tennis world italia n. 35

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Numero di Giugno 2016

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Djokovic,possibileil

GrandeSlam?

byMarcoDiNardo

Il�successo�ottenuto�a�Parigi�ha�permesso�a

Novak�Djokovic�di�diventare�il�quinto�giocatore

a�realizzare�il�Career�Grand�Slam�nell'Era�Open.

Il�serbo�è�anche�diventato�in�questo�modo�il

primo�giocatore�da�Rod�Laver�nel�1969,�a

vincere�i�quattro�tornei�Major

consecutivamente,�pur�non�essendo�riuscito�a

realizzare�l'impresa�all'interno�dello�stesso

anno:�Djokovic�ha�infatti�iniziato�la�serie

vincendo�Wimbledon�2015,�per�poi�proseguire

con�U.S.�Open�2015,�Australian�Open�2016�e

appunto�Roland�Garros�2016,�per�quello�che

viene�definito�il�non-calendar�year�Grand�Slam.

Era�inoltre�dal�1992�con�Jim�Courier,�che

nessuno�riusciva�a�vincere�i�primi�due�Slam

della�stagione�(Australian�Open�e�Roland

Garros),�e�a�questo�punto�è�lecito�chiedersi�se

Novak�possa�essere�in�grado�di�realizzare�la�più

grande�e�difficile�impresa,�ossia�il�Grand�Slam,

riuscito�nell'intera�storia�del�tennis�solo�a�Don

Budge�nel�1938�e�a�Rod�Laver�nel�1962�e�1969.

Djokovic�ha�affermato�che�nulla�è�impossibile,

anche�se�per�ora�preferisce�non�pensarci�e

godersi�il�momento�positivo.�Di�sicuro

l'eventuale�successo�a�Wimbledon�lo

avvicinerebbe�alla�grande�impresa�in�maniera

così�importante�da�rendere�impossibile�a�quel

punto�non�pensarci�in�vista�degli�U.S.�Open.�Ma

oltre�ad�avvicinarlo�al�Grande�Slam,�un

eventuale�quarto�trionfo�a�Wimbledon�gli

permetterebbe�di�ottenere,�anche�in�caso�di

una�successiva�sconfitta�agli�U.S.�Open,�dei

prestigiosissimi�primati.

Intanto�nessuno�vince�i�primi�tre�Slam�della

stagione�proprio�da�Rod�Laver�nel�1969;�inoltresarebbe�eguagliato�il�record�di�Rafa�Nadal,

unico�giocatore�della�storia�a�vincere�tre�Slamsu�tre�diverse�superfici�nello�stesso�anno�(lospagnolo�nel�2010�vinse�Roland�Garros�suterra,�Wimbledon�su�erba�e�U.S.�Open�sucemento);�infine�la�vittoria�a�Wimbledon

permetterebbe�a�Djokovic�di�conquistare�ilquinto�titolo�dello�Slam�consecutivo,�chesarebbe�il�record�assoluto�nell'Era�Open,�e�laseconda�prestazione�nella�storia�dopo�i�seisuccessi�consecutivi�di�Budge�tra�il�1937�e�il1938.

Passando�però�all'argomento�più�importante,

ossia�l'eventuale�realizzazione�del�Grande�Slam,

questa�appare�essere�davvero�un'impresa

troppo�grande�nel�tennis�moderno,�anche�per

un�Djokovic�che�sta�dimostrando�di�essere�uno

dei�migliori�tennisti�della�storia.�Soprattutto

perché�il�serbo�viene�già�da�quattro�successi

Slam�consecutivi,�e�questo�significa�che�per

completare�il�Grande�Slam�dovrebbe�arrivare�a

sei�trionfi�consecutivi,�proprio�come�fece�Don

Budge�(Wimbledon�e�U.S.�Open�1937,�poi�il

Grande�Slam�nel�1938),�in�un�periodo�in�cui

però�il�tennis�era�ancora�diviso�tra�dilettanti�e

professionisti.

Se�è�vero�che�Djokovic�in�questo�momento

parte�favorito�in�tutti�i�tornei�dello�Slam�che

gioca,�realizzare�un�serie�del�genere�sembra

essere�troppo�anche�per�lui.�La�statistica�non�è

certamente�dalla�sua�parte,�anche�se

guardando�le�cose�in�maniera�più�concreta,

mancano�"solo"�due�tornei�per�conquistare

questo�obiettivo�storico.

Djokovic,possibileil

GrandeSlam?

byMarcoDiNardo

Il�successo�ottenuto�a�Parigi�ha�permesso�a

Novak�Djokovic�di�diventare�il�quinto�giocatore

a�realizzare�il�Career�Grand�Slam�nell'Era�Open.

Il�serbo�è�anche�diventato�in�questo�modo�il

primo�giocatore�da�Rod�Laver�nel�1969,�a

vincere�i�quattro�tornei�Major

consecutivamente,�pur�non�essendo�riuscito�a

realizzare�l'impresa�all'interno�dello�stesso

anno:�Djokovic�ha�infatti�iniziato�la�serie

vincendo�Wimbledon�2015,�per�poi�proseguire

con�U.S.�Open�2015,�Australian�Open�2016�e

appunto�Roland�Garros�2016,�per�quello�che

viene�definito�il�non-calendar�year�Grand�Slam.

Era�inoltre�dal�1992�con�Jim�Courier,�che

nessuno�riusciva�a�vincere�i�primi�due�Slam

della�stagione�(Australian�Open�e�Roland

Garros),�e�a�questo�punto�è�lecito�chiedersi�se

Novak�possa�essere�in�grado�di�realizzare�la�più

grande�e�difficile�impresa,�ossia�il�Grand�Slam,

riuscito�nell'intera�storia�del�tennis�solo�a�Don

Budge�nel�1938�e�a�Rod�Laver�nel�1962�e�1969.

Djokovic�ha�affermato�che�nulla�è�impossibile,

anche�se�per�ora�preferisce�non�pensarci�e

godersi�il�momento�positivo.�Di�sicuro

l'eventuale�successo�a�Wimbledon�lo

avvicinerebbe�alla�grande�impresa�in�maniera

così�importante�da�rendere�impossibile�a�quel

punto�non�pensarci�in�vista�degli�U.S.�Open.�Ma

oltre�ad�avvicinarlo�al�Grande�Slam,�un

eventuale�quarto�trionfo�a�Wimbledon�gli

permetterebbe�di�ottenere,�anche�in�caso�di

una�successiva�sconfitta�agli�U.S.�Open,�dei

prestigiosissimi�primati.

Intanto�nessuno�vince�i�primi�tre�Slam�della

stagione�proprio�da�Rod�Laver�nel�1969;�inoltresarebbe�eguagliato�il�record�di�Rafa�Nadal,

unico�giocatore�della�storia�a�vincere�tre�Slamsu�tre�diverse�superfici�nello�stesso�anno�(lospagnolo�nel�2010�vinse�Roland�Garros�suterra,�Wimbledon�su�erba�e�U.S.�Open�sucemento);�infine�la�vittoria�a�Wimbledon

permetterebbe�a�Djokovic�di�conquistare�ilquinto�titolo�dello�Slam�consecutivo,�chesarebbe�il�record�assoluto�nell'Era�Open,�e�laseconda�prestazione�nella�storia�dopo�i�seisuccessi�consecutivi�di�Budge�tra�il�1937�e�il1938.

Passando�però�all'argomento�più�importante,

ossia�l'eventuale�realizzazione�del�Grande�Slam,

questa�appare�essere�davvero�un'impresa

troppo�grande�nel�tennis�moderno,�anche�per

un�Djokovic�che�sta�dimostrando�di�essere�uno

dei�migliori�tennisti�della�storia.�Soprattutto

perché�il�serbo�viene�già�da�quattro�successi

Slam�consecutivi,�e�questo�significa�che�per

completare�il�Grande�Slam�dovrebbe�arrivare�a

sei�trionfi�consecutivi,�proprio�come�fece�Don

Budge�(Wimbledon�e�U.S.�Open�1937,�poi�il

Grande�Slam�nel�1938),�in�un�periodo�in�cui

però�il�tennis�era�ancora�diviso�tra�dilettanti�e

professionisti.

Se�è�vero�che�Djokovic�in�questo�momento

parte�favorito�in�tutti�i�tornei�dello�Slam�che

gioca,�realizzare�un�serie�del�genere�sembra

essere�troppo�anche�per�lui.�La�statistica�non�è

certamente�dalla�sua�parte,�anche�se

guardando�le�cose�in�maniera�più�concreta,

mancano�"solo"�due�tornei�per�conquistare

questo�obiettivo�storico.

Nadalnontrionfa,matorna

Resullaterra

byMarcoDiNardo

Il�forfait�al�Roland�Garros�è�certamente�stato

un�brutto�colpo,�soprattutto�a�livello�mentale,

per�Rafael�Nadal,�in�un�periodo�nel�quale�aveva

ritrovato�la�fiducia�necessaria�per�potersi

giocare�il�titolo�a�Parigi.�Nei�primi�due�turni

dell'Open�di�Francia�2016,�il�maiorchino�aveva

infatti�dimostrato�di�essere,�almeno�in

apparenza,�nelle�migliori�condizioni�fisiche�e

mentali,�e�di�poter�competere�contro�chiunque,

Djokovic,�Murray�e�Wawrinka�compresi:�6-1�6-1

6-1�a�Samuel�Groth,�6-3�6-0�6-3�a�Facundo

Bagnis.�Appena�9�giochi�persi�in�due�partite,�la

metà�rispetto�ai�18�persi�da�Novak�Djokovic�nei

primi�due�round�del�torneo,�mentre�Murray�e

Wawrinka�avevano�lasciato�per�strada

rispettivamente�4�e�2�set,�e�di�conseguenza�un

numero�complessivo�di�giochi�nettamente�più

alto.

Poi�il�momento�più�difficile,�con�il�riacutizzarsi

di�un�infortunio�al�polso�che�lo�aveva

tormentato�dal�Masters�1000�di�Madrid,�e�la

decisione�di�ritirarsi�dall'evento�che�è�il�più

importante�per�il�tennista�spagnolo.�In�questo

modo�l'assalto�al�decimo�titolo�al�Roland

Garros�è�terminato�prematuramente,

nonostante�Rafa�non�abbia�perso�alcun�match

sul�campo.

Una�grande�delusione,�non�ci�sono�dubbi,�ma�aguardare�i�numeri,�nella�stagione�sulla�terrarossa�europea,�Nadal�ha�dimostrato�di�esseretornato�il�Re�sulla�superficie�che�gli�hapermesso�di�diventare�uno�dei�migliori�tennistidella�storia.�

Andiamo�quindi�ad�esaminare�i�risultatiottenuti�dai�3�migliori�giocatori�del�2016�nellastagione�sulla�terra�rossa�europea,�ossia�da

Nadalnontrionfa,matorna

Resullaterra

byMarcoDiNardo

Il�forfait�al�Roland�Garros�è�certamente�stato

un�brutto�colpo,�soprattutto�a�livello�mentale,

per�Rafael�Nadal,�in�un�periodo�nel�quale�aveva

ritrovato�la�fiducia�necessaria�per�potersi

giocare�il�titolo�a�Parigi.�Nei�primi�due�turni

dell'Open�di�Francia�2016,�il�maiorchino�aveva

infatti�dimostrato�di�essere,�almeno�in

apparenza,�nelle�migliori�condizioni�fisiche�e

mentali,�e�di�poter�competere�contro�chiunque,

Djokovic,�Murray�e�Wawrinka�compresi:�6-1�6-1

6-1�a�Samuel�Groth,�6-3�6-0�6-3�a�Facundo

Bagnis.�Appena�9�giochi�persi�in�due�partite,�la

metà�rispetto�ai�18�persi�da�Novak�Djokovic�nei

primi�due�round�del�torneo,�mentre�Murray�e

Wawrinka�avevano�lasciato�per�strada

rispettivamente�4�e�2�set,�e�di�conseguenza�un

numero�complessivo�di�giochi�nettamente�più

alto.

Poi�il�momento�più�difficile,�con�il�riacutizzarsi

di�un�infortunio�al�polso�che�lo�aveva

tormentato�dal�Masters�1000�di�Madrid,�e�la

decisione�di�ritirarsi�dall'evento�che�è�il�più

importante�per�il�tennista�spagnolo.�In�questo

modo�l'assalto�al�decimo�titolo�al�Roland

Garros�è�terminato�prematuramente,

nonostante�Rafa�non�abbia�perso�alcun�match

sul�campo.

Una�grande�delusione,�non�ci�sono�dubbi,�ma�aguardare�i�numeri,�nella�stagione�sulla�terrarossa�europea,�Nadal�ha�dimostrato�di�esseretornato�il�Re�sulla�superficie�che�gli�hapermesso�di�diventare�uno�dei�migliori�tennistidella�storia.�

Andiamo�quindi�ad�esaminare�i�risultatiottenuti�dai�3�migliori�giocatori�del�2016�nellastagione�sulla�terra�rossa�europea,�ossia�da

Monte-Carlo�in�avanti,�senza�quindiconsiderare�i�tornei�sudamericani�che�si�sono

giocati�prima�dei�Masters�1000�sul�cementonordamericano.�Novak�Djokovic:Masters�1000�Monte-Carlo:�primo�turno,�0

vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitteMasters�1000�Roma:�finale,�4�vittorie�e�1sconfittaRoland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0

sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta

Totale:�16�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il

Roland�Garros),�15�vittorie�e�3�sconfitte�(se

perderà�la�finale)

Percentuale�di�successo:�88,9%�o�83,3%�Andy�Murray:

Masters�1000�Monte-Carlo:�semifinale,�3vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�finale,�4�vittorie�e�1

sconfittaMasters�1000�Roma:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte

Roland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta

Totale:�19�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il

Roland�Garros),�18�vittorie�e�3�sconfitte�(se

perderà�la�finale)

Percentuale�di�successo:�90,5%�o�85,7%�

Rafael�NadalMasters�1000�Monte-Carlo:�vincitore,�5�vittoriee�0�sconfitteATP�500�Barcellona:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte

Masters�1000�Madrid:�semifinale,�3�vittorie�e�1sconfittaMasters�1000�Roma:�quarti�di�finale,�2�vittoriee�1�sconfittaRoland�Garros:�secondo�turno�e�forfait,�2

vittorie�e�0�sconfitteTotale:�17�vittorie�e�2�sconfittePercentuale�di�successo:�89,5%

Come�si�può�vedere,�nonostante�gli�sia

sfuggito�il�decimo�titolo�parigino,�durante�la

stagione�sulla�terra�rossa�europea�Rafael�Nadal

ha�avuto�una�percentuale�di�successo�migliore

rispetto�a�quella�di�Novak�Djokovic,�anche�nel

caso�in�cui�il�serbo�dovesse�battere�Andy

Murray�nella�finale�del�Roland�Garros.

Il�giocatore�britannico�invece,�in�caso�di

successo�a�Parigi,�avrebbe�la�migliore

percentuale�in�assoluto�(90,5%�contro�l'89,5%

di�Nadal),�mentre�se�dovesse�essere�sconfitto

in�finale,�cederebbe�il�trono�proprio�a�Nadal,

che�diventerebbe�il�tennista�più�vincente�sulla

terra�anche�nel�2016.�Ma�anche�nel�caso�in�cui

Murray�vincesse�Parigi,�resterebbe�di�Nadal�la

più�lunga�striscia�di�vittorie�consecutive�sul

rosso�in�questa�stagione,�con�le�13�ottenute�tra

Monte-Carlo,�Barcellona�e�Madrid,�contro�le�12

di�Andy�tra�Roma�e�Roland�Garros�(se�appunto

vincesse�il�torneo),�e�le�9�di�Djokovic�tra

Madrid�e�Roma.

Inoltre�non�si�possono�dimenticare�il�nono

titolo�ottenuto�sia�a�Monte-Carlo�che�a

Barcellona�da�Rafa,�sempre�più�nella�storia

dopo�aver�vinto�proprio�per�9�volte�anche�al

Roland�Garros.�Considerando�tutti�questi

numeri,�appare�davvero�difficile�non

considerare�Nadal�il�Re�della�terra�rossa�anche

in�questo�2016.

La�cosa�più�importante�per�lo�spagnolo�in

questo�momento�è�tornare�al�100%�della

condizione�fisica�per�poter�competere�a

Wimbledon�e�alle�Olimpiadi.�Per�il�decimo

successo�al�Roland�Garros,�potrà�riprovarci�nel

2017,�e�partendo�da�statistiche�e�sensazioni�di

questo�2016,�nulla�appare�impossibile�per�Rafa,

nonostante�il�passare�delle�stagioni�riduca

progressivamente�le�sue�possibilità.

Monte-Carlo�in�avanti,�senza�quindiconsiderare�i�tornei�sudamericani�che�si�sono

giocati�prima�dei�Masters�1000�sul�cementonordamericano.�Novak�Djokovic:Masters�1000�Monte-Carlo:�primo�turno,�0

vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitteMasters�1000�Roma:�finale,�4�vittorie�e�1sconfittaRoland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0

sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta

Totale:�16�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il

Roland�Garros),�15�vittorie�e�3�sconfitte�(se

perderà�la�finale)

Percentuale�di�successo:�88,9%�o�83,3%�Andy�Murray:

Masters�1000�Monte-Carlo:�semifinale,�3vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�finale,�4�vittorie�e�1

sconfittaMasters�1000�Roma:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte

Roland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta

Totale:�19�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il

Roland�Garros),�18�vittorie�e�3�sconfitte�(se

perderà�la�finale)

Percentuale�di�successo:�90,5%�o�85,7%�

Rafael�NadalMasters�1000�Monte-Carlo:�vincitore,�5�vittoriee�0�sconfitteATP�500�Barcellona:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte

Masters�1000�Madrid:�semifinale,�3�vittorie�e�1sconfittaMasters�1000�Roma:�quarti�di�finale,�2�vittoriee�1�sconfittaRoland�Garros:�secondo�turno�e�forfait,�2

vittorie�e�0�sconfitteTotale:�17�vittorie�e�2�sconfittePercentuale�di�successo:�89,5%

Come�si�può�vedere,�nonostante�gli�sia

sfuggito�il�decimo�titolo�parigino,�durante�la

stagione�sulla�terra�rossa�europea�Rafael�Nadal

ha�avuto�una�percentuale�di�successo�migliore

rispetto�a�quella�di�Novak�Djokovic,�anche�nel

caso�in�cui�il�serbo�dovesse�battere�Andy

Murray�nella�finale�del�Roland�Garros.

Il�giocatore�britannico�invece,�in�caso�di

successo�a�Parigi,�avrebbe�la�migliore

percentuale�in�assoluto�(90,5%�contro�l'89,5%

di�Nadal),�mentre�se�dovesse�essere�sconfitto

in�finale,�cederebbe�il�trono�proprio�a�Nadal,

che�diventerebbe�il�tennista�più�vincente�sulla

terra�anche�nel�2016.�Ma�anche�nel�caso�in�cui

Murray�vincesse�Parigi,�resterebbe�di�Nadal�la

più�lunga�striscia�di�vittorie�consecutive�sul

rosso�in�questa�stagione,�con�le�13�ottenute�tra

Monte-Carlo,�Barcellona�e�Madrid,�contro�le�12

di�Andy�tra�Roma�e�Roland�Garros�(se�appunto

vincesse�il�torneo),�e�le�9�di�Djokovic�tra

Madrid�e�Roma.

Inoltre�non�si�possono�dimenticare�il�nono

titolo�ottenuto�sia�a�Monte-Carlo�che�a

Barcellona�da�Rafa,�sempre�più�nella�storia

dopo�aver�vinto�proprio�per�9�volte�anche�al

Roland�Garros.�Considerando�tutti�questi

numeri,�appare�davvero�difficile�non

considerare�Nadal�il�Re�della�terra�rossa�anche

in�questo�2016.

