tennis world italia n. 35
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Numero di Giugno 2016TRANSCRIPT
Djokovic,possibileil
GrandeSlam?
byMarcoDiNardo
Il�successo�ottenuto�a�Parigi�ha�permesso�a
Novak�Djokovic�di�diventare�il�quinto�giocatore
a�realizzare�il�Career�Grand�Slam�nell'Era�Open.
Il�serbo�è�anche�diventato�in�questo�modo�il
primo�giocatore�da�Rod�Laver�nel�1969,�a
vincere�i�quattro�tornei�Major
consecutivamente,�pur�non�essendo�riuscito�a
realizzare�l'impresa�all'interno�dello�stesso
anno:�Djokovic�ha�infatti�iniziato�la�serie
vincendo�Wimbledon�2015,�per�poi�proseguire
con�U.S.�Open�2015,�Australian�Open�2016�e
appunto�Roland�Garros�2016,�per�quello�che
viene�definito�il�non-calendar�year�Grand�Slam.
Era�inoltre�dal�1992�con�Jim�Courier,�che
nessuno�riusciva�a�vincere�i�primi�due�Slam
della�stagione�(Australian�Open�e�Roland
Garros),�e�a�questo�punto�è�lecito�chiedersi�se
Novak�possa�essere�in�grado�di�realizzare�la�più
grande�e�difficile�impresa,�ossia�il�Grand�Slam,
riuscito�nell'intera�storia�del�tennis�solo�a�Don
Budge�nel�1938�e�a�Rod�Laver�nel�1962�e�1969.
�
Djokovic�ha�affermato�che�nulla�è�impossibile,
anche�se�per�ora�preferisce�non�pensarci�e
godersi�il�momento�positivo.�Di�sicuro
l'eventuale�successo�a�Wimbledon�lo
avvicinerebbe�alla�grande�impresa�in�maniera
così�importante�da�rendere�impossibile�a�quel
punto�non�pensarci�in�vista�degli�U.S.�Open.�Ma
oltre�ad�avvicinarlo�al�Grande�Slam,�un
eventuale�quarto�trionfo�a�Wimbledon�gli
permetterebbe�di�ottenere,�anche�in�caso�di
una�successiva�sconfitta�agli�U.S.�Open,�dei
prestigiosissimi�primati.
Intanto�nessuno�vince�i�primi�tre�Slam�della
stagione�proprio�da�Rod�Laver�nel�1969;�inoltresarebbe�eguagliato�il�record�di�Rafa�Nadal,
unico�giocatore�della�storia�a�vincere�tre�Slamsu�tre�diverse�superfici�nello�stesso�anno�(lospagnolo�nel�2010�vinse�Roland�Garros�suterra,�Wimbledon�su�erba�e�U.S.�Open�sucemento);�infine�la�vittoria�a�Wimbledon
permetterebbe�a�Djokovic�di�conquistare�ilquinto�titolo�dello�Slam�consecutivo,�chesarebbe�il�record�assoluto�nell'Era�Open,�e�laseconda�prestazione�nella�storia�dopo�i�seisuccessi�consecutivi�di�Budge�tra�il�1937�e�il1938.
�
Passando�però�all'argomento�più�importante,
ossia�l'eventuale�realizzazione�del�Grande�Slam,
questa�appare�essere�davvero�un'impresa
troppo�grande�nel�tennis�moderno,�anche�per
un�Djokovic�che�sta�dimostrando�di�essere�uno
dei�migliori�tennisti�della�storia.�Soprattutto
perché�il�serbo�viene�già�da�quattro�successi
Slam�consecutivi,�e�questo�significa�che�per
completare�il�Grande�Slam�dovrebbe�arrivare�a
sei�trionfi�consecutivi,�proprio�come�fece�Don
Budge�(Wimbledon�e�U.S.�Open�1937,�poi�il
Grande�Slam�nel�1938),�in�un�periodo�in�cui
però�il�tennis�era�ancora�diviso�tra�dilettanti�e
professionisti.
Se�è�vero�che�Djokovic�in�questo�momento
parte�favorito�in�tutti�i�tornei�dello�Slam�che
gioca,�realizzare�un�serie�del�genere�sembra
essere�troppo�anche�per�lui.�La�statistica�non�è
certamente�dalla�sua�parte,�anche�se
guardando�le�cose�in�maniera�più�concreta,
mancano�"solo"�due�tornei�per�conquistare
questo�obiettivo�storico.
Djokovic,possibileil
GrandeSlam?
byMarcoDiNardo
Il�successo�ottenuto�a�Parigi�ha�permesso�a
Novak�Djokovic�di�diventare�il�quinto�giocatore
a�realizzare�il�Career�Grand�Slam�nell'Era�Open.
Il�serbo�è�anche�diventato�in�questo�modo�il
primo�giocatore�da�Rod�Laver�nel�1969,�a
vincere�i�quattro�tornei�Major
consecutivamente,�pur�non�essendo�riuscito�a
realizzare�l'impresa�all'interno�dello�stesso
anno:�Djokovic�ha�infatti�iniziato�la�serie
vincendo�Wimbledon�2015,�per�poi�proseguire
con�U.S.�Open�2015,�Australian�Open�2016�e
appunto�Roland�Garros�2016,�per�quello�che
viene�definito�il�non-calendar�year�Grand�Slam.
Era�inoltre�dal�1992�con�Jim�Courier,�che
nessuno�riusciva�a�vincere�i�primi�due�Slam
della�stagione�(Australian�Open�e�Roland
Garros),�e�a�questo�punto�è�lecito�chiedersi�se
Novak�possa�essere�in�grado�di�realizzare�la�più
grande�e�difficile�impresa,�ossia�il�Grand�Slam,
riuscito�nell'intera�storia�del�tennis�solo�a�Don
Budge�nel�1938�e�a�Rod�Laver�nel�1962�e�1969.
�
Djokovic�ha�affermato�che�nulla�è�impossibile,
anche�se�per�ora�preferisce�non�pensarci�e
godersi�il�momento�positivo.�Di�sicuro
l'eventuale�successo�a�Wimbledon�lo
avvicinerebbe�alla�grande�impresa�in�maniera
così�importante�da�rendere�impossibile�a�quel
punto�non�pensarci�in�vista�degli�U.S.�Open.�Ma
oltre�ad�avvicinarlo�al�Grande�Slam,�un
eventuale�quarto�trionfo�a�Wimbledon�gli
permetterebbe�di�ottenere,�anche�in�caso�di
una�successiva�sconfitta�agli�U.S.�Open,�dei
prestigiosissimi�primati.
Intanto�nessuno�vince�i�primi�tre�Slam�della
stagione�proprio�da�Rod�Laver�nel�1969;�inoltresarebbe�eguagliato�il�record�di�Rafa�Nadal,
unico�giocatore�della�storia�a�vincere�tre�Slamsu�tre�diverse�superfici�nello�stesso�anno�(lospagnolo�nel�2010�vinse�Roland�Garros�suterra,�Wimbledon�su�erba�e�U.S.�Open�sucemento);�infine�la�vittoria�a�Wimbledon
permetterebbe�a�Djokovic�di�conquistare�ilquinto�titolo�dello�Slam�consecutivo,�chesarebbe�il�record�assoluto�nell'Era�Open,�e�laseconda�prestazione�nella�storia�dopo�i�seisuccessi�consecutivi�di�Budge�tra�il�1937�e�il1938.
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Passando�però�all'argomento�più�importante,
ossia�l'eventuale�realizzazione�del�Grande�Slam,
questa�appare�essere�davvero�un'impresa
troppo�grande�nel�tennis�moderno,�anche�per
un�Djokovic�che�sta�dimostrando�di�essere�uno
dei�migliori�tennisti�della�storia.�Soprattutto
perché�il�serbo�viene�già�da�quattro�successi
Slam�consecutivi,�e�questo�significa�che�per
completare�il�Grande�Slam�dovrebbe�arrivare�a
sei�trionfi�consecutivi,�proprio�come�fece�Don
Budge�(Wimbledon�e�U.S.�Open�1937,�poi�il
Grande�Slam�nel�1938),�in�un�periodo�in�cui
però�il�tennis�era�ancora�diviso�tra�dilettanti�e
professionisti.
Se�è�vero�che�Djokovic�in�questo�momento
parte�favorito�in�tutti�i�tornei�dello�Slam�che
gioca,�realizzare�un�serie�del�genere�sembra
essere�troppo�anche�per�lui.�La�statistica�non�è
certamente�dalla�sua�parte,�anche�se
guardando�le�cose�in�maniera�più�concreta,
mancano�"solo"�due�tornei�per�conquistare
questo�obiettivo�storico.
Nadalnontrionfa,matorna
Resullaterra
byMarcoDiNardo
Il�forfait�al�Roland�Garros�è�certamente�stato
un�brutto�colpo,�soprattutto�a�livello�mentale,
per�Rafael�Nadal,�in�un�periodo�nel�quale�aveva
ritrovato�la�fiducia�necessaria�per�potersi
giocare�il�titolo�a�Parigi.�Nei�primi�due�turni
dell'Open�di�Francia�2016,�il�maiorchino�aveva
infatti�dimostrato�di�essere,�almeno�in
apparenza,�nelle�migliori�condizioni�fisiche�e
mentali,�e�di�poter�competere�contro�chiunque,
Djokovic,�Murray�e�Wawrinka�compresi:�6-1�6-1
6-1�a�Samuel�Groth,�6-3�6-0�6-3�a�Facundo
Bagnis.�Appena�9�giochi�persi�in�due�partite,�la
metà�rispetto�ai�18�persi�da�Novak�Djokovic�nei
primi�due�round�del�torneo,�mentre�Murray�e
Wawrinka�avevano�lasciato�per�strada
rispettivamente�4�e�2�set,�e�di�conseguenza�un
numero�complessivo�di�giochi�nettamente�più
alto.
Poi�il�momento�più�difficile,�con�il�riacutizzarsi
di�un�infortunio�al�polso�che�lo�aveva
tormentato�dal�Masters�1000�di�Madrid,�e�la
decisione�di�ritirarsi�dall'evento�che�è�il�più
importante�per�il�tennista�spagnolo.�In�questo
modo�l'assalto�al�decimo�titolo�al�Roland
Garros�è�terminato�prematuramente,
nonostante�Rafa�non�abbia�perso�alcun�match
sul�campo.
Una�grande�delusione,�non�ci�sono�dubbi,�ma�aguardare�i�numeri,�nella�stagione�sulla�terrarossa�europea,�Nadal�ha�dimostrato�di�esseretornato�il�Re�sulla�superficie�che�gli�hapermesso�di�diventare�uno�dei�migliori�tennistidella�storia.�
Andiamo�quindi�ad�esaminare�i�risultatiottenuti�dai�3�migliori�giocatori�del�2016�nellastagione�sulla�terra�rossa�europea,�ossia�da
Nadalnontrionfa,matorna
Resullaterra
byMarcoDiNardo
Il�forfait�al�Roland�Garros�è�certamente�stato
un�brutto�colpo,�soprattutto�a�livello�mentale,
per�Rafael�Nadal,�in�un�periodo�nel�quale�aveva
ritrovato�la�fiducia�necessaria�per�potersi
giocare�il�titolo�a�Parigi.�Nei�primi�due�turni
dell'Open�di�Francia�2016,�il�maiorchino�aveva
infatti�dimostrato�di�essere,�almeno�in
apparenza,�nelle�migliori�condizioni�fisiche�e
mentali,�e�di�poter�competere�contro�chiunque,
Djokovic,�Murray�e�Wawrinka�compresi:�6-1�6-1
6-1�a�Samuel�Groth,�6-3�6-0�6-3�a�Facundo
Bagnis.�Appena�9�giochi�persi�in�due�partite,�la
metà�rispetto�ai�18�persi�da�Novak�Djokovic�nei
primi�due�round�del�torneo,�mentre�Murray�e
Wawrinka�avevano�lasciato�per�strada
rispettivamente�4�e�2�set,�e�di�conseguenza�un
numero�complessivo�di�giochi�nettamente�più
alto.
Poi�il�momento�più�difficile,�con�il�riacutizzarsi
di�un�infortunio�al�polso�che�lo�aveva
tormentato�dal�Masters�1000�di�Madrid,�e�la
decisione�di�ritirarsi�dall'evento�che�è�il�più
importante�per�il�tennista�spagnolo.�In�questo
modo�l'assalto�al�decimo�titolo�al�Roland
Garros�è�terminato�prematuramente,
nonostante�Rafa�non�abbia�perso�alcun�match
sul�campo.
Una�grande�delusione,�non�ci�sono�dubbi,�ma�aguardare�i�numeri,�nella�stagione�sulla�terrarossa�europea,�Nadal�ha�dimostrato�di�esseretornato�il�Re�sulla�superficie�che�gli�hapermesso�di�diventare�uno�dei�migliori�tennistidella�storia.�
Andiamo�quindi�ad�esaminare�i�risultatiottenuti�dai�3�migliori�giocatori�del�2016�nellastagione�sulla�terra�rossa�europea,�ossia�da
Monte-Carlo�in�avanti,�senza�quindiconsiderare�i�tornei�sudamericani�che�si�sono
giocati�prima�dei�Masters�1000�sul�cementonordamericano.�Novak�Djokovic:Masters�1000�Monte-Carlo:�primo�turno,�0
vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitteMasters�1000�Roma:�finale,�4�vittorie�e�1sconfittaRoland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0
sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta
Totale:�16�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il
Roland�Garros),�15�vittorie�e�3�sconfitte�(se
perderà�la�finale)
Percentuale�di�successo:�88,9%�o�83,3%�Andy�Murray:
Masters�1000�Monte-Carlo:�semifinale,�3vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�finale,�4�vittorie�e�1
sconfittaMasters�1000�Roma:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte
Roland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta
Totale:�19�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il
Roland�Garros),�18�vittorie�e�3�sconfitte�(se
perderà�la�finale)
Percentuale�di�successo:�90,5%�o�85,7%�
Rafael�NadalMasters�1000�Monte-Carlo:�vincitore,�5�vittoriee�0�sconfitteATP�500�Barcellona:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte
Masters�1000�Madrid:�semifinale,�3�vittorie�e�1sconfittaMasters�1000�Roma:�quarti�di�finale,�2�vittoriee�1�sconfittaRoland�Garros:�secondo�turno�e�forfait,�2
vittorie�e�0�sconfitteTotale:�17�vittorie�e�2�sconfittePercentuale�di�successo:�89,5%
Come�si�può�vedere,�nonostante�gli�sia
sfuggito�il�decimo�titolo�parigino,�durante�la
stagione�sulla�terra�rossa�europea�Rafael�Nadal
ha�avuto�una�percentuale�di�successo�migliore
rispetto�a�quella�di�Novak�Djokovic,�anche�nel
caso�in�cui�il�serbo�dovesse�battere�Andy
Murray�nella�finale�del�Roland�Garros.
�
Il�giocatore�britannico�invece,�in�caso�di
successo�a�Parigi,�avrebbe�la�migliore
percentuale�in�assoluto�(90,5%�contro�l'89,5%
di�Nadal),�mentre�se�dovesse�essere�sconfitto
in�finale,�cederebbe�il�trono�proprio�a�Nadal,
che�diventerebbe�il�tennista�più�vincente�sulla
terra�anche�nel�2016.�Ma�anche�nel�caso�in�cui
Murray�vincesse�Parigi,�resterebbe�di�Nadal�la
più�lunga�striscia�di�vittorie�consecutive�sul
rosso�in�questa�stagione,�con�le�13�ottenute�tra
Monte-Carlo,�Barcellona�e�Madrid,�contro�le�12
di�Andy�tra�Roma�e�Roland�Garros�(se�appunto
vincesse�il�torneo),�e�le�9�di�Djokovic�tra
Madrid�e�Roma.
�
Inoltre�non�si�possono�dimenticare�il�nono
titolo�ottenuto�sia�a�Monte-Carlo�che�a
Barcellona�da�Rafa,�sempre�più�nella�storia
dopo�aver�vinto�proprio�per�9�volte�anche�al
Roland�Garros.�Considerando�tutti�questi
numeri,�appare�davvero�difficile�non
considerare�Nadal�il�Re�della�terra�rossa�anche
in�questo�2016.
�
La�cosa�più�importante�per�lo�spagnolo�in
questo�momento�è�tornare�al�100%�della
condizione�fisica�per�poter�competere�a
Wimbledon�e�alle�Olimpiadi.�Per�il�decimo
successo�al�Roland�Garros,�potrà�riprovarci�nel
2017,�e�partendo�da�statistiche�e�sensazioni�di
questo�2016,�nulla�appare�impossibile�per�Rafa,
nonostante�il�passare�delle�stagioni�riduca
progressivamente�le�sue�possibilità.
Monte-Carlo�in�avanti,�senza�quindiconsiderare�i�tornei�sudamericani�che�si�sono
giocati�prima�dei�Masters�1000�sul�cementonordamericano.�Novak�Djokovic:Masters�1000�Monte-Carlo:�primo�turno,�0
vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitteMasters�1000�Roma:�finale,�4�vittorie�e�1sconfittaRoland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0
sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta
Totale:�16�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il
Roland�Garros),�15�vittorie�e�3�sconfitte�(se
perderà�la�finale)
Percentuale�di�successo:�88,9%�o�83,3%�Andy�Murray:
Masters�1000�Monte-Carlo:�semifinale,�3vittorie�e�1�sconfittaMasters�1000�Madrid:�finale,�4�vittorie�e�1
sconfittaMasters�1000�Roma:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte
Roland�Garros:�vincitore�o�finale,�7�vittorie�e�0sconfitte�o�6�vittorie�e�1�sconfitta
Totale:�19�vittorie�e�2�sconfitte�(se�vincerà�il
Roland�Garros),�18�vittorie�e�3�sconfitte�(se
perderà�la�finale)
Percentuale�di�successo:�90,5%�o�85,7%�
Rafael�NadalMasters�1000�Monte-Carlo:�vincitore,�5�vittoriee�0�sconfitteATP�500�Barcellona:�vincitore,�5�vittorie�e�0sconfitte
Masters�1000�Madrid:�semifinale,�3�vittorie�e�1sconfittaMasters�1000�Roma:�quarti�di�finale,�2�vittoriee�1�sconfittaRoland�Garros:�secondo�turno�e�forfait,�2
vittorie�e�0�sconfitteTotale:�17�vittorie�e�2�sconfittePercentuale�di�successo:�89,5%
Come�si�può�vedere,�nonostante�gli�sia
sfuggito�il�decimo�titolo�parigino,�durante�la
stagione�sulla�terra�rossa�europea�Rafael�Nadal
ha�avuto�una�percentuale�di�successo�migliore
rispetto�a�quella�di�Novak�Djokovic,�anche�nel
caso�in�cui�il�serbo�dovesse�battere�Andy
Murray�nella�finale�del�Roland�Garros.
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Il�giocatore�britannico�invece,�in�caso�di
successo�a�Parigi,�avrebbe�la�migliore
percentuale�in�assoluto�(90,5%�contro�l'89,5%
di�Nadal),�mentre�se�dovesse�essere�sconfitto
in�finale,�cederebbe�il�trono�proprio�a�Nadal,
che�diventerebbe�il�tennista�più�vincente�sulla
terra�anche�nel�2016.�Ma�anche�nel�caso�in�cui
Murray�vincesse�Parigi,�resterebbe�di�Nadal�la
più�lunga�striscia�di�vittorie�consecutive�sul
rosso�in�questa�stagione,�con�le�13�ottenute�tra
Monte-Carlo,�Barcellona�e�Madrid,�contro�le�12
di�Andy�tra�Roma�e�Roland�Garros�(se�appunto
vincesse�il�torneo),�e�le�9�di�Djokovic�tra
Madrid�e�Roma.
