tennis world italia n. 32

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Gennaio 2016 Australian Open Rafael Nadal Kerber Serena Williams Hewitt e il suo addio Tennis & Salute Il buttafuori Nano -- tanto altro

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Page 4: Tennis World Italia n. 32

Lacittàdeltennis

byGiulioNicoletti

Arrivare�a�Melbourne�Park�non�è�complicato.�È�di�lato�alla�zona�più�centrale�della�città,�quella�del

grattacielo�Rialto�e�della�Flinders�Station,�poco�dopo�il�Birrarung�Marr�Park,�a�due�passi�dallo

Yarra�River,�a�non�più�di�tre�dal�Melbourne�Cricket�Ground,�l'enorme�Victoria�Stadium,�dove�nei

giorni�del�cricket�si�consuma�una�delle�feste�sportive�più�tipiche�della�tradizione�aussie.�È�come

una�gita�fuori�porta,�la�partita�di�cricket.�I�centomila�che�in�queste�occasioni�riempiono�lo�stadio

portano�cestini�da�picnic,�prendono�il�sole�sugli�spalti�distrattamente�attratti�dal�gioco,�si

dedicano�ai�bimbi�che�corrono�e�fanno�il�trenino�fra�le�gambe�degli�spettatori.�Non�li�vedi�entrare,

e�non�li�vedi�uscire.�Ma�dalle�finestre�del�vicino�Hilton,�per�chi�ha�avuto�la�fortuna�di�esserne

ospite,�lo�stadio�appare�pieno�fino�ai�gradoni�più�vicini�al�tetto,�dove�i�gabbiani�dello�Yarra

attendono�per�banchettare�con�gli�avanzi�della�festa.�

Si�può�scegliere�di�prendere�uno�dei�numerosi�mezzi�che�portano�a�Federation�Square�e�da�lì

passeggiare�piacevolmente�lungo�lo�Yarra�fino�all'ingresso�di�Batman�avenue.�Oppure�salire�su

uno�degli�sferraglianti�tram�che�conducono�fino�alla�Rod�Laver�Arena.�Il�tennis�è�lì.�Al�centro�della

città.�E�attende�di�diventare�una�parte�memorabile�di�essa.�Fra�due�anni�sarà�così.

Il�contratto�che�lega�la�città�al�torneo�scade�nel�2036.�Al�momento�opportuno�altre�città

australiane�si�faranno�sotto,�per�strappare�a�Melbourne�uno�dei�quattro�tornei-simbolo�del

tennis.�E�non�saranno�solo�città�australiane.�Proprio�com'è�accaduto�nel�2006,�quando�accanto�a

Sydney,�i�competitors�si�chiamavano�Dubai�e�Shanghai,�le�città�del�nuovo�mondo�che�si�affaccia

al�nostro�sport.�Melbourne�ha�resistito,�ha�vinto,�e�ha�fatto�una�promessa:�in�breve,�il�tennis�a

Melbourne�Park�diventerà�uno�dei�salotti�della�città,�un�complesso�architettonico�e�sportivo�che

meriterà�ampie�segnalazioni�sulle�mappe�turistiche.�Da�visitare�anche�se�non�ci�saranno�Federer�e

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Lacittàdeltennis

byGiulioNicoletti

Arrivare�a�Melbourne�Park�non�è�complicato.�È�di�lato�alla�zona�più�centrale�della�città,�quella�del

grattacielo�Rialto�e�della�Flinders�Station,�poco�dopo�il�Birrarung�Marr�Park,�a�due�passi�dallo

Yarra�River,�a�non�più�di�tre�dal�Melbourne�Cricket�Ground,�l'enorme�Victoria�Stadium,�dove�nei

giorni�del�cricket�si�consuma�una�delle�feste�sportive�più�tipiche�della�tradizione�aussie.�È�come

una�gita�fuori�porta,�la�partita�di�cricket.�I�centomila�che�in�queste�occasioni�riempiono�lo�stadio

portano�cestini�da�picnic,�prendono�il�sole�sugli�spalti�distrattamente�attratti�dal�gioco,�si

dedicano�ai�bimbi�che�corrono�e�fanno�il�trenino�fra�le�gambe�degli�spettatori.�Non�li�vedi�entrare,

e�non�li�vedi�uscire.�Ma�dalle�finestre�del�vicino�Hilton,�per�chi�ha�avuto�la�fortuna�di�esserne

ospite,�lo�stadio�appare�pieno�fino�ai�gradoni�più�vicini�al�tetto,�dove�i�gabbiani�dello�Yarra

attendono�per�banchettare�con�gli�avanzi�della�festa.�

Si�può�scegliere�di�prendere�uno�dei�numerosi�mezzi�che�portano�a�Federation�Square�e�da�lì

passeggiare�piacevolmente�lungo�lo�Yarra�fino�all'ingresso�di�Batman�avenue.�Oppure�salire�su

uno�degli�sferraglianti�tram�che�conducono�fino�alla�Rod�Laver�Arena.�Il�tennis�è�lì.�Al�centro�della

città.�E�attende�di�diventare�una�parte�memorabile�di�essa.�Fra�due�anni�sarà�così.

Il�contratto�che�lega�la�città�al�torneo�scade�nel�2036.�Al�momento�opportuno�altre�città

australiane�si�faranno�sotto,�per�strappare�a�Melbourne�uno�dei�quattro�tornei-simbolo�del

tennis.�E�non�saranno�solo�città�australiane.�Proprio�com'è�accaduto�nel�2006,�quando�accanto�a

Sydney,�i�competitors�si�chiamavano�Dubai�e�Shanghai,�le�città�del�nuovo�mondo�che�si�affaccia

al�nostro�sport.�Melbourne�ha�resistito,�ha�vinto,�e�ha�fatto�una�promessa:�in�breve,�il�tennis�a

Melbourne�Park�diventerà�uno�dei�salotti�della�città,�un�complesso�architettonico�e�sportivo�che

meriterà�ampie�segnalazioni�sulle�mappe�turistiche.�Da�visitare�anche�se�non�ci�saranno�Federer�e

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Djokovic�a�fare�da�chaperon.�

Curioso…�Gli�Australian�Open�già�vantano�uno

degli�impianti�più�moderni�del�tennis

internazionale,�di�certo�il�più�innovativo�fra

quelli�dello�Slam.�I�due�stadi�"tettuti",�ovverosia

muniti�di�tetto,�hanno�imposto�anche�alla

concorrenza�di�porre�mano�al�portafoglio�e�di

ristrutturare�gli�impianti�esistenti.�Lo�ha�fatto

Wimbledon,�sta�per�farlo�un�po'

cervelloticamente�il�Roland�Garros,�finirà�per

farlo�anche�lo�Slam�americano,�seppure�fra

grandissime�difficoltà,�dovute�alla�presenza

nelle�viscere�di�Flushing�Meadows�di�ciò�che

resta�di�una�delle�più�grandi�e�antiche

discariche�di�New�York,�cosa�che�rende�il

terreno�particolarmente�friabile�(è�probabile

dunque�che�innalzeranno�un�tetto�solo�per�il

secondo�stadio,�quello�dedicato�ad�Armstrong).

Ciò�nonostante,�i�cambiamenti�che�gli

Australian�Open�hanno�deciso�sono�tanti�e

rivoluzioneranno�drasticamente�la�struttura

esistente.�Si�lavora�a�fasi,�con�la�prima�in

scadenza�nel�2015.�Le�novità�saranno

introdotte�dunque�dal�torneo�del�2016,�anno�di

grazia.�I�lavori�principali�riguarderanno�la

Margaret�Court�Arena,�il�piazzale�d'ingresso�agli

stadi,�la�costruzione�dei�nuovi�campi,�il

parcheggio�multilivello�e�i�due�nuovi�ingressi

della�HiSense�Arena.�

Il�terzo�campo,�dedicato�a�Margaret�Court,�con

buona�pace�della�comunità�gay�di�Melbourne

che�spesso�ha�ingaggiato�battaglia�con�la�ex

campionessa�sulla�questione�dei�diritti�civili,

diventerà�il�terzo�fornito�di�tetto�scorrevole.�La

capienza,�oggi�intorno�ai�7000�posti

aumenterà�di�1500�poltrone.�Cambierà�aspetto

anche�l'involucro�che�conterrà�il�primo�(la

Laver�Arena)�e�il�terzo�stadio�(la�Margaret…),

che�diverranno�un�tutt'uno.�Nella�Eastern�Plaza

verrano�costruiti�21�nuovi�campi�di�cui�otto

indoor,�che�dunque�porteranno�oltre�i�40

campi�la�dotazione�dell'impianto.�All'interno�di

quest'area�ne�sarà�creata�una�più�piccola�e

appartata,�ma�comunque�aperta�al�pubblico,

per�gli�allenamenti�dei�giocatori.�Il�nuovo

ingresso�che�accoglierà�gli�spettatori�verrà

sistemato�lungo�l'Olympic�Boulevard.�Sarà

questa�la�parte�architettonica�più�dedicata�alla

città,�un�ampio�spiazzo�aperto�tutto�l'ano�alla

cittadinanza.�Lì�nei�pressi�il�parcheggio

multilivello�che�ospiterà�1000�vetture.�

Un�solo�problema,�chiaro�e�visibile�a�occhio

nudo,�per�chi�abbia�voglia�di�immaginare

l'immensità�della�nuova�area�che�conterrà

tutte�queste�novità,�costituita�dall'attuale

impianto�e�dai�suoi�ampliamenti.�Dal�campo

più�estremo�alla�destra�della�HiSense�Arena,

che�sorgerà�a�un�passo�dall'incrocio�con�la

grande�arteria�che�porta�al�mare�di�Santa�Kilda,

a�quello�più�estremo�in�direzione�opposta,

verso�la�Batman�Avenue,�vi�sono�non�meno�di

due�chilometri�e�mezz'ora�di�passeggiata.�A

meno�che�non�mettano�un�trenino�in�grado�di

trasportare�velocemente�gli�spettatori�che

vogliano�andare�su�un�altro�campo.

Melbourne�Park�compie�quest'anno�25�anni.�Se

fosse�un�tennista�sarebbe�al�picco�della�sua

carriera�ma�come�evento�è�ancora�un�pulcino

in�attesa�di�dispiegare�le�ali.�Le�fasi�del

cambiamento�prenderanno�complessivamente

12�anni,�dunque�nel�2016�verranno�aperte�solo

alcune�nuove�zone.�Sarà�una�faticaccia,�perché

ogni�anno�cambieranno�ingressi,�parcheggi,

permessi�e�percorsi.�Ma�gli�Open�devono

continuare�a�crescere.�La�fase�1�ha�visto�un

investimento�di�363�milioni�di�dollari�e

altrettanti�soldi�sono�stati�messi�in�budget�per

la�Fase�2.�Ma�terminati�i�lavori�Melbourne�sarà

davvero�la�nuova�città�del�tennis.

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Djokovic�a�fare�da�chaperon.�

Curioso…�Gli�Australian�Open�già�vantano�uno

degli�impianti�più�moderni�del�tennis

internazionale,�di�certo�il�più�innovativo�fra

quelli�dello�Slam.�I�due�stadi�"tettuti",�ovverosia

muniti�di�tetto,�hanno�imposto�anche�alla

concorrenza�di�porre�mano�al�portafoglio�e�di

ristrutturare�gli�impianti�esistenti.�Lo�ha�fatto

Wimbledon,�sta�per�farlo�un�po'

cervelloticamente�il�Roland�Garros,�finirà�per

farlo�anche�lo�Slam�americano,�seppure�fra

grandissime�difficoltà,�dovute�alla�presenza

nelle�viscere�di�Flushing�Meadows�di�ciò�che

resta�di�una�delle�più�grandi�e�antiche

discariche�di�New�York,�cosa�che�rende�il

terreno�particolarmente�friabile�(è�probabile

dunque�che�innalzeranno�un�tetto�solo�per�il

secondo�stadio,�quello�dedicato�ad�Armstrong).

Ciò�nonostante,�i�cambiamenti�che�gli

Australian�Open�hanno�deciso�sono�tanti�e

rivoluzioneranno�drasticamente�la�struttura

esistente.�Si�lavora�a�fasi,�con�la�prima�in

scadenza�nel�2015.�Le�novità�saranno

introdotte�dunque�dal�torneo�del�2016,�anno�di

grazia.�I�lavori�principali�riguarderanno�la

Margaret�Court�Arena,�il�piazzale�d'ingresso�agli

stadi,�la�costruzione�dei�nuovi�campi,�il

parcheggio�multilivello�e�i�due�nuovi�ingressi

della�HiSense�Arena.�

Il�terzo�campo,�dedicato�a�Margaret�Court,�con

buona�pace�della�comunità�gay�di�Melbourne

che�spesso�ha�ingaggiato�battaglia�con�la�ex

campionessa�sulla�questione�dei�diritti�civili,

diventerà�il�terzo�fornito�di�tetto�scorrevole.�La

capienza,�oggi�intorno�ai�7000�posti

aumenterà�di�1500�poltrone.�Cambierà�aspetto

anche�l'involucro�che�conterrà�il�primo�(la

Laver�Arena)�e�il�terzo�stadio�(la�Margaret…),

che�diverranno�un�tutt'uno.�Nella�Eastern�Plaza

verrano�costruiti�21�nuovi�campi�di�cui�otto

indoor,�che�dunque�porteranno�oltre�i�40

campi�la�dotazione�dell'impianto.�All'interno�di

quest'area�ne�sarà�creata�una�più�piccola�e

appartata,�ma�comunque�aperta�al�pubblico,

per�gli�allenamenti�dei�giocatori.�Il�nuovo

ingresso�che�accoglierà�gli�spettatori�verrà

sistemato�lungo�l'Olympic�Boulevard.�Sarà

questa�la�parte�architettonica�più�dedicata�alla

città,�un�ampio�spiazzo�aperto�tutto�l'ano�alla

cittadinanza.�Lì�nei�pressi�il�parcheggio

multilivello�che�ospiterà�1000�vetture.�

Un�solo�problema,�chiaro�e�visibile�a�occhio

nudo,�per�chi�abbia�voglia�di�immaginare

l'immensità�della�nuova�area�che�conterrà

tutte�queste�novità,�costituita�dall'attuale

impianto�e�dai�suoi�ampliamenti.�Dal�campo

più�estremo�alla�destra�della�HiSense�Arena,

che�sorgerà�a�un�passo�dall'incrocio�con�la

grande�arteria�che�porta�al�mare�di�Santa�Kilda,

a�quello�più�estremo�in�direzione�opposta,

verso�la�Batman�Avenue,�vi�sono�non�meno�di

due�chilometri�e�mezz'ora�di�passeggiata.�A

meno�che�non�mettano�un�trenino�in�grado�di

trasportare�velocemente�gli�spettatori�che

vogliano�andare�su�un�altro�campo.

Melbourne�Park�compie�quest'anno�25�anni.�Se

fosse�un�tennista�sarebbe�al�picco�della�sua

carriera�ma�come�evento�è�ancora�un�pulcino

in�attesa�di�dispiegare�le�ali.�Le�fasi�del

cambiamento�prenderanno�complessivamente

12�anni,�dunque�nel�2016�verranno�aperte�solo

alcune�nuove�zone.�Sarà�una�faticaccia,�perché

ogni�anno�cambieranno�ingressi,�parcheggi,

permessi�e�percorsi.�Ma�gli�Open�devono

continuare�a�crescere.�La�fase�1�ha�visto�un

investimento�di�363�milioni�di�dollari�e

altrettanti�soldi�sono�stati�messi�in�budget�per

la�Fase�2.�Ma�terminati�i�lavori�Melbourne�sarà

davvero�la�nuova�città�del�tennis.

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Lediecicosechefannodi

MelbourneParkunoSlam

diversodaglialtri

byFrancescaCicchitti

1)�Le�grandi�piante�di�eucalipto�che�si

trovano�lungo�la�strada�che�porta�all’ingresso

del�magnifico�impianto�di�Melbourne�Park,

emanano�un�odore�così�intenso,�piacevole�e

inebriante�soprattutto�durante�le�giornate

più�umide,�subito�dopo�un�acquazzone,�che

fanno�diventare�piacevole�persino�la�pioggia.

2)�Una�volta�arrivati�all’ingresso�principale,�è

impossibile�non�notare�una�statua

sproporzionata,�di�un�omino�con�la�racchetta

in�mano.�Ci�colpisce�perché�non�ce�ne�sono

altre,�per�fortuna,�di�così�brutte�davanti�a

nessun�altro�stadio�del�tennis.�Guardandola

meglio�ci�rendiamo�conto�che�l’infedele

scultura,�di�uno�scultore�del�quale

preferiamo�non�svelare�il�nome,�è�quella�del

grande�giocatore�australiano�Rod�Laver

l’ultimo�ad�aver�ottenuto,�41�anni�fa,�il

“Grande�Slam”.�La�statua�è�stata�eretta�nel

gennaio�del�2000�quando�lo�stadio�centrale,

la�Rod�Laver�Arena�appunto,�gli�è�stato

Page 9: Tennis World Italia n. 32

dedicato.

3)�Inoltrandoci�all’interno�dell’impianto�di

dimensioni�enormi,�come�solo�in�Australia�è

possibile�fare�(hanno�lo�spazio�necessario,�a

tutti�gli�effetti),�vediamo�un�cartellone�con�il

futuro�progetto�di�Melbourne�Park.�Qualcosa

di�“mostruoso”�per�grandezza�e�maestosità.

L’ampliamento�prevede�l’aumento�di�circa�sei

mila�posti�e�la�copertura�del�campo�Margaret

Court�Arena.�Diventerebbe�quindi�il�primo

torneo�dello�Slam�ad�avere�tre�campi�coperti.

Un�unico�problema…�Dall’ultimo�campo�sulla

destra�della�Rod�Laver�Arena,�all’ultimo�dalla

parte�opposta,�sulla�sinistra�dell’HiSense

Arena,�corrono�due�chilometri�buoni.

Suggerimenti�per�gli�spostamenti?�1)

Prendere�il�trenino�che�corre�accanto

all’impianto;�2)�Acquistare�un�monopattino.

A�voi�la�scelta…

4)�Da�quest’anno,�già�possiamo�vedere�una

delle�prime�innovazione�del�futuro

ampliamento.�C’è�una�nuova�area�chiamata

“the�oval”,�l’ovale,�che�è�una�specie�di

immenso�villaggio�dedicato�agli�spettatori

che�dopo�aver�visto�una�partita�possono

divertirsi�a�comprare�un�ricordo�in�uno�dei

tantissimi�stand.�Ci�sono�grandi�chioschi�che

vendono�cibo�e�bevande�per�tutti�i�gusti.

Page 10: Tennis World Italia n. 32

Immensi�hot-dog�ripieni�di�senape,�maionese�e

ketchup,�enormi�patate�fritte,�panini�imbottiti,

birra�e�bibite�gassate�a�volontà,�il�tutto

accompagnato�da�un�sottofondo,�avvolte�anche

un�po’�assordante,�di�musica�hard-rock.�Del�resto

la�musica,�in�tutte�le�sue�note,�è�la�grande

compagna�dei�giorni�tennistici�in�Australia.�C’è�il

palco,�di�lato�all’ovale�dove�staziona�il�pubblico,�e

il�programma�prevede�quindici�giorni�di�rock�con

gli�artisti�più�in�vista�della�Melbourne�rockettara.

Oppure,�c’è�la�soluzione�“fai�da�te”,�con�tre

musicanti�ingaggiati�direttamente�dal�torneo�(si

muovevano�infatti�tranquillamente�fra�players

lounge�e�corridoi�“privati”),�scelti�per�intrattenere

il�pubblico�con�musiche�a�richiesta.

A�Melbourne�Park�pesino�il�modo�di�fare�la

pubblicità�ci�lascia�stupiti�e�ci�fa�divertire�per

l’originalità.�Camminando�intorno�alla�Rod�Laver

Arena�di�fronte�ad�una�delle�entrate,�vediamo

quattro�ragazzi�travestiti�da�pinguini�ballare�la

break�dance,�mentre�cantano�il�ritornello�di�una

pubblicità�di�una�compagnia�telefonica.

6)�Durante�questo�torneo,�gli�spettatori�hanno�la

fortuna�di�potersi�andare�a�rilassare�allo�standdell’acqua�Evian.�Delle�esperte�ragazze�praticanoun�massaggio�rilassante�al�viso,�alle�tempie�e�al

collo.�Per�finire�applicano�un�impacco�rinfrescanteovviamente�a�base�di�acqua�Evian.

Page 11: Tennis World Italia n. 32

7)�Lo�stand�più�divertente,�è�quello�dove�ci

si�può�far�pitturare�il�viso�con�dei�colori�che

non�fanno�male�alla�pelle�e�che�si�lavano�via

facilmente�con�dell’acqua�e�sapone.�Due�abili

pittrici,�eseguono�sul�viso�un�disegno�a�scelta

dei�ragazzi�e�dei�bambini�che�sono�disposti�a

fare�file�lunghissime,�anche�di�un’ora�nella

speranza�di�farsi�notare�dalle�telecamere.�Per

la�maggiore�vanno�disegni�delle�bandiere

rappresentanti�il�proprio�paese,�oppure�fiori

o�animali�tipici�australiani.

8)�Il�folclore�della�gente�di�Melbourne�è

unico�e�raro,�non�lo�si�trova�in�nessun�altro

torneo.�Le�ragazze�sono�le�più�originali�e�non

lasciano�alcun�particolare�al�caso.�Le�si�vede

girare�in�costume�da�bagno�e�pantaloncini

cortissimi,�altre�con�la�bandiera�dell’Australia

a�mo’�di�mantello,�oppure�travestite�da

hawaiane.

9)�Unico�è�lo�stand�delle�poste�dov’è

possibile�farsi�fare�i�francobolli

personalizzati.

Un�fotografo�competente�scatta�una�foto�a

grandezza�di�francobollo,�simile�a�quella�che

si�fa�per�il�passaporto�ma�con�la�differenza

che�si�può�ridere�o�fare�smorfie.

Il�prezzo�è�di�quindici�dollari�e

novantacinque�centesimi�per�dieci

Page 12: Tennis World Italia n. 32

francobolli.

10)�E�per�finire�nessun�“bivacco”�è�come

quello�che�possiamo�trovare�a�Melbourne

Park.

Un�tappeto�di�persone,�soprattutto�ragazzi,

che�non�sono�riusciti�a�trovare�un�bigliettoper�il�centrale,�muniti�di�bibite�e�cibo�sisdraiano�sul�prato�e�guardando�la�partitasullo�schermo�gigante,�come�vuole�latradizione�di�uno�Slam.

Page 13: Tennis World Italia n. 32
Page 14: Tennis World Italia n. 32

Quelgeniodel

mioamico

byFrancescaCicchitti

Ci�siamo�fatti�raccontare�da

Martin�Mulligan,�che�lo

incontrò�nella�finale�di

Wimbledon,�

i�segreti�del�“piccolo-grande�uomo”

Nella�sua�casa�in�California,

Rod�Laver�usa�l’Anthony

Wilding�Memorial�Trophy,

come�ferma�porta.�In�quel

periodo,�quando�il�tennis�era

ancora�uno�sport

dilettantesco,�si�vincevano

solo�delle�belle�e�grandi

coppe,�e�il�“Memorial

Trophy”,�è�uno�tanti�trofei

che�Rodney�intascò�durante

quell’indimenticabile�1962,

anno�in�cui�“Rocket�il�razzo”,

all’età�di�24�anni,�vinse�il�suo

primo�Grand�Slam�da

dilettante,�per�poi�ripetere

l’impresa�7�anni�dopo,�nel

1969,�quella�volta�però�da

professionista.�Nessuno

dopo�di�lui�vi�è�mai�più

riuscito.

«Rod�nel�1962�dominò

l’anno,�fu�incredibile�quello

che�riuscì�a�fare»,�racconta

Martin�Mulligan,�suo

avversario�nella�finale�a

Wimbledon�del�1962.

�Rod�era�un�omino�piccolo�diappena�68�chili�che�con�unaracchetta�sapeva�fare�di

tutto,�e�lasciava�il�pubblico

incantato.�Per�capire�come

riuscisse�in�ogni�colpo,�gli

misurarono�persino

avambraccio�e�polso,�fu�così

che�si�accorsero�che�il�primo

era�grande�come�quello�di

Rocky�Marciano,�l’altro�delle

stesse�dimensioni�di�quello

di�Floyd�Patterson.�«Fu�lì

che�si�capi�tutto!»

«Sapeva�giocare�tutti�icolpi»

Nessuno�meglio�di�Mulligan,

australiano�come�Laver,

poteva�riferirci�le�gesta�di

quel�fenomeno�inarrestabile.

