studio dei livelli di ossitocina e bdnf nei pazienti con còrea di … · 2017-03-22 · la cÒrea...
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Corso di laurea in Farmacia
Anno Accademico 2013 – 2014
Titolo:
Studio dei Livelli di Ossitocina e BDNF
nei pazienti con Còrea di Huntington
Candidato:
Roberto Marino
Relatore: Correlatori:
Prof. Gino Giannaccini Dr.ssa Lionella Palego
Prof. Antonio Lucacchini
1
INDICE LA CÒREA DI HUNTINGTON
1.1 Insorgenza e sintomatologia……………………….......…pg 5
1.2 Basi genetiche…………………………………………......pg 11
1.3 Terapia farmacologica………………………………...…pg 15
1.4 Neuropatologia……………………………………………pg18
OSSITOCINA
2.1 Struttura dell'ossitocina………………………………....pg 20
2.2 Sintesi dell'ossitocina……………………………….....…pg 23
2.3 Il gene dell'ossitocina…………………………….....……pg 28
2.4 Recettore dell'ossitocina e vie di trasduzione del
segnale…………………………………………….......………pg 30
2.5 Il gene del recettore dell'ossitocina………...……………pg 32
2.6 Ruolo fisiologico……………………….....………………pg 33
2.7 Ossitocina a livello periferico………....…………………pg 35
2.8 Ossitocina nel SNC…………….........……………………pg 38
LE NEUROTROFINE
3.1 Formazione delle neurotrofine…………………..........…pg 41
3.2 I recettori delle neurotrofine…………………….........…pg 462
3.3 Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF)- Ruolo
fisiologico……………………………………......................…pg 48
3.4 Sintesi e secrezione del BDNF…………………………...pg 50
3.5 Il gene del BDNF umano……………………………........pg 54
3.6 Trasporto anterogrado e retrogrado del BDNF…..……pg 57
STATO DELL’ARTE
4.1 Ossitocina e cognizione sociale nella malattia di
Huntington………………………………....................………pg 61
4.2 Il BDNF nella malattia di Huntington…………….........pg 64
RAZIONALE E OBIETTIVI DELLO STUDIO
5.1 Scopo della tesi………………………………….......……pg 70
MATERIALE E METODI
6.1 Campionamento e prelievi……………….........…………pg 74
6.2 Valutazione clinica e neuropsicologica……….........……pg 77
6.3 Prelievo ematico……………………………….....………pg 79
6.4 Estrazione dell’ossitocina dal plasma ………......………pg 80
6.5 Dosaggio EIA dell'ossitocina plasmatica……..…………pg 82
6.6 Trattamento e lisi delle piastrine per l'analisi del
BDNF……….................................................................………pg 84
6.7 Dosaggio del BDNF con metodica ELISA………………pg 85
6.8 Preparazione della piastra e procedura………...………pg 87
6.9 Dosaggio proteico con metodo di Bradford….…………pg 913
6.10 Analisi statistica………….......................................……pg 93
RISULTATI E DISCUSSIONE
7.1 Valutazione neuropsicologica………....................………pg 94
7.2 Livelli ematici di ossitocina ………......................………pg 97
7.3 Livelli intrapiastrinici di BDNF…..............……………pg 104
CONCLUSIONI pg 110
4
LA CÒREA DI HUNTINGTON
1.1 Insorgenza e sintomatologia
La Còrea di Hungtington (HD) è una malattia genetico-degenerativa
che si manifesta nella popolazione mondiale con un’incidenza di 4-
7 casi ogni 100.000 individui (Ross et al., 2011). Vede alterata la
coordinazione muscolare ed un progressivo declino cognitivo, in
molti casi accompagnato da problemi psichiatrici.
Il nome di questa malattia deriva dal suo scopritore, il medico
inglese George Huntington, che fu il primo a descriverla nel 1872
come una “chorea”, termine greco che indica “danza”, per i
movimenti involontari degli arti, del viso, del collo e del tronco che
si manifestano all’insorgere della malattia.
L’esordio di questa patologia neurodegenerativa avviene in genere
in età adulta, fra i 35 ed i 50 anni; più raramente può comparire
prima dei 20 anni oppure oltre i 65 anni e in vecchiaia.
La forma giovanile, ad esordio prima dei 20 anni, rappresenta circa
il 10% dei casi di HD; di questi, circa il 2% presenta segni di
malattia prima dei 10 anni (Rasmussen A et al. 2000).
La forma più frequente di HD, con esordio in età adulta, presenta un
decorso che può essere suddiviso schematicamente in tre stadi.