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Inoltre�non�si�possono�dimenticare�il�nono
titolo�ottenuto�sia�a�Monte-Carlo�che�a
Barcellona�da�Rafa,�sempre�più�nella�storia
dopo�aver�vinto�proprio�per�9�volte�anche�al
Roland�Garros.�Considerando�tutti�questi
numeri,�appare�davvero�difficile�non
considerare�Nadal�il�Re�della�terra�rossa�anche
in�questo�2016.
�
La�cosa�più�importante�per�lo�spagnolo�in
questo�momento�è�tornare�al�100%�della
condizione�fisica�per�poter�competere�a
Wimbledon�e�alle�Olimpiadi.�Per�il�decimo
successo�al�Roland�Garros,�potrà�riprovarci�nel
2017,�e�partendo�da�statistiche�e�sensazioni�di
questo�2016,�nulla�appare�impossibile�per�Rafa,
nonostante�il�passare�delle�stagioni�riduca
progressivamente�le�sue�possibilità.
RolandGarros,timetoForget
byValerioCarriero
“L’anno�prossimo�sarò�pronto�a�tutto”.�Potrebbero�essere�le�parole�di�uno�studente�che�ha�evitato
per�un�soffio�la�bocciatura�salvandosi�in�extremis�e�che�si�promette�di�non�ripetere�gli�stessi�errori�in
futuro.�No,�più�banalmente�sono�dichiarazioni�di�Guy�Forget,�il�direttore�del�Roland�Garros
nell’edizione�probabilmente�più�sfortunata�della�storia�del�tennis�recente�a�livello�Slam.
�
Pioggia,�polemiche�degli�spettatori�e,�ultimo�ma�non�per�importanza,�un�livello�di�gioco�tutt’altro�che
esaltante.�Insomma,�non�proprio�“l’esordio”�ideale�per�Forget,�per�il�primo�anno�alla�direzione�del
secondo�Major�stagionale.�Abbiamo�parlato�di�‘sfortuna’,�non�potrebbe�definirsi�diversamente�un
periodo�di�15�giorni�condizionato�da�continui�diluvi,�ma…�“La�fortuna�aiuta�gli�audaci”,�si�dice.�Nella
buona�riuscita�di�un�torneo,�probabilmente,�non�è�così.�Tuttavia,�di�sicuro,�la�fortuna�aiuta�chi�ha�il
coraggio�di�investire.
�
È�innegabile,�il�Roland�Garros�è�lo�Slam�meno�al�passo�con�i�tempi.�Né�luci,�né�tetto�e�così�partite
incomplete�anche�sullo�Chatrier.�Un�problema,�quello�riguardante�l’illuminazione�artificiale,�già
sollevato�negli�anni�precedenti�e�in�particolare�da�Wawrinka�nel�2012,�costretto�a�tornare�in�campo
il�giorno�successivo�per�terminare�il�suo�match�con�Tsonga�poi�perso�al�quinto.�Gilbert�Ysern,�allora
direttore�del�torneo,�rispose�in�maniera�criptica:�“è�una�questione�molto�delicata�ma�non�bisogna
giocare�per�forza�di�sera,�e�un�potenziamento�delle�luci�sarà�effettuato�in�futuro,�nel�2017”.
Potrebbe�essere�quindi�questo�il�primo�passo�verso�l’ammodernamento�di�un�evento�anni�luce�in
ritardo�rispetto�non�solo�agli�altri�Major,�ma�anche�a�tornei�minori.�In�attesa�della�copertura�sul�campo
principale��non�prima�del�2020,�forse,�chissà,�vediamo…�-�qualche�migliaio�di�chilometri�più�a�Est�si
disputava�il�Challenger�di�Prostejov�con�campo�centrale�dotato�di�tetto.�Mentre�nella�capitale
francese�veniva�cancellata�un’intera�giornata��quella�di�martedì�30�maggio�-,�in�Repubblica�Ceca�il
padrone�di�casa�Vesely�poteva�tranquillamente�evitare�gli�straordinari.�Non�è�stato�così�invece�per
alcuni�giocatori�della�parte�alta�del�tabellone,�tra�cui�il�campione�Novak�Djokovic,�costretti�a�scendere
in�campo�per�tre�giorni�consecutivi.
�
I�problemi�del�Roland�Garros�partono�comunque�da�lontano,�da�un�sito�minuscolo�se�paragonato�agli
altri�Slam�(8,5�ettari�contro�i�17�di�Melbourne,�i�18�di�Wimbledon�e�i�18.5�di�New�York)�e�un
ampliamento�sempre�rinviato:�“Magari�con�i�soldi�per�l’Olimpiade�del�2024”.�È�ancor�di�più�strano
quindi,�per�un�impianto�così�piccolo,�vedere�spalti�semivuoti�per�un�quarto�di�finale�maschile�come
Thiem-Goffin,�o�uno�Chatrier�quasi�deserto�per�Stosur-Pironkova,�probabilmente�un�ammutinamento
per�una�scelta�a�dir�poco�infelice�degli�organizzatori.
�
Gli�stessi�sono�finiti�nell’occhio�del�ciclone�per�un�mancato�rimborso�dopo�Djokovic-Bautista�Agut,
durato�poco�più�di�2�ore�prima�dell’ennesima�interruzione,�lunghezza�sufficiente�per�non�restituire�il
50%�del�costo�dei�biglietti�ai�poveri�spettatori,�cui�poco�ha�convinto�la�spiegazione�di�Forget:�“La
decisione�di�sospendere�o�di�riprendere�il�gioco�spetta�soltanto�al�supervisor�Stefan�Fransson.�Il
rispetto�per�il�gioco�ha�sempre�preso�la�precedenza.�Ieri�il�match�è�stato�sospeso�alle�16:54�con�la
possibilità�di�poter�giocare�altre�4�ore.�Speravamo�che�il�gioco�riprendesse�e�Meteo�France�aveva
previsto�che�la�pioggia�avrebbe�dato�tregua�40�minuti�più�tardi”.
�
Insomma,�“fortunatamente�è�finita”�verrebbe�quasi�da�pensare.�Il�bilancio�è�pesantemente�negativo
anche�sotto�il�punto�di�vista�dello�spettacolo.�In�uno�Slam�senza�Federer�ai�nastri�di�partenza�e�che
ha�visto�il�doloroso�ritiro�di�Nadal�dopo�due�turni,�ci�sono�stati�pochissimi�spunti�tecnici:�salviamo
solamente�la�conferma�di�Thiem,�entrato�in�top�10�prima�di�pagare�il�tour�de�force�al�cospetto�di
Djokovic�in�semifinale��e�la�bella�storia�della�Bertens,�approdata�tra�le�migliori�quattro�del�torneo
prendendosi�la�rivincita�su�quel�tumore�alla�tiroide�che�tanto�l’aveva�fatta�tribolare�qualche�anno�fa.
Certo,�in�qualche�modo�al�Roland�Garros�2016�si�è�scritta�la�storia�e�non�solo�in�negativo.�Le�due
finali,�per�motivi�diversi,�lasceranno�un’eredità�pesantissima�agli�annali�di�questo�sport�con�il�virtuale
passaggio�di�testimone�da�Serena�Williams�a�Garbine�Muguruza,�e�con�la�valanga�di�primati�targati
Novak�Djokovic�grazie�al�suo�primo�titolo�parigino�con�cui,�in�un�colpo�solo,�rompe�la�maledizione,
completa�il�Career�Slam�e�diventa�detentore�di�tutti�i�4�Major�contemporaneamente,�impresa�mai
riuscita�dopo�Laver.
�
“L’anno�prossimo�sarò�pronto�a�tutto”.�Ce�lo�auguriamo,�magari�ripartendo�da�quel�beffardo�sole�che
si�è�affacciato�timidamente�durante�la�premiazione�del�torneo�maschile,�quando�ormai
egoisticamente�serviva�a�poco.�Nel�frattempo�è�tempo�di�voltar�pagina�al�più�presto�e�riordinare�le
idee:�it’s�time�to�Forget.
Parigi2016:anteprimadel
futuro
byFedericoMariani
L’edizione�2016�del�Roland�Garros�può,�suo
malgrado,�coincidere�con�l’inizio�di�una�nuova
era.�Dopo�tanto�(troppo)�tempo�trascorso�nella
speranza�di�un�agognato�ricambio
generazionale�valido�e��contestualmente��nel
terrore�di�un�tennis�senza�Federer�e�Nadal,�lo
Slam�parigino�sbatte�in�faccia�agli�appassionati
un�torneo�senza�i�più�amati.
�
Roger�non�si�è�presentato�a�Bois�de�Boulogne
saltando�un�Major�come�non�accadeva
sostanzialmente�da�sempre,�dal�1999,�con�in
mezzo�65�presenze�consecutive�ai�nastri�di
partenza.�Il�compare�Rafa�si�è,�invece,�ritirato�in
corso�d’opera�con�un�forfait�dettato
dall’ennesimo�infortunio�che,�con�trenta
candeline�sulla�torta�e�un�fisico�oltremodo
usurato,�fa�intravedere�l’anticamera�del�baratro
(sportivo).�Insomma,�quanto�visto�al�Roland
Garros�potrebbe�rappresentare�l’anteprima�di
ciò�che�sarà�del�circuito�in�un�tempo�tutt’altro
che�lontano,�anzi�più�vicino�di�quanto�si�ritiene
nell’immaginario�comune.�Ma�cosa�sarà�del
circuito�maschile�nell’era�post-Federer&Nadal?
�
Quanto�perderà�il�tennis�dopo�il�ritiro�dei�due
campionissimi?�Ci�sarà�qualcuno�in�grado�di
raccoglierne�l’eredità�non�solo�tecnica�ma
soprattutto�carismatica?
�
Difficile,�anzi�forse�impossibile�rispondere�oggi
con�un�certo�grado�di�fiducia�su�quesiti�che
affliggono�l’intera�Atp�e�che�insidiano�di
incognite�un�circuito�che�ha�vissuto�nell’ultimo
decennio�una�straordinaria�età�dell’oro,�basti
pensare�che�degli�otto�tennisti�nella�storia
capaci�di�conquistare�tutte�le�prove�dello�Slam,
ben�tre�appartengono�alla�stessa�generazione.
Si�può,�però,�provare�a�ipotizzare�ciò�che�sarà.
�
�ragionevole��e�se�vogliamo�anche�comodo�
credere�che�l’Atp�possa�ripercorrere�il�cammino
tracciato�dalla�NBA�nei�primi�anni�del�terzo
millennio.�Grazie�a�Michael�Jordan�il�basket
americano�ha�vissuto�un�vero�e�proprio�boom
passando�dall’essere�il�fratello�minore�di
baseball�e�football�fino�a�diventare�un
fenomeno�planetario�con�un’identità�culturale�e
sociale�ben�marcata.��auspicabile�uno�stesso
percorso�per�il�tennis�che,�da�sport�di�nicchia�(o
poco�più)�qual�era,�si�è�trasformato�quasi�in
uno�sport�popolare�aprendo�le�sue�frontiere�a
una�fetta�di�pubblico�sempre�crescente.�Tale
crescita�clamorosa�può�esistere�soltanto�se
supportata�e�promossa�dai�campioni�che��in
campo�e�fuori��hanno�la�possibilità�di�attrarre
nuovi�appassionati.�
Tutto�ciò�è�avvenuto�con�Federer�e�Nadal,
grazie�a�Federer�e�Nadal�che�non�si�sono
limitati�a�mostrare�in�campo�cose�inedite,�si
sono�spinti�oltre.�Sono�stati�(e�sono)�talmente
forti�da�far�avvicinare�con�fervore�anche�chi�il
tennis�lo�masticava�poco.�Sono�stati�(e�sono)
meravigliosamente�diversi�da�aver�creato
attorno�alle�loro�figure�due�fazioni�che�sfociano
spesso�e�volentieri�nel�più�vivo�e�viscerale�del
tifo.�Una�componente�che�fa�storcere�il�naso�ai
puristi�del�Gioco�ma�che,�pragmaticamente
parlando,�ha�portato�soldi,�molti�soldi,�e
attenzioni�provenienti�da�ogni�latitudine�della
terra.�La�tesi�che�si�intende�avvalorare�tramite
questo�ragionamento�si�basa�sul�fatto�che�se
prima�erano�in�10�a�seguire�il�tennis�e�oggi�quei
10�sono�diventati�100,�in�un�domani�senza
ovviamente�Federer�e�Nadal�i�100�non
torneranno�10.�Forse�non�saranno�più�100,�ma
verosimilmente�saranno�85-90,�non�certo�10.
Questo�perché�quell’enorme�nuova�fetta�di
neofiti�che�si�è�innamorata�del�tennis
nell’ultimo�decennio�si�è�nel�frattempo
fidelizzata,�assuefatta,�e�non�abbandonerà.
�
Federer�e�Nadal�hanno�accompagnato�il�tennis
in�una�nuova�dimensione�facendo�la�fortuna
(economica�ed�emozionale)�di�questo�sport.�I
tennisti�di�oggi�e�soprattutto�di�domani
possono,�dunque,�partire�con�una�base�di
popolarità�solidissima,�impensabile�fino�a
qualche�stagione�fa.�Non�si�può�dare�responsi
su�ciò�che�sarà�a�livello�tecnico�e�carismatico,
ma�è�a�ben�vedere�sciocco�attendersi�di
rivivere�i�fasti�dell’età�odierna�così�come
sarebbe�sciocco�abbandonare�la�nave�quando
Roger�e�Rafa�non�saranno�più�al�timone.
Parigi2016:anteprimadel
futuro
byFedericoMariani
L’edizione�2016�del�Roland�Garros�può,�suo
malgrado,�coincidere�con�l’inizio�di�una�nuova
era.�Dopo�tanto�(troppo)�tempo�trascorso�nella
speranza�di�un�agognato�ricambio
generazionale�valido�e��contestualmente��nel
terrore�di�un�tennis�senza�Federer�e�Nadal,�lo
Slam�parigino�sbatte�in�faccia�agli�appassionati
un�torneo�senza�i�più�amati.
�
Roger�non�si�è�presentato�a�Bois�de�Boulogne
saltando�un�Major�come�non�accadeva
sostanzialmente�da�sempre,�dal�1999,�con�in
mezzo�65�presenze�consecutive�ai�nastri�di
partenza.�Il�compare�Rafa�si�è,�invece,�ritirato�in
corso�d’opera�con�un�forfait�dettato
dall’ennesimo�infortunio�che,�con�trenta
candeline�sulla�torta�e�un�fisico�oltremodo
usurato,�fa�intravedere�l’anticamera�del�baratro
(sportivo).�Insomma,�quanto�visto�al�Roland
Garros�potrebbe�rappresentare�l’anteprima�di
ciò�che�sarà�del�circuito�in�un�tempo�tutt’altro
che�lontano,�anzi�più�vicino�di�quanto�si�ritiene
nell’immaginario�comune.�Ma�cosa�sarà�del
circuito�maschile�nell’era�post-Federer&Nadal?
�
Quanto�perderà�il�tennis�dopo�il�ritiro�dei�due
campionissimi?�Ci�sarà�qualcuno�in�grado�di
raccoglierne�l’eredità�non�solo�tecnica�ma
soprattutto�carismatica?
�
Difficile,�anzi�forse�impossibile�rispondere�oggi
con�un�certo�grado�di�fiducia�su�quesiti�che
affliggono�l’intera�Atp�e�che�insidiano�di
incognite�un�circuito�che�ha�vissuto�nell’ultimo
decennio�una�straordinaria�età�dell’oro,�basti
pensare�che�degli�otto�tennisti�nella�storia
capaci�di�conquistare�tutte�le�prove�dello�Slam,
ben�tre�appartengono�alla�stessa�generazione.
Si�può,�però,�provare�a�ipotizzare�ciò�che�sarà.
�
�ragionevole��e�se�vogliamo�anche�comodo�
credere�che�l’Atp�possa�ripercorrere�il�cammino
tracciato�dalla�NBA�nei�primi�anni�del�terzo
millennio.�Grazie�a�Michael�Jordan�il�basket
americano�ha�vissuto�un�vero�e�proprio�boom
passando�dall’essere�il�fratello�minore�di
baseball�e�football�fino�a�diventare�un
fenomeno�planetario�con�un’identità�culturale�e
sociale�ben�marcata.��auspicabile�uno�stesso
percorso�per�il�tennis�che,�da�sport�di�nicchia�(o
poco�più)�qual�era,�si�è�trasformato�quasi�in
uno�sport�popolare�aprendo�le�sue�frontiere�a
una�fetta�di�pubblico�sempre�crescente.�Tale
crescita�clamorosa�può�esistere�soltanto�se
supportata�e�promossa�dai�campioni�che��in
campo�e�fuori��hanno�la�possibilità�di�attrarre
nuovi�appassionati.�
Tutto�ciò�è�avvenuto�con�Federer�e�Nadal,
grazie�a�Federer�e�Nadal�che�non�si�sono
limitati�a�mostrare�in�campo�cose�inedite,�si
sono�spinti�oltre.�Sono�stati�(e�sono)�talmente
forti�da�far�avvicinare�con�fervore�anche�chi�il
tennis�lo�masticava�poco.�Sono�stati�(e�sono)
meravigliosamente�diversi�da�aver�creato
attorno�alle�loro�figure�due�fazioni�che�sfociano
spesso�e�volentieri�nel�più�vivo�e�viscerale�del
tifo.�Una�componente�che�fa�storcere�il�naso�ai
puristi�del�Gioco�ma�che,�pragmaticamente
parlando,�ha�portato�soldi,�molti�soldi,�e
attenzioni�provenienti�da�ogni�latitudine�della
terra.�La�tesi�che�si�intende�avvalorare�tramite
questo�ragionamento�si�basa�sul�fatto�che�se
prima�erano�in�10�a�seguire�il�tennis�e�oggi�quei
10�sono�diventati�100,�in�un�domani�senza
ovviamente�Federer�e�Nadal�i�100�non
torneranno�10.�Forse�non�saranno�più�100,�ma
verosimilmente�saranno�85-90,�non�certo�10.
Questo�perché�quell’enorme�nuova�fetta�di
neofiti�che�si�è�innamorata�del�tennis
nell’ultimo�decennio�si�è�nel�frattempo
fidelizzata,�assuefatta,�e�non�abbandonerà.
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Federer�e�Nadal�hanno�accompagnato�il�tennis
in�una�nuova�dimensione�facendo�la�fortuna
(economica�ed�emozionale)�di�questo�sport.�I
tennisti�di�oggi�e�soprattutto�di�domani
possono,�dunque,�partire�con�una�base�di
popolarità�solidissima,�impensabile�fino�a
qualche�stagione�fa.�Non�si�può�dare�responsi
su�ciò�che�sarà�a�livello�tecnico�e�carismatico,
ma�è�a�ben�vedere�sciocco�attendersi�di
rivivere�i�fasti�dell’età�odierna�così�come
sarebbe�sciocco�abbandonare�la�nave�quando
Roger�e�Rafa�non�saranno�più�al�timone.
Servizioe
Risposta0-30
byAlexBisi
Infosys�Atp�ha�condottoun’interessante�indaginesulla�next�generation,�i
giovani�che�saranno�il�futurodel�circuito�tennistico
maschile.�L’Atp�ha�presentato�lacampagna�#NextGen�a�Indian
Wells�per�promuovere�igiovani�che�saranno�ilricambio�generazionale�deiFabFour.�
In�particolare�son�state�prese
in�analisi�due�frangenti
particolari�di�gioco,�cercando
di�capire�se�ci�sono�più
possibilità�vincere�la�partita
quando�chi�serve�va�sotto
0-30�o�quando�vanno�avanti
in�risposta.
