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1 CONGREGAZIONE DELLORATORIO DI SAN FILIPPO NERI Giusto INCONTRI DELLORATORIO IN MUSICA CHIESA SANTA MARIA IN VALLICELLA 8 MARZO 2010

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Page 1: Testo dell'Incontro 8 Marzo 2010 per RM · tra una musica scritta su uno spartito e la stessa musica cantata. San Francesco di Sales. 10 Introduzione Nel nome del Padre e del Figlio,

1CONGREGAZIONE DELL’ORATORIO

DI SAN FILIPPO NERI

Giusto

INCONTRI DELL’ORATORIO IN MUSICA

CHIESA SANTA MARIA IN VALLICELLA

8 MARZO 2010

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CONGREGAZIONE DELL’ORATORIODI SAN FILIPPO NERI

ASSOCIAZIONE “MUSICA PER CREDERE”

INCONTRI DELL’ORATORIO IN MUSICA

GiustoUNA STORIA DI SANTI

DOVE NESSUNO È CHIAMATO PER NOME

TESTO DI

GIOVANNI DONNA D’OLDENICO

CHIESA SANTA MARIA IN VALLICELLA

8 MARZO 2010

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Il testo dell’Incontro di questa seraè stato liberamente tratto da:

GIOVANNI DONNA D’OLDENICO. Giusto. Collana “Le Fionde”,Casa Editrice Marietti, Genova-Milano. 2006. 160 p.

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In uno degli incontri dell’Oratorio Musicale, il nostroPadre Preposito ha parlato di un felice “sposalizio tra la Paroladi Dio e la musica: la Parola che è di Dio, ma pur espressa da suoniumani; la musica che è dell’uomo, ma che pure contiene arcaneespressioni del divino”….

E’ certamente un’illustrazione sintetica che racchiudemolto bene il significato di questi nostri incontri dell’Oratorio,in cui la musica trova la sua piena realizzazione nel mettersi aservizio della Parola di Dio e della contemplazione delle cosecelesti.

Nessun altro linguaggio dell’anima ha la capacità di faruscire l’uomo dalle sue occupazioni e preoccupazioni, perelevarlo in modo immediato al livello più dignitoso che glicompete in quanto unica creatura adatta ad entrare in dialogocon il Divino.

In questi nostri incontri, la Parola di Dio, l’esperienza divita dei Santi, pagine di musica ispirata eseguita dal vivo conl’orchestra, si fondono insieme per offrire la gioia dellacontemplazione, una sosta dell’anima che vuole regalarsi perun’ora un’oasi di pace e di ascolto, nel cuore di una cittàcaotica che sembra improvvisamente sparire per lasciar postoad un’altra dimensione che irrompe dall’Alto…

Gli Incontri dell’Oratorio

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L’ACCADEMIA MUSICALE SAN PIETRO

Primo Violino di Spalla * Agnese Miteva

Primi Violini Marina PacioneEmmanuelle Thomasson

Carlo CasieriGiovanni Pandolfo

Secondi Violini * Lucia CampagnaGiusy Petti

Giovanna SalvatoreClaudia Lopez

Viole * Bruno PucciAntonino Urso

Rita Turrisi

Violoncelli * Massimo BastettiAlessandro Incagnoli

Contrabbasso Michele Palmiero

Oboe Nello Pinto

* prime parti

Direttore:P. Pierre Paul, OMV

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PresiedeP. Edoardo Aldo Cerrato, C.O.

Procuratore Generaledella Confederazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri

Con le Voci di

CRISTINA DEL SORDO

AURORA MASCHERETTI

STEFANO MONDINI

ROSARIO TRONNOLONE

CAROLINA ZACCARINI

Scelta dei testiP. Maurizio Botta, C.O.P. Rocco Camillò, C.O.

P. Pierre Paul, OMV

Supervisione tecnicaAngelo Righetti

Sound EngineersAdriano Vitali

Alvaro D’Amico

Si ringrazia vivamenteRADIO VATICANA

TELEPACE

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La musica, la più immateriale e arcana espressione d’arte,che può avvicinare l’anima fino ai confini delle più alteesperienze spirituali, ha la sua grande parola da dire

davanti al mondo di oggi; ha il compito tremendo e affascinanted’interpretarne le aspirazioni, le inquietudini, il brivido diassoluto; di placarne con un messaggio di serenità le oscurecrisi di pensiero e di sentimento; di temperare l’aridità e ilfreddo, in cui lo possono avvolgere i pur raffinati strumentidel suo tecnicismo; ha una missione da svolgere in nome deivalori umani più alti e veri e duraturi, quasi per una propedeuticaalle ardue conquiste dello spirito.