La�cosa�più�importante�per�lo�spagnolo�in

questo�momento�è�tornare�al�100%�della

condizione�fisica�per�poter�competere�a

Wimbledon�e�alle�Olimpiadi.�Per�il�decimo

successo�al�Roland�Garros,�potrà�riprovarci�nel

2017,�e�partendo�da�statistiche�e�sensazioni�di

questo�2016,�nulla�appare�impossibile�per�Rafa,

nonostante�il�passare�delle�stagioni�riduca

progressivamente�le�sue�possibilità.

RolandGarros,timetoForget

byValerioCarriero

“L’anno�prossimo�sarò�pronto�a�tutto”.�Potrebbero�essere�le�parole�di�uno�studente�che�ha�evitato

per�un�soffio�la�bocciatura�salvandosi�in�extremis�e�che�si�promette�di�non�ripetere�gli�stessi�errori�in

futuro.�No,�più�banalmente�sono�dichiarazioni�di�Guy�Forget,�il�direttore�del�Roland�Garros

nell’edizione�probabilmente�più�sfortunata�della�storia�del�tennis�recente�a�livello�Slam.

Pioggia,�polemiche�degli�spettatori�e,�ultimo�ma�non�per�importanza,�un�livello�di�gioco�tutt’altro�che

esaltante.�Insomma,�non�proprio�“l’esordio”�ideale�per�Forget,�per�il�primo�anno�alla�direzione�del

secondo�Major�stagionale.�Abbiamo�parlato�di�‘sfortuna’,�non�potrebbe�definirsi�diversamente�un

periodo�di�15�giorni�condizionato�da�continui�diluvi,�ma…�“La�fortuna�aiuta�gli�audaci”,�si�dice.�Nella

buona�riuscita�di�un�torneo,�probabilmente,�non�è�così.�Tuttavia,�di�sicuro,�la�fortuna�aiuta�chi�ha�il

coraggio�di�investire.

È�innegabile,�il�Roland�Garros�è�lo�Slam�meno�al�passo�con�i�tempi.�Né�luci,�né�tetto�e�così�partite

incomplete�anche�sullo�Chatrier.�Un�problema,�quello�riguardante�l’illuminazione�artificiale,�già

sollevato�negli�anni�precedenti�e�in�particolare�da�Wawrinka�nel�2012,�costretto�a�tornare�in�campo

il�giorno�successivo�per�terminare�il�suo�match�con�Tsonga�poi�perso�al�quinto.�Gilbert�Ysern,�allora

direttore�del�torneo,�rispose�in�maniera�criptica:�“è�una�questione�molto�delicata�ma�non�bisogna

giocare�per�forza�di�sera,�e�un�potenziamento�delle�luci�sarà�effettuato�in�futuro,�nel�2017”.

Potrebbe�essere�quindi�questo�il�primo�passo�verso�l’ammodernamento�di�un�evento�anni�luce�in

ritardo�rispetto�non�solo�agli�altri�Major,�ma�anche�a�tornei�minori.�In�attesa�della�copertura�sul�campo

principale�­�non�prima�del�2020,�forse,�chissà,�vediamo…�-�qualche�migliaio�di�chilometri�più�a�Est�si

disputava�il�Challenger�di�Prostejov�con�campo�centrale�dotato�di�tetto.�Mentre�nella�capitale

francese�veniva�cancellata�un’intera�giornata�­�quella�di�martedì�30�maggio�-,�in�Repubblica�Ceca�il

padrone�di�casa�Vesely�poteva�tranquillamente�evitare�gli�straordinari.�Non�è�stato�così�invece�per

alcuni�giocatori�della�parte�alta�del�tabellone,�tra�cui�il�campione�Novak�Djokovic,�costretti�a�scendere

in�campo�per�tre�giorni�consecutivi.

I�problemi�del�Roland�Garros�partono�comunque�da�lontano,�da�un�sito�minuscolo�se�paragonato�agli

altri�Slam�(8,5�ettari�contro�i�17�di�Melbourne,�i�18�di�Wimbledon�e�i�18.5�di�New�York)�e�un

ampliamento�sempre�rinviato:�“Magari�con�i�soldi�per�l’Olimpiade�del�2024”.�È�ancor�di�più�strano

quindi,�per�un�impianto�così�piccolo,�vedere�spalti�semivuoti�per�un�quarto�di�finale�maschile�come

Thiem-Goffin,�o�uno�Chatrier�quasi�deserto�per�Stosur-Pironkova,�probabilmente�un�ammutinamento

per�una�scelta�a�dir�poco�infelice�degli�organizzatori.

Gli�stessi�sono�finiti�nell’occhio�del�ciclone�per�un�mancato�rimborso�dopo�Djokovic-Bautista�Agut,

durato�poco�più�di�2�ore�prima�dell’ennesima�interruzione,�lunghezza�sufficiente�per�non�restituire�il

50%�del�costo�dei�biglietti�ai�poveri�spettatori,�cui�poco�ha�convinto�la�spiegazione�di�Forget:�“La

decisione�di�sospendere�o�di�riprendere�il�gioco�spetta�soltanto�al�supervisor�Stefan�Fransson.�Il

rispetto�per�il�gioco�ha�sempre�preso�la�precedenza.�Ieri�il�match�è�stato�sospeso�alle�16:54�con�la

possibilità�di�poter�giocare�altre�4�ore.�Speravamo�che�il�gioco�riprendesse�e�Meteo�France�aveva

previsto�che�la�pioggia�avrebbe�dato�tregua�40�minuti�più�tardi”.

Insomma,�“fortunatamente�è�finita”�verrebbe�quasi�da�pensare.�Il�bilancio�è�pesantemente�negativo

anche�sotto�il�punto�di�vista�dello�spettacolo.�In�uno�Slam�senza�Federer�ai�nastri�di�partenza�e�che

ha�visto�il�doloroso�ritiro�di�Nadal�dopo�due�turni,�ci�sono�stati�pochissimi�spunti�tecnici:�salviamo

solamente�la�conferma�di�Thiem,�entrato�in�top�10�prima�di�pagare�il�tour�de�force�al�cospetto�di

Djokovic�in�semifinale�­�e�la�bella�storia�della�Bertens,�approdata�tra�le�migliori�quattro�del�torneo

prendendosi�la�rivincita�su�quel�tumore�alla�tiroide�che�tanto�l’aveva�fatta�tribolare�qualche�anno�fa.

Certo,�in�qualche�modo�al�Roland�Garros�2016�si�è�scritta�la�storia�e�non�solo�in�negativo.�Le�due

finali,�per�motivi�diversi,�lasceranno�un’eredità�pesantissima�agli�annali�di�questo�sport�con�il�virtuale

passaggio�di�testimone�da�Serena�Williams�a�Garbine�Muguruza,�e�con�la�valanga�di�primati�targati

Novak�Djokovic�grazie�al�suo�primo�titolo�parigino�con�cui,�in�un�colpo�solo,�rompe�la�maledizione,

completa�il�Career�Slam�e�diventa�detentore�di�tutti�i�4�Major�contemporaneamente,�impresa�mai

riuscita�dopo�Laver.

“L’anno�prossimo�sarò�pronto�a�tutto”.�Ce�lo�auguriamo,�magari�ripartendo�da�quel�beffardo�sole�che

si�è�affacciato�timidamente�durante�la�premiazione�del�torneo�maschile,�quando�ormai

egoisticamente�serviva�a�poco.�Nel�frattempo�è�tempo�di�voltar�pagina�al�più�presto�e�riordinare�le

idee:�it’s�time�to�Forget.

Parigi2016:anteprimadel

futuro

byFedericoMariani

L’edizione�2016�del�Roland�Garros�può,�suo

malgrado,�coincidere�con�l’inizio�di�una�nuova

era.�Dopo�tanto�(troppo)�tempo�trascorso�nella

speranza�di�un�agognato�ricambio

generazionale�valido�e�­�contestualmente�­�nel

terrore�di�un�tennis�senza�Federer�e�Nadal,�lo

Slam�parigino�sbatte�in�faccia�agli�appassionati

un�torneo�senza�i�più�amati.

Roger�non�si�è�presentato�a�Bois�de�Boulogne

saltando�un�Major�come�non�accadeva

sostanzialmente�da�sempre,�dal�1999,�con�in

mezzo�65�presenze�consecutive�ai�nastri�di

partenza.�Il�compare�Rafa�si�è,�invece,�ritirato�in

corso�d’opera�con�un�forfait�dettato

dall’ennesimo�infortunio�che,�con�trenta

candeline�sulla�torta�e�un�fisico�oltremodo

usurato,�fa�intravedere�l’anticamera�del�baratro

(sportivo).�Insomma,�quanto�visto�al�Roland

Garros�potrebbe�rappresentare�l’anteprima�di

ciò�che�sarà�del�circuito�in�un�tempo�tutt’altro

che�lontano,�anzi�più�vicino�di�quanto�si�ritiene

nell’immaginario�comune.�Ma�cosa�sarà�del

circuito�maschile�nell’era�post-Federer&Nadal?

Quanto�perderà�il�tennis�dopo�il�ritiro�dei�due

campionissimi?�Ci�sarà�qualcuno�in�grado�di

raccoglierne�l’eredità�non�solo�tecnica�ma

soprattutto�carismatica?

Difficile,�anzi�forse�impossibile�rispondere�oggi

con�un�certo�grado�di�fiducia�su�quesiti�che

affliggono�l’intera�Atp�e�che�insidiano�di

incognite�un�circuito�che�ha�vissuto�nell’ultimo

decennio�una�straordinaria�età�dell’oro,�basti

pensare�che�degli�otto�tennisti�nella�storia

capaci�di�conquistare�tutte�le�prove�dello�Slam,

ben�tre�appartengono�alla�stessa�generazione.

Si�può,�però,�provare�a�ipotizzare�ciò�che�sarà.

È�ragionevole�­�e�se�vogliamo�anche�comodo�­

credere�che�l’Atp�possa�ripercorrere�il�cammino

tracciato�dalla�NBA�nei�primi�anni�del�terzo

millennio.�Grazie�a�Michael�Jordan�il�basket

americano�ha�vissuto�un�vero�e�proprio�boom

passando�dall’essere�il�fratello�minore�di

baseball�e�football�fino�a�diventare�un

fenomeno�planetario�con�un’identità�culturale�e

sociale�ben�marcata.��auspicabile�uno�stesso

percorso�per�il�tennis�che,�da�sport�di�nicchia�(o

poco�più)�qual�era,�si�è�trasformato�quasi�in

uno�sport�popolare�aprendo�le�sue�frontiere�a

una�fetta�di�pubblico�sempre�crescente.�Tale

crescita�clamorosa�può�esistere�soltanto�se

supportata�e�promossa�dai�campioni�che�­�in

campo�e�fuori�­�hanno�la�possibilità�di�attrarre

nuovi�appassionati.�

Tutto�ciò�è�avvenuto�con�Federer�e�Nadal,

grazie�a�Federer�e�Nadal�che�non�si�sono

limitati�a�mostrare�in�campo�cose�inedite,�si

sono�spinti�oltre.�Sono�stati�(e�sono)�talmente

forti�da�far�avvicinare�con�fervore�anche�chi�il

tennis�lo�masticava�poco.�Sono�stati�(e�sono)

meravigliosamente�diversi�da�aver�creato

attorno�alle�loro�figure�due�fazioni�che�sfociano

spesso�e�volentieri�nel�più�vivo�e�viscerale�del

tifo.�Una�componente�che�fa�storcere�il�naso�ai

puristi�del�Gioco�ma�che,�pragmaticamente

parlando,�ha�portato�soldi,�molti�soldi,�e

attenzioni�provenienti�da�ogni�latitudine�della

terra.�La�tesi�che�si�intende�avvalorare�tramite

questo�ragionamento�si�basa�sul�fatto�che�se

prima�erano�in�10�a�seguire�il�tennis�e�oggi�quei

10�sono�diventati�100,�in�un�domani�senza

ovviamente�Federer�e�Nadal�i�100�non

torneranno�10.�Forse�non�saranno�più�100,�ma

verosimilmente�saranno�85-90,�non�certo�10.

Questo�perché�quell’enorme�nuova�fetta�di

neofiti�che�si�è�innamorata�del�tennis

nell’ultimo�decennio�si�è�nel�frattempo

fidelizzata,�assuefatta,�e�non�abbandonerà.

Federer�e�Nadal�hanno�accompagnato�il�tennis

in�una�nuova�dimensione�facendo�la�fortuna

(economica�ed�emozionale)�di�questo�sport.�I

tennisti�di�oggi�e�soprattutto�di�domani

possono,�dunque,�partire�con�una�base�di

popolarità�solidissima,�impensabile�fino�a

qualche�stagione�fa.�Non�si�può�dare�responsi

su�ciò�che�sarà�a�livello�tecnico�e�carismatico,

ma�è�a�ben�vedere�sciocco�attendersi�di

rivivere�i�fasti�dell’età�odierna�così�come

sarebbe�sciocco�abbandonare�la�nave�quando

Roger�e�Rafa�non�saranno�più�al�timone.

Parigi2016:anteprimadel

futuro

byFedericoMariani

L’edizione�2016�del�Roland�Garros�può,�suo

malgrado,�coincidere�con�l’inizio�di�una�nuova

era.�Dopo�tanto�(troppo)�tempo�trascorso�nella

speranza�di�un�agognato�ricambio

generazionale�valido�e�­�contestualmente�­�nel

terrore�di�un�tennis�senza�Federer�e�Nadal,�lo

Slam�parigino�sbatte�in�faccia�agli�appassionati

un�torneo�senza�i�più�amati.

Roger�non�si�è�presentato�a�Bois�de�Boulogne

saltando�un�Major�come�non�accadeva

sostanzialmente�da�sempre,�dal�1999,�con�in

mezzo�65�presenze�consecutive�ai�nastri�di

partenza.�Il�compare�Rafa�si�è,�invece,�ritirato�in

corso�d’opera�con�un�forfait�dettato

dall’ennesimo�infortunio�che,�con�trenta

candeline�sulla�torta�e�un�fisico�oltremodo

usurato,�fa�intravedere�l’anticamera�del�baratro

(sportivo).�Insomma,�quanto�visto�al�Roland

Garros�potrebbe�rappresentare�l’anteprima�di

ciò�che�sarà�del�circuito�in�un�tempo�tutt’altro

che�lontano,�anzi�più�vicino�di�quanto�si�ritiene

nell’immaginario�comune.�Ma�cosa�sarà�del

circuito�maschile�nell’era�post-Federer&Nadal?

Quanto�perderà�il�tennis�dopo�il�ritiro�dei�due

campionissimi?�Ci�sarà�qualcuno�in�grado�di

raccoglierne�l’eredità�non�solo�tecnica�ma

soprattutto�carismatica?

Difficile,�anzi�forse�impossibile�rispondere�oggi

con�un�certo�grado�di�fiducia�su�quesiti�che

affliggono�l’intera�Atp�e�che�insidiano�di

incognite�un�circuito�che�ha�vissuto�nell’ultimo

decennio�una�straordinaria�età�dell’oro,�basti

pensare�che�degli�otto�tennisti�nella�storia

capaci�di�conquistare�tutte�le�prove�dello�Slam,

ben�tre�appartengono�alla�stessa�generazione.

Si�può,�però,�provare�a�ipotizzare�ciò�che�sarà.

È�ragionevole�­�e�se�vogliamo�anche�comodo�­

credere�che�l’Atp�possa�ripercorrere�il�cammino

tracciato�dalla�NBA�nei�primi�anni�del�terzo

millennio.�Grazie�a�Michael�Jordan�il�basket

americano�ha�vissuto�un�vero�e�proprio�boom

passando�dall’essere�il�fratello�minore�di

baseball�e�football�fino�a�diventare�un

fenomeno�planetario�con�un’identità�culturale�e

sociale�ben�marcata.��auspicabile�uno�stesso

percorso�per�il�tennis�che,�da�sport�di�nicchia�(o

poco�più)�qual�era,�si�è�trasformato�quasi�in

uno�sport�popolare�aprendo�le�sue�frontiere�a

una�fetta�di�pubblico�sempre�crescente.�Tale

crescita�clamorosa�può�esistere�soltanto�se

supportata�e�promossa�dai�campioni�che�­�in

campo�e�fuori�­�hanno�la�possibilità�di�attrarre

nuovi�appassionati.�

Tutto�ciò�è�avvenuto�con�Federer�e�Nadal,

grazie�a�Federer�e�Nadal�che�non�si�sono

limitati�a�mostrare�in�campo�cose�inedite,�si

sono�spinti�oltre.�Sono�stati�(e�sono)�talmente

forti�da�far�avvicinare�con�fervore�anche�chi�il

tennis�lo�masticava�poco.�Sono�stati�(e�sono)

meravigliosamente�diversi�da�aver�creato

attorno�alle�loro�figure�due�fazioni�che�sfociano

spesso�e�volentieri�nel�più�vivo�e�viscerale�del

tifo.�Una�componente�che�fa�storcere�il�naso�ai

puristi�del�Gioco�ma�che,�pragmaticamente

parlando,�ha�portato�soldi,�molti�soldi,�e

attenzioni�provenienti�da�ogni�latitudine�della

terra.�La�tesi�che�si�intende�avvalorare�tramite

questo�ragionamento�si�basa�sul�fatto�che�se

prima�erano�in�10�a�seguire�il�tennis�e�oggi�quei

10�sono�diventati�100,�in�un�domani�senza

ovviamente�Federer�e�Nadal�i�100�non

torneranno�10.�Forse�non�saranno�più�100,�ma

verosimilmente�saranno�85-90,�non�certo�10.

Questo�perché�quell’enorme�nuova�fetta�di

neofiti�che�si�è�innamorata�del�tennis

nell’ultimo�decennio�si�è�nel�frattempo

fidelizzata,�assuefatta,�e�non�abbandonerà.

Federer�e�Nadal�hanno�accompagnato�il�tennis

in�una�nuova�dimensione�facendo�la�fortuna

(economica�ed�emozionale)�di�questo�sport.�I

tennisti�di�oggi�e�soprattutto�di�domani

possono,�dunque,�partire�con�una�base�di

popolarità�solidissima,�impensabile�fino�a

qualche�stagione�fa.�Non�si�può�dare�responsi

su�ciò�che�sarà�a�livello�tecnico�e�carismatico,

ma�è�a�ben�vedere�sciocco�attendersi�di

rivivere�i�fasti�dell’età�odierna�così�come

sarebbe�sciocco�abbandonare�la�nave�quando

Roger�e�Rafa�non�saranno�più�al�timone.

Servizioe

Risposta0-30

byAlexBisi

Infosys�Atp�ha�condottoun’interessante�indaginesulla�next�generation,�i

giovani�che�saranno�il�futurodel�circuito�tennistico

maschile.�L’Atp�ha�presentato�lacampagna�#NextGen�a�Indian

Wells�per�promuovere�igiovani�che�saranno�ilricambio�generazionale�deiFabFour.�

In�particolare�son�state�prese

in�analisi�due�frangenti

particolari�di�gioco,�cercando

di�capire�se�ci�sono�più

possibilità�vincere�la�partita

quando�chi�serve�va�sotto

0-30�o�quando�vanno�avanti

in�risposta.

In�questo�primo�scorcio�distagione,�i�Top8�,�insituazione�di�0-30�sul�loro

sevizio,�riescono�amantenerlo�per�il�50%�dellevolte,�mentre�i�giovani�solo�il

37.�In�situazione�di�0-30�surisposta,�i�Top8�conquistano

il�break�nel�38%�dei�casi,mentre�solo�il�26�per�la#NextGen.�Dall’analisi�emerge�cheAlexander�Zverev,Elias�Ymer,Yoshihito�Nishioka,�Nick

Kyrgios,�Kyle�Edmund,Thanasi�Kokkinakis,Quentin

Halys�e�Andrey�Rublev,�siano

più�bravi�a�mantenere�il

servizio�in�situazione�di

svantaggio.