Il primo stadio di malattia consiste in una lieve e progressiva
riduzione delle performance intellettive dei pazienti, accompagnata5
da cambiamenti del tono dell’umore, depressione, ansia, irritabilità,
apatia e alterazioni comportamentali.
Questi sintomi possono precedere di mesi o anni la comparsa dei
sintomi motori e per questo l’esordio della malattia può essere in
alcuni casi non facilmente riconoscibile. Tuttavia, alcune lievi
alterazioni motorie, quali un certo impaccio nei movimenti
volontari, la presenza di lievi ed occasionali movimenti involontari,
miocloni, tic e iperreflessia, o alterazioni dei movimenti oculari
possono essere rilevati all’esame neurologico già in questa prima
fase.
Nello stadio intermedio, il quadro clinico è caratterizzato dalla
comparsa dei sintomi tipici della Còrea, quindi da movimenti
involontari rapidi, aritmici ed afinalistici. La distribuzione e la
gravità del disturbo coreico possono variare da movimenti appena
percettibili, fino a movimenti molto violenti, particolarmente
disabilitanti, che interessano tutti i segmenti corporei, con gravi
conseguenze sulla qualità di vita del paziente. Con il progredire
della malattia, al disturbo coreico si sovrappongo rigidità e
bradicinesia (lentezza nei movimenti) che compromettono l’attività
motoria volontaria rendendo l’andatura instabile. Inoltre si ha anche
compromissione del linguaggio (disartria), accompagnata da
difficoltà nella deglutizione (disfagia) e distonia (contrazione
muscolare tonica con ripetitivi movimenti di torsione o assunzione
di posture anomale); disartria, disfagia e distonia possono,
6
raramente, essere presenti già nelle prime fasi di malattia, ma
rappresentano la caratteristica prominente dello stadio intermedio,
dove divengono sempre più evidenti.
Nella fase avanzata il quadro neurologico è caratterizzato da un
marcato rallentamento dei movimenti volontari, da pronunciata
rigidità e presenza di posture distoniche. I pazienti necessitano di
aiuto nelle attività della vita quotidiana, per la deambulazione, per
vestirsi, alimentarsi e per la cura dell’igiene personale. Anche il
linguaggio diventa molto difficoltoso. La difficoltà a deglutire può
richiedere particolari modificazioni alimentari che, nei casi più
avanzati, necessita alimentazione tramite PEG (“Percutaneous
Endoscopic Gastrostomy”), un tipo di nutrizione artificiale
necessaria a quei pazienti che a causa di disturbi neurologici e/o
disturbi fisici del primo tratto digerente, non riescono a nutrirsi in
autonomia.
Presenta gli stessi vantaggi dell'alimentazione per via parenterale e
in più permette il mantenimento della funzionalità intestinale ed una
più facile gestione del paziente a domicilio.
Anche se il deficit cognitivo e comportamentale in questo stadio
incrementa in modo devastante, i pazienti possono conservare un
grado significativo di comprensione della loro condizione. Questo
aspetto della malattia riveste sempre più rilievo perché è quello di
maggior impatto sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari;
7
inoltre, è rilevante sottolineare che, in alcuni casi, le alterazioni del
profilo cognitivo possono essere già evidenziate 15 anni prima
dell'esordio motorio (Paulsen JS, 2008). Il quadro clinico,
schematizzato nelle tre fasi sopradescritte, è tuttavia complesso ed
eterogeneo, con sovrapposizione di sintomi psichiatrici, psicologici
e motori variabili da individuo ad individuo.
È una malattia neurodegenerativa ereditaria dominante: basta che
uno solo dei due alleli sia mutato perché si sviluppi la malattia. La
HD fa parte di un gruppo di malattie ereditarie dovute ad un tipo
particolare di mutazione genica, l’ espansione di triplette. A questo
gruppo di malattie genetiche appartengono la sindrome dell’X
fragile, la distrofia miotonica e le atassie spinocelebrali.
Nel caso particolare della HD, l’espansione è a carico della tripletta
CAG (che codifica per l’amino acido glutammina) presente nel
primo esone del gene IT15 (Interesting Trascript 15), localizzato sul
braccio corto del cromosoma 4 (Gusella JF et al., 1983). Il locus
genico codificante per IT15 è molto esteso, con una lunghezza pari
a circa 180kb, ed è costituito da 67 esoni dalle dimensioni variabili
comprese tra le 48 e le 341 paia di basi. Al terminale 5’ del gene,
nel primo esone e circa 370 nucleotidi a valle del sito ATG d’inizio
della trascrizione, si trova una sequenza trinucleotidica ripetuta,
CAG, codificante per l’amminoacido glutammina. La ripetizione
costituisce un sito polimorfico nella popolazione, in quanto il
numero delle ripetizioni è variabile da individuo ad individuo (da 4
8
a 35 glutammine). Si è visto a questo proposito che già 36
ripetizioni della tripletta CAG, sono causa dell'insorgenza di alcuni
tratti caratterizzanti la malattia.
