spazio incui viviamo. Inoltre, come ha dimostrato Beltra-mi [7], nelle varietà a curvatura costante le geo-detiche rappresentate con coordinate curvilineesono espresse da equazioni lineari3. Pertanto, letrasformazioni che lasciano inalterata la metricasono trasformazioni lineari, ossia trasformazioniproiettive: «i gruppi di trasformazioni che in unavarietà a curvatura costante lasciano inalterata lametrica corrispondono in un opportuno sistemadi coordinate ai gruppi di quelle trasformazionilineari che lasciano inalterata un’equazione di se-condo grado».Se geometria proiettiva e geometria differenziale so-no entrambe in grado di fondare le geometrie me-triche, significa che, liberare la geometria generaledal concetto di misura, come hanno fatto rispetti-vamente von Staudt e Riemann, equivale a elimina-re dalla geometria il problema delle parallele.

3 Programma di Erlangen

Verso la fine del 1871, Clebsch è convinto cheKlein sia ormai maturo per essere nominato pro-fessore di geometria. Ne propone la candidaturaall’Università di Erlangen, la cui cattedra è vacan-te dal 1867, anno della scomparsa di von Staudt.Nell’ottobre del 1872, Klein riceve la nomina e,secondo la consuetudine, deve illustrare nellaprolusione inaugurale le linee direttrici della pro-pria ricerca. Il 7 dicembre Klein rende pubblica la

memoria Considerazioni comparative sulle recentiricerche geometriche [8].Stando alle dichiarazioni dello stesso Klein, loscritto in questione era già pronto da circa un an-no. In esso, l’autore portava a compimento il pro-getto di unificazione dell’intera geometria sotto iltitolo “Metodi della geometria”. Pare che Lie, purgiudicando il saggio di grande interesse, lo abbiaarricchito con numerosi spunti critici. Inoltre, sa-rebbe stato Lie a convincere Klein che l’indaginenon riguardasse metodi diversi ma in realtà diffe-renti ricerche.Comunque stiano le cose, Clebsch non ebbe laventura di vedere il lavoro compiuto, essendoscomparso a soli trentanove anni nel novembredel 1872.Scopo essenziale del lavoro di Klein è l’individua-zione di un principio atto a unificare le diverse ri-cerche geometriche. Il progetto era reso necessa-rio dall’avvento della geometria proiettiva, cheaveva sconvolto l’assetto della geometria euclidea:la geometria proiettiva è stata infatti costruita sul-le trasformazioni per proiezioni e prescindendoda qualsiasi riferimento al concetto di misura. Nesono sorti due diversi problemi. In primo luogo,la misura non è più considerata una proprietà in-trinseca degli oggetti, ma soltanto un sistema direlazioni. In secondo luogo, l’estensione del con-cetto di trasformazione ha dato vita ad altri setto-ri di ricerca geometrica, quali la geometria delletrasformazioni per raggi reciproci e quella delletrasformazioni razionali.Da quando le “rappresentazioni spaziali” non so-no più l’elemento portante della geometria, è di-ventato doveroso, spiega Klein, considerare comegeometriche, sia le ricerche relative alle varietàpluridimensionali, sia quei settori d’indagine aiquali queste ultime hanno dato vita.Sebbene la geometria si sia sviluppata attraversouna serie di ricerche parallele, essa dovrebbe, agiudizio di Klein, essere considerata come una

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3 In una lettera a D’Ovidio del 25 dicembre 1872, Beltrami afferma di essersi convinto, dopo aver letto Cayley, che quest’ultimo ha con-seguito, servendosi della geometria proiettiva, risultati equivalenti ai propri, ottenuti con l’impiego della geometria differenziale.A parere di Beltrami, non si tratta di una pura e semplice coincidenza, bensì del fatto che la geometria proiettiva assume le equazioni li-neari come linee di minima distanza. Per Beltrami, in conclusione, la geometria proiettiva studierebbe «inconsapevolmente» gli spazi dicurvatura costante: «Io ho avuto il torto di non pubblicare questa osservazione, che fu poi fatta dal Klein e corredata da lui di molti svi-luppi, a molti dei quali io non avevo punto pensato».Cfr. G. LORIA, Scritti, conferenze, discorsi sulla storia delle matematiche, Padova, Cedam, 1937, pp. 194-195.

scienza unitaria.A questo fine, si possono seguire due differentipercorsi. Si può, cioè, trattare l’argomento nelmodo più astratto e generale possibile, studiandole varietà pluridimensionali; oppure si può riper-correre il tracciato storico attraverso il quale si ècostruita la geometria. Klein ritiene più semplice,per un pubblico non specialista, la secondaalternativa: il suo lavoro prende quindi le mossedalla geometria di Euclide.La geometria di Euclide studia quelle proprietàdelle figure che restano invariate quando si muo-vono. Se consideriamo i movimenti comeun’operazione effettuata su tutto lo spazio e nonsulle figure, possiamo affermare che la totalità deimovimenti costituisce un gruppo di trasforma-zioni. Klein lo chiama gruppo principale e osser-va che la geometria di Euclide è lo studio delleproprietà invarianti rispetto a questo gruppo.Esiste comunque un altro modo di considerare ilmedesimo problema: quello in cui la rappresenta-zione spaziale viene sostituita dal concetto di va-rietà a tre dimensioni. In un tale caso, non esisteun particolare gruppo che si distingua dagli altrie caratterizzi univocamente la varietà. Tutti igruppi sono equivalenti.Da ciò consegue che il problema della fondazio-ne di qualsiasi geometria può essere espresso inquesti termini: “Data una varietà e un gruppo ditrasformazioni di essa, si sviluppi la teoria degliinvarianti relativi al gruppo.”I moderni indirizzi geometrici, secondo Klein,sono caratterizzati dal fatto che, invece di prende-re in considerazione il gruppo principale, tratta-no gruppi di trasformazioni più estesi: gruppicioè che contengono al proprio interno il gruppoprincipale.Il contrasto tra le nuove geometrie e la geometriaeuclidea si spiega con il fatto che, quando si pas-sa a un gruppo più esteso, solo una parte delleproprietà geometriche si conserva. In altre parole,alcune proprietà delle figure della geometria eu-clidea non sono più tali, quando si passi a unageometria che usa un gruppo più ampio. Uno diquesti gruppi è quello delle trasformazioni proiet-tive. Il gruppo principale si caratterizza all’inter-no del gruppo proiettivo per il fatto che le suetrasformazioni lasciano inalterata una particolarefigura dello spazio, il cerchio immaginario all’in-

finito (in effetti, un cerchio che resta tale perqualsiasi trasformazione dello spazio diventa unsistema di misura, rappresentando il luogo deipunti equidistanti da un punto dato). Le proprie-tà metriche diventano allora relazioni proiettivedelle figure con questa forma immaginaria.Klein introduce a questo punto la nozione diequivalenza delle teorie geometriche o, in terminipiù moderni, l’isomorfismo tra strutture geome-triche: due teorie sono equivalenti, quando i lorogruppi si equivalgono. Con questa osservazione,dimostra senza dirlo esplicitamente che la geome-tria euclidea è equivalente alle geometrie non eu-clidee e la geometria metrico-proiettiva alla teoriadelle forme binarie. Con qualche limite, il discor-so vale anche per la geometria differenziale, chepuò essere trattata con le trasformazioni per raggireciproci. Resta il fatto che, a giudizio di Klein,qualsiasi studio geometrico può essere ricondotto,per mezzo della teoria dei gruppi di tra-sformazioni, alla geometria proiettiva.Si capisce allora perché Klein rigetta la definizio-ne di “geometria non euclidea”. Una simile defi-nizione è estranea alla matematica pura e appar-tiene al linguaggio “cosale” della filosofia.Nell’ultima parte del suo discorso Klein nonomette di ricordare la possibilità di costruiregruppi di trasformazioni più estesi di quello pro-iettivo. Si può infatti gradualmente passare dalgruppo delle trasformazioni razionali, che fondale ricerche di geometria algebrica, a quello piùesteso delle “deformazioni infinitesime” che sonoalla base dell’analysis situs. In ordine crescente se-gue ancora il gruppo delle trasformazioni perpunti. Quest’ultimo trova maggiori applicazioniin analisi che in geometria, dato che le forme al-le quali si applica sono di tipo analitico: peresempio, le equazioni alle derivate parziali. A giu-dizio di Klein, il gruppo più ampio è quello del-le trasformazioni per contatto. Si tratta di unascoperta di Lie, che ha messo in relazione le ricer-che di geometria differenziale sulla curvatura del-le superfici con la teoria dei gruppi.

4 Osservazioni a margine

Nel 1872, Klein fa stampare pochi esemplari delproprio lavoro: il numero necessario perché i col-

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leghi dell’Università di Erlangen possano seguirela sua relazione. Klein è quindi perfettamente co-sciente che il saggio dedicato alle Considerazionicomparative sulle recenti ricerche geometriche ha unvalore puramente accademico. Questa circostan-za spinge a chiedersi quando e perché quel lavorosia diventato il celeberrimo Programma di Erlan-gen. Le ragioni sembrano essere di due tipi. Daun lato, la rapida carriera accademica di Klein;dall’altro, il trionfo dell’immagine che egli avevadella geometria, della matematica e più in gene-rale della scienza.Con l’ingresso all’università e la contestuale pre-matura scomparsa di Clebsch, Klein diventa di fat-to un punto di riferimento, oltre che della propriasede universitaria, anche della prestigiosa scuolageometrica di Gottinga. La sua carriera continua aprocedere spedita. Alla morte di Clebsch, assumela direzione dei Mathematische Annalen. Nel 1875,sposa Anne Hegel, nipote del famoso filosofo, e sitrasferisce a Lipsia. Nel 1886, corona il proprio so-gno d’insegnare a Gottinga, sua sede definitivad’insegnamento. Klein lascia l’università nel 1913per motivi di salute e muore a Gottinga nel 1925.Quando lascia l’Università di Lipsia per trasferir-si a Gottinga, Klein ottiene che il posto resosi va-cante a causa del proprio trasferimento venga oc-cupato da Lie. Il costituirsi di un polo unitario diricerca fra Lipsia e Gottinga è una vittoria diKlein nei confronti dei matematici di Berlino.Si è già detto che il lavoro del 1872 è, in certa mi-sura, il frutto della collaborazione fra Klein e Lie.La collaborazione fra i due autori prosegue, serra-ta e fertile, anche negli anni che seguono. Tra il1876 e il 1879, Lie pubblica la Theorie der Tran-sformationsgruppen (Teoria dei gruppi di trasfor-mazioni) e completa i suoi studi sui gruppi con-tinui di trasformazioni fra il 1888 e il 1896, conun volume dedicato alla Geometrìe der Berùhrun-gstransformationen (Geometria delle trasfor-mazioni per contatto). Klein, da parte sua, per-viene alla classificazione dei gruppi discontinui,nel 1884 pubblica le Vorlesungen über das Ikosae-der und die Auflosung der Gleichungen vom funftenGrade (Lezioni sull’icosaedro e la risoluzione del-le equazioni di quinto grado) e fra il 1890-92, leVorlesungen über die Theorie der elliptischen Mo-dulfunktionen (Lezioni sulla teoria delle funzionimodulari ellittiche).

Nell’ultimo decennio del secolo, la teoria deigruppi di trasformazioni è considerata essenzialeper gli sviluppi della matematica. In ragione diciò, Klein e Lie diventano gli indiscussi maestridelle nuove generazioni di studiosi. Ai loro inse-gnamenti fanno capo matematici di diversa for-mazione e provenienza: i francesi É. Picard, G.Darboux e H. Poincaré, l’inglese E. Study, gli ita-liani G. Fano, G. Veronese, L. Bianchi.Sono perciò gli sviluppi della teoria dei gruppi ditrasformazioni, continui e discontinui, a conferireportata storica al saggio del 1872. Accade così che,nel 1890, Corrado Segre affidi a G. Fano la tradu-zione italiana del testo ormai ritenuto un classico.Nell’anno successivo, appare l’edizione francese,alla quale fanno seguito, nel 1893, sia l’edizioneinglese, sia una ristampa sui Mathematìsche Anna-len. Quest’ultima appare per la prima volta con ilsottotitolo Programma per l’ingresso alla Facoltà diFilosofia, presentato al Senato della Reale UniversitàFederico-Alessandro di Erlangen. Da quel momen-to, il saggio Considerazioni comparative sulle recen-ti ricerche geometriche acquista storicamente il no-me di “Programma di Erlangen”.Un’ultima annotazione. Nel 1906, quando Poin-caré interpreta la relatività assumendo le trasfor-mazioni lorentziane come un gruppo, offre am-pia prova che anche la moderna fisica teorica puòessere ricondotta allo studio delle proprietà inva-rianti rispetto a un particolare gruppo di trasfor-mazioni.

Riferimenti bibliografici[1] A. CAYLEY, A sìxth memoir upon quantics,«Philosophical Transactions of thè Rovai Societyof London», 149 (1859), pp. 61-90.[2] F. KLEIN e S. LIE, Deux notes sur une certamefamille de courbes et de surfaces, «Comptes rendusde l’Académie des Sciences», 70 (1870), presenta-te da M. Chasles rispettivamente il 6 e il 13 giu-gno 1870. In Gesammelte mathema-tische Abhan-dlungen, cit., I, pp. 416-423.[3] C. JORDAN, Traité des substitutions et des équa-tìons algébrìques, Paris, Gauthier-Villars, 1870.[4] F. KLEIN, Ùber die sogenannte Nicht-Euklidi-sche Geometrie [Sulla cosiddetta geometria noneuclidea], «Nachrichten von der Kòniglichen Ge-sellschaft der Wissenschaften zu Gòttigen», 17

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(1871). In Gesammelte mathematische Abhan-dlungen, cit., I, pp. 244-252.[5] F. KLEIN, Ùber die sogenannte Nicht-Euklidi-sche Geometrie [Sulla cosiddetta geometria noneuclidea], «Mathematische Annalen», 4 (1871) e6 (1873). In Gesammelte mathematische Abhan-dlungen, cit., I, pp. 254-305 e pp. 311-343.[6] C. JORDAN, Mémoire sur les groupes de mouve-ments, «Annali di Matematiche», 2 (1869), pp.167-215 e 322-345.[7] E. BELTRAMI, Teoria fondamentale degli spazi

di curvatura costante, «Annali di matematica purae applicata», 2 (1868-69), pp. 232-255.[8] F. KLEIN, Vergleichende Betrachtungen ùber ne-uere geometrische Forschungen, Erlangen, Dei-chert, 1872.[9] H. POINCARÉ, Sur la dynamique de l’electron,«Rendiconti del Circolo Matematico di Paler-mo», (21) 1906, pp. 129-176. [Trad. it., La dina-mica dell’elettrone, in H. POINCARÉ, Scritti di fisi-ca-matematica, a cura di U. Sanzo, Torino,U.T.E.T., 1993, pp. 543-617].

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Nella mia esperienza, ormai più che quaran-tennale, di insegnante universitario, ho po-

tuto notare che nelle Scuole Superiori lo studiodella geometria dello spazio è andato gradualmen-te scomparendo. Così l’intuizione spaziale ([H])non soccorre più, poiché essa non è stata più edu-cata. L’intuizione geometrica – afferma M.F. Atiyah,uno dei massimi matematici contemporanei – ri-mane il canale più potente per la comprensione dellamatematica e dovrebbe essere incoraggiata e coltivata.Inoltre l’intuizione spaziale permette di dare “si-gnificato” al linguaggio algebrico, come osservaR. Thom (1923-2002):

La decisione dogmatica “modernista” di elimina-re la geometria elementare per far spazio all’ana-lisi e all’algebra lineare, offre ben poco per poteressere sostenuta psicologicamente, poiché gli og-getti algebrici (i simboli) sono troppo poveri se-manticamente per farsi capire direttamente comenel caso di una figura spaziale.

In questo articolo mi soffermerò sul concetto diregolarità (metrica, combinatoria, probabilistica)per un poliedro, un concetto che ha tenuto impe-gnati per tanto tempo illustri matematici. Le dif-ficoltà si incontrano già per la stessa definizionedi poliedro, poiché in essa si voleva descrivere ilconcetto di “poliedro che abbiamo in mente”, unconcetto non univoco e difficile da formalizzare. Ebbene mi sembra che tante questioni inerenti aipoliedri siano attualmente trascurate nelle Scuolesecondarie in nome di nuove mode, mentre essenon sono per nulla sorpassate, anche a livello diricerca avanzata1. Infatti lo studio dei poliedri ingenerale e di quelli regolari in particolare è statofonte di ricerche che attraversano tutta la storiadella matematica dai primordi ai nostri giorni,coinvolgendo diverse discipline, apparentemente

lontane tra loro: topologia algebrica e differenzia-le con studio di singolarità, teoria dei gruppi eteoria dei grafi, algebra commutativa e teoria de-gli invarianti, teoria dell’ottimizzazione, cristallo-grafia. Inoltre è errore comune pensare che tuttociò che riguarda i poliedri è noto o che è facile dadimostrare.Insomma dopo circa 2500 anni i poliedri eserci-tano ancora il loro fascino. Come afferma ancoraAtiyah:

La matematica moderna non ha chiesto il divor-zio dalla matematica tradizionale come a volte siinsinua. I matematici hanno unito le loro forzee si sono proiettati in direzioni diverse ma gliobiettivi di base sono ancora in gran parte glistessi. La differenza sta più nella forma che nellasostanza e se Newton o Gauss potessero riappari-re in mezzo a noi, per capire i problemi in di-scussione della presente generazione di matema-tici, basterebbe loro soltanto un breve corso preli-minare.

A mio avviso, seguendo Atiyah, è essenziale recu-perare il senso d’unità delle diverse branche dellamatematica: i loro legami (spesso insospettati) ele analogie non sono accidentali, ma fanno partedella essenza della matematica, che è un’attivitàumana non un programma per computer. Si puòdire che la matematica sia lo studio delle analogietra le analogie.Ebbene l’argomento scelto si presta bene ad esem-plificare questa interdisciplinarità ([C],[Em],[Gr]),che tocca la cristallografia, la biologia, la storiadell’arte e della cultura in generale, persino il gio-co con i dadi, come vedremo.Libri sui poliedri hanno segnato epoche ([G],[G-R]). Durante il Medioevo, per molto tempo,l’unico dialogo di Platone direttamente conosciu-

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109. La regolarità per i poliedrie i dadi da gioco

di Giuseppe De Cecco (Università del Salento)

1 Si veda il libro di P.R. Cromwell [C ], che può considerarsi la “bibbia” sull’argomento.

to e letto fu il Timeo2, nel quale i poliedri sonostudiati come gli elementi costitutivi della strut-tura intima del cosmo. Infatti Timeo da Locri,uno dei primi pitagorici, stabilì una corrispon-denza mistica tra i quattro solidi più facili da co-struire e “i quattro elementi naturali” (fuoco,aria, acqua, terra). Restava ancora soltanto unaquinta combinazione – come dice Platone – e Diose ne servì per ornare il tutto.I poliedri regolari sono perciò anche detti “solidiplatonici”.Piero della Francesca, il pittore che dà coerentebase teorica alla prospettiva centrale, scrive (tra il1482 e il 1492) il Libellus de quinque corporibusregularibus, del quale trattato esiste una versionein volgare nel celebre libro di L. Pacioli De divi-na proportione (1509), illustrato “con tutta perfec-tione di prospectiva commo sa el nostro Leonardo daVinci”. Nel Mysterium cosmographicum (1596)Keplero scrive che il Creatore ha tenuto presentei poliedri regolari e che alla loro natura ha unifor-mato il numero e la proporzione dei cieli e i rappor-ti dei moti celesti.Infine H. Weyl, nel 1930, trattando del ruoloavuto, nella matematica contemporanea, dal librodi F. Klein Vorlesungen über das Ikosaeder scriveva:

Il suo Libro-icosaedro è una sinfonia meraviglio-sa nella quale geometria, algebra, teoria dellefunzioni e dei gruppi si armonizzano in una me-lodia politonale, ma che all’interno viene gover-nata dalla coerenza più profonda.