Ce�le�racconta�col�sorriso

sulle�labbra,�con�grande

ammirazione:�«Rod�era�un

esempio�per�noi�che

eravamo�più�giovani,�e

cercavamo�di�imparare�da

lui.�Era�davvero�bravo,velocissimo,�aveva�tutti�i

colpi:�il�servizio�slice,scendeva�a�rete,�potevagiocare�da�fondo�campo�epoi�fu�il�primo�mancino,�afare�il�rovescio�in�top-spin.

Fu�Charles�Hollis�il�suo�primomaestro,�a�insegnarglielo,�mafu�fondamentale�il�suosuccessivo�allenatore,�HarryHopman.�Insomma,�Rod�cifaceva�rimanere�tutti�a�bocca

aperta�con�il�suo�gioco».��

La�cosa�più�bella�e

ammirevole�di�Laver�era�la

sua�semplicità,�la�sua

umanità�e�la�gentilezza�con

la�quale�si�poneva�nei

confronti�dei�compagni,�degli

avversari,�o�dei�giornalisti.

Un�uomo�rimasto�con�i�piedi

per�terra,�che�aveva�vinto

tutto�ma�non�si�era�mai

Page 15: Tennis World Italia n. 32

montato�la�testa.�«Davvero

un�grande�uomo�Rod»,

prosegue�Mulligan,�«l’ho

conosciuto�quando�eravamo

nella�squadra�di�Coppa�Davis

australiana,�ed�è�sempre

stato�gentile�con�tutti�noi.

Poi,�è�normale,�nel�tempo�è

nata�un�po’�di�rivalità,�che

però�finiva�in�campo.�Tutti

volevamo�vincere,�ma�fuori

dal�“court”�eravamo�amici.

Rod�è�così�anche�oggi».�

Marty,�ha�giocato�tante�volte

contro�“Rocket”,�ed�è�riuscito

a�batterlo�un�paio�di�volte.

«La�prima�nei�campionati

Australiani�sulla�terra�battuta

e�la�seconda�a�Sydney

sull’erba.�E�pensare�che�in

entrambe�quelle�due�finali

“Rocket”�aveva�avuto�il

matchball,�ma�poi�ho�vinto

io».�“Rocket”�era�il

soprannome�che�gli�diede

Harry�Hoppman,�quando�lo

vide�giocare�per�prima�volta

a�Wimbledon�nel�’56.�Lo

soprannominò�così�sia�per�il

nome�della�sua�città�di

provenienza,�Rockhampton,

sia�per�la�sua�velocità,�quella

di�un�razzo.

Tra�i�tanti�aneddoti�che

Martin�Mulligan�ci�ha

raccontato,�il�più

interessante�è�quello�sulla

finale�di�Wimbledon,�dove

Martin�venne�battuto�da�Rod

con�un�pesante�risultato,�62

62�61.�Mulligan�non�era

affatto�emozionato�prima

della�partita.�In�quel�periodo

la�finale�si�giocava�di�sabato,

il�giovedì�aveva�giocato�la

semifinale�e�il�venerdì�si�era

allenato.�«Le�cose�allora

erano�diverse,�veniva�una

Rolls�Royce�a�prenderci�in

albergo�e�ci�portava�al

Club».�Persino�quando�si

trovò�all’interno�di�quella

lussuosissima�automobile,

Martin�rimase�tranquillo;

oltre�tutto�quell’anno,�per�la

prima�volta,�la�Regina

Elisabetta�II�sarebbe�andata

a�vedere�la�finale.

L’emozione�si�fece�sentire

solo�quando�mise�il�piede�in

campo.�«Fu�allora�che�mi

mancò�il�respiro.�Sapevo�che

Rod�voleva�dimostrare�la�sua

superiorità,�e…�Devo�dire

che�ci�riuscì�davvero�bene!

Lui�che�era�famoso�per�i

lunghi�match,�mi�ha�liquidato

velocemente�in�tre�set!».

Conclude�con�una�simpatica

risata.�

�L’ultimo�Grand�Slam?

Secondo�Martin�Mulligan,

non�si�possono�fare�dei

confronti�tra�Laver�e�i

campioni�odierni,�erano

epoche�troppo�differenti.

«Tutto�è�possibile,�ma�non

credo�ci�sarà�mai�più�un

giocatore�che�possa�ottenere

per�due�volte�un�Grand�Slam

come�lui».

�A�essere�d’accordo�conMulligan�ci�sono�due

giornalisti�italiani,�che�in�quelperiodo�conobbero�bene�e

divennero�amici�di�RodLaver.�Gianni�Clerici�loricorda�come�una�persona

Page 16: Tennis World Italia n. 32

civilissima,�di�grande�semplicità,�e�molto

simpatico.�Un�giocatore�unico,�corretto�che

aveva�raggiunto�altissimi�livelli�ma�che�era

rimasto�umano:�«La�sera�si�usciva�insieme�a

cena,�si�chiacchierava�di�tutto,�anche�di

tattiche,�mi�ricordo�quando�Laver�mi�chiese

come�giocava�Pietrangeli,�quali�fossero�i�suoi

punti�di�forza.�Erano�altri�tempi.�Non�posso

dire�che�nessuno�riuscirà�a�fare�un�Grand

Slam,�ma�tutto�è�possibile».

Anche�Rino�Tommasi,�dice�le�stesse�cose:

«Era�un�uomo�e�un�giocatore�alla�mano,�una

persona�che�per�essere�arrivata�a�dei�livelli

così�alti,�non�si�è�mai�montata�la�testa.�Era

sempre�disponibile�al�dialogo,�se�lo�incontri

oggi�è�ancora�così.�Pochi�anni�fa�lo�incontrai

a�Sydney,�in�aeroporto�e�abbiamo�avuto�una

piacevolissima�conversazione.�Qualcuno�dei

campioni�attuali,�forse,�potrebbe�fare�un

Grand�Slam…�Ma�due�è�davvero�difficile».

E�se�lo�domandiamo�a�Rod�Laver?�Anche�lui

ci�ha�risposto�che�nulla�è�impossibile,�e�se

nella�vita�si�vuole�qualcosa,�con�il�sacrificio�la

Page 17: Tennis World Italia n. 32

si�può�ottenere.�«Quando�ho�vinto�il�primo

Grand�Slam�nel�1962�è�stato�molto�duro�per

me,�ma�guardandomi�indietro�quello�del�‘69

lo�è�stato�ancora�di�più,�perché�avevo�di

fronte�avversari�forti,�dei�professionisti,�ed�è

stato�per�me�il�Grand�Slam�che�mi�ha�dato

maggiori�soddisfazioni».

Page 18: Tennis World Italia n. 32

L’ultimo

fighter

byFedericoMariani

Page 19: Tennis World Italia n. 32

“Mi�sforzo�di�sorridere,�sapendo�che�la�mia

ambizione�ha�superato�di�gran�lunga�il�mio

talento.�Ormai�non�trovo�più�cavalli

bianchi�o�belle�donne�alla�mia�porta”.

Non�può�che�sorridere�Lleyton�Hewitt�dopo

aver�tirato�in�corridoio�l’ultimo�passante�della

sua�vita�sul�circuito�Atp.�Gli�occhi�non

tradiscono,�ed�è�estremamente�affascinante

ammirare�il�volto�di�un�uomo�nell’istante�che

segue�la�fine�di�tutto�ciò�che�è�stato.�E’�un

sorriso�sincero�quello�del�ragazzo�della�Gold

Coast�dopo�il�matchpoint�dell’ultima�partita

tra�i�professionisti,�nella�sua�Melbourne,�nella

sua�Rod�Laver�Arena.

Come�George�Jung�­�protagonista�di�Blow,

cui�Johnny�Depp�presta�magistralmente

corpo�ed�arte�­�l’ambizione�di�Hewitt�ha

superato�ciò�che�Madre�Natura�gli�ha�donato

sotto�forma�di�talento.�“Non�ha�il�colpo�del

k.o.,�l’arma�in�più�che�ti�lascia�fermo,�il

vincente”.�Quante�volte�addetti�ai�lavori,

appassionati�e�tifosi�hanno�ripetuto�come�un

mantra�questa�frase�riferendola�al�tennis�di

Lleyton.�Ed�effettivamente�il�colpo�risolutore,

quello�che�ruba�l’occhio�e�fa�innamorare

l’anima�Hewitt�non�l’ha�mai�avuto.�Non�è

dotato�di�un�dritto�fulmineo�o�di�un�servizio

poderoso,�in�definitiva�non�ci�sono�mai�stati

punti�gratis�nell’arsenale�di�Rusty.�Ogni

quindici�è�costruito,�ogni�situazione

premeditata.�Al�tennis�hit&run�moderno,

Hewitt�ha�risposto�con�un�saggio�di�tattica

applicata�al�Gioco,�straordinario�nella�sua

complessità.

L’australiano�ha�tratto�il�massimo�da�ciò�che

aveva,�forse�di�più.�Quel�massimo�si�traduce

in�soldoni�con�due�titoli�del�Grande�Slam�a

New�York�e�Wimbledon,�quasi�sgraffignati�in

quell’esile�terra�di�mezzo�tra�due�generazioni

di�fenomeni.�Ha�trionfato�nei�primi�anni�del

nuovo�millennio�alle�Atp�Finals�per�due�volte

consecutive,�cui�vanno�aggiunte�due�edizioni

della�Coppa�Davis�vinte�con�l’Australia�per�un

totale�di�trenta�successi.�E’�stato�il�più

giovane�della�storia�del�tennis�maschile�a

salire�sul�trono�più�alto�del�mondo,

restandoci�per�ottanta�settimane.

“Non�si�apprezza�mai�quello�che�si�ha

finché�non�lo�si�perde”

La�vetta�del�ranking,�tuttavia,�non�ha�donato

a�Hewitt�l’amore�e�la�fama�degni�di�un

numero�uno.�Vuoi�per�un�gioco�che�può

Page 20: Tennis World Italia n. 32

sembrare�noioso�ad�un�occhio�distratto,�vuoi

per�un�atteggiamento�da�vero�fighter�che

talvolta�è�scivolato�oltre�il�confine

dell’arroganza,�è�stata�impresa�difficile�scovare

tifosi�di�Rusty�al�di�fuori�della�cerchia�degli

storici�fanatics�o,�più�in�generale,�oltre�i�confini

della�nativa�Australia.�Come�detto�in

precedenza,�Hewitt�s’è�cibato�principalmente

del�vuoto�generazionale�a�cavallo�tra�la�fine�di

Sampras-Agassi�(ma�non�solo�ovviamente)�e

l’avvento�dell’Era�Federer�poi�coabitata�ed

arricchita�da�Nadal�prima�e�Djokovic�poi.�Uno

spazio�temporale�­�quello�dell’interregno�­

troppo�breve�per�far�innamorare�le�folle�di

questo�ragazzo�biondino�un�po’�troppo

irrequieto,�di�certo�non�propriamente�in�linea

coi�canoni�tradizionalisti�del�tennista.�E,�se

anche�fosse�accaduto,�l’imminente�ascesa�di

Federer�è�stata�troppo�travolgente�per�evitare

che�quel�ragazzo�venga�parzialmente�messo�in

disparte,�bravo�sì,�campione�sì,�ma�totalmente

scarico�d�appeal�se�relazionato�all’elvetico,�the

next�big�thing,�molto�big!

Gli�appassionati�di�tennis�hanno�imparato

gradualmente�ad�innamorarsi�di�Hewitt,�anche

se�pare�più�opportuno�parlare�di�rispetto�più

che�di�amore.�Tutti�quei�“C’mon”�eccessivi

sbattuti�in�faccia�agli�avversari,�o�l’episodio�con

James�Blake�a�New�York�dove�Rusty�accusò

Bernardes�di�un�fantomatico�di�razzismo

invertito,�o�ancora�tutte�le�bagarre�con�gli

argentini�(Coria,�Chela,�ma�anche

Nalbandian…),�non�hanno�certo�aiutato

l’immagine�di�Lleyton�agli�occhi�del�mondo.�E’

solo�in�un�secondo�momento�che�lo�spettatore

ha�capito�appieno�lo�spirito�del�guerriero

australiano,�forse�con�eccessivo�ritardo.

Un�uomo�­�ancor�prima�di�un�giocatore�­�chesubisce�tre�operazioni,�che�riemerge�sempre,che�dona�il�suo�stesso�corpo�per�amore�del

Gioco,�che�pur�essendo�un�campione�accetta�il

fatto�di�vestire�i�panni�del�comprimario�prima

ed�ancora�meno�poi.�Uno�che�si�fa�impiantare

una�placca�metallica�nel�piede�sinistro�solo�per

riuscire�a�fare�qualche�giro�in�più,�per�sentirsi

ancora�vivo,�per�sentirsi�ancora�parte�di�quello

che�era�(e�sarà)�il�suo�tutto.�Ecco,�davanti�ad

uno�così�si�deve�chinare�il�capo�e�dire�grazie.

E’�strano�il�tennis.�E’�uno�sport�in�cui�vigespietata�la�legge�della�vittoria,�ma�che�spesso�fainnamorare�grazie�alla�sconfitta.�E’�questo�ilcaso�di�Lleyton,�troppo�spesso�odiato�per

quello�status�di�cattivo�cucito�sulla�pelle,�etroppo�tardi�apprezzato�quando�i�“C’mon”

hanno�cominciato�a�superare�di�gran�lunga�le

vittorie�sul�circuito.�Negli�ultimi�sette�anni�un

solo�quarto�di�finale�Slam�è�il�magro�bottino

raccolto�da�Rusty�che,�al�tempo�stesso,�ha

dovuto�subire�copiose�sconfitte,�forse�più�di

quanto�l’ego�del�campione�possa�sopportare,

ma�meno�di�quante�l’infinito�amore�per�il�tennis

possa�perdonare.�Ed�è�proprio�l’ultima�versione

­�quella�perdente�­�che�è�stata�in�grado�di

amplificare�ed�in�un�certo�senso�a�purificare

l’immagine�di�chi�avrà�un�posto�al�tavolo�delle

leggende�del�Gioco.

Dopo�l’ultimo�incontro�che�lo�ha�visto�perdereal�secondo�turno�dello�Slam�di�casa�controDavid�Ferrer,�Hewitt�ha�salutato�la�compagnia

ricevendo�il�saluto�sul�maxischermo�dei

campionissimi�di�oggi.�Anziché�cominciare�a

godersi�sin�da�subito�un’agognata�(e�dorata)

pensione�lontano�dal�rettangolo�di�gioco,

tuttavia,�quattro�giorni�dopo�Hewitt�era

nell’angolo�di�Bernard�Tomic�durante�gli�ottavi

di�finale�che�vedevano�il�talento�aussie

fronteggiare�Murray.�Questo�è�Hewitt:�un

uomo�totalmente�innamorato�del�tennis�che�nel

tennis�continuerà�a�stare.�L’Australia�dopo

svariati�anni�di�magra,�ha�tre�potenziali�assi

nelle�maniche,�tutti�giovani,�tutti

tremendamente�promettenti.�Ah�se�solo

avessero�metà�del�furore�di�quel�ragazzo�di

Adelaide�ormai�in�pensione…

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sembrare�noioso�ad�un�occhio�distratto,�vuoi

per�un�atteggiamento�da�vero�fighter�che

talvolta�è�scivolato�oltre�il�confine

dell’arroganza,�è�stata�impresa�difficile�scovare

tifosi�di�Rusty�al�di�fuori�della�cerchia�degli

storici�fanatics�o,�più�in�generale,�oltre�i�confini

della�nativa�Australia.�Come�detto�in

precedenza,�Hewitt�s’è�cibato�principalmente

del�vuoto�generazionale�a�cavallo�tra�la�fine�di

Sampras-Agassi�(ma�non�solo�ovviamente)�e

l’avvento�dell’Era�Federer�poi�coabitata�ed

arricchita�da�Nadal�prima�e�Djokovic�poi.�Uno

spazio�temporale�­�quello�dell’interregno�­

troppo�breve�per�far�innamorare�le�folle�di

questo�ragazzo�biondino�un�po’�troppo

irrequieto,�di�certo�non�propriamente�in�linea

coi�canoni�tradizionalisti�del�tennista.�E,�se

anche�fosse�accaduto,�l’imminente�ascesa�di

Federer�è�stata�troppo�travolgente�per�evitare

che�quel�ragazzo�venga�parzialmente�messo�in

disparte,�bravo�sì,�campione�sì,�ma�totalmente

scarico�d�appeal�se�relazionato�all’elvetico,�the

next�big�thing,�molto�big!

Gli�appassionati�di�tennis�hanno�imparato

gradualmente�ad�innamorarsi�di�Hewitt,�anche

se�pare�più�opportuno�parlare�di�rispetto�più

che�di�amore.�Tutti�quei�“C’mon”�eccessivi

sbattuti�in�faccia�agli�avversari,�o�l’episodio�con

James�Blake�a�New�York�dove�Rusty�accusò

Bernardes�di�un�fantomatico�di�razzismo

invertito,�o�ancora�tutte�le�bagarre�con�gli

argentini�(Coria,�Chela,�ma�anche

Nalbandian…),�non�hanno�certo�aiutato

l’immagine�di�Lleyton�agli�occhi�del�mondo.�E’

solo�in�un�secondo�momento�che�lo�spettatore

ha�capito�appieno�lo�spirito�del�guerriero

australiano,�forse�con�eccessivo�ritardo.

Un�uomo�­�ancor�prima�di�un�giocatore�­�chesubisce�tre�operazioni,�che�riemerge�sempre,che�dona�il�suo�stesso�corpo�per�amore�del

Gioco,�che�pur�essendo�un�campione�accetta�il

fatto�di�vestire�i�panni�del�comprimario�prima

ed�ancora�meno�poi.�Uno�che�si�fa�impiantare

una�placca�metallica�nel�piede�sinistro�solo�per

riuscire�a�fare�qualche�giro�in�più,�per�sentirsi

ancora�vivo,�per�sentirsi�ancora�parte�di�quello

che�era�(e�sarà)�il�suo�tutto.�Ecco,�davanti�ad

uno�così�si�deve�chinare�il�capo�e�dire�grazie.

E’�strano�il�tennis.�E’�uno�sport�in�cui�vigespietata�la�legge�della�vittoria,�ma�che�spesso�fainnamorare�grazie�alla�sconfitta.�E’�questo�ilcaso�di�Lleyton,�troppo�spesso�odiato�per

quello�status�di�cattivo�cucito�sulla�pelle,�etroppo�tardi�apprezzato�quando�i�“C’mon”

hanno�cominciato�a�superare�di�gran�lunga�le

vittorie�sul�circuito.�Negli�ultimi�sette�anni�un

solo�quarto�di�finale�Slam�è�il�magro�bottino

raccolto�da�Rusty�che,�al�tempo�stesso,�ha

dovuto�subire�copiose�sconfitte,�forse�più�di

quanto�l’ego�del�campione�possa�sopportare,

ma�meno�di�quante�l’infinito�amore�per�il�tennis

possa�perdonare.�Ed�è�proprio�l’ultima�versione

­�quella�perdente�­�che�è�stata�in�grado�di

amplificare�ed�in�un�certo�senso�a�purificare

l’immagine�di�chi�avrà�un�posto�al�tavolo�delle

leggende�del�Gioco.

Dopo�l’ultimo�incontro�che�lo�ha�visto�perdereal�secondo�turno�dello�Slam�di�casa�controDavid�Ferrer,�Hewitt�ha�salutato�la�compagnia

ricevendo�il�saluto�sul�maxischermo�dei

campionissimi�di�oggi.�Anziché�cominciare�a

godersi�sin�da�subito�un’agognata�(e�dorata)

pensione�lontano�dal�rettangolo�di�gioco,

tuttavia,�quattro�giorni�dopo�Hewitt�era

nell’angolo�di�Bernard�Tomic�durante�gli�ottavi

di�finale�che�vedevano�il�talento�aussie

fronteggiare�Murray.�Questo�è�Hewitt:�un

uomo�totalmente�innamorato�del�tennis�che�nel

tennis�continuerà�a�stare.�L’Australia�dopo

svariati�anni�di�magra,�ha�tre�potenziali�assi

nelle�maniche,�tutti�giovani,�tutti

tremendamente�promettenti.�Ah�se�solo

avessero�metà�del�furore�di�quel�ragazzo�di

Adelaide�ormai�in�pensione…

Page 22: Tennis World Italia n. 32

RAFA,ci

risiamo!by�Marco�Di�Nardo

Page 23: Tennis World Italia n. 32

RAFA,ci

risiamo!by�Marco�Di�Nardo

Page 24: Tennis World Italia n. 32

Il�peggio�sembrava�essere�passato�per�Rafael

Nadal,�autore�di�un�2015,�soprattutto�nella

prima�metà,�davvero�disastroso.�Tante

sconfitte,�anche�sulla�terra�rossa,�superficie�che

anche�nelle�annate�meno�positive�gli�aveva

sempre�permesso�di�restare�in�alto,

assicurandogli�almeno�un�paio�di�Masters�1000

e�un�titolo�dello�Slam�praticamente�in�tutte�le

stagioni�dal�2005�in�avanti.

Dopo�la�sconfitta�subita�contro�Fabio�Fogniniagli�U.S.�Open,�in�una�partita�in�cui�Nadal�si�eratrovato�a�condurre�per�due�set�a�zero,�prima�di

essere�sorprendentemente�rimontato,�lospagnolo�era�finalmente�tornato�in�buonecondizioni�-�in�particolare�quella�mentale,decisiva�per�il�suo�calo�di�rendimento�-�a

partire�dal�torneo�di�Pechino�dello�scorso�anno,in�cui�aveva�dato�il�via�ad�una�serie�di�buonirisultati,�utile�soprattutto�a�ritrovare�fiducia�in

vista�della�nuova�annata.�

Il�2016�doveva�quindi�diventare�la�stagione

della�rinascita.�D'altronde�negli�ultimi�anni�tutti

i�"Big-4",�ad�esclusione�di�Novak�Djokovic,

hanno�avuto�un'annata�negativa,�prima�di

tornare�in�alto.�Nel�2013�era�stata�la�volta�di

Roger�Federer,�che�aveva�chiuso�al�numero�6

della�classifica�mondiale,�prima�di�tornare�al

numero�2�l'anno�successivo;�nel�2014�era

invece�stato�Andy�Murray�a�finire�addirittura

fuori�dalla�Top-10�per�un�breve�periodo,�per

poi�tornare�anch'egli�al�numero�2�lo�scorso

anno.�Nadal,�nelle�difficoltà,�è�stato�il�giocatore

ad�aver�perso�meno�terreno,�avendo�chiuso�il

2015�al�numero�5�del�Ranking�ATP,�mentre�i

due�giocatori�citati�precedentemente,�nella�loro

annata�di�"pausa"�non�erano�andati�oltre�al

numero�6.�Anche�per�questo�motivo,�aspettarsi

un�grande�ritorno�del�maiorchino�nel�2016�era

abbastanza�prevedibile,�seppur�non�del�tutto

scontato.

Page 25: Tennis World Italia n. 32

Il�peggio�sembrava�essere�passato�per�Rafael

Nadal,�autore�di�un�2015,�soprattutto�nella

prima�metà,�davvero�disastroso.�Tante

sconfitte,�anche�sulla�terra�rossa,�superficie�che

anche�nelle�annate�meno�positive�gli�aveva

sempre�permesso�di�restare�in�alto,

assicurandogli�almeno�un�paio�di�Masters�1000

e�un�titolo�dello�Slam�praticamente�in�tutte�le

stagioni�dal�2005�in�avanti.

Dopo�la�sconfitta�subita�contro�Fabio�Fogniniagli�U.S.�Open,�in�una�partita�in�cui�Nadal�si�eratrovato�a�condurre�per�due�set�a�zero,�prima�di

essere�sorprendentemente�rimontato,�lospagnolo�era�finalmente�tornato�in�buonecondizioni�-�in�particolare�quella�mentale,decisiva�per�il�suo�calo�di�rendimento�-�a

partire�dal�torneo�di�Pechino�dello�scorso�anno,in�cui�aveva�dato�il�via�ad�una�serie�di�buonirisultati,�utile�soprattutto�a�ritrovare�fiducia�in

vista�della�nuova�annata.�

Il�2016�doveva�quindi�diventare�la�stagione

della�rinascita.�D'altronde�negli�ultimi�anni�tutti

i�"Big-4",�ad�esclusione�di�Novak�Djokovic,

hanno�avuto�un'annata�negativa,�prima�di

tornare�in�alto.�Nel�2013�era�stata�la�volta�di

Roger�Federer,�che�aveva�chiuso�al�numero�6

della�classifica�mondiale,�prima�di�tornare�al

numero�2�l'anno�successivo;�nel�2014�era

invece�stato�Andy�Murray�a�finire�addirittura

fuori�dalla�Top-10�per�un�breve�periodo,�per

poi�tornare�anch'egli�al�numero�2�lo�scorso

anno.�Nadal,�nelle�difficoltà,�è�stato�il�giocatore

ad�aver�perso�meno�terreno,�avendo�chiuso�il

2015�al�numero�5�del�Ranking�ATP,�mentre�i

due�giocatori�citati�precedentemente,�nella�loro

annata�di�"pausa"�non�erano�andati�oltre�al

numero�6.�Anche�per�questo�motivo,�aspettarsi

un�grande�ritorno�del�maiorchino�nel�2016�era

abbastanza�prevedibile,�seppur�non�del�tutto

scontato.

