sussidio (fascicolo iii)
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Itinerario biblico-catechetico dell'arcidiocesi di Pescara-Penne per l'anno della fede (III Fascicolo)TRANSCRIPT
Anno della Fede 2012‐2013
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Presentazione introduttiva dell’itinerario diocesano
Con il Motu proprio “Porta Fidei” dell’11 ottobre 2011, papa Benedetto
XVI ha indetto l’Anno della Fede per il nuovo anno pastorale 2012‐2013. La nostra Arcidiocesi di Pescara‐Penne intende proporre a tutte le parrocchie e le realtà ecclesiali un cammino comune per approfondire il dono della fede. L’intenzione è di attingere ai due pilastri della nostra fede: la Sacra Scrittura e la Tradizione. Riguardo alla tradizione, non dimentichiamo il contributo del Concilio Vaticano II, ricorrendo il 50° dalla sua apertura.
Il cammino annuale è un cammino comune e al tempo stesso elastico,
adattabile alle specifiche realtà ecclesiali, affinché venga rispettato il carisma di ciascuno. L’intero anno è stato diviso in 6 tappe, che ricalcano i momenti specifici dell’anno liturgico (ottobre‐novembre; tempo di Avvento e Natale; gennaio‐febbraio; tempo di Quaresima; tempo di Pasqua; estate).
Ogni tappa dell’anno ha anche uno o più momenti celebrativi: occasioni
di incontro e comunione per tutta la diocesi. In questo modo abbiamo cercato di ordinare e razionalizzare molti degli impegni diocesani dell’anno.
Il quadro d’insieme di tutto l’anno è affidato all’Icona Biblica della
moltiplicazione dei pani di Lc 9,10‐17. 10aAl loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che
avevano fatto. 10bAllora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. 11aMa le folle vennero a saperlo e lo seguirono. 11bEgli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi
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di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Questo brano è stato diviso anch’esso in 6 parti, ciascuna di esse
corrisponde ad una tappa del cammino annuale, come indicato nello schema che segue:
1. prima tappa: ottobre‐novembre (Lc 9,10a.11a) 2. seconda tappa: tempo di Avvento e Natale (Lc 9,10b) 3. terza tappa: gennaio‐febbraio (Lc 9,11b) 4. quarta tappa: tempo di Quaresima (Lc 9,12‐13) 5. quinta tappa: tempo di Pasqua (Lc 9,14‐16) 6. sesta tappa: estate (Lc 9,17) Il cammino diocesano sulla fede e questo sussidio sono il frutto del
lavoro di tutti gli uffici della nostra diocesi. È possibile, per qualsiasi necessità, contattare alcuni dei sacerdoti responsabili del progetto ai seguenti numeri:
‐ don Andrea (Pastorale Vocazionale) 329.68.14.898 ‐ don Domenico (Pastorale Giovanile) 340.67.06.645 ‐ don Maurizio (Pastorale Universitaria) 380.36.18.590 ‐ don Nando (Pastorale Biblica) 327.88.56.338
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Il sussidio Anche per questo terzo volumetto del nostro sussidio diocesano vi
proponiamo una breve presentazione dei suoi contenuti. In esso vi sono: 1. tre moduli biblico‐catechetici che tratteggiano un possibile itinerario
per questa terza tappa del cammino annuale; 2. un approfondimento dal titolo “Sulla soglia del credere” che pone la
questione della fede dal punto di vista di chi ne è alla ricerca, affrontando non poche difficoltà legittime;
3. un contributo per l’animazione liturgica domenicale per aiutarci a celebrare le nostre messe domenicali avendo sempre uno sguardo rivolto verso la questione della fede.
I tre testi biblici che caratterizzano ogni tappa sono da intendersi come
dei “moduli”. Nel senso che ogni gruppo di parrocchia, movimento o associazione potrà scegliere se e come utilizzarli: possono essere utilizzati tutti consecutivamente (visto che hanno una loro continuità) o possono anche essere presi singolarmente o parzialmente (avendo comunque ciascun modulo un senso compiuto per se stesso). In questo modo, ognuno potrà costruirsi un itinerario ad hoc in base alle necessità della realtà nella quale opera, rispettando le proprie specificità e contemporaneamente non perdendo il dono della comunione con il resto della diocesi.
Il percorso viene presentato tappa per tappa e anche questa volta, ogni modulo è corredato di alcune piste di approfondimento e attualizzazione:
a. la spiegazione esegetica guida ad una maggior comprensione del testo biblico;
b. il filo rosso, che offrendo elementi di crescita umana e spirituale presenta la specificità di ciascun modulo in continuità con gli altri;
c. riflessione diretta ai giovani; d. spunti per la vita di coppia; e. indicazioni nella dimensione della carità e testimonianza ai poveri e
ai malati, alla realtà sociale e al mondo del lavoro; f. spunti per attività di catechesi sul tema; g. proposte celebrative a sfondo vocazionale.
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LA TERZA TAPPA
La fede sperimentata Moduli biblico‐catechetici di approfondimento
della Terza Tappa (gennaio‐febbraio)
Introduzione
11bEgli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire
quanti avevano bisogno di cure.
Nella nostra icona biblica annuale di riferimento, al versetto 11b viene
presentata la cura che Gesù ha delle folle che tanto lo avevano cercato. Esse hanno un tale bisogno di Gesù da non lasciarlo stare in disparte con i suoi discepoli, come aveva scelto inizialmente di fare.
L’agire di Gesù nei loro confronti è un agire salvifico. È una anticipazione dell’instaurazione del Regno di Dio. Gesù parla a loro del Regno e lo realizza concretamente nei loro cuori, nei loro corpi, nelle loro vite. L’incontro con
Gesù, in effetti, è esso stesso l’instaurazione del Regno dei Cieli! L’azione salvifica che Dio opera in noi passa attraverso una relazione assolutamente intima e oggettiva, personale e comunitaria al tempo stesso.
In questa terza tappa che stiamo per cominciare, vogliamo anche noi come le folle di quel tempo metterci in gioco pienamente, per vivere la
fede come relazione salvifica con la persona di Gesù nel nostro
quotidiano. Quella fede che abbiamo cercato nella prima tappa e che abbiamo
ricevuto in dono nella seconda, ora ci si propone come una possibilità di salvezza da cogliere nella nostra vita ordinaria. Nel Natale la fede ci è stata presentata come la possibilità di una rapporto, una relazione interpersonale con Dio. Egli si rende presente nella nostra storia e nella nostra esistenza e noi abbiamo la possibilità di entrare in questa relazione. Cosa significa entrare in relazione con Lui? Quali caratteristiche ha questa “relazione” che Lui mi propone? Come tendo a vivermela e a starci? Queste sono le domande che resteranno nello sfondo di questa terza tappa.
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1. Primo modulo. La tristezza per la relazione rifiutata
Lc 18, 18‐30
18E un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che cosa devo fare per
avere in eredità la vita eterna?». 19Gesù gli rispose: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 20Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». 21Costui disse: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla giovinezza». 22Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!». 23Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco.
24Quando Gesù lo vide così triste, disse «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. 25È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!». 26Quelli che l’ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?». 27Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». 28Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». 29Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, 30che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».
a. Approfondimento esegetico
Siamo quasi alla fine della sezione del viaggio (Lc 9,51‐19,27). In essa Gesù è presentato come il maestro che insegna con parole e opere la via della vita. Negli Atti degli Apostoli, anch’essi opera di Luca, il Cristianesimo viene detto “la Via” (At 9,2; 18,26; 24,22) e i Cristiani sono quelli che seguono la via di Dio, la via della salvezza insegnata da Cristo.
Possiamo dividere il nostro brano in due parti: il dialogo tra Gesù e il notabile (vv. 18‐23) e l’insegnamento sulla ricchezza (vv. 24‐30). Il testo dice che un notabile, letteralmente “un capo”, interroga Gesù: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna». Il termine greco tradotto con “notabile” può indicare un capo religioso. La domanda è uguale (in greco le parole sono identiche) a quella che nel capitolo 10 gli aveva rivolto uno scriba. E anche la prima parte della risposta di Gesù
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coincide: se vuoi la vita eterna, osserva la legge. D’altra parte lo scopo della Legge è proprio la vita (si può vedere, ad esempio, Dt 5,32‐33).
Vediamo nel dettaglio la risposta di Gesù. Innanzitutto egli ricorda al notabile che se lo ha chiamato “buono” significa che riconosce che Dio è all’origine del suo ministero. Se nel capitolo 10 la Legge viene riassunta nei due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo, nel nostro brano la risposta di Gesù menziona alcuni precetti che riguardano l’amore del prossimo: «Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». Il notabile tutte queste cose le ha osservate fin dalla sua giovinezza. Luca non dice che era un giovane, a differenza di Matteo (Marco parla genericamente di “un tale”; Mt 19, 16‐30; Mc 10,17‐31), ma che era un capo religioso, un autorità in materia religiosa. Egli ha sempre osservato la Legge.
A questo punto abbiamo la svolta. Gesù non gli dice: «quello che fai è sufficiente, continua così» ma «una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!». L’invito a dare i propri beni in elemosina non è nuovo nel Vangelo di Luca: Gesù l’aveva già detto, anche se di sfuggita, ai farisei (11,41); con molta più insistenza l’aveva ripetuto ai discepoli (12,33; 14,23‐25). Il capitolo 14 è significativo perché lì Gesù pone come condizione ineludibile per chi voglia essere suo discepolo il distacco dalle cose e dagli
affetti. Gesù, quindi, chiama il notabile a essere suo discepolo. Il messaggio del
brano evangelico a questo punto è chiaro. Per avere in eredità la vita eterna
bisogna seguire Gesù, anteporre lui a tutto (come direbbe San Benedetto1)
e farne il centro della propria esistenza. Seguire Gesù significa anche adottare uno stile di vita fatto di sollecitudine per coloro che sono nel bisogno (la prima cosa che Gesù chiede al notabile è vendere i suoi beni per distribuirli ai poveri). Risulta altresì chiaro che osserva pienamente i comandamenti chi prende sul serio la parola di Gesù «Fidati di me. Metti la tua vita nelle mie mani» (è questo il senso dell’appello di Gesù «Seguimi!»).
1 San Benedetto ha espresso questo concetto in termini negativi, con un’affermazione
perentoria: «Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà alla vita eterna» (RB 72,2). Si noti il binomio primato di Cristo/vita eterna.
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Qual è la reazione del notabile? L’evangelista Luca sottolinea la tristezza dell’uomo ricco: «Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco». A differenza di Matteo e di Marco non aggiunge che se ne andò; è il volto triste del notabile che fa dire a Gesù: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio». Segue a questo punto un’iperbole (è più facile… regno di Dio, v. 25) che ha lo scopo di rafforzare quanto detto nel versetto precedente: è molto difficile per un ricco entrare nel regno di Dio. Gesù nel brano precedente (vv. 15‐17) aveva affermato che solo chi accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino può entrare in esso. La vita del bambino dipende da un altro ed egli si fida dell’adulto che si prende cura di lui. Chi dispone di ricchezze, al contrario, non si sente bisognoso. Le sue ricchezze provvedono a lui, egli non si fida se non delle sue ricchezze. È molto difficile che il ricco diventi bambino. Questo vuole dire Gesù.
La domanda di Pietro (v. 26), il portavoce degli apostoli, scaturisce dalle aspettative sociali e religiose, che vedevano nei beni terreni, un segno sicuro della benedizione di Dio sia in questo mondo che nell’altro. La risposta di Gesù ci riporta al capitolo 1, al brano dell’Annunciazione, quando l’angelo aveva detto a Maria: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Uno studioso americano commenta: «Anche i ricchi possono essere salvati da Dio; Dio può spezzare il fascino che la ricchezza esercita su di essi». D’altra parte il Vangelo di Luca fin dall’inizio afferma che la salvezza del povero come quella del ricco è opera della grazia.
La constatazione di Pietro, «noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito», offre a Gesù la possibilità di annunciare la ricompensa: non è solo un lasciare ora per sperare qualcosa nella vita eterna; è già un arricchimento. È uno dei tanti paradossi evangelici: perdere per avere di più. E nel tempo che verrà la vita eterna. Il brano si era aperto con la domanda del notabile sulla vita eterna. Si chiude con la promessa di essa a coloro che fanno di Gesù la gioia del loro cuore e la pienezza delle loro
aspirazioni2, come direbbe il Concilio. Il notabile non l’ha accolta ed è
2 Uno dei testi più famosi del Concilio Vaticano II è il numero 45 della Gaudium et Spes:
«Il Signore è il fine della storia, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni».