�
In�questo�primo�scorcio�distagione,�i�Top8�,�insituazione�di�0-30�sul�loro
sevizio,�riescono�amantenerlo�per�il�50%�dellevolte,�mentre�i�giovani�solo�il
37.�In�situazione�di�0-30�surisposta,�i�Top8�conquistano
il�break�nel�38%�dei�casi,mentre�solo�il�26�per�la#NextGen.�Dall’analisi�emerge�cheAlexander�Zverev,Elias�Ymer,Yoshihito�Nishioka,�Nick
Kyrgios,�Kyle�Edmund,Thanasi�Kokkinakis,Quentin
Halys�e�Andrey�Rublev,�siano
più�bravi�a�mantenere�il
servizio�in�situazione�di
svantaggio.
�
Borna�Coric,Hyeon�Chung,
Taylor�Fritz,�Jared�Donaldson
e�Francis�Tiafoe�son�più�abili
ad�aggiudicarsi�il�break.
�
Interessante�notare�che�Kyle
Edmund�ha�una�percentuale
più�alta�di�Murray�nella
particolare�casistica�di
mantenimento�del�servizio�in
situazione�di�svantaggio.
Donaldson�e�Chung�hanno
invece�una�percentuale�di
break�a�segno�più�alta�del
numero�uno�del�ranking,
Novak�Djokovic,46�contro�41.
Zverev�è�nei�primi�4�posti�in
entrambe�le�categorie,�con
percentuali�migliori�di�Davide
Ferrer�in�situazione�di
svantaggio,�e�di�Thomas
Berdych�in�situazione�di
break.
�SERVIZIO1�Kyle�Edmund�502�Nick�Kyrgios�45�3��Quentin�Halys�444��Alexander�Zverev�42
5��Elias�Ymer�41�6��Taylor�Fritz�38�7��Hyeon�Chung�35�
RISPOSTAT1�Jared�Donaldson�46�T1�Hyeon�Chung�46�
3�Alexander�Zverev�37�4��Borna�Coric�36�5��Taylor�Fritz�35�
6��Frances�Tiafoe�30�7��Andrey�Rublev�26
Lanext
generationpuò
attendere!
byGiorgioGiannaccini
Tanti�e�nuovi�talenti
all'orizzonte�che�crescono�e
fanno�risultato,�eppure�sono
sempre�i�vecchi�a�dominare,
che�siano�i�FabFour�come
Stanislas�Wawrinka.�Almeno
così�ha�recitato�l'ultimo
Roland�Garros�vinto
finalmente��e�fin�troppo
atteso��da�Nole�Djokovic
che�si�è�tolto�un�macigno
dalla�scarpa�che�ultimamente
diventava�pesantissimo.�
�
Il�torneo,�definito�da�alcuni
dei�maggiori�addetti�ai�lavori,
tra�i�peggiori�Roland�Garros
di�sempre,�ha�avuto�due
defezioni�illustri:�la�prima�di
Roger�Federer�che,�causa
quel�maledetto�menisco
lacerato�e�operato,�dopo�una
tapina�figura�a�Roma,�ha
deciso�saggiamente�di�non
partecipare�per�prepararsi
meglio�il�torneo�per�lui�più
importante,�Wimbledon;
seconda�defezione
importante�invece�è�stata
quella�che�ha�scosso
realmente�il�torneo,�quella
cioè�di�Rafael�Nadal,�che
dopo�aver�superato�senza
alcun�problema�i�vari�Sam
Groth�e�Facundo�Bagnis�in
totale�scioltezza,�ha�poi
dovuto�salutare�il�torneo,causa�un�polso�sinistro�che
se�non�fosse�stato�a�riposototale�per�due�settimane�sisarebbe�rotto�nel�giro�di�duegiorni.��
Insomma,�c'era�spazio�per�la
next�generation,�c'era�spazio
�senza�più�due�dei�maggiori
vincitori�dell'ultimo�decennio
�per�ritagliarsi�una�fetta
importante�del�torneo,�ma
non�è�stato�così.�
�
Cominciamo�da�Nick�Kyrgios:
il�novello�McEnroe,�per
talento�e�temperamento,�ha
sbagliato.�Al�terzo�turno,
cioè�quando�il�gioco
comincia�a�farsi�duro,�con
una�partita�particolarmente
sottotono,�svogliata�e
indolente,�si�è�fatto
sconfiggere�da�un�redivivo
Richard�Gasquet�che�non�ha
concesso�nemmeno�un�setall'australiano.�Decisamente
una�prestazione�tropponegativa,�soprattutto�seconsideriamo�che�i�pronosticidel�match�erano�rivolti�tutti�afavore�del�giovane�di
Canberra.��
Meglio�Alexander�Zverev,
che�dopo�aver�battuto,
concedendo�un�set,�nei�primi
due�turni,�ai�vari�Herbert�e
Robert,�si�è�poi�dovuto
inchinare�al�poco�più�maturo
Dominic�Thiem�al�terzo
turno,�dopo�avergli�strappato
il�tie�break�del�primo�set�si�è
poi�fatto�rimontare�per�6-3
in�tutti�gli�altri�set�del�match.
L'austriaco�dal�magnifico
rovescio�a�una�mano�è�stato
senz'altro�la�maggiore
sorpresa�del�Roland�Garros,
come�testimonia�la�sua
marcia�che�si�è�incrociata
anche�con�quella�di�un'altra
speranza�del�tennis
mondiale,�il�belga�David
Goffin.�Il�fiammingo,�classe
'90,�è�stato�autore�di�un
ottimo�torneo�che�lo�ha
portato�alle�soglie�della�top
ten�con�la�posizione�numero
11�del�ranking�mondiale.�Un
cammino�autoritario�che�lo
ha�visto�battere�avversari
per�nulla�semplici,�basti
pensare�al�terzo�turno�vinto
per�il�rotto�della�cuffia
contro�il�talentuoso�ma
cavallo�pazzo�Nicolas
Almagro,�o�il�turno
successivo�vinto�contro
l'eccentrico�ma�bombardiere
Ernest�Gulbis,�mina�vagante
per�chiunque,�se�in�giornata.
Con�queste�credenziali�si�era
presentato�in�uno�scontro
faccia�a�faccia�con�Thiem.
Timing�e�visione�dal�campo
da�un�parte,�dall'altra
potenza�ma�anche�creatività.
Ne�è�venuto�fuori�uno
strabiliante�scontro�che�ha
visto�per�il�primo�set�fino�a
quasi�tutto�il�secondo�set,
prevalere�il�belga�che�poi,�al
risveglio�dell'austriaco,�è
dovuto�soccombere�alla
maggior�gittata�di�fuoco�e
spregiudicatezza�del�rivale
che�ha�così�ribaltato
l'incontro:�dal�6-4�in�suo
sfavore�nel�primo�set,�si�è
poi�aggiudicato�un�secondo
set�equilibratissimo�per
7-6(7)�e�i�restanti�parziali�per
6-4�6-1,�in�cui�Goffin�non�ne
poteva�davvero�più.�Si�era
arrivati�così�alla�designazione
delle�semifinali:�da�una�parte
il�nostro�eroe�Dominic�Thiem
contro�il�mostro�sacro�Nole
Djokovic,�dall'altra�parte�del
tabellone�invece�il�FabFour
Andy�Murray�contro�il
detentore�del�titolo�Stanislas
Wawrinka.�Tre�semifinalisti�su
quattro�della�vecchia�guardia,
dato�molto�più�che�indicativo,
una�certezza,�oseremmo�dire.
Nella�semifinale�dei�veterani
ha�poi�prevalso�Murray,�e�con
lui�la�sua�maggiore�regolarità
ed�esperienza�nei�match�di
altissimo�livello�che,�insieme
alla�vittoria�a�Roma�di
quest'anno,�ne�fanno�ormai
un�giocatore�eccelso�anche
sulla�terra�battuta.�
�
Nell'altra�semifinale�DominicThiem�ha�ricevuto�una�lezionedi�tennis�dal�numero�1�del
mondo:�un�6-2�6-1�6-4�cheha�palesato�la�maggiore�forzadi�Nole�Djokovic�oltre�a
mostrare�come,�nonostantegli�ancora�amplissimi�marginidi�miglioramento�di�Thiem,�la
distanza�fra�i�due�sia�ancoraincolmabile.�Molta�la�potenzafra�dritto�e�rovescio�per
l'austriaco,�tra�cui�anchediversi�e�pregevoli�vincenti
ottenuti�in�partita,�ma�checostituiscono�pur�sempre�ungioco�troppo�a�sprazzi�perdemolire�un�muro�come�il
serbo.��
Il�resto�è�storia:�come
dicevano�i�pronostici�Nole�ha
poi�regolato�Murray�e�si�è
concesso�il�trionfo�più�bello,
la�terra�di�Parigi.�I�Major,
insomma,�sono�ancora�roba
per�la�vecchia�guardia,�e�la
next�generation�può�ancora
attendere!
AlbertRamos,un
premioallacarriera
byGiorgioGiannaccini
E�finalmente�venne�l'ora�di�Albert�Ramos,�unragazzo�qualsiasi�che�ha�avuto�la�sfortuna�dinascere�in�Spagna,�terra,�negli�ultimi�15�anni,�difenomeni�se�non�grandi�giocatori.��
E�per�lui,�ragazzo�né�bello�né�particolarmente
talentoso,�fino�a�poco�tempo�fa�c'erano
soltanto�le�briciole.�Ma�cominciamo�dal
principio:�Albert�Ramos-Vinolas,�ragazzo
spagnolo�classe�'88,�residente�a�Mataro,�è�un
classico�regolarista�della�scuola�iberica.�E'
mancino,�alto�ma�longilineo�(1.88�per�80�kg),�e
basa�tutto�il�suo�gioco�sulle�rotazioni
esasperate�in�top�spin,�non�certo�-�direte�-�un
giocatore�per�cui�uno�paga�il�biglietto,�ed�anzi
un�timido�comprimario�se�non�un'eccelsa
vittima�sacrificale�per�qualsiasi�big�nei�tornei
dell'anno.�
�
Lui�ne�sa�qualcosa�visto�che�nel�lontano�2012
venne�stracciato�nel�tempio�di�Wimbledon�da
un�particolarmente�ispirato�Roger�Federer.�Un
umiliante�6-1�6-1�6-1�che�fece�vedere�doppio
se�non�triplo�a�Ramos�oltre�a�farlo�ritornare,
dopo�poco,�di�pessimo�umore�in�spogliatoio.
Già,�proprio�nel�2012,�in�una�delle�migliori
stagioni�di�Ramos�nel�circuito�Atp,�nella
stagione�cioè�che�lo�vide�disputare�la�prima�(e
unica)�finale�in�carriera,�persa�il�15�aprile,�in
quel�di�Casablanca,�contro�un�buon�Pablo
Andujar�che�lo�batté,�pur�tribolando�nel�finale
di�match,�per�6-1�7-6(5).�
�
Insomma,�un�buon�giocatore�che�tocca�più
volte�la�top�50�ma�che,�andando�a�stringere,
più�di�lì�non�va,�un�giocatore�senza�né�arte�né
parte,�concludendo,�un'eterna�comparsa.�Il
buon�Ramos�non�ne�fa�un�dramma,�d'altronde
lui�gioca�a�tennis�da�quando�ha�5�anni,�e�se�non
fosse�stato�cosciente�di�questo�avrebbe
smesso�anzitempo�di�giocare�a�tennis.�Però
qualche�soddisfazione�se�la�prende,�mietendo
qualche�scalpo�illustre.�
�
Nel�2010�nel�torneo�Atp�500�di�Barcellona
sconfigge�il�numero�12�al�mondo�Fernando
Gonzalez,�giocatore�per�niente�facile�da
affrontare�sul�rosso�in�quel�periodo,
conquistandosi�così�il�terzo�turno�prima�di
perdere�contro�Ernest�Gulbis.�Nel�2012�batte�al
terzo�set�Richard�Gasquet�nel�Masters�Series�di
Indian�Wells�e�accede�al�terzo�turno,�sempre
nel�2012,�ma�questa�volta�al�Masters�di�Miami,
batte�il�connazionale�serve�and�volley,�numero
15�del�mondo,�Feliciano�Lopez.�Non�è�tutto,
l'anno�dopo,�sempre�a�Miami,�batte�prima
l'argentino,�numero�14�Atp,�Juan�Monaco�e�poi
l'ex�numero�4�del�mondo�James�Blake,�ma�al
quarto�turno�verrà�fermato�dall'austriaco
Jurgen�Melzer.�A�Barcellona,�sempre�nello
stesso�anno,�ripete�il�suo�stato�di�forma:�liquida
il�gigante�Jerzy�Janowicz�e�il�nipponico�Kei
Nishikori,�prima�di�essere�estromesso�dal�più
nobile�degli�spagnoli,�Rafael�Nadal.�Nel�2015
compie�finalmente�la�più�attesa�delle�vendette
immaginabili:�in�quel�di�Shangai,�nel�prestigioso
e�danarosa�Masters�Series,�batte�per�7-6(4)
2-6�6-3�uno�spento�Roger�Federer,�ma�poco
importa,�battere�il�Re�del�tennis�mondiale�non
è�cosa�da�ogni�giorno,�anche�se,�nella�partita
successiva,�l'iberico�verrà�sconfitto�da�Tsogna,
ma�il�transalpino�faticherà�non�poco,�e�con�un
sospirato�ma�vincente�76(6)�5-7�6-4�piegherà
finalmente�Ramos.
�Poi,�qualche�giorno�fa,�il�suo�capolavoro,compiuto�nella�patria�dei�regolaristi,�i�quarti�di
AlbertRamos,un
premioallacarriera
byGiorgioGiannaccini
E�finalmente�venne�l'ora�di�Albert�Ramos,�unragazzo�qualsiasi�che�ha�avuto�la�sfortuna�dinascere�in�Spagna,�terra,�negli�ultimi�15�anni,�difenomeni�se�non�grandi�giocatori.��
E�per�lui,�ragazzo�né�bello�né�particolarmente
talentoso,�fino�a�poco�tempo�fa�c'erano
soltanto�le�briciole.�Ma�cominciamo�dal
principio:�Albert�Ramos-Vinolas,�ragazzo
spagnolo�classe�'88,�residente�a�Mataro,�è�un
classico�regolarista�della�scuola�iberica.�E'
mancino,�alto�ma�longilineo�(1.88�per�80�kg),�e
basa�tutto�il�suo�gioco�sulle�rotazioni
esasperate�in�top�spin,�non�certo�-�direte�-�un
giocatore�per�cui�uno�paga�il�biglietto,�ed�anzi
un�timido�comprimario�se�non�un'eccelsa
vittima�sacrificale�per�qualsiasi�big�nei�tornei
dell'anno.�
�
Lui�ne�sa�qualcosa�visto�che�nel�lontano�2012
venne�stracciato�nel�tempio�di�Wimbledon�da
un�particolarmente�ispirato�Roger�Federer.�Un
umiliante�6-1�6-1�6-1�che�fece�vedere�doppio
se�non�triplo�a�Ramos�oltre�a�farlo�ritornare,
dopo�poco,�di�pessimo�umore�in�spogliatoio.
Già,�proprio�nel�2012,�in�una�delle�migliori
stagioni�di�Ramos�nel�circuito�Atp,�nella
stagione�cioè�che�lo�vide�disputare�la�prima�(e
unica)�finale�in�carriera,�persa�il�15�aprile,�in
quel�di�Casablanca,�contro�un�buon�Pablo
Andujar�che�lo�batté,�pur�tribolando�nel�finale
di�match,�per�6-1�7-6(5).�
�
Insomma,�un�buon�giocatore�che�tocca�più
volte�la�top�50�ma�che,�andando�a�stringere,
più�di�lì�non�va,�un�giocatore�senza�né�arte�né
parte,�concludendo,�un'eterna�comparsa.�Il
buon�Ramos�non�ne�fa�un�dramma,�d'altronde
lui�gioca�a�tennis�da�quando�ha�5�anni,�e�se�non
fosse�stato�cosciente�di�questo�avrebbe
smesso�anzitempo�di�giocare�a�tennis.�Però
qualche�soddisfazione�se�la�prende,�mietendo
qualche�scalpo�illustre.�
�
Nel�2010�nel�torneo�Atp�500�di�Barcellona
sconfigge�il�numero�12�al�mondo�Fernando
Gonzalez,�giocatore�per�niente�facile�da
affrontare�sul�rosso�in�quel�periodo,
conquistandosi�così�il�terzo�turno�prima�di
perdere�contro�Ernest�Gulbis.�Nel�2012�batte�al
terzo�set�Richard�Gasquet�nel�Masters�Series�di
Indian�Wells�e�accede�al�terzo�turno,�sempre
nel�2012,�ma�questa�volta�al�Masters�di�Miami,
batte�il�connazionale�serve�and�volley,�numero
15�del�mondo,�Feliciano�Lopez.�Non�è�tutto,
l'anno�dopo,�sempre�a�Miami,�batte�prima
l'argentino,�numero�14�Atp,�Juan�Monaco�e�poi
l'ex�numero�4�del�mondo�James�Blake,�ma�al
quarto�turno�verrà�fermato�dall'austriaco
Jurgen�Melzer.�A�Barcellona,�sempre�nello
stesso�anno,�ripete�il�suo�stato�di�forma:�liquida
il�gigante�Jerzy�Janowicz�e�il�nipponico�Kei
Nishikori,�prima�di�essere�estromesso�dal�più
nobile�degli�spagnoli,�Rafael�Nadal.�Nel�2015
compie�finalmente�la�più�attesa�delle�vendette
immaginabili:�in�quel�di�Shangai,�nel�prestigioso
e�danarosa�Masters�Series,�batte�per�7-6(4)
2-6�6-3�uno�spento�Roger�Federer,�ma�poco
importa,�battere�il�Re�del�tennis�mondiale�non
è�cosa�da�ogni�giorno,�anche�se,�nella�partita
successiva,�l'iberico�verrà�sconfitto�da�Tsogna,
ma�il�transalpino�faticherà�non�poco,�e�con�un
sospirato�ma�vincente�76(6)�5-7�6-4�piegherà
finalmente�Ramos.
�Poi,�qualche�giorno�fa,�il�suo�capolavoro,
compiuto�nella�patria�dei�regolaristi,�i�quarti�di
finale�al�Roland�Garros.�Al�primo�turno,�a�dire�il�vero,�Ramos,�ha
qualche�difficoltà�con�l'argentino�Horacio�Zeballos,�buon�giocatore
ma�ancora�lontano�dalla�sua�forma�migliore,�ma�il�sudamericano�a�un
certo�punto�si�sgretola�e�con�un�buon�6-3�4-6�7-5�6-0�Ramos�lo
batte.�Al�secondo�turno�il�compito�è�ancora�più�facile�contro�il
numero�166�del�mondo,�un�altro�argentino,�che�risponde�al�nome
italianeggiante�di�Marco�Trungelliti,�e�con�lui�i�dilemmi�sono�ancora
minori,�basta�un�secco�6-3�6-4�7-5�per�sbatterlo�fuori�dal�torneo,�ma
da�qui�in�poi�cominceranno�i�veri�capolavori.�
�Al�terzo�turno�fa�fuori�in�una�lotta�al�quinto�set�il�promettenteamericano�Jack�Sock:�perso�il�primo�set�al�tie�break�ramos�vince�isuccessivi�due�per�6-4,�Sock�pareggia�i�conti�con,�a�sua�volta,�un�6-4
in�suo�favore�nel�quarto,�prima�che�Ramos�rimetta�in�chiaro�le�cose�alquinto�set,�grazie�sempre�a�un�6-4�che�sancisce�di�fatto�la�fine�di�una
partita�combattutissima.��
“Un�premio�alla�carriera”�dice�perentoriamente�Federico�Ferrero�a
fine�telecronaca�sul�canale�di�Eurosport,�“il�riconoscimento�a�un
ragazzo�che�seriamente�ha�sempre�lavorato,�se�lo�merita”,�aggiunge
concludendo�il�collegamento.�E�già,�un�prestigioso�ottavo�di�finale
che�vale�tantissimo�per�un�giocatore�come�Ramos,�infatti�i�quarti
sembrano�un'utopia�visto�che�alla�prossima�partita�si�ritroverà
difronte�quel�gigante�di�Milos�Raonic,�bombardiere�e�talento�che
detiene�la�poltrona�numero�9�del�ranking�Atp.�No,�Ramos�non�ci�sta,�il
suo�vero�regalo�alla�carriera�se�lo�devo�ancora�fare,�deve�ancora
firmare�il�suo�vero�capolavoro.�Finito�il�riscaldamento,�il�canadese�ci
capirà�poco�di�quella�partita�contro�Ramos.�
�
Tra�corsa,�rotazioni,�tenacia�e�coraggio,�Ramos�tramortisce�Raonic;
non�serve�a�nulla�il�servizio�del�canadese�che�quel�giorno�non�è�più
devastante�ma�anzi�fa�acqua�da�tutte�le�parti:�con�un�netto�e
meritato�6-2�6-4�6-4�Ramos�si�prende�l'ovazione�del�pubblico
parigino.�Non�ci�crede�nemmeno�lui,�un�quarto�a�Parigi...�da�sogno!