Page 26: Tennis World Italia n. 32

L'inizio�di�questo�2016�sembrava�dare�ragione�a

chi�sosteneva�che�Nadal�potesse�tornare�ad

altissimi�livelli.�Al�Mubadala�World�Tennis

Championship,�torneo�di�esibizione,�che�però

viene�giocato�da�tutti�i�protagonisti�come�se

fosse�un�evento�ufficiale�-�anche�per

l'importante�montepremi�di�500.000�dollari�-,

Rafa�è�infatti�tornato�a�vincere,�battendo�due

Top-10�come�David�Ferrer�e�Milos�Raonic,

conquistando�il�suo�terzo�trofeo�ad�Abu�Dhabi

ed�eguagliando�il�record�di�Novak�Djokovic.

La�settimana�successiva�è�quindi�arrivato�il

primo�torneo�ufficiale,�l'ATP�250�di�Doha,�con

un�campo�di�partecipazione�più�simile�a�quello

di�un�Masters�1000�che�a�quello�di�molti�ATP

500,�nonostante�si�tratti�di�un�torneo�di

categoria�inferiore�ad�entrambi.�Lì�Rafa�ha

confermato�i�suoi�progressi,�battendo�uno�dopo

l'altro�Pablo�Carreno�Busta,�Robin�Haase,

Andrey�Kuznetsov�e�Illya�Marchenko�-�autore

dell'eliminazione�del�campione�uscente�David

Ferrer�al�primo�turno�-,�conquistando�la�finale.

Nel�match-clou�non�c'è�stata�storia,�Novak

Djokovic�ha�vinto�facilmente�per�6-1�6-2,�ma

Nadal�era�comunque�contento�del�suo�gioco,

fiducioso�per�un�Australian�Open�finalmente�da

protagonista.

E�invece�proprio�in�Australia�è�arrivata�una

delusione�che�potrebbe�farlo�sprofondare

nuovamente�in�quella�crisi�mentale�che�lo

aveva�attanagliato�per�tutto�il�2015.�Complice

un�sorteggio�non�fortunatissimo,�Rafa�si�è

ritrovato�ad�affrontare�al�primo�turno�quel

Fernando�Verdasco�che�nel�2009�lo�aveva

costretto�al�quinto�set�nella�semifinale�dello

stesso�torneo.�Anche�questa�volta�i�due�sono

approdati�al�parziale�decisivo,�ma�l'esito�è�stato

differente,�confermando�le�difficoltà�di�Nadal

nei�momenti�decisivi.�Sconfitto�per�7-6�4-6�3-6

7-6�6-2,�Rafa�per�la�seconda�volta�nella�sua

carriera�si�è�trovato�a�dover�abbandonare�un

Major�senza�aver�vinto�nemmeno�un�match,�e

ora�diventa�davvero�difficile�dimenticare�un

risultato�negativo�soprattutto�per�il�momento

in�cui�è�arrivato,�in�un�periodo�nel�quale�il

numero�1�spagnolo�sembrava�aver�ritrovato�un

tennis�vicino�a�quello�dei�migliori�tempi.

�A�questo�punto�diventano�decisivi�i�tornei�suterra�battuta�del�mese�di�febbraio,�cheanticipano�i�due�Masters�1000�sul�cemento

americano.�Per�Nadal�potrebbe�essere�l'ultimaspiaggia,�perdere�sulla�sua�superficie,�comesuccesso�lo�scorso�anno,�in�un�momentoimportante�come�questo,�potrebbe�davverorivelarsi�letale�da�un�punto�di�vista�sportivo.

Page 27: Tennis World Italia n. 32

L'inizio�di�questo�2016�sembrava�dare�ragione�a

chi�sosteneva�che�Nadal�potesse�tornare�ad

altissimi�livelli.�Al�Mubadala�World�Tennis

Championship,�torneo�di�esibizione,�che�però

viene�giocato�da�tutti�i�protagonisti�come�se

fosse�un�evento�ufficiale�-�anche�per

l'importante�montepremi�di�500.000�dollari�-,

Rafa�è�infatti�tornato�a�vincere,�battendo�due

Top-10�come�David�Ferrer�e�Milos�Raonic,

conquistando�il�suo�terzo�trofeo�ad�Abu�Dhabi

ed�eguagliando�il�record�di�Novak�Djokovic.

La�settimana�successiva�è�quindi�arrivato�il

primo�torneo�ufficiale,�l'ATP�250�di�Doha,�con

un�campo�di�partecipazione�più�simile�a�quello

di�un�Masters�1000�che�a�quello�di�molti�ATP

500,�nonostante�si�tratti�di�un�torneo�di

categoria�inferiore�ad�entrambi.�Lì�Rafa�ha

confermato�i�suoi�progressi,�battendo�uno�dopo

l'altro�Pablo�Carreno�Busta,�Robin�Haase,

Andrey�Kuznetsov�e�Illya�Marchenko�-�autore

dell'eliminazione�del�campione�uscente�David

Ferrer�al�primo�turno�-,�conquistando�la�finale.

Nel�match-clou�non�c'è�stata�storia,�Novak

Djokovic�ha�vinto�facilmente�per�6-1�6-2,�ma

Nadal�era�comunque�contento�del�suo�gioco,

fiducioso�per�un�Australian�Open�finalmente�da

protagonista.

E�invece�proprio�in�Australia�è�arrivata�una

delusione�che�potrebbe�farlo�sprofondare

nuovamente�in�quella�crisi�mentale�che�lo

aveva�attanagliato�per�tutto�il�2015.�Complice

un�sorteggio�non�fortunatissimo,�Rafa�si�è

ritrovato�ad�affrontare�al�primo�turno�quel

Fernando�Verdasco�che�nel�2009�lo�aveva

costretto�al�quinto�set�nella�semifinale�dello

stesso�torneo.�Anche�questa�volta�i�due�sono

approdati�al�parziale�decisivo,�ma�l'esito�è�stato

differente,�confermando�le�difficoltà�di�Nadal

nei�momenti�decisivi.�Sconfitto�per�7-6�4-6�3-6

7-6�6-2,�Rafa�per�la�seconda�volta�nella�sua

carriera�si�è�trovato�a�dover�abbandonare�un

Major�senza�aver�vinto�nemmeno�un�match,�e

ora�diventa�davvero�difficile�dimenticare�un

risultato�negativo�soprattutto�per�il�momento

in�cui�è�arrivato,�in�un�periodo�nel�quale�il

numero�1�spagnolo�sembrava�aver�ritrovato�un

tennis�vicino�a�quello�dei�migliori�tempi.

�A�questo�punto�diventano�decisivi�i�tornei�suterra�battuta�del�mese�di�febbraio,�cheanticipano�i�due�Masters�1000�sul�cemento

americano.�Per�Nadal�potrebbe�essere�l'ultimaspiaggia,�perdere�sulla�sua�superficie,�comesuccesso�lo�scorso�anno,�in�un�momentoimportante�come�questo,�potrebbe�davverorivelarsi�letale�da�un�punto�di�vista�sportivo.

Page 28: Tennis World Italia n. 32

Efinalmentegiunsel'oradi

MilosRaonic

byGiorgioGiannaccini

Il�suo�ultimo�Australian�Open�non�ci�può

lasciare�indifferenti:�Milos�Raonic�finalmente�è

giunto�alla�maturazione�definitiva�che�da�tempo

aspettavamo.�Il�suo�è�stato�sicuramente�il�caso

di�un�ragazzo�già�da�tempo�annunciato�come

papabile�grande�giocatore�ma�che�ha�dovuto

conoscere�un�processo�di�maturazione�molto

ma�molto�lungo,�passando�anche�per�diversi

coach�che�lo�hanno�migliorato�e,�ancor�più

probabilmente,�fatto�capire�cosa�fosse�in�realtà

il�tennis.

Sembra�ieri�quando�Milos�era�un�ragazzo�alto�e

mingherlino�dal�potente�servizio�con,�ahimè,

dei�pessimi�spostamenti�laterali�che�ne

limitavano�talvolta�i�colpi�-�visto�che�la�ricerca

della�palla�era�molto�goffa�-�e�lo�rendeva

praticamente�nullo�in�fase�difensiva.

Quel�ragazzo�che�aveva�due�solidi

fondamentali,�nei�quali�tra�l'altro�era

impossibile�non�ammettere�una�certa

naturalezza,�aveva�bisogno�di�un�serio�lavoro

fisico,�altrimenti�sarebbe�stato�difficile�vederlo

pienamente�realizzato�in�un�tennis,�come

quello�di�oggi,�così�affine�ad�un�forte�atletismo.

Nonostante�un�cambio�di�guida�verso�fine

2010,�quando�rimpiazzò�coach�Frederic

Niemeyer�con�l'ex�tennista�spagnolo�Galo

Blanco,�la�rivoluzione�tanto�attesa�non�arriva.

Milos�deve�attendere�l'avvento�di�Ivan�Ljubicic,

che�si�sederà�sulla�sua�panchina�nel�giugno�del

2013,�per�ottenere�risultati�importanti.

La�ricetta�è�semplice,�lavorare�su�quello�che�il

canadese�non�aveva�mai�fatto�in�vita�sua:�gli

spostamenti.�Ed�è�con�questo�primo�principio

che�Raonic�migliora�i�colpi�stessi;�avendo�un

appoggio�più�stabile�ne�consegue�anche�un

notevole�miglioramento�nell'impattare�la�palla

in�ogni�colpo,�specialmente�con�quel�suo�dritto

così�potente�e�che�fa�male�a�tutti.

Non�basta�però,�ci�sono�ancora�tante�e�troppe

lacune�da�migliorare�per�formare�un�tennista

veramente�forte,�come�ad�esempio�quel�suo

scellerato�rovescio�bimane.�Anche�qui�la�ricetta

di�Ivan�Ljubicic�è�tanto�saggia�quanto�semplice,

quella,�cioè,�di�provare�a�giocare�quando,�ce�n'è

l'opportunità,�un�approccio�a�rete�col�back

lungolinea�di�rovescio�e�coprire�la�rete�con

quella�sua�immensa�copertura�alare,�data

peraltro�dai�suoi�196�cm.

Tutto�il�gioco�bene�o�male�viene�rivisto,�eanche�lo�stesso�rovescio�a�due�mani�migliora,seppur�non�in�modo�eclatante,�e�il�dritto,�fresco

di�una�condizione�fisica�ora�buona,�miglioranotevolmente.�

I�risultati�cominciano�a�dare�ragione�al�coachcroato,�Raonic�ottiene�nel�2014�diversi�risultatinon�da�poco:�primo�su�tutti�i�quarti�sulla�terra

rossa�del�Roland�Garros,�arrendendosi�soloall'allora�numero�2�del�mondo�Novak�Djokovic.

Poche�settimane�dopo�si�riconferma�alla�grande

anche�a�Wimbledon,�arriva�in�semifinale�e

anche�qui�si�arrende�a�chi�è�quasi�imbattile

sull'erba,�sua�altezza�reale�Roger�Federer.�Fino

ad�arrivare�a�un�agrodolce�Us�Open,�dove�sarà

sconfitto�al�quarto�turno�da�Kei�Nishikori,�in

una�lotta�protratta�fino�al�quinto�set.�Torneo

che�vedrà,�guardo�caso,�proprio�il�nipponico�in

finale.

La�qualificazione�alle�Finals�di�fine�anno�è�certa,

sebbene�poi�perderà,�nel�girone�del�torneo,�2

set�a�0�sia�contro�Roger�Federer�che�con�Andy

Murray.

L'anno�dopo,�prima�conquista�la�finale�del

torneo�di�Brisbane,�venendo�poi�sconfitto

all'ultimo�atto�da�Roger�Federer,�in�più�ottiene

nel�torneo�australiano�per�eccellenza�­�gli

Australian�Open�­�i�quarti�di�finale,

sconfiggendo�Feliciano�Lopez,�ma�trovando

successivamente�sulla�sua�strada�Novak

Djokovic,�finendo�così�sconfitto�nuovamente�da

un�altro�mostro�sacro.

�Ma�lo�scalpo�grosso�lo�ottiene�a�Indian�Wells.

Conquista�la�semifinale�del�torneosconfiggendo�Rafael�Nadal�e�facendolo�in�modo

pirotecnico:�ovvero�annullando�3�match�pointnel�tie-break�del�secondo�set�e�affermandosiper�4-6�7-6(10)�7-5.�

Aggiungendo�a�questo�risultato�anche�i

prestigiosi�quarti�ottenuti�successivamente�a

Monte�Carlo�e�poi�a�Madrid,�Raonic�migliora

così�tanto�il�suo�ranking�da�arrivare�nei�primi�4

della�classifica�mondiale,�ma�sul�più�bello�un

infortunio�al�piede�gli�fa�saltare�il�torneo�di

Roma�e�il�Roland�Garros,�presentandosi�a

Wimbledon�in�condizioni�fisiche�non

freschissime,�così�da�perdere�al�terzo�turno

dall'ostico�Nick�Kyrgios.�Sebbene�il�passo�falso

agli�Us�Open�dello�stesso�anno�con�la�sconfitta

al�terzo�turno�subita�per�mano�di�Feliciano

Lopez�(avversario�comunque�molto�tosto�negli

Slam�e�sul�veloce)�e�il�passaggio�del�mago�Ivan

Ljubicic�alla�corte�di�Re�Roger,�nel�2016�Milos

parte�fortissimo.�Sotto�la�guida�del�nuovo

coach�Carlos�Moya�(in�coppia�sempre�con

Riccardo�Piatti)�questa�volta�si�riprende�la

rivincita�in�finale�a�Brisbane�contro�Federer,

dominandolo�nettamente�per�6-4�6-4.

E�come�detto,�agli�ultimi�Australian�Open,�ha

confermato�quanto�di�buono�aveva�fatto

intravedere�a�Brisbane,�mostrando�un

repertorio�nuovamente�aggiornato.�Un�rovescio

sì�altalenante�ma�più�potente�e�molto�più

costante�di�prima,�un�gioco�iper-offensivo

farcito�da�almeno�40�discese�a�rete�a�partita,

tra�cui�annoveriamo�anche�serve�and�volley.�Il

risultato�è�una�semifinale�persa�contro�Andy

Murray�più�per�sfortuna,�e�per�i�soliti�acciacchi

fisici,�che�per�demeriti�propri.�Su�queste�basi�è

roseo�il�futuro�di�Milos�Raonic,�e�nell'immediato

futuro�saranno�quasi�sicuramente�lui�e�Nick

Kyrgios�a�contendere�il�trono�a�Novak�Djokovic.

Page 29: Tennis World Italia n. 32

Efinalmentegiunsel'oradi

MilosRaonic

byGiorgioGiannaccini

Il�suo�ultimo�Australian�Open�non�ci�può

lasciare�indifferenti:�Milos�Raonic�finalmente�è

giunto�alla�maturazione�definitiva�che�da�tempo

aspettavamo.�Il�suo�è�stato�sicuramente�il�caso

di�un�ragazzo�già�da�tempo�annunciato�come

papabile�grande�giocatore�ma�che�ha�dovuto

conoscere�un�processo�di�maturazione�molto

ma�molto�lungo,�passando�anche�per�diversi

coach�che�lo�hanno�migliorato�e,�ancor�più

probabilmente,�fatto�capire�cosa�fosse�in�realtà

il�tennis.

Sembra�ieri�quando�Milos�era�un�ragazzo�alto�e

mingherlino�dal�potente�servizio�con,�ahimè,

dei�pessimi�spostamenti�laterali�che�ne

limitavano�talvolta�i�colpi�-�visto�che�la�ricerca

della�palla�era�molto�goffa�-�e�lo�rendeva

praticamente�nullo�in�fase�difensiva.

Quel�ragazzo�che�aveva�due�solidi

fondamentali,�nei�quali�tra�l'altro�era

impossibile�non�ammettere�una�certa

naturalezza,�aveva�bisogno�di�un�serio�lavoro

fisico,�altrimenti�sarebbe�stato�difficile�vederlo

pienamente�realizzato�in�un�tennis,�come

quello�di�oggi,�così�affine�ad�un�forte�atletismo.

Nonostante�un�cambio�di�guida�verso�fine

2010,�quando�rimpiazzò�coach�Frederic

Niemeyer�con�l'ex�tennista�spagnolo�Galo

Blanco,�la�rivoluzione�tanto�attesa�non�arriva.

Milos�deve�attendere�l'avvento�di�Ivan�Ljubicic,

che�si�sederà�sulla�sua�panchina�nel�giugno�del

2013,�per�ottenere�risultati�importanti.

La�ricetta�è�semplice,�lavorare�su�quello�che�il

canadese�non�aveva�mai�fatto�in�vita�sua:�gli

spostamenti.�Ed�è�con�questo�primo�principio

che�Raonic�migliora�i�colpi�stessi;�avendo�un

appoggio�più�stabile�ne�consegue�anche�un

notevole�miglioramento�nell'impattare�la�palla

in�ogni�colpo,�specialmente�con�quel�suo�dritto

così�potente�e�che�fa�male�a�tutti.

Non�basta�però,�ci�sono�ancora�tante�e�troppe

lacune�da�migliorare�per�formare�un�tennista

veramente�forte,�come�ad�esempio�quel�suo

scellerato�rovescio�bimane.�Anche�qui�la�ricetta

di�Ivan�Ljubicic�è�tanto�saggia�quanto�semplice,

quella,�cioè,�di�provare�a�giocare�quando,�ce�n'è

l'opportunità,�un�approccio�a�rete�col�back

lungolinea�di�rovescio�e�coprire�la�rete�con

quella�sua�immensa�copertura�alare,�data

peraltro�dai�suoi�196�cm.

Tutto�il�gioco�bene�o�male�viene�rivisto,�eanche�lo�stesso�rovescio�a�due�mani�migliora,seppur�non�in�modo�eclatante,�e�il�dritto,�fresco

di�una�condizione�fisica�ora�buona,�miglioranotevolmente.�

I�risultati�cominciano�a�dare�ragione�al�coachcroato,�Raonic�ottiene�nel�2014�diversi�risultatinon�da�poco:�primo�su�tutti�i�quarti�sulla�terra

rossa�del�Roland�Garros,�arrendendosi�soloall'allora�numero�2�del�mondo�Novak�Djokovic.

Poche�settimane�dopo�si�riconferma�alla�grande

anche�a�Wimbledon,�arriva�in�semifinale�e

anche�qui�si�arrende�a�chi�è�quasi�imbattile

sull'erba,�sua�altezza�reale�Roger�Federer.�Fino

ad�arrivare�a�un�agrodolce�Us�Open,�dove�sarà

sconfitto�al�quarto�turno�da�Kei�Nishikori,�in

una�lotta�protratta�fino�al�quinto�set.�Torneo

che�vedrà,�guardo�caso,�proprio�il�nipponico�in

finale.

La�qualificazione�alle�Finals�di�fine�anno�è�certa,

sebbene�poi�perderà,�nel�girone�del�torneo,�2

set�a�0�sia�contro�Roger�Federer�che�con�Andy

Murray.

L'anno�dopo,�prima�conquista�la�finale�del

torneo�di�Brisbane,�venendo�poi�sconfitto

all'ultimo�atto�da�Roger�Federer,�in�più�ottiene

nel�torneo�australiano�per�eccellenza�­�gli

Australian�Open�­�i�quarti�di�finale,

sconfiggendo�Feliciano�Lopez,�ma�trovando

successivamente�sulla�sua�strada�Novak

Djokovic,�finendo�così�sconfitto�nuovamente�da

un�altro�mostro�sacro.

�Ma�lo�scalpo�grosso�lo�ottiene�a�Indian�Wells.

Conquista�la�semifinale�del�torneosconfiggendo�Rafael�Nadal�e�facendolo�in�modo

pirotecnico:�ovvero�annullando�3�match�pointnel�tie-break�del�secondo�set�e�affermandosiper�4-6�7-6(10)�7-5.�

Aggiungendo�a�questo�risultato�anche�i

prestigiosi�quarti�ottenuti�successivamente�a

Monte�Carlo�e�poi�a�Madrid,�Raonic�migliora

così�tanto�il�suo�ranking�da�arrivare�nei�primi�4

della�classifica�mondiale,�ma�sul�più�bello�un

infortunio�al�piede�gli�fa�saltare�il�torneo�di

Roma�e�il�Roland�Garros,�presentandosi�a

Wimbledon�in�condizioni�fisiche�non

freschissime,�così�da�perdere�al�terzo�turno

dall'ostico�Nick�Kyrgios.�Sebbene�il�passo�falso

agli�Us�Open�dello�stesso�anno�con�la�sconfitta

al�terzo�turno�subita�per�mano�di�Feliciano

Lopez�(avversario�comunque�molto�tosto�negli

Slam�e�sul�veloce)�e�il�passaggio�del�mago�Ivan

Ljubicic�alla�corte�di�Re�Roger,�nel�2016�Milos

parte�fortissimo.�Sotto�la�guida�del�nuovo

coach�Carlos�Moya�(in�coppia�sempre�con

Riccardo�Piatti)�questa�volta�si�riprende�la

rivincita�in�finale�a�Brisbane�contro�Federer,

dominandolo�nettamente�per�6-4�6-4.

E�come�detto,�agli�ultimi�Australian�Open,�ha

confermato�quanto�di�buono�aveva�fatto

intravedere�a�Brisbane,�mostrando�un

repertorio�nuovamente�aggiornato.�Un�rovescio

sì�altalenante�ma�più�potente�e�molto�più

costante�di�prima,�un�gioco�iper-offensivo

farcito�da�almeno�40�discese�a�rete�a�partita,

tra�cui�annoveriamo�anche�serve�and�volley.�Il

risultato�è�una�semifinale�persa�contro�Andy

Murray�più�per�sfortuna,�e�per�i�soliti�acciacchi

fisici,�che�per�demeriti�propri.�Su�queste�basi�è

roseo�il�futuro�di�Milos�Raonic,�e�nell'immediato

futuro�saranno�quasi�sicuramente�lui�e�Nick

Kyrgios�a�contendere�il�trono�a�Novak�Djokovic.

Page 30: Tennis World Italia n. 32

La�vendetta�è�un�piatto�che�va�servito�freddo,

ne�sa�qualcosa�Fernando�Verdasco�che�ha

aspettato�7�anni�prima�di�potersi�vendicare�di

Rafael�Nadal.

Erano�gli�Australian�Open�del�2009�quando�il

mancino�spagnolo�di�Madrid�si�presentava�in

grande�forma.�Già�prima�di�quel�torneo�aveva,

per�poco,�perso�la�finale�di�Brisbane�contro�un

Radek�Stepanek�in�discrete�condizioni,�e�per�di

più�al�terzo�set,�ma�non�c'era�da�preoccuparsi,

Fernando�si�sentiva�comunque�in�forma.

�Gli�inizi�infatti�di�quegli�Australian�Open�furonofulminanti,�Verdasco�fa�da�tritacarne�contro�gliindifesi�transalpini�Mannarino�prima�e�Arnauld

Clement�dopo�nei�primi�due�turni.�A�entrambi

concede�appena�4�game�su�tre�set�giocati�e

stravinti�in�fretta.�Il�gioco�sembrava�dover

diventare�serio�solo�al�terzo�turno,�visto�che�il

caso�aveva�voluto�mettere�sul�tavolo�proprio�la

rivincita�di�Brisbane�contro�Stepanek.�Dopo�un

primo�set�tirato�e�finito�per�6-4�in�favore

dell'iberico,�ecco�che�la�partita�cambia

totalmente,�e�con�un�incredibile�KO�tecnico�sia

il�secondo�set�che�il�terzo�finiscono�6-0�in

favore�di�Verdasco;�sembra�incredibile�ma�è

vero,�aveva�di�nuovo�lasciato�la�miseria�di�4

giochi�all'avversario�per�la�terza�volta�di

seguito.

La�marcia�continua,�e�questa�volta�ad

aspettarlo�al�quarto�turno�c'è�Andy�Murray,

VperVerdasco

byGiorgioGiannaccini

Page 31: Tennis World Italia n. 32

numero�4�del�mondo,�avversario�moltocomplicato,�anzi�da�impresa,�nonostante

Verdasco�sia�comunque�il�numero�15�delmondo.�

Dopo�un�primo�set�perso�6-2,�il�secondo�vinto

6-1,�si�trova�nuovamente�sotto�nel�terzo�e�lo

perde�6-1.�Ma�qui�c'è�la�rabbia�e�lo�scatto

d'orgoglio�dello�spagnolo�che�in�un�impeto�di

foga�prima�intasca�il�quarta�parziale�per�6-3�poi

completa�l'opera�con�un�serrato�6-4�nel�set

conclusivo.�Fernando�ora�può�sognare,�ma

dall'altra�parte�della�rete�ci�sarà�Jo-Wilfred

Tsonga,�un�peso�massimo�in�tutto�e�per�tutto,

ma�anche�prestigiatore�dal�tocco�fine,�e�altro

top�ten,�che�tra�l'altro�conobbe�fama�proprio

mettendosi�in�luce�agli�Australian�Open

dell'anno�precedente.