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scomparso nell’anonimato (in nessun Vangelo compare il suo nome), gli apostoli invece si sono fidati e su di essi Gesù ha costruito la Chiesa.
b. Il filo rosso
Ripercorrendo l’incontro del notabile con Gesù, cerchiamo di cogliere le dinamiche sottese al loro dialogo. L’intento è di individuare alcuni tra bisogni, atteggiamenti e valori in gioco, per confrontarli con il nostro modo di vivere il nostro rapporto con Dio.
Seguiamo allora quest’uomo che si avvicina a Gesù. L’assenza del suo nome è un presagio nefasto della sua incapacità ad entrare in relazione uscendo dall’anonimato. Sappiamo di lui che è abituato al comando (un capo) e che riconosce in Gesù non più di un maestro. È molto lusinghiero nei suoi confronti, infatti lo chiama buono. Inoltre le sue parole tradiscono la sua idea di una vita eterna3 della quale avere il possesso, come se si trattasse di un bene di proprietà. E quando con prontezza sottolinea che tutte queste cose le ha osservate fin dalla giovinezza sembra dare l’impressione del primo della classe, molto attento alla sua performance, ai suoi risultati e alla sua bravura.
Ci sembra di ritrovare in lui alcuni nostri pensieri. Almeno una volta ci sarà capitato di cedere all’idea che, nella vita, ogni cosa ha un prezzo e che tutto si compra. Magari anche che è meglio contare su se stessi, per non essere delusi o traditi dagli altri. O ancora, che per essere riconosciuti e stimati dobbiamo mostrare le nostre capacità.
Gesù, dal canto suo, da bravo pedagogo qual è, per prima cosa lo stuzzica dicendo che solo Dio è buono …Che ironia bonaria nelle parole di Gesù! Lui che è vero Dio, è l’unico davvero buono! Ma il punto è che il notabile questo non lo sa! Gesù gli risponde quasi stizzito (perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo), infatti il notabile lo ha chiamato così per carpire la sua benevolenza e non certo perché ne ha riconosciuto quell’autentica bontà che è prerogativa divina! Ma quando Gesù cerca di mettergli la pulce all’orecchio, egli è troppo centrato su di sé da non riuscire ad ascoltare davvero il suo interlocutore, neanche se questi è il Figlio di Dio in persona.
3 Al contrario la vita eterna è relazione con la persona di Cristo. «Vivere in cielo è essere
con Cristo»: Catechismo della Chiesa Cattolica, 1025.
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La seconda provocazione pedagogica Gesù la lancia quando gli elenca tutti i comandamenti che il tale ha sicuramente saputo rispettare. Nella lista elencata da Gesù, il nono e il decimo comandamento possono essere riassunti nel non commettere adulterio e nel non rubare, mentre restano mancanti proprio i tre comandamenti che riguardano il rapporto con Dio. Si solleva spontaneamente nell’ascoltatore la domanda su dove siano andati a finire i comandamenti mancanti. Gesù così vuole creare lo spazio per un ripensamento da parte del notabile: i comandamenti mancanti sono quelli che lui trascura evitando la relazione. Eppure il tale sembra così centrato sulla sua performance da non cogliere il “tra le righe”. Peccato! Perché quel “non detto” di Gesù sarebbe lo spazio per la sua crescita, per il suo auto‐superamento, in definitiva per la sua salvezza.
Alla fine Gesù svela la questione centrale: gli mostra il suo punto debole (ti manca ancora una cosa) forse sperando che sia proprio la sua attenzione alla performance a portarlo dentro la relazione personale con Gesù (vieni e seguimi). Ma proprio a questo punto si concretizza quel presagio nefasto accennato all’inizio, quest’uomo se ne va solo e …triste. Il problema è che per quanto triste, egli non riesce a concepirsi senza i suoi beni, come fossero una sorta di prolungamento di sé, una schiavitù dalla quale non c’è possibilità di riscatto.
Se in quest’uomo abbiamo riconosciuto alcuni tratti del nostro modo di pensare e di comportarci, forse ascoltandoci dentro, potremo sentire risuonare la sua stessa tristezza. Ci ritroviamo tristi anche noi, se per la paura di non essere amati, ci concentriamo tanto sul fare bene le cose, da trascurare la persona che abbiamo davanti e che – non ce ne accorgiamo – ci ama già; oppure se per mancanza di fiducia in Dio, ci convinciamo che bastiamo a noi stessi e non ci affidiamo a Lui; o ancora, quando per evitare il rischio di un fallimento, non proviamo a coinvolgerci in un progetto di vita e di amore. In tal modo la nostra vita si appiattisce e noi perdiamo le nostre motivazioni e ci spegniamo pian piano.
In conclusione, in questa terza tappa vogliamo sottolineare che il Regno di Dio si realizza nell’incontro con la persona stessa di Gesù4. Incontro che ci mette in gioco in modo intimo e profondo. In questo primo modulo
4 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2053: «La legge non è abolita, ma l’uomo è
invitato a ritrovarla nella Persona del suo Maestro, che ne è il compimento perfetto».
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abbiamo voluto presentare un’esperienza di incontro fallito tristemente. Ciò nella speranza di riconoscere anche in noi quello che potrebbe andare a sabotare il nostro rapporto con Gesù, così da impedirci di spogliarci di noi stessi e consegnarci a Lui con fiducia.
Alcune domande per la riflessione personale.
• Ho mai pensato che potrei – magari inconsapevolmente – essere centrato molto su di me e poco sugli altri? So mettermi in ascolto attento dell’altro? Quanto sono disposto a essere meno efficiente nelle mie cose, per essere più efficace nell’accogliere gli altri?
• Ci sono delle cose delle quali non sono capace di fare a meno? Quali mie sicurezze personali ripongo in esse? Sarei disposto a metterle in gioco per vivere la mia amicizia con una persona importante della mia vita, o magari con Gesù stesso?
c. Giovani
La vicenda di questo notabile si ricollega all’inizio del nostro percorso, le tentazioni di Gesù. Questa persona pone la sua sicurezza nei beni, usa i beni esclusivamente per sé ed è soddisfatto del suo fare religioso che lo fa autoreferenziale; non è in Dio e nella ricchezza del cuore il senso della sua vita, la sua relazione con gli altri non è nella solidarietà ma nella difesa dei propri beni. In realtà non ha arricchito il suo essere che lo rende capace di aprirsi a relazioni vere con se stesso, con Dio e con i fratelli. E la tristezza è il risultato di una vita sbagliata, incapace di scelte vere e coraggiose e quanto spesso queste è il nostro stato d’animo di giovani o annoiati, o frustrati, o che si lanciano in avventure alienanti pensando di soddisfare i loro bisogni.
In questa situazione il notabile (e con lui noi) ha bisogno di un profondo cambiamento, di una profonda liberazione, di una conversione che può essere solo opera di Dio.
A Natale abbiamo celebrato il Mistero di Dio che in Gesù Cristo si è spogliato del suo potere, si è fatto bambino, povero, ultimo, ci ha indicato la via della nuova umanità. Se lo abbiamo incontrato e accolto, allora egli può operare in noi questa liberazione dalle nostre schiavitù e renderci capaci di scoprire la nostra vera dignità, di instaurare relazioni autentiche e di impostare la nostra vita su un cammino di liberazione e di solidarietà.
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La domanda degli apostoli ci dice che Gesù, quando li ha chiamati, non ha chiesto loro la maturità di fede o di conoscenza di lui, qualità particolari o esperienze particolari, ma solo un gesto di coraggio che diventa così la premessa per lasciare tutto e seguire lui, e diventare veri discepoli e testimoni del Cristo.
A questo punto del nostro percorso, trovandoci di fronte a questa persona che ha potere e ricchezze, e noi giovani magari il potere e le ricchezze le sogniamo, le abbiamo come progetto di vita, e il momento di domandarci che capacità abbiamo di fare scelte, atti di fiducia nel Signore, buttarci su percorsi che ci disarmano, che ci creano critiche nell’ambiente. Abbiamo bisogno di sperimentare nel Signore la libertà dai condizionamenti, sia quelli interiori, sia quelli ambientali.
Interroghiamoci se questo Natale ci ha aiutato a trovare in noi questo coraggio e la volontà di seguire Gesù.
Il Signore ci dice che questa via di libertà è il presupposto per la felicità, per la vita eterna.
E perché non aiutarci a sperimentare la gioia proprio nella capacità di liberarci dalle cose quando diventano il senso della nostra vita?
d. Coppie
L’uomo che interroga Gesù non ha un nome, è anonimo, di lui si sa che osserva da sempre i comandamenti, è un capo, un religioso, un perfezionista, pieno di sé, pronto a manipolare l’altro perché funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi (maestro buono). Questo suo essere troppo pieno di sé e certo di fare ed essere nel giusto non gli permettono di entrare in relazione con Gesù. Non è disponibile all’ascolto, non si mette in gioco, non sceglie di attuare un cambiamento: svuotarsi di sè per accogliere l’altro, per andargli incontro, per fargli posto…..così l’incontro non si realizza, la relazione non avviene. Il sentimento che si palesa in lui alla fine, quando Gesù gli fa l’invito chiaro alla relazione “vieni e seguimi” è la
tristezza, perché lui era troppo ricco, troppo pieno di sé. Quanto è bello sapere invece che noi abbiamo un nome, chi ci ha amato
per primi, i nostri genitori ci hanno dato un nome e noi da bambini abbiamo iniziato a conoscerci e riconoscerci grazie a questo nome, abbiamo iniziato a formare la nostra identità. Anche nel giorno del matrimonio gli sposi si
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chiamano per nome, riconoscono l’identità, l’unicità dell’altro e l’accolgono. Inizia, da questo scegliersi, una relazione che strada facendo porterà alla conoscenza profonda e intima dell’altro, all’accoglienza incondizionata dell’altro così come egli è. Questo tipo di relazione implica un presupposto fondamentale, che l’uomo che ha interrogato Gesù non ha voluto mettere in pratica: morire a se stessi ogni giorno, imparare a fare spazio dentro di se, smussare gli angoli, per far entrare l’altro nella nostra vita, nel nostro cuore. Per fare questo è necessario fidarsi dell’altro e affidarsi, non a caso l’anello nuziale che gli sposi si scambiano è chiamato fede, vuole dire infatti io mi fido di te!!!!.
Quando nella coppia ognuno vive concentrato su di se, sulla soddisfazione dei propri bisogni, dei propri desideri, aspettative, nell’autocompiacimento: «…..però io pensavo fossi diverso!....non me l’aspettavo che saresti diventato così!....sognavo che sarebbe stato tutto bellissimo come il primo giorno!......io faccio, mi do da fare e tu pensi solo a te!.....» il sentimento dominante non è più l’amore, ma è la tristezza perché così si vive nella insoddisfazione, nella solitudine, nel vuoto. Si è ingabbiati, prigionieri di se stessi, non si vede l’altro che ci è di fronte, non lo si ascolta. Un ascolto vero, profondo, intimo è il segno che l’incontro con l’altro sta divenendo relazione autentica, dono reciproco, crescita, progressione personale, arricchimento.
Gesù vuole entrare in relazione con quell’uomo, lo invita a seguirlo, gli indica la strada per la felicità, Lui ha fiducia, ma l’altro non vuole la libertà, sceglie di rimanere legato alle sue “ricchezze”, la conseguenza è la tristezza.
