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TEORIA POLITICA

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TEORIA POLITICA

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Direttore

Natascia MUniversità degli Studi di Macerata

Comitato scientifico

Cristiano Maria BUniversità degli Studi di Urbino “Carlo Bo”

José Francisco J DUniversidad Pablo de Olavide

Julien PUniversité de Liège

Matteo TUniversità di Parma

Gianluca VUniversità degli Studi di Macerata

La collana è stata codiretta da Carla Amadio e Natascia Mattucci fino al volumenumero , La critica tra scienza e politica.

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TEORIA POLITICA

L’apoliticità non esiste. Tutto è politica

— Thomas Mann

La collana di Teoria politica si propone di accogliere e pubblicare ricerche estudi, in particolare monografie e volumi collettanei, dedicati alle trasforma-zioni del “politico” analizzato attraverso le pratiche, le istituzioni, il lessico,le teorie e la storia delle idee. Si intende offrire spazio anche a lavori ineditiche ricostruiscano i mutamenti dello spazio politico attraverso temi quali lasfera pubblica, i cambiamenti che investono le soggettività politiche (conriferimento alle capacità e ai diritti), la fenomenologia rappresentativa, ilsimbolismo e la comunicazione politica. Con questa iniziativa editoriale ci sirivolge a quanti seguono le metamorfosi contemporanee del “politico” conl’intento critico proprio degli studiosi, teso a intercettare le dinamiche chesi intrecciano nel rapporto società–politica–diritto, e con l’attenzione vigiledi quei lettori che vogliano orientarsi nella comprensione dei fenomenipolitici con strumenti concettuali adeguati alle sfide di un mondo che esigeuno sguardo locale, nazionale e globale.

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Andrea Capati

La torre di Babelenella ricerca politica

Formazione e trattamento dei concetti empiricisecondo il metodo logico

Prefazione diMarco Valbruzzi

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Aracne editrice

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Copyright © MMXVIGioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale

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via Sotto le mura, Canterano (RM)

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre

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A Gianmarco

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Indice

11 Prefazione

15 Introduzione

21 Capitolo I I concetti e il processo di conoscenza

1.1. Una premessa: distinzione tra linguaggio comune e lin-guaggio scientifico, 21 – 1.2. Pensiero e linguaggio, 25 – 1.3. I concetti come “unità del pensiero”, 28 – 1.4. Concetti e teo-ria, 30.

35 Capitolo II La formazione dei concetti

2.1. La struttura del concetto: il triangolo di Ogden e Richards, 35 – 2.2. La scala di generalità e la trasformazione concettuale, 38 – 2.3. Concettualizzazione: ricostruzione e specificazione del concetto, 43 – 2.4. Operazionalizzazione: dalla teoria alla ricerca empirica, 48.

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10 Indice

55 Capitolo III L’analisi concettuale e il metodo logico

3.1. Classificazione e quantificazione: i concetti come “conte-nitori di dati”, 56 – 3.2. Categorizzazione “classica” e proposte alternative, 62 – 3.2.1. Categorizzazione per “rassomiglianza famigliare”, 66 – 3.2.2. Categorizzazione “radiale”, 69 – 3.3. Relazione tra variabili e strategie di ricerca, 77.