Paolo VI ai professori e alunnidel Conservatorio musicale di Milano

29 marzo 1965

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L’unica differenza esistentetra il Vangelo e la vita dei santi

è quella che c’ètra una musica scritta su uno spartito

e la stessa musica cantata.

San Francesco di Sales

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Introduzione

Nel nome del Padre e del Figlio,e dello Spirito Santo.- Amen.

Cari Amici,

questo incontro dell’Oratorio ci trova in cammino versola Pasqua.

Il tempo santo della Quaresima scorre veloce, come ognialtro, ma ci colma di fiducia: «Dies venit, dies Tua – canta laLiturgia – per quam reflorent omnia»: viene il giorno, Signore, ilTuo giorno, in cui tutto rifiorisce! I testi che questa seraascolteremo e i momenti musicali che li abbracciano ciaccompagneranno in questo cammino della fiducia e deldesiderio di vita nuova.

L’incontro di questa sera – non diversamente daiprecedenti, ma con una più evidente sfumatura – ci farà riviveregli inizi dell’Oratorio, quando Padre Filippo e i suoi amici si«raccontavano» il Vangelo narrando le vite dei santi.

Anche noi ascolteremo un racconto, attraverso alcunepagine di «Giusto»: una storia di santi «dove nessuno è chiamatoper nome. Tanto, di che si parla, è chiaro per tutti. Forse...», comescrive l’autore.

Giovanni Donna d’Oldenico, con rara sensibilità, conafflato poetico e con il sano realismo che sempre sostanzia lapoesia cristiana – la poesia di chi crede nella reale Incarnazionedi Dio – ci conduce, attraverso questi brani, a contemplarel’esperienza di un «lui» che è Giuseppe, l’uomo a cui Dio

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affidò sulla terra quanto aveva di più caro. E in relazione aGiuseppe, il Giusto, anche la ineguagliabile avventura di «lei»,la sua sposa vergine, Maria, madre del Signore; legati entrambi,con vincolo di amorosa dedizione, al mistero di un Amoremisericordioso che non è un’Idea, ma un «Lui» anch’esso:Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo, la Salvezzadonata a chiunque la voglia accogliere.

Entriamo dunque, in punta di piedi, nella casa dovel’Uomo-Dio ha voluto condividere in tutto la nostra storia: vitroviamo «lui» – Giuseppe – che sta morendo, giunto al terminedel suo cammino terreno; «lei» – Maria – che a qualunquecosto deve trovare il Figlio, partito da Nazareth per la suamissione, è uscita da quella casa per andare a cercarlo, lasciandouna parente a vegliare il Giusto: la cognata di Giuseppe, che glifa compagnia nell’attesa che ritornino, per raccogliere il suoultimo respiro, coloro a cui «lui» ha dedicato l’intera suaesistenza.

Saremo i testimoni privilegiati dei momenti in cuiGiuseppe racconta l’esperienza che Dio gli ha donato e cheegli ha vissuto nella fatica dei giorni; e saremo testimoni diuno degli incontri che Maria farà, nel suo cammino alla ricercadi Gesù: persone che «Lui» ha incontrato e a cui ha cambiatola vita.

La musica sottolineerà il clima caldo, intimo, delle coseimportanti, quelle che possono esser dette solo sottovoce: ilclima che si respira in queste pagine di Giovanni Donnad’Oldenico.

ANTONIO VIVALDI

(1678 - 1741)Concerto in Re minore

Largo e spiccato

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I

«Tu hai paura del buio?»«A te pare cosa da donna, eh?»«No, anche da uomini, da tutti. Io ne ho sempre avuto un

poco. Mai quanto quella notte, comunque. Ti racconto».«Meglio di no: è tardi. Avremo tempo domani».«Domani! Se lo dici tu. Portami almeno notizie di mio

figlio, domani».«Arriva presto, vedrai. Vuoi che in quattro giorni tua moglie

non l’abbia raggiunto? Su, dammi retta e sdraiati. Io finisco dimettere ordine».

«Grazie. Lascia il lume acceso».Lei tace e fa, sorridente.Si congeda offrendogli una caraffa colma d’acqua.Lo guarda: è sempre più pallido, come se l’onesto vigore dei

suoi cinquant’anni l’avesse di colpo abbandonato.Uscendo scuote appena il capo.E lui rimane solo, in compagnia di quella strana e

abbondante spossatezza che il sonno non riesce a vincere né ipensieri a cancellare.

Pensieri di tutti i giorni e altri.E poi il lavoro: fermo da una settimana.Sua moglie! Sarà Dio a vegliarne il riposo, questa notte.

Chissà dov’è, ora.E il figlio. Lontano. Anche questi giorni.Gli ultimi, teme.