Se abbiamo riconosciuto Gesù nel nostro coniuge proviamo a fidarci di lui e ad affidarci a lui, liberiamoci delle nostre certezze, del nostro grosso e ingombrante IO, e cominceremo sicuramente a scoprire quanto è bello accogliere, ascoltare, amare l’altro per quello che è. Scopriremo così che la tristezza svanisce e al suo posto iniziamo a sperimentare la gioia e la
speranza.
e. Carità e testimonianza
Molte volte anche noi ci poniamo nella posizione del notabile, ossia ci sentiamo giusti, perché “rispettiamo i comandamenti”, e rischiamo di cadere nell’inganno di volerci conquistare la vita eterna con le nostre forze,
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con il nostro servizio, con le nostre opere buone. Siamo incapaci di abbandonarci veramente nelle mani di Dio, affidandoci alla sua bontà di Padre, ogni volta che, pur mettendoci al servizio dell’altro, ce ne serviamo per soddisfare il nostro ego, per sentirci ricompensati da uno sguardo, da un sorriso o da un abbraccio. A volte il nostro servizio manca di incontrare veramente l’altro e di accoglierlo per quello che è, senza volerlo cambiare. Spesso, convinti di fare il bene, ci serviamo del bene, senza sperimentare davvero quella eredità di amore che il Signore ci ha consegnato e attraverso cui possiamo lasciare tutto e seguirlo. L’incontro con Cristo e il suo ascolto, ci manifesta anche noi stessi, chiamandoci ad accogliere le nostre debolezze e lasciarci pervadere dalla sua grazia, affinché siano trasformate per il servizio al prossimo.
Quando mi sento nei panni del notabile? Mi capita di sentirmi giusto, perché mi pongo al servizio di chi ha bisogno? Provo a ripensare quelle occasioni e a capire come fare diversamente.
Ho mai pensato che il servizio possa essere un’occasione di crescita per me e non solo per la persona/le persone cui mi rivolgo? Riesco ad incontrare il povero, lo straniero, il non credente, come compagno con cui condividere il cammino? Come potrei accostarmi al servizio in maniera diversa? Nel servizio mi offro totalmente, oppure ho paura di perdere qualcosa?
f. Spunti per attività
Attività n. 1. Un racconto…
Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. “Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile, ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?”.
“Prendimi la mano” rispose il bambino. (da: Bruno Ferrero, A volte basta un raggio di sole)
Attività n. 2. Pro e contro della ricchezza e della povertà
• Dividere i ragazzi in gruppetti (tre/quattro elementi per gruppo), consegnare un foglietto bianco in cima la quale c’è scritto “Ricco”
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oppure ”Povero”. In un tempo definito (5 minuti) ciascun gruppo deve pensare alle caratteristiche del ricco o povero. Raccogliere i fogli senza commentare né leggerli.
• Il catechista legge il brano evangelico del giovane ricco insistendo sul fatto che “…andò via triste”.
• Riprendere i foglietti e verificare se le idee emerse erano in linea con il brano evangelico.
Per riflettere
• Perché la ricchezza è pericolosa? Perché diventa un idolo, fa sentire più importanti e fa disprezzare gli altri, ma non rende felici come promette se non è condivisa (infatti il giovane se ne va via “triste”…)
• Perché la povertà può anche rendere felici? Perché lascia liberi dalla schiavitù delle cose. Facilita a capire l’importanza di aspetti della vita che danno più gioia, quali la stima e l’affetto delle persone che ci vogliono bene e che noi amiamo. …Tutte cose che non si possono comprare!
Attività n. 3. Mini cineforum
Film: “INTO THE WILD” ‐ Nelle terre selvagge USA 2007 Regia: Sean Penn Durata: h 2.28 [Tratto dal libro “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer]
Si possono vedere alcune sequenze selezionate del seguente film (la visione integrale risulta per i ragazzi troppo lunga).
La storia.
Nel film viene raccontata la storia vera di Christopher Mc Candless, giovane figlio di benestanti proveniente dal West Virginia che appena laureato, con un brillante futuro davanti, stanco della società in cui vive e pieno di domande esistenziali a cui non riesce a dare risposta, decide di lasciarsi tutto dietro e compiere un viaggio alla ricerca di risposte. Rinuncia alla sua vita privilegiata per partire all’avventura. Regala tutti i sui risparmi ad un ente, abbandona la famiglia ed intraprende un lungo viaggio di due anni in autostop attraverso gli Stati Uniti, fino a raggiungere le terre sconfinate dell’Alaska in cerca di un esistenza a contatto con la natura selvaggia. Lo attendono incontri, esperienze formative e un crudele destino.
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Riflessione sul film.
Il protagonista intraprende il suo viaggio per sfuggire ad una società consumistica e capitalista in cui non riesce più a vivere. La sua inquietudine lo porta a viaggiare e durante il viaggio farà incontri ed esperienze che lo porteranno a comprendere che la felicità è nella piena condivisione e nell’incontro incondizionato con l’altro. Impara anche ad avere un approccio più umile e riconciliato con il mondo e con la sua famiglia.
Attività n. 4. Ispirazioni dalla letteratura
Leggere e riflettere insieme ai ragazzi “La roba” di Giovanni Verga di cui viene riportata qui solo la parte finale:
«Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e
la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia, e borbottava: “Guardate chi ha i giorni lunghi! Costui che non ha niente!”. Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: “Roba mia, vientene con me!”».
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g. Momento celebrativo
ESAME DI COSCIENZA INDIVIDUALE Per questo primo modulo proponiamo un momento di preghiera molto
personale, individuale: l’esame di coscienza (= EC). Prima di addentrarci nella riflessione vogliamo spiegare cos’è. Non è un
elenco sterile delle azioni compiute durante la giornata, spesso la nostra vita segue degli schemi e si adagia nella routine, l’EC diventerebbe allora molto pesante e monotono. L’EC invece è un prendere “in mano” la propria coscienza, passare da una vita passiva, dove supinamente si “subiscono” i fatti, ad una vita scelta, consapevole e responsabile davanti al Signore e al prossimo. L’EC serve per scoprire ciò che è avvenuto dentro di noi, nel nostro intimo, durante la giornata, dove incontriamo, in modo diretto, e senza intermediari il Signore.
Come fare l’Esame di Coscienza? È bene fare l’EC di sera per riconsiderare tutta la giornata e scoprire
come si è “impressa” sul nostro animo. Il primo passo da compiere è quello di immedesimarsi nell’amore che
Dio ha per ciascuno. Dio mi guarda con amore, con attenzione, mi devo abituare a guardarmi
come Lui mi guarda perché io sono come Lui mi vede. Devo sostituire il mio giudizio e quello altrui con quello del Signore: il che è molto conveniente. Inoltre, nel ricordare ciò che si è vissuto, bisogna usare amore ed intelligenza per non cadere in una memoria distorta. Questa mi porterebbe a considerare i fatti passati in modo sbagliato, come gli ebrei che nella fame del deserto avevano già dimenticato come erano schiavi in Egitto e rimpiangevano il passato. (cfr Es 16,2 ss e 17,1ss)
Nel secondo momento chiedo la grazia di conoscere i miei peccati ed eliminarli.
Illuminati dall’amore di Dio i miei “occhi” interiori, come quelli di una sentinella, possono scrutare anche nel buio della vita senza orrore. La conoscenza dei peccati diventa il modo concreto per rendermi conto della grandezza dell’amore di Dio e della sua grazia. Scopro i peccati, dunque,
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non per condannarmi ma per magnificare la misericordia e l’amore di Dio. Elimino i peccati non grazie ai mie sforzi, inutili, ma per mezzo della sua grazia.
Passo poi ad esaminare i pensieri. Le azioni, come abbiamo detto, spesso sono le stesse. I sentimenti profondi che ci abitano, gioia, tristezza, ricordo o dimenticanza, gratitudine o orgoglio, delusione o entusiasmo in Dio sono invece sempre numerosissimi e mutevoli. Bisogna perciò concentrarsi non sul fare ma sul modo, sulla motivazione dell’agire. Passo poi all’esame delle parole e quindi delle relazioni che stabilisco proprio con le parole. Quanti peccati con le parole? (cfr. Gc 3,4) Infine le azioni: corrispondono alle mie intenzioni?
L’EC usa la parte negativa della mia vita per farmi incontrare il Signore della vita. In questo modo divento contemplativo nell’azione, sono sempre alla sua presenza perché Lui è nella mia vita.
A questo punto chiedo perdono al Signore e così lo “incontro” e propongo di migliorarmi e concludo con la preghiera del Padre Nostro.
Sulle orme del notabile ricco Adesso prendo in considerazione il testo di Luca 18,18‐23, l’incontro tra
Gesù ed un capo (Lc 18,18), leggendo e meditando l’esegesi e il “filo rosso” del primo modulo.
L’analisi del brano attraverso l’esegesi e il “filo rosso” ci spiegano in modo molto chiaro che si tratta di un fallimento, Gesù propone a quest’uomo la sequela, ma le supponenti qualità sfoggiate da questo innominato e il suo attaccamento ad esse, diventano l’ostacolo insuperabile per seguire Gesù. Il suo attaccamento ai beni e alle proprie attività fanno saltare un incontro eccezionale e totale.
La riflessione che ti propongo è questa: a cosa sono legato particolarmente? Sono capace di approfittare dei miei difetti per incontrare il Signore oppure questi diventano un muro insormontabile? Ho vergogna dei miei peccati? Penso che essi possono impedire al Signore di amarmi? Con umiltà ammetto le mie difficoltà e chiedo aiuto al “medico”?
L’EC ci aiuta a rispondere bene a queste domande perché ci fa scoprire meglio l’amore che il Signore ha per noi.
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2. Secondo modulo. La lode per la relazione accolta
Lc 18,35‐43
35Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a
mendicare. 36Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37Gli
annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». 38Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 40Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: 41«Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo». 42E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
43Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo, glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
a. Approfondimento esegetico
Questo è l’ultimo miracolo della sezione del viaggio. Rispetto ai racconti di miracoli che si incontrano a partire da Lc 9,51 (inizio della sezione del viaggio), questo è l’unico in cui non c’è discussione o polemica. Assomiglia di più ai miracoli di Cafarnao. È come se si tornasse al ministero di Gesù in Galilea. C’è un’altra cosa che ci fa pensare alla Galilea: come era già accaduto in alcuni casi nei primi capitoli del Vangelo, l’ammalato o chi lo accompagna (come nel caso del paralitico, Lc 5) incontra una difficoltà; per poter ottenere la guarigione deve insistere, non si deve arrendere di fronte agli ostacoli.
Vediamo il nostro brano. Questo episodio lo troviamo in tutti e tre i sinottici. In Matteo (20,29‐34) e Marco (10, 46‐52) Gesù sta uscendo dalla città di Gerico, in Luca invece Gesù vi sta entrando. In Matteo i ciechi sono due (egli è solito raddoppiare i personaggi). La versione di Marco è quella più ricca, per questo nel nostro commento faremo riferimento anche al suo testo.
Il viaggio verso Gerusalemme sta per concludersi: siamo alle porte di Gerico. Da qui in una giornata si arrivava alla città santa (sono più o meno
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25 km). Dopo aver detto che Gesù si sta avvicinando a Gerico, l’evangelista afferma che un cieco è seduto lungo la strada a mendicare (v. 35). Da questa informazione veniamo a sapere che il cieco è povero ed emarginato. Mendicare era causa di vergogna nel mondo antico quanto lo è ai nostri giorni. L’amministratore disonesto della parabola di Lc 16, quando riflette sulla sua situazione, dice: «mendicare, mi vergogno». Nel vangelo di Marco il cieco ha anche un nome: «il figlio di Timeo, Bartimeo» (Mc 10,46).
Incuriosito dal passaggio della gente, chiede che cosa stia accadendo. La risposta, impersonale, è: «Passa Gesù, il Nazareno!» (vv. 36‐37). Occorre dire che Luca qui usa la forma nazoraios e non la forma nazarenos, quest’ultima chiaro riferimento al paese di origine di Gesù e che l’evangelista usa altrove (4,34 e 24,19). L’assonanza con il termine “nazireo” (che significa “consacrato a Dio”) e con nezer (germoglio, cfr. Is 11: il germoglio che deve spuntare dalla radice di Iesse) fa pensare a un richiamo della messianicità di Gesù. L’appellativo con cui Gesù è chiamato dal cieco lo confermerebbe: «Figlio di Davide».
La brevità della risposta fa capire al lettore l’importanza del momento. Gesù per la gente è un profeta; la fama dei suoi miracoli e della sua predicazione si è diffusa e oramai lo precede. Il cieco sa che l’uomo che sta passando può guarirlo; non è detto che avrà un’altra possibilità di incontrarlo. Ecco perché grida e perché, quando lo rimproverano per farlo tacere, grida ancora più forte. Niente riesce a impedire che il suo grido giunga agli orecchi del Messia. È la prima volta che nel Vangelo di Luca si usa l’appellativo «Figlio di Davide» anche se in altri testi, soprattutto nei Vangeli dell’infanzia, è sottinteso (v. 38).