85 Conclusione

89 Riferimenti bibliografici

93 Ringraziamenti

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Prefazione

di MARCO VALBRUZZI*

Questo che il lettore si trova tra le mani è un libro controcorrente. È un libro che cerca di sfidare la brutta piega (e piaga) che ormai da troppo tempo — diciamo da almeno una trentina d’anni — hanno preso le scienze sociali, e la scienza politica in particolare. Sempre più spesso chi fa ricerca in questi settori si è andato con-vincendo che la pulizia concettuale, il rigore definitorio, l’atten-zione terminologica siano manie démodé, tic nervosi di qualche attempato studioso fuori dal tempo e lontano dal mondo. La nu-merologia, l’ansia sfrenata di “dare i numeri” e costruire modelli matematici basati sul vuoto, cioè su assunti spesso irrealistici e talvolta empiricamente infondati, ha preso il sopravvento sulla metodologia e, soprattutto, sull’analisi logica dei concetti sui quali costruiamo, o vorremmo costruire, le nostre ipotesi e le ri-sultanti teorie. L’agenda sartoriana, che era in sostanza l’applicazione rigo-rosa dei principi logici di derivazione aristotelica nella forma-zione o ri-formulazione dei concetti politici, è finita del tutto di-menticata, schiacciata da pile di volumi su una sedicente meto-dologia della ricerca che non ha nulla a che vedere col “metodo” e neppure col “logos”. La nuova moda, il new age della scienza politica va esattamente nella direzione opposta rispetto a quella indicata oltre quarant’anni fa da Sartori. E qui sta quello che, giu-stamente, Andrea Capati in questo libro definisce il “peccato ori-ginale”, e cioè l’avere abbandonato il porto sicuro della logica classica (l’analitica, per dirla con Aristotele) per buttarsi — alla deriva — nella ricerca di approcci, strumenti, metodi “nuovisti”, senza una bussola che riuscisse ad orientare il peregrinare del ri-cercatore. Ma, soprattutto, senza una strumentazione in grado di sostituire — per efficacia, rigore e precisione — quell’insieme di

* Ricercatore presso lo European University Institute.

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12 Prefazione

regole per l’analisi concettuale che Sartori e i migliori dei suoi allievi erano riusciti ad elaborare nel corso del tempo. È preoccupante inoltre dover notare che quello che per Sartori era un vizio — lo “stiracchiamento concettuale” — oggi viene propagandato come una virtù. I concetti devono essere, secondo il nuovo mainstream della pseudo-metodologia, ampi, onnica-pienti, persino internamente contradditori se così vuole il ricer-catore. L’importante è che esista, per lo meno, un’assonanza, una parentela, una “rassomiglianza famigliare” — come ripetono i fedeli seguaci di Wittgenstein — tra l’oggetto di studio e il con-cetto in esame. Basta qualche attributo, né necessario né suffi-ciente, per definire un concetto. Basta qualche elezione purches-sia per qualificare come “democratico” un regime politico. Basta qualche premio di maggioranza per rendere maggioritario un si-stema proporzionale (ebbene sì, mi riferisco proprio al caso ita-liano!). Basta qualche elezione, più o meno diretta, di un leader di partito, per scomodare la parola “primarie”. Basta qualche ten-tativo di ribellione nei confronti delle autorità politiche per in-neggiare alla rivoluzione. Ma dovremmo sapere, forse, che non basta una rondine per far primavera (tanto meno quella araba). Se questo è — e personalmente sono convinto che effettiva-mente sia — lo stato dell’arte nelle scienze sociali, non do-vremmo stupirci del duplice rischio che, come comunità di stu-diosi, stiamo affrontando. Da una parte, il pericolo, oramai quasi una certezza, è quello della inconsistenza. Dell’occuparsi, cioè, di aspetti minimi, di piccoli fenomeni, di fatti marginali, di tutti quegli eventi di cui neppure i magistrati (preator) si sarebbero curati ai tempi degli antichi romani. Oggi la scienza politica pre-ferisce occuparsi di fenomeni che riesce a maneggiare numerica-mente, ai quali può affibbiare senza troppa premura terminolo-gica e metodologica una qualche cifra possibilmente valida o esportabile urbi et orbi. Quanti più casi di analisi si immettono nei modelli statistici tanto più i risultati saranno statisticamente significativi, ma politologicamente irrilevanti. E qui si apre, per l’appunto, il secondo rischio, quello dell’irrile-vanza di una disciplina che, tutta concentrata nel circuito teoria-