Borna�Coric,Hyeon�Chung,

Taylor�Fritz,�Jared�Donaldson

e�Francis�Tiafoe�son�più�abili

ad�aggiudicarsi�il�break.

Interessante�notare�che�Kyle

Edmund�ha�una�percentuale

più�alta�di�Murray�nella

particolare�casistica�di

mantenimento�del�servizio�in

situazione�di�svantaggio.

Donaldson�e�Chung�hanno

invece�una�percentuale�di

break�a�segno�più�alta�del

numero�uno�del�ranking,

Novak�Djokovic,46�contro�41.

Zverev�è�nei�primi�4�posti�in

entrambe�le�categorie,�con

percentuali�migliori�di�Davide

Ferrer�in�situazione�di

svantaggio,�e�di�Thomas

Berdych�in�situazione�di

break.

�SERVIZIO1�Kyle�Edmund�502�Nick�Kyrgios�45�3��Quentin�Halys�444��Alexander�Zverev�42

5��Elias�Ymer�41�6��Taylor�Fritz�38�7��Hyeon�Chung�35�

RISPOSTAT1�Jared�Donaldson�46�T1�Hyeon�Chung�46�

3�Alexander�Zverev�37�4��Borna�Coric�36�5��Taylor�Fritz�35�

6��Frances�Tiafoe�30�7��Andrey�Rublev�26

Lanext

generationpuò

attendere!

byGiorgioGiannaccini

Tanti�e�nuovi�talenti

all'orizzonte�che�crescono�e

fanno�risultato,�eppure�sono

sempre�i�vecchi�a�dominare,

che�siano�i�FabFour�come

Stanislas�Wawrinka.�Almeno

così�ha�recitato�l'ultimo

Roland�Garros�vinto

finalmente�­�e�fin�troppo

atteso�­�da�Nole�Djokovic

che�si�è�tolto�un�macigno

dalla�scarpa�che�ultimamente

diventava�pesantissimo.�

Il�torneo,�definito�da�alcuni

dei�maggiori�addetti�ai�lavori,

tra�i�peggiori�Roland�Garros

di�sempre,�ha�avuto�due

defezioni�illustri:�la�prima�di

Roger�Federer�che,�causa

quel�maledetto�menisco

lacerato�e�operato,�dopo�una

tapina�figura�a�Roma,�ha

deciso�saggiamente�di�non

partecipare�per�prepararsi

meglio�il�torneo�per�lui�più

importante,�Wimbledon;

seconda�defezione

importante�invece�è�stata

quella�che�ha�scosso

realmente�il�torneo,�quella

cioè�di�Rafael�Nadal,�che

dopo�aver�superato�senza

alcun�problema�i�vari�Sam

Groth�e�Facundo�Bagnis�in

totale�scioltezza,�ha�poi

dovuto�salutare�il�torneo,causa�un�polso�sinistro�che

se�non�fosse�stato�a�riposototale�per�due�settimane�sisarebbe�rotto�nel�giro�di�duegiorni.��

Insomma,�c'era�spazio�per�la

next�generation,�c'era�spazio

­�senza�più�due�dei�maggiori

vincitori�dell'ultimo�decennio

­�per�ritagliarsi�una�fetta

importante�del�torneo,�ma

non�è�stato�così.�

Cominciamo�da�Nick�Kyrgios:

il�novello�McEnroe,�per

talento�e�temperamento,�ha

sbagliato.�Al�terzo�turno,

cioè�quando�il�gioco

comincia�a�farsi�duro,�con

una�partita�particolarmente

sottotono,�svogliata�e

indolente,�si�è�fatto

sconfiggere�da�un�redivivo

Richard�Gasquet�che�non�ha

concesso�nemmeno�un�setall'australiano.�Decisamente

una�prestazione�tropponegativa,�soprattutto�seconsideriamo�che�i�pronosticidel�match�erano�rivolti�tutti�afavore�del�giovane�di

Canberra.��

Meglio�Alexander�Zverev,

che�dopo�aver�battuto,

concedendo�un�set,�nei�primi

due�turni,�ai�vari�Herbert�e

Robert,�si�è�poi�dovuto

inchinare�al�poco�più�maturo

Dominic�Thiem�al�terzo

turno,�dopo�avergli�strappato

il�tie�break�del�primo�set�si�è

poi�fatto�rimontare�per�6-3

in�tutti�gli�altri�set�del�match.

L'austriaco�dal�magnifico

rovescio�a�una�mano�è�stato

senz'altro�la�maggiore

sorpresa�del�Roland�Garros,

come�testimonia�la�sua

marcia�che�si�è�incrociata

anche�con�quella�di�un'altra

speranza�del�tennis

mondiale,�il�belga�David

Goffin.�Il�fiammingo,�classe

'90,�è�stato�autore�di�un

ottimo�torneo�che�lo�ha

portato�alle�soglie�della�top

ten�con�la�posizione�numero

11�del�ranking�mondiale.�Un

cammino�autoritario�che�lo

ha�visto�battere�avversari

per�nulla�semplici,�basti

pensare�al�terzo�turno�vinto

per�il�rotto�della�cuffia

contro�il�talentuoso�ma

cavallo�pazzo�Nicolas

Almagro,�o�il�turno

successivo�vinto�contro

l'eccentrico�ma�bombardiere

Ernest�Gulbis,�mina�vagante

per�chiunque,�se�in�giornata.

Con�queste�credenziali�si�era

presentato�in�uno�scontro

faccia�a�faccia�con�Thiem.

Timing�e�visione�dal�campo

da�un�parte,�dall'altra

potenza�ma�anche�creatività.

Ne�è�venuto�fuori�uno

strabiliante�scontro�che�ha

visto�per�il�primo�set�fino�a

quasi�tutto�il�secondo�set,

prevalere�il�belga�che�poi,�al

risveglio�dell'austriaco,�è

dovuto�soccombere�alla

maggior�gittata�di�fuoco�e

spregiudicatezza�del�rivale

che�ha�così�ribaltato

l'incontro:�dal�6-4�in�suo

sfavore�nel�primo�set,�si�è

poi�aggiudicato�un�secondo

set�equilibratissimo�per

7-6(7)�e�i�restanti�parziali�per

6-4�6-1,�in�cui�Goffin�non�ne

poteva�davvero�più.�Si�era

arrivati�così�alla�designazione

delle�semifinali:�da�una�parte

il�nostro�eroe�Dominic�Thiem

contro�il�mostro�sacro�Nole

Djokovic,�dall'altra�parte�del

tabellone�invece�il�FabFour

Andy�Murray�contro�il

detentore�del�titolo�Stanislas

Wawrinka.�Tre�semifinalisti�su

quattro�della�vecchia�guardia,

dato�molto�più�che�indicativo,

una�certezza,�oseremmo�dire.

Nella�semifinale�dei�veterani

ha�poi�prevalso�Murray,�e�con

lui�la�sua�maggiore�regolarità

ed�esperienza�nei�match�di

altissimo�livello�che,�insieme

alla�vittoria�a�Roma�di

quest'anno,�ne�fanno�ormai

un�giocatore�eccelso�anche

sulla�terra�battuta.�

Nell'altra�semifinale�DominicThiem�ha�ricevuto�una�lezionedi�tennis�dal�numero�1�del

mondo:�un�6-2�6-1�6-4�cheha�palesato�la�maggiore�forzadi�Nole�Djokovic�oltre�a

mostrare�come,�nonostantegli�ancora�amplissimi�marginidi�miglioramento�di�Thiem,�la

distanza�fra�i�due�sia�ancoraincolmabile.�Molta�la�potenzafra�dritto�e�rovescio�per

l'austriaco,�tra�cui�anchediversi�e�pregevoli�vincenti

ottenuti�in�partita,�ma�checostituiscono�pur�sempre�ungioco�troppo�a�sprazzi�perdemolire�un�muro�come�il

serbo.��

Il�resto�è�storia:�come

dicevano�i�pronostici�Nole�ha

poi�regolato�Murray�e�si�è

concesso�il�trionfo�più�bello,

la�terra�di�Parigi.�I�Major,

insomma,�sono�ancora�roba

per�la�vecchia�guardia,�e�la

next�generation�può�ancora

attendere!

AlbertRamos,un

premioallacarriera

byGiorgioGiannaccini

E�finalmente�venne�l'ora�di�Albert�Ramos,�unragazzo�qualsiasi�che�ha�avuto�la�sfortuna�dinascere�in�Spagna,�terra,�negli�ultimi�15�anni,�difenomeni�se�non�grandi�giocatori.��

E�per�lui,�ragazzo�né�bello�né�particolarmente

talentoso,�fino�a�poco�tempo�fa�c'erano

soltanto�le�briciole.�Ma�cominciamo�dal

principio:�Albert�Ramos-Vinolas,�ragazzo

spagnolo�classe�'88,�residente�a�Mataro,�è�un

classico�regolarista�della�scuola�iberica.�E'

mancino,�alto�ma�longilineo�(1.88�per�80�kg),�e

basa�tutto�il�suo�gioco�sulle�rotazioni

esasperate�in�top�spin,�non�certo�-�direte�-�un

giocatore�per�cui�uno�paga�il�biglietto,�ed�anzi

un�timido�comprimario�se�non�un'eccelsa

vittima�sacrificale�per�qualsiasi�big�nei�tornei

dell'anno.�

Lui�ne�sa�qualcosa�visto�che�nel�lontano�2012

venne�stracciato�nel�tempio�di�Wimbledon�da

un�particolarmente�ispirato�Roger�Federer.�Un

umiliante�6-1�6-1�6-1�che�fece�vedere�doppio

se�non�triplo�a�Ramos�oltre�a�farlo�ritornare,

dopo�poco,�di�pessimo�umore�in�spogliatoio.

Già,�proprio�nel�2012,�in�una�delle�migliori

stagioni�di�Ramos�nel�circuito�Atp,�nella

stagione�cioè�che�lo�vide�disputare�la�prima�(e

unica)�finale�in�carriera,�persa�il�15�aprile,�in

quel�di�Casablanca,�contro�un�buon�Pablo

Andujar�che�lo�batté,�pur�tribolando�nel�finale

di�match,�per�6-1�7-6(5).�

Insomma,�un�buon�giocatore�che�tocca�più

volte�la�top�50�ma�che,�andando�a�stringere,

più�di�lì�non�va,�un�giocatore�senza�né�arte�né

parte,�concludendo,�un'eterna�comparsa.�Il

buon�Ramos�non�ne�fa�un�dramma,�d'altronde

lui�gioca�a�tennis�da�quando�ha�5�anni,�e�se�non

fosse�stato�cosciente�di�questo�avrebbe

smesso�anzitempo�di�giocare�a�tennis.�Però

qualche�soddisfazione�se�la�prende,�mietendo

qualche�scalpo�illustre.�

Nel�2010�nel�torneo�Atp�500�di�Barcellona

sconfigge�il�numero�12�al�mondo�Fernando

Gonzalez,�giocatore�per�niente�facile�da

affrontare�sul�rosso�in�quel�periodo,

conquistandosi�così�il�terzo�turno�prima�di

perdere�contro�Ernest�Gulbis.�Nel�2012�batte�al

terzo�set�Richard�Gasquet�nel�Masters�Series�di

Indian�Wells�e�accede�al�terzo�turno,�sempre

nel�2012,�ma�questa�volta�al�Masters�di�Miami,

batte�il�connazionale�serve�and�volley,�numero

15�del�mondo,�Feliciano�Lopez.�Non�è�tutto,

l'anno�dopo,�sempre�a�Miami,�batte�prima

l'argentino,�numero�14�Atp,�Juan�Monaco�e�poi

l'ex�numero�4�del�mondo�James�Blake,�ma�al

quarto�turno�verrà�fermato�dall'austriaco

Jurgen�Melzer.�A�Barcellona,�sempre�nello

stesso�anno,�ripete�il�suo�stato�di�forma:�liquida

il�gigante�Jerzy�Janowicz�e�il�nipponico�Kei

Nishikori,�prima�di�essere�estromesso�dal�più

nobile�degli�spagnoli,�Rafael�Nadal.�Nel�2015

compie�finalmente�la�più�attesa�delle�vendette

immaginabili:�in�quel�di�Shangai,�nel�prestigioso

e�danarosa�Masters�Series,�batte�per�7-6(4)

2-6�6-3�uno�spento�Roger�Federer,�ma�poco

importa,�battere�il�Re�del�tennis�mondiale�non

è�cosa�da�ogni�giorno,�anche�se,�nella�partita

successiva,�l'iberico�verrà�sconfitto�da�Tsogna,

ma�il�transalpino�faticherà�non�poco,�e�con�un

sospirato�ma�vincente�76(6)�5-7�6-4�piegherà

finalmente�Ramos.

�Poi,�qualche�giorno�fa,�il�suo�capolavoro,compiuto�nella�patria�dei�regolaristi,�i�quarti�di

AlbertRamos,un

premioallacarriera

byGiorgioGiannaccini

E�finalmente�venne�l'ora�di�Albert�Ramos,�unragazzo�qualsiasi�che�ha�avuto�la�sfortuna�dinascere�in�Spagna,�terra,�negli�ultimi�15�anni,�difenomeni�se�non�grandi�giocatori.��

E�per�lui,�ragazzo�né�bello�né�particolarmente

talentoso,�fino�a�poco�tempo�fa�c'erano

soltanto�le�briciole.�Ma�cominciamo�dal

principio:�Albert�Ramos-Vinolas,�ragazzo

spagnolo�classe�'88,�residente�a�Mataro,�è�un

classico�regolarista�della�scuola�iberica.�E'

mancino,�alto�ma�longilineo�(1.88�per�80�kg),�e

basa�tutto�il�suo�gioco�sulle�rotazioni

esasperate�in�top�spin,�non�certo�-�direte�-�un

giocatore�per�cui�uno�paga�il�biglietto,�ed�anzi

un�timido�comprimario�se�non�un'eccelsa

vittima�sacrificale�per�qualsiasi�big�nei�tornei

dell'anno.�

Lui�ne�sa�qualcosa�visto�che�nel�lontano�2012

venne�stracciato�nel�tempio�di�Wimbledon�da

un�particolarmente�ispirato�Roger�Federer.�Un

umiliante�6-1�6-1�6-1�che�fece�vedere�doppio

se�non�triplo�a�Ramos�oltre�a�farlo�ritornare,

dopo�poco,�di�pessimo�umore�in�spogliatoio.

Già,�proprio�nel�2012,�in�una�delle�migliori

stagioni�di�Ramos�nel�circuito�Atp,�nella

stagione�cioè�che�lo�vide�disputare�la�prima�(e

unica)�finale�in�carriera,�persa�il�15�aprile,�in

quel�di�Casablanca,�contro�un�buon�Pablo

Andujar�che�lo�batté,�pur�tribolando�nel�finale

di�match,�per�6-1�7-6(5).�

Insomma,�un�buon�giocatore�che�tocca�più

volte�la�top�50�ma�che,�andando�a�stringere,

più�di�lì�non�va,�un�giocatore�senza�né�arte�né

parte,�concludendo,�un'eterna�comparsa.�Il

buon�Ramos�non�ne�fa�un�dramma,�d'altronde

lui�gioca�a�tennis�da�quando�ha�5�anni,�e�se�non

fosse�stato�cosciente�di�questo�avrebbe

smesso�anzitempo�di�giocare�a�tennis.�Però

qualche�soddisfazione�se�la�prende,�mietendo

qualche�scalpo�illustre.�

Nel�2010�nel�torneo�Atp�500�di�Barcellona

sconfigge�il�numero�12�al�mondo�Fernando

Gonzalez,�giocatore�per�niente�facile�da

affrontare�sul�rosso�in�quel�periodo,

conquistandosi�così�il�terzo�turno�prima�di

perdere�contro�Ernest�Gulbis.�Nel�2012�batte�al

terzo�set�Richard�Gasquet�nel�Masters�Series�di

Indian�Wells�e�accede�al�terzo�turno,�sempre

nel�2012,�ma�questa�volta�al�Masters�di�Miami,

batte�il�connazionale�serve�and�volley,�numero

15�del�mondo,�Feliciano�Lopez.�Non�è�tutto,

l'anno�dopo,�sempre�a�Miami,�batte�prima

l'argentino,�numero�14�Atp,�Juan�Monaco�e�poi

l'ex�numero�4�del�mondo�James�Blake,�ma�al

quarto�turno�verrà�fermato�dall'austriaco

Jurgen�Melzer.�A�Barcellona,�sempre�nello

stesso�anno,�ripete�il�suo�stato�di�forma:�liquida

il�gigante�Jerzy�Janowicz�e�il�nipponico�Kei

Nishikori,�prima�di�essere�estromesso�dal�più

nobile�degli�spagnoli,�Rafael�Nadal.�Nel�2015

compie�finalmente�la�più�attesa�delle�vendette

immaginabili:�in�quel�di�Shangai,�nel�prestigioso

e�danarosa�Masters�Series,�batte�per�7-6(4)

2-6�6-3�uno�spento�Roger�Federer,�ma�poco

importa,�battere�il�Re�del�tennis�mondiale�non

è�cosa�da�ogni�giorno,�anche�se,�nella�partita

successiva,�l'iberico�verrà�sconfitto�da�Tsogna,

ma�il�transalpino�faticherà�non�poco,�e�con�un

sospirato�ma�vincente�76(6)�5-7�6-4�piegherà

finalmente�Ramos.

�Poi,�qualche�giorno�fa,�il�suo�capolavoro,

compiuto�nella�patria�dei�regolaristi,�i�quarti�di

finale�al�Roland�Garros.�Al�primo�turno,�a�dire�il�vero,�Ramos,�ha

qualche�difficoltà�con�l'argentino�Horacio�Zeballos,�buon�giocatore

ma�ancora�lontano�dalla�sua�forma�migliore,�ma�il�sudamericano�a�un

certo�punto�si�sgretola�e�con�un�buon�6-3�4-6�7-5�6-0�Ramos�lo

batte.�Al�secondo�turno�il�compito�è�ancora�più�facile�contro�il

numero�166�del�mondo,�un�altro�argentino,�che�risponde�al�nome

italianeggiante�di�Marco�Trungelliti,�e�con�lui�i�dilemmi�sono�ancora

minori,�basta�un�secco�6-3�6-4�7-5�per�sbatterlo�fuori�dal�torneo,�ma

da�qui�in�poi�cominceranno�i�veri�capolavori.�

�Al�terzo�turno�fa�fuori�in�una�lotta�al�quinto�set�il�promettenteamericano�Jack�Sock:�perso�il�primo�set�al�tie�break�ramos�vince�isuccessivi�due�per�6-4,�Sock�pareggia�i�conti�con,�a�sua�volta,�un�6-4

in�suo�favore�nel�quarto,�prima�che�Ramos�rimetta�in�chiaro�le�cose�alquinto�set,�grazie�sempre�a�un�6-4�che�sancisce�di�fatto�la�fine�di�una

partita�combattutissima.��

“Un�premio�alla�carriera”�dice�perentoriamente�Federico�Ferrero�a

fine�telecronaca�sul�canale�di�Eurosport,�“il�riconoscimento�a�un

ragazzo�che�seriamente�ha�sempre�lavorato,�se�lo�merita”,�aggiunge

concludendo�il�collegamento.�E�già,�un�prestigioso�ottavo�di�finale

che�vale�tantissimo�per�un�giocatore�come�Ramos,�infatti�i�quarti

sembrano�un'utopia�visto�che�alla�prossima�partita�si�ritroverà

difronte�quel�gigante�di�Milos�Raonic,�bombardiere�e�talento�che

detiene�la�poltrona�numero�9�del�ranking�Atp.�No,�Ramos�non�ci�sta,�il

suo�vero�regalo�alla�carriera�se�lo�devo�ancora�fare,�deve�ancora

firmare�il�suo�vero�capolavoro.�Finito�il�riscaldamento,�il�canadese�ci

capirà�poco�di�quella�partita�contro�Ramos.�

Tra�corsa,�rotazioni,�tenacia�e�coraggio,�Ramos�tramortisce�Raonic;

non�serve�a�nulla�il�servizio�del�canadese�che�quel�giorno�non�è�più

devastante�ma�anzi�fa�acqua�da�tutte�le�parti:�con�un�netto�e

meritato�6-2�6-4�6-4�Ramos�si�prende�l'ovazione�del�pubblico

parigino.�Non�ci�crede�nemmeno�lui,�un�quarto�a�Parigi...�da�sogno!