Poco prima, nella parabola del giudice iniquo e della vedova importuna, Gesù aveva detto: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (18,7). Ora Gesù “fa giustizia” al cieco: si ferma e ordina che glielo conducano (v. 40). Quando se lo trova davanti, gli rivolge una domanda che sorprende il lettore: «Che cosa vuoi che io faccia per te?» (v 41). Che cosa può volere un cieco che grida se non la guarigione? L’evangelista Marco racconta la reazione del cieco quando gli dicono che Gesù lo vuole incontrare. Bartimeo getta via il suo mantello e balza in piedi.(Mc 10,50). Il mantello è tutto quello che ha: gettandolo via egli lascia le sue sicurezze. Con la sua domanda Gesù intende mettere il cieco di
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fronte alla verità: cosa vuole davvero? vuole veramente guarire? è disposto a entrare nella condizione di vedente, con tutto quello che comporta, in primis non mendicare più?
Il cieco fin dall’inizio era determinato a chiedere la guarigione, tornare a vedere era il suo desiderio più grande, e lo dice a Gesù: «Signore, che io veda di nuovo!» (v. 41). Il verbo greco significa “riottenere la vista” e indica che il cieco una volta ci vedeva. Quindi egli sa che significa vedere, ha nostalgia della luce che in passato ha conosciuto. È anche questa nostalgia a condurlo da Gesù per chiedergli la guarigione.
Il testo ci dice a questo punto che Gesù lo esaudisce e che è stata la fede a salvarlo (v. 42). L’uso del verbo salvare indica che ciò che il cieco ha ottenuto è più grande della guarigione fisica. Ha riconosciuto in Gesù il Messia, l’inviato definitivo di Dio e ha fatto di tutto per potergli rivolgere la sua preghiera. La fede del cieco ormai guarito è dimostrata anche dal fatto che egli diventa discepolo di Gesù (v. 43). E Gesù, come abbiamo detto all’inizio, sta per entrare a Gerusalemme dove sarà rifiutato e messo a morte. Proprio in prossimità della sua morte si usa per la prima volta l’appellativo «Figlio di Davide»: Gesù è il Messia crocifisso e il discepolo è tale se lo segue sulla via della croce. Il testo ci dice anche che il discepolo di Gesù è un vedente, un illuminato, e la fede è la luce che permette all’uomo di vedere. È forse opportuno ricordare che nel Vangelo di Giovanni “vedere” è sinonimo di “credere”. La fede in Gesù, Figlio di Dio, fa conoscere all’uomo il senso della sua esistenza e gli apre le porte della
salvezza5.
b. Il filo rosso
Anche in questo modulo ripercorriamo i momenti dell’incontro tra il cieco e Gesù per cogliere alcuni aspetti importanti della relazione alla quale Dio ci chiama e verificarci su di essi.
Il cieco di Gerico è avvolto nel suo buio sul ciglio della strada. La strada rappresenta la vita e il camminare è immagine del vivere. Si tratta allora di
5 Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1701 afferma: «Cristo, proprio
rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». Vocazione che, secondo Gaudium et Spes 22 è una sola, quella divina.
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un uomo sconfitto dalla vita (lungo la strada a mendicare) e che, forse per questo, ora rinuncia a viverla (era seduto), rimanendone ai margini.
Dal Vangelo di Marco sappiamo che il cieco si chiama Bartimeo, in ebraico “figlio di Timeo”. Il nome Timeo ha una doppia possibile origine: in greco (lingua nella quale sono stati scritti i vangeli) significa “onorare”, con particolare riferimento a Dio. In aramaico, invece, il nome Timeo deriva da una radice che vuol dire “impuro”. In effetti, Bartimeo ha questa doppia possibilità come ognuno di noi. Da un lato vivere alla presenza di Dio e onorarlo all’interno di una relazione speciale con Lui, dall’altro estromettere Dio dalla propria vita rinunciando alla sua luce.
Secondo la mentalità biblica, la cecità di Bartimeo è il suo essersi lasciato rabbuiare dal male, perdendo la sua propensione alla relazione con Dio. Ma non appena viene a sapere che sta passando Gesù, non esita a lanciare il suo grido di aiuto. Cerca il figlio di Davide, l’atteso Messia che avrebbe instaurato il Regno di Dio6 e grida pietà. Con questo grido chiede che Gesù veda il male dal quale è colpito e si com‐muova con lui nel suo dolore: ha bisogno che Gesù condivida con lui i suoi moti interiori di dolore!
Tutti noi sappiamo quanto sia angosciante il buio della solitudine che ci è stata procurata dal male. Questa esperienza chiaramente negativa può essere stata causa di sofferenza, ma può anche averci fatto comprendere quanto benefici siano gli effetti della preziosa e insostituibile presenza di Gesù. Diamo per scontato molte cose della nostra fede. Quando siamo vicini al perderla, comprendiamo che senza Dio non potremmo fare nulla, perderemmo luce e senso alla nostra vita!
A questo punto interviene Gesù, che gli pone una domanda pedagogicamente preziosissima (Cosa vuoi che faccia per te?). Essa ha forse una risposta scontata, ma dà la possibilità al cieco di prendere contatto con il suo bisogno e di esprimerlo (che io veda di nuovo). La domanda che Gesù gli fa è una possibilità per il cieco di ascolto di se stesso e di espressione del suo desiderio più sano. Importante e terapeutico per ciascuno di noi è saper dare un nome al male che ci oscura e, in forza della presenza amorevole di Cristo in noi, saper esprimere il desiderio positivo che portiamo ancora dentro di noi di fare luce.
6 «Gesù accompagna le sue parole con numerosi miracoli, prodigi e segni, i quali
manifestano che in lui il Regno è presente»: Catechismo Chiesa Cattolica, 547ss.
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Ecco dunque il punto culminante! Il momento salvifico non è stato magicamente il proferimento da parte di Gesù di parole guaritrici (Abbi di nuovo la vista!). Esse semmai hanno sancito ufficialmente la veridicità della salvezza realizzata. Ma salvifico è stato il contatto che si è instaurato tra i due, nel momento in cui sono stati l’uno di fronte all’altro, faccia a faccia, cuore a cuore. Alla presenza di Gesù il cieco è stato messo di fronte anche a se stesso e ha potuto scegliere. “Fede” e “fiducia” hanno la stessa radice etimologica: quest’uomo ha avuto fede in Gesù concretamente quando si è fidato e ha affidato a Lui il suo male senza riserve (la tua fede ti ha salvato)!
A questo punto il cieco vive la sua svolta, Cristo accolto e riconosciuto Signore è di nuovo presenza luminosa nella sua vita7. Lo risolleva e lo fa tornare a camminare nella via della vita dietro a lui da vero discepolo (e cominciò a seguirlo). Prorompe in lui inarrestabile la lode (glorificando Dio), che significativamente si estende a tutto il popolo, costituito da coloro che, come il cieco guarito, proprio vedendo possono dare lode a Dio. Auguriamoci di essere anche noi tra loro!
In definitiva, in questo modulo abbiamo assistito ad un incontro riuscito positivamente tra Gesù e il cieco di Gerico. A differenza del notabile ricco che presumeva di bastare a se stesso, egli è un bisognoso che sa di avere bisogno e quindi è umilmente in ricerca. Ma mentre il primo si congeda da Gesù solo e triste, il secondo segue Gesù glorificando Dio.
Alcune domande possono aiutarci a riflettere su noi stessi.
• Qual è la mia cecità più grande? So darle un nome? Quando vivo il mio buio interiore so capire da cosa mi è provocato?
• Riesco a gridare a Dio nel mio buio o resto chiuso in me stesso? Ho speranza che Gesù possa avere pietà di me e quanto penso che la sua misericordia sia salvifica per me?
• È presente la lode nella mia vita? Dio è motivo di lode in me?
c. Giovani
Il Signore, come al cieco, chiede anche a noi che cosa vogliamo che egli faccia per noi. Abbiamo bisogno di vivere il disagio del buio, di quel buio che
7 «Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da
lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a lui siamo diretti»: Lumen Gentium, 3.
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non ci fa capire chi siamo e quanto Dio ci ama, e di quel buio che ci imbriglia nelle nostre schiavitù e noi nostri limiti e ci mette bloccati ai bordi della strada chiedendo agli altri qualcosa per vivere.
Da quel buio deve venire il bisogno di trovare un senso alla vita e gridare questo bisogno al Signore. Ma troppo spesso quelli che ci stanno attorno: l’ambiente, la famiglia, le amicizie, come la folla per questo cieco, hanno cercato di soffocare le nostre sane aspirazioni.
La grazia è gridare la nostra fiducia nel Signore e chiedere a lui con insistenza di aver pietà di noi. Allora possiamo sperimentare che lui viene incontro a questo nostro desiderio di verità, di bene, di vita, allora scopriamo che lui è luce e vita.
Dai bordi della strada, dalla nostra cecità, possiamo non solo avere il dono della vista ma anche seguire il Signore.
Per prima cosa domandiamoci che coscienza abbiamo della nostra cecità che rende insignificante, infruttuosa e dipendente la nostra vita?
Abbiamo mai gridato nella preghiera il nostro bisogno del Signore, insistendo anche quando gli altri volevano soffocare la nostra sana aspirazione?
d. Coppie
L’uomo di questo racconto ha un nome, Bartimeo, figlio di Timeo, che significa “onorare” Dio. È predisposto all’apertura a Dio anche se è cieco e si ritrova seduto ai bordi della strada a fare l’elemosina. È un uomo ormai sconfitto dalla vita (chiedeva l’elemosina), che ha rinunciato a viverla (seduto), rimane ai margini (sul bordo della strada). Il sentimento prevalente di questo personaggio all’inizio del racconto è la paura, che lo blocca, lo paralizza.
Con la celebrazione del matrimonio inizia il cammino degli sposi, quello non è il punto di arrivo, come molti fidanzati erroneamente pensano, ma è la partenza, l’inizio. Si comincia a vedere davvero com’è l’altro, chi è nel quotidiano, nella condivisione della vita, della casa, degli spazi, delle cose e qui ci si può trovare davanti a qualcuno che è completamente diverso da come l’avevamo visto quando eravamo innamorati potrebbe non piacerci più, potrebbe non essere più la persona che avevamo sognato, desiderato, immaginato … diventa quella che è davvero!!! La fine dell’innamoramento
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potrebbe rappresentare per la coppia un peso insostenibile, qualcosa che la schiaccia a terra e le toglie la forza di continuare a camminare, che la rende cieca perché non vedere le garantisce di proteggersi da una realtà inaspettatamente faticosa, ci si potrebbe sentire sconfitti e non più capaci di giocarsi la vita con l’altro anche se ci si è promessi accoglienza incondizionata, impegno a “onorare” l’altro per sempre.
Il cieco appena saputo che chi sta passando è Gesù grida e quando le persone che gli stanno intorno lo rimproverano e cercano di azzittirlo, lui grida ancora più forte perché sente di non voler perdere l’occasione di quell’incontro, nel suo cuore esplodono la speranza e la fiducia, vuole incontrare Gesù, perché sente che da quell’incontro potrebbe venire una direzione nuova alla sua vita, potrebbe essere un’occasione di rinascita, di crescita, di ripartenza. Così grida ancora più forte.
Nella coppia a volte per varie ragioni legate alla storia personale di ognuno dei coniugi, alle fatiche della vita quotidiana, alle difficoltà nel dialogo, ci si sente schiacciati, messi a terra, ci si allontana o ci si arrabbia fino ad arrivare a ferirsi, o ci si chiude nel silenzio del proprio dolore tenendo fuori dal proprio cuore l’altro. Se non si pone rimedio subito a tutto questo si passa inevitabilmente dalla paura che blocca, schiaccia, non fa progredire sulla strada della vita, alla rabbia, al rancore che distruggono e uccidono la vita propria e delle persone che ci circondano. Allora fare memoria dei momenti positivi, dell’amore che ci ha fatti scegliere all’inizio, della grazia che viene dal Sacramento del matrimonio, ci deve far ritrovare la speranza e darci la forza di gridare forte ciò che sentiamo, il nostro dolore, la nostra paura all’altro, certi che saremo ascoltati, visti abbracciati, accolti. Perché quando abbiamo occasione di prendere contatto con i nostri sentimenti più profondi e il coraggio di condividerli con il coniuge, esprimergli ciò che sentiamo nasce un nuovo incontro che ci apre ad una relazione nuova, una relazione autentica che va all’intimo, alla profondità del cuore, dove dimostriamo all’altro di avere fiducia di lui perché gli stiamo affidando il nostro SE più vero.