Dopo�un�primo�set�molto�lottato�nel�quale�però

il�transalpino�si�scioglie�proprio�nel�finale,

perdendo�al�tie-break�per�7�a�2,�ecco�che

Tsonga�reagisce�e�con�un�perentorio�6-3

pareggia�il�conto�dei�set.�Verdasco�non�ci�sta,�e

piazza�a�sua�volta�un�6-3�in�proprio�favore.�Il

francese�nel�quarto�set�è�sulle�gambe�e

Fernando�piazza�il�colpo�decisivo,�affossandolo

definitivamente�per�6-2.

Un'altra�impresa�è�compiuta,�e

inaspettatamente�ha�conquistato�una

semifinale�da�urlo�in�un�torneo�dello�Slam.�Ora

però�c'è�da�tornare�alla�realtà:�il�suo�prossimo

avversario�sarà�Rafa�Nadal,�il�numero�1,�il

dominatore�del�mondo,�colui�che�è�quasi

imbattile�da�mandare�in�manicomio�pure

Federer�e�che�sulla�terra�non�ha�rivali.

Ormai�nessuno�può�più�credere�in�un'altra�sua

impresa,�sarebbe�troppo,�forse�nemmeno

Verdasco�stesso�ci�crede�in�fondo,�parliamo�pur

sempre�di�Rafael�Nadal!

Page 32: Tennis World Italia n. 32

La�partita�invece�sarà�epica,�e�sarà�ancora�più

sorprendente�vista�la�sconfitta�improvvisa�e

sicuramente�immeritata�di�Verdasco.�Ma

andiamo�con�ordine.�Nel�primo�set�entrambi

partono�in�quinta:�botte�da�orbi�a�destra�e

manca,�servizi�assassini�specialmente�quelli�di

Verdasco�e�un�equilibrio�al�limite�del

paranormale.�Ma�la�spunta�alla�fine�Verdasco�al

tie-break,�lasciando�l'avversario�a�4�punti.�La

seconda�ripresa�non�si�fa�meno�violenta�di

prima,�anzi�persiste�la�stessa�intensità�di�gioco

e�di�agonismo,�e�alla�fine�­�non�fa�notizia�­�è

Verdasco�a�cedere�il�break�al�decimo�gioco,

consegnando�così�il�secondo�set�a�Nadal.�La

lotta�che�cominciava�a�essere�estenuante,�si�fa

ancora�più�aspra,�violenta�ed�equilibrata.

Verdasco�e�Nadal�sono�due�pugili�che

continuano�a�colpirsi,�a�scambiarsi�ganci

mancini�e�bordate�sempre�più�potenti.�Il�terzo

set�se�lo�aggiudica�Nadal�con�sofferenza�al�tie-

break�dove�però�lascia�appena�2�punti�a

Verdasco.�Non�da�meno�si�dimostra�la�reazione

di�Verdasco:�altra�lotta,�altro�equilibrio�massimo

al�quarto�set,�ma�il�madrileno,�giunto

nuovamente�al�tie-break,�ora�fa�suo�il�quarto

set�con�ancora�maggiore�impeto,�lasciando�un

misero�punto�a�Nadal�nel�tie-break.�I�duellanti

non�ne�vogliono�sapere�di�smettere,�e�in�quel

caldo�torrido�ancora�devono�finire�di�regolare�i

conti.�Ma�Verdasco,�chiamato�a�servire�per

rimanere�nel�match�nel�quinto�set�sul

punteggio�di�4-5,�si�trova�sotto�30-40,�e�lì,�uno

sciagurato�quanto�inopinato�doppio�fallo,�piega

definitivamente�la�resistenza�del�madrileno

contro�il�maiorchino.�Nadal�vince�un�incontro

epico�durato�5�ore�e�14�minuti�e�che�ha�poco�da

invidiare�a�quel�famoso�incontro�di�boxe�tra�Alì

e�Foreman�avvenuto�nel�1974�a�Kinshasa,�nel

Congo.

Nonostante�quella�battaglia,�il�giorno�dopo

Nadal�piegherà�anche�Roger�Federer,�sempre�al

Page 33: Tennis World Italia n. 32

quinto�set,�in�un'altra�maratona

forse�meno�violenta�ma�più

elegante,�conclusa�6-2

nell'ultimo�parziale,�e

regalandosi�per�la�prima�volta�la

vittoria�agli�Australian�Open.

Sono�passati�7�anni�e�questa

volta�la�rivincita�è�stata�di

Fernando.�Altra�battaglia,�altro

duello�finito�al�quinto�set�ma

questa�volta�è�stato�il�madrileno

ad�affondare�il�decaduto�Rafa�­

divenuto�ormai�mortale�e�non

più�la�divinità�del�passato�­�con

un�6-2�finale�nel�primo�turno

degli�Australian�Open.

Ma�si�sa,�una�volta�che�lo�batti

in�campo�devi�stare�attento�alla

sua�maledizione:�quella�che�ha

visto�Verdasco�come�il�21esimo

caso�su�26�in�cui�un�giocatore

dopo�aver�battuto�il�maiorchino,

in�un�qualsiasi�torneo,�poi�perda

al�turno�successivo.�La

maledizione�Nadal�-�peggio

ancora�di�quella�di�Montezuma�-

continua�a�mietere�vittime...�e

con�loro�la�convinzione�che

forse�nessuno�riuscirà�mai�a

vendicarsi�di�Nadal!

Page 34: Tennis World Italia n. 32
Page 35: Tennis World Italia n. 32
Page 36: Tennis World Italia n. 32

Semprepiu ̀

Serena,anzino!

byGiorgioGiannaccini

Page 37: Tennis World Italia n. 32

Semprepiu ̀

Serena,anzino!

byGiorgioGiannaccini

Page 38: Tennis World Italia n. 32

Serena�ha�preso�gusto�a�illuderci,�l'aggancio�a

Steffi�Graf�a�22�Slam�che�tanto�incredibilmente

non�avvenne�a�New�York�per�mano�della�Vinci,

sembrava�in�questo�Australian�Open�prendere

forma:�mai�Serena�Williams�era�partita�così�in

sprint�in�un�torneo�del�Grande�Slam.�Dopo�aver

battuto�la�puledra�italo-argentina�Camila�Giorgi

-�giocatrice�molto�più�giovane�e�minuta�di�lei

ma�dotata�della�stessa�potenza�nei�colpi�-�con

un�combattuto�ma�sicuro�6-4�7-5,�Serena

aveva�cominciato�a�maltrattare�tutte�le

avversarie�­�tennisticamente�parlando�­�come

non�mai.

Al�secondo�turno�Su-Wei�Hsieh,�numero�90�del

mondo,�racimolava�appena�3�giochi,�non

andava�meglio�nel�turno�successivo�a�Daria

Kasatikna,�alla�quale�Serena�concedeva�a

malapena�2�game.�L'ecatombe�continua�anche

al�quarto�turno,�la�povera�russa�Margarita

Gasparyan�le�prova�tutte�ma�-�come�nel�caso

della�Hsieh�­�più�di�3�miseri�giochi�non�fa.

Ai�quarti�però�sarebbero�dovute�cominciare,�in

teoria,�le�partite�serie�per�Serena:�infatti�ecco

un�match�che�la�vedeva�opposta�a�Maria

Sharapova.�La�bella�ma�anche�combattiva�Maria

non�ci�sta�a�perdere,�ma�la�Williams�alla�fine�le

strappa�il�primo�set�con�un�tiratissimo�6-4.�Il

secondo�set�è�invece�un�monologo�della

statunitense,�con�Serena�che�timbra�la�vittoria

con�un�netto�6-1�conclusivo.�La�semifinale�che

la�vedeva�opposta�alla�polacca�dalle�mille�vite

Agnieszka�Radwanska,�non�era�sulla�carta�un

match�facile.�La�Williams�è�molto�più�pesante

nei�colpi,�Aga,�al�contrario,�è�fin�troppo�leggera

ma,�una�tenuta�atletica�veramente�rara,�e�una

intelligenza�tattica�fuori�dal�comune,�la

rendono�una�giocatrice�ostica�per�chiunque.

Eppure�Serena�è�una�cannibale:�inizia�a�tutto�il

match�con�una�furia�devastante,�e�rifila�un

Page 39: Tennis World Italia n. 32

Serena�ha�preso�gusto�a�illuderci,�l'aggancio�a

Steffi�Graf�a�22�Slam�che�tanto�incredibilmente

non�avvenne�a�New�York�per�mano�della�Vinci,

sembrava�in�questo�Australian�Open�prendere

forma:�mai�Serena�Williams�era�partita�così�in

sprint�in�un�torneo�del�Grande�Slam.�Dopo�aver

battuto�la�puledra�italo-argentina�Camila�Giorgi

-�giocatrice�molto�più�giovane�e�minuta�di�lei

ma�dotata�della�stessa�potenza�nei�colpi�-�con

un�combattuto�ma�sicuro�6-4�7-5,�Serena

aveva�cominciato�a�maltrattare�tutte�le

avversarie�­�tennisticamente�parlando�­�come

non�mai.

Al�secondo�turno�Su-Wei�Hsieh,�numero�90�del

mondo,�racimolava�appena�3�giochi,�non

andava�meglio�nel�turno�successivo�a�Daria

Kasatikna,�alla�quale�Serena�concedeva�a

malapena�2�game.�L'ecatombe�continua�anche

al�quarto�turno,�la�povera�russa�Margarita

Gasparyan�le�prova�tutte�ma�-�come�nel�caso

della�Hsieh�­�più�di�3�miseri�giochi�non�fa.

Ai�quarti�però�sarebbero�dovute�cominciare,�in

teoria,�le�partite�serie�per�Serena:�infatti�ecco

un�match�che�la�vedeva�opposta�a�Maria

Sharapova.�La�bella�ma�anche�combattiva�Maria

non�ci�sta�a�perdere,�ma�la�Williams�alla�fine�le

strappa�il�primo�set�con�un�tiratissimo�6-4.�Il

secondo�set�è�invece�un�monologo�della

statunitense,�con�Serena�che�timbra�la�vittoria

con�un�netto�6-1�conclusivo.�La�semifinale�che

la�vedeva�opposta�alla�polacca�dalle�mille�vite

Agnieszka�Radwanska,�non�era�sulla�carta�un

match�facile.�La�Williams�è�molto�più�pesante

nei�colpi,�Aga,�al�contrario,�è�fin�troppo�leggera

ma,�una�tenuta�atletica�veramente�rara,�e�una

intelligenza�tattica�fuori�dal�comune,�la

rendono�una�giocatrice�ostica�per�chiunque.

Eppure�Serena�è�una�cannibale:�inizia�a�tutto�il

match�con�una�furia�devastante,�e�rifila�un

Page 40: Tennis World Italia n. 32

impietoso�6-0�alla�polacca�che�poco�può�fare�ai

colpi�di�bazooka�dell'americana.�Aga,

intelligente�come�sempre,�prende�le

contromisure�a�Serena,�ma�la�Williams�è�troppo

in�forma,�volente�o�nolente�la�polacca�si�deve

piegare,�e�la�statunitense�si�impone�nel

secondo�set�per�6-4.

La�finale�sembrava�già�scritta,�contro�di�lei�c'era

la�rivelazione�del�torneo�Angelique�Kerber,�la

tennista�tedesca�meno�nota�e�amata�in�patria,

dimagrita�di�parecchi�chili�e�come�non�mai�in

forma�fisica,�ma�questo�sicuramente�non

bastava�per�spaventare�Serena.

E�invece�no,�è�Angelique�ad�aggiudicarsi�la

finale,�lottando�contro�una�Williams�inviperita

(diversi�saranno�le�sue�urla�“Come�on”�durante

il�match)�ma�troppo�fallosa.�6-4�il�primo

parziale�per�la�teutonica,�6-3�il�secondo�per

Serena,�6-4�il�terzo�per�la�Kerber�che,�avanti

5-3�e�servizio,�trema�di�paura�e�si�fa�dare�un

break,�ma�la�bionda�tedesca�riprende�coraggio

e�piazza�il�contro-break�che�significa�vittoria.

A�mente�fredda�però�c'è�da�analizzare�il�perché

di�questa�sconfitta�a�dir�poco�clamorosa.

Certamente�è�stata�meritata�la�vittoria�della

Kerber�visto�il�coraggio�e�la�tenuta�mentale

dimostrata,�nonché�un'abnegazione�e�una

generosità�unica�che�l'ha�vista�più�di�una�volta

essere�sballottata�a�destra�e�sinistra�per

difendersi�dalle�bordate�al�fulmicotone�della

Williams.�Ma�tutto�questo�non�può�bastare

come�spiegazione,�premesso�che�la

statunitense�non�era�in�giornata.�Probabilmente

Serena�ha�perso�stimoli�non�avendo�rivali�allo

stesso�livello,�giusto�la�Sharapova�è�una�degna

rivale�se�in�forma.�Parliamo�di�un�divario�troppo

ampio�tra�lei�e�le�altre�tenniste�del�circuito�che

certamente�non�ha�spinto�la�Williams�a�doversi

migliorare�notevolmente�per�essere�sempre�più

competitiva.�Dinamica�invece�diversa�quella�che

ha�pervaso�il�mondo�maschile:�Federer�è

dovuto�migliorare�per�poter�battere�Nadal�sulla

terra,�e�lo�stesso�Nadal�per�avere�la�meglio�su

Federer�nell'erba.�Non�è�tutto,�pensiamo�anche

a�Djokovic�che�per�poter�diventare�quello�che�è

adesso�ha�dovuto�fare�molti�sacrifici�­�in�primis

la�dieta�celiaca�­�e�molti�allenamenti�per

dominare�chi�prima�dominava�lui,�ovvero

Federer�e�Nadal.

Altro�fattore:�la�tenuta�fisica.�Federer�se�non

facesse�una�preparazione�fisica�adeguata,

sarebbe�nullo�in�campo,�Nadal�peggio�ancora.

Djokovic�domina�gli�altri�tennisti�proprio�perché

ha�una�continuità�fisica�in�campo�da�paura,�ogni

giorno�è�sempre�al�top�fisicamente.�Lo�stesso

Andy�Murray�si�esprime�ai�massimi�livelli

proprio�quando�è�a�puntino�fisicamente.

Serena�non�ha�mai�lavorato�troppo�sul�suo

fisico,�ha�potenza�e�spara�missili�quando�vuole,

per�carità,�ha�anche�grande�tocco,�ma�questa

mancanza�di�stimolo,�probabilmente,�le�ha

impedito�di�fare�il�vero�salto�di�qualità.�Sembra

assurdo�dire�ciò�di�una�immensa�giocatrice�che

ha�vinto�21�prove�dello�Slam�ma�forse,

soprattutto�oggi,�è�così.

La�vera�nemica�di�Serena�Williams�è�se�stessa.

E�a�New�York�contro�la�Vinci,�se�andiamo�a

guardare�bene,�la�paura�di�vincere�è�venuta

proprio�perché,�nell'anno�scorso,�di�ostacoli

veri�per�Serena�non�ce�ne�sono�stati,�e�trovatasi

davanti�al�primo�vero�impedimento,�la�testa�ha

ceduto�in�modo�irreversibile.

La�vera�disgrazia�della�Williams,�non�è�stata�il

non�essere�riuscita�a�completare�lo�Slam,�ma�la

mancanza�di�rivali�degni�negli�ultimi�due�anni

che�ne�hanno�impigrito�l'indole�competitiva�e�il

gioco.

Page 41: Tennis World Italia n. 32

impietoso�6-0�alla�polacca�che�poco�può�fare�ai

colpi�di�bazooka�dell'americana.�Aga,

intelligente�come�sempre,�prende�le

contromisure�a�Serena,�ma�la�Williams�è�troppo

in�forma,�volente�o�nolente�la�polacca�si�deve

piegare,�e�la�statunitense�si�impone�nel

secondo�set�per�6-4.

La�finale�sembrava�già�scritta,�contro�di�lei�c'era

la�rivelazione�del�torneo�Angelique�Kerber,�la

tennista�tedesca�meno�nota�e�amata�in�patria,

dimagrita�di�parecchi�chili�e�come�non�mai�in

forma�fisica,�ma�questo�sicuramente�non

bastava�per�spaventare�Serena.

E�invece�no,�è�Angelique�ad�aggiudicarsi�la

finale,�lottando�contro�una�Williams�inviperita

(diversi�saranno�le�sue�urla�“Come�on”�durante

il�match)�ma�troppo�fallosa.�6-4�il�primo

parziale�per�la�teutonica,�6-3�il�secondo�per

Serena,�6-4�il�terzo�per�la�Kerber�che,�avanti

5-3�e�servizio,�trema�di�paura�e�si�fa�dare�un

break,�ma�la�bionda�tedesca�riprende�coraggio

e�piazza�il�contro-break�che�significa�vittoria.

A�mente�fredda�però�c'è�da�analizzare�il�perché

di�questa�sconfitta�a�dir�poco�clamorosa.

Certamente�è�stata�meritata�la�vittoria�della

Kerber�visto�il�coraggio�e�la�tenuta�mentale

dimostrata,�nonché�un'abnegazione�e�una

generosità�unica�che�l'ha�vista�più�di�una�volta

essere�sballottata�a�destra�e�sinistra�per

difendersi�dalle�bordate�al�fulmicotone�della

Williams.�Ma�tutto�questo�non�può�bastare

come�spiegazione,�premesso�che�la

statunitense�non�era�in�giornata.�Probabilmente

Serena�ha�perso�stimoli�non�avendo�rivali�allo

stesso�livello,�giusto�la�Sharapova�è�una�degna

rivale�se�in�forma.�Parliamo�di�un�divario�troppo

ampio�tra�lei�e�le�altre�tenniste�del�circuito�che

certamente�non�ha�spinto�la�Williams�a�doversi

migliorare�notevolmente�per�essere�sempre�più

competitiva.�Dinamica�invece�diversa�quella�che

ha�pervaso�il�mondo�maschile:�Federer�è

dovuto�migliorare�per�poter�battere�Nadal�sulla

terra,�e�lo�stesso�Nadal�per�avere�la�meglio�su

Federer�nell'erba.�Non�è�tutto,�pensiamo�anche

a�Djokovic�che�per�poter�diventare�quello�che�è

adesso�ha�dovuto�fare�molti�sacrifici�­�in�primis

la�dieta�celiaca�­�e�molti�allenamenti�per

dominare�chi�prima�dominava�lui,�ovvero

Federer�e�Nadal.

Altro�fattore:�la�tenuta�fisica.�Federer�se�non

facesse�una�preparazione�fisica�adeguata,

sarebbe�nullo�in�campo,�Nadal�peggio�ancora.

Djokovic�domina�gli�altri�tennisti�proprio�perché

ha�una�continuità�fisica�in�campo�da�paura,�ogni

giorno�è�sempre�al�top�fisicamente.�Lo�stesso

Andy�Murray�si�esprime�ai�massimi�livelli

proprio�quando�è�a�puntino�fisicamente.

Serena�non�ha�mai�lavorato�troppo�sul�suo

fisico,�ha�potenza�e�spara�missili�quando�vuole,

per�carità,�ha�anche�grande�tocco,�ma�questa

mancanza�di�stimolo,�probabilmente,�le�ha

impedito�di�fare�il�vero�salto�di�qualità.�Sembra

assurdo�dire�ciò�di�una�immensa�giocatrice�che

ha�vinto�21�prove�dello�Slam�ma�forse,

soprattutto�oggi,�è�così.

La�vera�nemica�di�Serena�Williams�è�se�stessa.

E�a�New�York�contro�la�Vinci,�se�andiamo�a

guardare�bene,�la�paura�di�vincere�è�venuta

proprio�perché,�nell'anno�scorso,�di�ostacoli

veri�per�Serena�non�ce�ne�sono�stati,�e�trovatasi

davanti�al�primo�vero�impedimento,�la�testa�ha

ceduto�in�modo�irreversibile.

La�vera�disgrazia�della�Williams,�non�è�stata�il

non�essere�riuscita�a�completare�lo�Slam,�ma�la

mancanza�di�rivali�degni�negli�ultimi�due�anni

che�ne�hanno�impigrito�l'indole�competitiva�e�il

gioco.

Page 42: Tennis World Italia n. 32

Angelique

Kerber

byGiogioGiannaccini

Page 43: Tennis World Italia n. 32

La�volèe�di�Serena�Williams�è�di�poco�uscita

dopo�la�linea�di�fondo�consegnando�la

vittoria�alla�tedesca�Angelique�Kerber,�la�sua

prima�vittoria�Slam,�alla�prima�apparizione�in

una�finale,�e�mandando�ancora�una�volta�in

fumo�la�speranza�di�grande�slam�per

l’americana.

La�Kerber�nata�a�Brema�il�18�gennaio�1988�,diventa�professionista�nel�2003,�e�fino�al

2011,�quando�raggiunge�le�semifinali�degliUsOpen�,�non�ottiene�grossi�risultati.�Nel�2012,�primo�titolo�Wta�a�Parigi,poiCopenaghen,�l’anno�seguente�vince�Linz�ed

arriva�in�finale�in�altri�due�tornei.�

Nel�2014�la�stagione�è�avara�di�soddisfazione,

forse�qualche�chilo�di�troppo�condiziona�il

suo�rendimento,�la�tedesca�è�una�gran

lottatrice�dotata�di�tutti�i�colpi,�ma�le�manca

ancora�qualcosa�per�fare�il�grande�salto.

Si�presenta�all’avvio�di�stagione�2015,�conqualche�chilo�di�meno,�esce�in�semifinale�aBrisbane,�eliminata�al�primo�turno�agli

Australian�Open,�ad�Indian�Wells�ancoraun’eliminazione�al�primo�turno,�e�sembra�cheil�lavoro�svolto�non�stia�pagando,�ma�da

Aprile�la�tedesca�inzia�a�macinare�gioco,vincendo�Charleston�e�Stoccarda,quest’ultimo�dopo�una�gran�battaglia�controCaroline�Wozniacki.�

Vince�inoltre�l’Aegon�classic�di�Birmingham�eil�torneo�di�Stanford,�contro�un’altra�tennistain�ascesa�come�Karolina�Pliskova.�

Prima�degli�Australian�open�di�quest’anno

aveva�disputato,�perdendola�per�mano

dell’Azarenka,�la�finale�di�Brisbane,�dopo�un

primo�turno�in�cui�ha�rischiato�l’eliminazione

con�la�Doi,�il�suo�torneo�è�decollato,�fino�a

quando,�ha�vinto�in�due�set�ai�quarti�di�finale

contro�Vika�Azarenka�che�fino�a�quel

momento�era�sembrata�inarrestabile.

La�semifinale�con�la�Konta�è�stata�una

formalità�e�come�molti�si�aspettavano,con�la

finale�aveva�raggiunto�il�massimo�risultato

possibile,�visto�chi�l’aspettava�dall’altra�parte

del�campo.

La�Kerber�invece�ha�vinto�usando�le�stesse

armi�messe�in�mostra�da�Roberta�Vinci�agli

UsOpen,�cioè�le�variazioni�nel�gioco,�unico

modo�per�poter�vincere�contro�Serena.

Page 44: Tennis World Italia n. 32

Dotata�probabilmente�della�miglior�difesa�del

circuito,�la�tedesca�è�riuscita�più�volte�a

tramutare�in�attacco�situazioni�di�gioco�in�cui

sembrava�in�svantaggio,�sfondando�il�muro�di

certezze�dell’americana.

Alcune�fasi�del�match�hanno�fatto�tornare�alla

mente�il�match�degli�UsOpen�contro�RobertaVinci.

La�reazione�dell’americana�alle�due�palle�corte

giocate�dalla�Kerber�nel�terzo�set�hanno

ricordato�quando�durante�la�semifinale

l’americana,�si�accasciò�sui�tabelloni�totalmente

scoraggiata�.

Molti�dicono�che�dalla�sconfitta�con�la�Vinci,�la

Williams�sia�rimasta�segnata�e�non�sia�più�la

stessa,�più�probabile�che�abbia�fatto�crescere

nelle�rivali�la�convinzione�che�sia�battibile,�e

che�la�tattica�messa�in�campo�dalla�nostra

Roberta�sia�stata�presa�come�esempio.