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II

«Coraggio, asino mio. Tra poco ci siamo» diceva la donna.Accompagnava il passo vivace del somaro con il movimentodelle spalle.

Il cavalcare di tutta la giornata era stato infastidito datafani e staffette di mosche: cacciava con una fronda quelle ilcui ronzio taceva appiccicato a lei e all’animale e subito frottenuove ne prendevano il posto. All’imbrunire cominciò a patireil lavoro delle zanzare. «Che poi devi spiegarmi perché le haifatte»: questo stava obiettando al Creatore, china a grattareuna caviglia punta di fresco, quando il rilievo di un colle leportò l’eco di suoni non lontani.

Spronò l’asino.Divennero musica, ritmi distinti; quindi canti, tamburelli,

voci maschie e femmine. Flauti. Risa.

«Figlio! Guarda in che posto tocca venire a cercarti. Dasola. Spero almeno che tu sia qui per davvero».

Affrettò l’asino giù per la discesa.Pensava al suo sposo: un uomo giusto.Non per questa qualità, però, aveva attratto il suo cuore di

ragazza; non all’inizio, essendo troppo giovane per saperlaapprezzare.

Era di bell’aspetto, robusto, spiritoso quanto basta e attento.Lavorando sodo, a bottega dallo zio, aveva imparato afabbricare cose ben fatte. Le sue qualità erano evidenti; qualchedifetto anche. Una persona in gamba, come tante che leiconosceva. Ma era l’unico accanto al quale – lo aveva percepitocon emozione sicura – avrebbe potuto condurre la vita. Dunque

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si era adoperata finché il padre di lui l’aveva domandata alsuo in sposa per il figlio.

Poi, durante uno dei momenti belli del loro primo vivereinsieme, aveva intuito d’improvviso la vera consistenza del suosposo: essere giusto. Anche per come si era mantenuto durantegiorni loro terribili, colmi di angoscia eppure di misericordia,poi di grato stupore. Ma soprattutto per la vita intera dopo.

Quanto lo amava!Giusto: lui, di sé, non l’avrebbe mai detto. Proprio non ci

pensava: faceva quanto doveva, faticava, stava sereno e affidavaa Dio l’esito di ogni opera, di ogni giornata, di ogni incontro.

L’esito di sé.E di tutta la grandezza che gli era accaduta, preferiva tacere

perfino a se stesso.Un uomo giusto.Che forse sta per morire: questo presentimento è la ragione

urgente per cui lei ora è lì, a cercare il figlio, mentre suomarito, disteso sulla stuoia, non riesce a chiudere occhio.

OTTORINO RESPIGHI

(1879 - 1936)Antiche danze ed arie per liuto. III Suite

Italiana

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III

No.In questo momento sta peggio.Un accesso inarrestabile di tosse l’ha costretto a interrompere

il racconto alla cognata.«Non farmi spaventare. Ti è passato?»«Quasi».«Sei troppo debole. Preparo qualche focaccia d’orzo».«Non ho fame».«Aspetta di sentirne il profumo quando cuociono!».L’appetito se n’è andato del tutto, il malessere no. Disteso

sulla stuoia, continua a non trovare una posizione riposante.Ora lo infastidiscono soprattutto le gambe: deve muoverle dicontinuo; appena le ferma, avverte una tensione crescente, unbisogno incoercibile di camminare. «Sarà l’immobilità di questigiorni … Gambe mie! Non sapete far altro che lavorare».

Lavorava l’utile e il bello. Legno, pietra, metallo. La terra. Acostruire e dar forma. A inventare, anche. Mani. Testa. Cuore.Una vita di lavoro, la sua.

Vita comune. Eppure straordinaria.«Fragranti queste focacce. Che c’è nell’impasto?».«Prezzemolo, salvia, rosmarino e timo: devo o no farti venire

appetito?». Gli piaceva mangiare aromatico.

Era una consolazione per lui avere accanto, in questi giorni,una parente così. Poter aprire il cuore con qualcuno in unmomento difficile: in passato non sempre era stato possibilefarlo.

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Come appena fidanzato: aspro accettare quanto quellaragazza, per la quale era stato scelto e a cui subito s’eraprofondamente appassionato, gli aveva chiesto all’inizio delloro amore. La desiderava in sposa per amarla, abbracciarla,crescere figli. Finché lei, un pomeriggio, entrata in bottega, glisi era seduta davanti a osservarlo, silenziosa, mentre rifinivauna macina piccola. Pareva a disagio.