Il cieco recupera la vista perché si è fidato, la fiducia gli ha ridato speranza, coraggio che lo hanno portato a esprimere a Gesù il suo bisogno, e l’autenticità della relazione che ne è scaturita fa si che la vista gli venga restituita e che egli possa riprendere il suo cammino nella vita.
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Le occasioni d’incontro con Gesù nella vita sono molteplici, Egli ci si manifesta nelle persone che incontriamo e per noi coppie c’è un luogo privilegiato dove possiamo cercarlo, vederlo, incontrarlo, accoglierlo, abbracciarlo, amarlo, entrare in relazione intima, profonda e autentica con Lui, questo luogo è una persona il nostro coniuge. Godiamo della grazia potente che viene dal Sacramento che abbiamo celebrato avendo cura ogni giorno dell’altro, di ciò che sente, di come sta nel profondo, coltiviamo una relazione autentica nella fiducia reciproca e la paura svanirà.
e. Carità e testimonianza
La prima cosa che fa Gesù dopo essersi trovato davanti al cieco é chiedergli: «Cosa vuoi che io faccia per te?». Quando noi incontriamo qualcuno che grida (a volte senza più voce) per avere aiuto, ci capita di offrire subito le soluzioni, senza “perdere tempo” nell’ascoltare la richiesta dell’altro. «Sei povero, ecco due euro! Sei immigrato, ecco un letto nel centro di accoglienza! Sei malato, ecco le medicine! Sei ateo, ecco una toccante celebrazione». E se quella persona avesse bisogno di altro? Ancora una volta dobbiamo riconoscere che siamo pronti nell’agire e meno nell’ascoltare: ma nella carità, nell’amore, questo non basta. La domanda di Gesù apre orizzonti nuovi al cieco che si sente accogliere come salvato, il suo cuore è libero di vedere davvero. Non è solo una guarigione fisica, quella di cui ha bisogno e Gesù, che lo ha ascoltato, gli dona quanto richiesto.
Sono attento a chi ho accanto, oppure penso sempre che la mia soluzione, la mia risposta sia quella di cui la persona ha bisogno? Quali passi potrei fare per essere più accogliente e ascoltare le “grida” di quanti mi chiedono aiuto?
Ho mai pensato che il “continuo agire” possa essere sterile se poco attento? In quali occasioni potrei sperimentare un modo diverso di fare? Provo a pensare dei modi concreti.
Come potrei essere d’aiuto, e non di ostacolo, alle tante persone che sul ciglio della strada gridano aiuto, ma sono zittite dalla folla? Mi trovo anche io dalla parte della folla che zittisce? In quali occasioni e perché?
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f. Spunti per attività
Attività n. 1. Sull’idea che abbiamo di Dio
Obiettivi: capire quale idea i giovanissimi hanno di Gesù uomo, invitando a confrontarsi su di essa. Bartimeo non ha mai incontrato Gesù, eppure quando sente che sta passando per la strada in cui lui era solito mendicare, reagisce. Reagisce perché a quest’uomo ha associato un idea, un’immagine, nata dai racconti e dalla testimonianza che molti avevano portato alle sue orecchie.
Incontro
Due possibili modalità. La prima modalità consiste nel provare, tutti insieme o divisi in piccoli
gruppi, a compilare un identikit di Gesù cercando di soffermarsi sul suo essere vero uomo, come noi. L’identikit potrebbe contenere informazioni semplici come nome, estrazione sociale, livello scolastico, nucleo familiare, provenienza, eccetera. Il resto dovrebbe essere a discrezione dei giovanissimi, in modo che l’idea di Gesù che emergerà non sia vincolata da domande troppo precise. Terminata questa parte si prova a pensare all’idea che il cieco aveva di Gesù, quindi si prova a fare un ulteriore identikit calandosi nei panni di Bartimeo. Alla fine si confrontano i due identikit.
Un’altra possibile modalità, magari più adatta a ragazzi più esperti, è quella di provare a turno, bendati, ad elencare una serie di caratteristiche (non fisiche) e le emozioni che suscita l’incontro con un proprio amico scelto dal gruppo. Quindi scrivere su un cartellone ciò che viene detto. Al termine provare a fare lo stesso con Gesù, cercando di limitare il proprio pensiero al Gesù uomo. L’educatore invita poi a confrontare i due casi. Lo scopo di queste tecniche è quello di provare a far emergere dai giovanissimi l’idea che hanno di Gesù invitandoli a confrontarsi su di essa.
Domande
Nel caso dell’identikit possiamo provare a porre alcune domande: In cosa differiscono i due identikit? Su cosa mi sono basato per il mio identikit di Gesù? Su cosa mi sono basato per quello di Bartimeo? Dal mio identikit emerge l’umanità di Gesù? Perché diciamo che Gesù era vero uomo?
Nel caso invece si volesse provare una terza modalità si può provare a porre direttamente la domanda: Qual è l’idea che ho di Gesù? Da cosa
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questa idea è influenzata? Su cosa mi sono basato per parlare del mio amico? Su cosa mi sono basato per parlare di Gesù? Dalla mia descrizione emerge l’umanità di
Gesù? Perché diciamo che Gesù era vero uomo?
Per i più esperti
Nel caso della seconda tecnica, per i ragazzi più grandi si potrebbe scegliere, anziché un loro amico, un personaggio storico che con la sua vita ha contribuito (nel bene o nel male) alla storia dell’umanità. Anche se non si è credenti non ci si può esimere dal confrontarsi prima o poi con la figura di Gesù, che come nessun altro ha influenzato la nostra storia. Quali sono le differenze tra Lui e gli altri?
Attività n. 2. Non farsi condizionare dalla folla
Obiettivi: Far prendere consapevolezza ai giovanissimi verso dove va il mondo e verso dove li attira e seduce. Far riflettere sull’esistenza della folla nella loro vita e capire le diverse tipologie di grida: cosa hanno intorno, cosa “grida la folla” intorno loro, cosa gli viene proposto, cosa li distrae, verso chi prestano ascolto, cosa cercano nella loro quotidianità.
Incontro
Tre possibili modalità: 1. Si organizza un gioco in cui un ragazzo del gruppo viene bendato e,
partendo da un lato della stanza in cui ci si ritrova, deve raggiungere un compagno in un punto opposto; per raggiungerlo egli dovrà attraversare la stanza o un percorso, in cui verranno disposti degli ostacoli e, per non finirci contro, dovrà seguire le indicazioni date dal compagno da raggiungere. Gli altri ragazzi del gruppo hanno il ruolo dei “disturbatori” e devono confondere il ragazzo bendato, cercando di non fargli capire le indicazioni provenienti del ragazzo da raggiungere. Il gioco può essere svolto ad “alti volumi” con il ragazzo da raggiungere che detta le mosse e i movimenti da attuare per evitare gli ostacoli, “avanti! destra! sinistra! fermo!” e gli altri ragazzi che per disturbare possono urlare, cercando di coprire con le loro voci le indicazioni; o nel caso non si possano alzare i toni, attuare la stessa modalità ma con indicazioni da seguire sulla base di un codice (un battito di mani, uno schioccare di dita = destra; due = sinistra… inventate un codice
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e tutti gli altri ragazzi di gruppo dovranno cercare di disturbare il suono allo stesso modo…)
2. L’educatore procura un insieme di slogan pubblicitari, ad esempio spot televisivi, messaggi dei cartelloni in strada, messaggi che si trovano sugli stessi prodotti alimentari o di consumo tipo vestiario bellezza, banner internet. Si chiede ai ragazzi anche di richiamare alla mente i principali messaggi che ricevono dai media: non occorre rifletterci troppo, deve essere proprio un richiamo immediato. Una volta visionato tutto il materiale si ragiona sui richiami valoriali che quelle frasi nascondono es. la crema antirughe xy – “non invecchierai mai, sarai sempre giovane e bellissima”.
3. Facendo riferimento ai principali telefilm/serie TV che i ragazzi guardano, si chiede loro di dividersi in due gruppi: una parte si metterà nei panni di qualche personaggio particolarmente carismatico, l’altra nella “controparte”. Ciascuno di loro dovrà argomentare i consigli che vorranno fornire per specifiche situazioni di vita, ad esempio: non ho voglia di studiare, ma domani sicuramente mi interroga; litigo in continuazione con mia madre perché non mi lascia uscire; sono molto attratta da quella ragazza, ma sono in questa discoteca soltanto questa sera; devo fare solo una fermata del pullman, non so se comprare il biglietto; e situazioni simili senza sottolineare il risvolto “moralista”, ma semplicemente facendo emergere la mentalità corrente, quella più comune, che si sente in giro più spesso.
Le varie attività cercano di riproporre la situazione raccontata nel brano di Vangelo: ritrovarsi in una folla urlante, confusi dal caos circostante, sicuramente un po’ trainati dal mondo intorno, mentre cerchiamo di ottenere qualcosa. In questo scenario, attualizzare la situazione e focalizzare come i ragazzi vivono la loro quotidianità: come Gerico nel brano, città affollata, confusa, in cui è difficile capire cosa succede, anche i ragazzi vivono giornate piene “di cose da fare”, piene di persone incontrate, attività, proposte, che possono distrarre se non portarci “a distanza” dal Signore. Sentono anche loro a volte questa dimensione di “confusione”? Cosa riempie le loro giornate? Cosa gli propone il mondo?
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La folla cioè gli altri, le cose da fare, verso cosa li fa tendere? Il mondo intorno noi, la televisione, la pubblicità, le riviste, ci mostrano un mondo “ideale” che dobbiamo raggiungere a tutti i costi.
Domande
Quali sono i valori e gli atteggiamenti che contraddistinguono questo mondo? Li sentono propri? Li condividono? Li riconoscono nelle altre persone intorno loro? Quali strade/stili seguono le persone che hanno intorno? Si rispecchiano negli altri? Di chi si fidano, da chi si fanno convincere? Chi e cosa attira la loro attenzione? Sentono addosso la pressione di diventare, fare, comprare?
Per i più esperti
Si può aggiungere un approfondimento su Dio. Rispetto a tutto questo che si è detto, dove si posizionano Dio, il Vangelo ed il suo messaggio? Ho mai pensato che la voce del Signore potrebbe essere schiacciata? Dove mi trovo, dove mi metto?
[da: Diocesi Torino, Sussidio cammino giovanissimi 2011‐2012]
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g. Momento celebrativo a sfondo vocazionale
Momento introduttivo Lettore (L) Abbiamo bisogno che il Signore ci liberi dalle nostre cecità,
dalle miopie che ci impediscono di riconoscere il suo volto dentro la vita dei fratelli. Come il cieco sulla via di Gerico, anche noi oggi gli diciamo: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Fa’, o Signore, che possiamo tornare a vedere ed ad alzare i nostri occhi verso il tuo volto! Fa che possiamo metterci alla tua presenza, vera luce che illumina il cammino della nostra vita.
Canto iniziale e saluto del celebrante
Celebrante (C) Siamo cercatori di Dio, cercatori e adoratori del volto di Dio. La sua presenza riempie la terra, la luce dei suoi occhi illumina ogni uomo, la sua Parola di vita dona salvezza a chi gli va incontro con cuore rinnovato.
Assemblea (A) A tutti i cercatori del tuo volto mostrati, o Signore. A tutti i pellegrini dell’Assoluto vieni incontro, o Signore. Con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare cammina, o Signore.
C. «Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono» dice il profeta Isaia (42,15). Queste vie ignote sono quelle percorse dal Figlio di Dio, salvezza per ogni uomo. «Chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). Incontriamo il cieco alle porte di Gerico e incamminiamoci con lui nell’avventura della fede. La fede inizia dall’ascolto, passa attraverso l’informazione e giunge all’invocazione del Nome. La fede che salva ha orecchi per udire, bocca per chiedere e invocare, occhi per vedere, piedi per camminare, mani per toccare, e allarga il cuore per amare.