Più passa il tempo e più tutte le scienze tendonoa matematizzarsi. A mio avviso non bisogna inse-gnare matematica applicata, ma cercare di creare

l’attitudine a scoprire la matematica ovunque es-sa si applichi. Presentare un argomento nel modo“giusto” non vuol dire presentarlo nel modo piùastratto possibile, anzi spesso, in particolare nel-l’insegnamento nella secondaria di primo grado,il “travestimento ludico” dell’argomento risulta lacarta vincente. L’importante è comunicare l’ecci-tazione intellettuale che si accompagna alla sco-perta geometrica e il piacere di capire le scopertedegli altri.

Poliedri convessi

Attualmente in matematica, come è noto, unadefinizione non è la descrizione di un oggetto esi-stente o di un oggetto a cui si attribuisce esisten-za (in un mondo di idee platoniche), ma è unacostruzione del nostro pensiero: l’oggetto defini-to è bloccato dall’avere le proprietà richieste, percui dobbiamo accettare poi anche le eventuali fi-gure che verificano la nostra definizione ma che apriori non ci saremmo aspettati di includere.Euclide non definisce i poliedri in maniera espli-cita, ma nel Libro XI implicitamente si deduceche per lui un poliedro è un “solido delimitato dafacce piane”. Ora un solido, nell’accezione comu-ne, è costituito da un sol pezzo; quindi nel con-cetto di solido è implicita l’idea che il bordo di unpoliedro (cioè la superficie che delimita il polie-dro) divida lo spazio (in cui esso è immerso) indue parti, una limitata da chiamarsi interna e unaillimitata da chiamarsi esterna. Ciò suggerisce diporre a fondamento del concetto di poliedro ilteorema di C. Jordan3 (1838-1922), sul qualenon ci fermiamo.

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cubo - terra tetraedro – fuoco ottaedro - aria icosaedro – aria dodecaedro - universo

2 Nell’affresco di Raffaello “Scuola d’Atene”, Platone ha in mano proprio questo libro.3 Se Π è una (superficie) poliedrica semplice e chiusa, allora essa divide lo spazio in cui è immersa in due regioni (aperte e connesse), aven-

ti entrambe come frontiera Π. Per una dimostrazione elementare si può vedere [DC].

Nella definizione di Euclide rientrano ovviamentei poliedri ordinari (cubo, parallelepipedo, pirami-di, …) ma anche i poliedri anulari, i poliedri cavie tutti quelli che sono delimitati da facce piane.Per eliminare questi “casi non voluti” dobbiamochiedere che il poliedro sia convesso, cioè se A e Bsono due punti qualsiasi del poliedro richiediamoche il segmento di estremi A e B appartenga inte-ramente al poliedro. Possiamo allora dare la se-guente definizione, che si trova anche in testi sco-lastici.

Si dice poliedro convesso (o semplicemente polie-dro) ogni sottoinsieme limitato dello spazio, chesi ottiene come intersezione di un numero finitodi semispazi (chiusi).

Per evitare casi patologici (per esempio un seg-mento) chiediamo anche che la parte interna delpoliedro sia non vuota.Si prova facilmente che, se V è un punto internoal poliedro X, allora ogni semiretta di origine Vincontra soltanto in un punto il contorno di X.Sia X un poliedro convesso ed O il suo centro digravità o baricentro (certamente interno a X). SeV è un vertice di X, il piano passante per V ed or-togonale alla retta OV è detto piano polare di V;tutti i piani polari dei vertici di X individuano unnuovo poliedro X*, detto poliedro duale di X, i cuivertici sono i poli delle facce di X. Per esempio sono duali tra loro il cubo e l’ottae-dro, il dodecaedro e l’icosaedro, mentre il tetrae-dro è autoduale.

Poliedri metricamente regolari

Una faccia di un poliedro si dice regolare se è co-stituita da un poligono regolare (cioè un poligo-no equilatero ed equiangolo). Un vertice del po-liedro è detto regolare se tutte le coppie di spigoliconsecutivi uscenti da esso formano angoli con-gruenti. Due vertici sono detti congruenti se in es-si concorre lo stesso numero di spigoli e se inol-tre sono congruenti gli angoli (piani) tra gli spi-goli corrispondenti e gli angoli diedri corrispon-denti. Siamo ora in grado di dare la definizione dipoliedro regolare, attualmente più usata.

Un poliedro è (metricamente) regolare se le faccee i vertici sono regolari e congruenti.

Quindi si chiede che le facce siano disposte nellostesso modo attorno a ciascun vertice e analoga-mente che i vertici siano disposti allo stesso mo-do in ogni faccia; cioè, guardando il poliedro,non troviamo vertici o facce privilegiate.Come è noto esistono infiniti tipi di poligoni rego-lari, mentre (tenendo conto che in un vertice lasomma degli angoli che vi concorrono deve essereinferiore all’angolo giro) si vede facilmente che esi-stono solo 5 tipi di poliedri (metricamente) rego-lari. Essi, come è noto, sono il tetraedro, il cubo oesaedro, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro.

Si osservi che alla definizione di regolarità datasono associate le seguenti richieste (che compaio-no in alcuni libri di testo):– le facce devono essere congruenti,– le facce devono essere poligoni regolari.Ma queste due richieste non caratterizzano com-pletamente l’idea di poliedro regolare, poiché tra-scurano di considerare gli angoloidi. Una bipira-mide costituita da triangoli equilateri verifica lecondizioni (i) e (ii), ma non è regolare, secondo lanostra definizione. Possiamo certo cambiare la de-finizione, ma non possiamo più concludere cheesistono solo 5 tipi di poliedri regolari. Se peròchiediamo che il nostro poliedro sia inscrivibile inuna sfera come fa Euclide implicitamente, allorasegue che tutti gli angoli solidi e diedrali sonocongruenti e tutti i vertici sono circondati dallostesso numero di facce, cioè il poliedro è regolare.Commentatori degli Elementi, dagli Scolastici inpoi, hanno discusso la storia dei solidi regolariconsiderando le scoperte dei singoli solidi, tenen-do conto che essi si ritrovano anche in natura sot-to forma di cristalli: la fluorite ha la forma tetrae-drica o ottaedrica, la magnetite e il diamantequella ottaedrica, il salgemma e la pirite si trova-no spesso nella forma cubica. Anche lo scheletrodi alcuni radiolari ha la forma di poliedri regola-ri [DT].

Tuttavia – come dice W.C. Waterhouse [W] –la scoperta di questo o quel particolare solido erasecondaria; la scoperta cruciale era il concetto pre-ciso di solido regolare. La lunga familiarità con

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questo concetto ce lo fa apparire ovvio, ma cosìnon è. Si possono conoscere i modelli dei solidiplatonici, senza essere in grado di isolare le pro-prietà comuni che li caratterizzano. Noi abbiamoil concetto matematico di solido regolare solo per-ché alcuni matematici lo hanno inventato.

L’astrazione è la vera molla della ricerca in mate-matica!L’esistenza di esattamente cinque solidi regolari èun bel teorema di classificazione, facile da dimo-strare anche in una scuola secondaria di primo gra-do, ma esso non può essere dimostrato senza unadefinizione astratta di solido regolare. Un ulteriorepasso è stato poi la formalizzazione del concetto dipoliedro semiregolare, fissando l’attenzione suqualche proprietà non caratterizzante i poliedri re-golari. Così Archimede (287-212 a.C.), richieden-do una “regolarità più debole”, perviene alla sco-perta del solidi che portano il suo nome.

Poliedri semiregolari

Indeboliamo ora le condizioni che intervengononella definizione di poliedro regolare.

Un poliedro si dice archimedeo se le facce sono re-golari ma non congruenti e i vertici sono con-gruenti ma non regolari.

Si riconosce che esistono 15 tipi di poliedri archi-medei con l’avvertenza che 13 sono individuati ameno di similitudini, mentre due (prismi e anti-prismi) ammettono infiniti sottotipi ciascuno.

I poliedri duali degli archimedei4 sono quelli chehanno vertici regolari ma non congruenti e faccecongruenti ma non regolari.

Ogni poliedro archimedeo è inscrivibile in unasfera, mentre uno duale è circoscrivibile ad unasfera. La classificazione dei poliedri archimedeiduali coincide con quella dei poliedri archimedei.Insieme vengono detti poliedri semiregolari (cfr.[C-R], [E]).

Gruppo di simmetria di un poliedro

Sia E lo spazio ordinario; una isometria di E è unatrasformazione di E in sé che conserva le distan-ze, quindi la composizione di una traslazione (inparticolare l’identità) con una trasformazione or-togonale (simmetria rispetto ad un piano, rota-zione intorno ad una retta, rotosimmetria). L’in-sieme delle isometrie di E, Iso(E), rispetto allacomposizione di applicazioni, costituisce ungruppo, detto anche gruppo euclideo.Data una figura X di E, chiamiamo gruppo di sim-metria di X, S(X), il sottogruppo di Iso(E) costitui-to dalle isometrie di E che lasciano fissa la figuraX; S(X) è isomorfo al gruppo delle isometrie di X. Se X è un poliedro, allora S(X) è finito essendocontenuto nel gruppo di permutazione dei verti-ci (in numero finito) di X. Inoltre se X* è il polie-dro duale di X, allora S(X) = S(X*).Storicamente i gruppi di simmetria dei poliedrisono stati i primi esempi di gruppi algebrici. S(X)“misura il grado di armonia” di una figura, essen-do la parola “simmetria” intesa nel senso greco,cioè ordine e proporzione tra le parti di un tutto.Quanto più grande è il gruppo, tanto più la figu-ra è esteticamente armonica, bella!Ad esempio, il gruppo di simmetria del tetraedroha 24 elementi, quello del cubo e dell’ottaedro ha48 elementi, quello del dodecaedro e dell’icosae-dro ha 120 elementi, quello della sfera ha infini-ti elementi. Proprietà dei poliedri si traducono in proprietàsui loro gruppi di simmetria: un poliedro X è re-golare se il suo gruppo di simmetria è transitivosulle terne (v, l, f ), dove v, l, f sono rispettivamen-te un vertice, un lato e una faccia di X, tali che vsia estremo di l, lato di f. Essere transitivo vuol di-re che se (v, l, f ) e (v’, l’, f ’) sono due arbitrarie ter-ne (del tipo sopra detto), allora esiste un elemen-to g di S(X), cioè un movimento (che lascia fissoil centro di gravità) tale g(v, l, f )=(v’, l’, f ’). Que-sto formalizza l’idea che ogni vertice e ogni facciadel poliedro regolare ha la stessa configurazionequando lo si osserva.La transitività del gruppo di simmetria può esse-re utilizzata per definire la regolarità (metrica) dei

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4 Tali poliedri sono anche detti poliedri di E. C. Catalan (1814 -1894).

poliedri di dimensione arbitraria d (detti anchepolitopi). Si dimostra che

per d=2 esistono infiniti poligoni regolari;per d=3 esistono solo 5 tipi di poliedri regolari;per d=4 esistono solo 6 tipi di poliedri regolari;per d�5 esistono solo 3 tipi di poliedri regolari.

Per d�3 si hanno poliedri regolari rispettivamen-te di

d+1, 2d, 2d facce.

Per d=3 si hanno in più poliedri regolari con 12,20 facce; per d=4 si hanno in più poliedri regola-ri con 24, 120, 600 facce.

Poliedri combinatoriamente regolari

Nella definizione di poliedri metricamente rego-lari l’attenzione è rivolta in particolare alla misu-ra dei lati e degli angoli; nella seguente definizio-ne vengono trascurate quelle richieste, fissandol’attenzione alle condizioni d’incidenza.

Un poliedro (convesso) combinatoriamente rego-lare è un poliedro tale che in ogni vertice concor-rono n spigoli ed ogni faccia è limitata dallo stes-so numero r di spigoli.

Se indichiamo con α0 il numero dei vertici delpoliedro, con α1 il numero dei lati e con α2 quel-lo delle facce, si ha (nelle nostre ipotesi)

nα0 = 2 α1 = r α2.Ricordando la formula di Eulero (α0– α1+ α2=2)e tenendo conto che n ed r sono numeri naturalimaggiori o uguali a 3, si conclude che le classi deipoliedri convessi combinatoriamente regolari so-no in corrispondenza biunivoca con le classi deipoliedri metricamente regolari.Così nella classe dei parallelepipedi troviamo ilcubo, che può considerarsi un rappresentante“bello” della classe.

Poliedri probabilisticamente regolari

I poliedri probabilisticamente regolari sono quel-li regolari nel senso del Calcolo delle probabilità,cioè quelli che, se lanciati come dadi, hanno lefacce equiprobabili. Ciò si verifica per esempio seil poliedro ha le facce congruenti e simmetricherispetto ad un punto (il centro di gravità), comeaccade per i poliedri metricamente regolari. Seconsideriamo un poliedro con facce congruenti,la condizione che le facce appaiano alla vista in-distinguibili si può formalizzare nel modo se-guente, usando il concetto di transitività per fac-ce, che porta alla definizione di isoedro.

Un poliedro è un isoedro se, per ogni coppia difacce, esiste una isometria che porti la prima fac-cia nella seconda.

Molti poliedri non convessi sono transitivi perfacce ma noi ci limitiamo a quelli convessi. Grün-baum e Shepard [G-S] hanno dato una completacaratterizzazione degli isoedri5: ne esistono 30 ti-pi di cui 5 famiglie infinite. In particolare sonoinclusi i poliedri regolari e i duali degli archime-dei. Tutti gli isoedri sono ovviamente “buoni” da-di e si dimostra che tutti hanno un numero paridi facce. Questo risultato, come vedremo, mostrache il concetto di isoedro non cattura completa-mente l’idea di probabilisticamente regolare, co-me hanno messo in evidenza P. Diaconis6 e J.B.Keller [D-K], che, con considerazioni di conti-nuità, pervengono ad ammettere l’esistenza di da-di poliedrali con facce non congruenti.Infatti se tagliamo una bipiramide (con base unpoligono regolare e facce triangoli isosceli con-gruenti) con due piani paralleli alla base ed equi-distanti da essa, otteniamo un solido con facce ingenerale non congruenti tra loro. Se i tagli sonovicini ai vertici, il solido ha piccola probabilità dicadere sulle nuove facce, mentre se i tagli sono vi-cini alla base, c’è alta probabilità che cada sullebasi. Per continuità è lecito supporre che esistanotagli tali che le 2n+2 facce abbiano tutte la stessa

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5 Cfr. http://mathworld.wolfram.com/Isohedron.ht,l6 Persi Diaconis, professore di Statistica, in origine era un prestidigitatore ed ha tenuto la seduta plenaria di chiusura del Congresso Inter-

nazionale di Matematica a Berlino nel 1998.

probabilità (uguale a 1/(2n+2)). La posizione deitagli non è prevedibile e forse può essere ricavatasolo mediante esperimenti.Analogamente possiamo partire da un prisma in-finito proiettante un n-agono regolare e facendotagli con piani perpendicolari alle generatrici ot-tenere (almeno in teoria) un poliedro con n+2facce equiprobabili. Si osservi che in tal caso n+2può essere anche dispari.Non mi risulta, che, almeno per ora, si conoscauna caratterizzazione geometrica dei poliedri pro-babilisticamente regolari, adatti quindi ad essereconsiderati come buoni dadi.

Dadi poliedrali

Qualche anno fa, tutti abbiamo visto in negozi digiocattoli dadi non cubici, ma poliedrali, usati ingenerale per giochi cosiddetti “di ruolo” (ad esem-pio Dungeons & Dragons); le facce poi contengo-no spesso non numeri ma lettere dell’alfabeto.Il fatto mi incuriosì e decisi di approfondire l’ar-gomento. Penso che anche gli studenti delle scuo-le superiori possono essere stimolati da questo ar-gomento a studiare con rinnovato interesse i po-liedri, in particolare quelli regolari e semiregolari.Spesso una applicazione “concreta” di un argo-mento basta a tener desta l’attenzione. Inoltre,come ho potuto constatare personalmente piùvolte, i modelli dei poliedri, realizzati in cartonci-no, in legno, in cristallo non lasciano indifferentigrandi e piccoli, che spontaneamente sono porta-ti a riflettere su particolari proprietà e simmetrie.Come è noto, da tempi remoti, per ragioni magi-che e per gioco, è stato usato l’astragalo (astraga-vlo~ = vertebra), un osso del tarso, fra il calcagno ela tibia, foggiato ad arco con la convessità versol’alto. Si trovano astragali preistorici usati forse percontare e molti di essi hanno una lettera o letteresu una parte. Poi, ad imitazione della forma del-

l’astragalo di capra o di montone, vennero co-struiti dadi oblunghi d’avorio, di pietra o altromateriale, numerati con punti sulle quattro facceallungate. Essi furono usati non solo per predire ilfuturo, ma per giocare agli ossetti o aliossi (dal lat.aleae ossum). L’idealizzazione dell’astragalo ha pro-babilmente dato origine ai dadi7 che appaionoquasi simultaneamente in differenti parti del glo-bo [D], e in forma non solo di cubo, ma spesso ditetraedro, icosaedro e dodecaedro. Dadi tetraedra-li di avorio e di lapislazzuli sono stati trovati nelletombe reali sumeriche di Ur (circa 3000 a.C.)([G] e [G-R]); dadi icosaedrici della dinastia tole-maica sono visibili al British Museum di Londra;in Italia, scavi su monte Loffa8 (nei colli Euganei)hanno portato alla luce un dodecaedro etrusco insteatite, probabilmente usato come giocattolo2500 anni fa. Ancora oggi si usano dadi oblunghiper giocare a Chausar e dadi semicilindrici pergiocare a Senet [Gf ]. Gli stessi poliedri regolariper le loro simmetrie e bellezza hanno sempreavuto una connotazione magica. Probabilmente il dado cubico si è imposto perchéè il più semplice da produrre. Ovviamente carat-teristica essenziale per un “buon” dado deve esse-re la equiprobabilità delle sue facce, cioè non deb-bono esistere facce privilegiate. Ciò è raggiunto

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Heath bar- My dice boxhttp://www.flickr.com/photos/heathbar/3342822834/

7 La parola “dado” quasi certamente proviene dal latino “datum”,participio passato del verbo “dare” nel senso di “gettare”. I Ro-mani li chiamavano “tesserae” e i Greci “kuvboi”.