«Che hai?», le aveva domandato, senza smettere di martellare.«Senti. Devi sapere una cosa».E tosto zitta, gli occhi bassi, levati a tratti per cercare i suoi,

come a indovinare pensieri, e in fretta distolti verso le mani.Nervose.«Sei molto carina!» aveva buttato lì lui per rompere

l’imbarazzo; ottenendone soltanto un esitante: «Questo puòrendere tutto ancora più difficile».

Poi un silenzio strano.Anche lo scalpello taceva, abbandonato sul banco.«Non ho capito: tutto più difficile? Che cosa? Ti garantisco

che nulla lo sarà, qualsiasi cosa tu abbia da dirmi».«Promesso?».«Sì».«Siedimi accanto».L’aveva tirato a sé per la mano e, mantenendola tra le sue,

aveva iniziato a svelare. Lui, immobile, fissava le sue labbra, lavoce di lei che confidava una decisione presa molto tempoaddietro, senza neppure sapere bene perché, essendo allorauna bambina. Una scelta mantenuta segreta, maturata in unadeterminazione incrollabile: «Come se io da sempre fossi fattasolo per Dio. Capisci? Lui. Così grande. Io. Così misera. Eppuresua». Era il primo a conoscere questo e lei voleva rimanesse ilsolo, almeno per ora.

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E mano a mano che questa notizia gl’inondava l’anima diun’amarezza muta, diventava a lui evidente quanto in fretta equanto a fondo si fosse innamorato di lei. Mai altra donnaavrebbe potuto avvincere il suo cuore altrettanto. Talmenteche, non essendo ancora definiti gli sponsali e avendo quindifacoltà di ritirarsi, il pensiero di rinunciare alla vita con lei eraimpensabile.

Che cosa poteva dire? Rimproverarle di non averlo messo aparte di questo prima? Ma prima quando, se tutto era appenainiziato? Si fosse almeno mostrata più ritrosa quando i loropadri s’erano messi d’accordo! No.

Per fortuna, non l’aveva fatto: altrimenti non sarebbe maistata per lui, né lui per lei.

Già. Ma era proprio questo, la loro promessa, ciò che oracausava tutta l’angoscia.

Riusciva ancora a trattenere le lacrime: «Come puoi volerequesto e, insieme, volere me?».

«Anche per me è arduo capirlo. Pensarmi tua moglie miconforta e mi rallegra. Mi rassicura: quasi che solo così io e ilmio segreto fossimo custoditi. Ma c’è molto di più: sono certache tu puoi non solo comprendere la mia decisione, ma persinocondividerla e volerla. Farla tua, insomma. Non sarebbe amoreancora più evidente questo: se tu ed io, pur veri sposi, verissimi,ci fermassimo a un passo l’uno dall’altra, rinunciando a unircida noi – credo in modo assai gradevole – perché l’Eterno ciunisca infinitamente? Anche sacrificando la fecondità nostra,in modo che l’Onnipotente sia libero di riempirci della sua? Ioho capito fin qui, e per me così è tutta la felicità possibile. Esiccome ti amo, non posso che desiderarla anche per te. Tusaresti felice di una contentezza che nessuna gioia potrebbegonfiare oltre, né alcun dolore intaccare. Perché invece di averper compito il tuo desiderio, avresti per desiderio questo compito:

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quello che la realtà ti mette innanzi. Qui. Adesso. Me. Non seiobbligato a farlo, però».

Non lo era. Eppure, dopo che lei ebbe finito di parlare elui, levatosi, agguantata la mazzetta, ebbe ricominciato amartellare duro, inghiottendo lacrime tirate su dal naso, il suodesiderio di sposarla era addirittura cresciuto. E la prima agitataimpressione che le parole udite avevano prodotto, quella didover rinunciare a lei per sempre, stava cedendo il posto allacalma consapevolezza che, se avesse accettato di andare avanti,quella donna giovane e bella sarebbe stata sua davvero.

Se n’erano rimasti per un po’, lui in piedi a lavorare, gliocchi velati, fissi sul banco, sollevati a guardarla fugacemente;lei, seduta là, serena, adesso.

Fino a che, incrociati gli sguardi, lui si era fermato.Gli era venuto da sorriderle e, stringendosi nelle spalle, le

aveva detto: «Ti amo. Ma sarò capace di amare te oltre ognimio desiderio?».

«Sì. Insieme».«Va bene».«Grazie. E sarà per sempre».L’aveva salutato con una carezza.

GIUSEPPE TARTINI

(1692 - 1770)Andante Cantabile per Archi

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IV

Intanto sua moglie, avendo ben inteso che genere di postofosse, aveva trovato il coraggio necessario per entrare solo nellacertezza che il figlio fosse lì.

Non c’era. Era partito quella mattina.Ma il taverniere l’aveva pregata di alloggiare lì per la notte.