Poco�importerà�se�la�partita�successiva�Stanislas�Wawrinka

interromperà�la�favola�bella,�e�riporterà�la�carriera�di�Ramos�alla�solita

e�noiosa�tirannia�dove�vince�sempre�il�più�forte.�

Ramos�ha�comunque�completato�il�suo�capolavoro,�e�quel�quarto�di

finale,�ottenuto�nella�cattedrale�dei�regolaristi,�non�glielo�scucirà�più

nessuno�di�dosso,�nemmeno�un�freddo�6-2�6-1�7-6(7)�in�favore

dell'elvetico�che�solo�per�quel�giorno�non�avrà�il�valore�di�una

vittoria.

finale�al�Roland�Garros.�Al�primo�turno,�a�dire�il�vero,�Ramos,�ha

qualche�difficoltà�con�l'argentino�Horacio�Zeballos,�buon�giocatore

ma�ancora�lontano�dalla�sua�forma�migliore,�ma�il�sudamericano�a�un

certo�punto�si�sgretola�e�con�un�buon�6-3�4-6�7-5�6-0�Ramos�lo

batte.�Al�secondo�turno�il�compito�è�ancora�più�facile�contro�il

numero�166�del�mondo,�un�altro�argentino,�che�risponde�al�nome

italianeggiante�di�Marco�Trungelliti,�e�con�lui�i�dilemmi�sono�ancora

minori,�basta�un�secco�6-3�6-4�7-5�per�sbatterlo�fuori�dal�torneo,�ma

da�qui�in�poi�cominceranno�i�veri�capolavori.�

�Al�terzo�turno�fa�fuori�in�una�lotta�al�quinto�set�il�promettenteamericano�Jack�Sock:�perso�il�primo�set�al�tie�break�ramos�vince�isuccessivi�due�per�6-4,�Sock�pareggia�i�conti�con,�a�sua�volta,�un�6-4

in�suo�favore�nel�quarto,�prima�che�Ramos�rimetta�in�chiaro�le�cose�alquinto�set,�grazie�sempre�a�un�6-4�che�sancisce�di�fatto�la�fine�di�una

partita�combattutissima.��

“Un�premio�alla�carriera”�dice�perentoriamente�Federico�Ferrero�a

fine�telecronaca�sul�canale�di�Eurosport,�“il�riconoscimento�a�un

ragazzo�che�seriamente�ha�sempre�lavorato,�se�lo�merita”,�aggiunge

concludendo�il�collegamento.�E�già,�un�prestigioso�ottavo�di�finale

che�vale�tantissimo�per�un�giocatore�come�Ramos,�infatti�i�quarti

sembrano�un'utopia�visto�che�alla�prossima�partita�si�ritroverà

difronte�quel�gigante�di�Milos�Raonic,�bombardiere�e�talento�che

detiene�la�poltrona�numero�9�del�ranking�Atp.�No,�Ramos�non�ci�sta,�il

suo�vero�regalo�alla�carriera�se�lo�devo�ancora�fare,�deve�ancora

firmare�il�suo�vero�capolavoro.�Finito�il�riscaldamento,�il�canadese�ci

capirà�poco�di�quella�partita�contro�Ramos.�

Tra�corsa,�rotazioni,�tenacia�e�coraggio,�Ramos�tramortisce�Raonic;

non�serve�a�nulla�il�servizio�del�canadese�che�quel�giorno�non�è�più

devastante�ma�anzi�fa�acqua�da�tutte�le�parti:�con�un�netto�e

meritato�6-2�6-4�6-4�Ramos�si�prende�l'ovazione�del�pubblico

parigino.�Non�ci�crede�nemmeno�lui,�un�quarto�a�Parigi...�da�sogno!

Poco�importerà�se�la�partita�successiva�Stanislas�Wawrinka

interromperà�la�favola�bella,�e�riporterà�la�carriera�di�Ramos�alla�solita

e�noiosa�tirannia�dove�vince�sempre�il�più�forte.�

Ramos�ha�comunque�completato�il�suo�capolavoro,�e�quel�quarto�di

finale,�ottenuto�nella�cattedrale�dei�regolaristi,�non�glielo�scucirà�più

nessuno�di�dosso,�nemmeno�un�freddo�6-2�6-1�7-6(7)�in�favore

dell'elvetico�che�solo�per�quel�giorno�non�avrà�il�valore�di�una

vittoria.

AspettandoWimbledon,la

Franciainaugurailsuo

Giardino(sognandoun

torneoATP)

byNiccolòInches

Deauville�-�La�febbre�da�erba�sale�sempre�di

più,�con�il�torneo�di�Wimbledon�che�andrà�in

scena�a�breve�(27�giugno-10�luglio).�Ciò�accade

anche�in�Francia,�paese�ospitante�del

Campionato�del�Mondo�su�terra�rossa�-�il

Roland�Garros�-�ma�i�cui�rappresentanti�con

racchetta�si�sono�sempre�espressi�con�maggior

efficacia�sui�prati:�Richard�Gasquet�doppio

semifinalista�a�Church�Road,�così�come�Jo-

Wilfried�Tsonga�autore�di�una�clamorosa

eliminazione�di�Roger�Federer�nel�2010.�Senza

dimenticare�le�gesta�della�campionessa�di

Wimbledon�2006�Amélie�Mauresmo,�la�finale�di

Cédric�Pioline�persa�da�Sampras�(‘97),�la�“semi”

di�Henri�Leconte�nell’86,�fino�allo�specialista

tutt’ora�in�attività�-�e�fresco�n.1�del�mondo�in

doppio�-�Nicolas�Mahut,�interprete�“erbivoro”�di

tutto�rispetto�e�reduce�della�storica�maratona

con�John�Isner�ai�Championships�2010.

La�Voglia�di�Erba�dei�francesi�pare�aver

finalmente�trovato�una�valvola�di�sfogo:�il

merito�è�del�duo�Grégory�Brussot�e�Martin

Besançon,�che�mercoledì�9�giugno�hanno

inaugurato�nella�città�di�Deauville�(Normandia)

il�primo�circolo�interamente�in�erba�nella�storia

del�tennis�francese,�alla�presenza�del

Presidente�della�Federazione�transalpina�Jean

Gachassin.�Prima�di�quelli�del�“Lawn�Tennis

Club”�della�città,�infatti,�su�tutto�il�territorio

esagonale�era�rintracciabile�solo�il�campo

(blindatissimo)�dell’Ambasciata�di�Gran

Bretagna�a�Parigi.�Gli�amanti�del�genere�ne

avranno�presto�a�disposizione�ben�14,�aperti�adiscrizioni�annuali�o�anche�per�prenotazioni�oneshot,�alla�modica�cifra�di�40�euro�l'ora.

L’iniziativa�dei�due,�a�loro�detta,�fu�stimolata�da

un�titolo�del�quotidiano�sportivo�“L’Equipe”�del

2007:�“Campi�in�erba,�perché�no?”.�Et�voilà:�il

risultato�sono�4�campi�già�utilizzabili,�un

terreno�pronto�ad�ospitarne,�un�altro�in

preparazione�per�la�zollatura�e�un�Centrale�che

potrebbe�ospitare�un�giorno�degli�eventi�di

rilievo:�“Questa�di�Deauville�è�una�sfida

straordinaria”,�ha�esclamato�Gachassin,�“Il

circolo�sarà�certamente�presente�sulla�lista�dei

candidati�ad�ospitare�un�week-end�di�Coppa

Davis�o�Fed�Cup.�Poi,�certo,�dipende�dalle

scelte�del�Capitano”.

L’obiettivo�dichiarato,�o�in�ogni�caso�il�“Sogno”

di�questi�due�Frères�Lumière�du�Gazon,�è�farne

nel�giro�di�qualche�stagione�il�teatro�di�un

torneo�Challenger�o�di�un�Atp�250.�Nel

frattempo,�come�affermato�dal�responsabile

della�Lega�regionale�Olivier�Halbout,�“In�una

terra�di�grande�tradizione�su�terra�battuta�come

la�Normandia,�questo�circolo�non�può�che

essere�una�ricchezza,�per�i�giovani�soprattutto

(...)�Si�possono�organizzare�dei�veri�e�propri

stage�su�erba�con�i�tecnici�federali�e�potrebbero

aprirsi�finestre�importante�per�eventuali

competizioni�giovanili,�regionali�e�non”.�Per�non

parlare�dell’appeal�internazionale:�“I�giocatori

che�vogliono�prepararsi�a�Wimbledon�possono

venire�qui”,�ha�aggiunto�Gachassin,�e�Halbout

gli�ha�fatto�eco�evocando�“L’interesse�di�altre

leghe”�per�lo�sfruttamento�dei�campi.

Nell’attesa,�il�match�tra�l’ex�top�50�Marc

Gicquel�e�l’attuale�n°230�Atp�Axel�Michon�ha

aperto�un�mini-torneo�di�esibizione�che�vedrà

impegnati�anche�Jérémy�Chardy�e�Quentin

Halys,�impegnati�recentemente�al�Roland

Garros.�Anche�Tennis�World�Italia,�presente

all’inaugurazione,�ha�avuto�l’opportunità�di

provare�in�anteprima�i�prati�di�Deauville,�resi

purtroppo�umidi�e�scivolosi�dalle�nuvole�del

Nord�della�Francia.�“L’erba�è�tagliata�tra�gli�8�e�i

10�millimetri”,�ci�ha�spiegato�Besançon,

specificando�come�il�circolo�preveda�“Due�tipi

di�terreni.�Uno,�quello�previsto�peraltro�per�il

Centrale,�realizzato�con�il�contributo�dei�tecnici

del�torneo�inglese�del�Queen’s;�l’altro,�per�il

quale�ci�siamo�appoggiati�sull’expertise�della

società�francese�Natural�Grass,�è�caratterizzato

dal�cosiddetto�“sostrato�fibrato”,�con�aggiunta

di�sabbia,�che�ne�accentua�la�permeabilità

permettendo�un�rapido�riutilizzo�in�caso�di

pioggia”.�Il�circolo,�inoltre,�si�avvale�di�2

“giardinieri”�a�tempo�pieno�-�che�assicurano�1-2

“tosate”�al�giorno�-�e�di�una�terza�persona�a

supervisionare�i�lavori:�una�sorta�di�green

keeper,�come�nel�golf.

Proprio�il�golf,�per�stessa�ammissione�dei

fondatori,�rappresenta�il�business�model�di

riferimento,�almeno�per�i�primi�anni�di�vita�del

Lawn�Tennis�Club�Deauville.�Nonostante�un

terzo�del�budget�sia�assicurato�dalle�collettività

locali,�i�già�23�partner�privati�rendono�il�circolo

un�laboratorio�che�fonde�tennis�e�impresa,

anche�grazie�alla�presenza�di�sale�conferenze,

ristorante�e�boutique.�Tappa�forse�obbligata

per�assicurare�una�crescita�ancor�più�rapida�di

questo�“microcosmo�in�erba”,�con�il�quale�il

movimento�francese�intende�massimizzare�le

potenzialità�dei�propri�esponenti�sul�verde�-�e,

magari,�attrarre�ulteriori�attori�internazionali.

Sul�Roland�Garros�non�ci�sarà�ancora�il�tetto,

ma�(almeno)�si�muove�qualcosa�nel�tennis

transalpino.

RogerFederer

deveparlare

byRiccardoZuliani

Se�ci�si�fosse�fermati�alle�apparenze,

quell’esibizione�sarebbe�risultata�assolutamente

e�inequivocabilmente�brutta.�Il�fatto�è�che�le

apparenze�sono�tutto�per�qualcuno.�Per

qualcun�altro�invece�sono�molto�di�più.�Sono�la

sostanza�di�un�evento.�E�questo�qualcun�altro

era�colui�che�aveva�presenziato�al�match�di

Roger�Federer.

A�dire�il�vero,�erano�in�tanti�ad�assistere,�e

nessuno�di�questi�si�era�fermato�alle�apparenze.

Ovviamente.�Il�concetto,�per�intenderci,�è�che

l’incontro�era�stato�davvero�orribile,�una�di

quelle�cose�per�cui�non�si�sa�bene�perché�nel

tennis�non�possano�andarsene�a�casa�in�due,

perché�debba�per�forza�esserci�un�vincitore,

perché�in�sostanza�si�siano�sborsati�tutti�quei

quattrini�per�assistere�a�stecche,�palle

scentrate,�addirittura�mancate,�praticamente�un

errore�gratuito�dietro�l’altro,�un�disastro

colossale,�oggettivamente�non�una�partita,

l’olocausto�del�colpo�vincente.

Però�c’era�in�campo�Federer.

Il�che�non�è�cosa�da�poco,�considerando�che

c’era�in�campo�il�“dio�del�tennis”.�È�bene

ricordare�che�la�religione�è�stata�pensata�in

modo�tale�per�cui�anche�quando�non�si�riceva

apparentemente�nulla�di�buono�dal�proprio�dio,

in�questo�dio�si�continui�a�credere,�e�forse

ancor�più�di�prima.�Perché�ci�sta�mettendo�alla

prova.�Ecco.�Spesso�le�persone�che�vanno�a

vedere�Federer�(perché�vanno�a�vedere

Federer),�non�si�rendono�conto�che�quella�che,

secondo�loro,�dovrebbe�essere�una�prova�dello

svizzero,�è�invece�una�prova�tutta�loro,�di�cui

Federer�è,�per�così�dire,�giudice,�spettatore.

In�più�sensi,�tra�l’altro.�Nel�primo�senso�per

quanto�si�è�or�ora�fatto�capire,�perché�la�gente

va�a�vedere�Federer,�ma�spesso�Federer�è�così

diverso�dal�Federer�che�ci�si�aspettava,�che�non

si�è�visto�realmente�Federer,�se�non�a�tratti,�e

tutto�il�resto�va�dimenticato,�e�va�dimenticato

nel�tempo�in�cui�un�ballboy�lancia�al�giocatore

la�pallina�che�sarà�protagonista�del�punto

successivo.

Quei�tratti�in�cui�Federer�è�realmente�Federer,

quelli�sono�gli�unici�attimi�che�si�intagliano�in

modo�radicale�nelle�anime�degli�spettatori,

piccole�fibre�che�andranno�a�costituire�il�vero

tessuto�contemplativo�delle�persone.

Nessuno�si�accorge�degli�errori�di�Federer,�il

tempo�è�fermo�ogni�volta�che�lui�non�fa�ciò�che

un�dio�deve�fare,�ma�quando�riprende�ad

elargire�la�sua�grazia�ed�i�suoi�doni,�allora�viene

adorato�in�maniera�totale,�crescente,

commovente.�L’atmosfera�del�santuario�fa�si

che�ogni�segno�divino�sia�il�grande�segno,�e

tutto�il�resto�semplice�incapacità�umana�di

capire�e�vedere.�Di�vedere�oltre.

L’altro�senso�per�cui�la�gente�che�va�a�vedere

Federer�per�vedere�Federer�non�vedrà�Federer,

e�non�lo�giudicherà,�è�il�fatto�che�in�campo

attraverso�di�lui�si�mostra�il�gioco�del�tennis

nella�sua�scarnificata�purificata�e�nuda�essenza,

senza�che�interprete�alcuno�si�faccia�carico

della�sua�creazione.�Federer�quando�incarna�il

tennis�incarna�il�tennis,�si�dimentica�di�sé

stesso,�di�tutto�ciò�che�è�stato�e�sarà,�di�tutti�i

suoi�affetti,�di�tutto�ciò�che�lo�ha�portato�a

trovarsi�lì,�esce�da�sé�stesso,�e�si�siede�tra�il

pubblico,�ad�ammirarsi,�invero�anche�lui.

Nel�momento�in�cui�il�tennis�entra�in�campo

Federer�esce,�la�sua�biografia�se�ne�va,�e�rimane

solo�lo�spettacolo�di�un�movimento�perfetto�e

disinteressato,�che�colpisce�non�per�fare�il

punto�-�il�disinteresse�è�totale�verso

l’ottenimento�del�risultato�-,�e�che�il�punto�lo

farà�ugualmente,�perché�non�si�tratterà�più�di

sopraffare�un�avversario,�ma�di�condurlo�con

sé,�di�prenderlo�per�mano�e�renderlo�partecipe

di�quel�grande�movimento�a�cui�si�è�data�vita,

lì,�in�quel�campo,�in�quel�momento.

L’avversario�di�Federer�collaborerà�con�Federer

perché�si�realizzi�il�grande�spettacolo,�e�il

tennis�prenda�il�posto�sul�palco,�sotto�la�ribalta,

per�un�qualche�breve�istante�che�sarà�appena

precedente�all’istante�successivo,�e�collegato

con�esso,�senza�che�gli�errori�e�ciò�che�di

umano�rientrerà�in�campo�a�fare�da�intermezzo

tra�i�due�istanti�potranno�rendere�meno

omogeneo�e�coerente�l’arabesco�che�sta

venendo�a�vita.�È�l’ultimo�istante�di�bellezza,�in

qualsiasi�momento�avverrà,�con�un�qualsiasi

numero�di�momenti�perfetti�ad�esso

precedenti,�renderà�concluso�il�tessuto,�ed

armonioso,�e�grande.�Le�persone�che�hanno

assistito,�avvertono�con�lucifera�profondità�ciò

che�era�mancato�loro�sino�a�quel�momento,

ossia�quel�momento�stesso.�Se�gli�arbitri,�se�gli

avversari,�se�il�pubblico�non�dovessero�essere

vincolati�alle�proprie�leggi�naturali�(quelle�per

cui�esiste�una�cosa�chiamata�“punto”;�e�per�cui

ad�un�”punto”�deve�seguire�necessariamente�un

altro�“punto”;�che�esiste�una�forma�di

apprezzamento-ringraziamento�-�di�tale

“punto”�che�avviene�mediante�gestualità�quali

l’applauso)�il�balzo�di�Federer�e�della�pallina�che

lo�segue�-�e�non�il�contrario�-�potrebbero

continuare�ininterrottamente,�ascendere�al

cielo,�levitare�sopra�le�teste�degli�spettatori

anche�spazialmente,�oltre�che�sostanzialmente,

ed�irradiare�grazia�dall’alto,�come�il�sole.�Come

il�sole.

�Il�fatto�che�comunque�ci�sia�un�pubblico�e�unedificio�di�leggi�che�tentino�di�ostacolarlo�o,�perlo�meno,�di�inquadrarlo,�non�fa�altro�che

RogerFederer

deveparlare

byRiccardoZuliani

Se�ci�si�fosse�fermati�alle�apparenze,

quell’esibizione�sarebbe�risultata�assolutamente

e�inequivocabilmente�brutta.�Il�fatto�è�che�le

apparenze�sono�tutto�per�qualcuno.�Per

qualcun�altro�invece�sono�molto�di�più.�Sono�la

sostanza�di�un�evento.�E�questo�qualcun�altro

era�colui�che�aveva�presenziato�al�match�di

Roger�Federer.