Poco�importerà�se�la�partita�successiva�Stanislas�Wawrinka
interromperà�la�favola�bella,�e�riporterà�la�carriera�di�Ramos�alla�solita
e�noiosa�tirannia�dove�vince�sempre�il�più�forte.�
�
Ramos�ha�comunque�completato�il�suo�capolavoro,�e�quel�quarto�di
finale,�ottenuto�nella�cattedrale�dei�regolaristi,�non�glielo�scucirà�più
nessuno�di�dosso,�nemmeno�un�freddo�6-2�6-1�7-6(7)�in�favore
dell'elvetico�che�solo�per�quel�giorno�non�avrà�il�valore�di�una
vittoria.
finale�al�Roland�Garros.�Al�primo�turno,�a�dire�il�vero,�Ramos,�ha
qualche�difficoltà�con�l'argentino�Horacio�Zeballos,�buon�giocatore
ma�ancora�lontano�dalla�sua�forma�migliore,�ma�il�sudamericano�a�un
certo�punto�si�sgretola�e�con�un�buon�6-3�4-6�7-5�6-0�Ramos�lo
batte.�Al�secondo�turno�il�compito�è�ancora�più�facile�contro�il
numero�166�del�mondo,�un�altro�argentino,�che�risponde�al�nome
italianeggiante�di�Marco�Trungelliti,�e�con�lui�i�dilemmi�sono�ancora
minori,�basta�un�secco�6-3�6-4�7-5�per�sbatterlo�fuori�dal�torneo,�ma
da�qui�in�poi�cominceranno�i�veri�capolavori.�
�Al�terzo�turno�fa�fuori�in�una�lotta�al�quinto�set�il�promettenteamericano�Jack�Sock:�perso�il�primo�set�al�tie�break�ramos�vince�isuccessivi�due�per�6-4,�Sock�pareggia�i�conti�con,�a�sua�volta,�un�6-4
in�suo�favore�nel�quarto,�prima�che�Ramos�rimetta�in�chiaro�le�cose�alquinto�set,�grazie�sempre�a�un�6-4�che�sancisce�di�fatto�la�fine�di�una
partita�combattutissima.��
“Un�premio�alla�carriera”�dice�perentoriamente�Federico�Ferrero�a
fine�telecronaca�sul�canale�di�Eurosport,�“il�riconoscimento�a�un
ragazzo�che�seriamente�ha�sempre�lavorato,�se�lo�merita”,�aggiunge
concludendo�il�collegamento.�E�già,�un�prestigioso�ottavo�di�finale
che�vale�tantissimo�per�un�giocatore�come�Ramos,�infatti�i�quarti
sembrano�un'utopia�visto�che�alla�prossima�partita�si�ritroverà
difronte�quel�gigante�di�Milos�Raonic,�bombardiere�e�talento�che
detiene�la�poltrona�numero�9�del�ranking�Atp.�No,�Ramos�non�ci�sta,�il
suo�vero�regalo�alla�carriera�se�lo�devo�ancora�fare,�deve�ancora
firmare�il�suo�vero�capolavoro.�Finito�il�riscaldamento,�il�canadese�ci
capirà�poco�di�quella�partita�contro�Ramos.�
�
Tra�corsa,�rotazioni,�tenacia�e�coraggio,�Ramos�tramortisce�Raonic;
non�serve�a�nulla�il�servizio�del�canadese�che�quel�giorno�non�è�più
devastante�ma�anzi�fa�acqua�da�tutte�le�parti:�con�un�netto�e
meritato�6-2�6-4�6-4�Ramos�si�prende�l'ovazione�del�pubblico
parigino.�Non�ci�crede�nemmeno�lui,�un�quarto�a�Parigi...�da�sogno!
Poco�importerà�se�la�partita�successiva�Stanislas�Wawrinka
interromperà�la�favola�bella,�e�riporterà�la�carriera�di�Ramos�alla�solita
e�noiosa�tirannia�dove�vince�sempre�il�più�forte.�
�
Ramos�ha�comunque�completato�il�suo�capolavoro,�e�quel�quarto�di
finale,�ottenuto�nella�cattedrale�dei�regolaristi,�non�glielo�scucirà�più
nessuno�di�dosso,�nemmeno�un�freddo�6-2�6-1�7-6(7)�in�favore
dell'elvetico�che�solo�per�quel�giorno�non�avrà�il�valore�di�una
vittoria.
AspettandoWimbledon,la
Franciainaugurailsuo
Giardino(sognandoun
torneoATP)
byNiccolòInches
Deauville�-�La�febbre�da�erba�sale�sempre�di
più,�con�il�torneo�di�Wimbledon�che�andrà�in
scena�a�breve�(27�giugno-10�luglio).�Ciò�accade
anche�in�Francia,�paese�ospitante�del
Campionato�del�Mondo�su�terra�rossa�-�il
Roland�Garros�-�ma�i�cui�rappresentanti�con
racchetta�si�sono�sempre�espressi�con�maggior
efficacia�sui�prati:�Richard�Gasquet�doppio
semifinalista�a�Church�Road,�così�come�Jo-
Wilfried�Tsonga�autore�di�una�clamorosa
eliminazione�di�Roger�Federer�nel�2010.�Senza
dimenticare�le�gesta�della�campionessa�di
Wimbledon�2006�Amélie�Mauresmo,�la�finale�di
Cédric�Pioline�persa�da�Sampras�(‘97),�la�“semi”
di�Henri�Leconte�nell’86,�fino�allo�specialista
tutt’ora�in�attività�-�e�fresco�n.1�del�mondo�in
doppio�-�Nicolas�Mahut,�interprete�“erbivoro”�di
tutto�rispetto�e�reduce�della�storica�maratona
con�John�Isner�ai�Championships�2010.
�
La�Voglia�di�Erba�dei�francesi�pare�aver
finalmente�trovato�una�valvola�di�sfogo:�il
merito�è�del�duo�Grégory�Brussot�e�Martin
Besançon,�che�mercoledì�9�giugno�hanno
inaugurato�nella�città�di�Deauville�(Normandia)
il�primo�circolo�interamente�in�erba�nella�storia
del�tennis�francese,�alla�presenza�del
Presidente�della�Federazione�transalpina�Jean
Gachassin.�Prima�di�quelli�del�“Lawn�Tennis
Club”�della�città,�infatti,�su�tutto�il�territorio
esagonale�era�rintracciabile�solo�il�campo
(blindatissimo)�dell’Ambasciata�di�Gran
Bretagna�a�Parigi.�Gli�amanti�del�genere�ne
avranno�presto�a�disposizione�ben�14,�aperti�adiscrizioni�annuali�o�anche�per�prenotazioni�oneshot,�alla�modica�cifra�di�40�euro�l'ora.
�
L’iniziativa�dei�due,�a�loro�detta,�fu�stimolata�da
un�titolo�del�quotidiano�sportivo�“L’Equipe”�del
2007:�“Campi�in�erba,�perché�no?”.�Et�voilà:�il
risultato�sono�4�campi�già�utilizzabili,�un
terreno�pronto�ad�ospitarne,�un�altro�in
preparazione�per�la�zollatura�e�un�Centrale�che
potrebbe�ospitare�un�giorno�degli�eventi�di
rilievo:�“Questa�di�Deauville�è�una�sfida
straordinaria”,�ha�esclamato�Gachassin,�“Il
circolo�sarà�certamente�presente�sulla�lista�dei
candidati�ad�ospitare�un�week-end�di�Coppa
Davis�o�Fed�Cup.�Poi,�certo,�dipende�dalle
scelte�del�Capitano”.
�
L’obiettivo�dichiarato,�o�in�ogni�caso�il�“Sogno”
di�questi�due�Frères�Lumière�du�Gazon,�è�farne
nel�giro�di�qualche�stagione�il�teatro�di�un
torneo�Challenger�o�di�un�Atp�250.�Nel
frattempo,�come�affermato�dal�responsabile
della�Lega�regionale�Olivier�Halbout,�“In�una
terra�di�grande�tradizione�su�terra�battuta�come
la�Normandia,�questo�circolo�non�può�che
essere�una�ricchezza,�per�i�giovani�soprattutto
(...)�Si�possono�organizzare�dei�veri�e�propri
stage�su�erba�con�i�tecnici�federali�e�potrebbero
aprirsi�finestre�importante�per�eventuali
competizioni�giovanili,�regionali�e�non”.�Per�non
parlare�dell’appeal�internazionale:�“I�giocatori
che�vogliono�prepararsi�a�Wimbledon�possono
venire�qui”,�ha�aggiunto�Gachassin,�e�Halbout
gli�ha�fatto�eco�evocando�“L’interesse�di�altre
leghe”�per�lo�sfruttamento�dei�campi.
�
Nell’attesa,�il�match�tra�l’ex�top�50�Marc
Gicquel�e�l’attuale�n°230�Atp�Axel�Michon�ha
aperto�un�mini-torneo�di�esibizione�che�vedrà
impegnati�anche�Jérémy�Chardy�e�Quentin
Halys,�impegnati�recentemente�al�Roland
Garros.�Anche�Tennis�World�Italia,�presente
all’inaugurazione,�ha�avuto�l’opportunità�di
provare�in�anteprima�i�prati�di�Deauville,�resi
purtroppo�umidi�e�scivolosi�dalle�nuvole�del
Nord�della�Francia.�“L’erba�è�tagliata�tra�gli�8�e�i
10�millimetri”,�ci�ha�spiegato�Besançon,
specificando�come�il�circolo�preveda�“Due�tipi
di�terreni.�Uno,�quello�previsto�peraltro�per�il
Centrale,�realizzato�con�il�contributo�dei�tecnici
del�torneo�inglese�del�Queen’s;�l’altro,�per�il
quale�ci�siamo�appoggiati�sull’expertise�della
società�francese�Natural�Grass,�è�caratterizzato
dal�cosiddetto�“sostrato�fibrato”,�con�aggiunta
di�sabbia,�che�ne�accentua�la�permeabilità
permettendo�un�rapido�riutilizzo�in�caso�di
pioggia”.�Il�circolo,�inoltre,�si�avvale�di�2
“giardinieri”�a�tempo�pieno�-�che�assicurano�1-2
“tosate”�al�giorno�-�e�di�una�terza�persona�a
supervisionare�i�lavori:�una�sorta�di�green
keeper,�come�nel�golf.
Proprio�il�golf,�per�stessa�ammissione�dei
fondatori,�rappresenta�il�business�model�di
riferimento,�almeno�per�i�primi�anni�di�vita�del
Lawn�Tennis�Club�Deauville.�Nonostante�un
terzo�del�budget�sia�assicurato�dalle�collettività
locali,�i�già�23�partner�privati�rendono�il�circolo
un�laboratorio�che�fonde�tennis�e�impresa,
anche�grazie�alla�presenza�di�sale�conferenze,
ristorante�e�boutique.�Tappa�forse�obbligata
per�assicurare�una�crescita�ancor�più�rapida�di
questo�“microcosmo�in�erba”,�con�il�quale�il
movimento�francese�intende�massimizzare�le
potenzialità�dei�propri�esponenti�sul�verde�-�e,
magari,�attrarre�ulteriori�attori�internazionali.
Sul�Roland�Garros�non�ci�sarà�ancora�il�tetto,
ma�(almeno)�si�muove�qualcosa�nel�tennis
transalpino.
RogerFederer
deveparlare
byRiccardoZuliani
Se�ci�si�fosse�fermati�alle�apparenze,
quell’esibizione�sarebbe�risultata�assolutamente
e�inequivocabilmente�brutta.�Il�fatto�è�che�le
apparenze�sono�tutto�per�qualcuno.�Per
qualcun�altro�invece�sono�molto�di�più.�Sono�la
sostanza�di�un�evento.�E�questo�qualcun�altro
era�colui�che�aveva�presenziato�al�match�di
Roger�Federer.
A�dire�il�vero,�erano�in�tanti�ad�assistere,�e
nessuno�di�questi�si�era�fermato�alle�apparenze.
Ovviamente.�Il�concetto,�per�intenderci,�è�che
l’incontro�era�stato�davvero�orribile,�una�di
quelle�cose�per�cui�non�si�sa�bene�perché�nel
tennis�non�possano�andarsene�a�casa�in�due,
perché�debba�per�forza�esserci�un�vincitore,
perché�in�sostanza�si�siano�sborsati�tutti�quei
quattrini�per�assistere�a�stecche,�palle
scentrate,�addirittura�mancate,�praticamente�un
errore�gratuito�dietro�l’altro,�un�disastro
colossale,�oggettivamente�non�una�partita,
l’olocausto�del�colpo�vincente.
�
Però�c’era�in�campo�Federer.
Il�che�non�è�cosa�da�poco,�considerando�che
c’era�in�campo�il�“dio�del�tennis”.�È�bene
ricordare�che�la�religione�è�stata�pensata�in
modo�tale�per�cui�anche�quando�non�si�riceva
apparentemente�nulla�di�buono�dal�proprio�dio,
in�questo�dio�si�continui�a�credere,�e�forse
ancor�più�di�prima.�Perché�ci�sta�mettendo�alla
prova.�Ecco.�Spesso�le�persone�che�vanno�a
vedere�Federer�(perché�vanno�a�vedere
Federer),�non�si�rendono�conto�che�quella�che,
secondo�loro,�dovrebbe�essere�una�prova�dello
svizzero,�è�invece�una�prova�tutta�loro,�di�cui
Federer�è,�per�così�dire,�giudice,�spettatore.
�
In�più�sensi,�tra�l’altro.�Nel�primo�senso�per
quanto�si�è�or�ora�fatto�capire,�perché�la�gente
va�a�vedere�Federer,�ma�spesso�Federer�è�così
diverso�dal�Federer�che�ci�si�aspettava,�che�non
si�è�visto�realmente�Federer,�se�non�a�tratti,�e
tutto�il�resto�va�dimenticato,�e�va�dimenticato
nel�tempo�in�cui�un�ballboy�lancia�al�giocatore
la�pallina�che�sarà�protagonista�del�punto
successivo.
�
Quei�tratti�in�cui�Federer�è�realmente�Federer,
quelli�sono�gli�unici�attimi�che�si�intagliano�in
modo�radicale�nelle�anime�degli�spettatori,
piccole�fibre�che�andranno�a�costituire�il�vero
tessuto�contemplativo�delle�persone.
�
Nessuno�si�accorge�degli�errori�di�Federer,�il
tempo�è�fermo�ogni�volta�che�lui�non�fa�ciò�che
un�dio�deve�fare,�ma�quando�riprende�ad
elargire�la�sua�grazia�ed�i�suoi�doni,�allora�viene
adorato�in�maniera�totale,�crescente,
commovente.�L’atmosfera�del�santuario�fa�si
che�ogni�segno�divino�sia�il�grande�segno,�e
tutto�il�resto�semplice�incapacità�umana�di
capire�e�vedere.�Di�vedere�oltre.
�
L’altro�senso�per�cui�la�gente�che�va�a�vedere
Federer�per�vedere�Federer�non�vedrà�Federer,
e�non�lo�giudicherà,�è�il�fatto�che�in�campo
attraverso�di�lui�si�mostra�il�gioco�del�tennis
nella�sua�scarnificata�purificata�e�nuda�essenza,
senza�che�interprete�alcuno�si�faccia�carico
della�sua�creazione.�Federer�quando�incarna�il
tennis�incarna�il�tennis,�si�dimentica�di�sé
stesso,�di�tutto�ciò�che�è�stato�e�sarà,�di�tutti�i
suoi�affetti,�di�tutto�ciò�che�lo�ha�portato�a
trovarsi�lì,�esce�da�sé�stesso,�e�si�siede�tra�il
pubblico,�ad�ammirarsi,�invero�anche�lui.
�
Nel�momento�in�cui�il�tennis�entra�in�campo
Federer�esce,�la�sua�biografia�se�ne�va,�e�rimane
solo�lo�spettacolo�di�un�movimento�perfetto�e
disinteressato,�che�colpisce�non�per�fare�il
punto�-�il�disinteresse�è�totale�verso
l’ottenimento�del�risultato�-,�e�che�il�punto�lo
farà�ugualmente,�perché�non�si�tratterà�più�di
sopraffare�un�avversario,�ma�di�condurlo�con
sé,�di�prenderlo�per�mano�e�renderlo�partecipe
di�quel�grande�movimento�a�cui�si�è�data�vita,
lì,�in�quel�campo,�in�quel�momento.
�
L’avversario�di�Federer�collaborerà�con�Federer
perché�si�realizzi�il�grande�spettacolo,�e�il
tennis�prenda�il�posto�sul�palco,�sotto�la�ribalta,
per�un�qualche�breve�istante�che�sarà�appena
precedente�all’istante�successivo,�e�collegato
con�esso,�senza�che�gli�errori�e�ciò�che�di
umano�rientrerà�in�campo�a�fare�da�intermezzo
tra�i�due�istanti�potranno�rendere�meno
omogeneo�e�coerente�l’arabesco�che�sta
venendo�a�vita.�È�l’ultimo�istante�di�bellezza,�in
qualsiasi�momento�avverrà,�con�un�qualsiasi
numero�di�momenti�perfetti�ad�esso
precedenti,�renderà�concluso�il�tessuto,�ed
armonioso,�e�grande.�Le�persone�che�hanno
assistito,�avvertono�con�lucifera�profondità�ciò
che�era�mancato�loro�sino�a�quel�momento,
ossia�quel�momento�stesso.�Se�gli�arbitri,�se�gli
avversari,�se�il�pubblico�non�dovessero�essere
vincolati�alle�proprie�leggi�naturali�(quelle�per
cui�esiste�una�cosa�chiamata�“punto”;�e�per�cui
ad�un�”punto”�deve�seguire�necessariamente�un
altro�“punto”;�che�esiste�una�forma�di
apprezzamento-ringraziamento�-�di�tale
“punto”�che�avviene�mediante�gestualità�quali
l’applauso)�il�balzo�di�Federer�e�della�pallina�che
lo�segue�-�e�non�il�contrario�-�potrebbero
continuare�ininterrottamente,�ascendere�al
cielo,�levitare�sopra�le�teste�degli�spettatori
anche�spazialmente,�oltre�che�sostanzialmente,
ed�irradiare�grazia�dall’alto,�come�il�sole.�Come
il�sole.
�Il�fatto�che�comunque�ci�sia�un�pubblico�e�unedificio�di�leggi�che�tentino�di�ostacolarlo�o,�perlo�meno,�di�inquadrarlo,�non�fa�altro�che
RogerFederer
deveparlare
byRiccardoZuliani
Se�ci�si�fosse�fermati�alle�apparenze,
quell’esibizione�sarebbe�risultata�assolutamente
e�inequivocabilmente�brutta.�Il�fatto�è�che�le
apparenze�sono�tutto�per�qualcuno.�Per
qualcun�altro�invece�sono�molto�di�più.�Sono�la
sostanza�di�un�evento.�E�questo�qualcun�altro
era�colui�che�aveva�presenziato�al�match�di
Roger�Federer.