Poteva dormire con sua figlia, che di mestiere fu prostituta eche le aveva chiesto, appena entrata in casa: «Raccontami tuofiglio».

«Anche tu lo conosci?».«Quanto basta per volerne sapere di più».«Cosa vuoi che ti dica? Lui è quello che è».«Com’era da bambino?».«Magro, loquace, eppure in grado di guardarti fisso, a lungo,

dentro un silenzio addirittura imbarazzante. Il suo sguardo! Eamava fare scherzi. Alla gente. Alle galline. A tutti. Quanti neinventava! Faceva ridere me, suo padre, i compagni, chiunque;tranne i malcapitati cui toccava subire la burla. Però, quandopareva eccedere, bastava poco a farlo ragionare».

Erano stese su un morbido giaciglio grande, accosto allaparete sotto la finestra della stanza buia.

«E da ragazzo?».«Come mai t’interessa tanto? Non credo abbia intenzione

di far famiglia!».«Non sono il genere di donna che un uomo cerca per far

famiglia».«Perché? Sei giovane e bella».

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«Non è l’età. E’ il mestiere. Una che è stata di tutti, non èbuona moglie per nessuno. Invece tuo figlio è perfetto, perchiunque. Se ti dico che mai ho conosciuto un uomo cosìattraente, non mi fraintendi, vero?».

«No. Ti capisco. Tra l’altro un complimento rivolto a luivale anche un po’ per me. Sono o no sua madre?».

«E si vede. Gli rassomigli: mi ascolti e mi guardi allo stessomodo; mi parli; rimani persino a dormire accanto a me senzavergogna, adesso che sai quella che sono».

«Lo sa Dio quella che sei. Lo sa meglio di te».«Ecco. Anche questo mi ha sopreso di tuo figlio: dal primo

incontro, a quel tavolo, in taverna, è stato come se mi conoscessepiù a fondo di me».

Aveva subito provato per lei tenerezza, acuita appena leaveva confidato: «Ho deciso di non fare più la prostituta».

In effetti non lo faceva più.Aveva accettato di sostituire in taverna un’anziana

inserviente, con soddisfazione del padre, tutto sommato; tral’altro, anni di mestiere le avevano lasciato in dote un gruzzolonon indifferente. Non lo faceva più, anche se non sempreriusciva a rinunciare a godere di quel sesso dalla cui vogliasovente era presa. Questa era una lotta dentro la quale, a volte,ancora soccombeva. Per l’abitudine al piacere; per i ricordieccitanti; per la prepotenza dell’istinto. O per noia. Eppure sisentiva davvero felice solo dopo ogni giornata vittoriosa.Addolorata, ma non impaurita né avvilita, per le sconfitte.Sempre desiderosa di farcela. Certa che ce l’avrebbe fatta.

«Certa perché?» ricordava di averle chiesto mentre, dal lettoove discorrevano stese, si alzava ad accendere un lume.

«Per piacergli. Sì, a tuo figlio. Lui non sarà mai mio a quelmodo; manco ci penso, credimi. Ma è bello essere bella per lui.Fosse solo questione di precetti, avrei continuato la vita come

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prima. Invece sono sicura che riuscirò perché … ecco! Me l’hainsegnato lui: sai come ha risposto quando gli ho chiesto comefare?».

«Come?».«Mi ha guardato fisso. Zitto, un silenzio lungo, poi poche

parole. E io ho capito! Ho capito che per riuscire devo chiederloa Dio mio padre: finché mi arrovello sola, può essere persinoch’io m’inganni sulla sincerità dell’intenzione; per presunzione,magari; o per ambiguità; o anche solo per stanchezza. Tantoche, se cado, mi scagiono; o dimentico; o dispero. Invece sechiedo, vedo a cosa tengo davvero. Come un’accattona. E hocompreso che questa mendicanza non fa sconti al mio impegno:lo presuppone, lo suscita, lo rende vero, soprattutto. Sai, sedomando il bene, so che poi succede e, alla fine, conta ilproposito di restar fedele all’accaduto. Perseverare. Che nonsignifica non inciampare mai, ma sempre rialzarsi e proseguireper la via che è mia. Magari zoppa, per qualche tempo. O persempre».

Avevano discorso ancora, la sua ospite sempre più assonnata,stesa su un fianco, le gambe piegate sul ventre a tenere il calorecon sé, stentava a mantenere le palpebre aperte, biascicandoparole vieppiù assopite. Finché un’ultima idea le si eraaddormentata in bocca: «Dopo che in questo letto mio avraidormito tu, avrò un motivo in più per farcela. Devo …».