8 Cfr. S. De Stefani, Intorno un dodecaedro quasi regolare di pietraa facce pentagonali scolpite con cifre scoperto nelle antichissime ca-panne di pietra del Monte Loffa, Atti del R. Istituto Veneto diScienze, Lettere ed Arti, S. 6,4 (1886).

usualmente se il materiale è omogeneo e il polie-dro ha tutte facce uguali, simmetriche rispetto alsuo baricentro. I dadi antichi non sempre sonobuoni dadi a causa di irregolarità. Sembra che néi Greci né i Romani abbiano mai parlato di “pro-babilità”, pur riconoscendo nella caduta dei dadil’immagine di un evento fortuito, accidentale,imprevisto. Tuttavia esistono antichi dadi e astra-gali truccati per esempio con piombo. Ma comeosserva acutamente R. Ineichen [I], modificareuna tendenza di un dado vuol dire avere un’ideadel fenomeno della “stabilità statistica”, della co-siddetta “legge empirica del caso”. Forse la ten-denza è stata trovata ripetendo più volte le proveed annotando i risultati. Altrimenti perché truc-care un dado? Nell’antichità “probabile”9 era un attributo diuna opinione, attributo di una proposizione ga-rantita da un’autorità, ovvero aveva il significatodi plausibile, di grande credibilità. E questi attri-buti non avevano niente a che fare con i giochid’azzardo ([I]).

BIBLIOGRAFIA

[C] P. R. Cromwell, Polyhedra, Cambridge Uni-versity Press, 1997.[C-R] H.M. Cundy, A.P. Rollett, I modelli mate-matici, (presentazione di P. Canetta), Feltrinelli,Milano 1974.[D] F.N. David, Games, Gods and Gambling,Charles Griffin & Co.Ltd, London 1962.[DC] G. De Cecco, Il teorema di separazione di

Jordan, Archimede, 4, (1976), 193-200.[D-K] P. Diaconis, J. B. Keller, Fair Dice, Amer.Math. Montly 96,(1989), 337-339, http://www-stat.stanford.edu/~cgates/PERSI/papers/fairdi-ce.pdf[DT] D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma,Bollati-Boringhieri, 1992.[E] Enciclopedia delle matematiche elementari ecomplementi, (a cura di L. Berzolari, G. Vivami,D. Gigli), Hoepli.Milano 1937.[Em] M. Emmer, Art and Malhematics: thè Plato-nic solids, in “Leonardo”, voi. 15 (4),(1982), 277-282. [G] P. Gario, L’immagine geometrica del mondo(Storia dei poliedri), Stampatori Ed. Torino 1979. [Gf ] F.V. Grunfeld, Giochi nel mondo, Unicef1990.[Gr] U. A. Graziotti, Polyhedra, The realm og geo-metric beauty, S. Francisco 1972[G-R] L. Giacardi, S.C. Roero, La matematicadelle civiltà arcaiche, Stampatori Ed. Torino 1979. [G-S] B. Grünbaum, G.C. Sbepard, Sferical ti-lings with transiti-vity properties, in TTte Geome-trie Vein: The Coxeter Fesf-schrift, C. Davis, B.Grunbaum and F. Shenk editors, Springer- Ver-lag, New York, 1982.[H] D. Hilbert, S. Cohn Vossen, Geometria intui-tiva, Boringhieri, 1960.[I] R. Ineichen, Dadi, astragali e calcolo delle pro-babilità, Quaderno n.2000-04, Facoltà di Scien-ze Economiche, Lugano.[W] W.C. Waterhouse, The discovery of the regu-lar solids, Arch. Hist. Exact Sci., voi. 9 (1979),212-221.

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9 Dal latino “probus”, buono.

Uscendo dalla facoltà di matematica per pren-dere la macchina e tornare a casa dopo una

bella giornata di lezione, ho notato che in lonta-nanza si vedeva un palazzo in costruzione, con legru che spostavano i blocchi di cemento e i varimezzi usati per scavare le fondamenta che soster-ranno l’abitazione. Subito la mia mente mi ha portato a pensare allamatematica e alle fondamenta della sua “casa”, aquegli oggetti che sono le strutture che vengonoutilizzate in ogni sua disciplina sia essa l’analisi ola geometria differenziale.Quindi mi sono seduto e ho cominciato a scrive-re quella che, umilmente, vorrei che fosse una in-troduzione alle strutture matematiche principali.

1 Gli insiemi

Fin dalle elementari, credo che tutti siano a cono-scenza dell’esistenza di quelle collezioni di ele-menti chiamate insiemi.In realtà una definizione più precisa non si po-trebbe darla poiché io, come molti altri autori,considero l’insieme un concetto primitivo, privocioè di definizione e, dicendolo alla Platone, diinnata conoscenza nell’uomo. Per rimanere in li-nea con l’introduzione gli insiemi sono come lastruttura delle fondamenta e gli elementi che nefanno parte sono i muri e le colonne portanti del-la nostra casa.Vi è però una caratterizzazione degli insiemi datadalle seguenti proprietà:• Il principio del terzo escluso: un elemento

può appartenere o non appartenere a un de-terminato insieme, non ci sono vie di mezzo;

• Il principio di unicità: un elemento non puòcomparire più di una volta in un insieme;

• L’omogeneità: gli elementi di un insieme nonhanno un ordine di comparizione;

• Univocità: gli elementi di un insieme lo carat-

terizzano univocamente: due insiemi coinci-dono se e solo se hanno gli stessi elementi.

Vi è anche un insieme che non esiste di per sé enon ha relazioni con la realtà, ma viene usato percomodità matematica. Sto parlando dell’insiemevuoto, indicato con il simbolo ∅ che non contie-ne nessun elemento. Una volta che abbiamo que-sto insieme possiamo giocare con gli insiemi cre-andone di nuovi, includendoli uno nell’altro…facendo insomma quello che si fa con i numeri:fare di conto. Bisogna però introdurre delle ope-razioni diverse da quelle conosciute per i numerie alcune a cui non siamo abituati.

2 Spazi vettoriali

Costruiamo ora il piano terra dopo aver buttato ilcemento armato sulle fondamenta ed aver aspetta-to che si solidificasse, anche perché lo sviluppo diqueste formalizzazioni è frutto di molta fatica.Noi siamo abituati a considerare lo spazio intor-no a noi come un “qualcosa” che ha tre dimensio-ni (alcuni dicono quattro inserendoci anche iltempo) e, fissato un sistema di riferimento orto-gonale (parolone usato per definire il piano carte-siano) a descriverlo come insieme di figure.Un modo equivalente per farlo è quello di consi-derare la realtà come uno spazio vettoriale cioè, in

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110. Le fondamenta: le strutture matematiche

di Luca Francesca ([email protected])

Fig.1 - Rappresentazionegrafica di spazio vettoriale

prima battuta, una collezione di oggetti che pos-sono essere sommati e riscalati.Questo modo di vedere si avvicina ed è alla basedi molti modelli che i fisici usano per i vari cam-pi come quello magnetico o elettrico.

Una definizione relativamente formale suona così: Spazio vettoriale su un campo è unaquaterna dove

è un’operazione binaria internasu V;

è un’operazione esterna su V a co-efficienti in K;valgono le seguenti proprietà:

(1).

(2).

(3).

(4).

Quello che si dice sopra è appunto quello di cuiparlavamo: abbiamo i vettori oggetti che sono n-uple di elementi che estendono, anzi generalizza-no, il numero con cui siamo abituati a trattare.In effetti 5 è anche un vettore di R (la retta reale)e quindi, per quello che viene chiamata induzio-ne, abbiamo che è equivalente a (5,0) su R2 o(5,0,0,..,0) in Rn.Si tratta semplicemente di una proiezione tra spa-zi vettoriali (in due parole si “sopprime” una va-riabile portandola a 0).Quello che è un vettore graficamente è una freccetta

Si differenzia dal numero solito, chiamato scala-re, poichè dotato di intensità (lunghezza dellafreccia), verso (senso freccia) e direzione.In questo nostro spazio noi possiamo dilatare il

AOA = (2,3)→

0

1

1 2 3 4 5

2

3

4

5

1⋅ =v vα β α β⋅( ) ⋅ = ⋅ ⋅( )v v

α α α⋅ +( ) = ⋅ + ⋅u v u v

α β α β+( ) ⋅ = ⋅ + ⋅v v v

∀ ∈ ∀ ∈α β, , ,K u v V

⋅ × →: K V V

+ × →:V V VK V, , ,+ ⋅( )

K , ,+ ⋅( )

vettore per una costante scalare come ci dice (2)o addizionare come dice (1) le freccette.In simboli matematici abbiamo che

Siamo quindi passati da uno spazio di punti aduno spazio di vettori

3 Dallo spazio vettoriale a “qualcosa di più”

Da sempre in matematica si passa dal semplice alcomplesso,andando sempre più in su nella gerar-chia delle proprietà di un oggetto.Estenderemo ora gli spazi vettoriali aggiungendoloro qualcosa “di più” e vedremo che questo “dipiù” sarà molto utile per svariati campi: la norma.La norma è quella che si potrebbe chiamare la“lunghezza di un vettore” (anche se poi si applicaanche alle matrici e in quel caso è più correttochiamarla distanza) e che si è abituati ad assimi-lare, inizialmente, al valore assoluto.Cosa che, in effetti, sulla linea reale corrispondeal vero.

Definizione di norma

In questa formula abbiamo X che è uno spaziovettoriale di tipo reale o complesso. Da questa de-finizione, come è ovvio aspettarci notiamo che lanorma è sempre positiva o nulla.Ecco le caratteristiche che troverete sull’etichettadella norma

• se e solo se x = 0(funzione definita positiva)

• per ogni scalare λ (omogeneità)

• (disu-guaglianza triangolare)x y x y x y X+ ≤ + ∈,per ogni

λ λx x=

x x X x≥ ∀ ∈ =0 0e

⋅ → +⎡⎣ ): ,X

x x

0 �

λλ

λ

v

v

v

vn n

1 1

� �

⎜⎜⎜

⎟⎟⎟

=⎛

⎜⎜⎜

⎟⎟⎟

v

v

w

w

v w

v wn n n n

1 1 1 1

� � �

⎜⎜⎜

⎟⎟⎟

+⎛

⎜⎜⎜

⎟⎟⎟

=+

+

⎛⎛

⎜⎜⎜

⎟⎟⎟

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Una volta definita la norma possiamo ampliare ilconcetto di spazio vettoriale anche ad oggetti chenon sono strettamente vettori. La norma e lo spazio su cui è definita danno vita al-lo spazio normato. Lo spazio normato si compor-ta a livello intuitivo come lo spazio a cui siamo abi-tuati poiché passiamo da valori assoluti a norme.Si può aggiungere un ulteriore piano alla nostraabitazione considerando uno spazio normatocompleto. Questo altisonante nome indica tuttele successioni che si possono formare, purché do-po un certo indice i loro elementi tendano a nondistinguersi più (successione di Cauchy), conver-gono ad un elemento dello spazio. Uno spaziosiffatto prende il nome di spazio di Banach e ri-copre un ruolo importante in molte teorie mate-matiche, come l’integrazione di Lebesgue, o inambito fisico.Se la norma definita nello spazio di Banach è in-dotta da un prodotto scalare, questo spazio è det-to spazio di Hilbert.Negli spazi di Hilbert possiamo avere le regole acui siamo abituati ma, in questo caso, con ogni ti-po di oggetto, dato che possiamo definire anchel’ortogonalità e gli angoli convessi.Tutti questi temi sono oggetto di ricerche recenti.

4 Le strutture dell’algebra: gruppi e anelli

Passiamo ora alla mansarda del nostro apparta-mento, una bella mansarda con piscina olimpio-nica, le strutture matematiche che sono alla basedi teorie come la geometria differenziale e la teo-ria dei numeri (sento un Fermat sussurrato o è so-lo il vento?): le strutture algebriche.So che il nome porta brutti ricordi a chi a scuola(o chi c’è ancora) non andava molto d’accordocon l’algebra. Ma noi tratteremo di alcuni con-cetti di algebra astratta che non è solo, anzi quasinon del tutto, fatta di ‘conti’, poiché, come dice-va un mio professore, “i conti della servetta li fapure una scimmia ammaestrata a schiacciarequalche tasto”.Finita questa digressione di tipo sentimentale,passiamo al vivo della questione.Come al solito cominciamo con la nostra belladefinizione, ebbene sì… la bellezza, ovviamenteformale, è uno dei motori della matematica.

Un gruppo è un insieme G munito di una ope-razione binaria *, che ad ogni coppia di elementia, b di G associa un elemento, che indichiamocon a * b, appartenente a G, rispettando i seguen-ti assiomi:G1) - proprietà associativa: dati a,b,c appartenen-ti a G, vale (a * b) * c = a * (b * c).G2) - esistenza dell’elemento neutro: esiste in G unelemento neutro e rispetto all’operazione *, cioètale che a * e = e * a = a per ogni a appartenentea G.G3) - esistenza dell’inverso: ad ogni elemento a diG è associato un elemento b, detto inverso di a ,tale che a * b = b * a = e.

Come possiamo notare a prima vista stiamo am-pliando il concetto di insieme ‘cucendogli’ sopraun’operazione binaria che, come un distributoreautomatico di caffè, accetta due elementi a e b diG e, dopo aver selezionato il tipo di prodotto(l’operazione), restituisce a*b.Ovviamente abbiamo a che fare con un oggettoche soddisfa proprietà appropriate come l’esisten-za di un elemento neutro (che molto ci ricorda lo0 dei numeri naturali/interi) o quella di un ele-mento inverso (che può essere, in analogia, -a).Ma per essere più pratici ecco alcuni esempi:• I numeri interi Z con l’addizione;• I numeri razionali Q\{0} con la moltiplicazio-

ne;• Il cubo di Rubick ha un suo gruppo;• I gruppi simmetrici che si ritrovano, ad esem-

pio, in chimica con le formazioni dei varicomposti:

L’ammoniaca NH3: è un gruppo, generato da una rotazione120° e una riflessione

Saliamo ora di livello e diamo più proprietà (assio-mi in realtà dato che non vengono dimostrati)

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Come notiamo compare la dizione gruppo abe-liano, cioè un gruppo nel quale vale la proprietàcommutativa che troviamo nei nostri conti dellaservetta.Anche per questa struttura diamo alcuni esempiinteressanti:• L’anello R degli interi positivi, negativi e 0 con

l’operazione ordinaria di somma come + e dimoltiplicazione come *;

• L’insieme dei numeri pari rispetto a moltipli-cazione e addizione è un anello commutativo;

• I numeri razionali.

L’insieme A, dotato di due operazioni binarie+ e ·, è un anello se valgono i seguenti assiomi:(A, +) è un gruppo abeliano con elemento neu-tro 0:• (a + b) + c = a + (b + c)• a + b = b + a• 0 + a = a + 0 = a

(A, ·) è un semigruppo:• (a·b)·c = a·(b·c)La moltiplicazione è distributiva rispetto allasomma:• a·(b + c) = (a·b) + (a·c)• (a + b)·c = (a·c) + (b·c)

Le relazioni devono valere per ogni a, b e c in A.

Questi e molti altri esempi ancora si possono fa-re ma la cosa importante è ricordare che i concet-ti di gruppo e anello sono nati storicamente daimolti esempi pratici e come modo per regolariz-zare le cose, come spesso si fa in matematica.Gli anelli poi si specificano in campi, moduli, anel-li quoziente, ideali… ma la cosa da tenere a menteè che, insieme ai gruppi, sono alla base delle teoriedi algebra astratta ma non solo; rientrano in geo-metria (il gruppo delle proiezioni, il gruppo dellerotazioni), algebra lineare, geometria differenziale,analisi (il semianello della teoria dell’integrazioneriemanniana) e chi più ne ha più ne metta.Sperando di avervi interessato un poco e non an-noiato troppo, ringrazio quelli che sono arrivatifino alla fine della lettura e vi saluto… alla pros-sima illuminazione!

Ringrazio i miei compagni di corso che mi hannoaiutato nella revisione di questo articolo.

Bibliografia consigliata e sitografia[1] Edoardo Sernesi, Geometria I Seconda Edizio-ne, Bollati Boringhieri[2] I.N Herstein, Algebra, Editori Riuniti[3] Gianni Gilardi, Analisi Matematica di Base,McGraw-Hill[4] Note di R. Schoof e B. van Geemen, disponi-bili in forma elettronica all’indirizzo: http://ma-te.unipv.it/cornalba/notealgebra.pdf

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Riassunto

In questo lavoro sono mostrate alcune correlazio-ni tra la matematica e la musica, riguardanti so-

prattutto il campo dell’armonia e dei temperamen-ti musicali. Molte questioni riguardanti la teoriamusicale sono state comprese e chiarite grazie al-l’intervento della matematica, che ha permesso dicapire meglio perché, ad esempio, certi suoni risul-tano piacevoli all’udito e altri sgradevoli (dissonan-ze). Non sono state approfondite le teorie usate disolito dai matematici per analizzare fenomeni pe-riodici quale è la musica (ad esempio l’analisi diFourier), ma è stata fatta una rassegna storica di co-me si sia evoluta la teoria dell’armonia musicale,evidenziando in particolare l’apporto che la mate-matica ha avuto in questo ambito nei vari periodistorici, mostrando parallelamente anche come sisia sviluppata la matematica nel tempo.

In this paper we analyze correlations between mathsand music, investigating the fields of harmony andmusical temperaments. Many topics regardingmusical theory was been understood by mathematics,allow us why some sounds results pleasant and otherunpleasant (dissonances). We don’t show the classicaltheories used by mathematicians for the descriptionof periodical phenomena, like music (i.e. Fourieranalysis), but we made an historical overview of theevolution of musical harmony theory, drawingattention on the aid of maths in this area in thehistorical periods, showing also the growth of mathsin centuries.

Armonie matematiche

La risposta alla domanda è abbastanza banale an-che per le persone che non hanno molta familia-rità con i numeri e con la matematica. Potrebbecapitare che non venga data sempre la stessa ri-sposta come ci si aspetterebbe e, forse meno ba-nalmente, non è detto che tra due risposte diver-se una sia giusta e l’altra errata. Esiste infatti una“classe” di professionisti che, per “deformazioneprofessionale”, risponderebbero molto probabil-mente istintivamente di no, pur essendo bravi inmatematica!Questi professionisti sono i musicisti: nella teoriamusicale con le frazioni vengono infatti indicatisolitamente i tempi dei brani musicali e in questocaso le due frazioni rappresentano due cose mol-to diverse tra loro, ben distinguibili anche daorecchi non specializzati nel settore. Le radici comuni delle due discipline risalgono almedioevo, con l’istituzione del trivium (ambitoumanistico: retorica, logica e grammatica) e delquadrivium (ambito scientifico), la matematica ela musica vennero accorpate in un unico grupporelativamente alla formazione scolastica prope-deutica a quella universitaria. Lo Schema 1 a pa-gina seguente mostra come in realtà la musicafosse una parte della matematica, la quale com-prendeva tutte le discipline studiavano i fenome-ni non mutevoli col tempo.