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Prefazione 13

ricerca, ha dimenticato che esiste anche una componente appli-cativa (meglio, un potenziale di applicabilità) che dovrebbe col-legare la teoria con la prassi, la spiegazione con la previsione (e, se funziona, con la prescrizione). Ma come si può pre-vedere qualcosa che neppure si vede? Come può la scienza politica, che ha deciso di occuparsi quasi esclusivamente di temi inconsistenti, sperare di essere rilevante, utile, benefica per la società in cui vive e opera? Semplicemente, non può farlo. Perché non si può essere rilevanti se si è inconsistenti; e ugualmente non si possono affrontare tematiche importanti se si ritiene che il sapere polito-logico sia mera speculazione di parole e numeri senza alcuna ri-caduta potenzialmente applicativa. Mi pare, questa, una conclu-sione logica. Proprio quello che oggi manca — come questo libro in “controtempo” si propone di dimostrare — alla scienza poli-tica.

Roma, 26 giugno 2016

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Introduzione

A partire dal 1975, una élite di temerari scienziati politici, guidata da Giovanni Sartori e gradualmente raccolta nel Committee on Conceptual and Terminological Analysis (COCTA), decise di ar-marsi per combattere quello che venne definito «regresso verso la Torre di Babele»1 — una Torre in cui ogni pensatore dispone di un proprio linguaggio, spesso frainteso o ignorato dagli altri, e che dunque impedisce la cumulabilità del sapere scientifico. L’arma da questi suggerita per combattere tale deriva è quella che rimanda al metodo logico.

Nel corso degli ultimi decenni, infatti, molti degli sviluppi compiuti nell’ambito della scienza politica e delle altre discipline sociali sono stati viziati da quello che chiameremo “peccato ori-ginale”: l’abbandono, cioè, della logica come bussola per orien-tarsi tra i confini della ricerca empirica. A questo proposito, oc-corre evidenziare che l’etichetta “metodologia” viene oggi utiliz-zata soprattutto con riferimento a tecniche di ricerca o di analisi statistica (Sartori, 2012, p. 342), nonché agli strumenti e alle ope-razioni necessari per produrre tali tecniche e per interpretarne i risultati (Bartolini, 1986, p. 39). Ciò ha indotto molti studiosi a concentrarsi sul trattamento e sulla manipolazione dei dati, sal-tando il delicato e peraltro fondamentale step relativo all’analisi concettuale (Pasquino e Valbruzzi, 2012, p. 335).

Il problema, qui, è che manipolare grandi quantità di dati di-menticando il metodo logico equivale a fare un vero e proprio salto nel buio. Con le parole dello stesso Sartori (2011, p. 114), ad oggi «siamo poveri di teorie e ricchi di dati ingannevoli». Se si aggiunge che i computer e le nuove tecnologie informatiche permettono ormai di incamerare informazioni illimitate (e, per l’appunto, incontrollate), giungendo ad immense banche–dati quantitative, il rischio è quello di regredire verso una nuova, e ancora più grande, “torre di Babele” elettronica.

1 SARTORI, RIGGS e TEUNE (1975).

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16 Introduzione

Questa abbagliante infatuazione per le tecniche di ricerca e per l’analisi quantitativa ha condotto poi al fenomeno del “gradi-smo”2, per cui, nel trattamento dei concetti, si usa ricondurre tutte le differenze di tipo a differenze di grado: ed ecco che, all’im-provviso, diventa possibile tracciare una linea continua tra demo-crazie e non–democrazie, giacché si assume democrazia come proprietà da attribuire, in una certa misura, ad ogni sistema poli-tico, sia pure — appunto — con le dovute differenze di grado; allo stesso modo, sarà possibile sostenere che la democrazia in-glese è più democratica rispetto a quella italiana, senza peraltro aver previamente stabilito cosa è la democrazia, e cioè in base a cosa una democrazia è tale3.