Sicuramente�il�successo�della�Kerber�non�è

casuale,�ma�frutto�di�tanto�lavoro�e

probabilmente�non�sarà�l’unico,considerando

che�anche�su�terra�è�sempre�andata�bene

potrebbe�esser�anche�in�terra�francese�un

cliente�scomodo.

�Personalmente�consiglierei�anche�a�MariaSharapova�di�dar�un’occhiata�a�questi�dueincontri..

Page 45: Tennis World Italia n. 32
Page 46: Tennis World Italia n. 32

Brevelavita

felicediDaphne

laBella

byFabrizioFidecaro

La�vincitrice�degli�Australian

Open�è�premiata

tradizionalmente�con�la

Daphne�Akhurst�Memorial

Cup.�Questo�trofeo�dagli

ampi�manici,�con�in�cima�e

sul�basamento�due�racchette

incrociate�dietro�a�una

corona�d’alloro,�fu�donato

all’organizzazione�dalla�New

South�Wales�Lawn�Tennis

Association�nel�1934:�la

fuoriclasse�che�si�intendeva

onorare�era�mancata�dodici

mesi�prima,�ad�appena

ventinove�anni.

La�vita�di�Daphne�Jessie

Akhurst�fu�breve�e�intensa.

Seconda�figlia�del�litografo

Oscar�James�Akhurst�e�di

Jessie�Florence�Smith,

Daphne�nacque�il�22�aprile

1903�ad�Ashfield,�Sydney.�Da

bambina�denotò�un�precoce

talento�da�pianista:�vinse

parecchie�gare�e�continuò

sempre�a�coltivare�questa

passione,�tanto�che,�ormai

cresciuta,�frequentò�con

profitto�lo�State

Conservatorium�of�Music,

divenne�insegnante�di

musica�e�si�esibì�spesso�in

concerti�nei�teatri�e�nei�club.

�Pianista�e�tennista

A�regalarle�la�fama,�però,

sarebbe�stato�il�tennis.�Le

sue�doti�cominciarono�a

emergere�alla�Normanhurst

School,�un�istituto�superiore

particolarmente�attento�allo

sviluppo�mentale�e�fisico

delle�proprie�allieve.�La

direttrice,�Miss�Evelyn�Mary

Tildesley,�organizzò�a�partire

dal�1918�un�torneo�di�tennis

per�team�scolastici,�il

Tildesley�Shield,�e�ad

aggiudicarsi�l’edizione

inaugurale�fu�proprio�la

Normanhurst,�trascinata

dall’irresistibile�Daphne,�che

già�nel�1917�aveva�ottenuto�il

primo�dei�suoi�quattro�titoli

consecutivi�nei�New�South

Wales�Schoolgirls’

Championship.

Timida�e�introversa,�la

Akhurst�cambiava

radicalmente�atteggiamento

sul�campo,�dove�appariva

decisa�e�sicura�di�sé.�Grande

agonista,�era�dotata,�al

contempo,�di�una�tecnica

raffinata.�La�sua�prima

vittoria�maggiore�giunse�nel

1923,�nel�singolo�della

contea�di�Cumberland,�e

rappresentò�l’inizio�di�una

lunga�serie.�Nel�gennaio�1924

fece�il�suo�esordio�agli

Australasian�Championships,

in�scena�all’Albert�Park�di

Melbourne:�arrivò�in

semifinale,�battuta�da�Esna

Boyd,�ma�conquistò�il�titolo

sia�nel�doppio,�assieme�a

Sylvia�Lance�Harper,�sia�nel

misto,�con�Jim�Willard.

Trascorse�un�anno�e,�nel

1925,�alla�Rushcutters�Bay�diSydney,�i�tempi�erano�ormaimaturi�per�la�piena

esplosione.�Daphne�faticò�al

debutto�con�Muff�Wilson,

una�rivale�dei�tempi�della

scuola,�ma�poi�la�brillante

forma�fisica,�la�rapidità�di

gambe�e�la�capacità�di

attaccare�al�momento�giusto

la�condussero�dritta�in�finale.

La�nuova�sfida�con�la�Boyd

creò�una�tale�spasmodica

attesa�da�far�relegare�il

match�clou�maschile�su�un

campo�secondario.�Il�piano

tattico�di�Esna�fu�subito

chiaro:�aggredire�ogni�palla

per�impedire�alla�rivale,�più

giovane�di�4�anni,�di

prendere�l’iniziativa.�In�avvio

la�Boyd�riuscì�nell’intento:

colpendo�profondo�negli

angoli�e�issandosi�a�rete�con

continuità,�dominò�il�primo

set�(61).�Alla�lunga,�però,

emerse�la�miglior�tecnica

della�Akhurst,�che�fece�suo�il

secondo�parziale�per�86.�Nel

terzo�Esna�ebbe�ancora�la

forza�di�portarsi�sul�4-1,�ma

perse�gli�ultimi�5�game�di�fila.

Oltre�al�primo�titolo�nel

singolo,�Daphne�confermò�i

successi�nel�doppio�e�nel

misto,�con�i�medesimi

partner�di�dodici�mesi�prima.

�Europa,�eccomi!

Alcune�settimane�dopo,�la

NSW�Tennis�Association

finanziò�la�prima�trasferta�in

Europa�di�un�team�femminile

australiano.�La

rappresentativa�oceanica,�di

cui�facevano�parte�anche

Boyd�e�Harper,�prese�parte

al�World�Tour,�antenato�della

Fed�Cup:�Galles,�Scozia,

Irlanda�e�Olanda�furono

sconfitte,�ma�l’esperienza�di

Inghilterra,�Francia�e�Stati

Uniti�si�dimostrò

insormontabile.�La�Akhurst,

da�outsider,�raggiunse�i

quarti�a�Wimbledon,�battuta

in�rimonta�dall’inglese�Joan

Fry,�e�si�guadagnò�i

complimenti�del�“Times”,�che

lodò�la�sua�grande

combattività.�Daphne�prese

parte�anche�ad�altri�eventi,

sfiorando�il�successo�agli

Irish�Championships�di

Dublino�(a�fermarla�fu

proprio�la�Boyd)�e�a

Deauville,�dove�in�finale

incappò�niente�meno�che

nella�“Divina”�Lenglen,�cui

strappò�solo�due�game�per

set.

�L’anno�d’oroRientrata�in�patria,�riprese�la

sua�marcia.�Nel�’26,�adAdelaide,�nonostante�uninfortunio�al�ginocchio,

Page 47: Tennis World Italia n. 32

Brevelavita

felicediDaphne

laBella

byFabrizioFidecaro

La�vincitrice�degli�Australian

Open�è�premiata

tradizionalmente�con�la

Daphne�Akhurst�Memorial

Cup.�Questo�trofeo�dagli

ampi�manici,�con�in�cima�e

sul�basamento�due�racchette

incrociate�dietro�a�una

corona�d’alloro,�fu�donato

all’organizzazione�dalla�New

South�Wales�Lawn�Tennis

Association�nel�1934:�la

fuoriclasse�che�si�intendeva

onorare�era�mancata�dodici

mesi�prima,�ad�appena

ventinove�anni.

La�vita�di�Daphne�Jessie

Akhurst�fu�breve�e�intensa.

Seconda�figlia�del�litografo

Oscar�James�Akhurst�e�di

Jessie�Florence�Smith,

Daphne�nacque�il�22�aprile

1903�ad�Ashfield,�Sydney.�Da

bambina�denotò�un�precoce

talento�da�pianista:�vinse

parecchie�gare�e�continuò

sempre�a�coltivare�questa

passione,�tanto�che,�ormai

cresciuta,�frequentò�con

profitto�lo�State

Conservatorium�of�Music,

divenne�insegnante�di

musica�e�si�esibì�spesso�in

concerti�nei�teatri�e�nei�club.

�Pianista�e�tennista

A�regalarle�la�fama,�però,

sarebbe�stato�il�tennis.�Le

sue�doti�cominciarono�a

emergere�alla�Normanhurst

School,�un�istituto�superiore

particolarmente�attento�allo

sviluppo�mentale�e�fisico

delle�proprie�allieve.�La

direttrice,�Miss�Evelyn�Mary

Tildesley,�organizzò�a�partire

dal�1918�un�torneo�di�tennis

per�team�scolastici,�il

Tildesley�Shield,�e�ad

aggiudicarsi�l’edizione

inaugurale�fu�proprio�la

Normanhurst,�trascinata

dall’irresistibile�Daphne,�che

già�nel�1917�aveva�ottenuto�il

primo�dei�suoi�quattro�titoli

consecutivi�nei�New�South

Wales�Schoolgirls’

Championship.

Timida�e�introversa,�la

Akhurst�cambiava

radicalmente�atteggiamento

sul�campo,�dove�appariva

decisa�e�sicura�di�sé.�Grande

agonista,�era�dotata,�al

contempo,�di�una�tecnica

raffinata.�La�sua�prima

vittoria�maggiore�giunse�nel

1923,�nel�singolo�della

contea�di�Cumberland,�e

rappresentò�l’inizio�di�una

lunga�serie.�Nel�gennaio�1924

fece�il�suo�esordio�agli

Australasian�Championships,

in�scena�all’Albert�Park�di

Melbourne:�arrivò�in

semifinale,�battuta�da�Esna

Boyd,�ma�conquistò�il�titolo

sia�nel�doppio,�assieme�a

Sylvia�Lance�Harper,�sia�nel

misto,�con�Jim�Willard.

Trascorse�un�anno�e,�nel

1925,�alla�Rushcutters�Bay�diSydney,�i�tempi�erano�ormaimaturi�per�la�piena

esplosione.�Daphne�faticò�al

debutto�con�Muff�Wilson,

una�rivale�dei�tempi�della

scuola,�ma�poi�la�brillante

forma�fisica,�la�rapidità�di

gambe�e�la�capacità�di

attaccare�al�momento�giusto

la�condussero�dritta�in�finale.

La�nuova�sfida�con�la�Boyd

creò�una�tale�spasmodica

attesa�da�far�relegare�il

match�clou�maschile�su�un

campo�secondario.�Il�piano

tattico�di�Esna�fu�subito

chiaro:�aggredire�ogni�palla

per�impedire�alla�rivale,�più

giovane�di�4�anni,�di

prendere�l’iniziativa.�In�avvio

la�Boyd�riuscì�nell’intento:

colpendo�profondo�negli

angoli�e�issandosi�a�rete�con

continuità,�dominò�il�primo

set�(61).�Alla�lunga,�però,

emerse�la�miglior�tecnica

della�Akhurst,�che�fece�suo�il

secondo�parziale�per�86.�Nel

terzo�Esna�ebbe�ancora�la

forza�di�portarsi�sul�4-1,�ma

perse�gli�ultimi�5�game�di�fila.

Oltre�al�primo�titolo�nel

singolo,�Daphne�confermò�i

successi�nel�doppio�e�nel

misto,�con�i�medesimi

partner�di�dodici�mesi�prima.

�Europa,�eccomi!

Alcune�settimane�dopo,�la

NSW�Tennis�Association

finanziò�la�prima�trasferta�in

Europa�di�un�team�femminile

australiano.�La

rappresentativa�oceanica,�di

cui�facevano�parte�anche

Boyd�e�Harper,�prese�parte

al�World�Tour,�antenato�della

Fed�Cup:�Galles,�Scozia,

Irlanda�e�Olanda�furono

sconfitte,�ma�l’esperienza�di

Inghilterra,�Francia�e�Stati

Uniti�si�dimostrò

insormontabile.�La�Akhurst,

da�outsider,�raggiunse�i

quarti�a�Wimbledon,�battuta

in�rimonta�dall’inglese�Joan

Fry,�e�si�guadagnò�i

complimenti�del�“Times”,�che

lodò�la�sua�grande

combattività.�Daphne�prese

parte�anche�ad�altri�eventi,

sfiorando�il�successo�agli

Irish�Championships�di

Dublino�(a�fermarla�fu

proprio�la�Boyd)�e�a

Deauville,�dove�in�finale

incappò�niente�meno�che

nella�“Divina”�Lenglen,�cui

strappò�solo�due�game�per

set.

�L’anno�d’oroRientrata�in�patria,�riprese�la

sua�marcia.�Nel�’26,�adAdelaide,�nonostante�uninfortunio�al�ginocchio,

Page 48: Tennis World Italia n. 32

trionfò�agli�Australasian

Championships�senza

perdere�un�set�e�infliggendo

un�secco�61�63�in�finale�alla

Boyd.�A�suggello�del�suo

dominio�vinse�l’ultimo�game

a�zero,�concludendo�con�un

ace�centrale.�Nel�’27�solo�la

sfortuna�le�impedì�il�tris.

Nella�prima�edizione�al

Kooyong�e�con�la

denominazione�“Australian”

al�posto�di�“Australasian”,

una�forma�influenzale�la

costrinse�al�forfait�negli

ottavi�contro�Dorothy

Weston.�La�Boyd,�dopo

cinque�finali�perse,�riuscì�a

conquistare�il�titolo.

Fu�il�1928�l’anno�d’oro�della

Akhurst.�Cominciò�tornando

a�imporsi�nello�Slam�di�casa,

a�Sydney,�ancora�senza

cedere�un�set�e�di�nuovo�in

finale�sull’eterna�rivale�Boyd.

Proprio�con�Esna�si

aggiudicò�il�doppio�e�centrò

la�sua�seconda�tripla�corona

nel�misto�al�fianco�del

“moschettiere”�Jean�Borotra

(anche�lui�vincitore�in�tutti�e

tre�i�tabelloni).�Poi�si

imbarcò�per�l’Europa,�leader

di�un�nuovo�agguerrito�team

australiano,�che,�stavolta,

vinse�tutti�e�13�gli�incontri

disputati.�

�Confronti�al�verticeArrivarono�soddisfazioni

anche�dalle�prove�individuali:una�splendida�vittoria�adAmburgo�(con�un’impetuosa

rimonta�in�finale�sulla

Aussem),�i�quarti�nella�sua

unica�partecipazione�al

Roland�Garros�e,�soprattutto,

un�torneo�di�Wimbledon�da

protagonista.�L’All�England

Club�la�vide�semifinalista�in

singolare�(batté�Helen

Jacobs�86�al�terzo�prima�di

cedere�a�Lily�de�Alvarez)�e�in

doppio�(con�la�Boyd)�e

finalista�nel�misto�(assieme�a

Jack�Crawford,�sconfitti�per

75�64�da�Patrick�Spence�ed

Elizabeth�Ryan�dopo�aver

condotto�per�5-3�nel�primo

set).�Fu�quella�la�seconda�e

ultima�presenza�nell’evento

londinese.�

�A�fine�anno,�Daphne�fuclassificata�da�Arthur�Wallis

Myers�del�“Daily�Telegraph”,dal�“Daily�Mail”�e�dall’”Ayres’Almanac”�al�terzo�posto�del

ranking�mondiale,�alle�spalle

di�Helen�Wills�e�della�de

Alvarez.�Il�“Referee”,�più

generoso,�la�collocò�in�prima

posizione.

Nel�’29,�ad�Adelaide,�giunse�il

quarto�titolo�nel�Major�di

casa,�in�finale�sull’amica

Louie�Bickerton,�che�le�tolse

un�set.�Insieme�si

aggiudicarono�il�doppio�e�la

Akhurst�fece�suo�anche�il

misto�con�il�connazionale

Gar�Moon,�ottenendo�così�la

terza�tripla�corona.�Nel�’30,

alla�vigilia�del�torneo,�la

Akhurst�annunciò�il�suo

matrimonio�e�l’imminente

ritiro�dalle�competizioni�di

singolo.�Occorreva�chiudere

in�bellezza,�ma�la�condizione

fisica�non�era�delle�migliori.

A�Kooyong�faticò�per�tre�set

nei�quarti�con�Kath�Le

Page 49: Tennis World Italia n. 32

Mesurier,�svenendo�sul

campo�dopo�il�matchpoint

vincente.�Caparbia�come

sempre,�si�riprese,�travolse�in

semi�Emily�Hood�e�in�finale

affrontò�una�dura�battaglia

con�la�veterana�Sylvia�Lance

Harper.�Nel�primo�Daphne

s’impose�10-8,�attaccando�a

ripetizione�sul�rovescio

dell’avversaria.�A�quel�punto,

la�Harper�impostò�una

tattica�più�aggressiva:�vinse

10�dei�12�giochi�seguenti,

issandosi�4-0�nel�terzo.

Sembrava�finita,�ma�la

Akhurst�non�mollò.�Mentre

l’avversaria�inevitabilmente

calava,�recuperò�punto�su

punto�fino�a�prevalere�con�lo

score�di�108�26�75.�Fu�un

magnifico�abbandono�delle

gare�individuali,�con�il�quinto

titolo�in�sette�partecipazioni.

L’anno�successivo,

impegnata�solo�in�doppio,

Daphne�conquistò�con�la

Bickerton�il�quinto�trofeo

nella�specialità,�il�14esimo�e

ultimo�nello�Slam�down

under.

Una�fine�improvvisa

Le�nozze�con�il�giovane

produttore�di�tabacco

Royston�Stuckey�Cozens,

celebrate�il�26�febbraio�1930

alla�St.�Philip�Church�of

England�di�Sydney,�furono

allietate,�nel�luglio�di�due

anni�dopo,�dalla�nascita�di�un

figlio.�Il�destino,�però,�era�in

agguato.�Poco�dopo�Daphne

rimase�nuovamente�incinta,

ma�le�fu�diagnosticata�una

gravidanza�ectopica.�Il�9

gennaio�1933�si�sottopose�a

un�delicatissimo�intervento

per�evitare�complicazioni,�ma

la�situazione�precipitò.

Daphne�era�ancora�sotto

anestesia�quando�spirò.

Appena�una�settimana�prima

aveva�vinto�per�l’ottava�volta

a�Pratten�Park�i�Cumberland

Champs�di�doppio,�assieme

all’amica�Louie�Bickerton.�In

seguito,�fra�l’altro,�il�suo

giovane�vedovo�sposò�in

seconde�nozze�proprio

Louie:�entrambi�vissero�a

lungo,�fino�al�1998.

Daphne�è�stata�introdotta

nella�Hall�of�Fame

australiana�al�termine�di�una

toccante�cerimonia�svoltasi

nel�2006�alla�Rod�Laver

Arena.�Nell’occasione,�un

busto�in�bronzo�che�la

rappresenta�è�stato�scoperto

a�Garden�Square�in

Melbourne�Park,�accanto�a

quelli�degli�altri�grandi

d’Australia.�Il�giusto

riconoscimento�per�una

campionessa�tanto�grande

quanto�sfortunata.

Page 50: Tennis World Italia n. 32

EvonneGoolagong:

l'aborigenaneltennis

byStefanoSemeraro

Suo�padre�Kenny�vestiva�come�un�dandy,��di

mestiere�“tosava�le�pecore,�raccoglieva�frutta,caricava�fieno�e�puliva�i�silos”,�ma�nel�tempolibero�sapeva�cavarsela�benissimo�a�golf.�Suobisnonno�Jimmy�Goolagong�era�un�grandegiocatore�di�rugby�League,�il�rugbyprofessionistico�che�si�gioca�in�tredici,�“e

festeggiava�ogni�meta�facendo�una�capriolaall’indietro�nell’area�di�meta”.�Il�suo�trisavolo,Old�Bob�Goolagong,�era�l’Ibrahimovic�delfootball�aborigeno.�Sua�bisnonna�Dolly�era�una

famosa�giocatrice�di�hockey,�“e�insieme�alle�suesei�sorelle�formava�la�spina�dorsale�dellasquadra�femminile�di�hockey�su�prato�di

Condobolin�negli�anni�‘30”.��L’altra�sua�bisnonna,�Agatha,�“saltava�su�una

bici�da�corsa,�alzava�la�gonna�infilandosela�nellemutande�per�evitare�che�scendesse,�e�via�cheandava.�In�una�corsa,�avrebbe�battuto�i�maschi

di�metri”.Certe�cose�le�hai�nel�sangue,�ti�abitano�dentro.Sono�doni�ancestrali.

�Quando�Evonne�GoolagongEvonne,�o�Yvonne�come�avrebbe�dovuto

chiamarsi,�o�“Miss�Sunshine”,�come�laribattezzarono�nel�tennis,�la�prima�campionessaaborigena,�venuta�dall’Australia�molto�prima�di

Cathy�Freeman�a�mostrare�i�miracoli�atletici�diun�popolo�gentile,�sapiente,�umiliato.��

La�prima�(e�per�ora�ultima)�aborigena�capace�di

vincere�Wimbledon�e�il�Roland�Garros�nel�‘71,

ad�appena�vent’anni,�battendo�6-4�6-1�il

monumento�australiano,�e�sua�compagna�di

doppio,�Margaret�Court:�“Durò�sessantatrè

minuti.�Non�molto�lunga,�come�finale�di

Wimbledon,�ma�lunga�abbastanza�da�cambiarela�mia�vita�per�sempre”.��

Una�fuoriclasse�venuta�dal�bush�e�capaceprendersi�quattro�Australian�Open,�quattrofinali�a�New�York,�e�la�Fed�Cup.�Di�uscire�e

rientrare�nel�tennis�come�in�un�“walk-about”indigeno,�rivincendo�uno�Slam�da�mamma,molto�prima�di�Kim�Clijsters�e�sessantasei�anni

dopo�Dorothea�Lambert�Chambers.�AWimbledon,�nel�1980,�contro�la�Signorina�diferro�Chrissie�Evert:�“Fu�la�prima�finale�di

Wimbledon�decisa�da�un�tie-break,�e�la�prima�incui�in�66�anni�in�cui�a�vincere�avrebbe�potuto

essere�una�mamma.�Se�ce�l’avessi�fatta�miavrebbero�potuto�chiamare�‘Supermum’�(gliinglesi�abbreviano�‘mother’�in�‘mom’,�gliaustraliani�in�‘mum’,�ndr).�E�lo�fecero.�

Nel�primo�set�vinsi�6-1,�giocando�in�maniera

quasi�perfetta.�Nel�secondo�Chris�servì�per�il

set�sul�6-5,�ma�sapevo�di�non�potermi

permettere�di�andare�al�terzo�con�lei.�Il�punto

cruciale�fu�sul�3-3,�uno�scambio�da�31�colpi,�e

per�una�volta�fu�Chris�a�sbagliare�per�prima.�Lepartite�di�tennis�non�sono�cose�per�cui�valga�lapena�piangere.�Vinte�o�perse,�ci�ho�raramente

versato�sopra�delle�lacrime.�Ma�il�4�luglio�del1980�lo�feci.�E�mentre�andavo�versoKnightsbridge�in�macchina�per�cambiarmi�per�il

ballo,�mia�figlia�Kelly�sulle�ginocchia,�mio�maritoRoger�a�fianco,�ancora�con�gli�occhi�lucidi�rividiKenny�Goolagong�che�nel�pub�mi�stringeva�al

suo�petto�e�con�l’alito�puzzolente�di�birra�misussurrava�all’orecchio�‘Vai�e�spaccali�tutti,�Eve.Fagli�vedere�quello�che�sai�fare”.

Dopo�il�tennis,�per�vent’anni,��diventata�signora

Cawley,�ha�abitato�negli�States.�Nel�’91�è�morta

sua�madre,�la�bella�e�saggia�Melinda�che�era

nata�in�una�capanna�di�fango�appena�fuori�dalla

missione�di�Warangesda,�a�Darlington�Point,�e

lei�ha�deciso�di�tornare�all’Origine.�

�Di�abitare�a�Noosa,�del�Queensland�quest’annodevastato�da�alluvioni�e�uragani,�e�rivedereBarellan,�paesino�di�900�anime�nell’outbackaustraliano�dove�i�Goolagong,�quando�Evonne

nacque�nel�luglio�1951,�erano�l’unica�famiglia

aborigena:�“A�parte�la�mia�vittoria�a�Wimbledon

nel�1971�il�giorno�più�glorioso�nella�storia�di

Barellan�fu�il�2�gennaio�1932,�quando�116

squadre�di�cavalli�scaricarono�nei�silos�13.000

sacchi�di�fieno,�stabilendo�un�nuovo�record�per

l’Australia”.

�Partendo�alla�ricerca�dei�ricordi�della�sua�“smalltown”�Evonne�ha�seguito�il�serpente,�l’animale-guida�dei�suoi�antenati,�ripercorso�le�vie�deicanti�dormendo�in�tenda.�In�una�notte�magicaha�ascoltato�gli�avi�popolare�la�sua�anima�e

capito�che�suo�padre�“sapeva�esattamente�ilsuo�posto�nell’Universo,�e�che�la�Old�People,�gliaborigeni�vivi�e�morti,�non�conoscono�ilsentimento�dell’odio”.