«Dio accompagni tanta fatica» aveva augurato a lei subitoaddormentata. Quindi, smoccolato lo stoppino, era iniziatoquel sonno disturbato e interrotto.

Poi, di buonora, la partenza.

EDVARD HAGERUP GRIEG

(1843 - 1907)Holberg Suite

Sarabanda

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V

Ha fastidio a deglutire.Beve adagio. Tra un sorso e l’altro, ricorda quando il figlio,

bambino, ogni sera. «Ho sete, papà» diceva. Gli dava acquasostenendolo, una mano dietro la schiena, la madre magariimpegnata, ancora, a impastare farina, o al pozzo ad attingere,o ad accomodare questo e quello. Lui lì, a guardarloaddormentarsi.

Quando non doveva lavorare sino a notte inoltrata, gli sistendeva accanto e, aspettando chi fosse giunto prima, moglieo sonno, nell’ultima preghiera del giorno «Come un padre hapietà dei suoi figli – recitava - così il Signore ha pietà di chi loteme». Pregava Dio, suo padre, sforzandosi di pensare a lui enon a sé, giacché suo desiderio unico e infinito era piacere aDio sempre di più, certo che solo così si compissero il suodestino e la sua felicità. Spesso, in queste veglie accanto alpiccolo addormentato, gli accadeva di sentirsi sommerso dallapropria paternità smisurata. E, per quanto fosse ben capace diabitare la finitezza e pazientare nell’incomprensibile, in queimomenti veniva sopraffatto da una meraviglia sgomenta:davvero un mistero egli era a se stesso.

Perché quel bambino era sì figlio della carne di sua moglie,ma quante volte aveva udito proprio da lei quel dire «Tuopadre e io».

«Tuo padre».Suo padre! Nonostante tutta la vita trascorsa in familiarità

profonda con lui, di questo faticava a capacitarsi. Padre non

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era dell’umanità di quel figlio, non al modo in cui la sua sposaera madre. Tanto meno della sua divinità.

Eppure padre suo lo era.Completamente. Per sempre.Non per un bisogno soddisfatto, bensì per aver fatta sua la

volontà di Dio; non artefice, ma custode di un dono. Padrenon da uno sforzo proprio, lecito e piacevole, ma da unafatica insolita e beata. Una paternità accaduta e, di seguito,costruita con naturalezza e laboriosità da lui, reso capace quantobasta per esser responsabile davanti all’Infinito. La paternitàumana fatta la più somigliante alla divina e ad essa la piùprossima.

Senza vanto. Senza merito.Così al risveglio, ogni mattina, domandava tutta la grazia

necessaria per compiere il giorno; e ogni sera tutta la misericordia,trascorrendo le giornate ora in pace ora no, sperando anchedentro lotte intense, taciute a tutti.

Sentiva tale paternità così sua, appagante e trabordanteogni desiderio, da mai augurarsene altra.

E poi, più trascorreva il tempo fedele a quella decisioneirrevocabile – essere lui e sua moglie insieme solo per Dio – piùl’amore suo diveniva capace di fermarsi a un palmo da lei.

E quell’idea, angosciosa un tempo – «Chi sono io perafferrare quanto l’Eterno ha evidentemente abitato?» – eradiventata negli anni la certezza che lo sosteneva nel suo compito– «Se lui si è fidato di me, non devo dubitare io!» – il compitotravolgente di insegnare e dare ordini a quel figlio: «Fa’ così.E’ ora di dormire. Stai attento. Lava bene le mani». E, piùancora, di giudicarne il fare e il dire: «Sei stato bravo. Questonon va. Questo mi piace. Meglio se stavi zitto». Non era lacastità a essere ardua: costava appena dover vincere il fremito

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di attimi. Era l’obbedienza, questa obbedienza, quella di suofiglio a lui, la cosa più ardua da accettare.

«Finita la tosse?».Ha terminato di bere.«Ho male qui» indica il petto.«Passa, vedrai».«No. Io … io passo».

OTTORINO RESPIGHI

(1879 - 1936)Antiche danze ed arie per liuto. III Suite

Siciliana

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VI

Lei si sveglia di soprassalto.La invade un presentimento tristissimo.«Signore, Signore mio, non farlo morire. Lascia che veda il

suo sguardo. Oda la sua voce. Stringa, calde, le sue mani. Tupuoi. Fai. Se possibile. Fa».

Non riesce a trattenere le lacrime: per non svegliare nessunosi alza e si allontana.

Siede su un tappeto d’erba.Singhiozza, piangendo per l’uomo accanto al quale

l’impossibile è divenuto semplice: essere vergine e sposa e madre.Infinitamente.