Lettura del Vangelo (Lc 18,35‐43)
Esposizione del Santissimo Sacramento e canto (“Fissa gli occhi in Gesù”)
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Primo momento meditativo:
«Signore, abbi pietà di me!»
Lettura per la meditazione personale «Era seduto a mendicare lungo la strada». Quanta gente come il cieco
è all’angolo della strada, seduta a mendicare qualcosa, un po’ di attenzione, un briciolo di amore... fuori dalla via, ai margini della vita! Tanti uomini come il cieco vivono la loro vita senza poterne vedere la luce, il senso, senza poterla gustare appieno. Signore, dammi la fede del cieco, voglio vedere la luce! Voglio incontrarti e vederti negli occhi! Finora sono appartenuto alla folla: essa mi ha guidato, essa mi ha aiutato... Ma mi ha anche calpestato, deriso... Signore, sento la tua voce, ma voglio vederti con i miei occhi, voglio essere io a riconoscerti, voglio essere io a vivere la vita! Voglio incontrarti, Signore, e vivere con te la mia vita! «Che vuoi che io faccia per te? ‐ Signore, che abbia di nuovo la vista!». Gesù viene a chiamare gli esseri dalle tenebre alla luce della fede, dal buio del dubbio e dell’errore alla luce della certezza e della verità. Egli viene a darci la fiducia di poter vedere bene, di poter vivere nella luce, di poter camminare senza inciampare, senza paura del buio e dei suoi fantasmi. Ci aiuta ad alzare bene lo sguardo verso di lui, anche quando il peso del peccato ci opprime.
Invocazioni L. Adoriamo Gesù che passa tra di noi e invochiamo il suo aiuto.
RIT. Uomo di Galilea che passando vai. 1. Ti prego di guardarmi, ti prego di guardarmi e io sarò guarito. RIT. 2. Ti prego di toccarmi, ti prego di toccarmi e io… RIT. 3. Ti prego di perdonarmi, ti prego di perdonarmi e io ... RIT. 4. Ti prego di liberarmi, ti prego di liberarmi e io... RIT.
Silenzio…
C. Facciamo nostre le parole del salmo 31. Immenso Creatore, dinanzi a tè sappiamo appena balbettare il mistero della vita che è in noi e attorno a noi. Ogni persona è un palpito unico e irripetibile del tuo cuore. Noi sappiamo che ci hai fatti per te e il nostro cuore non trova pace finché non
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riposa in Te! È meraviglioso abitare con te e restare alla tua presenza per sempre.
Rit. Confitemini Domino quoniam Bonus, Confitemini Domino Alleluia
Signore, quanto è grande la tua bontà! La riservi per coloro che ti temono, ne ricolmi chi in te si rifugia davanti agli occhi di tutti. Rit.
Tu li nascondi al riparo del tuo volto, lontano dagli intrighi degli uomini; li metti al sicuro nella tua tenda, lontano dalla rissa delle lingue. Rit.
Io dicevo con sgomento: «Sono escluso dalla tua presenza». Tu invece hai ascoltato la voce della mia preghiera quando a te gridavo aiuto. Rit.
Amate il Signore, voi tutti suoi santi; il Signore protegge i suoi fedeli e ripaga oltre misura l’orgoglioso. Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Signore. Rit.
Secondo momento meditativo:
«Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo,
glorificando Dio»
Lettura per la meditazione personale O Signore, o Dio Verbo, che sei la luce per la quale la luce fu fatta; che
sei la Via, la Verità, la Vita, nel quale non sono le tenebre, né errore, né vanità né morte; luce, senza la quale non ci sono che tenebre, Via, fuori della quale non vi è che errore, Verità, senza la quale non vi è che vanità, Vita, senza la quale non vi è che morte: dì una parola, dì, o Signore: «Sia fatta la luce», perché io veda la luce ed eviti le tenebre, veda la Via ed eviti ogni deviazione, veda la Verità ed eviti la vanità, veda la Vita ed eviti la
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morte. Illuminami, Signore, mia luce, mio splendore e salvezza, Signore, Padre mio che amerò, Sposo mio al quale solo mi consacrerò. Illumina, o luce, questo cieco che siede nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigi i suoi passi sulla via della pace, per la quale entrerò nel tabernacolo ammirabile fino alla casa del Signore con canti di esultanza e di lode. Tu, luce della mia vita: Tu sei la vera Via della vita. Amen. (Sant’Agostino, Libro dei soliloqui dell’anima con Dio, IV)
Silenzio
C. Dopo aver invocato la misericordia di Gesù, immergiamoci nella lode con le parole del salmo 147. Lodare Dio non è come ringraziarlo per un suo dono: significa cantare la gioia per la sua presenza salvifica. La lode, che ci fa partecipare del bene e delle gioie degli altri, è l’espressione più alta dell’amore.
Rit. Laudate, omnes gentes, laudate Dominum! Laudate, omnes gentes, laudate Dominum!
L. Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene. Rit.
L. Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi di Israele. Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite; egli conta i numero delle stelle e chiama ciascuna per nome. Rit.
L. Grande è il Signore, onnipotente, la sua sapienza non ha confini. Il Signore sostiene gli umili ma abbassa fino a terra gli empi. Cantate al Signore un canto di grazie, intonate sulla cetra inni al nostro Dio. Rit.
L. Egli copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l’erba sui monti. Provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano a lui. Rit.
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L. Non fa conto del vigore del cavallo, non apprezza l’agile corsa dell’uomo. Il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia. Rit.
Momento conclusivo
Padre nostro C. «Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza
essere migliore e più contento. Sii l’espressione della bontà di Dio. Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito offri sempre un sorriso gioioso. Dà loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore». (Madre Teresa di Calcutta)
A. Quanto Tu, Signore, ci hai detto, noi lo faremo. Tu. O Cristo, che
percorri le strade del mondo per incontrare i più lontani e per avvicinarti a chi si trova ai margini della vita, fermati ancora una volta per incontrarci. Aprici il cuore alla speranza. Donaci la gioia di seguirti e di camminare con te.
BENEDIZIONE EUCARISTICA e Canto finale
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3. Terzo modulo. La gioia del cambiamento
Lc 19,1‐10.
1Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un
uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla; perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia.
7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
a. Approfondimento esegetico
Secondo il vangelo di Luca l’incontro con Zaccheo è l’ultimo prima dell’ingresso di Gesù e degli apostoli a Gerusalemme. Esso avviene nella città di Gerico, ultima tappa del viaggio verso la città santa. Il brano, che è specifico di Luca, si può dividere in due parti: i vv. 1‐6, la presentazione di Zaccheo e l’incontro con Gesù; i vv. 7‐10, Gesù nella casa di Zaccheo.
Luca descrive Zaccheo in modo molto accurato, cosa insolita per il terzo evangelista. Di lui sappiamo il nome, il lavoro, lo status sociale e la statura. Il nome Zaccheo significa «puro», ma di fatto è impuro, visto che è un pubblicano, anzi un capo di pubblicani. Appartiene a una categoria di persone odiate dal popolo perché si arricchiscono approfittando dell’oppressore romano. I pubblicani, infatti, riscuotevano le tasse per conto dei Romani e spesso esigevano più di quanto stabilito dalla legge. Giovanni Battista, ai pubblicani che sono accorsi al suo battesimo di penitenza e che gli hanno chiesto che cosa devono fare, risponde: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (3,12‐13). Zaccheo è qualificato come capo di pubblicani, non stupisce pertanto che sia molto ricco.
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Egli cerca di vedere Gesù. È questo il dettaglio più importante: viene ripetuto due volte (vv. 3 e 4); per riuscirci deve escogitare uno stratagemma, come il cieco prima di lui (brano precedente) o come gli uomini che portavano il paralitico (Lc 5). Per uno del suo rango salire su un albero è una cosa abbastanza inconveniente, ma lui vuole vedere Gesù a ogni costo; se rimane a terra è impossibile riuscirci perché c’è tanta gente e lui è piccolo di statura.
Quando Gesù passa, il suo desiderio viene non solo esaudito ma addirittura superato: Gesù si invita a casa sua. Nelle sue parole c’è una certa solennità: «Oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). La parole “oggi” e “devo” dicono che l’incontro non è frutto di una coincidenza, ma è la realizzazione di un progetto; c’è un piano, e l’andare a casa di Zaccheo fa parte di esso.
«Zaccheo, scendi subito» (v. 5) «E scese subito» (traducendo alla lettera). Dopo che il notabile del cap. 18 se ne era andato triste alla proposta di Gesù di diventare suo discepolo, colpisce l’atteggiamento di Zaccheo il quale, molto ricco, fa esattamente quello che gli dice Gesù, e tale scelta lo riempie di gioia.
Vediamo la seconda parte. Gesù entra in casa di un peccatore; non di passaggio, ma per rimanere: «Oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). Alla gente questo non va: tutti mormorano, esprimendo in modo rumoroso il loro dissenso. Di per sé non ci sono norme nella Legge che vietino esplicitamente di stare in casa dei peccatori; però ci sono molti testi, sia dell’Antico Testamento che della letteratura giudaica, che ci avvertono: il peccato è “contagioso”, bisogna stare lontani da coloro che lo commettono.
La gente mormora, ma Zaccheo, incurante delle loro lamentele, annuncia che ha deciso di cambiare vita. Finora aveva rubato; ora restituisce addirittura quattro volte tanto ( molto di più di quel che era richiesto dalla Legge). Finora aveva pensato solo a se stesso; ora distribuisce la metà del suo patrimonio ai poveri. Zaccheo è un altro uomo; è cambiato radicalmente.
Che cosa l’ha portato a un cambiamento così radicale? Zaccheo pronuncia il suo atto di conversione dopo che Gesù è entrato in casa sua: è stato quell’incontro che lo ha profondamente cambiato. Secondo il racconto di Luca, Gesù non ha detto niente, non lo ha invitato alla conversione, né minacciato di castigo (come Giovanni Battista: cf. 3,7‐9.12‐
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13). È solo andato in casa sua. Gesù è il salvatore, lui è la salvezza: basta accoglierlo, è la sua presenza che cambia la vita. Gesù afferma: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza casa» dopo che Zaccheo ha annunciato le sue decisioni. La salvezza non è un fatto intellettuale, si vede dalle nostre scelte concrete; dal nostro rapporto con gli altri e con le cose si vede se abbiamo accolto Gesù, il salvatore, nella nostra vita (le tentazioni, Lc 4).
Il racconto si conclude con il commento di Gesù: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (v. 10). Tutto era cominciato con un uomo, Zaccheo, che cercava Gesù. In realtà era Gesù che stava cercando il peccatore Zaccheo. L’espressione «è venuto a» ricorda la missione di Gesù: quello di Zaccheo non è un caso isolato. È lo scopo della sua vita, è ciò che egli è venuto a fare in questo mondo (il paralitico, Lc 5). Per questo non ha paura di entrare nelle case dei peccatori. Dopo la sua resurrezione ai suoi discepoli comanderà di annunciare a tutti i popoli nel suo nome la conversione (il cambiamento di vita) e il perdono dei peccati (Lc 24,47).
b. Il filo rosso
Attraverso l’esperienza che Zaccheo ha fatto di Gesù, cogliamo alcuni tratti essenziali della relazione con Dio. Chissà che Dio non possa colmare anche i nostri cuori della gioia di Zaccheo!
Zaccheo, che in ebraico significa “puro”, porta ancora inscritta nel nome la vocazione di purezza che gli è stata donata, malgrado essa sia stata contaminata dalla sua vita di peccatore pubblico (capo dei pubblicani). È piccolo di statura, caratteristica fisica che è una descrizione della sua interiorità: lui si sente piccolo e, a causa dei suoi peccati, moralmente parlando lo è davvero. Tutto ciò gli procura un senso di insicurezza interiore, un sentirsi costantemente inadeguato rispetto agli altri. Ma non si arrende a questa sua condizione. Ha ancora una speranza, lo capiamo dal suo desiderio di vedere Gesù che deve passare di là. Cerca però di attuare questo suo desiderio con un tentativo fuori misura: il salire su un sicomoro è un modo per cercare di compensare il suo senso di piccolezza, mostrandosi più grande di quanto non sia. Una sorta di maschera con la quale affrontare la vita e le relazioni. Una maschera molto diffusa anche ai giorni nostri!