Oggi�Evonne�ha�quasi�sessant’anni,�vive�ancora

a�Noosa,�non�gioca�più�a�tennis.�“L’anca�me�lo

impedisce.�Ma�lo�guardo�ancora,�specie�se�c’è

Federer�in�campo”,�sorride�luminosa�come

sempre.�“Ho�visto�anche�la�vostra�Schiavone:�a

Parigi�ha�battuto�un’australiana,�Sam�Stosur,�ma

l’ho�ammirata.�Che�giocatrice�fantastica:�una

guerriera”.�

�Tutta�la�sua�svelta,�morbida�efficacia�oggi

Evonne�la�usa�per�avvicinare�i�giovani�aborigeniallo�sport,�attraverso�il�suo�personale�“camp”�ein�collaborazione�con�la�federtennis�australiana,

che�proprio�agli�Australian�Open�ha�annunciatoun�nuovo�stanziamento�di�750.000�dollari�per�iprogetti�che�tanto�le�stanno�a�cuore.��

Il�Goolagong�Development�Camp�è�al�settimo

anno”,�spiega.�“E’�dedicato�a�ragazzi�aborigeni,

tennisti�da�un�po’�tutta�l’Australia.�Ai�ragazzi

più�promettenti�diamo�borse�di�studio,�oggi

con�noi�ci�sono�5�coach�“indigeni”�in�grado�di

insegnare�ovunque.�Il�mio�obiettivo�è�trovare

fondi�per�far�funzionare�il�camp�tutto�l’anno,�e

in�tutta�l’Australia.�Lavoriamo�insieme�con

Page 51: Tennis World Italia n. 32

EvonneGoolagong:

l'aborigenaneltennis

byStefanoSemeraro

Suo�padre�Kenny�vestiva�come�un�dandy,��di

mestiere�“tosava�le�pecore,�raccoglieva�frutta,caricava�fieno�e�puliva�i�silos”,�ma�nel�tempolibero�sapeva�cavarsela�benissimo�a�golf.�Suobisnonno�Jimmy�Goolagong�era�un�grandegiocatore�di�rugby�League,�il�rugbyprofessionistico�che�si�gioca�in�tredici,�“e

festeggiava�ogni�meta�facendo�una�capriolaall’indietro�nell’area�di�meta”.�Il�suo�trisavolo,Old�Bob�Goolagong,�era�l’Ibrahimovic�delfootball�aborigeno.�Sua�bisnonna�Dolly�era�una

famosa�giocatrice�di�hockey,�“e�insieme�alle�suesei�sorelle�formava�la�spina�dorsale�dellasquadra�femminile�di�hockey�su�prato�di

Condobolin�negli�anni�‘30”.��L’altra�sua�bisnonna,�Agatha,�“saltava�su�una

bici�da�corsa,�alzava�la�gonna�infilandosela�nellemutande�per�evitare�che�scendesse,�e�via�cheandava.�In�una�corsa,�avrebbe�battuto�i�maschi

di�metri”.Certe�cose�le�hai�nel�sangue,�ti�abitano�dentro.Sono�doni�ancestrali.

�Quando�Evonne�GoolagongEvonne,�o�Yvonne�come�avrebbe�dovuto

chiamarsi,�o�“Miss�Sunshine”,�come�laribattezzarono�nel�tennis,�la�prima�campionessaaborigena,�venuta�dall’Australia�molto�prima�di

Cathy�Freeman�a�mostrare�i�miracoli�atletici�diun�popolo�gentile,�sapiente,�umiliato.��

La�prima�(e�per�ora�ultima)�aborigena�capace�di

vincere�Wimbledon�e�il�Roland�Garros�nel�‘71,

ad�appena�vent’anni,�battendo�6-4�6-1�il

monumento�australiano,�e�sua�compagna�di

doppio,�Margaret�Court:�“Durò�sessantatrè

minuti.�Non�molto�lunga,�come�finale�di

Wimbledon,�ma�lunga�abbastanza�da�cambiarela�mia�vita�per�sempre”.��

Una�fuoriclasse�venuta�dal�bush�e�capaceprendersi�quattro�Australian�Open,�quattrofinali�a�New�York,�e�la�Fed�Cup.�Di�uscire�e

rientrare�nel�tennis�come�in�un�“walk-about”indigeno,�rivincendo�uno�Slam�da�mamma,molto�prima�di�Kim�Clijsters�e�sessantasei�anni

dopo�Dorothea�Lambert�Chambers.�AWimbledon,�nel�1980,�contro�la�Signorina�diferro�Chrissie�Evert:�“Fu�la�prima�finale�di

Wimbledon�decisa�da�un�tie-break,�e�la�prima�incui�in�66�anni�in�cui�a�vincere�avrebbe�potuto

essere�una�mamma.�Se�ce�l’avessi�fatta�miavrebbero�potuto�chiamare�‘Supermum’�(gliinglesi�abbreviano�‘mother’�in�‘mom’,�gliaustraliani�in�‘mum’,�ndr).�E�lo�fecero.�

Nel�primo�set�vinsi�6-1,�giocando�in�maniera

quasi�perfetta.�Nel�secondo�Chris�servì�per�il

set�sul�6-5,�ma�sapevo�di�non�potermi

permettere�di�andare�al�terzo�con�lei.�Il�punto

cruciale�fu�sul�3-3,�uno�scambio�da�31�colpi,�e

per�una�volta�fu�Chris�a�sbagliare�per�prima.�Lepartite�di�tennis�non�sono�cose�per�cui�valga�lapena�piangere.�Vinte�o�perse,�ci�ho�raramente

versato�sopra�delle�lacrime.�Ma�il�4�luglio�del1980�lo�feci.�E�mentre�andavo�versoKnightsbridge�in�macchina�per�cambiarmi�per�il

ballo,�mia�figlia�Kelly�sulle�ginocchia,�mio�maritoRoger�a�fianco,�ancora�con�gli�occhi�lucidi�rividiKenny�Goolagong�che�nel�pub�mi�stringeva�al

suo�petto�e�con�l’alito�puzzolente�di�birra�misussurrava�all’orecchio�‘Vai�e�spaccali�tutti,�Eve.Fagli�vedere�quello�che�sai�fare”.

Dopo�il�tennis,�per�vent’anni,��diventata�signora

Cawley,�ha�abitato�negli�States.�Nel�’91�è�morta

sua�madre,�la�bella�e�saggia�Melinda�che�era

nata�in�una�capanna�di�fango�appena�fuori�dalla

missione�di�Warangesda,�a�Darlington�Point,�e

lei�ha�deciso�di�tornare�all’Origine.�

Di�abitare�a�Noosa,�del�Queensland�quest’anno

devastato�da�alluvioni�e�uragani,�e�rivedereBarellan,�paesino�di�900�anime�nell’outbackaustraliano�dove�i�Goolagong,�quando�Evonne

nacque�nel�luglio�1951,�erano�l’unica�famiglia

aborigena:�“A�parte�la�mia�vittoria�a�Wimbledon

nel�1971�il�giorno�più�glorioso�nella�storia�di

Barellan�fu�il�2�gennaio�1932,�quando�116

squadre�di�cavalli�scaricarono�nei�silos�13.000

sacchi�di�fieno,�stabilendo�un�nuovo�record�per

l’Australia”.

Partendo�alla�ricerca�dei�ricordi�della�sua�“smalltown”�Evonne�ha�seguito�il�serpente,�l’animale-guida�dei�suoi�antenati,�ripercorso�le�vie�deicanti�dormendo�in�tenda.�In�una�notte�magicaha�ascoltato�gli�avi�popolare�la�sua�anima�e

capito�che�suo�padre�“sapeva�esattamente�ilsuo�posto�nell’Universo,�e�che�la�Old�People,�gliaborigeni�vivi�e�morti,�non�conoscono�ilsentimento�dell’odio”.

Oggi�Evonne�ha�quasi�sessant’anni,�vive�ancora

a�Noosa,�non�gioca�più�a�tennis.�“L’anca�me�lo

impedisce.�Ma�lo�guardo�ancora,�specie�se�c’è

Federer�in�campo”,�sorride�luminosa�come

sempre.�“Ho�visto�anche�la�vostra�Schiavone:�a

Parigi�ha�battuto�un’australiana,�Sam�Stosur,�ma

l’ho�ammirata.�Che�giocatrice�fantastica:�una

guerriera”.�

Tutta�la�sua�svelta,�morbida�efficacia�oggi

Evonne�la�usa�per�avvicinare�i�giovani�aborigeniallo�sport,�attraverso�il�suo�personale�“camp”�ein�collaborazione�con�la�federtennis�australiana,

che�proprio�agli�Australian�Open�ha�annunciatoun�nuovo�stanziamento�di�750.000�dollari�per�iprogetti�che�tanto�le�stanno�a�cuore.�

Il�Goolagong�Development�Camp�è�al�settimo

anno”,�spiega.�“E’�dedicato�a�ragazzi�aborigeni,

tennisti�da�un�po’�tutta�l’Australia.�Ai�ragazzi

più�promettenti�diamo�borse�di�studio,�oggi

con�noi�ci�sono�5�coach�“indigeni”�in�grado�di

insegnare�ovunque.�Il�mio�obiettivo�è�trovare

fondi�per�far�funzionare�il�camp�tutto�l’anno,�e

in�tutta�l’Australia.�Lavoriamo�insieme�con

Page 52: Tennis World Italia n. 32

Tennis�Australia,�ma�non�è�facile�trovare�soldi

per�le�racchette,�per�l’abbigliamento�da�dare�ai

ragazzi.�L’estate�scorsa�ce�n’era�uno�che

giocava�con�gli�infradito,�le�scarpe�da�tennis

che�gli�abbiamo�dato�sono�state�il�primo�paio�di

scarpe�in�assoluto�della�sua�vita.�Il�prossimo

fuoriclasse�aborigeno?�C’è�una�14enne�molto

promettente.�Si�chiama�Ashleigh�Barty,�ha�le

qualità�per�diventare�forte”.

Nel�1971�la�Goolagong�accettò�di�partecipare,

come�“onorary�white”,�“bianca�per�meriti”�a�un

torneo�nel�Sud�Africa�dell’apartheid,�molti�in

Patria�non�glielo�perdonarono.�Alan�Trengrove,

il�decano�dei�tennis�writer�aussie,�scrisse�una

lettera�aperta�definendo�quella�trasferta�“il�più

grande�errore�della�sua�carriera”,�e�John

Newfong,�uno�dei�leader�del�movimento�per

l’integrazione�degli�indigeni,�la�definì�“una�che

sarà�ricordata,�non�per�le�sue�vittorie,�ma�per

aver�barattato�la�responsabilità�nei�confronti

della�sua�razza�con�la�prospettiva�di�essere

‘bianca’�per�un�giorno.�Qualcuno,�ancora�oggi,

pensa�che�Evonne�avrebbe�dovuto�alzare�più�la

voce�per�difendere�i�diritti�degli�aborigeni,

umiliati�per�decenni�dalla�politica�cruda�dei

vecchi�governi�“aussie”�di�Menzies,�e�oggi

spesso�avviliti�dalla�disoccupazione�e

dall’alcolismo.

“Lottare�per�i�propri�diritti?�

Allora�avevo�19�anni,�non�sapevo�neppure�cosa

fosse�l’apartheid.�Ma�quando�tornai�in�Sud

Africa�l’anno�seguente�lo�feci�da�nera,�in

compagnia�di�di�altri�neri�come�l’americana

Bonnie�Logan�e�Wanaro�N’Godrella.�Quell’anno

a�un�nero�sudafricano,�Dan�Beuke,�poté�giocare

il�torneo�di�casa�sua.�Furono�piccoli�passi�in

avanti,�ma�comunque�miglioramenti.�Oggi

credo�che�per�me�sia�più�importante�avvicinare

i�giovani�allo�sport,�dare�loro�una�chance”.

Risponde�con�un�lampo�metallico�nello�sguardo,

la�ex�ragazzina�prodigio�adottata

tennisticamente�dal�guru�tennistico�(e

molestatore)�Vic�Edwards.�La�cucciola�di

campionessa�che�viveva�nella�sede

abbandonata�del�quotidiano�locale,�il�“Barellan

Leader”�(“una�baracca�di�latta”),�recuperava

palline�sgonfie�nella�carcassa�di�una�vecchia

Chevrolet,�giocava�scalza�e�a�volte�doveva

saltare�i�pasti.�Il�tennis�lo�aveva�scoperto�a�7

anni�nel�piccolo�club�locale,�improvvisando

partite�con�i�fratelli�con�le�racchette�prestate�da

un�vicino�di�casa�che�si�chiamava,�forse�non�a

caso,�mister�Dunlop.�“Credo�che�chiunque�sia

destinato�a�diventare�atleta�in�una�qualsiasi

disciplina�passi�un�periodo�di�apprendistato�­

ha�scritto�la�Goolagong�nella�sua�autobiografia

“Home!”,�un�longseller�in�Australia�-,�un�periodo

in�cui�realizzano�istintivamente�che�quello�è�il

loro�gioco,�che�quella�diventerà�la�loro�vita.

Credo�che�a�me�sia�accaduto�nelle�due�estati�in

cui�il�War�Memorial�Tennis�Club�di�Barellan

divenne�il�mio�giardino”.

Le�ci�sono�voluti�altri�cinquant’anni,�una

manciata�di�Slam�tanta�felicità�qualche

amarezza�e�la�voglia�di�ritrovare�se�stessa�“nel

grande�rosso�della�Terra�Australis”,�per

ritornare�a�casa.�Lasciare�la�strada�maestra�e

risalire�i�luoghi,�e�i�nomi�dei�luoghi,�dove�suo

padre�e�sua�madre�si�erano�conosciuti�e

innamorati�di�una�passione�nomade�ma�solida,

che�ha�generato�otto�figli�e�un�continente�di

ricordi.

Barellan,�Narrandera,�Cummeragunga,

Menindee,�Wilcannia,�Moulamein,�Goodoga,

Angledool,�le�tappe�di�un�viaggio�iniziatico

“Cummeragunga.�Ho�sempre�amato�il�suono

lirico�di�quel�nome.�Significa�“il�mio�Paese”,

nella�lingua�della�mia�gente.�A�Menindee�entrai

in�uno�spaccio�prima�di�continuare�il�mio

viaggio.�‘Ti�conosco’,�mi�disse�la�donna�che

stava�al�bancone.�‘Tua�madre�veniva�sempre

qui’.�E�fu�così�in�tutto�il�paese.�Linda�Goolagong

era�stata�una�donna�famosa�a�Menindee:�lo

avevo�sempre�saputo”.�

�Alla�fine,�provvisoria,�del�suo�walkabout�Evonne

capii�che�le�sue�due�metà�si�erano�ricongiunte.

“Dal�1953�i�miei�hanno�vissuto�in�una�città�di

bianchi�­�ha�scritto�in�“Home!”�-��e�dal�1966�io

ho�vissuto�in�una�società�bianca,�ma�la�prima

non�ha�fatto�di�me�una�bianca�e�la�seconda�non

ha�mai�fatto�di�me�niente�di�diverso�da�quello

che�sono,�una�orgogliosa�donna�aborigena”.

A�Noosa�­�mi�ha�raccontato�a�Melbourne�-��una

volta�organizzai�una�vendita�di�vestiti�e

racchette�per�raccogliere�fondi�per�la�gente

Pitjantjatjara,�per�le�donne�che�mi�hanno

accolto�fra�di�loro.�Oggi�collaboro�con

l’Indigenous�Land�Corporation,�che�si�occupa�di

ricomprare�terra�per�gli�aborigeni�dallo�stato�e

dare�loro�un’opportunità.�Ci�sono�ancora

problemi�per�la�mia�gente,�per�risolverli�occorre

creare�posti�di�lavoro.�Nel�resort�di�Uluru�(il

nome�aborigeno�di�Ayers�Rock,�ndr)�c’è�solo

una�persona�indigena�impiegata:�triste,�no?

Quando�ero�giovane�quelli�del�mio�popolo�non

potevano�neppure�entrare�nei�circoli�tennis,�e�si

dedicavano�al�calcio,�al�football�australiano,�al

rugby.�Molti�ragazzi�indigeni�hanno�grandi

riflessi,�perfetta�coordinazione�fra�occhi�e�mani:

io�voglio�che�giochino�a�tennis.�Se�quando�ero

ragazzina�non�ci�fosse�stata�la�gente�di�Barellan

a�comprarmi�vestiti�e�le�valigie�per�andare�a

Sydney,�non�sarei�qui.�Il�mio�compito�ora�è�di

fare�lo�stesso�con�altri�bambini”.

E’�un�viaggio�antico�che�continua.�“Sì,�sto

ancora�seguendo�il�serpente,�sto�ancora

imparando�molto�sulla�cultura�del�mio�Paese�e

sulle�mie�origini.�Io�sono�una�Wiradjuri�Koori,

una�donna�della�tribù�Wiradjuri,�il�mio�cognome

in�quella�lingua�si�pronuncia�gulagallang,�e

significa�“grande�gruppo”,�ma�anche�teppaglia.

Il�mio�primo�sogno�è�stato�vincere�gli�Australian

Open,�poi�Wimbledon.�Il�terzo�è�insegnare

quello�che�ho�imparato.�I�ragazzi�che�incontro

non�sanno�chi�sono.�Spiego�loro�che�ho�vinto

Page 53: Tennis World Italia n. 32

Tennis�Australia,�ma�non�è�facile�trovare�soldi

per�le�racchette,�per�l’abbigliamento�da�dare�ai

ragazzi.�L’estate�scorsa�ce�n’era�uno�che

giocava�con�gli�infradito,�le�scarpe�da�tennis

che�gli�abbiamo�dato�sono�state�il�primo�paio�di

scarpe�in�assoluto�della�sua�vita.�Il�prossimo

fuoriclasse�aborigeno?�C’è�una�14enne�molto

promettente.�Si�chiama�Ashleigh�Barty,�ha�le

qualità�per�diventare�forte”.

Nel�1971�la�Goolagong�accettò�di�partecipare,

come�“onorary�white”,�“bianca�per�meriti”�a�un

torneo�nel�Sud�Africa�dell’apartheid,�molti�in

Patria�non�glielo�perdonarono.�Alan�Trengrove,

il�decano�dei�tennis�writer�aussie,�scrisse�una

lettera�aperta�definendo�quella�trasferta�“il�più

grande�errore�della�sua�carriera”,�e�John

Newfong,�uno�dei�leader�del�movimento�per

l’integrazione�degli�indigeni,�la�definì�“una�che

sarà�ricordata,�non�per�le�sue�vittorie,�ma�per

aver�barattato�la�responsabilità�nei�confronti

della�sua�razza�con�la�prospettiva�di�essere

‘bianca’�per�un�giorno.�Qualcuno,�ancora�oggi,

pensa�che�Evonne�avrebbe�dovuto�alzare�più�la

voce�per�difendere�i�diritti�degli�aborigeni,

umiliati�per�decenni�dalla�politica�cruda�dei

vecchi�governi�“aussie”�di�Menzies,�e�oggi

spesso�avviliti�dalla�disoccupazione�e

dall’alcolismo.

“Lottare�per�i�propri�diritti?�

Allora�avevo�19�anni,�non�sapevo�neppure�cosa

fosse�l’apartheid.�Ma�quando�tornai�in�Sud

Africa�l’anno�seguente�lo�feci�da�nera,�in

compagnia�di�di�altri�neri�come�l’americana

Bonnie�Logan�e�Wanaro�N’Godrella.�Quell’anno

a�un�nero�sudafricano,�Dan�Beuke,�poté�giocare

il�torneo�di�casa�sua.�Furono�piccoli�passi�in

avanti,�ma�comunque�miglioramenti.�Oggi

credo�che�per�me�sia�più�importante�avvicinare

i�giovani�allo�sport,�dare�loro�una�chance”.

Risponde�con�un�lampo�metallico�nello�sguardo,

la�ex�ragazzina�prodigio�adottata

tennisticamente�dal�guru�tennistico�(e

molestatore)�Vic�Edwards.�La�cucciola�di

campionessa�che�viveva�nella�sede

abbandonata�del�quotidiano�locale,�il�“Barellan

Leader”�(“una�baracca�di�latta”),�recuperava

palline�sgonfie�nella�carcassa�di�una�vecchia

Chevrolet,�giocava�scalza�e�a�volte�doveva

saltare�i�pasti.�Il�tennis�lo�aveva�scoperto�a�7

anni�nel�piccolo�club�locale,�improvvisando

partite�con�i�fratelli�con�le�racchette�prestate�da

un�vicino�di�casa�che�si�chiamava,�forse�non�a

caso,�mister�Dunlop.�“Credo�che�chiunque�sia

destinato�a�diventare�atleta�in�una�qualsiasi

disciplina�passi�un�periodo�di�apprendistato�­

ha�scritto�la�Goolagong�nella�sua�autobiografia

“Home!”,�un�longseller�in�Australia�-,�un�periodo

in�cui�realizzano�istintivamente�che�quello�è�il

loro�gioco,�che�quella�diventerà�la�loro�vita.

Credo�che�a�me�sia�accaduto�nelle�due�estati�in

cui�il�War�Memorial�Tennis�Club�di�Barellan

divenne�il�mio�giardino”.

Le�ci�sono�voluti�altri�cinquant’anni,�una

manciata�di�Slam�tanta�felicità�qualche

amarezza�e�la�voglia�di�ritrovare�se�stessa�“nel

grande�rosso�della�Terra�Australis”,�per

ritornare�a�casa.�Lasciare�la�strada�maestra�e

risalire�i�luoghi,�e�i�nomi�dei�luoghi,�dove�suo

padre�e�sua�madre�si�erano�conosciuti�e

innamorati�di�una�passione�nomade�ma�solida,

che�ha�generato�otto�figli�e�un�continente�di

ricordi.

Barellan,�Narrandera,�Cummeragunga,

Menindee,�Wilcannia,�Moulamein,�Goodoga,

Angledool,�le�tappe�di�un�viaggio�iniziatico

“Cummeragunga.�Ho�sempre�amato�il�suono

lirico�di�quel�nome.�Significa�“il�mio�Paese”,

nella�lingua�della�mia�gente.�A�Menindee�entrai

in�uno�spaccio�prima�di�continuare�il�mio

viaggio.�‘Ti�conosco’,�mi�disse�la�donna�che

stava�al�bancone.�‘Tua�madre�veniva�sempre

qui’.�E�fu�così�in�tutto�il�paese.�Linda�Goolagong

era�stata�una�donna�famosa�a�Menindee:�lo

avevo�sempre�saputo”.�

Alla�fine,�provvisoria,�del�suo�walkabout�Evonne

capii�che�le�sue�due�metà�si�erano�ricongiunte.

“Dal�1953�i�miei�hanno�vissuto�in�una�città�di

bianchi�­�ha�scritto�in�“Home!”�-��e�dal�1966�io

ho�vissuto�in�una�società�bianca,�ma�la�prima

non�ha�fatto�di�me�una�bianca�e�la�seconda�non

ha�mai�fatto�di�me�niente�di�diverso�da�quello

che�sono,�una�orgogliosa�donna�aborigena”.

A�Noosa�­�mi�ha�raccontato�a�Melbourne�-��una

volta�organizzai�una�vendita�di�vestiti�e

racchette�per�raccogliere�fondi�per�la�gente

Pitjantjatjara,�per�le�donne�che�mi�hanno

accolto�fra�di�loro.�Oggi�collaboro�con

l’Indigenous�Land�Corporation,�che�si�occupa�di

ricomprare�terra�per�gli�aborigeni�dallo�stato�e

dare�loro�un’opportunità.�Ci�sono�ancora

problemi�per�la�mia�gente,�per�risolverli�occorre

creare�posti�di�lavoro.�Nel�resort�di�Uluru�(il

nome�aborigeno�di�Ayers�Rock,�ndr)�c’è�solo

una�persona�indigena�impiegata:�triste,�no?

Quando�ero�giovane�quelli�del�mio�popolo�non

potevano�neppure�entrare�nei�circoli�tennis,�e�si

dedicavano�al�calcio,�al�football�australiano,�al

rugby.�Molti�ragazzi�indigeni�hanno�grandi

riflessi,�perfetta�coordinazione�fra�occhi�e�mani:

io�voglio�che�giochino�a�tennis.�Se�quando�ero

ragazzina�non�ci�fosse�stata�la�gente�di�Barellan

a�comprarmi�vestiti�e�le�valigie�per�andare�a

Sydney,�non�sarei�qui.�Il�mio�compito�ora�è�di

fare�lo�stesso�con�altri�bambini”.

E’�un�viaggio�antico�che�continua.�“Sì,�sto

ancora�seguendo�il�serpente,�sto�ancora

imparando�molto�sulla�cultura�del�mio�Paese�e

sulle�mie�origini.�Io�sono�una�Wiradjuri�Koori,

una�donna�della�tribù�Wiradjuri,�il�mio�cognome

in�quella�lingua�si�pronuncia�gulagallang,�e

significa�“grande�gruppo”,�ma�anche�teppaglia.