34

68

= ?

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111. Armonie matematicheIvano Bilotti, PhD1

1 Collaboratore a progetto presso il Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Facoltà di Chimica Industriale, Università degli Studi diBologna. [email protected], [email protected]

Nel corso dei secoli le correlazioni tra la matema-tica e la musica sono cambiate ma molte “que-stioni teoriche” riguardanti l’armonia musicalesono state “sbrogliate” grazie all’aiuto della mate-matica. Una delle più note è quella che riguarda itemperamenti, cioè l’accordatura degli strumentiatta a distribuire le dissonanze presenti tra i variintervalli musicali su tutta la scala musicale; que-ste dissonanze derivano dalla natura fisica delleonde sonore e dalla loro “associazione” nelle com-posizione musicale.Già dai tempi dei greci era noto che il rapportotra la frequenza di una nota e quella dell’ottavasuperiore è 2:1 (se una canna lunga l emette, peresempio, un do, la canna lunga l / 2 emette il dodell’ottava superiore e quella lunga 2l il do del-l’ottava inferiore).Altri rapporti noti ai greci, oltre all’ottava, eranola quinta perfetta (do-sol), che corrisponde ad unrapporto 3/2 tra le lunghezze e la quarta perfetta(do-fa), (il rapporto in questo caso vale 4/3).Molti secoli dopo Tolomeo scoprì altri intervalliimportanti per l’armonia musicale: quello di ter-za maggiore (do-mi, rapporto 5/4) e quello di se-sta maggiore (do-la, rapporto 5/3). Appare abbastanza evidente che tutti i principaliintervalli coinvolti in accordi consonanti (cioèche risultano piacevoli all’udito) sono connessi arapporti tra numeri interi ed in particolare risul-tano tanto più importanti quanto più piccoli so-no i numeri. Supponendo che il do abbia fre-quenza unitaria, tramite alcune semplici divisionisi ottiene la scala completa dei rapporti coinvoltiin un’intera ottava, come indicata nella tabella 1:

Tabella 1. Tabella dei rapporti in una ottava

Queste correlazioni matematiche non potevanopassare inosservate ai pitagorici e fu per questomotivo che Pitagora nel 6 sec. a.C. propose unascala musicale basata parzialmente su tali rappor-ti: costruì un’altra scala musicale usando solo irapporti tra le ottave e tra le quinte, quelli cioèconsiderati più consonanti. Nella tabella 2 sonoriportate le frequenze ottenute supponendo che ildo abbia frequenza unitaria; si ottiene:

Tabella 2. Scala musicale di Pitagora

In grassetto sono indicate quelle coincidenti conla scala naturale dei greci. Per costruire la tabellasi parte dalla frequenza del do, che supponiamoessere unitaria per semplicità, si moltiplica ognivolta per 3/2 e ci si sposta di una quinta; si ag-giunge quindi al denominatore un fattore 2 ognivolta che si passa all’ottava superiore (o al nume-ratore se si passa a quella inferiore): fa-do-sol-re-la-mi-si. La frequenza del fa si ottiene per esem-pio partendo dal do e andando indietro di unaquinta, quindi si divide per 3/2 e poi si moltipli-ca per 2 per riportarla alla giusta ottava.Appare evidente la progressione geometrica di ra-

do re mi fa sol la si do’

1 9/8 81/64 4/3 3/2 27/16 243/128 2

do re mi Fa sol la si do’

1 9/8 5/4 4/3 3/2 5/3 15/8 2

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Schema 1. La matematica comprendeva tutte le discipline che studiavano i fenomeni immutevoli nel tempo.

Matematicastudio dell’immutevole

Intensità(continuo)

Quantità(discreto)

Isolato(assoluto)

Non isolato(relativo)

In quiete(fermo)

In moto(in movimento)

Aritmetica Musica Geometria Astronomia

gione 9/8 tra i primi 3 termini (do-re-mi), cosìcome tra il quarto, il quinto ed il sesto (fa-sol-la).Questo ha un analogo musicale sulla tastiera delpianoforte: i tasti bianchi. Gli intervalli fa-sol esi-do non corrispondono ai precedenti, ma sonocorrelati da un rapporto di 256/243 (in entrambii casi!); anche questo ha lo stesso analogo sulla ta-stiera del pianoforte (tasti neri, ovvero dei semi-toni). Possiamo perciò concludere che la scala pi-tagorica fu la prima a mostrare la differenza tratoni e semitoni. Se si prosegue la scala preceden-te tornando di nuovo al fa, si ottiene un valore di729/512, diverso dal 4/3 indicato. Questo puòessere generalizzato in quanto non è possibile co-prire un esatto numero di ottave andando avantio indietro per quinte. La cosa appare immediatatrasponendo le note in numeri, ovvero dimo-strando che l’equazione:

(3/2)n = 2m

non ammette soluzioni tra i numeri naturali, cioènon è possibile coprire esattamente un intervallodi ottave con quello di quinte. Questa disugua-glianza è alla base di quella che è nota come spi-rale delle quinte: in pratica non si riesce mai achiudere una scala in maniera ciclica procedendoper quinte, graficamente vengono rappresentatein quella che è nota come spirale delle quinte:

Figura 1. La spirale delle quinte.

Questa scoperta mise in crisi i pitagorici ed il si-stema musicale di allora. Pitagora notò anche em-piricamente la cosa, ma fu Archita (della stessascuola) a farne una trattazione rigorosa, osservan-do che in 7 ottave ci sono 12 quinte, perché ci so-

no 12 semitoni in un’ottava e in una quinta 7;sperimentalmente osservò che dimezzando di 7volte una colonna (o una corda) di uno strumen-to musicale si ottiene un suono nettamente diver-so da quello ottenuto diminuendola di 12 voltedi un terzo cioè, in termini teorici, salire di 12quinte e scendere successivamente di 7 ottavenon fa tornare al punto di partenza. La differen-za risulta essere, in termini di frequenza, pari a:

pari a circa un quarto di semitono nel temperamen-to “moderno”, ben udibile al nostro orecchio, an-che se non siamo direttori d’orchestra e non abbia-mo l’orecchio assoluto. Si può giungere allo stessorisultato ragionando in maniera più “algebrica”. Da quanto detto precedentemente parlando del-la scala pitagorica, si deduce che salire di un tonoin essa corrisponde a moltiplicare per 9/8 la fre-quenza della nota di partenza; ragionando quindisempre per successioni geometriche, un semitonodovrebbe corrispondere alla radice quadrata deltono, ovvero:

quindi salire di 2 semitoni non è come salire diun tono, e la differenza è:

come visto anche sopra. Questa differenza viene chiamata comma diato-nico o pitagorico.Anche in questo caso, così come nella scopertadell’incommensurabilità della diagonale del qua-drato rispetto al suo lato, fu per cause correlate al-l’irrazionalità dei numeri (della anche inquesto caso!) a demolire le teorie pitagoriche ba-sate sui numeri naturali.La questione diventa ancora più complessa nelmomento in cui si considerano le note alteratecon diesis e bemolli (i greci non usavano le alte-razioni). Riprendiamo la tabella 1 ed espandia-mola moltiplicando o dividendo per 3/2 se ci sisposta rispettivamente verso destra o verso sini-stra, come indicato nella tabella 3:

2

98

243256

32

212

19

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

=

98

3

2 2

34

2256243

= = ≠

32

12

32

1 013612 7

12

19

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟

= ≈ . ...

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32

3

Questi valori vanno poi corretti di un fattore 2ogni volta che si passa da un’ottava ad un’altra.Prendendo in considerazione, per esempio, il rap-porto tra reb e do#, si ha:

reb =

do# =

quindi si ha:

cioè, tornando agli intervalli:

reb + comma = do#

da questa relazione derivano 2 cose:1) la differenza tra le 2 note è un comma;2) il bemolle risulta più grave del diesis.

Questa trattazione si può generalizzare ad ogninota alterata, ottenendo alla fine:

tono = bemolle + comma + diesis = = semitono + comma + semitono

La scala pitagorica, per coprire completamentetutte le note alterate, richiederebbe quindi 21 ta-sti, invece dei 12 comuni: si devono sdoppiaretutti i tasti che differiscono di un semitono. Lacosa sarebbe ancora più complessa qualora si do-vessero considerare le doppie alterazioni, in quan-to ciascuna singola alterazione dovrebbe esserenuovamente sdoppiata.

do-si# reb-do# re mib-re# fab-mi fa-mi# solb-fa#

sol lab-sol# la sib-la# dob-si

Scala pitagorica alterata

I problemi connessi alla scala pitagorica venneroaffrontati dai teorici dell’epoca e uno dei più im-portanti cambiamenti fu apportato da GioseffoZarlino nel XVI sec., il quale modificò il sistema

23

23

23

18

5

11

7

19

12⋅ = =

comma

2187128

116

21872048

32

7

11⋅ = =

32243

8256243

23

8

5⋅ = =

pitagorico, passando ad uno nuovo basato su1:2:3:4:5:6 (quello pitagorico era basato sulla te-trachys pitagorica 1:2:3:4). Il sistema zarliniano era quindi basato sulla scom-

posizione dell’intervallo di quinta perfetta

in uno di terza maggiore e uno di terza minore

. Facendo un rapido calcolo per confrontare i

vari rapporti, si ottiene infatti:

,

cioè:20:24:25:30

che può essere visto come la suddivisione dellaquinta sia attraverso una serie aritmetica(20:25:30), in una terza maggiore più una terzaminore, sia attraverso una serie armonica(20:24:30), in una terza minore più una terzamaggiore. Il sistema zarliniano sostituì la quarta del sistema

pitagorico con una terza pura , che non piaceva

invece ai pitagorici perché nella loro scala la terzaera dissonante, così come lo è in questo caso perla quarta.La scala zarliniana era quindi basata su 3 interval-li fondamentali: ottava, quinta e terza:

Tabella 4. Parte della scala zarliniana

Partendo da questi, si può ottenere l’intera scalazarliniana:

Tabella 5. La scala zarliniana per intero.

nota do re mi fa sol la si do

rapporto 1 9/8 5/4 4/3 3/2 5/3 15/8 2

intervallo Ottava Quinta terza

Rapporto 2:1 3:2 5:4

54

165

54

32

: : :

65

54

64

32

=

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… reb lab mib sib fa do sol re la mi si fa# do# …

… 32/243 16/81 8/27 4/9 2/3 1 3/2 9/4 27/8 81/16 243/32 729/64 2187/128 …

Tabella 3. Tabella dei rapporti con diesis e bemolli

Si parte ad esempio collegando tra loro sol-si-re(dell’ottava superiore), considerando che tra leprime 2 note si ha un intervallo di terza, mentretra il sol e il re c’è una quinta. Il re dovrà poi es-sere riportato all’ottava sotto, dividendo per 2.Partendo invece dal do dell’ottava sopra, si scen-de di una quinta e si ottiene il fa e successivamen-te, da questo con una terza, si arriva al la. Facendo ora un confronto con la scala pitagorica,si osserva che, confrontati con il do, i rapporti delre, del fa e del sol sono uguali nelle 2 scale, men-tre quelli di mi, la e si risultano diversi. Le diffe-renze risultano uguali tra loro e vengono chiama-te comma sintonico, o di Didimo (Didimo fu ilprimo a studiare il sistema zarliniano):

che differisce dal comma pitagorico di 0.0011,una quantità non apprezzabile al nostro orecchio.La scala zarliniana risulta ben più complessa diquella pitagorica, in quanto presenta due diversitoni (definiti tono maggiore, corrispondente adun rapporto di 9/8, e tono minore, corrisponden-te ad un rapporto di 10/9) e da un solo semitono(16/15); in questa scala inoltre, il semitono noncorrisponde alla metà di nessuno dei toni presen-ti. Il comma sintonico aiuta a mettere un po’d’ordine in questa scala: sia la differenza tra il to-no pitagorico (o il maggiore zarliniano) e quellominore zarliniano, che la differenza tra il semito-ni delle 2 scale, corrisponde ad un comma sinto-nico; infatti si ha:

comma sintonico

Un altro problema presentato da questa scala è chele quarte e le quinte non sono tutte perfette: adesempio, il valore dell’intervallo re-la risulta essere:

diverso dal 3/2 previsto per la quinta. Un esem-pio, ancora più noto forse, per quanto riguarda lequarte, è dato dall’intervallo fa-si:

tritono158

34

4532

98

98

109

⋅ = = ⋅ ⋅ =

53

89

4027

1 48132

⋅ = = ≠.

98

910

243256

1615

8180

⋅ = ⋅ = =

8164

45

2716

35

243128

815

32 5

1 01254

4⋅ = ⋅ = ⋅ = ≈ .

Il tritono era definito il diabolus in musica daiteorici del Medioevo, e quindi “proibito” nellateoria musicale dell’epoca.La situazione si complica ulteriormente quandosi considera la scala cromatica zarliniana, doven-do utilizzare ben 3 diversi rapporti tra le note al-terate adiacenti, in quanto i rapporti tra diesis ebemolle cambiano se si tratta un tono maggiore,uno minore o un semitono, portando ad una ta-stiera a 21 tasti per esprimere tutte le alterazioni,come nella scala pitagorica.Altri studi furono fatti nel corso dei secoli: Hen-ry Arnaut, ad esempio, a metà del XV sec. cercòdi costruire una scala “intermedia” tra la pitagori-ca e la zarliniana: mantenne tutte le quinte pure(come risultano nella scala pitagorica) eccettouna, scaricando su essa tutte le dissonanze (nellascala zarliniana le quinte sono dissonanti); il ri-sultato fu che questa somma di dissonanze su unsolo intervallo diventa così sgradevole per l’orec-chio, da rendere quasi insopportabile il risultato,in quanto molto vicina all’ ululato di lupo (si-fa#,detta appunto quinta del lupo).Un passo avanti fu fatto distribuendo il commasintonico presente nella scala zarliniana nellaquinta re-la, anche su altre 3 quinte: fa-do, do-sole sol-re, ottenendo quindi un comma che risultaessere un quarto di quello zarliniano:

essendo sempre in scala logaritmica, un quarto dicomma viene “trasformato” nella radice quartadel comma pitagorico. Questo comma fu chia-mato comma mesotonico.Le quinte in questa nuova scala risultano quindiessere uguali ad una quinta pura meno un quartodi comma sintonico, ovvero:

Gli altri intervalli principali (ottava e terza) dellascala zarliniana vengono invece lasciati immutati.Si ottiene quindi la seguente scala, detta scala me-sotonica, o temperamento mesotonico:

32

2 53

54

4⋅ =

8180

3

2 54

4=

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Tabella 6. Scala mesotonica

I rapporti tra le note consecutive diventano cosìregolari, com‘erano nella scala pitagorica e risol-vendo i problemi (parzialmente, in realtà) dellascala zarliniana. Si ha infatti:

Tabella 7. Rapporti tra le note nella scala mesotonica

Un tono in questa scala corrisponde a:

In cui:

sezione aurea.

La sezione aurea era ben nota ai matematici per lesue numerose proprietà; era già conosciuta agliantichi greci, che la chiamarono così per l’armo-nia e la bellezza delle proporzioni che risultavanonelle costruzioni ogni volta che le lunghezze risul-tavano correlate tra loro dalla sezione aurea; scel-sero infatti di indicarla con la lettera φφ in onoredi Phydia, che costruì il Partenone di Atene se-guendo le proporzioni auree. Purtroppo in que-sto caso la sezione aurea non fu d’aiuto per i teo-rici della musica ed anche questa scelta fu abban-donata in breve tempo; infatti, un semitono noncorrisponde alla metà di un semitono, quindiquando si costruisce la scala cromatica, si hannoancora diesis e bemolli distinti.Verso la fine del XVII sec. e nel secolo successivo,si svilupparono altri temperamenti con l’obietti-vo principale di semplificare le scale cromaticheche ne risultano. Si fecero moltissimi tentativi (ilpiù importante dei quali, probabilmente, fu quel-lo di Workmeister, che sviluppò il cosiddetto

φ = + =5 12

52

5 1 12

= + − = − 12

φ

intervallo do-re re-mi mi-fa fa-sol sol-la la-si si-do

rapporto 52

52

8

5 54

52

52

52

8

5 54

nota do re mi fa sol la si do

rapporto 15

2

54

2

5454

5

2 54

5 54

4

2

buon temperamento), ma solo uno è quello attual-mente usato nelle moderne scuole musicali e diliuteria: il temperamento equabile.Ci sono in realtà tracce storiche di questo tempe-ramento risalenti ai tempi dei greci ( Aristosseno,VI sec.a.C) e sviluppato da Mersenne e Galilei(padre di Galileo) tra il XVI ed il XVII sec. Neltemperamento equabile, come si potrebbe dedur-re dal nome, il comma sintonico viene ripartitosu tutti i 12 semitoni presenti in un’ottava; si haquindi:

Le quinte della scala temperata saranno quindiuna quinta pura meno 1/12 di comma diatonico:

ottenendo così la scala temperata:

Tabella 8. Scala temperata.

In questa scala i rapporti tra note consecutive ri-sultano perfettamente regolari, così come d’al-tronde era per la scala mesotonica:

Tabella 9. Rapporti tra le note nella scala temperata.

In questo caso però, a differenza dei precedenti,un semitono corrisponde alla metà di un tono!Questa regolarità nei rapporti tra semitoni con-secutivi permette di rappresentare la scala tempe-rata cromatica attraverso una spirale che, a diffe-renza di quella del ciclo delle quinte, risulta loga-ritmica, grazie proprio alla regolarità degli inter-valli.

intervallo do-re re-mi mi-fa fa-sol sol-la la-si si-do

rapporto 2122( ) 212

2( ) 212 2122( ) 212

2( ) 2122( ) 212

nota do re mi fa sol la si do

rapporto 1 2122( ) 212

4( ) 2125( ) 212

7( ) 2129( ) 212

11( ) 2

32

2 2

32

127

127

⋅( )

= ( )

32

3

2 2

12

1912

127=

( )

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Figura 2. Spirale logaritmica.