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In questa situazione accade l’inimmaginabile: Gesù stesso prende l’iniziativa alzando lo sguardo verso Zaccheo. Lo chiama persino per nome. Instaura così un contatto personale. Gli comunica che lo conosce e che gli interessa. E quell’esortazione a scendere (scendi subito) suona come un invito a mostrarsi per quello che è davvero, lasciando cadere la sua maschera di presunta grandezza. Gesù intende amare Zaccheo in quello che è e non per come vorrebbe mostrarsi o crede di dover essere.
In effetti, subito dopo, Gesù spiega che deve fermarsi a casa sua. Non si tratta di un dovere imposto da qualcuno, ma di una necessità intrinseca all’amore. Come l’acqua, in quanto acqua, non può che essere bagnata e il sole, in quanto sole, non può che essere caldo e luminoso, Gesù, in quanto Amore, non può che desiderare di visitare la nostra intimità e stare con noi.
A queste parole Zaccheo scende in fretta pieno di gioia. La sua gioia proviene dall’incontro con un amore insperato. Sapendosi immeritevole, non avrà neanche osato sperare nell’amicizia di Dio, pur avendone un gran bisogno. La gioia è arrivata quando ha visto che è Dio stesso a desiderare di essergli amico. Proprio questo amore così gratuito gli dà il coraggio di stare in piedi (alzatosi) davanti ai commensali e ai maldicenti che stanno fuori, ma soprattutto davanti a Gesù riconosciuto Signore. Supera finalmente quel senso di indegnità causato dal suo peccato. L’amore di Gesù gli ha dato nuova dignità.
Ora può fare scelte precise (io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto) non per dovere, ma per gioia! Restituisce quattro volte tanto superando la misura del diritto greco e romano che richiedevano una restituzione di due e tre volte. Lui restituisce oltre ogni misura, perché ha fatto della dismisura della gratuità il suo criterio personale: la gratuità ricevuta diventa così gratuità donata8.
Gesù ha mostrato che anche Zaccheo è prezioso agli occhi di Dio come un figlio (anche egli è figlio di Abramo) al di là dei suoi peccati o delle sue incapacità. L’oggi della salvezza entrata in questa casa è il momento in cui
8 Nella preghiera siamo chiamati a realizzare la stessa dinamica:
«L’orazione è la preghiera del Figlio di Dio, del peccatore perdonato che si apre ad accogliere l’amore con cui è amato e che vuole corrispondervi amando ancora di più». Catechismo della Chiesa Cattolica, 2712.
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Zaccheo si è lasciato incontrare da Gesù e gli ha permesso di amarlo così come era, senza vergogna o pudore di sorta.
In conclusione, l’episodio della vita di Zaccheo ci mostra una delle caratteristiche più salienti della nostra relazione con Gesù: vince la nostra miseria mostrandoci un interesse gratuito e smisurato che colma il nostro cuore di una gioia unica. Nel momento in cui ci lasciamo conquistare da questa gratuità e la adottiamo come nostro criterio nelle relazioni, la nostra amicizia con Lui arriva a caratterizzare le nostre amicizie umane e si realizza così il Regno di Dio.
Alcune domande.
• Nel mio rapporto con me stesso… Come mi pongo di fronte ai miei limiti e ai miei errori? Sono indulgente con me stesso svendendo i miei valori? Oppure sono giudicante con me stesso, amplificando il mio senso di colpa? O piuttosto sono benevolo con me stesso spronandomi fiduciosamente a correggermi?
• Nel mio rapporto con gli altri… Sono rigidamente attento a mostrare solo il lato bello di me agli altri, mettendo una maschera? O riesco ad essere me stesso, lasciando che traspaia anche la mia piccolezza nella consapevolezza che sono amato e quindi amabile?
• Nel mio rapporto con Dio... Quando penso che Dio mi ama oltre ogni mio merito e che è morto in croce per me, mi sento in colpa perché non sono bravo abbastanza o piuttosto provo la stessa gioia di Zaccheo per aver incontrato un Amore insperato?
c. Giovani
Zaccheo ha potere, ricchezza ma non ha la vita. Questa sua profonda insoddisfazione lo mette nella curiosità di vedere Gesù. È piccolo di statura e si sente piccolo e ha bisogno di uscire dalla folla e di innalzarsi sul sicomoro. Il suo atteggiamento provoca una risposta sorprendente da parte di Gesù, che lo guarda e si auto‐invita a casa sua.
Zaccheo sperimenta l’amore gratuito del Signore, basta un piccolo gesto e il Signore si comunica pienamente. Da questa comunione la vita di Zaccheo ha una profonda trasformazione che cambia subito il suo modo di
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relazionarsi agli altri e di usare i beni. Zaccheo è la risposta a coloro che erano scandalizzati dell’atteggiamento amorevole di Gesù.
I gesti prima dell’incontro ci inducono a riflettere: la insoddisfazione del cuore, il bisogno di conoscere il Signore, uscire dalla massa, usare gli strumenti che ti aiutano a vedere il Signore. Questi momenti sembrano poca cosa eppure sono la premessa di un grande e trasformante incontro che si fa festa per tutti (pensiamo a vocazionali, missioni importanti, conversioni autentiche...)
Chiediamoci noi giovani che coscienza abbiamo di questi momenti e come riusciamo a usarli per un autentico cammino di fede .
Se non abbiamo esperienza noi dell’incontro trasformante con il Signore, come ci preoccupiamo di verificarne gli effetti in altre persone che hanno l’hanno vissuto?
d. Coppie
L’amore incondizionato, vero, autentico, liberante, senza ma e senza se, che ci accoglie così come siamo, che non pretende da noi il cambiamento, che non guarda i nostri meriti, non pone condizioni, accarezza i nostri limiti e i nostri errori, che non chiede nulla in cambio … questo è l’amore che Gesù dimostra a Zaccheo, che fa sperimentare a ognuno di noi. Quando ci si sente amati così il sentimento che risiede nel nostro cuore è la gioia (lo accolse con gioia), e l’esperienza nuova che si vive ci porta ad un cambiamento naturale: se siamo felici non possiamo non vedere la vita, il mondo, le persone con occhi diversi, tutto intorno a noi assume un aspetto nuovo, così come è avvenuto per Zaccheo che ha sperimentato la salvezza entrare nella sua casa.
Attraverso questo amore ci sentiamo liberi di essere noi stessi, sentiamo di poterci liberare dalle maschere che avevamo indossato per far vedere di essere migliori, più bravi, più intelligenti, più belli più … più … più!
L’amore autentico, incondizionato è un amore liberante, perché ci permette di conoscerci e di farci conoscere all’altro per quello che siamo veramente.
Nell’amore sponsale c’è il privilegio di poter sperimentare ogni giorno la gioia di essere liberati dall’amore dell’altro, ma è un cammino da fare
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insieme come coppia, con l’aiuto e la guida di Gesù, e attraverso il confronto e la comunione con altre coppie con cui condividere la strada.
La coppia sponsale è l’immagine sulla terra dell’Amore di Dio che si manifesta nella Trinità, ma dobbiamo avere consapevolezza di questo facendo un cammino spirituale, allenandoci ogni giorno tra noi a vivere il nostro amore nello stesso modo in cui Dio ci ama, coltivando la fiducia nell’altro, sperimentando una relazione profonda e autentica che arrivi all’intimo del nostro essere, aprendoci ad altre coppie e non rimanendo chiusi nella solitudine della nostra quotidianità, vivendo nella gioia che nasce dall’incontro con Gesù, avendo il coraggio di raccontare la bellezza del nostro amore anche nella fatica e nel dolore. Così chiunque ci incontra avrà desiderio di farlo ancora, di chiederci la ricetta della nostra felicità e forse potrà dire di aver avuto occasione di incontrare Gesù incontrando noi.
e. Carità e testimonianza
La folla mormora, ma Gesù non se ne preoccupa ed entra in casa di Zaccheo come se fosse l’unica cosa che conta in quel momento. L’unico passo di Gesù è quello di entrare in casa e la vita di Zaccheo cambia: Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. A volte la carità ci chiede di “comprometterci”, di entrare a contatto con le miserie dell’altro, ma ancora prima ci chiede di vedere le nostre miserie e tutto questo è difficile, è faticoso. La folla mormora, come i nostri pregiudizi, le nostre convezioni sociali, che mormorano volendoci far stare lontani dalle nostre e altrui povertà. Dobbiamo avere il coraggio di Zaccheo di accogliere il Signore che viene ad incontrarci e a sanare le ferite e siamo invitati a fare lo stesso con gli altri. La carità, l’amore pieno, ci chiede di essere coraggiosi e di andare contro corrente, di fidarci di Dio e della persona che abbiamo di fronte, perché solo così saremo veramente liberi dai compromessi del mondo, per vivere nella libertà, accogliendo Dio Amore che si compromette con la nostra vita.
Quali pregiudizi mi fanno essere parte della folla? Riesco ad accogliere il desiderio di “vicinanza e accoglienza” dei poveri, di chi ha sbagliato, di chi è appena arrivato alle porte della nostra città, di chi è lontano? Riesco a superare le convenzioni sociali che mi impongono di stare lontano dall’altro? Le riconosco: quali sono?
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Come potrei provare a sperimentare il coraggio di entrare in casa altrui per essere d’aiuto? Ho paura di “compromettermi” nel rapporto con i “respinti” dalla società? Quali sono le mie paure, quali gli ostacoli? Sono portato al facile giudizio, oppure riesco ad essere libero nell’incontro con l’altro?
Compromettersi con gli altri è un “partire da sé” per incrociare la mia storia con quella di altri? I missionari sono spinti a questo perché la vita, propria e degli altri, possa incontrare quella di Gesù che desidera compromettersi con l’uomo? Sento dentro di me questo desiderio di “partire” perché altri possano incontrare Gesù attraverso di me?
f. Spunti per attività
Attività n. 1. Diversi atteggiamenti verso Cristo
Montale, grande poeta del ‘900 italiano (1896‐1981), ha scritto nella notte di Natale del 1970.
Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro per vedere il Signore se mai passi.
Ahimè, non sono un rampicante ed anche stando in punta di piedi non l’ho mai visto
[E. MONTALE, Come Zaccheo]
È possibile confrontare questa poesia di Montale con il salmo 8, facendo individuare le differenze nell’atteggiamento che i due autori hanno verso Dio.
«Se guardo il tuo cielo Opera delle tue dita,
La luna e le stelle che tu hai incastonato Nella volta del cielo; allora – mi chiedo – che cosa
È l’uomo perché ti ricordi di lui, Un figlio di uomo perché tu te ne dia pensiero?»
Nella poesia di Montale parla un uomo che non ha incontrato Gesù e
che forse neanche si preoccupa troppo di cercarlo (non sono un rampicante). Nel Salmo 8 parla un uomo che ha un atteggiamento di
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stupore, riuscendo a trovare in ogni cosa del creato un segno della Sua presenza. Persino riesce a stupirsi dell’amore che Dio da ha per l’uomo.
Chiedere ora ai giovani di riflettere su quale sia il loro personale atteggiamento verso Dio ed esprimerlo in una poesia o una storia. È possibile anche invitarli a mettere in scena un aneddoto della loro vita o una situazione inventata che esprima il loro rapporto con Dio.
Attività n.2. Diversi atteggiamenti verso Cristo
Riflessione
Zaccheo vuole vedere chi sia Gesù per una grande curiosità, perché ne sente parlare. Io sento il desiderio di incontrare Gesù?
Zaccheo ha difficoltà a scorgere Gesù, perché non è molto alto e la folla lo copre. Quali sono le difficoltà che mi impediscono di vedere Gesù? Quando e come gli chiudo la porta del mio cuore?
Chi o cosa è il mio sicomoro?
Attività
I ragazzi scrivono sotto la sagoma della porta chiusa le negatività che concretamente nella loro vita quotidiana impediscono loro di incontrare Gesù.
Sotto la sagoma del sicomoro scrivono i loro tentativi di superare la loro insicurezza, che però altro non sono che maschere.