Il�mio�primo�sogno�è�stato�vincere�gli�Australian

Open,�poi�Wimbledon.�Il�terzo�è�insegnare

quello�che�ho�imparato.�I�ragazzi�che�incontro

non�sanno�chi�sono.�Spiego�loro�che�ho�vinto

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93�tornei,�che�ho�incontrato�il

Presidente�degli�Stati�Uniti�e�la

Regina�d'Inghilterra,�che�ho

viaggiato�in�tutto�il�mondo.�Poi

prendo�un�pezzo�di�legno,�come

quello�con�cui�giocavo�da

bambina,�faccio�vedere�come�ho

iniziato.�Spalancano�gli�occhi,�e

io�dico�loro�che�puoi�iniziare

ovunque,�con�qualsiasi�cosa,�se

davvero�hai�un�sogno.�E�che�se

lo�sogni�abbastanza�forte,�si

realizzerà".�Tennista,

campionessa,�mamma,

educatrice.�C’è�una�cosa�-�le�ho

chiesto�prima�di�salutarla�sulla

scalinata�della�Rod�Laver�Arena

-�che�vale�più�di�tutte�la�pena�di

insegnare?

Sì,�c’è�una�cosa�che�l’Occidente

può�imparare�dalla�mia�gente�­

ha�risposto�-.�E’�un�concetto

semplice,�sta�in�due�frasi:

prenditi�cura�degli�altri.�Prenditi

cura�della�tua�terra”.

Page 55: Tennis World Italia n. 32
Page 56: Tennis World Italia n. 32

Tornei�dello�Slam:�lestatistihe�che�nessunoconosceby�Marco�Di�Nardo

Ci�sono�statistiche�che�tutti�gli�esperti�di�tennis

conoscono,�essendo�impossibile�raccontare�o

parlare�di�questo�sport�senza�tenerne�conto.

Sono�probabilmente�le�più�importanti,�perché

permettono�di�delineare�un�quadro�dei�migliori

giocatori�e�anche�di�farsi�un'idea�sulla�carriera

di�un�determinato�atleta.�Ci�si�riferisce

ovviamente�a�statistiche�come�quella�dei�titoli

dello�Slam�vinti�in�totale,�o�delle�finali�giocate

nei�major,�partite�vinte�ecc.

Esistono�poi�tantissime�altre�graduatorie

statistiche�che�il�tennis�ci�permette�di�stilare,

anche�grazie�al�particolare�punteggio�che�lo

caratterizza,�e�alle�varie�categorie�di�tornei�in

cui�viene�praticato.�In�questo�articolo�ci

occuperemo�della�categoria�più�alta�che

riguarda�il�nostro�sport,�quella�dei�tornei�del

Grand�Slam,�proponendo�delle�interessanti

statistiche�inedite.

Inizieremo�con�il�record�di�partite�vinte�e�persenei�tornei�dello�Slam�dopo�aver�vinto�i�primidue�set;�proseguiremo�con�il�numero�maggiore

di�partite�vinte�consecutivamente�nella�stessasituazione�(avendo�vinto�i�primi�due�parziali);poi�passeremo�al�record�di�partite�consecutivesenza�mai�andare�indietro�per�2�set�a�0�negli

Slam,�indipendentemente�dal�risultato�finale;quindi�il�record�negli�Slam�dopo�aver�vinto�ilprimo�set;�infine�analizzeremo�i�record�turnoper�turno�dai�quarti�di�finale�in�avanti�nei�torneidello�Slam�(quarti,�semifinali,�finale).�

Vittorie/sconfitte�dopo�aver�vinto�i�primi�dueset�nei�tornei�dello�Slam�(almeno�80vittorie).�In�questa�graduatoria�comanda�lo

svedese�Mats�Wilander,�che�nelle�95�volte�in

cui�si�è�trovato�avanti�per�2�set�a�0�negli�Slam,

ha�sempre�portato�a�casa�il�successo�finale.

Imbattuto�in�questa�situazione�anche�Bjorn

Borg,�che�si�è�però�fermato�a�quota�85�vittorie.

�1.�Mats�Wilander�95-0,�100%

2.�Bjorn�Borg�85-0,�100%3.�Jimmy�Connors�161-1,�99,4%4.�Andre�Agassi�156-1,�99,4%5.�Novak�Djokovic�152-1,�99,3%6.�Rafael�Nadal�151-1,�99,3%7.�Pete�Sampras�146-1,�99,3%

8.�John�McEnroe�117-1,�99,1%�Vittorie�consecutive�dopo�aver�vinto�i�primi

due�set�nei�tornei�dello�Slam.�Il�dominatore�in

questa�seconda�graduatoria�è�Roger�Federer,

che�prima�della�sconfitta�nei�quarti�di�finale�di

Wimbledon�2011�contro�Jo-Wilfried�Tsonga,

aveva�messo�insieme�178�vittorie�consecutive

Page 57: Tennis World Italia n. 32

nei�tornei�dello�Slam�dopo�essere�andato�avanti

per�2�set�a�0.�Sambrava�potesse�essere

raggiunto�da�Rafael�Nadal,�che�però�si�è

fermato�a�151�prima�della�sconfitta�contro�Fabio

Fognini�a�New�York�nel�2015.�Terzo�è�Pete

Sampras,�la�cui�serie�di�146�sarebbe�ancora

aperta�se�non�si�fosse�ritirato:�Pistol�Pete�perse

infatti�il�primo�incontro�Slam�della�sua�carriera

dopo�essersi�trovato�avanti�per�2-0,�dopodiché

rimase�imbattuto�fino�al�suo�ritiro�nel�2002�in

questa�particolare�circostanza.

�1.�Roger�Federer�1782.�Rafael�Nadal�1513.�Pete�Sampras�1464.�Stefan�Edberg�120

5.�Ivan�Lendl�1196.�Andy�Murray�113�

Partite�consecutive�senza�mai�andare

indietro�per�due�set�a�zero�negli�Slam.Anche

la�serie�più�lunga�di�partite�Slam�senza�mai

perdere�i�primi�due�set�è�di�Roger�Federer,

capace�per�99�volte�di�fila�di�vincere�almeno

uno�dei�primi�due�parziali�dei�suoi�incontri�negli

Slam�tra�il�2004�e�il�2008.

1.�Roger�Federer�99�(2004-2008)2.�Novak�Djokovic�49�(2013-2015)3.�Pete�Sampras�45�(1993-95)4.�Ivan�Lendl�43�(1988-90)5.�Jim�Courier�42�(1992-93)6.�Bjorn�Borg�38�(1979-80)

7.�Andy�Murray�36�(2012-2013)�Dopo�aver�vinto�il�primo�set�nei�tornei�dello

Slam�(almeno�150�vittorie).�In�questa

graduatoria�a�comandare�è�Rafael�Nadal,�il�cui

record�di�173�vittorie�e�4�sconfitte�dopo�aver

vinto�il�primo�set�negli�Slam�è�davvero

impressionante.

�1.�Rafael�Nadal�173-4,�97,7%2.�Novak�Djokovic�189-7,�96,4%3.�Jimmy�Connors�205-8,�96,2%

4.�Roger�Federer�269-13,�95,4%5.�Pete�Sampras�173-10,�94,5%�

Record�nei�quarti�di�finale�Slam�(almeno�15

vittorie).�La�miglior�percentuale�di�partite�vinte

nei�quarti�di�finale�dei�tornei�dello�Slam,�è

quella�di�Roger�Federer,�vincitore�di�39�dei�suoi

47�quarti�a�livello�major.

1.�Roger�Federer�39-8,�83%2.�Novak�Djokovic�29-6,�82,8%3.�Ivan�Lendl�28-6,�82,3%4.�Bjorn�Borg�17-4,�80,9%5.�Rafael�Nadal�23-6,�79,3%5.�Pete�Sampras�23-6,�79,3%�

Record�nelle�semifinali�Slam�(almeno�15vittorie).�Passando�al�turno�successivo,�le

Page 58: Tennis World Italia n. 32

semifinali�dei�tornei�del�Grand

Slam,�il�miglior�record�è�quello

di�Bjorn�Borg,�che�ha�un

impressionante�bilancio�di�16

vittorie�e�1�sconfitta.

�1.�Bjorn�Borg�16-1,�94,1%2.�Rafael�Nadal�20-3,�87%3.�Pete�Sampras�18-5,�78,3%4.�Roger�Federer�27-11,�71,1%5.�Ivan�Lendl�19-9,�67,9%

�Record�nelle�finali�Slam

(almeno�8�vittorie).

Concludiamo�questo�articolo�di

interesse�statistico�con�la

percentuale�di�vittoria�nelle

finali�Slam,�in�cui�è�Pete

Sampras�il�migliore,�grazie�alle

14�vittorie�ottenute�sulle�18

finali�disputate.

�1.�Pete�Sampras�14-4,�77,8%2.�Rafael�Nadal�14-6,�70%

3.�Bjorn�Borg�11-5,�68,8%4.�Roger�Federer�17-10,�63%

5.�Novak�Djokovic�10-8,�55,6%

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GliEroi

silenziosi

dellaDavis

byValerioCarriero

Siamo�abituati�ad�intendere�il

tennis�come�uno�sport

individuale,�con�un�concetto�di

squadra�che�non�può�sposarsi

realmente�neppure�nella

disciplina�del�doppio.�Eppure,

c’è�una�competizione

dall’irresistibile�fascino�e�storia

capace�di�stravolgere�tutto.�In

Coppa�Davis,�è�l’unione�a�fare�la

forza.�C’è�un�Capitano�che

spesso�può�finire�sul�banco

degli�imputati�per�alcune�scelte,

inevitabilmente�una�superstar

da�cui�ci�si�attende�spesso�un

solo�risultato�­�la�vittoria�­�e

qualche�comprimario,�dalla

caratura�inferiore,�ma�dal�quale

paradossalmente�può

dipendere�l’esito�finale.�Sono

proprio�loro�a�far�pendere�l’ago

della�bilancia�a�favore�della

propria�squadra,�sovvertendo

pronostici�alla�vigilia�chiusissimi

con�delle�vere�e�proprie

imprese.

Il�2015�è�stato�l’anno�della�Gran

Bretagna�trascinata,

ovviamente,�da�un�perfetto

Andy�Murray�che�ha�chiuso�la

competizione�da�imbattuto.�Ma

la�rincorsa�dei�“Leoni”�parte�da

lontano,�dal�primo�turno�a

Glasgow�contro�gli�Usa.�Il�nr.

2�al�mondo�ha�battuto�non

senza�affanni�in�4�set�Donald

Young,�poi�tocca

all’insospettabile�James

Ward�indirizzare�il�confronto.

In�quella�che�sembrava

normale�amministrazione�per

Isner�avanti�due�set�a�zero,�il

numero�111�del�ranking�riesce

ritagliarsi�uno�spazio�sempre

più�grande�fino�a�dipingere

un�capolavoro.�Punto�dopo

punto�il�britannico�la�trascina

al�quinto,�il�gigante

americano�fatica�sempre�più

ma�resiste�annullando�match

point�su�match�point�grazie

al�suo�servizio.�Murray�freme

in�prima�fila,�suggerisce

addirittura�qualche

accorgimento�a�Smith�da

riportare�al�compagno�Ward,

e�l’epilogo�arriva�sul�14-13

quando�finalmente�arriva

l’ultima�pennellata.Un’impresa�che�ha�spianatola�strada�alla�Gran�Bretagna

non�solo�per�l’accesso�aiquarti�(vitale�il�punto�insingolare�di�Ward:�grazie�ai

Bryan�in�doppio,�la�sfida�sisarebbe�conclusa�solamente

all’ultimo�singolare),�ma�perla�conquista�dell’Insalatiera.Murray�eroe�e�super-celebrato�in�patria,ovviamente�e�come�giustoche�sia,�ma�questa�Davis�haanche�l’importante�firma�del

piccolo�grande�James.

�2006,�Olympic�Stadium�diMosca,�terra�indoor.Semifinale�tra�Russia�e�StatiUniti�sul�2-1�dopo�le�prime

due�giornate,�con�i�padronidi�casa�privi�di�Davydenko,

Page 61: Tennis World Italia n. 32

nr.5�al�mondo�del�momento,

ma�non�ancora�recuperato

dopo�il�forfait�a�Pechino.�Con

Nikolay�in�campo,�più

avvezzo�a�certe�superfici,

sarebbe�stato�tutto�più

semplice.�Invece,�la

responsabilità�è�tutta�sulle

spalle�del�(mentalmente)

fragile�Dmitry�Tursunov

contro�l’ex�nr.1�al�mondo

Roddick.�Lo�statunitense�non

è�di�certo�un�terraiolo,�tanto

da�andar�sotto�per�due�set�a

zero,�ma�carisma�ed

esperienza�gli�consentono�di

riequilibrare�il�tutto

trascinando�la�contesa�al

quinto.�Ad�un�passo�dal

tracollo,�con�il�break�subito

sul�5-5,�Tursunov�però�riesce

clamorosamente�a�rientrare

in�carreggiata�regalando�al

suo�pubblico�un�pirotecnico

successo�per�17-15,�dopo�4

ore�e�48�di�battaglia�e�72

giochi�(pareggiando�il

passato�record�di�Clement�e

Rosset�dall’introduzione�del

tiebreak�nel�1989)�e�la

qualificazione�per�la

finalissima�contro

l’Argentina.�Scese�in�campo

solamente�nel�cruciale

doppio�del�sabato,�poi�fu

Safin�a�regalare�il�punto

decisivo�nel�quinto�match

contro�Acasuso.�Era�la�Russia

dei�più�quotati�Nikolay�e

Marat,�ma�quella�seconda�(e

finora�ultima)�Insalatiera�è

anche�di�Dmitry.

Nel�2010�fu�la�volta�della

Serbia,�quella�storica�Davis

vinta�che�fece�da�trampolino

di�lancio�per�un�Djokovic�per

la�prima�volta�alieno�nel

2011.�Nole�è�sicuramente

l’icona�del�movimento

tennistico�serbo,�non

potrebbe�essere�altrimenti

considerando�i�suoi�passati�e

recenti�risultati.�Ma�quella

Davis�fu�anche�di�Janko

Tipsarevic�e�Viktor�Troicki.�Il

primo�si�rivelò�fondamentale

in�semifinale�con�la

Repubblica�Ceca,�quando

mise�in�riga�in�singolo�prima

Berdych�e�poi�Stepanek,�il

secondo�sia�nel�confronto

con�gli�USA�che�nella

finalissima�con�la�Francia,

distruggendo�in�tre�set

Llodra�sulla�complicata

situazione�di�2-2.

Anche�nel�tennis,�essere

numero�1�o�2�al�mondo,�in

una�squadra,�non�può

bastare.

Page 62: Tennis World Italia n. 32

LeslidingdoorsdiAgnieszkaRadwanska,la

MagadiventataMaestra

byMatteoDiGangi

E'�lunedi�25�Maggio�e�ci�troviamo�sul�campo�numero�6�del�complesso�tennistico�francese�più

importante,�situato�a�Bois�de�Boulogne�dove�si�sta�giocando�il�Roland�Garros.�Le�protagoniste�di

questo�primo�turno�sono�la�polacca�Agnieszka�Radwanska�e�la�tedesca�Annika�Beck.�La�favorita�è

senza�dubbio�la�prima,�ma�il�suo�gioco�vario�e�preciso�non�riesce�a�far�breccia�nel�cuore�della

teutonica,�la�quale�controbatte�alla�grande�e�scaglia�ben�41�colpi�vincenti.�La�tennista�di�Cracovia�è

eliminata�in�tre�set.�E'�un�piccolo�dramma�per�la�Radwanska,�che�,come�testimonia�la�classifica

aggiornata�al�dopo�Roland�Garros,�è�scesa�addirittura�al�26°�posto�per�quel�che�concerne�i�punti

conquistati�nel�2015,�solo�926.�La�Road�to�Singapore�è�la�classifica�che�regala�l'accesso�alle�WTA

Page 63: Tennis World Italia n. 32

Finals,�kermesse�di�lusso�di�fine�anno�dove�si�sfidano�le�migliori.�Ma�il�distacco�della�polacca�è�più�di

1000�punti�rispetto�all'ottava�posizione,�occupata�dalla�svizzera�Timea�Bacsinszky.�Un�miraggio

utopico.�

�Ma�lo�sport�e�il�tennis�in�particolare�sono�una�fucina�di�storie�imprevedibili�che�si�compiono�proprionel�momento�in�cui�sembrano�impossibili�anche�al�mero�pensiero.�La�risalita�di�AgnieszkaRadwanska�parte�proprio�da�questa�sconfitta�al�Roland�Garros:�riesce�a�trovare�fiducia�nei�tornei

erbivori�e�dopo�aver�vinto�Tokyo�e�fatto�una�semifinale�a�Pechino,�riesce�incredibilmente�aqualificarsi�per�Singapore�vincendo�il�torneo�di�Tianjin.�

All'alba�della�45°edizione�delle�Finals�manca�la�regina�incontrastata�del�2015,�ovvero�Serena

Williams.�C'è�spazio�per�tutte.�Si,�perchè�Maria�Sharapova�praticamente�è�al�rientro�dopo

Wimbledon,�Simona�Halep�non�è�in�perfette�condizioni�e�di�certo�Lucie�Safarova�e�Petra�Kvitova

non�vivono�una�situazione�più�rosea.�Ed�è�qui�che�torniamo�alla�nostra�protagonista.�"Maga�Aga"�-

la�cominciamo�a�chiamare�cosi�-�gioca�una�buona�partita�contro�la�Sharapova,�ma�non�basta�e�si

deve�arrendere�in�tre�set.�Dopo�due�giorni�riscende�in�campo�opposta�alla�Pennetta�ed�è�sconfitta

in�due�set.�Agnieszka�ha�pochissime�chance�di�passare�il�turno,�avendo�racimolato�due�sconfitte�con

un�solo�set�vinto.

L'unica�sua�speranza�è�che�batta�in�due�set�una�Halep�che�ha�bisogno�di�vincere�e�che�la�Sharapova

faccia�il�suo�contro�la�Pennetta.�Sul�5-5�del�tiebreak�del�primo�set�ci�ritroviamo�nella�stessa

situazione�di�qualche�mese�fa,�in�quel�pomeriggio�di�maggio,�la�polacca�è�appesa�ad�un�filo�e�le

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basta�poco�per�scendere�giù�nel�burrone�in

maniera�definitiva.�Ma�ancora�una�volta�non

accade.�Agnieszka�vince�il�tiebreak,�domina�il

secondo�set�e�con�la�concomitante�vittoria

della�Sharapova�accede�in�maniera�insperata

alla�semifinale.�Semifinale�che�si�gioca�il

giorno�di�Halloween�e�chi�meglio�di�Agnieszka

Radwanska�può�architettare�uno�scherzetto

diabolico�alla�giocatrice�che�più�aveva

impressionato�sino�a�quel�momento,�ovvero

Garbine�Muguruza?�E'�una�super�partita,�la

polacca�vince�dopo�una�battaglia�pazzesca�e

si�guadagna�il�palcoscenico�più�importante

della�sua�carriera,�paragonato�solo�alla�finale

di�Wimbledon�del�2012�contro�Serena

Williams.�Ma�stavolta�non�avrà�la�statunitense

di�fronte,�ma�Petra�Kvitova�(capace�di�vincere

il�torneo�nell'edizione�2011).�E'�una�finale

storica.�Si,�storica.�Entrambe�le�giocatrici�ci

arrivano�con�una�sola�vittoria�nel�Round

Robin,�una�combinazione�mai�accaduta�prima.

Agnieszka�domina�per�un�set�e�mezzo,�è

totalmente�padrona�del�campo,�ma�accade

qualcosa�di�imprevisto,�qualcosa�che�rende

ancor�più�incerto�il�finale�di�questo�libro

cominciato�mesi�fa.�La�Kvitova�rimonta,�vince

il�secondo�set�e�ora�è�lei�ad�avere�l'inerzia

dalla�sua,�avanti�di�un�break�nella�frazione

decisiva.�L'istinto�e�le�emozioni�fioccano�come

neve�in�una�serata�invernale,�la�Radwanska

rimonta�e�con�il�suo�muoversi�in�campo

silenzioso,�con�i�suoi�tagli�magici�scrive�la

pagina�più�importante�della�sua�carriera.

Scoppia�in�lacrime.�

L'hanno�sempre�chiamata�"Maga�Aga",�ma�in

quella�sera�di�Singapore�è�diventata�Maestra.

In�quel�lunedi�25�Maggio�alzi�la�mano�chiavrebbe�pensato�ad�un�finale�del�genere.

Nessuno.Neanche�lei.

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Master1000�di�Parigi.

Il�2005�è�condizionato�da�infortuni�alle

ginocchia�e�lo�svedese�esce�praticamente

sempre�al�primo�turno,�scende�in�classifica�fino

alla�97°�posizione�recuperando�con�qualche

buon�risultato�l’anno�successivo�chiudendo�alla

25.

Nel�bienno�2007-2008,�una�condizione�fisica

precaria�e�una�discontinuità�di�risultati�non�gli

permettono�di�esser�costante�nelle�vittorie.

A�fine�anno�conferma�Magnus�Norman�come

allenatore�entrato�dopo�la�rottura�con�Carllson:

sarà�la�svolta�della�carriera.

Dopo�un�inizio�difficile,�a�Parigi�arriva�la

consacrazione,�batte�Nadal�al�quarto�turno,diventando�il�primo�giocatore�a�sconfiggere�ilmaiorchino�a�Parigi�interrompendo�la�striscia

positiva�di�31�match�vinti,�unico�a�riuscirci�finoa�Djokovic�nella�scorsa�edizione.�

Lo�svedese�perderà�poi�in�finale�da�Federer,

ma�con�questa�prestazione�raggiungerà�la

dodicesima�posizione�della�classifica�ATP.

RobinSoderling

byAlexbisi

23�Dicembre�2015,�Robin�Soderling,

attraverso�un�tweet�sul�suo�profilo,annunciail�ritiro�da�tennis�giocato.�

Assente�dal�2011�dal�circuito,�per�una�grave

forma�di�mononucleosi,�mancava�di�fatto�la

sola�ufficialità�per�confermare�quello�che�gli

appassionati�sapevano�già,�che�non�sarebbe

più�tornato�a�calcare�un�rettangolo�di�gioco,

nonostante�più�volte�avesse�annunciato�un

imminente�ritorno.

Giocatore�dotato�di�un�servizio�e�dritto

molto�potenti,�è�salito�alla�ribalta�nel�2009

battendo�Nadal�a�Parigi,�salvo�poi�perdere�in

finale�contro�Federer,�in�quella�che�è�l’unica

affermazione�in�terra�francese�per�lo

svizzero.

Diventato�professionista�nel�2002,�l’annosuccessivo�risale�100�posizioni,�migliorandoulteriormente�nel�2004�arrivando�alla�39°posizione,�vincendo�il�suo�primo�titolo�aLione,�e�raggiungendo�i�quarti�al

Dopo�Parigi,�con�una�nuova�iniezione�di�fiducia,raggiunge�gli�ottavi�a�Wimbledon�e�i�quarti�agli

Us�Open,�battuto�sempre�da�Federer.�Altre�ottime�prestazioni�in�altri�tornei,�gli

consentono�di�entrare�in�top�10.�Convocato�a�Londra�per�le�finals�come�primariserva,�gioca�al�posto�di�Roddick�e�piazza�duevittorie�da�urlo�contro�Nadal�e�Djokovic,�ma

viene�sconfitto�in�semifinale�da�Del�Potro.�Inizio�molto�tentennante�nella�stagione�2010,dove�esce�al�primo�turno�nello�slamaustraliano,�semifinale�nei�1000�americani,�poi

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un�deludente�inizio�della�stagione�su�terra,�fino

all’appuntamento�francese�dove�deve

dimostrare�che�la�finale�dell’anno�precedente

non�è�stato�un�exploit.

Lo�svedese�non�delude,�vince�ai�quarti�contro

Federer,�batte�Berdych�in�semifinale�ma�è

Nadal�a�riprendersi�lo�scettro�battendolo

nettamente�in�finale.

La�conferma�della�finale�gli�vale�il�sesto�posto�inclassifica,�e�con�i�quarti�di�Wimbledon,�battutoancora�da�Nadal,�guadagna�un’altra�posizione.

�La�costanza�di�rendimento�resta�comunque�ilproblema�principale�per�Soderling,�dopo�lo�slaminglese�,�gioca�male�fino�al�torneo�americano,

dove�raggiunge�i�quarti,�ancora�una�voltaestromesso�da�Federer.�

Vince�il�master�1000�di�Parigi�in�finale�controMonfils�e�con�il�quarto�posto�in�classifica,centra�anche�l’accesso�alle�finals�di�Londra,

dove�a�differenza�dell’anno�precedente�vieneestromesso�dal�torneo�al�round�robin.