È stato inoltre evidenziato, se pur con approssimazione, che il
numero di ripetizioni di questi residui glutamminici nella proteina è
correlato all'età d’insorgenza della malattia in maniera inversamente
proporzionale.
Per stabilire se un paziente è affetto da HD o meno viene utilizzata
una scala di valutazione chiamata UHDRS (Unified Huntington's
Disease Rating Scale) dal gruppo di studio americano Huntington
Study Group. I risultati ottenuti vengono interpretati da neurologi
altamente qualificati e specializzati.
La scala UHDRS è uno strumento di ricerca sviluppato per fornire
una valutazione uniforme delle caratteristiche cliniche dei pazienti
con HD. Il questionario UHDRS è stato sottoposto a numerosi test
di affidabilità e validità ed è stato utilizzato come misura di esito.
Come altri tipi di questionari clinici, questa scala di valutazione per
i sintomi della HD prevede un punteggio “soglia” oltre il quale la
sintomatologia acquisisce importanza nella diagnosi e nel “follow-
up” dei pazienti (Siesling et al., 1998).
La scala UHDRS si avvale di 6 componenti o “items” principali che
comprendono:
9
1. Valutazione motoria
2. Valutazione cognitiva
3. Valutazione del comportamento
4. Scala di indipendenza
5. Valutazione funzionale
6. Capacità totale funzionale (TFC).
L’utilizzazione di questa scala di valutazione evidenzia quindi
l'impossibilità di diagnosticare la malattia prima dell'insorgenza dei
sintomi psichiatrici e motori.
Il metodo più sicuro da utilizzare per la diagnosi precoce di malattia
è chiaramente l’attuazione di uno screening genetico mirato, con la
valutazione diretta della presenza del numero di ripetizioni della
sequenza CAG codificante per la glutammina sul gene IT15
localizzato sul cromosoma 4.
Tuttavia, questo test, che è il più affidabile, non viene ancora
applicato come screening diagnostico nella popolazione generale,
perché laborioso e costoso. Viene applicato solo per confermare la
diagnosi.
La ricerca neurologica in questo settore si sta anche adoperando per
trovare marcatori biologici, o “biomarkers”, che siano in grado di
“seguire” il decorso della malattia ovvero, nel migliore dei casi, di
prevedere interventi terapeutici mirati al fine di prevenire o
ritardare le fasi della HD altamente invalidanti.
10
1.2 Basi geneticheL'alterazione genetica riscontrabile nei pazienti con HD è legata,
come detto prima, alla variazione del numero di glutammine
presenti nella proteina huntingtina (HTT)(Illustrazione 1). Poiché la
malattia si presenta solo in pazienti con un numero di glutammine
maggiore del normale a carico della HTT, questa viene quindi
classificata come una “malattia da poliglutammine”.
Ciò che questa mutazione determina non è ancora chiaro. Le ipotesi
più accreditate sono la ridotta efficacia della proteina (“loss of
function hypotesis”), l’acquisizione di caratteristiche tossiche
(“gain of function hypotesis”) o entrambe.
11
Illustrazione 1: Rappresentazione grafica dell'alterazione che è causa della malattia
Le prime osservazioni che hanno seguito il clonaggio del gene
dimostravano che l'HTT normale e quella mutata erano equamente
distribuite nelle cellule dei pazienti con HD. Dal punto di vista del
danno neuronale, l’area cerebrale maggiormente colpita
dall’espressione di questa proteina anomala è il corpo striato
(Halliday GM et al., 1998; Vonsattel JPG 2008), componente
sottocorticale del telencefalo.
Questo rappresenta la stazione di input più importante del sistema
dei nuclei alla base.
E' un voluminoso insieme di nuclei che deve il suo nome ad una
particolare organizzazione strutturale. È infatti composto da un
alternanza di formazioni grigie intersecate da fasci di sostanza
bianca che conferiscono alla struttura il particolare aspetto striato.
processi cognitivi che coinvolgono la funzione esecutiva.
Tenendo conto di questa osservazione, si è andata sempre più
accreditando l'ipotesi che la HD fosse un malattia innescata e
sostenuta dalla tossicità dell' HTT mutata.