A�dire�il�vero,�erano�in�tanti�ad�assistere,�e
nessuno�di�questi�si�era�fermato�alle�apparenze.
Ovviamente.�Il�concetto,�per�intenderci,�è�che
l’incontro�era�stato�davvero�orribile,�una�di
quelle�cose�per�cui�non�si�sa�bene�perché�nel
tennis�non�possano�andarsene�a�casa�in�due,
perché�debba�per�forza�esserci�un�vincitore,
perché�in�sostanza�si�siano�sborsati�tutti�quei
quattrini�per�assistere�a�stecche,�palle
scentrate,�addirittura�mancate,�praticamente�un
errore�gratuito�dietro�l’altro,�un�disastro
colossale,�oggettivamente�non�una�partita,
l’olocausto�del�colpo�vincente.
�
Però�c’era�in�campo�Federer.
Il�che�non�è�cosa�da�poco,�considerando�che
c’era�in�campo�il�“dio�del�tennis”.�È�bene
ricordare�che�la�religione�è�stata�pensata�in
modo�tale�per�cui�anche�quando�non�si�riceva
apparentemente�nulla�di�buono�dal�proprio�dio,
in�questo�dio�si�continui�a�credere,�e�forse
ancor�più�di�prima.�Perché�ci�sta�mettendo�alla
prova.�Ecco.�Spesso�le�persone�che�vanno�a
vedere�Federer�(perché�vanno�a�vedere
Federer),�non�si�rendono�conto�che�quella�che,
secondo�loro,�dovrebbe�essere�una�prova�dello
svizzero,�è�invece�una�prova�tutta�loro,�di�cui
Federer�è,�per�così�dire,�giudice,�spettatore.
�
In�più�sensi,�tra�l’altro.�Nel�primo�senso�per
quanto�si�è�or�ora�fatto�capire,�perché�la�gente
va�a�vedere�Federer,�ma�spesso�Federer�è�così
diverso�dal�Federer�che�ci�si�aspettava,�che�non
si�è�visto�realmente�Federer,�se�non�a�tratti,�e
tutto�il�resto�va�dimenticato,�e�va�dimenticato
nel�tempo�in�cui�un�ballboy�lancia�al�giocatore
la�pallina�che�sarà�protagonista�del�punto
successivo.
�
Quei�tratti�in�cui�Federer�è�realmente�Federer,
quelli�sono�gli�unici�attimi�che�si�intagliano�in
modo�radicale�nelle�anime�degli�spettatori,
piccole�fibre�che�andranno�a�costituire�il�vero
tessuto�contemplativo�delle�persone.
�
Nessuno�si�accorge�degli�errori�di�Federer,�il
tempo�è�fermo�ogni�volta�che�lui�non�fa�ciò�che
un�dio�deve�fare,�ma�quando�riprende�ad
elargire�la�sua�grazia�ed�i�suoi�doni,�allora�viene
adorato�in�maniera�totale,�crescente,
commovente.�L’atmosfera�del�santuario�fa�si
che�ogni�segno�divino�sia�il�grande�segno,�e
tutto�il�resto�semplice�incapacità�umana�di
capire�e�vedere.�Di�vedere�oltre.
�
L’altro�senso�per�cui�la�gente�che�va�a�vedere
Federer�per�vedere�Federer�non�vedrà�Federer,
e�non�lo�giudicherà,�è�il�fatto�che�in�campo
attraverso�di�lui�si�mostra�il�gioco�del�tennis
nella�sua�scarnificata�purificata�e�nuda�essenza,
senza�che�interprete�alcuno�si�faccia�carico
della�sua�creazione.�Federer�quando�incarna�il
tennis�incarna�il�tennis,�si�dimentica�di�sé
stesso,�di�tutto�ciò�che�è�stato�e�sarà,�di�tutti�i
suoi�affetti,�di�tutto�ciò�che�lo�ha�portato�a
trovarsi�lì,�esce�da�sé�stesso,�e�si�siede�tra�il
pubblico,�ad�ammirarsi,�invero�anche�lui.
�
Nel�momento�in�cui�il�tennis�entra�in�campo
Federer�esce,�la�sua�biografia�se�ne�va,�e�rimane
solo�lo�spettacolo�di�un�movimento�perfetto�e
disinteressato,�che�colpisce�non�per�fare�il
punto�-�il�disinteresse�è�totale�verso
l’ottenimento�del�risultato�-,�e�che�il�punto�lo
farà�ugualmente,�perché�non�si�tratterà�più�di
sopraffare�un�avversario,�ma�di�condurlo�con
sé,�di�prenderlo�per�mano�e�renderlo�partecipe
di�quel�grande�movimento�a�cui�si�è�data�vita,
lì,�in�quel�campo,�in�quel�momento.
�
L’avversario�di�Federer�collaborerà�con�Federer
perché�si�realizzi�il�grande�spettacolo,�e�il
tennis�prenda�il�posto�sul�palco,�sotto�la�ribalta,
per�un�qualche�breve�istante�che�sarà�appena
precedente�all’istante�successivo,�e�collegato
con�esso,�senza�che�gli�errori�e�ciò�che�di
umano�rientrerà�in�campo�a�fare�da�intermezzo
tra�i�due�istanti�potranno�rendere�meno
omogeneo�e�coerente�l’arabesco�che�sta
venendo�a�vita.�È�l’ultimo�istante�di�bellezza,�in
qualsiasi�momento�avverrà,�con�un�qualsiasi
numero�di�momenti�perfetti�ad�esso
precedenti,�renderà�concluso�il�tessuto,�ed
armonioso,�e�grande.�Le�persone�che�hanno
assistito,�avvertono�con�lucifera�profondità�ciò
che�era�mancato�loro�sino�a�quel�momento,
ossia�quel�momento�stesso.�Se�gli�arbitri,�se�gli
avversari,�se�il�pubblico�non�dovessero�essere
vincolati�alle�proprie�leggi�naturali�(quelle�per
cui�esiste�una�cosa�chiamata�“punto”;�e�per�cui
ad�un�”punto”�deve�seguire�necessariamente�un
altro�“punto”;�che�esiste�una�forma�di
apprezzamento-ringraziamento�-�di�tale
“punto”�che�avviene�mediante�gestualità�quali
l’applauso)�il�balzo�di�Federer�e�della�pallina�che
lo�segue�-�e�non�il�contrario�-�potrebbero
continuare�ininterrottamente,�ascendere�al
cielo,�levitare�sopra�le�teste�degli�spettatori
anche�spazialmente,�oltre�che�sostanzialmente,
ed�irradiare�grazia�dall’alto,�come�il�sole.�Come
il�sole.
�
Il�fatto�che�comunque�ci�sia�un�pubblico�e�unedificio�di�leggi�che�tentino�di�ostacolarlo�o,�perlo�meno,�di�inquadrarlo,�non�fa�altro�che
accentuarne�l’immensa�raffinatezza�stilistica:
come�il�poeta,�che�solo�quando�è�forzato�dal
metro�riesce�a�spiccare�balzi�estetici�di�così
rara�levatura,�così�l’elvetico�si�fa�carico�di�tutte
le�pressioni�provenienti�dall’esterno,�dagli
avversari,�dal�mondo,�per�farne�un�tessuto
intricatissimo�entro�le�cui�smagliature�potersi
inserire�e�,poi,�venirne�fuori,�rituffarcisi�dentro
con�scomparse�intermittenti�e�poi,�ecco,�di
nuovo�sgusciare�fuori�da�luoghi�inaspettati,�con
movimenti�vertiginosi.�E�non�è�un�caso�se
quando�puoi�assistere�alle�sue�apparizioni,�le
traiettorie�e�i�movimenti�della�pallina�non
hanno�alcun�rilievo,�dal�momento�che�tutto�ciò
che�ti�basta�è�seguire�le�vibrazioni�sinuose�del
suo�corpo,�la�cui�causa�e�conseguenza�dirette
non�sono�altro�che�i�tragitti�della�sfera.
�
Con�Federer�si�può�ritagliare�un’inquadratura
che�copra�l’avversario�e�il�campo�e�tutto�il
resto,�tranne�che�lui,�e�ti�racconterà
ugualmente,�senza�tralasciare�nulla-�anzi,
mostrando�qualcosa�in�più�rispetto�a�quanto�la
visione�di�un�campo�dall’alto�potrebbe
rivelarti-,�la�storia�di�quella�partita,�la�storia�del
tennis.
�
E,�soddisfatti,�tutti,�si�potrà�tornare�alle�proprie
case,�alle�proprie�vite,�come�se�nulla�fosse
stato,�come�se�tutto�fosse�stato,�dimentichi�di
essere�stati�giudicati�dal�dio�del�tennis,
inconsapevoli�della�sua�bontà�che�tutti�accetta
e�tutti�perdona�e�tutti�lascia�passare,�ignari�di
aver�superato,�tutti,�una�grande�prova,�sicuri
che�dietro�alla�vita,�oltre�la�vita,�se�non�altro,
c’è�il�grande�tennis,�e�c’è�Roger�Federer.
�
E,�pur�pensando�sia�tutto�lì,�è�tutto�qui.�Tra
poche�righe�redatte�da�chi�a�quell’evento�non
presenziò.
�
Del�resto,�Federer�quella�partita�l’aveva�persa.
accentuarne�l’immensa�raffinatezza�stilistica:
come�il�poeta,�che�solo�quando�è�forzato�dal
metro�riesce�a�spiccare�balzi�estetici�di�così
rara�levatura,�così�l’elvetico�si�fa�carico�di�tutte
le�pressioni�provenienti�dall’esterno,�dagli
avversari,�dal�mondo,�per�farne�un�tessuto
intricatissimo�entro�le�cui�smagliature�potersi
inserire�e�,poi,�venirne�fuori,�rituffarcisi�dentro
con�scomparse�intermittenti�e�poi,�ecco,�di
nuovo�sgusciare�fuori�da�luoghi�inaspettati,�con
movimenti�vertiginosi.�E�non�è�un�caso�se
quando�puoi�assistere�alle�sue�apparizioni,�le
traiettorie�e�i�movimenti�della�pallina�non
hanno�alcun�rilievo,�dal�momento�che�tutto�ciò
che�ti�basta�è�seguire�le�vibrazioni�sinuose�del
suo�corpo,�la�cui�causa�e�conseguenza�dirette
non�sono�altro�che�i�tragitti�della�sfera.
�
Con�Federer�si�può�ritagliare�un’inquadratura
che�copra�l’avversario�e�il�campo�e�tutto�il
resto,�tranne�che�lui,�e�ti�racconterà
ugualmente,�senza�tralasciare�nulla-�anzi,
mostrando�qualcosa�in�più�rispetto�a�quanto�la
visione�di�un�campo�dall’alto�potrebbe
rivelarti-,�la�storia�di�quella�partita,�la�storia�del
tennis.
�
E,�soddisfatti,�tutti,�si�potrà�tornare�alle�proprie
case,�alle�proprie�vite,�come�se�nulla�fosse
stato,�come�se�tutto�fosse�stato,�dimentichi�di
essere�stati�giudicati�dal�dio�del�tennis,
inconsapevoli�della�sua�bontà�che�tutti�accetta
e�tutti�perdona�e�tutti�lascia�passare,�ignari�di
aver�superato,�tutti,�una�grande�prova,�sicuri
che�dietro�alla�vita,�oltre�la�vita,�se�non�altro,
c’è�il�grande�tennis,�e�c’è�Roger�Federer.
�
E,�pur�pensando�sia�tutto�lì,�è�tutto�qui.�Tra
poche�righe�redatte�da�chi�a�quell’evento�non
presenziò.
�
Del�resto,�Federer�quella�partita�l’aveva�persa.
Maquellasfera
laggiùchevedi
volteggiarein
aria,tucredisia
unapallinaoun
Rovescio?
byRiccardoZuliani
Rispetto�a�quel�dritto�che
stai�eseguendo�laggiù�in
fondo�dall’altra�parte�del
campo,�ho�da�dirti�molto.
�
In�primis,�è�bellissimo.�E’
bellissimo�il�gesto�che�il�tuo
corpo�sta�mettendo�in�scena,
l’orchestrata�strutturazione
di�una�figura�omogenea�ed
armoniosa�composta�da
miriadi�di�segmenti,�fasci�e
“pezzi”,�la�collimazione�di
propulsioni�normalmente
indipendenti�e�ora,�per
l’occasione,�riunitesi�per�fare
fronte�comune�ad�una
Grande�richiesta�di
Uniformità.�Eterogeneità�che
s’irradia�in�tutte�le�sue
sfaccettature�grazie�ad
un’implosione�dei�fini,
Specificità�che�si�colgono
tutte�con�una�sola�occhiata.
�
E’�uno�sguardo�d’insieme.Ma�come�fai?�Ti�ho�lanciato(non�ho�altri�verbi�perdenotare�la�lampantecarenza�artistica�della�miaesecuzione)�la�pallina�con
una�tal�violenza�e�precisione
che�il�tempo�perché
compiessi�un�gesto�anche
semplicemente�coordinato
era�pressochè�nullo.
�
Proprio�in�virtù�di�questa
mancanza�temporale,�tu�ti
sei�fatto�un�baffo�della�sua
coordinazione�e�ti�sei�dato
alla�danza�sinuosa.�Se�non�ci
fosse�la�pallina�che�arriva�in
quel�modo,�tu�non
compiresti�nulla�del�genere,
non�ne�saresti�capace.�Ma�la
pallina�c’è,�e�sta�giungendo,
è�l’esito�di�un�mio�rovescio,�è
dunque�una�pallina-rovescio,
è�il�mio�rovescio�che�ti�sta
arrivando.�Diciamo�il�retaggio
del�mio�rovescio,�che�lo
serba�tutto�contratto�e
sintetizzato�in�sé.
Di�certo,�non�è�solo�una
pallina�quella�che�ti�si�sta
avvicinando.�E’�un�rovescio
lungolinea,�è�il�gesto�di�un
braccio�che�si�blocca�sul�lato
sinistro�per�non�permettere
all’impatto�con�la�pallina�di
fiondarla�in�direzione
incrociata,�ossia�in�direzione
eguale�ma�di�verso�opposto
rispetto�a�quella�in�cui�m’era
giunta.
�
Ricordo�che�il�rovescio�fu
l’ultimo�colpo�che�aggiunsi�al
mio�repertorio,�nell’unico
senso�per�cui�una�frase�di
questo�tipo�possa�avere�un
senso:�fu�il�passaggio�dalle
due�mani�con�cui�lo�eseguivo
inizialmente�all’unica�con�cui
lo�fissai�poi�per�sempre,�a
costituire�l’ultima�aggiunta�al
mio�bagaglio�tecnico.�Un
fondamentale�che�arrivò
dopo�non�solo�tutti�gli�altri
fondamentali,�ma�addirittura
in�seguito�all’arrivo�di�colpi
assolutamente�accessori
quali�il�recupero�di
pallonetto�sotto�le�gambe,�la
veronica�(la�quale�fu
aggiunta�più�per�la�dolcezza
del�nome�che�non�per�reale
utilità,�anzi,�specifichiamo,�la
quale�era�già�presente�da
sempre�come�unica�e
spontanea�via�di�fuga�da
situazioni�volatilmente
scomode�Ma�che�poi�,�in
seguito�alla�scoperta�del
nome�con�il�quale�si
designava�un�gesto�uguale
ma�non�Imparato�come�tale,
fu�re-imparata,�identica,�ma
veronica,�dunque
diversissima)�),�la�smorzata
con�taglio�all’indietro,�la
battuta�da�sotto
(ancestralmente�presente
nelle�corde�emotive�e
tennistiche�di�ognuno,�essa
riceve�il�suo�reale�battesimo
solo�quando�utilizzata�dopo
aver�imparato�il�canonico
servizio�dall’alto,�utilizzata
perché�scelta�e�non�perché
Unica�possibilità�,dunque�).
�
Imparai�il�rovescio�ad�una
mano�per�il�semplice�fatto
che�mi�dava�l’idea�di�essere
un�gesto�tecnico
esteticamente�più
gradevole-�al�tempo�non
sapevo�che�l’eleganza�del
gesto�dipende�dall’eleganza
del�gesto,�e�che�il�gesto�è
sempre�unico�ed
irriproducibile,�slegato�dalle
basi�con�le�quali�lo�si
sostanzia,�tutt’al�più
agevolato�da�certe
componenti�più
“aerodinamiche”�e�“leggere”,
forse�più�disponibili
all’evento�creativo,
all’inserimento�di�quel�quid
in�più,�totalmente�personale,
con�cui�renderlo
effettivamente�Pregiato.
�
Avevo�investito�sudore�e
nervi�su�quel�rovescio,
sull’alleggerimento�di�quel
rovescio.�Avevo�lavorato
assiduamente�per
concedermi�la�possibilità
futura�di�essere�elegante�con
più�semplicità,�d’ottenere
con�pochi�sforzi�la�bellezza
che�con�tanti�sforzi�a�monte
m’ero�lasciato�in�eredità.
Alla�fine�le�mie�faticheavevano�ottenuto�i�lorobuoni�risultati,�a�fronte�di
tanti�insuccessi�sul�campoderivanti�da�un�colpodecisamente�poco
Maquellasfera
laggiùchevedi
volteggiarein
aria,tucredisia
unapallinaoun
Rovescio?
byRiccardoZuliani
Rispetto�a�quel�dritto�che
stai�eseguendo�laggiù�in
fondo�dall’altra�parte�del
campo,�ho�da�dirti�molto.
�
In�primis,�è�bellissimo.�E’
bellissimo�il�gesto�che�il�tuo
corpo�sta�mettendo�in�scena,
l’orchestrata�strutturazione
di�una�figura�omogenea�ed
armoniosa�composta�da
miriadi�di�segmenti,�fasci�e
“pezzi”,�la�collimazione�di
propulsioni�normalmente
indipendenti�e�ora,�per
l’occasione,�riunitesi�per�fare
fronte�comune�ad�una
Grande�richiesta�di
Uniformità.�Eterogeneità�che
s’irradia�in�tutte�le�sue
sfaccettature�grazie�ad
un’implosione�dei�fini,
Specificità�che�si�colgono
tutte�con�una�sola�occhiata.
�
E’�uno�sguardo�d’insieme.Ma�come�fai?�Ti�ho�lanciato(non�ho�altri�verbi�perdenotare�la�lampantecarenza�artistica�della�miaesecuzione)�la�pallina�con
una�tal�violenza�e�precisione
che�il�tempo�perché
compiessi�un�gesto�anche
semplicemente�coordinato
era�pressochè�nullo.
�
Proprio�in�virtù�di�questa
mancanza�temporale,�tu�ti
sei�fatto�un�baffo�della�sua
coordinazione�e�ti�sei�dato
alla�danza�sinuosa.�Se�non�ci
fosse�la�pallina�che�arriva�in
quel�modo,�tu�non
compiresti�nulla�del�genere,
non�ne�saresti�capace.�Ma�la
pallina�c’è,�e�sta�giungendo,
è�l’esito�di�un�mio�rovescio,�è
dunque�una�pallina-rovescio,
è�il�mio�rovescio�che�ti�sta
arrivando.�Diciamo�il�retaggio
del�mio�rovescio,�che�lo
serba�tutto�contratto�e
sintetizzato�in�sé.
Di�certo,�non�è�solo�una
pallina�quella�che�ti�si�sta
avvicinando.�E’�un�rovescio
lungolinea,�è�il�gesto�di�un
braccio�che�si�blocca�sul�lato
sinistro�per�non�permettere
all’impatto�con�la�pallina�di
fiondarla�in�direzione
incrociata,�ossia�in�direzione
eguale�ma�di�verso�opposto
rispetto�a�quella�in�cui�m’era
giunta.