La regolarità della scala temperata permette quin-di di coprire tutti i semitoni presenti in un’ottavausando 2 diversi intervalli: le quarte e le quinte.Questa bivalenza ha di nuovo origini matemati-che: in un’ottava ci sono 12 semitoni, in unaquarta 5 e in una quinta 7. A primo avviso si po-trebbe pensare che la cosa funzioni perché12 = 5 + 7, mentre deriva dal fatto che 5 e 7 so-no primi con 12 (ovvero non hanno alcun diviso-re in comune con 12, escluso 1), quindi muoven-dosi per quinte, ad esempio, si coprono 7 ottaveper ottenere tutti i semitoni, poi si ha una ripeti-zione periodica della sequenza; in modo analogosi può fare con le quarte. Gli altri unici numeri adessere primi con 12 sono 1 e 11, che corrispon-dono al salire (1) o scendere (11) di un semitonoalla volta, corrispondenti alle soluzioni banali (ingergo matematico) del problema.Dalle correlazioni tra i toni usate nel tempera-mento equabile deriva, ad esempio, la forma clas-

sica del pianoforte a coda e di molti altri stru-menti anche non a corda (flauto di pan).Esistono moltissime altre connessioni tra mate-matica e musica: considerando che la musica èfatta di suoni che si ripetono in modo regolarenel tempo, un potente strumento matematico peranalizzarla è costituita dall’analisi di Fourier. Al-tre aree di sovrapposizione meno immediate sihanno, ad esempio, nel campo della simmetria,applicando quindi la teoria dei gruppi alle com-posizioni musicali, e trovando notevoli connes-sioni con le sensazioni ricavate a livello di ascol-to, specialmente in ambito classico. Al giornod’oggi, grazie allo sviluppo della tecnologia elet-tronica, molti strumenti musicali “classici” sonodiventati “elettronici”, sfruttando tutte le tecni-che di codifica del segnale acustico sotto forma disegnale elettronico.

BIBLIOGRAFIA[1] Frova A., Fisica nella musica, Zanichelli, Bo-logna 1999[2] Odifreddi P., Penna, pennello e bacchetta. Le3 invidie del matematico, Laterza, Bari, 2005[3] Hammel Garland T., Vaughan Kahn C.,Math and music, harmonious connections, DaleSeymour Publications, Palo Alto, CA, USA 1995

INTERNET[4] http://www.maths.abdn.ac.uk/~bensondj/html/music.pdf[5] http://fisicaondemusica.unimore.it/[6] http://upload.wikimedia.org/wikipedia/com-mons/4/44/Logarithmic_spiral.png

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ABSTRACT

In questo articolo si presenta un noto algoritmodi clustering che si chiama k-means, inserendolonel contesto dell’analisi dei dati non tradizionale(Data Mining). Attraverso questa divulgazione, sispera di stimolare la curiosità dei lettori su questatecnica e sul Data Mining. Si utilizza il softwareGeogebra per la geometria dinamica, adoperan-dolo per le rappresentazioni grafiche e per alcunicalcoli elementari.

1 Introduzione alle tecniche di data mining

Nel 1900, al primo congresso mondiale deimatematici, David Hilbert, uno dei mate-

matici più produttivi allora viventi, mise insiemein un elenco i problemi più importanti (in tutto23) che la matematica aveva avanti a sé all’alba delsecolo XX [1]. Oggi un compito del genere nonpotrebbe più essere svolto da un solo matematico,per quanto brillante; la specializzazione è così spin-ta che un Hilbert del 2000 non esiste, né è possi-bile che esista.

La matematica oggi ha molte incarnazioni e tro-va applicazioni in moltissimi settori. Ad esempio,la maggior parte degli internauti, probabilmente,non sa che dietro a ciascun click del loro mousevi sono anni di ricerche matematiche che hannoorigini antichissime e diversi obiettivi. Questo articolo descrive una tecnica algoritmicache è entrata a far parte dei metodi di Data Mi-ning (DM) e che si chiama Clustering. Il termi-ne “Data Mining” è basato sull’analogia delleoperazioni dei minatori che “scavano” all’internodelle miniere grandi quantità di materiale di po-co valore per trovare l’oro. Nel DM questo “oro”è l’informazione, precedentemente sconosciuta enon distinguibile, il materiale di poco valore so-no i dati e le operazioni di scavo sono le tecnichedi esplorazione dei dati. Il DM si può collegare a vari settori del sapere co-me la Teoria dell’Informazione, il Calcolo Nume-rico, l’Intelligenza Artificiale (in particolare ma-chine learning, pattern recognition), la StatisticaMetodologica (con particolare riferimento allastatistica computazionale e multivariata), il Cal-colo delle Probabilità, e le discipline economico-

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112. Data Mining: esplorando le minierealla ricerca della conoscenza nascosta

Clustering con l’algoritmo k-means

di Gaetano Zazzaro1

1 Ricercatore tecnologie software Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (C.I.R.A.) [email protected]

L’uomo è confinato nei limiti angusti del corpo,come in una prigione, ma la matematica lo libera,

e lo rende più grande dell’intero universo. […]Sballottato qua e là, senza meta, dalla tempesta

delle passioni, la matematica gli restituiscela pace interiore, risolvendo armoniosamente

i moti opposti dell’anima, e riconducendola,sotto la guida della ragione, all’accordo e all’armonia.

Pietro Ramo, Institutiones dialecticae

aziendali, specialmente nell’ambito del marketinge dell’organizzazione aziendale. Molte di questetecniche, ai tempi di Hilbert, erano solo al lorodebutto.La nostra vita quotidiana è sempre più condiziona-ta dai prodotti dell’informatica e delle tecnologie.In questa società dell’informazione, le organizza-zioni (come le aziende, i centri di ricerca, le ban-che, i centri di analisi statistica, etc. etc.) hanno adisposizione enormi quantità di dati, non solo re-lativi a se stesse, ma anche riguardanti l’ambientenel quale si trovano ad agire. Infatti, si stima che,approssimativamente, ogni 1100 giorni, nel mon-do, le informazioni memorizzate in formato elet-tronico raddoppino di volume; siamo sommersidai dati provenienti dalle fonti più disparate: datinumerici provenienti, ad esempio, dai satelliti, op-pure da sensori di qualsiasi natura, come quelli cherilevano movimenti tellurici o dati meteorologici;e dati testuali, non strutturati, provenienti, adesempio, da siti web, agenzie stampa, e-mail, fo-rum, mailing list, newsgroup, etc. Inoltre, negli ul-timi decenni la tecnologia si è sviluppata con rapi-dità esponenziale, e con essa le tecniche di archi-viazione, memorizzazione, interrogazione e rap-presentazione di questo enorme flusso di dati.Dunque, se da un lato le aziende, oppure gli entidi ricerca (etc.), hanno a disposizione una enormequantità di dati dettagliati e di testi, dall’altro risul-ta sempre più difficile districarsi tra le informazio-ni rilevanti e quelle superflue.È così emersa l’esigenza di creare dei metodi discoperta automatica di conoscenza nelle grandibasi di dati; metodi capaci, ad esempio, di discer-nere le informazioni utili dal rumore. In breve, idati vengono sottoposti ad un processo di analisial fine di trasformarli in conoscenza utile alleaziende per supportare decisioni e intraprenderesoluzioni più efficaci, ovvero veloci, economica-mente sostenibili e tecnologicamente possibili. I filosofi dell’informazione amano affermare che idati restano semplici dati finché non vengono ge-stiti, ossia organizzati in maniera significativa,oppure strutturati, oppure classificati, divenendosolo a quel punto informazione e quindi cono-scenza. Da questo assunto (primitivo) risulta ne-cessario ricercare strutture per l’organizzazioneintelligente e fruibile dei dati stessi. Intelligentenel senso che tale organizzazione deve seguire re-

gole prestabilite, condivise e facilmente compren-sibili dall’utente.Un processo di elaborazione avanzata e di analisialternativa dei dati è il DM, il cui scopo principa-le consiste nel recuperare l’informazione nascostain database di grosse dimensioni. In particolare, il DM si pone come quel processoche impiega una o più tecniche di apprendimen-to computerizzate per l’analisi automatica el’estrazione di conoscenze dai dati che altrimentisfuggirebbero alla capacità analitica dell’essereumano.Il DM, dunque, si pone come processo di selezio-ne, esplorazione e modellazione di grosse massedi dati, al fine di scoprire strutture, regolarità orelazioni non note a priori, e allo scopo di ottene-re un risultato chiaro e utile al proprietario deldatabase. Tali strutture ottenute si collocano co-me complementari ai tradizionali modelli specifi-ci del dominio di applicazione.Infatti, le tecniche statistiche tradizionali di ana-lisi dei dati, come ad esempio la regressione, ven-gono utilizzate per cercare conferma a fatti chel’utente ipotizza o già conosce. Il maggiore incon-veniente di questo metodo è la grossa difficoltàcon cui si riescono a ricavare nuove conoscenze.Infatti, essendo il database molto grande, l’uten-te non riesce ad averne una visione completa, percui possono sfuggire delle regolarità, o delle sim-metrie, o delle strutture che all’elaborazione auto-matica si spera non sfuggano.Con le tecniche di DM l’utente cerca tra i dati in-formazioni che egli ignora a priori e che possonoaccrescere il bagaglio di conoscenze: il sistemascopre automaticamente importanti informazio-ni nascoste tra i dati. I dati vengono analizzati perindividuare pattern frequenti, regole di associa-zione, valori ricorrenti, senza alcun interventodell’utente, al quale resta comunque il compito divalutare l’effettiva importanza delle informazioniricavate automaticamente dal sistema. Come accennato, il DM si avvale di numerosetecniche che hanno origine in vari settori dellamatematica, dell’informatica e della statistica. Trale tecniche maggiormente utilizzate vi sono: clu-stering, reti neurali, reti bayesiane, alberi di deci-sione, apprendimento genetico, analisi delle asso-ciazioni, etc. e ciascuna di esse comprende un va-sto insieme di metodi e di algoritmi.

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Nella precedente Figura 1 sono schematizzate letecniche di DM più diffuse, suddivise in tecnichebasate su apprendimento supervisionato e tecni-che non-supervisionate come il clustering.Gran parte dei progetti di DM sono supervisio-nati, il loro obiettivo è quello di generare previ-sioni, stime, classificazioni o caratterizzazioni re-lativamente al comportamento di alcune variabi-li target già individuate in funzione di variabili diinput. Ovvero, nei metodi di apprendimento su-pervisionato, il dataset contiene l’etichetta che in-dica la classe da apprendere e i nuovi dati sonoclassificati sulla base di quello che l’algoritmo ap-prende.Il clustering, o analisi di raggruppamento, ogget-to di questo articolo, è una tecnica fondamentaledi DM che fa parte dei metodi non-supervisiona-ti, nei quali non esiste una variabile target da pre-vedere. In questo caso, un’applicazione del DMnon-supervisionato consiste nella suddivisione diun set di dati complesso in una serie di subset piùsemplici, i cluster appunto, al fine di permettere

a tecniche supervisionate, come ad esempio le re-ti bayesiane o gli alberi di decisione, di trovarecon maggiore facilità una spiegazione del com-portamento di una variabile target all’interno diciascun cluster ottenuto. In questo senso, il clu-stering può essere considerato sia come tecnicaconsistente ed autonoma in seguito alla quale va-lutare dei risultati ottenuti, sia come premessa adaltre tecniche di DM più avanzate e adatte al do-minio di applicazione.Il processo globale di analisi di grossi database fi-nalizzata ad estrarre della conoscenza nascosta ènoto come Knowledge Discovery in Databases(KDD) in cui il DM rappresenta la fase di mo-dellazione, anche se i due termini, ossia KDD eDM, sono diffusamente e impropriamente intesicome equivalenti. Il KDD è l’intero processo au-tomatico di scoperta ed individuazione di strut-ture all’interno dei dati, dalla selezione ed il pre-processing dei dati, fino alla interpretazione e va-lutazione dei risultati del modello ottenuto conl’applicazione di un algoritmo di DM.

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TECNICHE DI DATA MINING

Supervisionate

Alberi decisionali

Reti Bayesiane

Regole associative

Reti neurali

Non-Supervisionate Clustering

Figura 1. Tecniche di Data Mining

Figura 2. Knowledge Discoveryin Databases (KDD) Process

In Figura 2 è schematizzato il processo KDD, sot-tolineando il suo aspetto iterativo ed incrementale.

2 Cluster Analysis

In questo articolo si discuterà di un metodo di clu-stering detto partizionante, talvolta chiamato an-che “semplice”, che può essere realizzato con il no-to algoritmo k-means (o delle k-medie) sviluppa-to per la prima volta da MacQueen nel 1967 [3].In linea generale, partendo da un dataset, il cluste-ring si propone di individuare delle regioni distintenelle quali raggruppare dati in modo tale che i datiall’interno di una stessa regione siano simili tra lo-ro rispetto ad un criterio (metrica) scelto inizial-mente, mentre quelli in regioni differenti siano dis-simili tra loro. In seguito alla realizzazione di questeregioni o cluster, è l’utente esperto di dominio, gra-zie all’aiuto di una o più tecniche di valutazione,che decide il significato di tali raggruppamenti.La cluster analysis ha trovato applicazioni in varisettori, come in economia, nel marketing, nelcampo delle assicurazioni, nella computer grafica,o nei motori di ricerca. Infatti, i risultati di un

motore di ricerca possono essere sottoposti adanalisi di raggruppamento in modo da mettere inun unico cluster le risposte tra loro simili, presen-tando in tal modo meno alternative all’utente.Il clustering può essere utilizzato come tecnica dipreprocessing dei dati e per scoprire al loro inter-no eventuali strutture. Può essere utile prima diutilizzare una tecnica di apprendimento supervi-sionato (come reti bayesiane, alberi decisionaliinduttivi, etc…). L’algoritmo k-means, archetipo dei metodi diraggruppamento, è un algoritmo di clusteringche permette di suddividere gruppi di oggetti ink partizioni sulla base dei loro attributi. Ogni clu-ster viene identificato mediante un centroide opunto medio. L’algoritmo segue una proceduraiterativa.In figura 3 è schematizzato l’algoritmo k-means.In input si ha il dataset dei record da raggruppa-re; l’algoritmo chiede in ingresso anche dei para-metri, come il numero k, la funzione di media ela metrica da utilizzare.L’algoritmo può essere illustrato attraverso la se-guente schematizzazione:

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ALGORITMO K-means

k metrica

funzione di media

INPUT OUTPUT

Record k Cluster➨ ➨

AF

CD

H

B GI E

E

A GCF

H

IBD

Figura 3. Schema dell’algoritmo

Schema 1. Algoritmo k-means

1. Scegliere un valore di k il numero totale di cluster da determinare.2. Scegliere in modo casuale (spesso utillizzando un generatore di numeri pseudocasuali) k dati nel da-

taset. Questi sono i centri iniziali (baricentri) dei cluster.3. Utilizzare la distanza euclidea per assegnare i restanti dati ai centri dei cluster più vicini. 4. Utillizzare i dati in ogni cluster per calcolare una nuova media di ogni cluster.5. Se le nuove medie sono identiche a quelle calcolate in precedenza, il processo termina; altrimenti,

utilizzare le nuove medie come centri dei cluster e ripetere i passi da 3 a 5.

Come criterio di valutazione generale, una cluste-rizzazione ottimale per l’algoritmo k-means è defi-nita come una clusterizzazione che presenta il va-lore minimo della somma dei quadrati delle diffe-renze degli errori fra le osservazioni e i centri deicluster di appartenenza. Trovare una clusterizzazio-ne ottimale per un dato valore di k è quasi impos-sibile dal momento che bisognerebbe ripetere l’al-goritmo per ognuna delle possibili scelte dei centriiniziali dei cluster. Anche per poche centinaia diosservazioni non sarebbe pratico applicare k-meanspiù volte. Piuttosto, è prassi comune scegliere uncriterio di conclusione dell’algoritmo, come un va-lore massimo accettabile per l’errore quadratico edeseguire l’algoritmo finché il risultato raggiuntonon soddisfa il criterio di conclusione prestabilito.

3 Esempio: Clustering di un dataset numerico

Si applica ora, costruttivamente, l’algoritmo pre-sentato al paragrafo precedente ad un dataset nu-merico.Si consideri il dataset della seguente Tabella 1.

Tabella 1 – Dataset numerico

Ciascuno di questi punti, o record, può essererappresentato nel piano euclideo utilizzando, ad

x y

A 1 2

B 1.5 1

C 2 1

D 1 1.5

E 4 2

F 2 4

G 5 2

H 5 1

I 3 4

J 0.5 2.5

K 4 3

L 2 3

M 1 4

N 1.5 2

O 5 4

esempio, un software di geometria dinamica difacile reperibilità come Geogebra [7].L’obiettivo che si intende perseguire è raggruppa-re in sottoinsiemi i punti tabulati sfruttando del-le proprietà della geometria euclidea, e seguendodei semplici passi che ripercorrono uno degli al-goritmi di clustering più famosi ed utilizzati cheè il k-means.La prima scelta da fare riguarda il numero k deicluster che si intende ricavare; nel caso dell’esem-pio considerato, viene scelto k=3. Il secondo passo consiste nello scegliere casual-mente k punti del dataset, i quali rappresenteran-no i centroidi (o centri, o semi, o baricentri) ini-ziali (ma alcune versioni dell’algoritmo k-meansscelgono casualmente i centroidi non tra i puntidel dataset, ma all’esterno, cioè come nuovi pun-ti non coincidenti con quelli del dataset). Ognicentroide rappresenta un cluster in embrione conun unico elemento. Si scelgono, ad esempio, ipunti B(1.5,1), E(4,2) e L(2,3).Altra scelta da effettuare riguarda la metrica. Inquesto caso, ed è una possibilità molto seguita, siconsidera la distanza euclidea:

,

dove P e Q sono generici punti del piano.In Figura 4 sono rappresentati i punti della Tabel-la 1, dove sono stati evidenziati i tre centroidi ini-ziali, ossia i punti B, E ed L, congiungendoli tra lo-ro con dei segmenti, formando così un triangolo.Il passo successivo dell’algoritmo consiste nell’as-segnare i rimanenti punti del dataset ai clusterche per il momento sono costituiti, come visto,dai soli centroidi.Ad esempio, per decidere a quale cluster appar-terrà il punto J(0.5,2.5), vengono confrontate ledistanze d (J, B), d (J, L), e d (J, E). Si ottiene che:

Essendo , il punto Jviene assegnato al cluster di cui L è il centroide.Lo stesso procedimento seguito per il punto Jpuò essere ripercorso per ogni punto del dataset

d J L d J B d J E( , ) ( , ) ( , )< <

d J E( , ) ( . ) ( . ) . . .= − + − = + =0 5 4 2 5 2 12 25 0 25 3 532 2

d J L( , ) ( . ) ( . ) . . .= − + − = + =0 5 2 2 5 3 2 25 0 25 1 582 2

d J B( , ) ( . . ) ( . ) . .= − + − = + =0 5 1 5 2 5 1 1 2 25 1 82 2

d P Q x x y yP Q P Q

( , ) ( ) ( )= − + −2 2

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41

originario, calcolando cioè, per ciascun punto, tredistanze, una da ciascun centroide. La scelta chesi segue consiste, quindi, nel “popolare” man ma-no i cluster con gli altri record del dataset.È possibile, però, seguire un procedimento piùveloce, che si basa sulle proprietà geometrichedell’asse di un segmento euclideo. Ricordiamoche l’asse di un segmento è la perpendicolare con-dotta nel punto medio del segmento stesso.L’asse di un segmento ha una notevole proprietà: co-munque si consideri un suo punto, esso risulta equi-distante dagli estremi del segmento considerato. Si deduce anche che l’asse di un segmento suddi-vide il piano in due semipiani α e β, come in Fi-gura 5; ciascun punto P di α è più vicino all’estre-mo A rispetto all’estremo B, e ciascun punto di βè più vicino all’estremo B rispetto all’estremo A.