A questo proposito, è stato possibile osservare che in pazienti con
HD l’HTT si trova in forma insolubile (Davies SV et al., 1997;
DiFiglia M et al 1997), indice di un alterato processamento e
conservazione della conformazione nativa.
L'ipotesi della tossicità (Ross CA et al., 2011) viene anche
supportata dal fatto che la HD non è l'unica patologia da espansione
della tripletta CAG.
Il fatto che in tutti i casi in cui si presenta una sequenza elongata di
poliglutammine si riscontri tossicità porta a dedurre che le
poliglutammine siano di per sé tossiche.
La ricerca ha così concentrato i suoi sforzi sulla mutazione, onde
capire i meccanismi alla base di tale tossicità.
Un primo risultato è stato dimostrare che il tratto poliglutaminico
presenta, di fatto una funzione tossica intrinseca.
È stato ampiamente descritto in letteratura che il tratto
poliglutamminico, sia in una piccola porzione amino-terminale
della proteina HTT, sia in proteine diverse da questa , è in grado di
evocare tossicità una volta espresso in modelli animali, o cellulari, o
persino in piccoli organismi come la Drosophila Melanogaster (il
moscerino della frutta).
Si è dunque concluso che la tossicità osservata in presenza di HTT
13
mutata fosse da attribuire alla sequenza poliglutamminica espansa.
Tra i risultati cruciali vi è l'osservazione che HTT subisce un taglio
proteolitico da parte di enzimi proteasici appartenenti alla famiglia
delle caspasi e, in particolare, che questa attività enzimatica
aumenta notevolmente in presenza della mutazione. L'azione delle
caspasi porta dunque all'ottenimento di diversi frammenti dell' HTT
mutata, che sono così in grado di attraversare la membrana
nucleare, e dare origine ad inclusioni.
Indubbiamente attenzione maggiore è stata attribuita allo studio
della parte amino terminale contenente il tratto di poliglutammine.
A questo proposito, Max Perutz (Perutz et al., 1994) ha indicato che
le poliglutammine si dispongono in modo da formare una struttura a
foglietto beta che promuove la formazione di legami con altri
frammenti di HTT mutata e con altre proteine ottenendo cosi degli
aggregati nucleari e citoplasmatici in grado di alterare la normale
architettura cellulare. Questi aggregati inoltre vanno a legare l' HTT
sana impedendole quindi di svolgere le normali funzioni.
In seguito a queste informazioni si è quindi pensato che l' HTT
mutata fosse la vera causa dell'insorgenza della malattia.
Altri studi sostengono però che gli aggregati rappresentino un
meccanismo di difesa della cellula per proteggersi dalla tossicità
indotta dall'espansione di poliglutammine.
Quale sia l'alterazione alla base della HD è quindi ancora in fase di
studio.
14
1.3 Terapia farmacologicaLe attuali terapie farmacologiche per la HD hanno l’obiettivo di
contrastare e alleviare i sintomi, non essendo in grado di prevenirne
la comparsa né di eliminarne la causa. I farmaci oggi disponibili
mirano infatti a diminuire i disturbi psicologici e i sintomi motori,
mentre non sono ancora disponibili farmaci che possano agire sul
deficit cognitivo.
Depressione, irritabilità, apatia e disturbi ossessivi vengono
controllati con farmaci ansiolitici quali le benzodiazepine (es.
alprazolam), antidepressivi triciclici (es. imipramina) o
antidepressivi di seconda generazione (atipici e inibitori selettivi del
re-uptake della serotonina o SSRIs), stabilizzanti dell’umore o
anticonvulsivanti (es. valproato di sodio). Questi farmaci vengono
spesso usati in combinazione e mostrano buoni risultati sul
controllo di sintomi psichiatrici quali soprattutto irritabilità, ansia e
depressione. Provocano spesso come effetto collaterale sedazione e
assuefazione.
In alcuni casi, i farmaci usati per il controllo dei disturbi dell’umore
hanno anche effetto sulla disfunzione motoria che caratterizza la
malattia. In particolare l ‘efficacia sul controllo dei movimenti di
alcune benzodiazepine e di alcuni inibitori della trasmissione
nervosa a livello centrale (inibitori della trasmissione di dopamina e
glutammato) è documentata da anni di utilizzo. Sono purtroppo
altrettanto noti anche i possibili pesanti effetti collaterali quali
15
sintomi Parkinson-simili, disturbi dell’equilibrio, apatia e/o distonia
tardiva.
Attualmente, buoni risultati con minori effetti secondari possono
essere ottenuti con gli antidepressivi atipici o di seconda
generazione (es Trazodone, Venlafaxina).