A�dire�il�vero,�erano�in�tanti�ad�assistere,�e

nessuno�di�questi�si�era�fermato�alle�apparenze.

Ovviamente.�Il�concetto,�per�intenderci,�è�che

l’incontro�era�stato�davvero�orribile,�una�di

quelle�cose�per�cui�non�si�sa�bene�perché�nel

tennis�non�possano�andarsene�a�casa�in�due,

perché�debba�per�forza�esserci�un�vincitore,

perché�in�sostanza�si�siano�sborsati�tutti�quei

quattrini�per�assistere�a�stecche,�palle

scentrate,�addirittura�mancate,�praticamente�un

errore�gratuito�dietro�l’altro,�un�disastro

colossale,�oggettivamente�non�una�partita,

l’olocausto�del�colpo�vincente.

Però�c’era�in�campo�Federer.

Il�che�non�è�cosa�da�poco,�considerando�che

c’era�in�campo�il�“dio�del�tennis”.�È�bene

ricordare�che�la�religione�è�stata�pensata�in

modo�tale�per�cui�anche�quando�non�si�riceva

apparentemente�nulla�di�buono�dal�proprio�dio,

in�questo�dio�si�continui�a�credere,�e�forse

ancor�più�di�prima.�Perché�ci�sta�mettendo�alla

prova.�Ecco.�Spesso�le�persone�che�vanno�a

vedere�Federer�(perché�vanno�a�vedere

Federer),�non�si�rendono�conto�che�quella�che,

secondo�loro,�dovrebbe�essere�una�prova�dello

svizzero,�è�invece�una�prova�tutta�loro,�di�cui

Federer�è,�per�così�dire,�giudice,�spettatore.

In�più�sensi,�tra�l’altro.�Nel�primo�senso�per

quanto�si�è�or�ora�fatto�capire,�perché�la�gente

va�a�vedere�Federer,�ma�spesso�Federer�è�così

diverso�dal�Federer�che�ci�si�aspettava,�che�non

si�è�visto�realmente�Federer,�se�non�a�tratti,�e

tutto�il�resto�va�dimenticato,�e�va�dimenticato

nel�tempo�in�cui�un�ballboy�lancia�al�giocatore

la�pallina�che�sarà�protagonista�del�punto

successivo.

Quei�tratti�in�cui�Federer�è�realmente�Federer,

quelli�sono�gli�unici�attimi�che�si�intagliano�in

modo�radicale�nelle�anime�degli�spettatori,

piccole�fibre�che�andranno�a�costituire�il�vero

tessuto�contemplativo�delle�persone.

Nessuno�si�accorge�degli�errori�di�Federer,�il

tempo�è�fermo�ogni�volta�che�lui�non�fa�ciò�che

un�dio�deve�fare,�ma�quando�riprende�ad

elargire�la�sua�grazia�ed�i�suoi�doni,�allora�viene

adorato�in�maniera�totale,�crescente,

commovente.�L’atmosfera�del�santuario�fa�si

che�ogni�segno�divino�sia�il�grande�segno,�e

tutto�il�resto�semplice�incapacità�umana�di

capire�e�vedere.�Di�vedere�oltre.

L’altro�senso�per�cui�la�gente�che�va�a�vedere

Federer�per�vedere�Federer�non�vedrà�Federer,

e�non�lo�giudicherà,�è�il�fatto�che�in�campo

attraverso�di�lui�si�mostra�il�gioco�del�tennis

nella�sua�scarnificata�purificata�e�nuda�essenza,

senza�che�interprete�alcuno�si�faccia�carico

della�sua�creazione.�Federer�quando�incarna�il

tennis�incarna�il�tennis,�si�dimentica�di�sé

stesso,�di�tutto�ciò�che�è�stato�e�sarà,�di�tutti�i

suoi�affetti,�di�tutto�ciò�che�lo�ha�portato�a

trovarsi�lì,�esce�da�sé�stesso,�e�si�siede�tra�il

pubblico,�ad�ammirarsi,�invero�anche�lui.

Nel�momento�in�cui�il�tennis�entra�in�campo

Federer�esce,�la�sua�biografia�se�ne�va,�e�rimane

solo�lo�spettacolo�di�un�movimento�perfetto�e

disinteressato,�che�colpisce�non�per�fare�il

punto�-�il�disinteresse�è�totale�verso

l’ottenimento�del�risultato�-,�e�che�il�punto�lo

farà�ugualmente,�perché�non�si�tratterà�più�di

sopraffare�un�avversario,�ma�di�condurlo�con

sé,�di�prenderlo�per�mano�e�renderlo�partecipe

di�quel�grande�movimento�a�cui�si�è�data�vita,

lì,�in�quel�campo,�in�quel�momento.

L’avversario�di�Federer�collaborerà�con�Federer

perché�si�realizzi�il�grande�spettacolo,�e�il

tennis�prenda�il�posto�sul�palco,�sotto�la�ribalta,

per�un�qualche�breve�istante�che�sarà�appena

precedente�all’istante�successivo,�e�collegato

con�esso,�senza�che�gli�errori�e�ciò�che�di

umano�rientrerà�in�campo�a�fare�da�intermezzo

tra�i�due�istanti�potranno�rendere�meno

omogeneo�e�coerente�l’arabesco�che�sta

venendo�a�vita.�È�l’ultimo�istante�di�bellezza,�in

qualsiasi�momento�avverrà,�con�un�qualsiasi

numero�di�momenti�perfetti�ad�esso

precedenti,�renderà�concluso�il�tessuto,�ed

armonioso,�e�grande.�Le�persone�che�hanno

assistito,�avvertono�con�lucifera�profondità�ciò

che�era�mancato�loro�sino�a�quel�momento,

ossia�quel�momento�stesso.�Se�gli�arbitri,�se�gli

avversari,�se�il�pubblico�non�dovessero�essere

vincolati�alle�proprie�leggi�naturali�(quelle�per

cui�esiste�una�cosa�chiamata�“punto”;�e�per�cui

ad�un�”punto”�deve�seguire�necessariamente�un

altro�“punto”;�che�esiste�una�forma�di

apprezzamento-ringraziamento�-�di�tale

“punto”�che�avviene�mediante�gestualità�quali

l’applauso)�il�balzo�di�Federer�e�della�pallina�che

lo�segue�-�e�non�il�contrario�-�potrebbero

continuare�ininterrottamente,�ascendere�al

cielo,�levitare�sopra�le�teste�degli�spettatori

anche�spazialmente,�oltre�che�sostanzialmente,

ed�irradiare�grazia�dall’alto,�come�il�sole.�Come

il�sole.

Il�fatto�che�comunque�ci�sia�un�pubblico�e�unedificio�di�leggi�che�tentino�di�ostacolarlo�o,�perlo�meno,�di�inquadrarlo,�non�fa�altro�che

accentuarne�l’immensa�raffinatezza�stilistica:

come�il�poeta,�che�solo�quando�è�forzato�dal

metro�riesce�a�spiccare�balzi�estetici�di�così

rara�levatura,�così�l’elvetico�si�fa�carico�di�tutte

le�pressioni�provenienti�dall’esterno,�dagli

avversari,�dal�mondo,�per�farne�un�tessuto

intricatissimo�entro�le�cui�smagliature�potersi

inserire�e�,poi,�venirne�fuori,�rituffarcisi�dentro

con�scomparse�intermittenti�e�poi,�ecco,�di

nuovo�sgusciare�fuori�da�luoghi�inaspettati,�con

movimenti�vertiginosi.�E�non�è�un�caso�se

quando�puoi�assistere�alle�sue�apparizioni,�le

traiettorie�e�i�movimenti�della�pallina�non

hanno�alcun�rilievo,�dal�momento�che�tutto�ciò

che�ti�basta�è�seguire�le�vibrazioni�sinuose�del

suo�corpo,�la�cui�causa�e�conseguenza�dirette

non�sono�altro�che�i�tragitti�della�sfera.

Con�Federer�si�può�ritagliare�un’inquadratura

che�copra�l’avversario�e�il�campo�e�tutto�il

resto,�tranne�che�lui,�e�ti�racconterà

ugualmente,�senza�tralasciare�nulla-�anzi,

mostrando�qualcosa�in�più�rispetto�a�quanto�la

visione�di�un�campo�dall’alto�potrebbe

rivelarti-,�la�storia�di�quella�partita,�la�storia�del

tennis.

E,�soddisfatti,�tutti,�si�potrà�tornare�alle�proprie

case,�alle�proprie�vite,�come�se�nulla�fosse

stato,�come�se�tutto�fosse�stato,�dimentichi�di

essere�stati�giudicati�dal�dio�del�tennis,

inconsapevoli�della�sua�bontà�che�tutti�accetta

e�tutti�perdona�e�tutti�lascia�passare,�ignari�di

aver�superato,�tutti,�una�grande�prova,�sicuri

che�dietro�alla�vita,�oltre�la�vita,�se�non�altro,

c’è�il�grande�tennis,�e�c’è�Roger�Federer.

E,�pur�pensando�sia�tutto�lì,�è�tutto�qui.�Tra

poche�righe�redatte�da�chi�a�quell’evento�non

presenziò.

Del�resto,�Federer�quella�partita�l’aveva�persa.

accentuarne�l’immensa�raffinatezza�stilistica:

come�il�poeta,�che�solo�quando�è�forzato�dal

metro�riesce�a�spiccare�balzi�estetici�di�così

rara�levatura,�così�l’elvetico�si�fa�carico�di�tutte

le�pressioni�provenienti�dall’esterno,�dagli

avversari,�dal�mondo,�per�farne�un�tessuto

intricatissimo�entro�le�cui�smagliature�potersi

inserire�e�,poi,�venirne�fuori,�rituffarcisi�dentro

con�scomparse�intermittenti�e�poi,�ecco,�di

nuovo�sgusciare�fuori�da�luoghi�inaspettati,�con

movimenti�vertiginosi.�E�non�è�un�caso�se

quando�puoi�assistere�alle�sue�apparizioni,�le

traiettorie�e�i�movimenti�della�pallina�non

hanno�alcun�rilievo,�dal�momento�che�tutto�ciò

che�ti�basta�è�seguire�le�vibrazioni�sinuose�del

suo�corpo,�la�cui�causa�e�conseguenza�dirette

non�sono�altro�che�i�tragitti�della�sfera.

Con�Federer�si�può�ritagliare�un’inquadratura

che�copra�l’avversario�e�il�campo�e�tutto�il

resto,�tranne�che�lui,�e�ti�racconterà

ugualmente,�senza�tralasciare�nulla-�anzi,

mostrando�qualcosa�in�più�rispetto�a�quanto�la

visione�di�un�campo�dall’alto�potrebbe

rivelarti-,�la�storia�di�quella�partita,�la�storia�del

tennis.

E,�soddisfatti,�tutti,�si�potrà�tornare�alle�proprie

case,�alle�proprie�vite,�come�se�nulla�fosse

stato,�come�se�tutto�fosse�stato,�dimentichi�di

essere�stati�giudicati�dal�dio�del�tennis,

inconsapevoli�della�sua�bontà�che�tutti�accetta

e�tutti�perdona�e�tutti�lascia�passare,�ignari�di

aver�superato,�tutti,�una�grande�prova,�sicuri

che�dietro�alla�vita,�oltre�la�vita,�se�non�altro,

c’è�il�grande�tennis,�e�c’è�Roger�Federer.

E,�pur�pensando�sia�tutto�lì,�è�tutto�qui.�Tra

poche�righe�redatte�da�chi�a�quell’evento�non

presenziò.

Del�resto,�Federer�quella�partita�l’aveva�persa.

Maquellasfera

laggiùchevedi

volteggiarein

aria,tucredisia

unapallinaoun

Rovescio?

byRiccardoZuliani

Rispetto�a�quel�dritto�che

stai�eseguendo�laggiù�in

fondo�dall’altra�parte�del

campo,�ho�da�dirti�molto.

In�primis,�è�bellissimo.�E’

bellissimo�il�gesto�che�il�tuo

corpo�sta�mettendo�in�scena,

l’orchestrata�strutturazione

di�una�figura�omogenea�ed

armoniosa�composta�da

miriadi�di�segmenti,�fasci�e

“pezzi”,�la�collimazione�di

propulsioni�normalmente

indipendenti�e�ora,�per

l’occasione,�riunitesi�per�fare

fronte�comune�ad�una

Grande�richiesta�di

Uniformità.�Eterogeneità�che

s’irradia�in�tutte�le�sue

sfaccettature�grazie�ad

un’implosione�dei�fini,

Specificità�che�si�colgono

tutte�con�una�sola�occhiata.

E’�uno�sguardo�d’insieme.Ma�come�fai?�Ti�ho�lanciato(non�ho�altri�verbi�perdenotare�la�lampantecarenza�artistica�della�miaesecuzione)�la�pallina�con

una�tal�violenza�e�precisione

che�il�tempo�perché

compiessi�un�gesto�anche

semplicemente�coordinato

era�pressochè�nullo.

Proprio�in�virtù�di�questa

mancanza�temporale,�tu�ti

sei�fatto�un�baffo�della�sua

coordinazione�e�ti�sei�dato

alla�danza�sinuosa.�Se�non�ci

fosse�la�pallina�che�arriva�in

quel�modo,�tu�non

compiresti�nulla�del�genere,

non�ne�saresti�capace.�Ma�la

pallina�c’è,�e�sta�giungendo,

è�l’esito�di�un�mio�rovescio,�è

dunque�una�pallina-rovescio,

è�il�mio�rovescio�che�ti�sta

arrivando.�Diciamo�il�retaggio

del�mio�rovescio,�che�lo

serba�tutto�contratto�e

sintetizzato�in�sé.

Di�certo,�non�è�solo�una

pallina�quella�che�ti�si�sta

avvicinando.�E’�un�rovescio

lungolinea,�è�il�gesto�di�un

braccio�che�si�blocca�sul�lato

sinistro�per�non�permettere

all’impatto�con�la�pallina�di

fiondarla�in�direzione

incrociata,�ossia�in�direzione

eguale�ma�di�verso�opposto

rispetto�a�quella�in�cui�m’era

giunta.

Ricordo�che�il�rovescio�fu

l’ultimo�colpo�che�aggiunsi�al

mio�repertorio,�nell’unico

senso�per�cui�una�frase�di

questo�tipo�possa�avere�un

senso:�fu�il�passaggio�dalle

due�mani�con�cui�lo�eseguivo

inizialmente�all’unica�con�cui

lo�fissai�poi�per�sempre,�a

costituire�l’ultima�aggiunta�al

mio�bagaglio�tecnico.�Un

fondamentale�che�arrivò

dopo�non�solo�tutti�gli�altri

fondamentali,�ma�addirittura

in�seguito�all’arrivo�di�colpi

assolutamente�accessori

quali�il�recupero�di

pallonetto�sotto�le�gambe,�la

veronica�(la�quale�fu

aggiunta�più�per�la�dolcezza

del�nome�che�non�per�reale

utilità,�anzi,�specifichiamo,�la

quale�era�già�presente�da

sempre�come�unica�e

spontanea�via�di�fuga�da

situazioni�volatilmente

scomode�Ma�che�poi�,�in

seguito�alla�scoperta�del

nome�con�il�quale�si

designava�un�gesto�uguale

ma�non�Imparato�come�tale,

fu�re-imparata,�identica,�ma

veronica,�dunque

diversissima)�),�la�smorzata

con�taglio�all’indietro,�la

battuta�da�sotto

(ancestralmente�presente

nelle�corde�emotive�e

tennistiche�di�ognuno,�essa

riceve�il�suo�reale�battesimo

solo�quando�utilizzata�dopo

aver�imparato�il�canonico

servizio�dall’alto,�utilizzata

perché�scelta�e�non�perché

Unica�possibilità�,dunque�).

Imparai�il�rovescio�ad�una

mano�per�il�semplice�fatto

che�mi�dava�l’idea�di�essere

un�gesto�tecnico

esteticamente�più

gradevole-�al�tempo�non

sapevo�che�l’eleganza�del

gesto�dipende�dall’eleganza

del�gesto,�e�che�il�gesto�è

sempre�unico�ed

irriproducibile,�slegato�dalle

basi�con�le�quali�lo�si

sostanzia,�tutt’al�più

agevolato�da�certe

componenti�più

“aerodinamiche”�e�“leggere”,

forse�più�disponibili

all’evento�creativo,

all’inserimento�di�quel�quid

in�più,�totalmente�personale,

con�cui�renderlo

effettivamente�Pregiato.

Avevo�investito�sudore�e

nervi�su�quel�rovescio,

sull’alleggerimento�di�quel

rovescio.�Avevo�lavorato

assiduamente�per

concedermi�la�possibilità

futura�di�essere�elegante�con

più�semplicità,�d’ottenere

con�pochi�sforzi�la�bellezza

che�con�tanti�sforzi�a�monte

m’ero�lasciato�in�eredità.

Alla�fine�le�mie�faticheavevano�ottenuto�i�lorobuoni�risultati,�a�fronte�di

tanti�insuccessi�sul�campoderivanti�da�un�colpodecisamente�poco

Maquellasfera

laggiùchevedi

volteggiarein

aria,tucredisia

unapallinaoun

Rovescio?

byRiccardoZuliani

Rispetto�a�quel�dritto�che

stai�eseguendo�laggiù�in

fondo�dall’altra�parte�del

campo,�ho�da�dirti�molto.

In�primis,�è�bellissimo.�E’

bellissimo�il�gesto�che�il�tuo

corpo�sta�mettendo�in�scena,

l’orchestrata�strutturazione

di�una�figura�omogenea�ed

armoniosa�composta�da

miriadi�di�segmenti,�fasci�e

“pezzi”,�la�collimazione�di

propulsioni�normalmente

indipendenti�e�ora,�per

l’occasione,�riunitesi�per�fare

fronte�comune�ad�una

Grande�richiesta�di

Uniformità.�Eterogeneità�che

s’irradia�in�tutte�le�sue

sfaccettature�grazie�ad

un’implosione�dei�fini,

Specificità�che�si�colgono

tutte�con�una�sola�occhiata.

E’�uno�sguardo�d’insieme.Ma�come�fai?�Ti�ho�lanciato(non�ho�altri�verbi�perdenotare�la�lampantecarenza�artistica�della�miaesecuzione)�la�pallina�con

una�tal�violenza�e�precisione

che�il�tempo�perché

compiessi�un�gesto�anche

semplicemente�coordinato

era�pressochè�nullo.

Proprio�in�virtù�di�questa

mancanza�temporale,�tu�ti

sei�fatto�un�baffo�della�sua

coordinazione�e�ti�sei�dato

alla�danza�sinuosa.�Se�non�ci

fosse�la�pallina�che�arriva�in

quel�modo,�tu�non

compiresti�nulla�del�genere,

non�ne�saresti�capace.�Ma�la

pallina�c’è,�e�sta�giungendo,

è�l’esito�di�un�mio�rovescio,�è

dunque�una�pallina-rovescio,

è�il�mio�rovescio�che�ti�sta

arrivando.�Diciamo�il�retaggio

del�mio�rovescio,�che�lo

serba�tutto�contratto�e

sintetizzato�in�sé.

Di�certo,�non�è�solo�una

pallina�quella�che�ti�si�sta

avvicinando.�E’�un�rovescio

lungolinea,�è�il�gesto�di�un

braccio�che�si�blocca�sul�lato

sinistro�per�non�permettere

all’impatto�con�la�pallina�di

fiondarla�in�direzione

incrociata,�ossia�in�direzione

eguale�ma�di�verso�opposto

rispetto�a�quella�in�cui�m’era

giunta.