Sotto il disegno della casa possono invece scrivere quali sono quelle cose autentiche che vorrebbero dire a Gesù. Quelle cose loro intime che potrebbero rivelare solo fidandosi davvero di qualcuno che li ama.
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g. Momento celebrativo a sfondo vocazionale
Per la guida: ascoltando l’invito di Gesù che ci chiede di pregare perché il Padre mandi operai nella sua messe (Lc 10,2) proponiamo uno schema di preghiera per le vocazioni. Lo schema può essere usato sia da giovani ancora in ricerca che da adulti che hanno già scelto la propria vita. Questo schema di preghiera è diviso in due parti: «cercava di vedere» e «il Figlio dell’uomo è venuto a cercare». Nella prima parte viene presa in considerazione la nostra ricerca, il nostro tentativo di trovare ed incontrare il Signore, nel secondo momento invece vedremo, che Gesù ci precede e ci trova per primo: la vocazione è la risposta a questa ricerca compiuta da Gesù.
Canto iniziale (a scelta) Segno di croce e saluto del presidente (altrimenti segno di croce
semplice)
Invocazione dello Spirito Santo
Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di sapienza: donami lo sguardo e l'udito interiore, perché non mi attacchi alle cose materiali, ma ricerchi sempre le realtà spirituali.
Vieni in me, Spirito Santo, Spirito dell'amore: riversa sempre più la carità nel mio cuore.
Vieni in me, Spirito Santo, Spirito di verità: Concedimi di pervenire alla conoscenza della verità in tutta la sua pienezza.
Vieni in me, Spirito Santo, acqua viva che zampilla
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per la vita eterna: fammi la grazia di giungere a contemplare il volto del Padre nella vita e nella gioia senza fine. AMEN.
Canto dell’Alleluia e proclamazione del Vangelo Sarebbe bene avere due candele vicino a chi legge.
Primo momento:
“Cercare di vedere”
Riflessione Zaccheo si dimostra interessato dalla figura di Gesù, ostacolato dalla
folla, dai suoi peccati (capo dei pubblicani), e dalla sua bassa statura non si scoraggia, sale su un sicomoro, una splendida pianta, per vedere Gesù.
Leggendo, in modo figurato, gli ostacoli che Zaccheo incontra nel suo cammino per incontrare il Signore, come si concretizzano nella tua vita? Cos’è per te la folla che ti impedisce di vederlo? Quali sono i tuoi peccati che ti imbrigliano nel loro giudizio di condanna senza possibilità di appello? In che senso sei “basso di statura”e che giudizio hai di te? Come superi questi ostacoli? Chi è o cosa è il tuo “sicomoro”? Infine, vuoi vedere Gesù? Perché?
Pausa di riflessione e silenzio
Segno Si porta una icona di Gesù e la si mette su un luogo in vista, quindi tutti
uno alla volta ci si reca davanti facendo una preghiera personale o comunque un segno di riverenza. Nel frattempo si esegue un canto.
Secondo momento:
“Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare”
Riflessione Gesù scorge Zaccheo e lo chiama per nome, la parola di Gesù è
spiazzante, «scendi subito, devo fermarmi in casa tua», Zaccheo lo accoglie,
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e come un principio rigeneratore Zaccheo viene trasformato da questo incontro.
Gesù guarda Zaccheo, Gesù ti guarda, come pensi che ti guardi il Signore? Gesù ti chiama per nome, ha interesse alla tua vita, ne sei consapevole? Sei certo che il Signore ti cerca e ti ama? Il Signore vuole fermarsi a casa tua, hai del tempo per sostare insieme a Lui? Provi a fare bella figura davanti al Signore oppure ammetti i tuoi errori? Che cambiamenti hai notato nella tua vita incontrando il Signore? Sei disponibile al cambiamento e alla proposta del Signore?
Pausa di riflessione e silenzio
Segno Viene consegnato a ciascuno un foglietto con scritta la frase: «scendi
subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Nel frattempo si esegue un canto.
Testimonianza e/o condivisione Se lo si ritiene opportuno si potrebbe ascoltare una testimonianza di una
vocazione, altrimenti si può condividere una delle domande della riflessione.
Padre Nostro
Benedizione e saluto.
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“Sulla soglia del credere” Se un tempo la teologia era impegnata a prendere in considerazione
l’ateismo soprattutto per condannarlo, oggi essa ha intrapreso un aperto dialogo con gli atei, per comprendere i motivi della loro posizione e vedere se tali motivi non offrano preziosi elementi per una purificazione e un approfondimento dello stesso atteggiamento di fede. In campo protestante, sotto l’influsso della “teologia dialettica”, si e persino giunti a ritenere l’ateismo un punto di partenza per la “fede” più favorevole che non la stessa “religione”.
La “svolta antropologica” parte da questo dato di fatto:partire dall’uomo e dal suo rapporto con Dio facendo riferimento, attraverso i concetti teologici, all’intimità di questo rapporto ed appellandosi a questa intimità per comunicare i concetti. Non e possibile partire dal discorso su Dio senza prendere le mosse dall’unico dato che ci e possibile prendere in esame, il rapporto tra questo Dio e gli uomini, partendo dall’esperienza che gli uomini come collettività e come singoli hanno di questo rapporto. Un approccio di questo tipo permette un dialogo molto efficace. Una teologia attenta al rapporto tra l’uomo e Dio parla innanzitutto la lingua degli uomini ed e attenta alla comprensione che gli uomini hanno di loro stessi in una determinata epoca. Karl Rahner cosi bene esprime il metodo di questa nuova teologia: «la teologia e genuina e predicabile solo nella misura in cui riesce a entrare in contatto con tutta l’auto interpretazione profana che l’uomo possiede in una determinata epoca, a entrare in dialogo con essa, ad assimilarla e a lasciarsene fecondare per quanto riguarda il linguaggio, ma ancor più per quanto riguarda la cosa stessa».
È corrente parlare, oggi, di “nuove culture” e di “nuova cultura” in occidente. “Nuovo” vuole indicare una relazione di tempo, ma anche, e specialmente, di contenuto: una realtà che succede ad un’altra e si presenta diversa nel suo insieme, sia in se, sia in riferimento ad altre realtà dello stesso genere. In concreto, la cultura e le culture odierne dell’occidente hanno assunto una configurazione del tutto diversa da quella di ieri e si trovano in una situazione di rottura o di divorzio rispetto alla fede cristiana che prima le animava e vi si esprimeva. Naturalmente, e un “nuovo” in divenire, il “moderno” non ha del tutto cancellato il “pre‐
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moderno”, ed, in esso, va sempre più emergendo il “post‐moderno”. Rimane tra loro un qualche legame, ma ognuna delle tre epoche ha una propria peculiare fisionomia. L’annuncio cristiano, per poter dare e poter, allo stesso tempo, ricevere, non può non conoscere il suo destinatario. È necessario conoscere la persona, le condizioni di vita, le attese, le speranze, i problemi dell’”annunciato”. Oggi, pero, questa conoscenza del destinatario dell’annuncio cristiano e molto più difficile che in passato, data la grande complessità e problematicità di scoprire la vera identità culturale della società contemporanea. Circa mezzo secolo fa, al tempo in cui era maturata l’impostazione umanistica della cultura, ed il dialogo poteva fruttuosamente basarsi sulla condivisione delle speranze e delle angosce di vera umanità del mondo moderno, sulla necessita ed urgenza di promuovere dei processi di liberazione e di emancipazione dei popoli, sulla ricerca di ideali nuovi di partecipazione e di democrazia, e stata possibile la redazione della “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano Il.
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CONTRIBUTO per L’ANIMAZIONE LITURGICA
DOMENICALE e FESTIVA
II domenica del T.O./c
(20 gennaio)
Idea guida per l’animazione:
INVITATI AL BANCHETTO, CON CRISTO ENTRIAMO IN POSSESSO DELLA
SUA GLORIA.
Intenzione di preghiera: Donaci, o Padre, di non tacere lo stupore di quanto hai operato in noi;
annunciare a tutti i popoli la meraviglia di essere chiamati tua gioia e, nella diversità dei carismi provenienti dall’unico Spirito, avere la prontezza di fare tutto quello che ci dirai per trasformare la nostra esistenza da acqua insapore a vino molto buono che rallegra la vita dei nostri fratelli.
III domenica del T.O./c
(27 gennaio)
Idea guida per l’animazione:
INVIATI DAL SIGNORE A TESTIMONIARE CHE LE SUE PAROLE SONO
SPIRITO E VITA.
Intenzione di preghiera: Aiutaci, o Signore, a scoprire l’onore di essere membra dell’unico corpo
che è la Chiesa e fa’ che, radicati nella tua Parola, essa si compia nella nostra vita e risvegli in noi la consapevolezza di essere stati consacrati con l’unzione per portare a quanti, prigionieri e oppressi, piangono a causa della “legge del peccato”, il lieto annunzio che nella tua Parola si realizza ogni liberazione.
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Presentazione del Signore
(02 febbraio)
Idea guida per l’animazione:
I NOSTRI OCCHI HANNO VISTO LA SALVEZZA IN COLUI CHE SI È RESO IN
TUTTO SIMILE AGLI UOMINI.
Intenzione di preghiera: O Signore, che facendoti in tutto simile a noi, ti prendi cura di quanti
sono nella prova, donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli e fa’ che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti.
Tu che sei luce delle genti e gloria del tuo popolo, illumina quanti cercano la verità e concedici di incontrarti ogni volta che, nel tuo tempio santo, vieni a noi nelle Specie Eucaristiche ed un giorno beneficiare di quella salvezza che i nostri padri hanno “visto nella fede”.
IV domenica del T.O./c
(03 febbraio)
Idea guida per l’animazione:
COSTITUITI PROFETI DELLE NAZIONI, TESTIMONIAMO CON LA VITA LA
PERENNITÀ DELLE VIRTÙ TEOLOGALI
Intenzione di preghiera: Accordaci, o Signore, di desiderare ardentemente i carismi più grandi e,
come profeti scelti prima che fossimo creati nel grembo di nostra madre, non soltanto con la bocca, ma con tutto noi stessi, raccontare la salvezza che tu ci hai acquistato con la tua Pasqua. Della fede concedici la fermezza, della carità l’ardore, della fede concedici incrollabile certezza. Donaci il desiderio dell’eroismo in ogni virtù e la fiducia di raggiungere la santità.
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V domenica del T.O./c
(10 febbraio)
Idea guida per l’animazione:
INVIATI DAL SIGNORE AD ESSERE PESCATORI DI UOMINI TRASMETTENDO
LA FEDE CHE, NELLA CHIESA, ABBIAMO RICEVUTO.
Intenzione di preghiera: Ancora oggi, o Signore, fai risuonare nelle nostre orecchie l’invito a
prendere il largo e “gettare le reti” ad un popolo sempre più dalle labbra impure; donaci il coraggio di rispondere «Eccomi, manda me!» perché ciascun uomo, ascoltando le parole che escono dalla nostra bocca che trasmette la fede ricevuta, possa scoprire di essere oggetto del tuo compiacimento, cantare che grande è la tua gloria e diventare erede della
vita eterna.
Indice
Presentazione introduttiva dell’itinerario diocesano 1
Il sussidio 3
La terza tappa. La fede sperimentata 4
Introduzione 4
1. Primo Modulo. La tristezza per la relazione rifiutata 5
a. Approfondimento esegetico 5
b. Il filo rosso 8
c. Giovani 10
d. Coppie 11
e. Carità e testimonianza 12
f. Spunti per attività 13
g. Momento celebrativo 16
2. Secondo Modulo. La lode per la relazione accolta 18
a. Approfondimento esegetico 18
b. Il filo rosso 20
c. Giovani 22
d. Coppie 23
e. Carità e testimonianza 25
f. Spunti per attività 26
g. Momento celebrativo 30
3. Terzo Modulo. La gioia del cambiamento 35
a. Approfondimento esegetico 35
b. Il filo rosso 37
c. Giovani 39
d. Coppie 40
e. Carità e testimonianza 41
f. Spunti per attività 42
g. Momento celebrativo 44
“Sulla soglia del credere” 47
Contributo per l’animazione liturgica domenicale e festiva 49
Finito di stampare nel mese di Gennaio 2013
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