La vita l’uno per l’altra e, insieme, per il figlio.Nella cui educazione suo marito ha avuto un ruolo

determinante. Anche perché, grazie al lavoro, ha trascorso conlui molto tempo, crescendo nella conoscenza del suo mistero,pur senza mai avergli chiesto, a riguardo, nulla: per il bene chegli porta; dunque per il timore di turbarne anche solo appenail crescere; di approfittare del suo ruolo.

Per timore di Dio e di fissare lo sguardo in cose troppo alte.Sempre ha atteso che fosse lui a far intendere qualcosa di

sé.E ogni volta che è accaduto ne ha parlato con lei.L’ultima, due o tre giorni prima di quella stupida emorragia

del naso.Si rivede seduta accanto a lui sulla soglia di casa a godere il

fresco della sera, dopo una giornata afosa.E’ stanco.

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«Tanto lavoro, oggi?».«E molta nostalgia di nostro figlio».Cosa non nuova da quando ha preso ad allontanarsi sempre

più spesso e più a lungo.«So che deve occuparsi delle cose del padre suo. Però mi

manca».Giorno dopo giorno, cose del padre suo erano state la loro

casa, l’attività in bottega, la vita domestica.Adesso il padre suo iniziava a chiamarlo altrove.Di questo avevano discorso fino a tardi, quella notte, con

lei a rincuorarlo: «Sai, per me ha iniziato ad allontanarsi dalmomento in cui è nato. Quando l’ho partorito e tu e la levatricenon eravate ancora arrivati, l’ho stretto a me, l’ho guardato eho pensato: ecco, c’è più che mai, eppure già comincia adandarsene».

«Invece per me proprio lì, quando me lo hai dato da tenerein braccio, hanno preso inizio l’intimità, l’avventura di crescerlo,il tempo mio con lui. Che forse ora volge al termine».

«Uno non finisce mai di essere padre».«Sì, ma sempre, dentro l’essere padre, abita anche il farsi da

parte, il sacrificio della lontananza. Adesso però, sento come setutta quanta la mia paternità dovesse consistere solo più inquesta distanza. E mi pesa».

«Porterò questo peso con te».«Forse».«Vuoi far tutto da solo?».«Non è questo. E’ che si avvicina un’ora in cui dev’essere

chiaro che cosa nostro figlio intende quando dice «mio padre»:non può esserci ambiguità né per lui, né per chi ascolta. Sequell’ora, come penso, è prossima, io potrei essere di troppo».

«Ma che dici! Pensa a me: io non ho forse bisogno di te?Sempre di più, con il trascorrere degli anni».

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«Rimane lui».«Sì. Ma …»«Lasciami dire. Per te lui rimane. E tu per lui. Sono sicuro

che, mentre un padre in carne e ossa potrebbe esserglid’imbarazzo, tu, sua madre, non potrai che sostenerlo».

«Ma tu sei mio marito. Tu hai sostenuto me. Tu».Le cinge le spalle con il braccio.Tace.Un sospiro.Poi si volta.Le sorride: «Stai tranquilla. Siamo fortunati: non tocca a

noi decidere tempo e modo di queste cose. Basta affidarsi elasciar fare».

Ha gli occhi scuri e ridenti.«E c’è un’altra cosa che la nostalgia di nostro figlio mi fa

pensare».«Se è triste come questa, ti prego: non dirmela adesso!».«Non lo è».«Aspetta. Arrivo».Era entrata in casa a prendere una cappa: appena un po’ di

fresco la intirizziva. Tornata fuori si era seduta ben stretta alui che, con una risata, l’aveva canzonata: «Se non ti basta loscialle, vado a cercare una coperta».

«Invece di prendermi in giro, che altro hai da dirmi?».«Questo».Era un’idea serena.Il cui ricordo ora la consola.Ha smesso di piangere.

JOHANN SEBASTIAN BACH

(1685 - 1750)Cantata 156

Sinfonia

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VII

Chine al fianco dell’uomo disteso sulla stuoia, la cognata asorreggerne il capo, l’amica a tergergli il sudore dalla fronte, lohanno udito bisbigliare: «Non sono morto. Non ancora» primadi perdere i sensi, per rimanere privo di conoscenza la notteintera e poi la mattina e il pomeriggio, mani e viso esangui, ilrespiro rumoroso, profondo e a tratti interrotto.

E quando le due donne, certe che la morte fosse questionedi momenti, già disperavano che la moglie e il figlio giungesseroa tempo, eccoli invece entrambi.

«Siamo entrati in casa. Abbiamo raccolto l’abbraccio dimia cognata in lacrime e il saluto dell’amica. Le abbiamocongedate, rimanendo soli. Mio marito. Nostro figlio. Io».