Figura 5– Asse del segmento AB

Quest’ultima proprietà può essere utilizzata persemplificare i calcoli dell’algoritmo di clustering.Utilizzando le funzionalità di Geogebra, si rap-presentano i tre assi dei segmenti BE, EL e LB,come mostrato nella successiva Figura 6.

αP

a

Asse di AB

A B

β

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Figura 4 – Rappresentazione nel piano dei pun-ti di Tabella 1

Figura 6 – Prima formazione dei tre cluster

42

Il punto J, prima considerato, si trova collocatoalla destra dell’asse del segmento BL, dunque vie-ne attribuito al cluster di cui L rappresenta il cen-troide, così come determinato per via analiticaprecedentemente. Inoltre, ad esempio il punto C,essendo alla destra dell’asse del segmento EB (op-pure, equivalentemente, C si trova alla sinistradell’asse del segmento BE, è una questione di

punti di vista), viene assegnato al cluster di cui Bè il centroide. I tre cluster sono stati colorati di-versamente. Ma è da sottolineare che ciascun clu-ster è formato da una quantità discreta di punti.Nella successiva Tabella 2 vengono riassunti i trecluster ottenuti dove vengono evidenziati i cen-troidi iniziali scelti.

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x y

A 1 2

B 1.5 1

C 2 1

D 1 1.5

N 1.5 2

Cluster 1

x y

K 4 3

G 5 2

H 5 1

E 4 2

O 5 4

Cluster 2

x y

F 2 4

I 3 4

J 0.5 2.5

L 2 3

M 1 4

Cluster 3

Tabella 2 – Il contenuto dei tre cluster

Il passo successivo dell’algoritmo consiste nel calcolare la media (da cui means) di ciascun cluster ottenu-to in precedenza. La funzione media che viene scelta è la media aritmetica. Si ha dunque:

I tre centroidi sono M1 (1.4,1.5), M2(4.6,2.4) e M3(1.7,3.5) e nessuno di questi coincide con alcun pun-to del dataset. I tre punti così ottenuti costituiranno i tre nuovi centroidi rispetto ai quali verrà iterato ilprocedimento analitico dei calcoli delle distanze euclidee, oppure il procedimento grafico delle costruzio-ni degli assi dei segmenti congiungenti i tre centroidi.

M

Mx

y

3

3

2 3 0 5 2 1 5 1 7

4 4 2 5 3 4,

,

( . ) / .

( . ) /

= + + + + == + + + + 55 3 5=

⎧⎨⎪

⎩⎪ .

M

Mx

y

2

2

4 5 5 4 5 5 4 6

3 2 1 2 4 5 2,

,

( ) / .

( ) / .

= + + + + == + + + + = 44

⎧⎨⎪

⎩⎪

M

Mx

y

1

1

1 1 5 2 1 1 5 5 1 4

2 1 1 1 5 2,

,

( . . ) / .

( .

= + + + + == + + + + )) / .5 1 5=

⎧⎨⎪

⎩⎪

Figura 7– I tre nuovi cluster ottenuti in seguitoall’iterazione del procedimento

Dalla Figura 8 si determinano i tre nuovi cluster:

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44

Dalla Figura 7 si ottengono i tre nuovi cluster:

Per determinare i tre nuovi centroidi, si calcolano le medie:

I tre centroidi sono: M1(1.25,1.67), M2(4.6,2.4) e M3(2,3.75), rispetto ai quali vengono determinati, pervia grafica o per via analitica, i tre nuovi cluster.

M

Mx

y

3

3

2 3 2 1 4 2

4 4 3 4 4 3 75,

,

( ) /

( ) / .

= + + + == + + + =

⎧⎨⎪

⎩⎪⎪

M

Mx

y

2

2

4 5 5 4 5 5 4 6

3 2 1 2 4 5 2,

,

( ) / .

( ) / .

= + + + + == + + + + = 44

⎧⎨⎪

⎩⎪

M

Mx

y

1

1

1 1 5 2 0 5 1 1 5 6 1 25

2 1 1,

,

( . . . ) / .

(

= + + + + + == + + + 22 5 1 5 2 6 1 67. . ) / .+ + =

⎧⎨⎪

⎩⎪

x yA 1 2B 1.5 1C 2 1J 0.5 2.5D 1 1.5N 1.5 2

Cluster 1 - M1 = (1.4, 1.5)

x yK 4 3G 5 2H 5 1E 4 2O 5 4

Cluster 2 - M2 = (4.6, 2.4)

x yF 2 4I 3 4L 2 3M 1 4

Cluster 3 - M3 = (1.7, 3.5)

Tabella 3 – Il contenuto dei tre nuovi cluster

x yA 1 2B 1.5 1C 2 1J 0.5 2.5D 1 1.5N 1.5 2

Cluster 1 - M1 = (1.25, 1.67)

x yK 4 3G 5 2H 5 1E 4 2O 5 4

Cluster 2 - M2 = (4.6, 2.4)

x yF 2 4I 3 4L 2 3M 1 4

Cluster 3 - M3 = (2, 3.75)

Tabella 4 – Il contenuto dei tre cluster definitivi

Figura 8 – I tre cluster definitivi

Questi tre cluster contengono gli stessi record deicluster ottenuti al passo precedente, dunque sonoi cluster definitivi e l’algoritmo termina o, comesi dice, converge in tre passi.

Conclusioni

In questo articolo è stato introdotto il Data Mi-ning ed è stato presentato l’algoritmo k-means,che rappresenta una delle tecniche di clusteringpiù diffuse. Inoltre, è stato applicato l’algoritmoad un dataset numerico utilizzando anche il soft-ware Geogebra.Possibili approfondimenti potrebbero riguardare:

• complessità computazionale di k-means e va-lutazione delle prestazioni;

• clustering per attributi di tipo categorico;• clustering basato su densità e clustering gerar-

chico;• utilizzo di k-means come tecnica di preproces-

sing per l’applicazione di tecniche di Data Mi-ning per la classificazione;

• differenze tra clustering e tassellazione.

RIFERIMENTI

[1] Bottazzini U., “I problemi di Hilbert. Unprogramma di ricerca per le generazioni future”,in Bartocci C., Betti R., Guerraggio A., Lucchet-ti R. (a cura di), Vite matematiche. Protagonistidel ‘900 da Hilbert a Wiles, Springer Verlag, 2007.[2] Dulli S., Polpettini P., Trotta M., Text Mi-ning: teoria e applicazioni, FrancoAngeli, 2004.[3] MacQueen J.B., Some Methods for Classifica-tion Analysis of Multivariate Observations, Procee-dings of 5-th Berkeley Symposium on Mathema-tical Statistics and Probability, Berkeley, 1967,University of California Press, 1:281-297.[4] Roiger R.J., Geatz M.W., Introduzione al Da-ta Mining, McGraw-Hill, 2004.[5] Russell S.J., Norvig P., Intelligenza Artificiale.Un approccio moderno, Voll. 1 e 2, Pearson Edu-cation Italia, 2005.[6] Tan P., Steinbach M., Kumar V., Introductionto Data Mining, Pearson Addison Wesley, 2005.[7] http://www.geogebra.org. Consultato il 6maggio 2009.

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Nella pratica topografica il problema di Snel-lius-Pothenot [1] è sicuramente uno dei più

noti e maggiormente studiato. Si tratta di una in-tersezione inversa o all’indietro (inquanto il rilevamento viene effet-tuato dal punto incognito) di tipocomposto (in quanto riferito a piùdi due punti noti) che permette, no-ta la posizione di tre punti, di deter-minare la posizione di un quartopunto, dal quale si effettuano sol-tanto misure angolari collimando aitre punti.Il problema, noto anche come pro-blema dei tre punti o problema delvertice di piramide piano, prende ilnome da Willebrord van RoyenSnell (1591-1626), latinizzato inSnellius, e da Laurent Pothenot (1650-1732). Ilmatematico e geodeta fiammingo Snell, ideatoredella moderna triangolazione e della misura dellebasi geodetiche, descrisse il problema nell’operaEratosthenes Batavus. De Terrae ambitus veraquantitate (1617) nella quale pubblicò i dati del-la triangolazione per la misura dell’arco di meri-diano fra Alkmaar e Bergen Op Zoom e la basegeodetica di Leiden. “Trium locorum intervallisinter se datis, quarti distantiam ab omnibus unicastatione definire” è la formulazione originaria delproblema data da Snellius. Mentre, il matematicoe accademico (1682-1699) di Francia Pothenotpubblicò la soluzione del problema in una me-moria redatta per l’Académie des Sciences nel1692 (ben 75 anni dopo quella di Snell che rima-se, per lungo tempo, sconosciuta) avente come ti-tolo Problème de Géometrie Pratique. Trouver laposition d’un lieu que l’on ne peut voir des princi-paux points d’où l’on observe (Memoires de l’Aca-

demie Royale des Sciences Depuis 1666 jusqu’à1699 Tome X Année 1730 pp. 221-224). Tra lenumerose soluzioni numeriche del problema

Snellius-Pothenot risulta interes-sante il metodo di Jacques Cassini(Cassini II) (1677-1756) partico-larmente adatto al calcolo con ela-boratori elettronici.

Il problema di Snellius-Pothenotinsieme al problema di Hansen odei due punti inaccessibili, dal no-me dell’astronomo danese PeterAndreas Hansen (1795-1874), so-no casi particolari del problema diMarek o dei quattro punti inacces-sibili trattato da Johann Marek nel-l’opera Technische Anleitung zur

Ausführung der trigonometrischen Operationen desKatasters (1875). Altri autori si sono interessati alproblema trovandone anche soluzioni analiticheo grafiche alternative: ricordiamo Collins (1671),Lambert (1765), Cagnoli (1786), Bessel (1813),Gauss (1823), Burchkardt (1825), Galkiewicz(1935), Gerling (1840) e, in tempi più recenti,Attilio Selvini, Renato Righi e Fabrizio Casotto.

Sulla falsa riga del problema topografico di cuisopra, l’ing. Giuseppe Matarazzo [2] ha studiatouna soluzione numerica, basata su di un sistemadi tre equazioni trascendenti non lineari a tre in-cognite, per determinare le coordinate geografi-che (latitudine e longitudine) di una qualsiasi lo-calità sul globo terrestre con la sola misura di treangoli orizzontali di tre stelle di coordinate note(ascensione retta e declinazione).

Operativamente si tratta di collimare tre stelle dal

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113. Coordinate geografichedi un qualsiasi luogo del globo terrestrericavate dalla misura di angoli orizzontalidi una tripletta stellare

di Michele T. Mazzucato

Il geodeta fiammingo Willebrord vanRoyen Snell (Leiden 1580 – 1626)(fonte: www-history.mcs.st-and.ac.uk)

luogo incognito mediante uno strumento (busso-la magnetica, tacheometro, teodolite, geodime-tro, etc.) effettuando le letture al cerchio gradua-to orizzontale e annotando i rispettivi tempi di ri-levamento con un orologio (meglio se di tipo ra-dio-controllato).

Lo scarto tra le coordinate geografiche trovate conquelle reali sarà molto minore (nullo nel caso teori-co) quanto maggiore sarà la precisione dei dati mi-surati (angoli e tempi) e dal tipo di strumentazio-ne utilizzata. Si avrà cura, inoltre, di eliminarepreventivamente gli errori grossolani e ripeterel’operazione con una tripletta stellare differentecome riprova.

Inoltre, rispetto al tradizionale e consolidatometodo utilizzato nella navigazione astrono-mica delle rette d’altezza [3] con sestante ecronometro definito dallo statunitense Tho-mas Hubbard Sumner (1807-1876) nell’ope-ra A New and Accurate Method of Finding aShip’s Position at Sea, by Projection on Merca-tor’s Chart (1843 su lavori e scoperte del1837) e dal francese Adolph Laurent AnatoleMarcq de Blond Saint-Hilaire (1832-1889)con le Note on the Determination of Position(1873) e Calculation of the Observed Position(1875), non effettuando misure di altezza degliastri si ha il vantaggio di non dover effettuare cor-rezioni per la rifrazione atmosferica.In particolare, la procedura da seguire è la se-guente:1) si sceglie una tripletta stellare visibile dal luo-go incognito (con declinazioni, preferibilmente,non superiori a ±80° e con posizioni relativamen-te distanti fra loro) dal catalogo stellare astrome-trico FK5/J2000.0 [4];

2) si collima ciascuna stella misurandone l’ango-lo orizzontale (la cui origine, la stessa per tutte lemisure angolari, può essere un riferimento qual-siasi arbitrariamente scelto) e annotando, con-temporaneamente, il tempo di rilevamento (al se-condo) necessario per la determinazione del Tem-po Siderale Medio a Greenwich TSMG e per lacorrezione precessionale;

3) si predispongono i valori da utilizzare esi inseriscono i dati (tre ascensio-ni rette, tre declinazioni, i treangoli orizzontali nonché i va-lori iniziali della latitudine, lon-

gitudine e l’azimut origine dellagraduazione del cerchio orizzonta-le) nel programma fornito dall’au-tore [2] ottenendo le coordinategeografiche del luogo incognito.

Teodolite ottico-meccanico Wild T2(Heerbrugg, Svizzera) dal costruttoreHeinrich Wild (1877-1951)(Università di Pisa – Dipartimento diingegneria civile, topografia e foto-grammetria)

Per quanto riguarda le coordinate astronomicheequatoriali (ascensione retta e declinazione) biso-gna considerare che quelle fornite dai cataloghistellari (riferite per un’epoca e un equinozio defini-ti) devono essere trasformate nelle corrispondentiall’epoca ed equinozio medi della data del rileva-mento, tenendo conto dell’effetto della precessio-ne e dell’effetto del moto proprio della stella. Per-tanto, per ogni oggetto della tripletta stellare scel-ta, si procede alla riduzione delle coordinate. Di se-guito si riporta un esempio. Dal Fifth Fundamen-tal Catalogue FK5 Basic [4] si sceglie la stella

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α Aquilae (Altair) 745 FK5 125122 SAO 187642 HDposizione media della stella per epoca ed equinozio J2000.0:

AR2000 19h 50m 47.002s δ2000 +08° 52' 06.03"moto proprio annuo riferito per epoca ed equinozio J2000.0:

+0.03629s in AR +0.3863" in δ

Ridurre le coordinate all’epoca e all’equinozio medi all’istante 12.12 dicembre 2020 (ossia 12 dicembre2020 alle ore 2h 52m 48s corrispondente al tempo rilevato con l’orologio nel momento della misura del-l’angolo orizzontale):

Calcolo del Julian Day JD (formula di Jean Meeus [5]), con Y = anno, M = mese e D.d = giorno.frazione

se M > 2 allora Y=Y e M=Mse M=1 o 2 allora Y=Y-1 e M=M+12

se Y.MDd ≤ 1582.1015 (calendario gregoriano) allora A=INT(Y/100) e B=2-A+INT(A/4)se Y.MDd < 1582.1015 (calendario giuliano) allora A=B=0

Per gli anni a.C., Y è negativo.

JD0= INT[365.25(Y+4716)] + INT[30.6(M+1)] + D + B - 1524.5JDdata= INT[365.25(Y+4716)] + INT[30.6(M+1)] + D.d + B - 1524.5

Da cuiJD0= 2459195.5

t= (JD0-2451545.002000)/36525 = +0.209459274 secoli giuliani= 20.9459274 anni giuliani

JDdata= 2459195.620tdata= (JDdata-2451545.002000)/36525 = +0.20946256 secoli giuliani

= 20.94625599 anni giuliani

Calcolo effetto del moto proprio+0.03629s x 20.94625599 = +0.760s in AR

+0.3863" x 20.9465599 = +8.092" in δ

Coordinate della stella per l’equinozio medio J2000.0AR0 19h 50m 47.002s + 0.760s = 19h 50m 47.762s

(= 19.84660056h x 15° = 297.6990083°)Δ0 +08° 52' 06.03" + 8.092" = +08° 52' 14.122"

(= 8.103922778°)

Coordinate della stella per l’equinozio medio J2020.0 ed epoca 12.12 dicembre 2020(formule precessionali di Simon Newcomb 1835-1909, A Compendium of Sherical Astronomy, Macmil-lan New York USA 1906 con valori relativi al nuovo sistema standard FK5/J2000.0 dovuti al lavoro de-gli astronomi Jay Henri Lieske, Trudpert Lederle, Walter Ernst Fricke e Bruno Morando [5] [6])

η = 2306.2181t + 0.30188t2 + 0.017998t3 == +483.0798" = +483.0798" / 3600" = +0.134189°

z= 2306.2181t + 1.09468t2 + 0.018203t3 == +483.1145" = +483.1145" / 3600" = +0.134198°

θ = 2004.3109t – 0.42665t2 – 0.041833t3 == +419.8090" = +419.8090" / 3600" = +0.116614°

A= cosδ0sin(AR0+η) = -0.873733492B= cosθcosδ0cos(AR0+η)-sinθsinδ0 = +0.460999782C= sinθcosδ0cos(AR0+η)+cosθsinδ0 = +0.155141823

ARf= z+arctg(A/B)δf= arcsin(C)

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Se l’oggetto è in vicinanza dei poli celesti (com δ0 maggiore di ±80°) sarà opportuno utilizzare, in alter-nativa, δf=arccos(A2+B2)0.5

AR-z = arctg(A/B) = -62.18294807° = 297.8170519°AR2020= +297.8170519° + z = +297.9512499° / 15° = 19.86341666h = 19h 51m 48.300s

δ2020= +8.925021612° = +8° 55' 30.078"

Per quanto riguarda il Tempo Siderale Medio di Greenwich TSMG esso si può ottenere mediante la se-guente formula [5]:

TSMG’= 0.279057273+(100.002139038+0.000001078t-0,000000000071t2)*tTSMG0=[TSMG’-intero(TSMG’)]*24

che, per i valori di JD0= 2459195.5 e t= +0.209459274 ricavati in precedenza, fornisce il valore di21.225432862 rivoluzioni per il TSMG’. La parte frazionaria moltiplicata per 24 fornisce il TSMG0 del12 dicembre 2020 a 0h ossia 5h 24m 37.39s. Per ottenere il TSMG all’istante della data (ossia alle 2h52m 48s) si moltiplica per 1.00273790935 (= 2.887885178 da cui 2h 53m 16.39s) ottenendo il risulta-to cercato di 8h 17m 53.78s.

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Per la determinazione sia del TSMG sia delle co-ordinate precessate alla data, come in precedenzavisto, è possibile utilizzare il seguente foglio dicalcolo [7].