�
Ricordo�che�il�rovescio�fu
l’ultimo�colpo�che�aggiunsi�al
mio�repertorio,�nell’unico
senso�per�cui�una�frase�di
questo�tipo�possa�avere�un
senso:�fu�il�passaggio�dalle
due�mani�con�cui�lo�eseguivo
inizialmente�all’unica�con�cui
lo�fissai�poi�per�sempre,�a
costituire�l’ultima�aggiunta�al
mio�bagaglio�tecnico.�Un
fondamentale�che�arrivò
dopo�non�solo�tutti�gli�altri
fondamentali,�ma�addirittura
in�seguito�all’arrivo�di�colpi
assolutamente�accessori
quali�il�recupero�di
pallonetto�sotto�le�gambe,�la
veronica�(la�quale�fu
aggiunta�più�per�la�dolcezza
del�nome�che�non�per�reale
utilità,�anzi,�specifichiamo,�la
quale�era�già�presente�da
sempre�come�unica�e
spontanea�via�di�fuga�da
situazioni�volatilmente
scomode�Ma�che�poi�,�in
seguito�alla�scoperta�del
nome�con�il�quale�si
designava�un�gesto�uguale
ma�non�Imparato�come�tale,
fu�re-imparata,�identica,�ma
veronica,�dunque
diversissima)�),�la�smorzata
con�taglio�all’indietro,�la
battuta�da�sotto
(ancestralmente�presente
nelle�corde�emotive�e
tennistiche�di�ognuno,�essa
riceve�il�suo�reale�battesimo
solo�quando�utilizzata�dopo
aver�imparato�il�canonico
servizio�dall’alto,�utilizzata
perché�scelta�e�non�perché
Unica�possibilità�,dunque�).
�
Imparai�il�rovescio�ad�una
mano�per�il�semplice�fatto
che�mi�dava�l’idea�di�essere
un�gesto�tecnico
esteticamente�più
gradevole-�al�tempo�non
sapevo�che�l’eleganza�del
gesto�dipende�dall’eleganza
del�gesto,�e�che�il�gesto�è
sempre�unico�ed
irriproducibile,�slegato�dalle
basi�con�le�quali�lo�si
sostanzia,�tutt’al�più
agevolato�da�certe
componenti�più
“aerodinamiche”�e�“leggere”,
forse�più�disponibili
all’evento�creativo,
all’inserimento�di�quel�quid
in�più,�totalmente�personale,
con�cui�renderlo
effettivamente�Pregiato.
�
Avevo�investito�sudore�e
nervi�su�quel�rovescio,
sull’alleggerimento�di�quel
rovescio.�Avevo�lavorato
assiduamente�per
concedermi�la�possibilità
futura�di�essere�elegante�con
più�semplicità,�d’ottenere
con�pochi�sforzi�la�bellezza
che�con�tanti�sforzi�a�monte
m’ero�lasciato�in�eredità.
Alla�fine�le�mie�faticheavevano�ottenuto�i�lorobuoni�risultati,�a�fronte�di
tanti�insuccessi�sul�campoderivanti�da�un�colpodecisamente�poco
funzionale.�Una�volta
stabilizzato�il�suo�assetto,
tornarono�anche�i�risultati,�e
anzi�tornarono�con�molta�più
frequenza�e�qualità�di
quanto�non�accadesse�ai
tempi�in�cui�le�due�mani�mi
davano�tanta�stabilità�e
praticità,�ma�poca�facilità
estetica.�E�questo�cammino
di�funzionalità�e�bellezza�che
a�braccetto�si�spartivano�i
bottini�mi�ha�condotto�sino�a
qui,�a�questo�torneo,�a
questa�finale.
�
E’�decisamente�il
palcoscenico�più�importante
cui�i�miei�movimenti�del
braccio�destro�(ok,�quello
sinistro�qualcosa�fa,�ma�nulla
di�attinente�alla�simbiosi
braccio-racchetta-colpo�checaratterizza�l’altro)�mi�hannocondotto.�Il�mio�rovescio,
soprattutto,�mi�ha�portatoqui.
�
La�mia�storia,�condensata
tutta�in�questo�colpo�che
non�è�uno�ma�la�possibilità
d’esistere�di�centinaia�di
colpi,�mi�ha�tenuto�la�mano
nel�tragitto�che�arriva�ad
oggi,�ad�ora.�Nell’ultima�mia
esecuzione,�nell’ultimo�mio
rovescio,�si�nascondono�tutti
i�rovesci�ad�una�mano�che
l’hanno�preceduto�e,�con
cambio�di�paradigma,�tutti�i
rovesci�a�due�mani�che
hanno�preceduto�quelli�ad
una.�Dietro�a�quest’ultimo
colpo,�ci�sono�tutti�i�miei
colpi,�tutte�le�mie�partite,
ogni�mia�emozione�provata
in�campo�ed�incisa�sul�mio
gesto�motorio�Interiore,�quel
colpo�archetipico�che�non�è
un�dritto,�non�è�un�rovescio
ma�precede�e�accompagna
ogni�dritto�e�ogni�rovescio
che�io�esegua,�dall’inizio
della�mia�carriera�sino�ad�ora.
Quel�moto�silente�e
compatto�che�agisce�nei
recessi�più�nascosti�del�mio
animo�e�che�permette�al�mio
corpo�di�tentarne�una
riproduzione,�sempre
comunque�imperfetta,
sempre�differente.
�
La�racchetta�che�sta�dentro,
ben�più�pervicace�e�duratura
di�ogni�Wilson�abbia�mai
tenuto�in�mano.
Tu,�dall’altra�parte�del
campo,�stai�per�venire
investito�da�una�storia
lunghissima,�un�racconto�che
solo�considerando�la�mia
biografia�si�estende�per�rade
e�pianure�tra�le�più�estese�ci
sia�dato�modo�di�osservare
in�questo�mondo,�ma�che�se
aprisse�squarci�su�tutte�le
vicende�di�sua�competenza
non�basterebbe�una�storia
della�letteratura�per
riprodurne�un’eco.
�
Perché�quello�che�ti�sta
arrivando,�caro�avversario,�è
l’ultimo�e�più�recente�esito
della�Grande�storia�cui
stiamo�partecipando.�Una
storia�che�coinvolge�tanto�i
piani�alti�quanto�quelli�più
bassi,�Una�manifestazione
Spirituale�che�ha�a�che�fare
solo�di�sfuggita�con�l’evento
mediatico�e�puramente
umano�che�ne�tenta�la
diffusione�e�congelazione,
una�striatura�che�ad�ognuno
non�è�lecito�ma�naturale
compiere,�ogni�qual�volta
aderendo�alla�trama�che�lo
sovrasta�ne�smuove�i�fili,�ne
allunga�il�tessuto,
compromette�il�senso�stesso
della�sua�adesione.�Ti�sta
arrivando,�in�altri�termini,�la
tua�stessa�storia,�il�motivo
per�cui�ti�trovi�di�là�a�colpire.
�
Non�ti�scuote�un�poco�il
fatto�che�ciò�che�stai�per
andare�ad�impattare�con�la
tua�racchetta,�la�tua�violenza,
la�tua�fantasia,�sia�la�ragione
stessa�per�cui�ti�trovi�su
questo�campo?�Sei�di�là�per
colpire,�per�far�collidere�la
tua�protesi�sportiva�con�il
gioco�che�stai�giocando,�tutti
quello�che�lo�hanno�giocato
e�lo�stanno�giocando,�me�fra
tutti,�anni�ed�anni�di�tornei,
classifiche,�trionfi,�gioie,
lacrime,�lustri�fatti�tanto�di
circoli�provinciali�quanto�di
eventi�dalla�risonanza
mediatica�mondiale,�Grandi
campioni�e�piccoli�amatori,
stecche�e�vincenti.
�
Stai�per�far�vibrare�la
giustificazione�per�cui�ti�trovi
qui,�e�questa�scossa
cambierà�le�sorti�della
partita,�della�tua�carriera,
della�Storia.�Sei�sul�punto�di
compiere�un�gesto�che
segnerà�per�sempre�coloro
che�vorranno�praticare
questa�disciplina�e�il�modo
che�avranno�per�farlo,�sei�lì�lì
per�decidere�del�tuo�futuro�e
di�quello�altrui,�e,�non�posso
tacerlo,�la�tua�posizione
d’attesa�è�tra�le�più�belle�che
mi�sia�mai�stato�dato�di
ammirare.
�
Sei�semplicemente�perfetto
nel�tuo�movimento�di
recupero�storico,
nell’avvicinamento�che�la�tua
persona�sta�compiendo�per
inserirsi�all’interno�di�un
processo�che�in�ogni�caso
l’attirerebbe�a�sé.�Perché,
per�quanto�tutto�quanto
evocato�sia�compresso
all’interno�della�pallina�ad
aria�compressa,�tutto�ciò
andrebbe�a�coinvolgerti�e
inglobarti�nel�suo�perimetro
anche�se�non�ti�riuscisse�diimpattare�la�piccola�sfera
pelosa.�
Forse�allora�non�sta�tanto�nel
modo�oggettivo�con�cui
pieghi�le�gambe,�abbassi�la
spalla,�allunghi�il�braccio
sinistro�come�ad�indicare�che
sì�quella�è�proprio�la�storia
che�vuoi�raccontare,�non
un’altra,�la�testa�lievemente
voltata�a�lato,�il�braccio
destro�inclinato�a�formare�un
angolo�retto�tra�omero�ed
ulna;�non�sta�tanto�in�questo
assetto�geometricamente
impeccabile�e�stilisticamente
ineccepibile�la�grandezza�del
tuo�movimento,�quanto�nel
fatto�che�tu�con�ardore,
dignità�e�rispetto�non
indietreggi,�ti�immetti�nel
corso�che�le�cose�stanno
prendendo�e�cerchi�di�farlo
in�bello�stile,�anzi,�proprio�in
virtù�del�tuo�avvicinarti�ad
un�bagaglio�di�memorie�così
fitto�non�puoi�che�farlo�in
modo�particolarmente
raffinato,�una�sorta�di
provino�inconsapevole�cui�ti
sottoponi�e�dal�quale�esci�a
pieni�voti�nel�momento
stesso�in�cui�scegli�di
abbracciare�la�storia.�Se�vuoi
farlo,�non�puoi�che�farlo
bene.�E�considerando�la
grandiosità�della�tua
movenza�attuale,�non�posso
che�prevedere�un�felicissimo
quanto�vincente�incontro
con�la�pallina.
Sei�semplicemente
strabiliante,�così�impassibile
a�svolgere�il�tuo�compito
nonostante�le�pressioni�di
così�tante�sorgenti,
imperturbabile�nel�bel�mezzo
della�tempesta�più�terribile.
Certo,�a�quel�punto�passerai
la�palla,�mi�demanderei�il
compito�di�aderire�o�meno�a
tutto�ciò�che�è�stato�ed�è,�mi
sottoporrai�allo�stesso
sovrastante�cimento,�e�io
dovrò�sapere�reagire,�ancor
meglio,�agire.�Solo�che�a�quel
punto�il�peso�della�storia
potrà�essere�così�pressante
ed�insopportabile�da
spingermi�ai�ripari,�da�farmi
desistere�dal�rimettere
ancora�una�volta�la
questione�in�gioco,�o�mi
potrà�far�credere�di�avere
possibilità�di�scelta�e�di
mutamento�del�suo�corso
mentre�in�realtà�non�farà
altro�che�blandirmi�per
fagocitarmi�all’interno�delle
sue�spire.
�
Tutto�sta�nel�vedere�se�io
risponderò�o�meno�alla�tua
azione.
Ma�è�così�bella,�così�giusta,
perché�non�sedermi
semplicemente�a�terra�per
contemplarla�e�farmi
sommergere�da�un’onda
oceanica�che�avrà�la
dolcezza�di�un�rivolo
montano,�la�freschezza�della
sorgente�e�la�speranza�di�un
esito�sempre�da�scoprire?
I�recenti�Internazionali�d'Italia�e�il�Roland
Garros�hanno�fornito�un�quadro�piuttosto
indicativo�della�situazione�del�tennis�italiano�di
oggi:�qualcosa�deve�cambiare.�Difficile�per�un
paese�che�per�sua�natura�nel�passato�storico�è
stato�diviso�fra�guelfi�e�ghibellini,�e�infatti�pare
che�nemmeno�oggi�questo�status�quo�possa
alterarsi�e�che�quindi�si�possa�risanare
l'Italtennis�da�spaccature�interne.�Da�una�parte
assistiamo�al�“tradimento”�della�Giorgi,
colpevole�di�aver�abbandonato�la�nave�come
Schettino,�o�ancor�peggio�di�aver�abbandonato
la�Nazione.�
�
Dall'altra�parte�siamo�sempre�più�consapevoli
che�è�mancato�un�ricambio�generazionale�in
questi�anni�nei�nostri�tennisti.�In�campo
femminile�dopo�il�ritiro�di�Flavia�Pennetta�non
ci�sono�più�giovani�di�prospettiva,�ci�affidiamo
alla�solita�Sarita�Errani�che�a�dire�il�vero�sembra
in�fase�calante,�alle�tenace�Karin�Knapp�fin
troppo�tormentata�dagli�infortuni,�e�a
Robertina�Vinci,�che�si�è�guadagnata�la�top�ten
quest'anno�ma�che�sappiamo�bene�che�si
ritirerà�a�fine�anno�o,�al�massimo,�lo�farà�entro
due�anni,�e�poi�più�nulla,�escludendo�Camila
Giorgi.�
�
Non�meglio�i�maschietti:�sembrava�ieri�quando
Andreas�Seppi�era�quel�promettente�ragazzo
che�poteva�fare�un�po'�di�più,�e�invece�ora�è�un
atleta�maturo�dalla�media�classifica�che�più�di
L'Italtennissemprepiùingiù
byGiorgioGiannaccini
così�non�potrà�fare;�Simone�Bolelli,�grande
promessa�mancata,�dopo�la�famosa�litigata�con
la�Federazione�Italiana�non�si�è�più�ripreso�da
quella�batosta�morale�e�non�ha�più�raggiunto�la
posizione�numero�36�del�ranking�Atp�che
aveva�agguantato�con�coach�Pistolesi�e�anzi
sono�ormai�diversi�anni�che�viaggia�ai�margini
della�top�100�e�difficilmente�tornerà�a�quei
livelli;�Fabio�Fognini�sembra�invece�aver�fallito
il�momento�magico�in�cui�sembrava�deciso�e
pronto�per�entrare�in�top�ten;�Paolino�Lorenzi
invece�sembra�aver�raggiunto�fin�troppo�nella
sua�carriera�da�umile�gregario,�nato�nel�circuito
Challenger,�è�poi�riuscito�ha�conquistare
addirittura�la�top�50;�infine�ci�sono�i�giovani
Thomas�Fabbiano�e�Marco�Cecchinato,
entrambi�hanno�assaggiato�la�top�100�ma
ancora�non�sappiamo�la�loro�vera�cilindrata
tennistica.
�
Tornando�piuttosto�agli�Internazionali�d'Italia�di
quest'anno�i�numeri�sono�piuttosto�crudi:�9
sono�gli�eliminati�al�primo�turno,�fra�cui�Sara
Errani�e�Fabio�Fognini.�Opera�di�eliminazione
che�però�è�stata�completata�al�secondo�turno:
infatti�il�sopravvissuto�in�campo�maschile,
Andreas�Seppi,�ha�pagato�dazio�della
condizione�fisica�non�ottimale,�e�se�già�è�stato
un�miracolo�superare�al�primo�turno�un
mediocre�Vasek�Pospisil�solo�con�la�forza�di
volontà�con�un�tiratissimo�7-6�7-6,�contro
Gasquet�si�è�infranta�per�6-3�6-4�l'ultima
speranza�azzurra,�mentre�tra�le�donne
Robertina�Vinci,�che�aveva�usufruito�di�un�bye
al�primo�turno,�si�è�poi�lasciata�sconfiggere,
praticamente�all'esordio,�dalla�giovane
speranza�britannica�Johanna�Konta�con�un
nettissimo�e�schiacciante�6-0�6-4.�
�
Insomma,�difficile�fare�peggio�di�così.�Il�Roland
Garros�non�va�poi�così�tanto�meglio�del�torneo
di�Roma:�i�maschietti�vengono�tutti�eliminati�al
primo�turno,�resistono�piuttosto�le�donne,
ovvero�la�“traditrice”�Camila�Giorgi�e�la
combattiva�Karin�Knapp,�che�battono
rispettivamente�la�francese�Alize�Lim,�numero
156�Wta,�con�il�punteggio�di�6-3�6-2�e�la
bielorussa�Victoria�Azarenka,�per�ritiro,�quando
il�punteggio�era�di�6-3�6-7�4-0�a�favore
dell'azzurra.�Il�secondo�turno,�ormai�tutto�rosa,
è�agrodolce:�una�Camila�Giorgi�che�appare
fisicamente�sempre�più�esile�si�arrende
piuttosto�nettamente�all'olandese�Kiki�Bertens
per�6-4�6-1,�Karin�Knapp�invece,�forte�della�sua
tempra�combattiva,�batte�la�lettone�Anastasia
Sevastova�per�6-3�6-4.�Ma�al�terzo�turno�la
favola�italiana�si�spegne:�l'unica�italiana�rimasta
in�gioco�cede�di�schianto�alla�kazaka�Yulia
Putinseva�in�un'ora�e�14�minuti�con�un�misero
6-1�6-1,�e�con�lei�la�stagione�dei�tornei�su�terra
battuta�europea�certifica�di�essere�stata�un
incubo�vero�per�gli�italiani.��
A�questo�dobbiamo�anche�aggiungere�che�i
tennisti�italiani,�sia�in�questi�anni�sia�in�tutte�le
epoche�passate,�hanno�sempre�raggiunto�i
maggiori�risultati�tra�tutte�le�superfici�nella
terra�battuta,�e�un�risultato�del�genere�è
doppiamente�preoccupante.�
�
Si�può�ancora�dire�che�va�tutto�bene?�Non
sarebbe�forse�l'ora�di�fare�mea�culpa�e
cambiare�qualcosa�all'interno�della�Fit?�L'Italia
se�non�cambierà�all'interno�difficilmente�potrà
fare�meglio,�e�Binaghi�potrà�ancora�negare�la
realtà�dei�fatti?�Staremo�a�vedere.
Lafasciteplantare:undisturbocomune
traitennisti
byRodolfoLisi
All'interno�del�mio�sesto�libro�sul�tennis,�dal
titolo�"Patologie�degli�arti�inferiori�nel�tennista"
(Aracne�Edizioni,�www.aracneeditrice.it,�euro
10),�ho�affrontato�le�più�comuni�patologie�degli
arti�inferiori�del�giocatore�di�tennis�(Figura
copertina)
Tra�queste,�la�fascite�plantare.�La�fascite
plantare�(o�entesite�plantare�o�talalgia
posteriore),�spesso�accompagnata�da�una
calcificazione�(sperone�calcaneare)�a�livello
della�apofisi�mediale�della�tuberosità
calcaneare�(in�sede�di�inserzione�della�fascia),�è
una�comune�patologia�del�piede�e
frequentemente�secondaria�a�sovraccarichi
meccanici�diretti�od�indiretti.
condizioni�dinamiche�(sovraccarico�funzionale
da�iperattività,�acuto�o�cronico;�errate
modalità�di�training�nello�sportivo;�discinesia
del�passo�da�cause�disfunzionali�e
neurologiche)�o�anatomiche�associate�(obesità
o�anche�semplice�sovrappeso;�deformità
congenite�o�secondarie�a�traumatismi�come
negli�esiti�di�frattura).
�
Il�paziente�presenta�dolore�nella�regione
mediale�del�calcagno�soprattutto�al�mattino�e
all'inizio�della�deambulazione�dopo�riposo.