Ricordo�che�il�rovescio�fu

l’ultimo�colpo�che�aggiunsi�al

mio�repertorio,�nell’unico

senso�per�cui�una�frase�di

questo�tipo�possa�avere�un

senso:�fu�il�passaggio�dalle

due�mani�con�cui�lo�eseguivo

inizialmente�all’unica�con�cui

lo�fissai�poi�per�sempre,�a

costituire�l’ultima�aggiunta�al

mio�bagaglio�tecnico.�Un

fondamentale�che�arrivò

dopo�non�solo�tutti�gli�altri

fondamentali,�ma�addirittura

in�seguito�all’arrivo�di�colpi

assolutamente�accessori

quali�il�recupero�di

pallonetto�sotto�le�gambe,�la

veronica�(la�quale�fu

aggiunta�più�per�la�dolcezza

del�nome�che�non�per�reale

utilità,�anzi,�specifichiamo,�la

quale�era�già�presente�da

sempre�come�unica�e

spontanea�via�di�fuga�da

situazioni�volatilmente

scomode�Ma�che�poi�,�in

seguito�alla�scoperta�del

nome�con�il�quale�si

designava�un�gesto�uguale

ma�non�Imparato�come�tale,

fu�re-imparata,�identica,�ma

veronica,�dunque

diversissima)�),�la�smorzata

con�taglio�all’indietro,�la

battuta�da�sotto

(ancestralmente�presente

nelle�corde�emotive�e

tennistiche�di�ognuno,�essa

riceve�il�suo�reale�battesimo

solo�quando�utilizzata�dopo

aver�imparato�il�canonico

servizio�dall’alto,�utilizzata

perché�scelta�e�non�perché

Unica�possibilità�,dunque�).

Imparai�il�rovescio�ad�una

mano�per�il�semplice�fatto

che�mi�dava�l’idea�di�essere

un�gesto�tecnico

esteticamente�più

gradevole-�al�tempo�non

sapevo�che�l’eleganza�del

gesto�dipende�dall’eleganza

del�gesto,�e�che�il�gesto�è

sempre�unico�ed

irriproducibile,�slegato�dalle

basi�con�le�quali�lo�si

sostanzia,�tutt’al�più

agevolato�da�certe

componenti�più

“aerodinamiche”�e�“leggere”,

forse�più�disponibili

all’evento�creativo,

all’inserimento�di�quel�quid

in�più,�totalmente�personale,

con�cui�renderlo

effettivamente�Pregiato.

Avevo�investito�sudore�e

nervi�su�quel�rovescio,

sull’alleggerimento�di�quel

rovescio.�Avevo�lavorato

assiduamente�per

concedermi�la�possibilità

futura�di�essere�elegante�con

più�semplicità,�d’ottenere

con�pochi�sforzi�la�bellezza

che�con�tanti�sforzi�a�monte

m’ero�lasciato�in�eredità.

Alla�fine�le�mie�faticheavevano�ottenuto�i�lorobuoni�risultati,�a�fronte�di

tanti�insuccessi�sul�campoderivanti�da�un�colpodecisamente�poco

funzionale.�Una�volta

stabilizzato�il�suo�assetto,

tornarono�anche�i�risultati,�e

anzi�tornarono�con�molta�più

frequenza�e�qualità�di

quanto�non�accadesse�ai

tempi�in�cui�le�due�mani�mi

davano�tanta�stabilità�e

praticità,�ma�poca�facilità

estetica.�E�questo�cammino

di�funzionalità�e�bellezza�che

a�braccetto�si�spartivano�i

bottini�mi�ha�condotto�sino�a

qui,�a�questo�torneo,�a

questa�finale.

E’�decisamente�il

palcoscenico�più�importante

cui�i�miei�movimenti�del

braccio�destro�(ok,�quello

sinistro�qualcosa�fa,�ma�nulla

di�attinente�alla�simbiosi

braccio-racchetta-colpo�checaratterizza�l’altro)�mi�hannocondotto.�Il�mio�rovescio,

soprattutto,�mi�ha�portatoqui.

La�mia�storia,�condensata

tutta�in�questo�colpo�che

non�è�uno�ma�la�possibilità

d’esistere�di�centinaia�di

colpi,�mi�ha�tenuto�la�mano

nel�tragitto�che�arriva�ad

oggi,�ad�ora.�Nell’ultima�mia

esecuzione,�nell’ultimo�mio

rovescio,�si�nascondono�tutti

i�rovesci�ad�una�mano�che

l’hanno�preceduto�e,�con

cambio�di�paradigma,�tutti�i

rovesci�a�due�mani�che

hanno�preceduto�quelli�ad

una.�Dietro�a�quest’ultimo

colpo,�ci�sono�tutti�i�miei

colpi,�tutte�le�mie�partite,

ogni�mia�emozione�provata

in�campo�ed�incisa�sul�mio

gesto�motorio�Interiore,�quel

colpo�archetipico�che�non�è

un�dritto,�non�è�un�rovescio

ma�precede�e�accompagna

ogni�dritto�e�ogni�rovescio

che�io�esegua,�dall’inizio

della�mia�carriera�sino�ad�ora.

Quel�moto�silente�e

compatto�che�agisce�nei

recessi�più�nascosti�del�mio

animo�e�che�permette�al�mio

corpo�di�tentarne�una

riproduzione,�sempre

comunque�imperfetta,

sempre�differente.

La�racchetta�che�sta�dentro,

ben�più�pervicace�e�duratura

di�ogni�Wilson�abbia�mai

tenuto�in�mano.

Tu,�dall’altra�parte�del

campo,�stai�per�venire

investito�da�una�storia

lunghissima,�un�racconto�che

solo�considerando�la�mia

biografia�si�estende�per�rade

e�pianure�tra�le�più�estese�ci

sia�dato�modo�di�osservare

in�questo�mondo,�ma�che�se

aprisse�squarci�su�tutte�le

vicende�di�sua�competenza

non�basterebbe�una�storia

della�letteratura�per

riprodurne�un’eco.

Perché�quello�che�ti�sta

arrivando,�caro�avversario,�è

l’ultimo�e�più�recente�esito

della�Grande�storia�cui

stiamo�partecipando.�Una

storia�che�coinvolge�tanto�i

piani�alti�quanto�quelli�più

bassi,�Una�manifestazione

Spirituale�che�ha�a�che�fare

solo�di�sfuggita�con�l’evento

mediatico�e�puramente

umano�che�ne�tenta�la

diffusione�e�congelazione,

una�striatura�che�ad�ognuno

non�è�lecito�ma�naturale

compiere,�ogni�qual�volta

aderendo�alla�trama�che�lo

sovrasta�ne�smuove�i�fili,�ne

allunga�il�tessuto,

compromette�il�senso�stesso

della�sua�adesione.�Ti�sta

arrivando,�in�altri�termini,�la

tua�stessa�storia,�il�motivo

per�cui�ti�trovi�di�là�a�colpire.

Non�ti�scuote�un�poco�il

fatto�che�ciò�che�stai�per

andare�ad�impattare�con�la

tua�racchetta,�la�tua�violenza,

la�tua�fantasia,�sia�la�ragione

stessa�per�cui�ti�trovi�su

questo�campo?�Sei�di�là�per

colpire,�per�far�collidere�la

tua�protesi�sportiva�con�il

gioco�che�stai�giocando,�tutti

quello�che�lo�hanno�giocato

e�lo�stanno�giocando,�me�fra

tutti,�anni�ed�anni�di�tornei,

classifiche,�trionfi,�gioie,

lacrime,�lustri�fatti�tanto�di

circoli�provinciali�quanto�di

eventi�dalla�risonanza

mediatica�mondiale,�Grandi

campioni�e�piccoli�amatori,

stecche�e�vincenti.

Stai�per�far�vibrare�la

giustificazione�per�cui�ti�trovi

qui,�e�questa�scossa

cambierà�le�sorti�della

partita,�della�tua�carriera,

della�Storia.�Sei�sul�punto�di

compiere�un�gesto�che

segnerà�per�sempre�coloro

che�vorranno�praticare

questa�disciplina�e�il�modo

che�avranno�per�farlo,�sei�lì�lì

per�decidere�del�tuo�futuro�e

di�quello�altrui,�e,�non�posso

tacerlo,�la�tua�posizione

d’attesa�è�tra�le�più�belle�che

mi�sia�mai�stato�dato�di

ammirare.

Sei�semplicemente�perfetto

nel�tuo�movimento�di

recupero�storico,

nell’avvicinamento�che�la�tua

persona�sta�compiendo�per

inserirsi�all’interno�di�un

processo�che�in�ogni�caso

l’attirerebbe�a�sé.�Perché,

per�quanto�tutto�quanto

evocato�sia�compresso

all’interno�della�pallina�ad

aria�compressa,�tutto�ciò

andrebbe�a�coinvolgerti�e

inglobarti�nel�suo�perimetro

anche�se�non�ti�riuscisse�diimpattare�la�piccola�sfera

pelosa.�

Forse�allora�non�sta�tanto�nel

modo�oggettivo�con�cui

pieghi�le�gambe,�abbassi�la

spalla,�allunghi�il�braccio

sinistro�come�ad�indicare�che

sì�quella�è�proprio�la�storia

che�vuoi�raccontare,�non

un’altra,�la�testa�lievemente

voltata�a�lato,�il�braccio

destro�inclinato�a�formare�un

angolo�retto�tra�omero�ed

ulna;�non�sta�tanto�in�questo

assetto�geometricamente

impeccabile�e�stilisticamente

ineccepibile�la�grandezza�del

tuo�movimento,�quanto�nel

fatto�che�tu�con�ardore,

dignità�e�rispetto�non

indietreggi,�ti�immetti�nel

corso�che�le�cose�stanno

prendendo�e�cerchi�di�farlo

in�bello�stile,�anzi,�proprio�in

virtù�del�tuo�avvicinarti�ad

un�bagaglio�di�memorie�così

fitto�non�puoi�che�farlo�in

modo�particolarmente

raffinato,�una�sorta�di

provino�inconsapevole�cui�ti

sottoponi�e�dal�quale�esci�a

pieni�voti�nel�momento

stesso�in�cui�scegli�di

abbracciare�la�storia.�Se�vuoi

farlo,�non�puoi�che�farlo

bene.�E�considerando�la

grandiosità�della�tua

movenza�attuale,�non�posso

che�prevedere�un�felicissimo

quanto�vincente�incontro

con�la�pallina.

Sei�semplicemente

strabiliante,�così�impassibile

a�svolgere�il�tuo�compito

nonostante�le�pressioni�di

così�tante�sorgenti,

imperturbabile�nel�bel�mezzo

della�tempesta�più�terribile.

Certo,�a�quel�punto�passerai

la�palla,�mi�demanderei�il

compito�di�aderire�o�meno�a

tutto�ciò�che�è�stato�ed�è,�mi

sottoporrai�allo�stesso

sovrastante�cimento,�e�io

dovrò�sapere�reagire,�ancor

meglio,�agire.�Solo�che�a�quel

punto�il�peso�della�storia

potrà�essere�così�pressante

ed�insopportabile�da

spingermi�ai�ripari,�da�farmi

desistere�dal�rimettere

ancora�una�volta�la

questione�in�gioco,�o�mi

potrà�far�credere�di�avere

possibilità�di�scelta�e�di

mutamento�del�suo�corso

mentre�in�realtà�non�farà

altro�che�blandirmi�per

fagocitarmi�all’interno�delle

sue�spire.

Tutto�sta�nel�vedere�se�io

risponderò�o�meno�alla�tua

azione.

Ma�è�così�bella,�così�giusta,

perché�non�sedermi

semplicemente�a�terra�per

contemplarla�e�farmi

sommergere�da�un’onda

oceanica�che�avrà�la

dolcezza�di�un�rivolo

montano,�la�freschezza�della

sorgente�e�la�speranza�di�un

esito�sempre�da�scoprire?

I�recenti�Internazionali�d'Italia�e�il�Roland

Garros�hanno�fornito�un�quadro�piuttosto

indicativo�della�situazione�del�tennis�italiano�di

oggi:�qualcosa�deve�cambiare.�Difficile�per�un

paese�che�per�sua�natura�nel�passato�storico�è

stato�diviso�fra�guelfi�e�ghibellini,�e�infatti�pare

che�nemmeno�oggi�questo�status�quo�possa

alterarsi�e�che�quindi�si�possa�risanare

l'Italtennis�da�spaccature�interne.�Da�una�parte

assistiamo�al�“tradimento”�della�Giorgi,

colpevole�di�aver�abbandonato�la�nave�come

Schettino,�o�ancor�peggio�di�aver�abbandonato

la�Nazione.�

Dall'altra�parte�siamo�sempre�più�consapevoli

che�è�mancato�un�ricambio�generazionale�in

questi�anni�nei�nostri�tennisti.�In�campo

femminile�dopo�il�ritiro�di�Flavia�Pennetta�non

ci�sono�più�giovani�di�prospettiva,�ci�affidiamo

alla�solita�Sarita�Errani�che�a�dire�il�vero�sembra

in�fase�calante,�alle�tenace�Karin�Knapp�fin

troppo�tormentata�dagli�infortuni,�e�a

Robertina�Vinci,�che�si�è�guadagnata�la�top�ten

quest'anno�ma�che�sappiamo�bene�che�si

ritirerà�a�fine�anno�o,�al�massimo,�lo�farà�entro

due�anni,�e�poi�più�nulla,�escludendo�Camila

Giorgi.�

Non�meglio�i�maschietti:�sembrava�ieri�quando

Andreas�Seppi�era�quel�promettente�ragazzo

che�poteva�fare�un�po'�di�più,�e�invece�ora�è�un

atleta�maturo�dalla�media�classifica�che�più�di

L'Italtennissemprepiùingiù

byGiorgioGiannaccini

così�non�potrà�fare;�Simone�Bolelli,�grande

promessa�mancata,�dopo�la�famosa�litigata�con

la�Federazione�Italiana�non�si�è�più�ripreso�da

quella�batosta�morale�e�non�ha�più�raggiunto�la

posizione�numero�36�del�ranking�Atp�che

aveva�agguantato�con�coach�Pistolesi�e�anzi

sono�ormai�diversi�anni�che�viaggia�ai�margini

della�top�100�e�difficilmente�tornerà�a�quei

livelli;�Fabio�Fognini�sembra�invece�aver�fallito

il�momento�magico�in�cui�sembrava�deciso�e

pronto�per�entrare�in�top�ten;�Paolino�Lorenzi

invece�sembra�aver�raggiunto�fin�troppo�nella

sua�carriera�da�umile�gregario,�nato�nel�circuito

Challenger,�è�poi�riuscito�ha�conquistare

addirittura�la�top�50;�infine�ci�sono�i�giovani

Thomas�Fabbiano�e�Marco�Cecchinato,

entrambi�hanno�assaggiato�la�top�100�ma

ancora�non�sappiamo�la�loro�vera�cilindrata

tennistica.

Tornando�piuttosto�agli�Internazionali�d'Italia�di

quest'anno�i�numeri�sono�piuttosto�crudi:�9

sono�gli�eliminati�al�primo�turno,�fra�cui�Sara

Errani�e�Fabio�Fognini.�Opera�di�eliminazione

che�però�è�stata�completata�al�secondo�turno:

infatti�il�sopravvissuto�in�campo�maschile,

Andreas�Seppi,�ha�pagato�dazio�della

condizione�fisica�non�ottimale,�e�se�già�è�stato

un�miracolo�superare�al�primo�turno�un

mediocre�Vasek�Pospisil�solo�con�la�forza�di

volontà�con�un�tiratissimo�7-6�7-6,�contro

Gasquet�si�è�infranta�per�6-3�6-4�l'ultima

speranza�azzurra,�mentre�tra�le�donne

Robertina�Vinci,�che�aveva�usufruito�di�un�bye

al�primo�turno,�si�è�poi�lasciata�sconfiggere,

praticamente�all'esordio,�dalla�giovane

speranza�britannica�Johanna�Konta�con�un

nettissimo�e�schiacciante�6-0�6-4.�

Insomma,�difficile�fare�peggio�di�così.�Il�Roland

Garros�non�va�poi�così�tanto�meglio�del�torneo

di�Roma:�i�maschietti�vengono�tutti�eliminati�al

primo�turno,�resistono�piuttosto�le�donne,

ovvero�la�“traditrice”�Camila�Giorgi�e�la

combattiva�Karin�Knapp,�che�battono

rispettivamente�la�francese�Alize�Lim,�numero

156�Wta,�con�il�punteggio�di�6-3�6-2�e�la

bielorussa�Victoria�Azarenka,�per�ritiro,�quando

il�punteggio�era�di�6-3�6-7�4-0�a�favore

dell'azzurra.�Il�secondo�turno,�ormai�tutto�rosa,

è�agrodolce:�una�Camila�Giorgi�che�appare

fisicamente�sempre�più�esile�si�arrende

piuttosto�nettamente�all'olandese�Kiki�Bertens

per�6-4�6-1,�Karin�Knapp�invece,�forte�della�sua

tempra�combattiva,�batte�la�lettone�Anastasia

Sevastova�per�6-3�6-4.�Ma�al�terzo�turno�la

favola�italiana�si�spegne:�l'unica�italiana�rimasta

in�gioco�cede�di�schianto�alla�kazaka�Yulia

Putinseva�in�un'ora�e�14�minuti�con�un�misero

6-1�6-1,�e�con�lei�la�stagione�dei�tornei�su�terra

battuta�europea�certifica�di�essere�stata�un

incubo�vero�per�gli�italiani.��

A�questo�dobbiamo�anche�aggiungere�che�i

tennisti�italiani,�sia�in�questi�anni�sia�in�tutte�le

epoche�passate,�hanno�sempre�raggiunto�i

maggiori�risultati�tra�tutte�le�superfici�nella

terra�battuta,�e�un�risultato�del�genere�è

doppiamente�preoccupante.�

Si�può�ancora�dire�che�va�tutto�bene?�Non

sarebbe�forse�l'ora�di�fare�mea�culpa�e

cambiare�qualcosa�all'interno�della�Fit?�L'Italia

se�non�cambierà�all'interno�difficilmente�potrà

fare�meglio,�e�Binaghi�potrà�ancora�negare�la

realtà�dei�fatti?�Staremo�a�vedere.

Lafasciteplantare:undisturbocomune

traitennisti

byRodolfoLisi

All'interno�del�mio�sesto�libro�sul�tennis,�dal

titolo�"Patologie�degli�arti�inferiori�nel�tennista"

(Aracne�Edizioni,�www.aracneeditrice.it,�euro

10),�ho�affrontato�le�più�comuni�patologie�degli

arti�inferiori�del�giocatore�di�tennis�(Figura

copertina)

Tra�queste,�la�fascite�plantare.�La�fascite

plantare�(o�entesite�plantare�o�talalgia

posteriore),�spesso�accompagnata�da�una

calcificazione�(sperone�calcaneare)�a�livello

della�apofisi�mediale�della�tuberosità

calcaneare�(in�sede�di�inserzione�della�fascia),�è

una�comune�patologia�del�piede�e

frequentemente�secondaria�a�sovraccarichi

meccanici�diretti�od�indiretti.

condizioni�dinamiche�(sovraccarico�funzionale

da�iperattività,�acuto�o�cronico;�errate

modalità�di�training�nello�sportivo;�discinesia

del�passo�da�cause�disfunzionali�e

neurologiche)�o�anatomiche�associate�(obesità

o�anche�semplice�sovrappeso;�deformità

congenite�o�secondarie�a�traumatismi�come

negli�esiti�di�frattura).

Il�paziente�presenta�dolore�nella�regione

mediale�del�calcagno�soprattutto�al�mattino�e

all'inizio�della�deambulazione�dopo�riposo.