Sestante Plath (Hamburg, Germania)dal costruttore Carl Christian Plath (1825-1910)(collezione Gaetani Brancadori)

Benché oggi la determinazione delle coordinategeografiche avviene speditamente con l’uso delGPS si tratta pur sempre di una interessante alter-nativa al metodo classico col sestante unita allapotenza dei moderni elaboratori elettronici.

RIFERIMENTI[1] Costantini, Pier Francesco. Il problema di snel-lius-Pothenot www.itgcanova.it/docenti/prof_co-stantini/Snellius-Pothenot.pdf[2] Matarazzo, Giuseppe. Coordinate geografichedi una località noti gli angoli orizzontali di tre stel-le (2004) http://astrodinamica.altervista.org/PDF/3az.pdf[3] Flora, Ferdinando. Astronomia nautica (Navi-gazione astronomica), Hoepli, Milano 5a ed. 1982pp. 406-494[4] Fifth Fundamental Catalogue FK5 BasicVeröffentlichungen des Astronomischen Rechen-Instituts Heidelberg n. 32 (1988)www.ari.uni-heidelberg.de/publikationen/vhd/vhd032/vhd032.htm[5] Meeus, Jean. Astronomical Algorithms, Wil-lmann-Bell, Richmond Virginia USA 1991 pp.59-66, pp 83-85 e pp.123-130[6] Magni, Tiziano. “Le formule per il calcolo ri-goroso della precessione”, l’Astronomia 121/1992pp.46-47[7] Mazzucato, T. Michele. Modulo per il calcolodella riduzione delle coordinate equatoriali (AR, δ)dall’epoca J2000.0 alla data in esame e Modulo peril calcolo del Tempo Siderale Medio a GreenwichTSMG alla data in esame (2008)www.matematicamente.it/approfondimenti/astro-nomia/modulo_per_il_calcolo_della_riduzione_delle_coordinate_equatoriali_200804053024/

Quando ho sostenuto l’Esame di MaturitàScientifica, nel 1996, una delle tracce del

compito di italiano era sul rapporto tra la matema-tica e la poesia. Non ho svolto quel tema perchécredevo di non esserne in grado (infatti non lo ero)e perché, nonostante avessi più volte sentito farequell’accostamento, mi sembrava che tra le due di-scipline non vi fosse nessuna affinità. Oggi so esprimere un’opinione precisa sull’argo-mento, che rimane, comunque, estremamenteproblematico e soggettivo. Infatti le convinzioniche si possono avere su questa questione discen-dono direttamente dalle definizioni che si assu-mono di “poesia”, e più in generale di “arte”, e di“matematica”. Come è noto, dire cos’è l’arte e dire cos’è la ma-tematica costituiscono due millenari problemi(irrisolti…) della filosofia, in particolare dell’este-tica e della filosofia matematica. Espongo subito il mio punto di vista, per poi ana-lizzare brevemente come i profondi e radicalisconvolgimenti della filosofia matematica nell’ul-timo secolo e mezzo abbiano modificato la collo-cazione della matematica nella cultura, e quindianche i suoi rapporti con le altre discipline, com-presi quelli con l’arte. Non affronterò il problemasimmetrico, cioè di come è variata la collocazionereciproca delle due discipline al variare del con-cetto di arte nella storia. La definizione di “arte”che assumerò deriva da una mia convinzione per-sonale, ma credo che essa possa essere in buonamisura condivisa da molti lettori, almeno se rife-rita all’arte contemporanea. Questo breve artico-lo, naturalmente, non aspira ad essere né organi-co né completo.

Io credo che la matematica e l’arte siano profon-damente connesse poiché entrambe costituisconoun tentativo umano di esplorare, descrivere e co-municare, attraverso un linguaggio, delle realtàinteriori universali (ovvero condivise da tutta

l’umanità, indipendenti dallo spazio e dal tem-po), magmatiche, insondabili e, io credo, per lo-ro natura non completamente esprimibili. Quel-le che io ho chiamato realtà interiori sono: nel ca-so della matematica, i concetti di quantità e diforma, ovvero di numero e di figura, e le corri-spondenti capacità di contare e di misurare; nelcaso dell’arte le emozioni, i sentimenti, gli ideali,i principi… Prima di chiarire meglio questa affermazionevorrei mettere in evidenza che le differenze tra ledue discipline risiedono, oltre che, come detto,nella specificità degli oggetti della loro specula-zione, nel loro linguaggio e nella loro finalità. Lamatematica si propone di indagare, in modo ra-zionale, sistematico e oggettivo, le innate intui-zioni di quantità e forma e di esprimerle, con unlinguaggio artificiale, freddo ed essenziale, all’in-terno di una rigida struttura organica e coerente,che ricostruisca nel modo più fedele possibile lastruttura mentale in cui sono incastonate quelleintuizioni. L’arte, al contrario, si propone di in-dagare alcuni aspetti dell’animo umano in modoassolutamente frammentario e soggettivo. Essavuol fornire, attraverso linguaggi sempre piùnuovi ed originali, artificiali o naturali (come illinguaggio del corpo), solo delle “istantanee”particolari dell’interiorità umana, che la evochi-no appena; non cerca, anzi rifugge, una sua rico-struzione organica: quando fa questo l’arte scon-fina nella filosofia. È mia convinzione che le realtà interiori indagatedall’arte e dalla matematica non derivano dallarealtà materiale, anzi la precedono. Può succede-re che alcune situazioni e oggetti materiali le evo-chino, non che le generino. Così, per esempio,può darsi che gli occhi di una donna evochino ilnostro ideale di bellezza; un povero mendicantela nostra pietà; una interminabile fila di formichel’infinito discreto; i binari di una ferrovia il paral-lelismo tra rette, ecc… Se non avessimo già den-

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114. Matematica e Artedi Giuseppe di Saverio

tro di noi le strutture capaci di farci recepire quel-le cose in quel modo, noi avremmo solo una per-cezione materiale del mondo, e gli occhi della ra-gazza, il mendicante, le formiche, i binari… ciapparirebbero solo in quanto tali; rappresentereb-bero per noi solo se stessi.Dicevo sopra che gli oggetti della speculazione del-la matematica e dell’arte sono “universali” e “ine-sprimibili”. Cerco di chiarire queste affermazioni.Sulla universalità degli oggetti matematici mi pa-re non ci siano troppi dubbi (dei pochi dubbi sol-levati nel corso della storia parlerò nel seguito). Iocredo che non dovrebbero essercene nemmeno suquella dei sentimenti, delle emozioni e degli idea-li, comunicati dagli artisti. Come potrebbe unpoeta aspirare ad emozionare un lettore comuni-candogli un sentimento che non gli appartiene?Perché mai ci si dovrebbe commuovere nel guar-dare un quadro se esso non ci comunicasse un te-ma a noi caro, se pur inconsciamente? Quale mu-sica ci potrebbe estasiare se le sue note non toc-cassero qualche tasto sensibile della nostra anima?In realtà l’opera d’arte è, aspira ad essere, per ilsuo fruitore, come i begli occhi della ragazza diprima: solo un segno per qualcos’altro, una incar-nazione particolare di una cosa generale ed astrat-ta. Se l’artista è bravo, la sua opera svolgerà benela sua funzione, ovvero comunicherà molto; se èmeno bravo la sua opera sarà meno comunicati-va. Nel primo caso egli sarà considerato un arti-sta maggiore, nel secondo caso un minore. Spes-so si sbaglia credendo che gli artisti siano dotatidi una sensibilità maggiore degli altri uomini. Es-si non sentono di più, comunicano meglio. Chis-sà quanti uomini hanno provato lo stesso senso divaghezza che Leopardi ha espresso nell’Infinito!Almeno tutti quelli che si emozionano leggendoquella poesia. Tuttavia solo Leopardi ha saputoscriverlo così bene. Dunque le cose che l’arte esprime non sono sog-gettive. Potrebbero, semmai, essere soggettive leemozioni che quelle cose suscitano (legate a ricor-di, visi, situazioni che appartengono solo al vissu-to del singolo fruitore dell’opera d’arte). D’altraparte esse sono anche indipendenti dallo spazio edal tempo. Un bravo artista di 1500 anni fa riu-scirà a comunicare il suo messaggio anche agliuomini che tra mille anni vivranno dall’altra par-te del mondo (se essi avranno decifrato il suo lin-

guaggio). Se ciò non avvenisse, quello non an-drebbe considerato un artista, per definizione, o,comunque, sarebbe un artista di basso livello. Ciò che rende possibile la comunicazione tra ma-tematici ed artisti e i fruitori delle loro opere èl’umanità che li accomuna, oltre lo spazio e iltempo. I linguaggi utilizzati dalla matematica edall’arte possono variare con i gusti del tempo edel luogo, ma la natura ultima della materia delloro interesse rimane la stessa. La matematica gre-ca per noi è perfettamente comprensibile, poichédescrive qualcosa che noi continuiamo a “vedere”così come i greci vedevano. Euclide definisce laretta in un modo, noi in un altro che ci pare piùpreciso, ma la retta rimane la stessa. Possiamo ri-tenere poco efficace (rigorosa) la descrizione (de-finizione) che Euclide dà di questo oggetto e dar-ne una che ci sembra migliore proprio perchésappiamo che l’oggetto di cui egli parlava è lostesso di cui noi parliamo. Una cosa analoga av-viene nell’arte. È più che probabile che molti ar-tisti abbiano cercato di comunicare uno stessosentimento, ma ognuno di loro l’ha fatto in mo-do diverso dagli altri. Sfumature diverse, diversilinguaggi e modalità espressive. Scatti diversi del-lo stesso soggetto. Come ho detto, ritengo che gli oggetti indagatidalla matematica e dall’arte siano caratterizzati dauna intrinseca inesprimibilità. Anzi, di più: mipare che tale inesprimibilità sia l’unica vera ragio-ne che rende possibile, opportuna, addirittura in-dispensabile la loro esistenza.Gli stati d’animo, le sensazioni, le percezioni in-teriori che gli artisti cercano di comunicare sonotalmente sfuggevoli da non lasciarsi rappresenta-re pienamente da nessun segno. Sono entità im-materiali che non possono essere intrappolatenella materia, né in sue manipolazioni o emana-zioni. Pensateci. Se vi fosse un oggetto o unacombinazione di segni materiali di qualsiasi gene-re (grafici, sonori, cinetici, elettromagnetici…)che potessero dirci esaurientemente e definitiva-mente cos’è l’amore, perché mai poeti, pittori,musicisti dovrebbero continuare ad affannarsinella ricerca di “parole” nuove? Basterebbe pren-dere quell’oggetto, guardarlo, dire: “bene, è vero,l’amore è questo, lo riconosco”, e nessuno più siazzarderebbe a toccare l’argomento. Le cose, perfortuna, non vanno così. Tutti lo sappiamo bene.

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Non si può comunicare a pieno ciò che si prova.Ne sono testimonianza alcune espressioni usatenel linguaggio comune: “provo una gioia indici-bile”; “il mio dolore è così grande che non si puòdire”; “non so neanche dirti quanto ti amo”; “nonci sono parole per esprimere la mia riconoscenza”;ecc… I poeti hanno spesso esplicitato nelle loro operel’ineffabilità della materia in oggetto. Cito alcuniesempi famosi: “Ahi quanto a dir qual era è cosadura…”, Dante Alighieri; “Non chiederci la pa-rola che squadri da ogni lato / l’animo nostro in-forme, e a lettere di fuoco / lo dichiari e risplen-da come un croco / perduto in mezzo a un polve-roso prato. / Ah l’uomo che se ne va sicuro, / aglialtri ed a se stesso amico, / e l’ombra sua non cu-ra che la canicola / stampa sopra uno scalcinatomuro! / Non domandarci la formula che mondipossa aprirti, / sí qualche storta sillaba e secca co-me un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Eu-genio Montale.Per la matematica le cose non vanno diversamen-te. Lo sforzo introspettivo compiuto dal matema-tico non è dissimile da quello compiuto dall’arti-sta. Così pure è simile lo sforzo descrittivo. L’im-magine classica della lampadina che si accende intesta all’arrivo dell’idea descrive bene il momentodella visione matematica, l’istante della rivelazio-ne. È come se, al matematico che cerca di capirecome sono fatti gli oggetti che riesce ad intrave-dere, all’improvviso la “verità” si mostrasse chiarae distinta, senza più veli, in tutta la sua perfezio-ne. Da questo momento in poi egli deve lavorareduramente per descrivere ciò che ha visto. Deveutilizzare il linguaggio in modo opportuno, op-pure inventarne uno completamente nuovo, al fi-ne di essere comprensibile agli altri. Questo nonè affatto facile. Per decifrare gli scritti di EvaristeGalois ci sono voluti molti anni.Naturalmente una stessa idea matematica, unastessa visione, può essere comunicata in modi elinguaggi diversi. La qualità del matematico simisura dall’efficacia della comunicazione. Cantore Galileo hanno avuto la percezione dell’infinitodiscreto in modo molto simile, tuttavia solo Can-tor è riuscito ad esprimerlo così genialmente. Po-trebbe succedere che nel futuro qualcuno esporrài concetti espressi da Cantor in un linguaggio an-

cora più chiaro, inquadrandoli in una strutturapiù ampia, così come è successo per la geometriadi Euclide e per l’algebra di Cardano. Da circa2500 anni l’umanità combatte con il concetto diinfinito, eppure le pubblicazioni matematichesull’infinito continuano ad aumentare. Se ci fosseun sistema per descrivere una volta per tutte lospazio euclideo in modo esaustivo, non ci sareb-be più bisogno di ricercare oltre su quell’argo-mento. Basterebbe un manuale da consultare. Gli oggetti matematici infiniti sono anche moltosuggestivi in quanto sono affetti, per così dire, dauna ineffabilità tecnica, all’interno dei linguaggidiscreti finiti, cioè quelli in cui le “parole” sonostringhe finite di segni appartenenti ad un alfabe-to finito. Per esempio, un qualsiasi numero irra-zionale non può essere scritto nella notazione po-sizionale (qualsiasi sia la base), in quanto risulte-rebbe infinito e non periodico. Si sarebbe costret-ti dunque ad indicare quel numero con un nuo-vo simbolo. Tuttavia, di numeri irrazionali ce nesono “troppi” per poter praticare questa via. In-fatti essi sono una infinità più che numerabile,così che il numero di simboli da inventare sareb-be “troppo elevato”: per quanto esso possa esseregrande non sarebbe mai sufficiente; esso non sa-rebbe neppure ottenibile tramite un’infinità nu-merabile di combinazioni finite di un numero fi-nito di simboli (cosa che invece è possibile per irazionali…). Anzi, peggio: con questo metodonon si riuscirebbe neppure solo a “nominare” tut-ti gli irrazionali compresi tra due qualsiasi di essi.Questa situazione è, diciamo così, spiacevole maabbastanza comprensibile: visto che i numeri ir-razionali sono degli strani oggetti più attinenti al-le grandezze continue, ovvero alla geometria, chenon a quelle discrete, ovvero all’aritmetica, nonstupisce che mal sopportino la combinatoria. L’esistenza di coppie di segmenti incommensura-bili (ovvero dei numeri irrazionali) è cosa nota dalV secolo a.c. Per più di due millenni la trattazio-ne matematica di questi oggetti è rimasta quellagreca, ma nel XIX secolo Dedekind, sulla scia diCantor, ha sentito l’esigenza di ridefinirli in mo-do diverso, a partire dalla teoria degli insiemi.Egli deve aver avuto la convinzione che la mate-matica greca fosse troppo approssimativa su que-sto argomento, o troppo ridondante; deve cioèaver ritenuto necessaria la sua opera perché quel-

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le entità immateriali, i numeri irrazionali, venis-sero comunicate all’umanità più dettagliatamen-te. Come per Dedekind nella matematica, cosìdeve essere stato per i cubisti nella pittura, per ipoeti della Beat Generation nella poesia, per iBeatles nella musica. Devo ammettere di avere l’assoluta convinzione,naturalmente non “dimostrabile”, che le emozio-ni ed i sentimenti siano dotati di una natura mag-matica, informe, cangiante e continua che è esat-tamente la stessa dei numeri irrazionali. Non mistupirei se la medicina scoprisse che esiste unostesso meccanismo cerebrale (o una stessa areaben nascosta del cervello), non ancora scoperto,attraverso il quale percepiamo queste cose. Se co-sì fosse, la non esprimibilità attraverso linguaggidiscreti sarebbe tecnicamente la stessa. Se i senti-menti fossero “oggetti continui” non potrebberoessere espressi con nessun oggetto materiale, cherimane pur sempre solo una disposizione nellospazio di un numero finito di particelle (natural-mente se si accetta l’“ipotesi atomica”, ovvero chela materia sia costituita da singole particelle di-stinguibili l’una dall’altra). Qui il discorso si potrebbe complicare molto.L’argomento è delicatissimo. Infatti, se pur è veroche un qualsiasi oggetto materiale è una combi-nazione di un certo numero di particelle, dunqueun oggetto discreto, noi possiamo aver di essoun’immagine continua, se lo percepiamo in ununico istante. Un foglio di carta possiamo veder-lo come un rettangolo sebbene esso sia un insie-me abbastanza sparpagliato di punti (molecole).È come se fossimo dotati di un software che, at-traverso una provvidenziale “miopia”, ci permettedi non vedere a fondo nella materia e di interio-rizzare in modo ordinato, secondo il nostro sensodello spazio ideale, ciò che è disordinato; di ren-dere unico ciò che è molteplice; di dare forma al-l’informe, di rendere perfetto ciò che è imperfet-to. D’altro canto, dello stesso oggetto potremmoavere anche una percezione discreta, se di esso co-gliessimo solo alcune sue parti, ordinandole neltempo. Lo stesso foglio di carta, oltre che il ret-tangolo, potrebbe rappresentare il numero 1, op-pure il 4 se guardassimo ai suoi vertici uno pervolta (uno, due, tre e quattro), oppure un nume-ro enorme se ci prendessimo la briga di contare lesue molecole una ad una. Tuttavia, tornando al-

l’ipotesi atomica, se è vero che la materia è fattadi particelle, è evidente che, da un punto di vistatecnico, “per definizione” direi, si possono espri-mere materialmente solo gli oggetti finiti (il nu-mero naturale 3 è ben rappresentato da tre parti-celle), o infiniti discreti (nell’ipotesi inverosimiledi avere infinite particelle a disposizione). Come ho detto, l’affinità tra matematica e arte ri-siede nella loro natura ultima: entrambe sono unacontinua e infinita ricerca di segni che rappresen-tino ai nostri simili le nostre anime e le nostrementi; la differenza risiede nei linguaggi utilizza-ti, nelle finalità e nella diversa natura degli ogget-ti immateriali indagati. C’è, a tal proposito, da fa-re un’importante osservazione.Può succedere che l’arte faccia oggetto della pro-pria indagine anche alcuni temi che propriamen-te, e storicamente, appartengono all’ambito ma-tematico, ma che pur sempre fanno parte dell’in-teriorità. Si riscontrano innumerevoli casi di talgenere soprattutto nelle arti figurative contempo-ranee. In queste opere l’artista cerca di forniredelle istantanee del proprio senso interiore dellospazio. Così come in genere si occupa di emozio-ni e sentimenti intesi in senso più tradizionale(inquietudine, solitudine, gioia…), in questeopere l’artista elegge la propria intuizione spazia-le a tema d’arte. La geometria, che è per il mate-matico tema da razionalizzare e ricostruire orga-nicamente tramite un linguaggio, diviene per ilpittore semplice visione da mostrare, come si mo-stra l’amore. Allora diviene emozione artistica e,dunque, nel linguaggio cifrato dell’arte divienesimbolo di “bellezza”.Recentemente capita spesso anche che alcuni ar-tisti adoperino rappresentazioni grafiche (spessoottenute al computer) di oggetti matematicicomplessi (come i frattali) per arricchire le loroopere. Essi sfruttano alcune caratteristiche diquegli oggetti (come le simmetrie, le colorazionio l’autosimiglianza) in modo simbolico per espri-mere altro. Ovvero utilizzano rappresentazioni dioggetti matematici come elementi di un linguag-gio artistico. La matematica, dunque, al servizio dell’arte. Que-sto utilizzo artistico della matematica viene spessocitato come prova del collegamento tra le due di-scipline. Io non credo che sia così. Il fatto che unartista utilizzi un frattale per esprimere le sue