Con�il�movimento,�il�dolore�può�sparire�ma
L’eccessiva�tensione�della�fascia�sulla�sua
inserzione�calcaneare�—�in�stazione�eretta�o�in
deambulazione�—�determina�reazione
infiammatoria�e�dolore,�dapprima�elettivamente
prossimale�e�puntiforme�e�successivamente
esteso�distalmente�sino�alla�porzione�predigitale
della�struttura.�E�ciò,�a�maggior�ragione,�se�si
configurano�condizioni�statiche�(piede�cavo,
piede�piatto,�piede�lasso,�brevità�dell’achilleo),
minore�mobilità�della�sottoastragalica�e
ripresentarsi�in�stazione�eretta�o
successivamente�a�deambulazione�prolungata.
In�una�seconda�fase,�il�dolore�è�costante�sotto
carico�e�può�essere�di�grado�elevato.�È
opportuno�considerare�—�oltre�alla�storia
clinica�del�paziente�che�indaga�pregresse
patologie�che�possono�aver�influito
distrettualmente�sui�sintomi�—�il�sovrappeso,
l’appoggio�e�la�deambulazione,�che�andranno
opportunamente�corretti�per�ottenere�una
risoluzione�duratura�dei�sintomi.�L’esame
obiettivo�identifica�il�punto�del�dolore:�la
palpazione�e�la�digitopressione�aggravano�i
sintomi.�Non�vi�è�solitamente�edema�degno�di
nota;�se�presente,�la�tumefazione�è�localizzata
alla�parte�posteriore�del�piede�e�piuttosto
circoscritta.�È�necessario�—�in�caso�di�fascite
plantare�—�eseguire�esame�radiologico�del
piede�destro�e�sinistro�sotto�carico�nelle�due
proiezioni�standard,�associando�anche�la
valutazione�assiale�del�calcagno.�Qualora�si
sospetti�un�disallineamento�che�coinvolga
strutture�sovrastanti�e�si�ripercuota
distalmente,�bisogna�coinvolgere�anche�bacino,
anca�e
ginocchio�nello�screening�radiografico.
L’ecografia�è�di�grande�ausilio�nella�valutazione
di�calcificazioni�associate,�dell’integrità�e�delle
caratteristiche�strutturali�della�fascia,�della
presenza�di�nodularità�o�tumefazioni.�L'esame
è�indolore,�ripetibile�e�privo�di�effetti
collaterali,�per�cui�si�delinea�come�test
strumentale�di�prima�scelta�nella�diagnostica.
TAC�e�RMN�verranno�eseguiti�solo�su�dubbi
particolari�(rispettivamente�per�una�migliore
valutazione�strutturale�ossea�e�per�una
visualizzazione�accurata�dei�tessuti�molli;�in
alcuni�casi�è�indicato�anche�l’utilizzo�di�mezzo
di�contrasto)�così�come�esame�scintigrafifio
(patologie�intrinseche�all’osso,�talvoltapluridistrettuali).
La�terapia�infiltrativa�a�base�di�cortisonici�è�da
ritenersi�applicabile�solo�se�limitata�a�brevi
periodi�di�tempo�(somministrazione�una
tantum).�Diversamente,�il�rischio�di�rottura
della�fascia�è�elevato:�il�cortisone�“richiama”
l’acqua,�provocando�imbibizione�del�tessuto
fifiroso,�i�legami�idrogeno�del�collagene�si
allentano�e�l’aponeurosi�plantare,�pertanto,
diventa�relativamente�più�cedevole.�I�farmaci
possono�essere�utilmente�applicati�per�via
mesoterapica,�associando�antinfiammatori�o
semplice�soluzione�fisiologica,�dato�che�uno�dei
principali�effettidi�quest’ultima�metodica
presenta�meccanismi�d’azione�reflessogeni,
stimolati�dalla�pressione�del�farmaco�sulle
strutture�dell’ectoderma.�Ovviamente,�le
terapie�strumentali�sono�impiegabili�contro�il
dolore.�Le�onde�d’urto�—�da�più�parti
considerate�il�trattamento�d’elezione�—
esercitano�azione�antinfiammatoria,�antalgica�e
di�rivascolarizzazione.�Il�ricostituirsi�strutturale
e�metabolico�del�tessuto�connettivo�si�avvale
di�una�dieta�ricca�in�vitamine�e�sali�minerali,
ridimensionando�al�contempo�l’assunzione�di
alimenti�di�origine�animale�(la�diminuzione
delle�protei-ne�animali�riduce�l’acidità�del
sangue�e�la�produzione�di�radicali�liberi
promuovendo,�appunto,�il�fisiologico�turnover
rigenerativo).
�sempre�imperativo�valutare�l'appoggio�statico�e
dinamico�del�piede�tramite�podogramma�che,
unitamente�ai�dati�rilevabili�alla�semplice�radiografia,
può�orientare�verso�l’utilizzo�contestuale�di�ortesi
plantari�a�correzione�e�sostegno�di�appoggi�errati.
�
Trattandosi�molto�spesso�di�una�disfunzione�del
sistema�achilleoplantare,�abnormemente�in
tensione�di�frequente�nei�piedi�cavi,�il�ricorso�ad
esercizi�di�allungamento�del�complesso�mio
tendinofasciale�è�vivamente�caldeggiato.�Ad
esempio,�il�soggetto�—�in�ortostatismo�—è�invitato�a
comprimere�una�pallina�da�tennis�sotto�la�pianta�del
piede�fino�alla�sensazione�di�leggera�dolenzia
(Figura�2)�così�da�“desensibilizzare”�le�fibre�fasciali
in�base�al�principio�secondo�cui�la�stimolazione
ripetuta�possa�ridurre�il�pool�di�mediatori�algogeni
locali�e/o�la�soglia�di�eccitabilità�neuronale�centrale
e�periferica.��
�ragionevole,�poi,�proporre�alcuni�esercizi�di
rinforzo,�riferiti�a�distretti�quali�l’arto�inferiore,�il
cingolo�pelvico�e�la�stessa�colonna�vertebrale,
affinché�il�movimento�del�piede�avvenga�con�le
dovute�sinergie�e�sincronie�in�accordo�ad�un�ormai
imperante,�e�del�tutto�condivisibile,�approccio
globale�verso�l’intera�catena�cinetica.
Leadership
byNickBollettieri
In�tutta�la�mia�vita,�sono�statomolto�fortunato�ed�ho�potutofare�tantissime�cose,�tra�cui
anche�paracadutismo�a�WestPoint�,�per�il�mio�80�°compleanno.�Un�viaggio�in�Iraqe�in�Afghanistan�per�parlare�allenostre�truppe,�volare�con�ifamosi�Blue�Angels�in�un
sofisticato�F-18.�Il�mio�pilota�era�Scott�Beare,siamo�diventato�molto�amici�ed
abbiamo�condiviso�pensieri�eopinioni�sulla�leadership�.�
Parliamo�un�po�‘�del�ruolo�di�unleader�iniziando�con�alcuni
paragrafi�del�libro�del�tenenteScott�Beare�e�di�MichaelMcMillan�"The�Power�of
Teamwork:,�Ispirato�dagli�AngeliBlu".�
Il�ruolo�di�un�leader�comporta
grande�onore�e�responsabilità.�
�Ora�concentriamoci�su�quelli�chenon�possono�essere�un�leader:
1)�un�leader�che�che�cercasempre�scuse2)�Rimane�in�secondo�piano�e�sinasconde�dietro�una�scrivania�Sia�Kenneth�Blanchard�eSpencer�Johnson�M.D.�Ph.D.
pensano�che�una�leadershipefficace�inizia�dal�cuore:�"Il�tuocuore�controlla�la�tua
motivazione,�i�tuoi�intenti�e�iltuo�carattere�di�leader"�.�Hanno
spiegato�che�"I�managerpotrebbero�porre�obiettivi�e
poi�sparire,�fino�al�fallimento.Oppure�intervenire,fareconfusione�e�poi�sparireancora,�pensando�di�esseregrandi�leader”.
�Ho�aperto�l'Accademia�nel1976�con�6�a�8�allenatori,insieme�al�mio�amico�MikeDepalmer.�
Credetemi,�non�sapevo�moltodi�come�si�conduce�unaAcademy�ma�c'erano�alcunesemplici�regole�che�avevo
imparato,�rapidamente,quando�ero�un�paracadutista.
1)�Abbiamo�sempre�seguito�la
procedura�che�un�ufficiale�o�un
sergente�devono�condurre�il
lancio�ed�essere�gli�ultimi�a
saltare.�Ero�un�ufficiale�e�capii
perché�di�questa�regola.�Mi
permetto�di�condividere�una
storia�con�te:�Una�volta,
durante�una�esercitazione
particolare,�ero�il�primo.
Durante�il�sorvolo�di�zona�di
lancio,�,�un�giovane�non
ufficiale�era�seduto�accanto�a
me�e�mi�chiese�se�stavo�per
saltare.
Con�calma�ho�risposto�“Sì”,
anche�se�ero�spaventato�a
morte,�ma�sapendo�il�mio�ruolo
di�leader,�sapevo�che�dovevo
dare�fiducia.�Lui�rispose:�"Setu�salti,�io�salto.”�
2)�Quando�la�nostraAccademia�ha�cominciato�adespandersi,�mi�sono�reso
conto�di�quanto�fosseimportante�che�ognunoriceva�il�credito�per�il�lavoro
fatto,�lavorando�come�unteam.�
Non�importa�quello�chealcuni�pensano,�la�miaesperienza�mi�ha�insegnatoche�i�leader�di�successo
conoscono�il�potere�dellavoro�di�squadra,�attingendoforza�da�ognuno�del�team.�
Un�mio�caro�amico�,�Marilyn
Nelson�,�ed�ex
amministratore�delegato
della�Società�Carlson�mi�ha
spiegato�che�nella�loro
società�tutti�sono�importanti,
non�importa�quale�sia�il�loro�ruolo.�In�chiusura�,�un�leader�deve�essere�quello�che�accetta�il�successo
o�il�fallimento�e�non�cambia�il�ruolo�di�leader.�
PS�.�Non�c'è�dono�più�grande�per�i�dipendenti�di�una�semplice
pacca�sulla�spalla�.
LavoraDuro,
lavorainmodo
Intelligente
byFedericoCoppini
Chiunque�legga
regolarmente�i�miei�post,
saprà�quanto�mi
appassionano�tre�cose:�il
tennis,�lo�UFC�e�la�musica.�In
particolare,�quella�di�Noel
Gallagher.�Sapete�anche�che
sono�fermamente�convinto
del�fatto�che�nello�sport�si
ottiene�in�base�a�ciò�che�si
dà,�e�lo�stesso�nella�vita.�Non
esistono�al�mondo�due�atleti
che�dimostrino�ciò�che
penso,�più�di�Conor
McGregor�e�Ronda�Rousey,
le�due�star�più�grandi�dello
UFC�in�questo�momento.
Ronda�Rousey�ha�difeso�il
suo�titolo�UFC�in�appena�34
secondi�nella�sua�ultima
lotta,�a�seguito�dei
precedenti�tre�incontri�durati
14�secondi,�16�secondi�e�1
minuto�e�6�secondi.�Si
trattava�di�incontri�per�il
titolo�mondiale�contro�i
migliori�del�mondo�e�ciò
dimostra�perché�Sports
Illustrated�ha�votato�lei�come
atleta�più�dominante�al
mondo.
�
Conor�McGregor�è�esploso
sulla�scena�dello�UFC�due
anni�fa�e�ha�infranto�ogni
record�dello�sport�lungo�il
suo�percorso�verso�l’Interim
Featherweight
Championship�mondiale�del
mese�scorso.
�Molti�direbbero�che�questi
due�atleti�sono�nati�così,�ma
ciò�di�cui�questa�gente�non
si�rende�conto�è�che
probabilmente�non�esiste�un
atleta�sul�pianeta�che�lavori
più�duramente�di�Rousey�e
McGregor.��vero�che�ogni
atleta�nello�UFC�ha
impiegato�migliaia�di�ore�di
lavoro�estenuante�per
arrivare�all’organizzazione
mondiale�delle�arti�marziali
miste�(MMA).�Per�diventarne
uno�dei�principali�atleti,
bisogna�essere�eccellenti�in
ogni�sport�di�combattimento.
Pugilato,�wrestling,�jiu�jitsu,
muay�thai,�per�nominarne
solo�alcuni.�E�come�i�loro
livelli�di�abilità�sono�fuori
dalla�media,�lo�stesso�di�può
dire�della�loro�forma�fisica.
�
Ciò�che�divide�Rousey�e
McGregor�dagli�altri�è�la�loro
ossessione�per�le�MMA.�Si
tratta�di�qualcosa�che�non
possono�mettere�a�tacere.
Ronda�è�famosa�per�il�valore
incredibile�del�suo�lavoro�a
partire�dai�tempi�in�cui�è
diventata�la�prima�donna
statunitense�a�vincere�una
medaglia�Olimpica�nel�judo.
Ha�trasferito�quell’etica�di
lavoro�per�diventare�la
miglior�donna�al�mondo�nelle
arti�marziali�miste,�con�molti
esperti�che�la�reputavano
vent’anni�avanti�rispetto�ai
suoi�rivali.
�
Dice�“Sono�pessima�in
quanto�a�riposo.�Ho�un
problema,�un�giorno�difendo
la�mia�cintura�e�due�giorni
dopo�sono�già�in�palestra.
Non�so�cosa�farci.”�In�merito
alla�sua�ultima�avversaria
Bethe�Correia,�ha�detto�“ho
fatto�migliaia�di�esperienze
che�questa�ragazza�non�può
aver�minimamente�fatto�da
quando�ha�deciso�che�le
MMA�erano�una�forza�ad
adesso.�Non�mi�raggiungerà
mai.”
�
Conor�ha�affermato�in
diverse�interviste�“la�mia
ossessione�è�il�movimento”�e
anche�di�essere
“ossessionato�dal�gioco”�ed�è
conosciuto�come�uno�che
passa�ore�a�studiare�i
movimenti�sia�degli�umani
sia�degli�animali�nel�loro
habitat�naturale.
�
Come�Rousey,�McGregor�non
è�molto�bravo�a�riposare.�“È
tutto�ciò�a�cui�penso.�24�ore
su�24,�7�giorni�su�7.�Mi�alleno
tutto�il�giorno�qui�e�mi
sposto�in�diverse�palestre�e
quando�la�sera�tardi�arrivo�a
casa�la�mia�adrenalina�è
ancora�a�mille�per�cui�spesso
mi�alleno�con�la�mia�ombra
in�camera�mia.�Per�arrivare
ad�un�livello�alto,�credo�serva
questa�ossessione.”
�
La�sua�ragazza�da�otto�anni,
Dee�Devlin,�ribadisce�il�punto
dicendo�“lui�non�ha�hobby,
non�gioca�a�golf.�Tutto�quello
che�fa�fuori�dall’allenamento
è�correlato�all’allenamento,
come�correre.�Per�lui�è
difficile�anche�guardare�un
film.�Concentrarsi�su
qualcosa�[che�non�sia
relativo�alla�lotta�o�al
movimento]�per�due�ore�è
una�cosa�difficile�per�Conor.”�
Tom�Egan,�amico�e
compagno�d’allenamenti�di
McGregor�commenta�“questa
è�la�sua�vita.�È�tutto�ciò�che
ama�fare.�Dopo�aver�battuto
Dennis�Siver,
fondamentalmente�ci�siamo
procurati�un�po’�di�cibo�e
siamo�andati�in�palestra.��il
nostro�hobby.”
�
L’altra�cosa�che�mi
impressiona�di�questi�due
lottatori�è�la�loro�incrollabile
sicurezza�e�fiducia�in�sé.
Sebbene�tutti�i�lottatori�in
qualunque�sport�di
combattimento�abbiano
bisogno�di�sentirsi
incredibilmente�fiduciosi�in
un�ambiente�in�cui�c’è�un
serio�rischio�di�infortunio,
Rousey�e�McGregor�hanno
una�fiducia�in�loro�stessi�che
non�ho�mai�visto�prima,�su
un�altro�livello�rispetto�al
99%�degli�altri�atleti�e�che
trovo�veramente�di�grande
ispirazione.
�
Da�dove�arriva�questa
sicurezza?�Semplice.�Dalla
preparazione,�ore�ed�ore
dedicate�a�migliorare�la�loro
arte�e�a�sviluppare�le�abilità,
la�mentalità,�il�movimento,�la
tecnica,�ecc....�Quando�ogni
momento�è�dedicato�a
diventare�il�migliore,
lavorando�ore,�vivendo�e
respirando�il�gioco,
togliendosi�ogni�giorno�dalla
propria�comfort�zone,�non
LavoraDuro,
lavorainmodo
Intelligente
byFedericoCoppini
Chiunque�legga
regolarmente�i�miei�post,
saprà�quanto�mi
appassionano�tre�cose:�il
tennis,�lo�UFC�e�la�musica.�In
particolare,�quella�di�Noel
Gallagher.�Sapete�anche�che
sono�fermamente�convinto
del�fatto�che�nello�sport�si
ottiene�in�base�a�ciò�che�si
dà,�e�lo�stesso�nella�vita.�Non
esistono�al�mondo�due�atleti
che�dimostrino�ciò�che
penso,�più�di�Conor
McGregor�e�Ronda�Rousey,
le�due�star�più�grandi�dello
UFC�in�questo�momento.
Ronda�Rousey�ha�difeso�il
suo�titolo�UFC�in�appena�34
secondi�nella�sua�ultima
lotta,�a�seguito�dei
precedenti�tre�incontri�durati
14�secondi,�16�secondi�e�1
minuto�e�6�secondi.�Si
trattava�di�incontri�per�il
titolo�mondiale�contro�i
migliori�del�mondo�e�ciò
dimostra�perché�Sports
Illustrated�ha�votato�lei�come
atleta�più�dominante�al
mondo.
�
Conor�McGregor�è�esploso
sulla�scena�dello�UFC�due
anni�fa�e�ha�infranto�ogni
record�dello�sport�lungo�il
suo�percorso�verso�l’Interim
Featherweight
Championship�mondiale�del
mese�scorso.
�Molti�direbbero�che�questi
due�atleti�sono�nati�così,�ma
ciò�di�cui�questa�gente�non
si�rende�conto�è�che
probabilmente�non�esiste�un
atleta�sul�pianeta�che�lavori
più�duramente�di�Rousey�e
McGregor.��vero�che�ogni
atleta�nello�UFC�ha
impiegato�migliaia�di�ore�di
lavoro�estenuante�per
arrivare�all’organizzazione
mondiale�delle�arti�marziali
miste�(MMA).�Per�diventarne
uno�dei�principali�atleti,
bisogna�essere�eccellenti�in
ogni�sport�di�combattimento.
Pugilato,�wrestling,�jiu�jitsu,
muay�thai,�per�nominarne
solo�alcuni.�E�come�i�loro
livelli�di�abilità�sono�fuori
dalla�media,�lo�stesso�di�può
dire�della�loro�forma�fisica.
�
Ciò�che�divide�Rousey�e
McGregor�dagli�altri�è�la�loro
ossessione�per�le�MMA.�Si
tratta�di�qualcosa�che�non
possono�mettere�a�tacere.
Ronda�è�famosa�per�il�valore
incredibile�del�suo�lavoro�a
partire�dai�tempi�in�cui�è
diventata�la�prima�donna
statunitense�a�vincere�una
medaglia�Olimpica�nel�judo.
Ha�trasferito�quell’etica�di
lavoro�per�diventare�la
miglior�donna�al�mondo�nelle
arti�marziali�miste,�con�molti
esperti�che�la�reputavano
vent’anni�avanti�rispetto�ai
suoi�rivali.
�
Dice�“Sono�pessima�in
quanto�a�riposo.�Ho�un
problema,�un�giorno�difendo
la�mia�cintura�e�due�giorni
dopo�sono�già�in�palestra.