Ciò che conviene sottolineare, allora, è che la formazione e l’analisi dei concetti vengono prima della quantificazione: prima di avere a che fare con i dati, bisogna fare i conti con il pensiero, che progredisce logicamente, attraverso l’“affinamento” concet-tuale (Sartori, 2011, p. 20). Nel passaggio — di cui dicevamo sopra — dalla dimensione qualitativa a quella quantitativa, i con-cetti sono stati bruscamente convertiti in variabili senza essere stati correttamente formati.

Il primo passo da muovere, dunque, è quello di riportare i con-cetti al centro dei nostri studi4. I concetti sono, infatti, le unità fondamentali del pensiero e gli strumenti attraverso cui le scienze sociali progrediscono (Sartori, 2012, p. 341). Fare ricerca in modo ordinato richiede, come prima cosa, che sia prestata atten-zione ai concetti con cui si intende lavorare. Uno studioso che si avvia ad una ricerca senza alcuna mappa concettuale è un “pen-satore inconsapevole”5, privo di senso dell’orientamento, che non saprà selezionare i casi di studio né realizzare alcunché di concreto con quelli casualmente selezionati.

2 Come definito da SARTORI (1991). 3 I due esempi sono tratti, rispettivamente, da SARTORI (1991) e PASQUINO e VAL-

BRUZZI (2012). 4 “Bringing concepts back in”, come suggeriscono CALISE e LOWI (2010), cit. in PA-

SQUINO e VALBRUZZI (2012). 5 La felice espressione è di SARTORI (2011, passim).

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Introduzione 17

Appurato che i concetti sono gli elementi fondamentali del framework teorico, è bene accennare che gli stessi sono utili an-che nella manipolazione dei dati. Infatti, i dati sono informazioni elaborate dai concetti e distribuite in contenitori concettuali. Per-tanto, le informazioni dipendono dal modo in cui i concetti sono formati e trattati dal ricercatore (Sartori, 2012, p. 351).

Beninteso, il trattamento dei concetti deve avere come co-lonna portante il metodo logico, che rimanda — nella pratica — alla logica della classificazione. Questa fase è imprescindibile ai fini di una corretta analisi concettuale, e va tenuta come “co-stante”; altrimenti, la ricerca diventa una “battuta di pesca” in cui il pescatore, privo di una canna adatta, rischia di “pescare” quello che capita.

Da questa “inconsapevolezza metodologica” muove l’inte-resse di fare luce su uno dei capitoli più diffusamente trascurati dalla ricerca politica. Lo scopo della presente trattazione è, quindi, quello di esaminare da vicino le varie fasi attraverso cui passa l’analisi dei concetti, con particolare interesse a quella della formazione degli stessi.

Il lavoro si divide in tre parti. Nella prima, opereremo una preliminare quanto indispensabile distinzione tra il linguaggio comune e il linguaggio scientifico, valutando come i concetti si inseriscono in questo contesto. Successivamente, volgeremo la nostra attenzione ai concetti in quanto tali, alla loro natura e alle loro funzioni, prima di specificarne l’ambito di applicazione e il rapporto con la teoria.

Nella seconda parte, entreremo nel vivo della trattazione: af-fronteremo, cioè, il problema della formazione dei concetti. An-zitutto, ci preoccuperemo di stabilire qual è la struttura di un con-cetto empirico, enucleando gli elementi che lo compongono e specificando il loro rapporto reciproco. A questo scopo sarà fon-damentale il contributo di Ogden e Richards (1946), da cui deriva che le componenti di un concetto empirico — termine, significato e referente — stanno tra loro in una relazione triangolare, utile a stabilire “connotazione” (l’insieme delle caratteristiche che defi-niscono un concetto) e “denotazione” (l’insieme degli oggetti os-servabili cui il concetto si applica). In un secondo momento, ci

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18 Introduzione

imbatteremo nella cosiddetta “scala di generalità”, e cioè una pi-ramide bidirezionale in cui il livello di generalità di ciascun con-cetto viene a) spacchettato verticalmente man–mano che la si percorre verso il basso, tramite l’aggiunta di caratteristiche che lo specificano; b) riaggregato man–mano che la si risale verso l’altro, tramite la riduzione delle proprietà definenti e la conte-stuale espansione del suo ambito di applicabilità.