�Con�la�stagione�si�conclude�anche�lacollaborazione�con�Norman,�e�al�suo�posto�per

la�stagione�2011�assume�Claudio�Pistolesi.�

Dopo�qualche�vittoria,�inizia�un�periodo�di

brutte�prestazioni,�e�poco�prima�del�Roland

Garros,�dove�uscirà�ai�quarti�per�mano�del

solito�Nadal,�annuncia�la�separazione�dal�nuovo

allenatore.

Lo�svedese�fa�poca�strada�anche�a�Wimbledon,accusa�i�primi�seri�problemi�fisici�alla�gola,�tornain�campo�vincendo�il�torneo�di�Bastad,�ultimasua�apparizione�ufficiale.

Al�momento�dell’annuncio�della�mononucleosi

è�quinto�in�classifica,�progetta�più�volte�il

ritorno,�ma�nonostante�ammetta�di�esser

guarito�non�riesce�a�ritornare�all’attività

agonistica�lamentando�una�continuaspossatezza�fisica�fino�al�definitivo�ritiro�nelnatale�scorso.

�La�carriera�di�Soderling�ruota�attorno�a�quelmatch�di�Parigi�con�Nadal,�che�l’ha�messo

definitivamente�sotto�i�riflettori�e�donato�linfavitale�ad�un�periodo�di�alti�e�bassi.�

Peccato�che�la�sua�carriera�sia�durata�così�poco,

soprattutto�che�non�sia�riuscito�a�mantenere�un

rendimento�costante,�quale�compete�ai�big,

perché�in�giornata�poteva�eliminare�davvero

chiunque.

Nel�periodo�lontano�dai�campi,�si�è�lanciato�in

attività�sempre�a�sfondo�tennistico,�ha�infatti

prodotto�una�linea�di�palline�approvate�dalla�Itf

e�una�serie�di�corde�monofilamento,�ora�che�ha

definitivamente�chiuso�con�il�tennis�giocato

magari�sentiremo�parlare�di�lui�come�manager

di�successo.

Page 69: Tennis World Italia n. 32
Page 70: Tennis World Italia n. 32

FollowMe

byAlexbisi

L’avvento�degli�smartphone

ha�portato�la�nostra

quotidianità�a�connetterci

ovunque�ed�in�ogni

momento.

Così�noi�appassionati�di

tennis�possiamo�seguire�la

moltitudine�di�tornei�in

tempo�reale�e�seguire�anche

le�avventure�dei�nostri

tennisti�preferiti,�che�sanno

quanto�sia�importante�la

medianicità�e�son�sempre

più�presenti�nei�profili�social.

Diamo�un’occhiata

utilizzando�Twitter,

solitamente�il�social�a�cui�si

fa�riferimento�per�popolarità,

i�numeri�dei�tennisti�e

tenniste�del�panorama

mondiale.

Contrariamente�a�quanto�si

possa�pensare�il�più

“followato”�è�Rafa�Nadal�con

8,85�milioni�di�followers,

seguito�da�Novak�Djokovic

con�4,89�milioni,�dato�che

dimostra�che�il�serbo�è

amato�dai�tifosi,�dopo�che

sono�usciti�svariati�articoli

dopo�la�finale�degli�Us�Open

che�parlavano�di�come�il

serbo�non�riesca�a�far

breccia�nel�cuore�dei�tifosi.

Roger�Federer�segue�con4,4milioni�con�i�suoi�fan�che

si�scatenano�quando�ilcampione�lancia�l’hastag#AskRF,�mandando�Twitterin�tilt�con�milioni�didomande.

Murray,�l’ultimo�dei�fab�four

è�a�quota�3,41.

Le�cifre�scendonovertiginosamente�con�gli

“altri”.�Berdych�solamente�255.000Wawrinka�565.000,�mentre

Ferrer�902.000,�li�surclassaentrambi.�

Nick�Kyrgios�salito�alla�ribalta

nell’ultimo�periodo�per

vicende�extra�tennistiche,�è

a�quota�162.000�mentre

Dimitrov�239mila.

Tra�i�francesi�i�più�seguiti

sono�Tsonga�con�794mila�e

Monfils,�691mila,�mentre

Gasquet�non�riscuote�molto

successo,�con�solo�76.300

followers.

Basti�pensare�che�giocatorimento�quotati�come�Karlovice�Dustin�Brown�ne�hannorispettivamente�101.000�e67.300.

Il�gigante�Karlovic�è�molto

seguito�soprattutto�per

svariati�tweet�divertenti�tipo

quello�sul�terremoto�causato

da�Serena�Williams�in

Australia.

Entrambi�molto�disponibili�aldialogo,�basti�pensare�che

rispondono�abbastanzaspesso�a�tweet�di�sempliciappassionati.

Page 71: Tennis World Italia n. 32

L’ucraino�Sergiy�Stakhovsky

ha�più�volte�twettato�in

maniera�molto�pungente

toccando�temi�spinosi�come

l’omosessualità�nello�sport,

dicendo�che�non�avrebbe

mai�mandato�sua�figlia�a

giocare�a�tennis�in�quanto

nel�tennis�femminile�son

tutte�lesbiche,�oppure

discutendo�con�altri

giocatori,�ultimo�Sam�Groth

dopo�un�loro�match�a

Stoccarda.

Chiudiamo�il�discorso�ATP

con�i�nostri�italiani,�Bolelli�eFognini,�rispettivamente14.600�e�63.300�followers

con�il�taggiasco�molto�attivosui�social.

�Tra�le�donne�impressionantecome�sempre�il�divario�traSerena�Williams�e�le�altre,6,01milioni�per�lei�che�lascia

al�palo�Maria�Sharapovovacon�1,92milioni�e�sua�sorellaVenus�con�1.36milioni.�Vika�Azarenka�decisamenteattiva�sul�suo�profilo�conta

71.400�followers,�staccate�dinon�poco�Kvitova�e�Halepcon�284milla�e�38.100.�

La�bella�Ana�Ivanovic�resistecon�662mila.

Tra�le�giovani�leve,�moltoattiva�la�Bouchard,�secondo

qualcuno�uno�dei�motivi�deisui�scarsi�risultati,�con584.000,�poi�Bencic�con28.400�e�la�finalista�diWimbledon�Garbine�Mugurza

con�113mila.�Chiudiamo�con�le�nostreragazze,�anche�loro�spessodisponibili�al�dialogo,�FlaviaPennetta�guida�con�274mila,

a�seguire�Sara�Errani�con118mila,�seguono�Vinci�eSchivone�con�90.500�e9.647�followers.

Page 72: Tennis World Italia n. 32

IlButtafuori

Nano

byAndreaGuarracino

Nel�Paese�dei�contrari�c’erauna�sola�discoteca.�A�protezione�del�suoingresso,�tutte�le�sere�vilavorava�un�buttafuori�nano.

Era�così�basso�da�far

sembrare�il�politico�Brunetta

un�pivot�NBA�e�così�grasso

da�far�credere�che�Giuliano

Ferrara�sia�affetto�da�una

grave�forma�di�anoressia.

Eppure,�malgrado�la�sua

altezza�ridicola�e�la�sua

mobilità�inesistente

terrorizzava�tutti�gli

avventori�del�locale�che�si

guardavano�bene�dall’entrare

nella�discoteca�senza�il�suo

benestare,�atterriti�dal�suo

sguardo�torvo�e�dai�suoi

denti�così�aguzzi�da�far

sembrare�quelli�dello�squalo

bianco�una�limetta�per

unghie�per�signora.

Non�ci�crederete�ma�il�sonno

della�maggior�parte�dei

tennisti�dilettanti�che�ho

conosciuto�nella�mia�vita�è

infestato�da�questo�incubo,�il

cui�ricordo�svanisce�col

risveglio�al�mattino,

lasciando�però�loro�in�dono

una�profonda�sensazione�di

insicurezza�che�li�attanaglia

inconsapevolmente�ogni

volta�che�mettono�piede�suun�campo�da�tennis�per�un

incontro.�

Allora…�avete�capito�qual�è�il

loro�buttafuori�nano!?

Ma�come�no!

Lo�avete�di�fronte�tutte�levolte�che�provate�a�vincereuna�partita�e�si�frapponeinesorabilmente�fra�voi�e�ilvostro�avversario�come�lastriscia�di�Gaza�divide�gli

israeliani�dai�palestinesi.�

Vi�do�qualche�ulteriore

indizio,�alto�meno�di�un

metro�e�poco�più�di�esso�in

punta�di�piedi,�largo�più�di

10�metri�…�a�meno�male…

ora�ci�siete�arrivati…�sto

ovviamente�parlando�della

rete�da�tennis.

Alta�91.4�centimetri�al�centro

e�107�ai�lati,�larga�poco�più�11

metri,�ai�tennisti�amatoriali

sembra�più�invalicabile�di

quanto�sia�stato�nel�secolo

scorso�il�muro�di�Berlino.

Spesso�i�soci�del�mio�club�o�i

miei�allievi�mi�vengono�a

chiedere�quale�tipo�di

racchetta�o�quale�modello�di

corde�potrebbe�aiutarli�a

migliorare�il�loro�tennis�e�mi

viene�da�sorridere�vedendoli

giocare�e�perdere

un’incredibile�quantità�di

punti�con�colpi�che�si

infrangono�nella�rete�come

le�onde�sulla�barriera

corallina.

La�rete�è�quindi�il�primo

nemico�da�sconfiggere�per

entrare�nel�mondo�del�tennis

dalla�porta�principale.

Sembra�una�cosa�ovvia�e

scontata,�ma�nella�mia

esperienza�di�maestro�ho

spesso�constatato�che�non�lo

è�affatto,�anzi�…

Eppure�per�sconfiggerla�eper�farla�scomparire�dagli

incubi�mentali�che�ciattanagliano�ogni�volta�checolpiamo�la�palla�bastapensare�non�in�linea�retta,ma�curvilinea�come�fa�unarciere�prima�di�scoccare�la

sua�freccia�sul�bersaglio.�Ai�miei�allievi�ricordo�sempreche�i�colpi�di�un�buon

giocatore�passanomediamente�circa�1�metrosopra�il�net�e�se�ci�mettiamo

lateralmente�ad�osservarli,�leloro�traiettorie�sonocurvilinee�come�le�forme

generose�di�una�bella�donna.

Per�ottenere�tutto�ciò

dovete�sempre�ricordarvi�di

usare,�per�colpire�la�palla,

una�ampia�base�di�appoggio,

di�abbassare�il�baricentro�e

di�far�scendere�al�termine

della�preparazione�la�testa

della�racchetta�sotto�il�punto

di�impatto,�per�portarla�poi

verso�di�esso�con�una�decisa

e�veloce�azione�in�avanti

alto,�senza�preoccuparvi

all’inizio�di�fare�errori�di

lunghezza�o�di�larghezza�che

si�ridurranno�con�il�tempo,

perché�in�questo�modo

imparerete�non�solo�a

superare�la�rete�e�a�dare

facilmente�profondità�ai

vostri�colpi,�ma�anche�ad

imprimere�naturalmente�alla

palla�le�rotazioni�in�avanti

che�sono�alla�base�del�gioco

moderno.

Gli�americani�che�sono�un

popolo�molto�pratico,�dicono

infatti�che�il�tennis�è�un

gioco�di�sollevamento�:

”tennis�is�a�lifting�game”.

�E�tu�che�sei�arrivato�vivo�a

leggere�fin�qui�senza�averancora�maturato�l’idea�didarti�al�curling,�sei�sicuro�chei�tuoi�inconsapevoli�incubinotturni�non�siano�ancorainfestati�dalla�presenza�del

buttafuori�nano�….?�

Spero�per�te�di�no,�altrimenti

corri�subito�sul�campo�ad

allenarti�…,�questa�volta,

però,�per�bene�!

Page 73: Tennis World Italia n. 32

IlButtafuori

Nano

byAndreaGuarracino

Nel�Paese�dei�contrari�c’erauna�sola�discoteca.�A�protezione�del�suoingresso,�tutte�le�sere�vilavorava�un�buttafuori�nano.

Era�così�basso�da�far

sembrare�il�politico�Brunetta

un�pivot�NBA�e�così�grasso

da�far�credere�che�Giuliano

Ferrara�sia�affetto�da�una

grave�forma�di�anoressia.

Eppure,�malgrado�la�sua

altezza�ridicola�e�la�sua

mobilità�inesistente

terrorizzava�tutti�gli

avventori�del�locale�che�si

guardavano�bene�dall’entrare

nella�discoteca�senza�il�suo

benestare,�atterriti�dal�suo

sguardo�torvo�e�dai�suoi

denti�così�aguzzi�da�far

sembrare�quelli�dello�squalo

bianco�una�limetta�per

unghie�per�signora.

Non�ci�crederete�ma�il�sonno

della�maggior�parte�dei

tennisti�dilettanti�che�ho

conosciuto�nella�mia�vita�è

infestato�da�questo�incubo,�il

cui�ricordo�svanisce�col

risveglio�al�mattino,

lasciando�però�loro�in�dono

una�profonda�sensazione�di

insicurezza�che�li�attanaglia

inconsapevolmente�ogni

volta�che�mettono�piede�suun�campo�da�tennis�per�un

incontro.�

Allora…�avete�capito�qual�è�il

loro�buttafuori�nano!?

Ma�come�no!

Lo�avete�di�fronte�tutte�levolte�che�provate�a�vincereuna�partita�e�si�frapponeinesorabilmente�fra�voi�e�ilvostro�avversario�come�lastriscia�di�Gaza�divide�gli

israeliani�dai�palestinesi.�

Vi�do�qualche�ulteriore

indizio,�alto�meno�di�un

metro�e�poco�più�di�esso�in

punta�di�piedi,�largo�più�di

10�metri�…�a�meno�male…

ora�ci�siete�arrivati…�sto

ovviamente�parlando�della

rete�da�tennis.

Alta�91.4�centimetri�al�centro

e�107�ai�lati,�larga�poco�più�11

metri,�ai�tennisti�amatoriali

sembra�più�invalicabile�di

quanto�sia�stato�nel�secolo

scorso�il�muro�di�Berlino.

Spesso�i�soci�del�mio�club�o�i

miei�allievi�mi�vengono�a

chiedere�quale�tipo�di

racchetta�o�quale�modello�di

corde�potrebbe�aiutarli�a

migliorare�il�loro�tennis�e�mi

viene�da�sorridere�vedendoli

giocare�e�perdere

un’incredibile�quantità�di

punti�con�colpi�che�si

infrangono�nella�rete�come

le�onde�sulla�barriera

corallina.

La�rete�è�quindi�il�primo

nemico�da�sconfiggere�per

entrare�nel�mondo�del�tennis

dalla�porta�principale.

Sembra�una�cosa�ovvia�e

scontata,�ma�nella�mia

esperienza�di�maestro�ho

spesso�constatato�che�non�lo

è�affatto,�anzi�…

Eppure�per�sconfiggerla�eper�farla�scomparire�dagli

incubi�mentali�che�ciattanagliano�ogni�volta�checolpiamo�la�palla�bastapensare�non�in�linea�retta,ma�curvilinea�come�fa�unarciere�prima�di�scoccare�la

sua�freccia�sul�bersaglio.�Ai�miei�allievi�ricordo�sempre

che�i�colpi�di�un�buon

giocatore�passanomediamente�circa�1�metrosopra�il�net�e�se�ci�mettiamo

lateralmente�ad�osservarli,�leloro�traiettorie�sonocurvilinee�come�le�forme

generose�di�una�bella�donna.

Per�ottenere�tutto�ciò

dovete�sempre�ricordarvi�di

usare,�per�colpire�la�palla,

una�ampia�base�di�appoggio,

di�abbassare�il�baricentro�e

di�far�scendere�al�termine

della�preparazione�la�testa

della�racchetta�sotto�il�punto

di�impatto,�per�portarla�poi

verso�di�esso�con�una�decisa

e�veloce�azione�in�avanti

alto,�senza�preoccuparvi

all’inizio�di�fare�errori�di

lunghezza�o�di�larghezza�che

si�ridurranno�con�il�tempo,

perché�in�questo�modo

imparerete�non�solo�a

superare�la�rete�e�a�dare

facilmente�profondità�ai

vostri�colpi,�ma�anche�ad

imprimere�naturalmente�alla

palla�le�rotazioni�in�avanti

che�sono�alla�base�del�gioco

moderno.

Gli�americani�che�sono�un

popolo�molto�pratico,�dicono

infatti�che�il�tennis�è�un

gioco�di�sollevamento�:

”tennis�is�a�lifting�game”.

E�tu�che�sei�arrivato�vivo�a

leggere�fin�qui�senza�averancora�maturato�l’idea�didarti�al�curling,�sei�sicuro�chei�tuoi�inconsapevoli�incubinotturni�non�siano�ancorainfestati�dalla�presenza�del

buttafuori�nano�….?�

Spero�per�te�di�no,�altrimenti

corri�subito�sul�campo�ad

allenarti�…,�questa�volta,

però,�per�bene�!

Page 74: Tennis World Italia n. 32

TENNISESALUTE:Analisi

degliinfortuninelmondo

deiprofessionisti

byAdrianoS.

Analizzando�i�dati�provenienti�da�studiclinici,�ITF,�STMS�e...dai�nostri�taccuini,abbiamo�realizzato�una�panoramica'infortunistica'�nel�mondo�del�tennis.

Il�tennis�continua�ad�essere�un�cosiddetto�'low-

injured�sport',�interessando�prevalentemente�la

parte�inferiore�del�corpo.�Ciò�vale�per�lo�più

negli�infortuni�traumatici,�quindi�in�acuto,�dove

l'infortunio�più�frequente�e�che�più�facilmente

porta�al�ritiro�è�la�distorsione�della�caviglia.

Risultati�confermati�da�un�recente�studio

statunitense�che�include�dati�di�atleti�della

National�Collegiate�Athletic�Association�dal

2009�al�2015,�e�da�cui�si�evince�che�la

maggiorparte�degli�infortuni�legati�al�tennis

colpisce�le�estremità�inferiori�(47%�nei�maschi,

52%�nelle�femmine),�in�percentuale�ben

maggiore�rispetto�alle�estremità�superiori

(24%)�e�al�tronco�(17%).

Nelle�donne�gli�infortuni�muscolari�alle�cosce

sono�tuttavia�in�deciso�aumento,�mentre�nei

giovanissimi�(under�15)�è�la�lombalgia�il

problema�più�importante.

Le�patologie�croniche�interessano�invecemaggiormente�la�parte�superiore�del�corpo�dei

tennisti:�la�spalla�rappresenta�il�distrettocorporeo�maggiormente�interessato.�Il�polsocontinua�ad�avere�alte�percentuali,�con�Monacoultimo�nome�altisonante�a�far�da�compagnia�ailungodegenti�Robson�e�Del�Potro.�Menofrequenti�gli�infortuni�ai�gomiti�e�alla�colonna.

Solo�nel�2015�abbiamo�registrato�più�di�250

ritiri,�la�maggiorparte�a�novembre,�per�lo�più

nei�circuiti�minori�maschili.�I�forfait�in�Wta

superano�invece�generalmente�quelli�in�Atp.Inutile�ripetere�come�i�campi�in�cementofacilitino�il�verificarsi�degli�infortuni�di�natura

muscolotendinea.

Cresce�il�numero�di�forfait�dovuto�adinfezioni�di�vario�genere

Influenza�e�gastroenteriti�sono�frequenti�e

spesso�causa�di�forfait�nei�circuiti

professionistici,�ma�crescono�anche�i�casi�di

mononucleosi:�l'ultimo�anno�vittime�eccellenti

in�Repubblica�Ceca,�con�Kvitova�e�Safarova

debilitate�dal�virus�che�costò�in�passato�il�ritiro

a�top�ten�del�calibro�di�Ancic�e�Soderling,�e�che

colpì�persino�Federer�poco�meno�di�10�anni�fa.

Crescono�anche�i�ritiri�dovuti�a�malessere�in

campo,�spesso�da�colpo�di�calore,�in�un�mondo

ormai�vittima�del�surriscaldamento�globale.

Spunta�fuori�anche�un'infortunio�poco

pronosticabile�in�uno�sport�privo�di�contatto

fisico�come�il�tennis,�ossia�il�trauma�cranico,�che

è�costato�una�fetta�di�stagione�ad�Eugenie

Bouchard�e�Casey�Dellacqua.�Cosa�fare�dopo�un�infortunio?�

Le�possibilità�terapeutiche�sono�tante�e

andrebbero�discusse�caso�per�caso.�Ma�dal

mondo�medico�riguardante�i�circuiti

professionistici�emerge�questo:�difficile�fare

miracoli,�difficile�fare�riposare�animali�da

competizione,�spesso�è�più�facile�pensare�a

piani�di�recupero�a�lungo�termine.

Come�prevenirli?�

Stretching,�allenamenti�mirati,�stimolazione

della�propriocezione�e�studio�delle�catene

cinetiche,�alimentazione�e�stile�di�vita...più�una

bella�fetta�di�fortuna.

Page 75: Tennis World Italia n. 32

TENNISESALUTE:Analisi

degliinfortuninelmondo

deiprofessionisti

byAdrianoS.

Analizzando�i�dati�provenienti�da�studiclinici,�ITF,�STMS�e...dai�nostri�taccuini,abbiamo�realizzato�una�panoramica'infortunistica'�nel�mondo�del�tennis.

Il�tennis�continua�ad�essere�un�cosiddetto�'low-

injured�sport',�interessando�prevalentemente�la

parte�inferiore�del�corpo.�Ciò�vale�per�lo�più

negli�infortuni�traumatici,�quindi�in�acuto,�dove

l'infortunio�più�frequente�e�che�più�facilmente

porta�al�ritiro�è�la�distorsione�della�caviglia.

Risultati�confermati�da�un�recente�studio

statunitense�che�include�dati�di�atleti�della

National�Collegiate�Athletic�Association�dal

2009�al�2015,�e�da�cui�si�evince�che�la

maggiorparte�degli�infortuni�legati�al�tennis

colpisce�le�estremità�inferiori�(47%�nei�maschi,

52%�nelle�femmine),�in�percentuale�ben

maggiore�rispetto�alle�estremità�superiori

(24%)�e�al�tronco�(17%).

Nelle�donne�gli�infortuni�muscolari�alle�cosce

sono�tuttavia�in�deciso�aumento,�mentre�nei

giovanissimi�(under�15)�è�la�lombalgia�il

problema�più�importante.

Le�patologie�croniche�interessano�invecemaggiormente�la�parte�superiore�del�corpo�dei

tennisti:�la�spalla�rappresenta�il�distrettocorporeo�maggiormente�interessato.�Il�polsocontinua�ad�avere�alte�percentuali,�con�Monacoultimo�nome�altisonante�a�far�da�compagnia�ailungodegenti�Robson�e�Del�Potro.�Menofrequenti�gli�infortuni�ai�gomiti�e�alla�colonna.

Solo�nel�2015�abbiamo�registrato�più�di�250

ritiri,�la�maggiorparte�a�novembre,�per�lo�più

nei�circuiti�minori�maschili.�I�forfait�in�Wta

superano�invece�generalmente�quelli�in�Atp.Inutile�ripetere�come�i�campi�in�cementofacilitino�il�verificarsi�degli�infortuni�di�natura

muscolotendinea.

Cresce�il�numero�di�forfait�dovuto�adinfezioni�di�vario�genere

Influenza�e�gastroenteriti�sono�frequenti�e

spesso�causa�di�forfait�nei�circuiti

professionistici,�ma�crescono�anche�i�casi�di

mononucleosi:�l'ultimo�anno�vittime�eccellenti

in�Repubblica�Ceca,�con�Kvitova�e�Safarova

debilitate�dal�virus�che�costò�in�passato�il�ritiro

a�top�ten�del�calibro�di�Ancic�e�Soderling,�e�che

colpì�persino�Federer�poco�meno�di�10�anni�fa.

Crescono�anche�i�ritiri�dovuti�a�malessere�in

campo,�spesso�da�colpo�di�calore,�in�un�mondo

ormai�vittima�del�surriscaldamento�globale.

Spunta�fuori�anche�un'infortunio�poco

pronosticabile�in�uno�sport�privo�di�contatto

fisico�come�il�tennis,�ossia�il�trauma�cranico,�che

è�costato�una�fetta�di�stagione�ad�Eugenie

Bouchard�e�Casey�Dellacqua.�Cosa�fare�dopo�un�infortunio?�

Le�possibilità�terapeutiche�sono�tante�e

andrebbero�discusse�caso�per�caso.�Ma�dal

mondo�medico�riguardante�i�circuiti

professionistici�emerge�questo:�difficile�fare

miracoli,�difficile�fare�riposare�animali�da

competizione,�spesso�è�più�facile�pensare�a

piani�di�recupero�a�lungo�termine.

Come�prevenirli?�

Stretching,�allenamenti�mirati,�stimolazione

della�propriocezione�e�studio�delle�catene

cinetiche,�alimentazione�e�stile�di�vita...più�una

bella�fetta�di�fortuna.

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