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emozioni non ha nulla a che vedere con l’affinitàche esiste tra matematica e arte. Gli artisti utiliz-zano molte cose, non solo frattali e oggetti simme-trici. Le installazioni di arte contemporanea sonostrutture stranissime e molto eterogenee. Vi si in-contra di tutto. Non perché un artista adopera unparticolare acido si sostiene un collegamento tral’arte e la chimica. Il questi casi l’artista utilizza ilfrattale così come utilizza il marmo, il legno, latempera: solo come strumento. Naturalmente molte obiezioni, di ogni genere,potrebbero essere sollevate contro le mie argo-mentazioni. Vorrei provare a controbattere alme-no una di queste obiezioni, la più ovvia e, forse,la più acuta. Essa sarebbe la seguente: “Se la ma-tematica e l’arte sono affini solo perché entrambesono discipline umane che indagano alcuni aspet-ti interiori, allora tutte le discipline sono affini,persino matematica ed arboricoltura, poiché tut-te sono attività umane”. Io rispondo che sì, l’esse-re attività umane accomuna tutte le discipline inquesta minima misura. La matematica ha dunqueil minimo grado di affinità anche con l’arboricol-tura, ma con l’arte, come sto sostenendo, haun’affinità maggiore.Sarebbe allora interessante cercare di capire qual èla disciplina più affine alla matematica, e come sicolloca l’arte in una sorta di classifica di “vicinanza”. Senza alcun dubbio è la filosofia la disciplina chepiù somiglia alla matematica, per la natura deglioggetti di indagine, per le sue finalità, per l’orga-nicità delle costruzioni teoriche. Subito dopo, amio parere, si collocano arte e scienze naturali (inparticolare la fisica) a pari merito, ma per motividiversi. La stretta relazione tra matematica e fisi-ca sembra essere una cosa molto ovvia. In tutta lastoria della scienza (specie in quella moderna econtemporanea) essa è evidentissima. Ma in cosadavvero la matematica e la fisica sono simili? Larisposta più immediata sarebbe che entrambehanno a che fare con numeri, figure, grafici, cur-ve e altre “cosacce” del genere. Si sa: a scuola so-no sempre le stesse persone ad essere brave in ma-tematica e in fisica; sono quelli che sanno fare i“conti”, i “problemi”… Insomma sono quelli, co-me dicono i professori, portati per le materiescientifiche. Se per “fisica” si intende la scienza che cerca diprevedere qualitativamente e quantitativamente il

comportamento della materia (evito di affrontarela distinzione tra fisica ed altre scienze naturali,come la chimica, la biologia…), mi pare eviden-te che essa sia assolutamente lontana dalla mate-matica per quel che riguarda l’oggetto di studioed il suo fine ultimo. Io credo, infatti, che la for-te affinità tra queste due discipline vada indivi-duata esclusivamente nel fatto che la fisica adottacome suo unico linguaggio quello matematico.Non mi soffermo sull’affascinante (ma difficile)tema di discussione riguardo alla “matematicità”della natura.Come si diceva sopra, la matematica, la fisica, lachimica… sono classificate come “materie scien-tifiche”, in contrapposizione alla letteratura, lastoria, la filosofia, la storia dell’arte…, cioè le“materie umanistiche”. Queste due famiglie incui il sapere viene suddiviso sembrerebbero deltutto aliene l’una all’altra. In quasi tutte le cittàuniversitarie, addirittura, le facoltà scientifichesono urbanisticamente lontane da quelle umani-stiche. Nell’antichità la figura del matematico eraquella di un uomo dedito ad un’attività specula-tiva e contemplativa delle leggi dell’intelletto, chelo inserivano a pieno titolo in quell’ambito cultu-rale che potremmo genericamente definire “uma-nistico”, accanto al filosofo ed al letterato. Giàdall’inizio dell’epoca moderna la sua attività ini-zia a perdere l’antica purezza per asservirsi allatecnica, al mercato ed alla politica: la matematicagreca era pura; quella moderna rinasce per esigen-ze applicative. Nonostante ciò, almeno fino alXVIII secolo il matematico era un uomo di vastacultura e pienamente inserito nel dibattito intel-lettuale del suo tempo. Con l’avvento delle rivo-luzioni industriali e successivamente quelle tec-nologiche, la matematica, come anche altre disci-pline, ha subito un processo di frammentazioneed iperspecializzazione, che ha definitivamentedemolito l’unità culturale della matematica ed isuoi collegamenti con le altre branche del pensie-ro puro. Oggi, agli occhi dell’opinione pubblicaun matematico è solo uno “scienziato” al serviziodella tecnica. La sua funzione sociale non è più laricerca della “verità”, ma solo quella, pur utile, difornire alla tecnica ed alla tecnologia strumenti dilavoro. Nelle scuole superiori si tende a privilegia-re della matematica l’aspetto tecnico ed algorit-mico, a discapito di quello epistemologico, stori-

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co, filosofico, umanistico. Figurarsi quello “arti-stico”! Nella esposizione dei vari argomenti (siaalle scuole superiori che all’università), si perdecompletamente la percezione del suo sviluppostorico. Cose lontanissime si ritrovano fianco afianco sullo stesso piano, quello manualistico. Ilrisultato è una catastrofe culturale. Agli occhi diuno studente di liceo, imparare a risolvereun’equazione deve sembrare come imparare adusare il suo telefonino o la lavastoviglie di sua ma-dre: un’attività mnemonica e meccanica, con l’ag-gravante dell’inutilità. Come ci si può stupire poise le facoltà di matematica sono poco frequenta-te? Se la matematica è questo, si diranno, allorameglio fare l’ingegnere, si guadagna di più. Tuttala storia contemporanea, d’altra parte, ha glorifi-cato le scienze fisiche e naturali, dimenticandocompletamente quelle matematiche. Tutti cono-scono Einstein, Fermi, Volta, Marconi. Cantor,Hilbert, Peano, Dedekind sono, al contrario, per-fetti sconosciuti per i non addetti ai lavori. Per capire come mai la collocazione della mate-matica si sia spostata così evidentemente dall’am-bito umanistico a quello scientifico-tecnologico,è forse utile ripercorrere brevemente le principalitappe dell’evoluzione del concetto di “matemati-ca” nella storia occidentale.Dall’antichità, fino al XVIII secolo, la filosofiacomunemente accettata è stata il platonismo, ov-vero il complesso dei principi di Platone riguardoalla matematica. In sintesi il platonismo consistein un assoluto realismo: gli oggetti matematici so-no dotati di un’esistenza (eterna e immutabile)immateriale, ma reale, del tutto indipendentedalla (natura della) mente di chi li pensa e li spe-cula, dallo spazio e dal tempo. Essi sono colloca-ti, insieme a tutte le idee perfette e immutabili, inun mondo intangibile (Iperuranio o Mondo del-le Idee) raggiungibile solo dall’intelletto.Nel XVIII secolo Immanuel Kant diede una nuo-va sistemazione filosofica ai fondamenti della ma-tematica: il platonismo viene sostituito dal kanti-smo. Kant ritiene che le proposizioni della mate-matica siano giudizi sintetici a priori (sintetico, inopposizione ad analitico, vuol dire che il predica-to non è contenuto nell’oggetto, cioè aggiungequalcosa all’oggetto stesso…; a priori, in opposi-zione ad a posteriori, vuol dire che non deriva dal-l’esperienza sensibile) relative alle intuizioni pure

di spazio e di tempo. Spazio e tempo sono quadrimentali a priori entro cui connettiamo i dati fe-nomenici. Lo spazio è la forma del senso esternoe si occupa dell’intuizione della sola disposizionedelle cose esterne. Il tempo è la forma del sensointerno e regola la successione delle cose esterne.Spazio e Tempo, non sono entità a sé stanti, masono quadri mentali, propri dell’uomo. Kant,dunque, riconosce come fondamenti della mate-matica le due intuizioni di spazio e tempo, lequali genererebbero nell’uomo i concetti di misu-ra e quantità, che sono alla base, rispettivamente,della geometria e dell’aritmetica. Ovvero, la geo-metria usa intuitivamente il concetto di spazio el’aritmetica fa lo stesso con il concetto di tempo,cioè di successione, senza ricavarli da altro.Pur presentando differenze concettuali non tra-scurabili (Platone, a differenza di Kant, ritieneche gli oggetti matematici siano dotati di una esi-stenza propria, indipendente dall’uomo…) plato-nismo e kantismo sono accomunate da un assolu-tismo di fondo che li conduce ad una semplicesostanziale conseguenza: la matematica si scopre,non si inventa. L’attività del matematico, pertan-to, si scomporrebbe, in linea con quanto ho so-stenuto, nei due fondamentali momenti dell’os-servazione e della descrizione, attraverso un lin-guaggio. Proprio come l’arte.Dalla metà del XIX secolo in poi, una serie di av-venimenti (la nascita dell’analisi moderna, l’in-troduzione di geometrie non euclidee, la mate-matizzazione della logica, l’aritmetizzazione del-l’analisi, ovvero la riduzione del continuo al di-screto, la nascita della teoria degli insiemi, la logi-cizzazione dell’aritmetica, la formalizzazione del-la geometria, l’insorgere di paradossi nell’insiemi-stica.) portarono a profonde mutazioni concet-tuali riguardo alla matematica che condussero, al-l’inizio del XX secolo, alla crisi dei fondamenti,ovvero ad una importante disputa intellettualesull’essenza degli oggetti matematici. Coloro cherespinsero le filosofie di Platone e di Kant posso-no essere, in linea di massima, raggruppati in trescuole di pensiero: il logicismo, l’intuizionismo, ilformalismo.Il logicismo, i cui maggiori esponenti furonoRussell e Frege, sosteneva che la matematica fos-se completamente identificabile con la logica, eche questa fosse del tutto esprimibile attraverso

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sistemi assiomatici formalizzabili, i cui assiomi ri-sultano dotati di una naturale autoevidenza.L’intuizionismo di Brouwer respingeva con deci-sione le tesi logiciste e riaffermava il carattere pu-ramente intuitivo dei concetti matematici. Rico-nosceva però come primario solo il concetto diquantità, escludendo quello di forma. Le limita-zioni dell’intuizionismo riguardo alle grandezzecontinue portarono ad una serie di importanti re-strizioni ai metodi dimostrativi (Non accettazio-ne del principio del terzo escluso, dunque non ac-cettazione delle dimostrazioni indirette), checondussero a una ricostruzione intuizionista dimolte parti della matematica.Il formalismo di Hilbert sosteneva che il corpo del-la matematica coincide con tutte le possibiliespressioni dei sistemi assiomatici formali, ben co-struiti ma arbitrari. Ovvero che la matematica siaun semplice gioco di segni che si combinano se-condo delle precise regole, ai quali attribuire even-tualmente un significato. Esso, per i formalisti, po-trebbe anche essere del tutto lontano da quelloclassico. Precisò Hilbert: Si deve sempre poter dire alposto di “punti”, “rette”, “piani”, “tavoli”, “sedie”,“boccali di birra”. Per i formalisti, tuttavia, i sistemiassiomatici formali dovevano essere dotati di duecaratteristiche precise, che ne avrebbero assicuratoil buon funzionamento: la coerenza e la completez-za, che, molto approssimativamente, consistononella non contraddittorietà (ovvero la non dimo-strabilità di una proposizione e della sua negazio-ne) e nella decidibilità di ogni possibile proposizio-ne (ovvero la sua dimostrabilità o la dimostrabilitàdella sua negazione). Poiché tutta la matematicaera stata ridotta (con l’aritmetizzazione dell’analisi)all’aritmetica, e quest’ultima era stata espressa tra-mite un sistema assiomatico formale, per i forma-listi era fondamentale riuscire a dimostrare la coe-renza e la completezza di quest’ultimo.Nel 1931, tuttavia, Kurt Gödel dimostrò che seun sistema assiomatico formale che esprima l’arit-metica fosse coerente, la sua coerenza non sareb-be dimostrabile nel suo linguaggio. Dimostròinoltre che un tale sistema risulterebbe comun-que incompleto. I teoremi di Gödel posero fine al

programma formalista, e lasciarono tutta la co-munità dei matematici in una nuova, surreale,tragica condizione di incertezza riguardo ai fon-damenti della propria disciplina.Nell’era post-gödeliana la filosofia matematicavincente (nella prassi matematica e nella didatti-ca) è stata il bourbakismo1, che si proponeva di ri-scrivere (riuscendoci per buona parte) tutta lamatematica moderna in forma rigorosamente as-siomatica, a partire dalla teoria degli insiemi. Laparola chiave è struttura: all’occhio di Bourbaki lamatematica è un insieme di strutture astratte.Dunque il bourbakismo è una sorta di recuperopostmoderno del formalismo hilbertiano, checonserva di quest’ultimo però solo l’aspetto piùprosaico. Agli slanci ideali di Hilbert, Bourbakisostituisce un sostanziale pragmatismo. Del vec-chio “patriottismo matematico” (Hilbert ebbe adire Nessuno potrà scacciarci dal paradiso che Can-tor ha costruito per noi), delle sfide intellettuali,non rimane molto. Bourbaki è più cinico di Hil-bert. Più che a convincere della sua filosofia,Bourbaki è portato ad imporre la sua filosofia al-la società contemporanea, anche attraverso i libridi testo. Tale impresa è riuscita. La matematicache oggi si studia è bourbakista. Come ho detto, sebbene la crisi vera e propriapossa considerarsi chiusa nel 1931, le risposte(non) fornite dai teoremi di Gödel sono risultateinsoddisfacenti sia per il matematico che per il fi-losofo. Una crisi attutita, latente, sotterranea, hacontinuato a strisciare fino ai nostri giorni, easpetta forse solo la scintilla che riaccenda la que-relle. Fatto sta che oggi la domanda Cos’è la mate-matica è una delle più difficili a cui possa trovarsia rispondere un matematico. Ognuno ha la suaidea. Ognuno la sua personale eresia. E, in fondo,a nessuno sembra interessare gran che questo ar-gomento. Siamo nell’epoca del fare più che delpensare. Credo che più o meno la stessa sia la si-tuazione degli artisti riguardo alla natura dell’arte. Ho sostenuto che la matematica studia i numerie le figure, e che tali oggetti sono universali. Ana-lizzando brevemente la posizione logicista ci sirende subito conto che essa nega con decisione

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1 Nicolas Bourbaki è lo pseudonimo di un gruppo di matematici, per lo più francesi, che tra il 1935 e il 1983 , ha pubblicato una serie dilibri per l’esposizione sistematica di tutta la matematica moderna.

entrambe queste affermazioni. Per Russell l’og-getto di studio è solo la logica. Tutto il resto del-la matematica è solo applicazione di schemi logi-ci ai concetti di quantità e di forma che tuttaviasono “a posteriori”, cioè derivanti dall’esperienzasensibile, dunque relativi e soggettivi. Di univer-sali rimangono forse solo gli assiomi. Russell tut-tavia non è molto chiaro su questo punto.Per i formalisti non rimangono più neanche gliassiomi. Tutto è relativo, per Hilbert, già nel1900. Non una ma tante geometrie sono possibi-li. Una “più vera” delle altre non c’è. È solo un ac-cidente il fatto che noi vediamo il mondo in mo-do “euclideo”. Solo una delle tante possibilità,uno dei tanti mondi possibili. Quella euclideanon è una geometria speciale, come la Terra nonè un pianeta speciale. Si sa dai tempi di Galileo.Sono solo la nostra geometria ed il nostro piane-ta. Ma noi non siamo esseri speciali, come Dar-win ci ha spiegato.Si capisce bene che tali concezioni fanno dellamatematica più una scienza normativa che unascienza descrittiva, in antitesi con le vecchie filo-sofie. Per Hilbert la matematica non si scopre, siinventa, anzi, meno, “si costruisce”. Cantor nonha “scoperto il Paradiso”, ne ha “costruito uno”.Uno dei tanti possibili paradisi artificiali. Il mate-matico non è più il contemplatore-descrittore,ma un “costruttore”. Le sue “costruzioni”, “strut-

ture” direbbe Bourbaki, non sono “vere”. Nondebbono esserlo, non possono. Nessuno ha piùl’ardire neppure di sperarlo. Non ha neanche piùsenso chiedersi se lo sono. La “verità” non esiste.Basterebbe, al ribasso, ma almeno questo sì, chefossero “dimostrabili”. “Derivabili”. Insommache almeno fossero raggiungibili attraverso un la-birinto grafico. È evidente che se si aderisse a queste scuole dipensiero si avrebbe anche un’idea diversa sul rap-porto tra matematica ed arte: se affinità ci fosse-ro andrebbero cercate non nella sostanza, comeho fatto io, ma nella forma, ovvero nel linguag-gio, dunque nelle immagini dei frattali, nelle sim-metrie dei mosaici e via di seguito.I teoremi di Gödel posero fine al sogno formali-sta ma non arrestarono il processo di delocalizza-zione culturale in atto. Essi demolirono l’ultimagrande filosofia organica della matematica e la-sciarono il vuoto. Non riuscirono, e non vollero,restaurare l’assolutismo matematico. D’altra par-te, come avrebbero potuto? Nessuna rivelazionepassa per una dimostrazione. Nessuna fede puòessere giustificata con il calcolo combinatorio.Uno che ha smarrito la fede in Dio non la riac-quisterà perché qualcuno ha dimostrato che lanon esistenza di Dio non è dimostrabile. Magraconsolazione che non potrà confortarlo. Gödelsconfisse un relativismo e ci lasciò il nichilismo.

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Anno 3 Numero 9 – Aprile 2009 Registrazione n. 953 del 19.12.2006 – Tribunale di Lecce

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