«Papà» lo aveva chiamato il figlio.E il tempo aveva ricominciato a muoversi.E il respiro rumoroso di lui si era fermato.Una pausa più lunga delle altre.Per riprendere, quieto e regolare, dopo un lungo sospiro.Mentre una sfumatura di colore gli colorava le guance esangui,

aveva aperto gli occhi, le sue mani raccolte dalla sposa e baciatee tenute strette.

Felici lacrime.«Sapevo che saresti arrivato».Cominciava l’ultimo loro dialogo.Irrepetibile, talmente grande.Parole poche, scambiate lente, interrotte spesso.Una debole tosse.

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Il padre, certo di doversene andare, anche a sollecitare dinon fare nulla per ritardare il momento: «Lascia che vada inpace». Ultima obbedienza richiesta al figlio e, insieme, estremaprofessione di fede di un morente, nel Signore della vita, comea dirgli: so che puoi, ma non è ora che tu agisca. Quanto alfiglio fosse costato quell’obbedire, la madre mai lo avrebbesaputo. Ma quanto dolore anche per lei in questo onorare ilpadre che implicava il suo diventare vedova!

Il padre a esprimere al figlio il desiderio di cui aveva parlatocon lei, quella sera di poche settimane prima: che cioè permanessenel tempo, dentro una presenza reale e senza fine. Il figlio arassicurarlo dicendogli che «certo» e che «proprio grazie almio rimanere, quando sarò io a poterti chiedere un’obbedienza,questa sola sarà: che, come hai saputo essermi padre fino aquesto istante, così tu voglia continuare a esserlo per me, incoloro che ti affiderò. Saranno tanti».

«Sono talmente piccolo, figlio!».«Tu non immagini quanto sei grande, padre».Poi l’ultimo suo sguardo e le parole, solo più un sussurro,

per lei, la sua sposa: «Grazie, amore mio, per aver reso possibiletutto questo».

«No. Grazie a te. Sei tu che hai reso possibile tutto».Poi la sua voglia di dire qualcosa.E il suo non farcela più.Ancora un debole colpo di tosse.E un sorriso.

SAMUEL OSBORNE BARBER

(1910 - 1981)Adagio per archi

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Preghiera e Benedizione

Tutti:

Padre nostro, che sei nei cieli,sia santificato il tuo nome,venga il tuo regno,sia fatta la tua volontà,come in cielo così in terra.Dacci oggi il nostro pane quotidiano,e rimetti a noi i nostri debiticome noi li rimettiamo ai nostri debitori,e non ci indurre in tentazione,ma liberaci dal male.

Il Sacerdote:O Dio, nostro Padre,fa’ che camminiamo davanti a tenelle vie della santità e della giustizia,sull’esempio e per l’intercessione di San Giuseppe,uomo giusto e fedele,che hai scelto, nel tuo disegno di salvezza,come sposo di Maria, madre del tuo Figlio,che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,per tutti i secoli dei secoli.

- Amen.

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Il Sacerdote:Il Signore sia con voi.- E con il tuo spirito.

Vi benedica Dio onnipotente,Padre, e Figlio, e Spirito Santo.- Amen.

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GLI INCONTRI PREDECENTI

I

Iesu mio, Gioia e Amore mio!SAN FILIPPO NERI E CESARE BARONIO

IL MAESTRO E IL DISCEPOLO

28 Maggio 2007

II

Hai benedetto la nostra terra!UNA CONTEMPLAZIONE DELLA CREAZIONE

19 Novembre 2007

III

La PassioneUNA MEDITAZIONE SUL MISTERO

DELL’AMORE PIÙ GRANDE

10 Marzo 2008

IV

Ama Dio e non fallire, fa del bene e lascia dire!LA VITA DI SAN FILIPPO ATTRAVERSO I SUOI FIORETTI

29 Maggio 2008

V

Pellegrino dalle scarpe rosseUNA RIEVOCAZIONE DEL SERVO DI DIO

PAPA PAOLO VI20 Ottobre 2008

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VI

Ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuoreIN CAMMINO CON IL SIGNORE ATTRAVERSO PROVE E ARIDITÀ

9 Marzo 2009

VII

Il vostro sempre affezionatissimofratello e servitore in Cristo GesùSAN FRANCESCO DI SALES, PADRE SPIRITUALE,

DOTTORE DELLA CHIESA E AMICO DELL’ORATORIO

28 Maggio 2009

VIII

Ti insegnerò la strada del cielo...TESTI E FIORETTI DI

SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY, CURATO D’ARS

19 Ottobre 2009

IX

La Vergine concepirà un Figlioche chiamerà “Dio-con-noi”

7 Dicembre 2009

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scrivere a: [email protected]

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