Con�il�movimento,�il�dolore�può�sparire�ma

L’eccessiva�tensione�della�fascia�sulla�sua

inserzione�calcaneare�—�in�stazione�eretta�o�in

deambulazione�—�determina�reazione

infiammatoria�e�dolore,�dapprima�elettivamente

prossimale�e�puntiforme�e�successivamente

esteso�distalmente�sino�alla�porzione�predigitale

della�struttura.�E�ciò,�a�maggior�ragione,�se�si

configurano�condizioni�statiche�(piede�cavo,

piede�piatto,�piede�lasso,�brevità�dell’achilleo),

minore�mobilità�della�sottoastragalica�e

ripresentarsi�in�stazione�eretta�o

successivamente�a�deambulazione�prolungata.

In�una�seconda�fase,�il�dolore�è�costante�sotto

carico�e�può�essere�di�grado�elevato.�È

opportuno�considerare�—�oltre�alla�storia

clinica�del�paziente�che�indaga�pregresse

patologie�che�possono�aver�influito

distrettualmente�sui�sintomi�—�il�sovrappeso,

l’appoggio�e�la�deambulazione,�che�andranno

opportunamente�corretti�per�ottenere�una

risoluzione�duratura�dei�sintomi.�L’esame

obiettivo�identifica�il�punto�del�dolore:�la

palpazione�e�la�digitopressione�aggravano�i

sintomi.�Non�vi�è�solitamente�edema�degno�di

nota;�se�presente,�la�tumefazione�è�localizzata

alla�parte�posteriore�del�piede�e�piuttosto

circoscritta.�È�necessario�—�in�caso�di�fascite

plantare�—�eseguire�esame�radiologico�del

piede�destro�e�sinistro�sotto�carico�nelle�due

proiezioni�standard,�associando�anche�la

valutazione�assiale�del�calcagno.�Qualora�si

sospetti�un�disallineamento�che�coinvolga

strutture�sovrastanti�e�si�ripercuota

distalmente,�bisogna�coinvolgere�anche�bacino,

anca�e

ginocchio�nello�screening�radiografico.

L’ecografia�è�di�grande�ausilio�nella�valutazione

di�calcificazioni�associate,�dell’integrità�e�delle

caratteristiche�strutturali�della�fascia,�della

presenza�di�nodularità�o�tumefazioni.�L'esame

è�indolore,�ripetibile�e�privo�di�effetti

collaterali,�per�cui�si�delinea�come�test

strumentale�di�prima�scelta�nella�diagnostica.

TAC�e�RMN�verranno�eseguiti�solo�su�dubbi

particolari�(rispettivamente�per�una�migliore

valutazione�strutturale�ossea�e�per�una

visualizzazione�accurata�dei�tessuti�molli;�in

alcuni�casi�è�indicato�anche�l’utilizzo�di�mezzo

di�contrasto)�così�come�esame�scintigrafifio

(patologie�intrinseche�all’osso,�talvoltapluridistrettuali).

La�terapia�infiltrativa�a�base�di�cortisonici�è�da

ritenersi�applicabile�solo�se�limitata�a�brevi

periodi�di�tempo�(somministrazione�una

tantum).�Diversamente,�il�rischio�di�rottura

della�fascia�è�elevato:�il�cortisone�“richiama”

l’acqua,�provocando�imbibizione�del�tessuto

fifiroso,�i�legami�idrogeno�del�collagene�si

allentano�e�l’aponeurosi�plantare,�pertanto,

diventa�relativamente�più�cedevole.�I�farmaci

possono�essere�utilmente�applicati�per�via

mesoterapica,�associando�antinfiammatori�o

semplice�soluzione�fisiologica,�dato�che�uno�dei

principali�effettidi�quest’ultima�metodica

presenta�meccanismi�d’azione�reflessogeni,

stimolati�dalla�pressione�del�farmaco�sulle

strutture�dell’ectoderma.�Ovviamente,�le

terapie�strumentali�sono�impiegabili�contro�il

dolore.�Le�onde�d’urto�—�da�più�parti

considerate�il�trattamento�d’elezione�—

esercitano�azione�antinfiammatoria,�antalgica�e

di�rivascolarizzazione.�Il�ricostituirsi�strutturale

e�metabolico�del�tessuto�connettivo�si�avvale

di�una�dieta�ricca�in�vitamine�e�sali�minerali,

ridimensionando�al�contempo�l’assunzione�di

alimenti�di�origine�animale�(la�diminuzione

delle�protei-ne�animali�riduce�l’acidità�del

sangue�e�la�produzione�di�radicali�liberi

promuovendo,�appunto,�il�fisiologico�turn­over

rigenerativo).

�sempre�imperativo�valutare�l'appoggio�statico�e

dinamico�del�piede�tramite�podogramma�che,

unitamente�ai�dati�rilevabili�alla�semplice�radiografia,

può�orientare�verso�l’utilizzo�contestuale�di�ortesi

plantari�a�correzione�e�sostegno�di�appoggi�errati.

Trattandosi�molto�spesso�di�una�disfunzione�del

sistema�achilleo­plantare,�abnormemente�in

tensione�di�frequente�nei�piedi�cavi,�il�ricorso�ad

esercizi�di�allungamento�del�complesso�mio­

tendino­fasciale�è�vivamente�caldeggiato.�Ad

esempio,�il�soggetto�—�in�ortostatismo�—è�invitato�a

comprimere�una�pallina�da�tennis�sotto�la�pianta�del

piede�fino�alla�sensazione�di�leggera�dolenzia

(Figura�2)�così�da�“desensibilizzare”�le�fibre�fasciali

in�base�al�principio�secondo�cui�la�stimolazione

ripetuta�possa�ridurre�il�pool�di�mediatori�algogeni

locali�e/o�la�soglia�di�eccitabilità�neuronale�centrale

e�periferica.��

�ragionevole,�poi,�proporre�alcuni�esercizi�di

rinforzo,�riferiti�a�distretti�quali�l’arto�inferiore,�il

cingolo�pelvico�e�la�stessa�colonna�vertebrale,

affinché�il�movimento�del�piede�avvenga�con�le

dovute�sinergie�e�sincronie�in�accordo�ad�un�ormai

imperante,�e�del�tutto�condivisibile,�approccio

globale�verso�l’intera�catena�cinetica.

Leadership

byNickBollettieri

In�tutta�la�mia�vita,�sono�statomolto�fortunato�ed�ho�potutofare�tantissime�cose,�tra�cui

anche�paracadutismo�a�WestPoint�,�per�il�mio�80�°compleanno.�Un�viaggio�in�Iraqe�in�Afghanistan�per�parlare�allenostre�truppe,�volare�con�ifamosi�Blue�Angels�in�un

sofisticato�F-18.�Il�mio�pilota�era�Scott�Beare,siamo�diventato�molto�amici�ed

abbiamo�condiviso�pensieri�eopinioni�sulla�leadership�.�

Parliamo�un�po�‘�del�ruolo�di�unleader�iniziando�con�alcuni

paragrafi�del�libro�del�tenenteScott�Beare�e�di�MichaelMcMillan�"The�Power�of

Teamwork:,�Ispirato�dagli�AngeliBlu".�

Il�ruolo�di�un�leader�comporta

grande�onore�e�responsabilità.�

�Ora�concentriamoci�su�quelli�chenon�possono�essere�un�leader:

1)�un�leader�che�che�cercasempre�scuse2)�Rimane�in�secondo�piano�e�sinasconde�dietro�una�scrivania�Sia�Kenneth�Blanchard�eSpencer�Johnson�M.D.�Ph.D.

pensano�che�una�leadershipefficace�inizia�dal�cuore:�"Il�tuocuore�controlla�la�tua

motivazione,�i�tuoi�intenti�e�iltuo�carattere�di�leader"�.�Hanno

spiegato�che�"I�managerpotrebbero�porre�obiettivi�e

poi�sparire,�fino�al�fallimento.Oppure�intervenire,fareconfusione�e�poi�sparireancora,�pensando�di�esseregrandi�leader”.

�Ho�aperto�l'Accademia�nel1976�con�6�a�8�allenatori,insieme�al�mio�amico�MikeDepalmer.�

Credetemi,�non�sapevo�moltodi�come�si�conduce�unaAcademy�ma�c'erano�alcunesemplici�regole�che�avevo

imparato,�rapidamente,quando�ero�un�paracadutista.

1)�Abbiamo�sempre�seguito�la

procedura�che�un�ufficiale�o�un

sergente�devono�condurre�il

lancio�ed�essere�gli�ultimi�a

saltare.�Ero�un�ufficiale�e�capii

perché�di�questa�regola.�Mi

permetto�di�condividere�una

storia�con�te:�Una�volta,

durante�una�esercitazione

particolare,�ero�il�primo.

Durante�il�sorvolo�di�zona�di

lancio,�,�un�giovane�non

ufficiale�era�seduto�accanto�a

me�e�mi�chiese�se�stavo�per

saltare.

Con�calma�ho�risposto�“Sì”,

anche�se�ero�spaventato�a

morte,�ma�sapendo�il�mio�ruolo

di�leader,�sapevo�che�dovevo

dare�fiducia.�Lui�rispose:�"Setu�salti,�io�salto.”�

2)�Quando�la�nostraAccademia�ha�cominciato�adespandersi,�mi�sono�reso

conto�di�quanto�fosseimportante�che�ognunoriceva�il�credito�per�il�lavoro

fatto,�lavorando�come�unteam.�

Non�importa�quello�chealcuni�pensano,�la�miaesperienza�mi�ha�insegnatoche�i�leader�di�successo

conoscono�il�potere�dellavoro�di�squadra,�attingendoforza�da�ognuno�del�team.�

Un�mio�caro�amico�,�Marilyn

Nelson�,�ed�ex

amministratore�delegato

della�Società�Carlson�mi�ha

spiegato�che�nella�loro

società�tutti�sono�importanti,

non�importa�quale�sia�il�loro�ruolo.�In�chiusura�,�un�leader�deve�essere�quello�che�accetta�il�successo

o�il�fallimento�e�non�cambia�il�ruolo�di�leader.�

PS�.�Non�c'è�dono�più�grande�per�i�dipendenti�di�una�semplice

pacca�sulla�spalla�.

LavoraDuro,

lavorainmodo

Intelligente

byFedericoCoppini

Chiunque�legga

regolarmente�i�miei�post,

saprà�quanto�mi

appassionano�tre�cose:�il

tennis,�lo�UFC�e�la�musica.�In

particolare,�quella�di�Noel

Gallagher.�Sapete�anche�che

sono�fermamente�convinto

del�fatto�che�nello�sport�si

ottiene�in�base�a�ciò�che�si

dà,�e�lo�stesso�nella�vita.�Non

esistono�al�mondo�due�atleti

che�dimostrino�ciò�che

penso,�più�di�Conor

McGregor�e�Ronda�Rousey,

le�due�star�più�grandi�dello

UFC�in�questo�momento.

Ronda�Rousey�ha�difeso�il

suo�titolo�UFC�in�appena�34

secondi�nella�sua�ultima

lotta,�a�seguito�dei

precedenti�tre�incontri�durati

14�secondi,�16�secondi�e�1

minuto�e�6�secondi.�Si

trattava�di�incontri�per�il

titolo�mondiale�contro�i

migliori�del�mondo�e�ciò

dimostra�perché�Sports

Illustrated�ha�votato�lei�come

atleta�più�dominante�al

mondo.

Conor�McGregor�è�esploso

sulla�scena�dello�UFC�due

anni�fa�e�ha�infranto�ogni

record�dello�sport�lungo�il

suo�percorso�verso�l’Interim

Featherweight

Championship�mondiale�del

mese�scorso.

�Molti�direbbero�che�questi

due�atleti�sono�nati�così,�ma

ciò�di�cui�questa�gente�non

si�rende�conto�è�che

probabilmente�non�esiste�un

atleta�sul�pianeta�che�lavori

più�duramente�di�Rousey�e

McGregor.��vero�che�ogni

atleta�nello�UFC�ha

impiegato�migliaia�di�ore�di

lavoro�estenuante�per

arrivare�all’organizzazione

mondiale�delle�arti�marziali

miste�(MMA).�Per�diventarne

uno�dei�principali�atleti,

bisogna�essere�eccellenti�in

ogni�sport�di�combattimento.

Pugilato,�wrestling,�jiu�jitsu,

muay�thai,�per�nominarne

solo�alcuni.�E�come�i�loro

livelli�di�abilità�sono�fuori

dalla�media,�lo�stesso�di�può

dire�della�loro�forma�fisica.

Ciò�che�divide�Rousey�e

McGregor�dagli�altri�è�la�loro

ossessione�per�le�MMA.�Si

tratta�di�qualcosa�che�non

possono�mettere�a�tacere.

Ronda�è�famosa�per�il�valore

incredibile�del�suo�lavoro�a

partire�dai�tempi�in�cui�è

diventata�la�prima�donna

statunitense�a�vincere�una

medaglia�Olimpica�nel�judo.

Ha�trasferito�quell’etica�di

lavoro�per�diventare�la

miglior�donna�al�mondo�nelle

arti�marziali�miste,�con�molti

esperti�che�la�reputavano

vent’anni�avanti�rispetto�ai

suoi�rivali.

Dice�“Sono�pessima�in

quanto�a�riposo.�Ho�un

problema,�un�giorno�difendo

la�mia�cintura�e�due�giorni

dopo�sono�già�in�palestra.

Non�so�cosa�farci.”�In�merito

alla�sua�ultima�avversaria

Bethe�Correia,�ha�detto�“ho

fatto�migliaia�di�esperienze

che�questa�ragazza�non�può

aver�minimamente�fatto�da

quando�ha�deciso�che�le

MMA�erano�una�forza�ad

adesso.�Non�mi�raggiungerà

mai.”

Conor�ha�affermato�in

diverse�interviste�“la�mia

ossessione�è�il�movimento”�e

anche�di�essere

“ossessionato�dal�gioco”�ed�è

conosciuto�come�uno�che

passa�ore�a�studiare�i

movimenti�sia�degli�umani

sia�degli�animali�nel�loro

habitat�naturale.

Come�Rousey,�McGregor�non

è�molto�bravo�a�riposare.�“È

tutto�ciò�a�cui�penso.�24�ore

su�24,�7�giorni�su�7.�Mi�alleno

tutto�il�giorno�qui�e�mi

sposto�in�diverse�palestre�e

quando�la�sera�tardi�arrivo�a

casa�la�mia�adrenalina�è

ancora�a�mille�per�cui�spesso

mi�alleno�con�la�mia�ombra

in�camera�mia.�Per�arrivare

ad�un�livello�alto,�credo�serva

questa�ossessione.”

La�sua�ragazza�da�otto�anni,

Dee�Devlin,�ribadisce�il�punto

dicendo�“lui�non�ha�hobby,

non�gioca�a�golf.�Tutto�quello

che�fa�fuori�dall’allenamento

è�correlato�all’allenamento,

come�correre.�Per�lui�è

difficile�anche�guardare�un

film.�Concentrarsi�su

qualcosa�[che�non�sia

relativo�alla�lotta�o�al

movimento]�per�due�ore�è

una�cosa�difficile�per�Conor.”�

Tom�Egan,�amico�e

compagno�d’allenamenti�di

McGregor�commenta�“questa

è�la�sua�vita.�È�tutto�ciò�che

ama�fare.�Dopo�aver�battuto

Dennis�Siver,

fondamentalmente�ci�siamo

procurati�un�po’�di�cibo�e

siamo�andati�in�palestra.��il

nostro�hobby.”

L’altra�cosa�che�mi

impressiona�di�questi�due

lottatori�è�la�loro�incrollabile

sicurezza�e�fiducia�in�sé.

Sebbene�tutti�i�lottatori�in

qualunque�sport�di

combattimento�abbiano

bisogno�di�sentirsi

incredibilmente�fiduciosi�in

un�ambiente�in�cui�c’è�un

serio�rischio�di�infortunio,

Rousey�e�McGregor�hanno

una�fiducia�in�loro�stessi�che

non�ho�mai�visto�prima,�su

un�altro�livello�rispetto�al

99%�degli�altri�atleti�e�che

trovo�veramente�di�grande

ispirazione.

Da�dove�arriva�questa

sicurezza?�Semplice.�Dalla

preparazione,�ore�ed�ore

dedicate�a�migliorare�la�loro

arte�e�a�sviluppare�le�abilità,

la�mentalità,�il�movimento,�la

tecnica,�ecc....�Quando�ogni

momento�è�dedicato�a

diventare�il�migliore,

lavorando�ore,�vivendo�e

respirando�il�gioco,

togliendosi�ogni�giorno�dalla

propria�comfort�zone,�non

LavoraDuro,

lavorainmodo

Intelligente

byFedericoCoppini

Chiunque�legga

regolarmente�i�miei�post,

saprà�quanto�mi

appassionano�tre�cose:�il

tennis,�lo�UFC�e�la�musica.�In

particolare,�quella�di�Noel

Gallagher.�Sapete�anche�che

sono�fermamente�convinto

del�fatto�che�nello�sport�si

ottiene�in�base�a�ciò�che�si

dà,�e�lo�stesso�nella�vita.�Non

esistono�al�mondo�due�atleti

che�dimostrino�ciò�che

penso,�più�di�Conor

McGregor�e�Ronda�Rousey,

le�due�star�più�grandi�dello

UFC�in�questo�momento.

Ronda�Rousey�ha�difeso�il

suo�titolo�UFC�in�appena�34

secondi�nella�sua�ultima

lotta,�a�seguito�dei

precedenti�tre�incontri�durati

14�secondi,�16�secondi�e�1

minuto�e�6�secondi.�Si

trattava�di�incontri�per�il

titolo�mondiale�contro�i

migliori�del�mondo�e�ciò

dimostra�perché�Sports

Illustrated�ha�votato�lei�come

atleta�più�dominante�al

mondo.

Conor�McGregor�è�esploso

sulla�scena�dello�UFC�due

anni�fa�e�ha�infranto�ogni

record�dello�sport�lungo�il

suo�percorso�verso�l’Interim

Featherweight

Championship�mondiale�del

mese�scorso.

�Molti�direbbero�che�questi

due�atleti�sono�nati�così,�ma

ciò�di�cui�questa�gente�non

si�rende�conto�è�che

probabilmente�non�esiste�un

atleta�sul�pianeta�che�lavori

più�duramente�di�Rousey�e

McGregor.��vero�che�ogni

atleta�nello�UFC�ha

impiegato�migliaia�di�ore�di

lavoro�estenuante�per

arrivare�all’organizzazione

mondiale�delle�arti�marziali

miste�(MMA).�Per�diventarne

uno�dei�principali�atleti,

bisogna�essere�eccellenti�in

ogni�sport�di�combattimento.

Pugilato,�wrestling,�jiu�jitsu,

muay�thai,�per�nominarne

solo�alcuni.�E�come�i�loro

livelli�di�abilità�sono�fuori

dalla�media,�lo�stesso�di�può

dire�della�loro�forma�fisica.

Ciò�che�divide�Rousey�e

McGregor�dagli�altri�è�la�loro

ossessione�per�le�MMA.�Si

tratta�di�qualcosa�che�non

possono�mettere�a�tacere.

Ronda�è�famosa�per�il�valore

incredibile�del�suo�lavoro�a

partire�dai�tempi�in�cui�è

diventata�la�prima�donna

statunitense�a�vincere�una

medaglia�Olimpica�nel�judo.

Ha�trasferito�quell’etica�di

lavoro�per�diventare�la

miglior�donna�al�mondo�nelle

arti�marziali�miste,�con�molti

esperti�che�la�reputavano

vent’anni�avanti�rispetto�ai

suoi�rivali.

Dice�“Sono�pessima�in

quanto�a�riposo.�Ho�un

problema,�un�giorno�difendo

la�mia�cintura�e�due�giorni

dopo�sono�già�in�palestra.