Non�so�cosa�farci.”�In�merito
alla�sua�ultima�avversaria
Bethe�Correia,�ha�detto�“ho
fatto�migliaia�di�esperienze
che�questa�ragazza�non�può
aver�minimamente�fatto�da
quando�ha�deciso�che�le
MMA�erano�una�forza�ad
adesso.�Non�mi�raggiungerà
mai.”
�
Conor�ha�affermato�in
diverse�interviste�“la�mia
ossessione�è�il�movimento”�e
anche�di�essere
“ossessionato�dal�gioco”�ed�è
conosciuto�come�uno�che
passa�ore�a�studiare�i
movimenti�sia�degli�umani
sia�degli�animali�nel�loro
habitat�naturale.
�
Come�Rousey,�McGregor�non
è�molto�bravo�a�riposare.�“È
tutto�ciò�a�cui�penso.�24�ore
su�24,�7�giorni�su�7.�Mi�alleno
tutto�il�giorno�qui�e�mi
sposto�in�diverse�palestre�e
quando�la�sera�tardi�arrivo�a
casa�la�mia�adrenalina�è
ancora�a�mille�per�cui�spesso
mi�alleno�con�la�mia�ombra
in�camera�mia.�Per�arrivare
ad�un�livello�alto,�credo�serva
questa�ossessione.”
�
La�sua�ragazza�da�otto�anni,
Dee�Devlin,�ribadisce�il�punto
dicendo�“lui�non�ha�hobby,
non�gioca�a�golf.�Tutto�quello
che�fa�fuori�dall’allenamento
è�correlato�all’allenamento,
come�correre.�Per�lui�è
difficile�anche�guardare�un
film.�Concentrarsi�su
qualcosa�[che�non�sia
relativo�alla�lotta�o�al
movimento]�per�due�ore�è
una�cosa�difficile�per�Conor.”�
Tom�Egan,�amico�e
compagno�d’allenamenti�di
McGregor�commenta�“questa
è�la�sua�vita.�È�tutto�ciò�che
ama�fare.�Dopo�aver�battuto
Dennis�Siver,
fondamentalmente�ci�siamo
procurati�un�po’�di�cibo�e
siamo�andati�in�palestra.��il
nostro�hobby.”
�
L’altra�cosa�che�mi
impressiona�di�questi�due
lottatori�è�la�loro�incrollabile
sicurezza�e�fiducia�in�sé.
Sebbene�tutti�i�lottatori�in
qualunque�sport�di
combattimento�abbiano
bisogno�di�sentirsi
incredibilmente�fiduciosi�in
un�ambiente�in�cui�c’è�un
serio�rischio�di�infortunio,
Rousey�e�McGregor�hanno
una�fiducia�in�loro�stessi�che
non�ho�mai�visto�prima,�su
un�altro�livello�rispetto�al
99%�degli�altri�atleti�e�che
trovo�veramente�di�grande
ispirazione.
�
Da�dove�arriva�questa
sicurezza?�Semplice.�Dalla
preparazione,�ore�ed�ore
dedicate�a�migliorare�la�loro
arte�e�a�sviluppare�le�abilità,
la�mentalità,�il�movimento,�la
tecnica,�ecc....�Quando�ogni
momento�è�dedicato�a
diventare�il�migliore,
lavorando�ore,�vivendo�e
respirando�il�gioco,
togliendosi�ogni�giorno�dalla
propria�comfort�zone,�non
c’è�spazio�per�il�dubbio.
�
C’è�un�modo�di�dire�nel
mondo�della�lotta�‘allenati
duramente,�combatti
facilmente’�e�Muhamed�Ali
diceva�sull’allenamento�“non
mollare.�Soffri�ora�e�vivi�il
resto�della�tua�vita�da
campione.”
�
Nonostante�Rousey�e
McGregor�siano�molto
diversi�nel�modo�in�cui�si
incentivano�(Ronda�parla
molto�all’interno
dell’ottagono�mentre�Conor
urla�molto,�è�sfacciato�ed�è
molto�all’avanguardia�con�la
sua�sicurezza�e�la�debolezza
che�vede�negli�avversari.��il
suo�parlare�sporco�alla
Muhamed�Alì�e�il�fatto�che�è
sostenuto�da�tutto�quello
che�ha�detto�fino�ad�ora,�che
ha�giocato�una�parte�così
grossa�nel�portare�lo�UFC�ad
un�pubblico�più�mainstream
nel�Regno�Unito.),�a�mio
avviso�sono�entrambi
eccezionali�modelli�per
qualunque�aspirante�atleta
per�via�del�loro�lavoro�etico�e
la�devozione�sconcertanti.�È
questo�lavoro�etico�e�la
devozione�che�hanno
mandato�molti�uomini�e
donne�ai�vertici�del�campo
da�loro�scelto.
�
Troppi�da�menzionare�in
questo�articolo.�Molti,�molti
nomi�che�avete�sentito
probabilmente�spesso�e
molti�altri�che�non�avete�mai
sentito�affatto.�Per�dire
giusto�un�paio�di�atleti�che
hanno�raggiunto�l’apice�del
loro�sport:�primo,�Roger
Federer.�Federer�è
ampiamente�considerato
come�il�più�grande�tennista
di�tutti�i�tempi,�giocando�un
livello�di�tennis�consistente,
magnifico,�così�bello�che�vi
verrebbe�da�pensare�che
abbia�un�dono�divino,�che�sia
un�genio�del�tennis�per
nascita.
�
La�verità�è�che�Federer�ha
lavorato�duramente.�Dall’età
di�quattro�anni�ha�passato
ore�ed�ore�guardando�il
tennis�in�tv.�E�nonostante
quello�fosse�il�suo�sport
preferito,�ha�giocato�molto�a
calcio�e�squash�fino�ai�12
anni.�Questo�lo�ha�aiutato�a
diventare�l’atleta�incredibile
che�è�oggi�e�probabilmente�il
migliore�a�muoversi�che�si�sia
mai�visto�sui�campi.�Non
c’era�altro�ce�volesse
diventare�se�non�un
campione�di�tennis.
�
Un�altro�che�è�stato
recentemente�descritto
come�il�miglior�tiratore�di
punizioni�di�sempre�dalla
leggenda�brasiliana�Roberto
Carlos,�è�David�Beckham.
Come�Federer,�è�facile
pensare�che�sia�nato�con
quel�piede�destro�magico�ma
Beckham�ha�passato�ogni
minuto�possibile
esercitandosi�con�le
punizioni,�i�calci�d’angolo�e�i
cross�quando�era�un
ragazzino.�Si�è�allenato�per
ore�ed�ore�con�suo�padre
finché�è�diventato
professionista,�quando
invece�rimaneva�molto�dopo
che�i�suoi�compagni�del
Manchester�Utd�erano�andati
a�casa,�esercitando�i�suoi�tiri
a�palla�morta.�Sia�Federer�sia
Beckham�erano�ossessionati
dai�loro�sport�preferiti�ed
erano�ostinati�a�farcela�nel
diventare�grandi.�Questo
nonostante�lo�scetticismo
dei�loro�insegnanti�di�scuola.
�
Ci�inganniamo�quando�questi
maestri�della�loro�arte�fanno
sembrare�tutto�così�facile.
Quando�Federer�fa�sembrare
il�suo�diritto�così�semplice,
pensiamo�sia�dovuto�ad�un
talento�naturale.�Quando
Michael�Jordan�faceva
sembrare�tutto�così�facile,
doveva�essere�per�il�suo
talento�naturale.�In�realtà,
Federer�ha�colpito�milioni�di
dritti�e�ha�speso�centinaia�di
ore�lavorando�sul�gioco�di
piedi,�perfezionando�il
proprio�movimento.�E�nel
caso�di�Jordan,�nessuno
avrebbe�potuto�prevedere
che�grande�star�sarebbe
diventata�dopo�esser�stato
scartato�dalla�squadra�di
pallacanestro�della�scuola
quando�aveva�15�anni.�È
stato�il�lavoro�duro�e
caparbio�in�seguito
all’esclusione�che�ha�reso
Jordan�la�leggenda�che�è.
Ha�notoriamente�detto�una
volta�“Ho�sempre�creduto
che�se�si�lavora�duramente,
il�risultato�arriva.�Non�faccio
le�cose�con�incertezza.
Perché�so�che�se�lo�faccio
otterrò�risultati�incerti.”�Ed
un’altra�volta�“certa�gente
vuole�che�le�cose�accadano,
altri�desiderano�che
accadano,�altri�le�fanno
accadere.”
�
Attenendoci�sempre�ad
aspetti�della�vita�che�amo,�vi
farò�altri�due�esempi�dal
mondo�della�musica,�Jimi
Hendrix�e�Noel�Gallagher.
Jimi�Hendrix�è�considerato�il
più�grande�chitarrista�di
sempre�da�molti�musicisti.�Di
nuovo,�se�chiedete�all’uomo
medio,�vi�dirà�che�deve�aver
avuto�un�talento�divino.�Ma
come�Rousey,�McGregor,
Federer�e�Beckham,�Jimi
Hendrix�era�ossessionato.
Ossessionato�dalla�chitarra,
dicendo�“la�musica�è�la�mia
religione”�e�“il�mio�obiettivo
è�di�diventare�una�cosa�sola
con�la�musica.�Dedico
semplicemente�la�mia�intera
vita�a�questa�arte”.�Si�dice
che�non�abbia�mai�e�poi�mai
riposto�la�sua�chitarra�e
persino�che�se�la�portasse�in
bagno.
�
Noel�Gallagher,�assieme�a
John�Lennon,�Paul
McCartney�e�Pete
Townshend,�è�uno�dei�miei
cantautori�preferiti�di�tutti�i
tempi.�Proprio�il�mese
scorso,�parlando�del�suo
talento�musicale�in
un’intervista,�ha�detto�“posso
tranquillamente�dire�che�non
ho�avuto�vantaggi�nella�vita,
se�non�altro�la�fortuna�mi�è
stata�decisamente�avversa�e
se�oggi�sono�dove�sono�è
solo�grazie�alla�sola�forza�di
volontà.�Credo�che�nella�vita,
se�si�è�sufficientemente
realisti,�si�può�ottenere�ciò
che�si�vuole”�aggiungendo�“le
mie�ispirazioni�e�i�miei
obiettivi�erano�di�diventare
la�più�grande�rockstar�al
mondo�[e�ce�l’ho�fatta]
grazie�alla�semplice
determinazione”.
�
Ogni�esempio�di�cui�ho�fatto
menzione�supporta�il�lavoro
che�Daniel�Coyle�mostra�nel
suo�libro�“The�Talent�Code”
dove�sfata�il�mito�secondo�il
quale�il�talento�è�qualcosa
con�cui�i�nascono�i�grandi
bensì�è�qualcosa�che�i�grandi
hanno�guadagnato�attraverso
il�duro�lavoro�e�l’esercizio
profondo.�Nessuno�nasce
campione.�I�campioni�lavorano
incredibilmente�duro,
intelligentemente,
incessantemente.�McGregor
ha�detto�dopo�aver�vinto�la
cintura�Interim�Featherweight
il�mese�scorso�“Credo
onestamente�che�non�ci�sia
una�cosa�come�il�farsi�da�sé.
Credo�che�non�esista.�Nel�mio
caso�no�di�certo.”
�
Questi�atleti�e�musicisti
mostrano�la�tenacia,�la
persistenza�e�la�risolutezza
necessarie�per�diventare�i
migliori.�Nel�caso�di�giovani
atleti�però,�questa�risolutezza
deve�essere�nutrita.�Come�ho
detto�molte�volte�nei
precedenti�post,�è
estremamente�importante�che
i�futuri�Federer�e�Beckham
non�rimangano�legati�ad�uno
sport�e�proprio�come�Federer,
pratichino�vari�sport�fino�ai
12�anni.�Sebbene�siano
necessarie�ore�di�duro,
intelligente,�profondo
allenamento�per�arrivare�ai
vertici,�i�benefici�di�praticare
più�sport�in�giovane�età�e
l’atleticità�generale�che
questo�comporta,�sono
ugualmente�importanti.
�
Ciò�che�è�altrettanto
importante,�e�che�ogni�atleta
e�musicista�qui�menzionato
possiede,�è�avere�una
mentalità�in�crescita�e�la
capacità�di�non�aver�paura�di
fallire.�Tutto�il�duro�lavoro
nel�mondo�non�sarà
sufficiente�se�avete�una
mentalità�fissa�e�avete�paura
di�fallire.
�
Perciò�lavorate�duro,
lavorate�con�intelligenza,
mantenete�una�mentalità�in
crescita�e�NON�ABBIATE
PAURA�DI�FALLIRE.
Questa�canotta�grazie�a�un�tessuto�con
tecnologia�climachill,�simile�al�mesh�che�utilizza
puntini�in�alluminio�argentato�all’interno�del
tessuto,�allontana�il�calore�garantendo�massima
freschezza�anche�nei�match�più�lunghi.�I
pannelli�in�mesh�migliorano�la�ventilazione;�il
taglio�aderente�ed�elasticizzato�segue�i
movimenti�del�corpo.�L’intera�struttura�è
realizzata�con�poliestere�riciclato�che�ha�un
minore�impatto�sull'ambiente�e�permette�di
ridurre�le�emissioni.
�
Prezzo�di�listino�55.00€
Ad�accompagnare�la�canotta�abbiamo�questa
gonna�da�tennis�che�asseconda�perfettamente
i�movimenti�del�tuo�corpo�anche�negli�scambi
più�rapidi.�Creata�insieme�alla�canotta�per
alcune�fra�le�migliori�giocatrici�del�mondo�come
Garbine�Muguruza�e�Caroline�Wozniacki,
utilizza�la�tecnologia�climacool�fresca�e
ventilata�che�allontana�l'umidità�dalla�pelle
quando�le�partite�si�fanno�più�intense.�Il
girovita�elasticizzato�assicura�un'ampia�libertà
di�movimento.
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Prezzo�di�listino�55.00€
ADIDASBARRICADEROLANDGARROS
2016BYSTELLAMcCARTNEY
byEdoardoDiMino
Ogni�dettaglio�come�la�texture�ultraleggera�e�il
tessuto�ultra�traspirante�di�questa�maglia
sembra�progettato�per�migliorare�le�tue
prestazioni�in�campo.�La�nuova�maglia
“Tournament�Crew�di�New�Balance”�ci
propone:�un�fitting�atletico�con�cuciture�delle
spalle�spostate�in�avanti�e�inserti�sotto�l’ascella
e�sulla�parte�superiore�della�schiena�traforati�al
laser,�materiale�100%�poliestere,�protezione
dai�raggi�nocivi�UV�e�il�tutto�tinto�utilizzando
una�speciale�tintura�anti-umidità.
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Prezzo�di�listino�40.00€
La�nuova�collezione�“Tournament�Crew�di�New
Balance�per�Milos�Raonic”�include�anche�i
pantaloncini�“Tournament�Short”.�Realizzati�in
tessuto�elasticizzato�ultra�leggero,�questi
pantaloncini�presentano�un�tassello�e�carré
posteriore�in�mesh,�per�garantire�una
traspirabilità�eccellente.�Il�tessuto�increspato�a
strisce�elasticizzato�e�ultraleggero�realizzato
con�materiale�88%�nylon�e�12%�Spandex;
assicura�una�liberta�di�movimento�invidiabile.
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Prezzo�di�listino�€�55.00
NEWBALANCETOURNAMENTCREW
byEdoardoDiMino
AdidaseY-3aParigiconinnovazione
byEdoardoDiMino
Anchequest’annoAdidaseY-3,datoilsuccessodelloscorsoanno,hannodecisodirinnovareinvistadelprossimoRolandGarroslalorocollaborazione.Lanuovacollezionetraeinspirazionedalcamouflagetipicodeglianni'40e'50conl’intentodifarsentireaproprioagiochiloindossaedistrarrel’avversario.Maandiamoavederleneldettaglio.
Cominciamodallalineafemminile,lacanottasfoggiaunmodernodesigndallelineepulite.Caratterizzatadaunastrutturaintessutoclimaliteantiumiditàconmotivograficoaccattivante,offreunavestibilitàottimalegrazieallefascedisupportosullaparteanterioreeposteriore.Anchelagonnarealizzatacontessutoclimaliteantiumiditàpresentaunrivestimentoinmeshperunasilhouettefemminile.SullagambasinistraèinmostraillogoRolandGarros.
Lapolodellacollezionemaschile,caratterizzatadaunaconfortevolestrutturainjerseyconzipda¼,sfoggiaunlookcasualeunaccattivantedesigngraficoconpannelliintintaunita.Ipantaloncinidotatiditecnologiadiventilazioneclimacool,garantiscefreschezzaecomfortsfoggiano,comeperilmodellofemmile,graficheY-3sullagambasinistra.
RealizzateincollaborazioneconYohjiYamamoto,questescarpedatennisoffronoprestazionidialtolivelloeunostileunico.LastrutturaBarricadeoffremassimastabilitàetuttalaflessibilitàdicuiognigiocarehabisognopereffettuarecambididirezionerapidiemovimentiaggressivi.LatecnologiaBoostgarantisceunritornodienergiaimbattibile,all'insegnadellaleggerezzaedellavelocità.
Graham�Williamson,�Senior�Director�diAdidas,�spiega:
"Abbiamo�progettato�la�nuova�collezionein�modo�da�ridurre�al�minimo�ledistrazioni�per�i�giocatori.�Il�risultato�èuna�massima�funzionalità�per�l’atletasenza�sacrificare�lo�stile"
LawrenceMidwood,direttoredeldesignY-3racconta:
"SiamostationoratidipoterfarpartedellacollezioneRolandGarrosanchequest'anno,ediaverel'opportunitàdicrearequalcosadiveramentespecialeperunodeipiùgrandistadideltennis.Ilnostroobbiettivoèquellodirompereglischemidell’abbigliamentotennisticoormaitroppopredefiticercandoinvecel’eccellenzaalivellofunzionaleevisivo."
Progettata�per�il�giovane�tennista�emergenteAlexander�Zverev,�Head�ha�presentato�in
edizione�speciale�un�restyling�in�chiave�giovanedella�rinomata�serie�SPEED.Ispirata�alla�serie�di�racchette�Graphene�XTSpeed,�questa�edizione�limitata�si�distingue�per�ilsuo�design�originale.�Presenta�infatti�un�designmoderno�e�fresco�caratterizzato�da�colori
metallici�satinati,�che�garantiscono�all’attrezzoquel�giusto�di�cattiveria.�Dal�punto�di�vista�tecnico,�come�la�sorellamaggiore,�la�SPEED�LIMITED�EDITION�2016
vanta�le�migliori�tecnologie.�Parliamo�della
rivoluzionaria�tecnologia�Graphene�XT,�che
permette�di�spostare�la�massa�nei�punti�più
strategici�della�racchetta�per�ottenere�un�migliore
trasferimento�dell’energia�e�un�gioco�ancora�più
veloce.�Il�peso�senza�corde�è�di�300g,�mentre�lo
schema�corde�16/19�permette�di�giocare�con
ancora�più�spin.�Una�racchetta�che�si�rivela
maneggevole�e�facile�da�“muovere”�per�creare
facilmente�rotazioni�e�grande�potenza�di�gioco.
�
La�consigliamo�al�tipico�agonista�di�nuova
generazione�che�vuole�regalarsi�velocità,
potenza�e�versatilità,�ma�anche�a�giocatori�di
livello�intermedio�grazie�alla�già�citata
maneggevolezza�che�ne�facilita�l’utilizzo.
DATI:
PESO�(SENZA�CORDE):�300�g�/�10.6�ozCORDA�CONSIGLIATA:�16/19AREA�TESTA:�645�cm²�/�100�in²MISURA�GRIP:�1-5BILANCIAMENTO�(S.�CORDE):�320�mm�/�1�inHLLUNGHEZZA:�Standard,�685�mm�/�27�inPROFILO:�22�mm
LacollezioneHeadSpeedLimitededition2016
perlanuovagenerazione
byCarloCazzaniga