Al termine di questa seconda sezione, ci interesseremo delle fasi attraverso cui i concetti si trasformano in variabili. La prima di queste, detta concettualizzazione, è il processo attraverso cui definiamo con precisione un concetto, e passa — a sua volta — per due tappe: ricostruzione e specificazione. La concettualizza-zione spalanca quindi le porte all’operazionalizzazione, vero e proprio “trampolino di lancio” di un concetto in una specifica realtà empirica. Arrivati a questo punto, dovremmo essere nelle condizioni di disporre di variabili correttamente formate, e cioè di concetti correttamente convertiti in variabili passibili di misu-razione.

Nel passaggio dalla seconda alla terza parte del lavoro, intro-durremo l’aspetto dell’analisi concettuale, inquadrandolo in un contesto che lo rende il requisito logico della stessa operaziona-lizzazione. Per fare un esempio, Teune tenta di controllare il con-cetto di “liberalismo politico” attraverso l’indicatore “preferenza per il cambiamento politico”; ma il “liberalismo politico” è sto-ricamente connotato da una gamma di significati rispetto ai quali la “preferenza per il cambiamento politico”, benché più facil-mente misurabile, risulta del tutto marginale6. Questo per dire che la portata esplicativa di un concetto non può e non deve es-sere minacciata dall’esigenza di controllarlo empiricamente.

Nel cuore della terza sezione, affronteremo il problema del trattamento logico dei concetti, e dunque della cosiddetta classi-ficazione per genus proximum et differentiam specificam. Questa operazione consiste nel disaggregare l’intensione di un concetto in un insieme di intensioni poste, ognuna, su livelli di astrazione inferiori rispetto a quello iniziale (Marradi, 1993); inoltre, tale

6 V. SARTORI (2011, p. 137).

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Introduzione 19

scomposizione ci aiuta non soltanto ad individuare i nostri vuoti cognitivi (i casi non denominati), ma anche — come abbiamo accennato — ad ottenere contenitori di dati preposti alla ricerca (fact–seeking) e alla selezione (fact–sorting) delle informazioni (Sartori, 2011, p. 107).

Una volta esaminata la “meccanica” del modello classico di analisi concettuale — i cui pionieri sono, su tutti, John Stuart Mill e Giovanni Sartori —, la confronteremo con alcune proposte al-ternative più recenti: la categorizzazione “per rassomiglianza fa-migliare” e la categorizzazione “radiale”. Prenderemo, allora, le difese della logica “classica”, sostenendone la validità teorica e la rilevanza empirica (ancora attuali), e ciò anche al cospetto di alcune critiche ben piazzate e di punti deboli che gli “innovatori” hanno contribuito a metterne in luce.

Successivamente, analizzeremo l’impostazione del rapporto causale tra variabili. Assumeremo, dunque, come variabili indi-pendenti le cause ipotizzate di un fenomeno, come variabili di-pendenti gli effetti indotti nel fenomeno dalle cause ipotizzate, e come variabili intervenienti tutte quelle cause che possono avere una certa influenza sul nostro fenomeno ma che preferiamo te-nere costanti per non inquinare la relazione causale originaria-mente impostata. A questo punto, l’identificazione di un ambito spaziale e di un arco temporale di studio implicherà l’individua-zione di quattro strategie di ricerca: estensiva o intensiva; sincro-nica o diacronica.

Per concludere, riavvolgeremo il nastro del discorso e ve-dremo come ognuno degli aspetti toccati si ricollega all’analisi concettuale, la cui “stella polare” — come più volte ribadito — è il metodo logico. Metodo che, ad oggi, rappresenta l’unica arma per bloccare il regresso verso la “torre di Babele”.

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