Non�so�cosa�farci.”�In�merito

alla�sua�ultima�avversaria

Bethe�Correia,�ha�detto�“ho

fatto�migliaia�di�esperienze

che�questa�ragazza�non�può

aver�minimamente�fatto�da

quando�ha�deciso�che�le

MMA�erano�una�forza�ad

adesso.�Non�mi�raggiungerà

mai.”

Conor�ha�affermato�in

diverse�interviste�“la�mia

ossessione�è�il�movimento”�e

anche�di�essere

“ossessionato�dal�gioco”�ed�è

conosciuto�come�uno�che

passa�ore�a�studiare�i

movimenti�sia�degli�umani

sia�degli�animali�nel�loro

habitat�naturale.

Come�Rousey,�McGregor�non

è�molto�bravo�a�riposare.�“È

tutto�ciò�a�cui�penso.�24�ore

su�24,�7�giorni�su�7.�Mi�alleno

tutto�il�giorno�qui�e�mi

sposto�in�diverse�palestre�e

quando�la�sera�tardi�arrivo�a

casa�la�mia�adrenalina�è

ancora�a�mille�per�cui�spesso

mi�alleno�con�la�mia�ombra

in�camera�mia.�Per�arrivare

ad�un�livello�alto,�credo�serva

questa�ossessione.”

La�sua�ragazza�da�otto�anni,

Dee�Devlin,�ribadisce�il�punto

dicendo�“lui�non�ha�hobby,

non�gioca�a�golf.�Tutto�quello

che�fa�fuori�dall’allenamento

è�correlato�all’allenamento,

come�correre.�Per�lui�è

difficile�anche�guardare�un

film.�Concentrarsi�su

qualcosa�[che�non�sia

relativo�alla�lotta�o�al

movimento]�per�due�ore�è

una�cosa�difficile�per�Conor.”�

Tom�Egan,�amico�e

compagno�d’allenamenti�di

McGregor�commenta�“questa

è�la�sua�vita.�È�tutto�ciò�che

ama�fare.�Dopo�aver�battuto

Dennis�Siver,

fondamentalmente�ci�siamo

procurati�un�po’�di�cibo�e

siamo�andati�in�palestra.��il

nostro�hobby.”

L’altra�cosa�che�mi

impressiona�di�questi�due

lottatori�è�la�loro�incrollabile

sicurezza�e�fiducia�in�sé.

Sebbene�tutti�i�lottatori�in

qualunque�sport�di

combattimento�abbiano

bisogno�di�sentirsi

incredibilmente�fiduciosi�in

un�ambiente�in�cui�c’è�un

serio�rischio�di�infortunio,

Rousey�e�McGregor�hanno

una�fiducia�in�loro�stessi�che

non�ho�mai�visto�prima,�su

un�altro�livello�rispetto�al

99%�degli�altri�atleti�e�che

trovo�veramente�di�grande

ispirazione.

Da�dove�arriva�questa

sicurezza?�Semplice.�Dalla

preparazione,�ore�ed�ore

dedicate�a�migliorare�la�loro

arte�e�a�sviluppare�le�abilità,

la�mentalità,�il�movimento,�la

tecnica,�ecc....�Quando�ogni

momento�è�dedicato�a

diventare�il�migliore,

lavorando�ore,�vivendo�e

respirando�il�gioco,

togliendosi�ogni�giorno�dalla

propria�comfort�zone,�non

c’è�spazio�per�il�dubbio.

C’è�un�modo�di�dire�nel

mondo�della�lotta�‘allenati

duramente,�combatti

facilmente’�e�Muhamed�Ali

diceva�sull’allenamento�“non

mollare.�Soffri�ora�e�vivi�il

resto�della�tua�vita�da

campione.”

Nonostante�Rousey�e

McGregor�siano�molto

diversi�nel�modo�in�cui�si

incentivano�(Ronda�parla

molto�all’interno

dell’ottagono�mentre�Conor

urla�molto,�è�sfacciato�ed�è

molto�all’avanguardia�con�la

sua�sicurezza�e�la�debolezza

che�vede�negli�avversari.��il

suo�parlare�sporco�alla

Muhamed�Alì�e�il�fatto�che�è

sostenuto�da�tutto�quello

che�ha�detto�fino�ad�ora,�che

ha�giocato�una�parte�così

grossa�nel�portare�lo�UFC�ad

un�pubblico�più�mainstream

nel�Regno�Unito.),�a�mio

avviso�sono�entrambi

eccezionali�modelli�per

qualunque�aspirante�atleta

per�via�del�loro�lavoro�etico�e

la�devozione�sconcertanti.�È

questo�lavoro�etico�e�la

devozione�che�hanno

mandato�molti�uomini�e

donne�ai�vertici�del�campo

da�loro�scelto.

Troppi�da�menzionare�in

questo�articolo.�Molti,�molti

nomi�che�avete�sentito

probabilmente�spesso�e

molti�altri�che�non�avete�mai

sentito�affatto.�Per�dire

giusto�un�paio�di�atleti�che

hanno�raggiunto�l’apice�del

loro�sport:�primo,�Roger

Federer.�Federer�è

ampiamente�considerato

come�il�più�grande�tennista

di�tutti�i�tempi,�giocando�un

livello�di�tennis�consistente,

magnifico,�così�bello�che�vi

verrebbe�da�pensare�che

abbia�un�dono�divino,�che�sia

un�genio�del�tennis�per

nascita.

La�verità�è�che�Federer�ha

lavorato�duramente.�Dall’età

di�quattro�anni�ha�passato

ore�ed�ore�guardando�il

tennis�in�tv.�E�nonostante

quello�fosse�il�suo�sport

preferito,�ha�giocato�molto�a

calcio�e�squash�fino�ai�12

anni.�Questo�lo�ha�aiutato�a

diventare�l’atleta�incredibile

che�è�oggi�e�probabilmente�il

migliore�a�muoversi�che�si�sia

mai�visto�sui�campi.�Non

c’era�altro�ce�volesse

diventare�se�non�un

campione�di�tennis.

Un�altro�che�è�stato

recentemente�descritto

come�il�miglior�tiratore�di

punizioni�di�sempre�dalla

leggenda�brasiliana�Roberto

Carlos,�è�David�Beckham.

Come�Federer,�è�facile

pensare�che�sia�nato�con

quel�piede�destro�magico�ma

Beckham�ha�passato�ogni

minuto�possibile

esercitandosi�con�le

punizioni,�i�calci�d’angolo�e�i

cross�quando�era�un

ragazzino.�Si�è�allenato�per

ore�ed�ore�con�suo�padre

finché�è�diventato

professionista,�quando

invece�rimaneva�molto�dopo

che�i�suoi�compagni�del

Manchester�Utd�erano�andati

a�casa,�esercitando�i�suoi�tiri

a�palla�morta.�Sia�Federer�sia

Beckham�erano�ossessionati

dai�loro�sport�preferiti�ed

erano�ostinati�a�farcela�nel

diventare�grandi.�Questo

nonostante�lo�scetticismo

dei�loro�insegnanti�di�scuola.

Ci�inganniamo�quando�questi

maestri�della�loro�arte�fanno

sembrare�tutto�così�facile.

Quando�Federer�fa�sembrare

il�suo�diritto�così�semplice,

pensiamo�sia�dovuto�ad�un

talento�naturale.�Quando

Michael�Jordan�faceva

sembrare�tutto�così�facile,

doveva�essere�per�il�suo

talento�naturale.�In�realtà,

Federer�ha�colpito�milioni�di

dritti�e�ha�speso�centinaia�di

ore�lavorando�sul�gioco�di

piedi,�perfezionando�il

proprio�movimento.�E�nel

caso�di�Jordan,�nessuno

avrebbe�potuto�prevedere

che�grande�star�sarebbe

diventata�dopo�esser�stato

scartato�dalla�squadra�di

pallacanestro�della�scuola

quando�aveva�15�anni.�È

stato�il�lavoro�duro�e

caparbio�in�seguito

all’esclusione�che�ha�reso

Jordan�la�leggenda�che�è.

Ha�notoriamente�detto�una

volta�“Ho�sempre�creduto

che�se�si�lavora�duramente,

il�risultato�arriva.�Non�faccio

le�cose�con�incertezza.

Perché�so�che�se�lo�faccio

otterrò�risultati�incerti.”�Ed

un’altra�volta�“certa�gente

vuole�che�le�cose�accadano,

altri�desiderano�che

accadano,�altri�le�fanno

accadere.”

Attenendoci�sempre�ad

aspetti�della�vita�che�amo,�vi

farò�altri�due�esempi�dal

mondo�della�musica,�Jimi

Hendrix�e�Noel�Gallagher.

Jimi�Hendrix�è�considerato�il

più�grande�chitarrista�di

sempre�da�molti�musicisti.�Di

nuovo,�se�chiedete�all’uomo

medio,�vi�dirà�che�deve�aver

avuto�un�talento�divino.�Ma

come�Rousey,�McGregor,

Federer�e�Beckham,�Jimi

Hendrix�era�ossessionato.

Ossessionato�dalla�chitarra,

dicendo�“la�musica�è�la�mia

religione”�e�“il�mio�obiettivo

è�di�diventare�una�cosa�sola

con�la�musica.�Dedico

semplicemente�la�mia�intera

vita�a�questa�arte”.�Si�dice

che�non�abbia�mai�e�poi�mai

riposto�la�sua�chitarra�e

persino�che�se�la�portasse�in

bagno.

Noel�Gallagher,�assieme�a

John�Lennon,�Paul

McCartney�e�Pete

Townshend,�è�uno�dei�miei

cantautori�preferiti�di�tutti�i

tempi.�Proprio�il�mese

scorso,�parlando�del�suo

talento�musicale�in

un’intervista,�ha�detto�“posso

tranquillamente�dire�che�non

ho�avuto�vantaggi�nella�vita,

se�non�altro�la�fortuna�mi�è

stata�decisamente�avversa�e

se�oggi�sono�dove�sono�è

solo�grazie�alla�sola�forza�di

volontà.�Credo�che�nella�vita,

se�si�è�sufficientemente

realisti,�si�può�ottenere�ciò

che�si�vuole”�aggiungendo�“le

mie�ispirazioni�e�i�miei

obiettivi�erano�di�diventare

la�più�grande�rockstar�al

mondo�[e�ce�l’ho�fatta]

grazie�alla�semplice

determinazione”.

Ogni�esempio�di�cui�ho�fatto

menzione�supporta�il�lavoro

che�Daniel�Coyle�mostra�nel

suo�libro�“The�Talent�Code”

dove�sfata�il�mito�secondo�il

quale�il�talento�è�qualcosa

con�cui�i�nascono�i�grandi

bensì�è�qualcosa�che�i�grandi

hanno�guadagnato�attraverso

il�duro�lavoro�e�l’esercizio

profondo.�Nessuno�nasce

campione.�I�campioni�lavorano

incredibilmente�duro,

intelligentemente,

incessantemente.�McGregor

ha�detto�dopo�aver�vinto�la

cintura�Interim�Featherweight

il�mese�scorso�“Credo

onestamente�che�non�ci�sia

una�cosa�come�il�farsi�da�sé.

Credo�che�non�esista.�Nel�mio

caso�no�di�certo.”

Questi�atleti�e�musicisti

mostrano�la�tenacia,�la

persistenza�e�la�risolutezza

necessarie�per�diventare�i

migliori.�Nel�caso�di�giovani

atleti�però,�questa�risolutezza

deve�essere�nutrita.�Come�ho

detto�molte�volte�nei

precedenti�post,�è

estremamente�importante�che

i�futuri�Federer�e�Beckham

non�rimangano�legati�ad�uno

sport�e�proprio�come�Federer,

pratichino�vari�sport�fino�ai

12�anni.�Sebbene�siano

necessarie�ore�di�duro,

intelligente,�profondo

allenamento�per�arrivare�ai

vertici,�i�benefici�di�praticare

più�sport�in�giovane�età�e

l’atleticità�generale�che

questo�comporta,�sono

ugualmente�importanti.

Ciò�che�è�altrettanto

importante,�e�che�ogni�atleta

e�musicista�qui�menzionato

possiede,�è�avere�una

mentalità�in�crescita�e�la

capacità�di�non�aver�paura�di

fallire.�Tutto�il�duro�lavoro

nel�mondo�non�sarà

sufficiente�se�avete�una

mentalità�fissa�e�avete�paura

di�fallire.

Perciò�lavorate�duro,

lavorate�con�intelligenza,

mantenete�una�mentalità�in

crescita�e�NON�ABBIATE

PAURA�DI�FALLIRE.

Questa�canotta�grazie�a�un�tessuto�con

tecnologia�climachill,�simile�al�mesh�che�utilizza

puntini�in�alluminio�argentato�all’interno�del

tessuto,�allontana�il�calore�garantendo�massima

freschezza�anche�nei�match�più�lunghi.�I

pannelli�in�mesh�migliorano�la�ventilazione;�il

taglio�aderente�ed�elasticizzato�segue�i

movimenti�del�corpo.�L’intera�struttura�è

realizzata�con�poliestere�riciclato�che�ha�un

minore�impatto�sull'ambiente�e�permette�di

ridurre�le�emissioni.

Prezzo�di�listino�55.00€

Ad�accompagnare�la�canotta�abbiamo�questa

gonna�da�tennis�che�asseconda�perfettamente

i�movimenti�del�tuo�corpo�anche�negli�scambi

più�rapidi.�Creata�insieme�alla�canotta�per

alcune�fra�le�migliori�giocatrici�del�mondo�come

Garbine�Muguruza�e�Caroline�Wozniacki,

utilizza�la�tecnologia�climacool�fresca�e

ventilata�che�allontana�l'umidità�dalla�pelle

quando�le�partite�si�fanno�più�intense.�Il

girovita�elasticizzato�assicura�un'ampia�libertà

di�movimento.

Prezzo�di�listino�55.00€

ADIDASBARRICADEROLANDGARROS

2016BYSTELLAMcCARTNEY

byEdoardoDiMino

Ogni�dettaglio�come�la�texture�ultraleggera�e�il

tessuto�ultra�traspirante�di�questa�maglia

sembra�progettato�per�migliorare�le�tue

prestazioni�in�campo.�La�nuova�maglia

“Tournament�Crew�di�New�Balance”�ci

propone:�un�fitting�atletico�con�cuciture�delle

spalle�spostate�in�avanti�e�inserti�sotto�l’ascella

e�sulla�parte�superiore�della�schiena�traforati�al

laser,�materiale�100%�poliestere,�protezione

dai�raggi�nocivi�UV�e�il�tutto�tinto�utilizzando

una�speciale�tintura�anti-umidità.

Prezzo�di�listino�40.00€

La�nuova�collezione�“Tournament�Crew�di�New

Balance�per�Milos�Raonic”�include�anche�i

pantaloncini�“Tournament�Short”.�Realizzati�in

tessuto�elasticizzato�ultra�leggero,�questi

pantaloncini�presentano�un�tassello�e�carré

posteriore�in�mesh,�per�garantire�una

traspirabilità�eccellente.�Il�tessuto�increspato�a

strisce�elasticizzato�e�ultraleggero�realizzato

con�materiale�88%�nylon�e�12%�Spandex;

assicura�una�liberta�di�movimento�invidiabile.

Prezzo�di�listino�€�55.00

NEWBALANCETOURNAMENTCREW

byEdoardoDiMino

AdidaseY-3aParigiconinnovazione

byEdoardoDiMino

Anchequest’annoAdidaseY-3,datoilsuccessodelloscorsoanno,hannodecisodirinnovareinvistadelprossimoRolandGarroslalorocollaborazione.Lanuovacollezionetraeinspirazionedalcamouflagetipicodeglianni'40e'50conl’intentodifarsentireaproprioagiochiloindossaedistrarrel’avversario.Maandiamoavederleneldettaglio.

Cominciamodallalineafemminile,lacanottasfoggiaunmodernodesigndallelineepulite.Caratterizzatadaunastrutturaintessutoclimaliteantiumiditàconmotivograficoaccattivante,offreunavestibilitàottimalegrazieallefascedisupportosullaparteanterioreeposteriore.Anchelagonnarealizzatacontessutoclimaliteantiumiditàpresentaunrivestimentoinmeshperunasilhouettefemminile.SullagambasinistraèinmostraillogoRolandGarros.

Lapolodellacollezionemaschile,caratterizzatadaunaconfortevolestrutturainjerseyconzipda¼,sfoggiaunlookcasualeunaccattivantedesigngraficoconpannelliintintaunita.Ipantaloncinidotatiditecnologiadiventilazioneclimacool,garantiscefreschezzaecomfortsfoggiano,comeperilmodellofemmile,graficheY-3sullagambasinistra.

RealizzateincollaborazioneconYohjiYamamoto,questescarpedatennisoffronoprestazionidialtolivelloeunostileunico.LastrutturaBarricadeoffremassimastabilitàetuttalaflessibilitàdicuiognigiocarehabisognopereffettuarecambididirezionerapidiemovimentiaggressivi.LatecnologiaBoostgarantisceunritornodienergiaimbattibile,all'insegnadellaleggerezzaedellavelocità.

Graham�Williamson,�Senior�Director�diAdidas,�spiega:

"Abbiamo�progettato�la�nuova�collezionein�modo�da�ridurre�al�minimo�ledistrazioni�per�i�giocatori.�Il�risultato�èuna�massima�funzionalità�per�l’atletasenza�sacrificare�lo�stile"

LawrenceMidwood,direttoredeldesignY-3racconta:

"SiamostationoratidipoterfarpartedellacollezioneRolandGarrosanchequest'anno,ediaverel'opportunitàdicrearequalcosadiveramentespecialeperunodeipiùgrandistadideltennis.Ilnostroobbiettivoèquellodirompereglischemidell’abbigliamentotennisticoormaitroppopredefiticercandoinvecel’eccellenzaalivellofunzionaleevisivo."

Progettata�per�il�giovane�tennista�emergenteAlexander�Zverev,�Head�ha�presentato�in

edizione�speciale�un�restyling�in�chiave�giovanedella�rinomata�serie�SPEED.Ispirata�alla�serie�di�racchette�Graphene�XTSpeed,�questa�edizione�limitata�si�distingue�per�ilsuo�design�originale.�Presenta�infatti�un�designmoderno�e�fresco�caratterizzato�da�colori

metallici�satinati,�che�garantiscono�all’attrezzoquel�giusto�di�cattiveria.�Dal�punto�di�vista�tecnico,�come�la�sorellamaggiore,�la�SPEED�LIMITED�EDITION�2016

vanta�le�migliori�tecnologie.�Parliamo�della

rivoluzionaria�tecnologia�Graphene�XT,�che

permette�di�spostare�la�massa�nei�punti�più

strategici�della�racchetta�per�ottenere�un�migliore

trasferimento�dell’energia�e�un�gioco�ancora�più

veloce.�Il�peso�senza�corde�è�di�300g,�mentre�lo

schema�corde�16/19�permette�di�giocare�con

ancora�più�spin.�Una�racchetta�che�si�rivela

maneggevole�e�facile�da�“muovere”�per�creare

facilmente�rotazioni�e�grande�potenza�di�gioco.

La�consigliamo�al�tipico�agonista�di�nuova

generazione�che�vuole�regalarsi�velocità,

potenza�e�versatilità,�ma�anche�a�giocatori�di

livello�intermedio�grazie�alla�già�citata

maneggevolezza�che�ne�facilita�l’utilizzo.

DATI:

PESO�(SENZA�CORDE):�300�g�/�10.6�ozCORDA�CONSIGLIATA:�16/19AREA�TESTA:�645�cm²�/�100�in²MISURA�GRIP:�1-5BILANCIAMENTO�(S.�CORDE):�320�mm�/�1�inHLLUNGHEZZA:�Standard,�685�mm�/�27�inPROFILO:�22�mm

LacollezioneHeadSpeedLimitededition2016

perlanuovagenerazione

byCarloCazzaniga