Per il controllo dei sintomi psicotici nei pazienti con HD, gli
antipsicotici atipici (es. olanzapina) sono preferenziali; infatti gli
antipsicotici tradizionali quali i neurolettici (es. aloperidolo) sono
di largo impiego per il controllo del disturbo psicotico ma possono
presentare gravi effetti collaterali di tipo motorio, sindrome
parkinsoniana, discinesia tardiva e depressione, peggiorando
l’evoluzione della sintomatologia nel tempo.
Le strategie del domani mirano ad una terapia che protegga i
neuroni dalla morte cellulare o ne ritardi la degenerazione
attraverso approcci farmacologici o terapie riparative, quali il
trapianto cellulare, contrastando in tal modo l’insorgere e il
progredire della malattia.
Sono in corso studi di efficacia e tossicità di nuovi potenziali
farmaci per l’HD sia sull’uomo, sia sugli animali.
Particolare interesse è rivolto a sostanze con attività non mirata alla
trasmissione a livello centrale, quali il coenzima Q10, la creatina e
il Miraxion (acido eicosapentaenoico, EPA). Lo studio CARE-HD
coordinato dall’Huntington Study Group (HSG) e dal dottor Kieburt
(1996) negli Stati Uniti ha mostrato su un ridotto numero di soggetti
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che il CoenzimaQ, attivo nei processi di produzione dell’energia
intracellulare, può rallentare la progressione della malattia,
risultando ben tollerato.
Ciò che i ricercatori trovano difficile a spiegarsi è il fatto che questa
alterazione provoca danno solamente in alcune zone del cervello
(nello striato) e non in altre. Inoltre, la teoria di proteine striato-
specifiche non è stata riscontrata in nessuno studio affrontato.
Lo studio di Zuccato e Cattaneo (Zuccato e Cattaneo, 2014) è stato
incentrato sulla ricerca e comprensione dell’attività dell' HTT sana
tramite tecniche di ingegneria genetica.
È stato valutato il comportamento di cellule cerebrali poste in
coltura dopo aggiunta di HTT umana nella forma normale, non
patologica, e nella forma mutata.
Si è così notato che le cellule che sovra esprimono l' HTT sana sono
resistenti a vari stimoli che portano all’apoptosi.
Sulla base di questi dati si è concluso che l' HTT è una molecola
anti-apoptotica confermando, in un certo modo, l'ipotesi di un “loss
of function”, riconfermata da studi americani che sottolineavano in
modelli animali, come, dopo deplezione dell' HTT normale, si
induceva morte neuronale di tipo apoptotico che si presentava con
gli stessi sintomi della HD.
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1.4 NeuropatologiaNella HD è stata riscontrata una massiva perdita neuronale a carico
della regione striatale (Halliday et al., 1998; Vonsattel JPG 2008)
(95% di neuroni “medium sized spyn” che proiettano al globus
pallidus e alla substantia nigra) e della corteccia celebrale (Ross et
al., 2011) (sostanza bianca sottocorticale, talamo e ipotalamo).
Il processo neuropatologico colpisce la componente striatale e aree
del SNC, spiegando cosi iperfagia, ipersudorazione, disturbi
sessuali, e disturbi autosomici.
Si ha prima una degenerazione dei neuroni spinali medi dello striato
che inibiscono l’eccitazione corticale, ottenendo quindi un
ipereccitazione corticale che poi si traduce nei disturbi motori e
psichici descritti precedentemente.
È stato anche possibile evidenziare, attraverso studi
anatomopatologici, una consistente perdita neuronale a carico del
nucleo tuberale laterale e del nucleo paraventricolare, e
parallelamente, tramite esami immunoistochimici, si è anche vista
una riduzione della popolazione neuronale secernente il
nonapeptide ossitocina (OX) (prodotto dall’ipotalamo e secreto
dalla neuroipofisi nel circolo sanguigno), una molecola che regola
le emozioni sociali, l’attaccamento della madre alla prole o tra le
persone e l’empatia.
Quindi, le alterazioni del tono dell’umore, il disturbo motorio e la
perdita di funzioni cerebrali importanti quali la capacità di
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riconoscere le emozioni altrui, la scarsa empatia e la
compromissione delle abilità cognitivo-sociali riscontrate nei malati
di Còrea sono tutti sintomi da ascrivere a processi apoptotici di
popolazioni di neuroni secernenti specifici neurotrasmettitori,
neuromodulatori, neuropeptidi e neurotrofine. La ricerca delle basi
neurochimiche che sottendono le varie fasi della HD e lo studio dei
legami tra queste e l’alterazione del gene della proteina HTT
rappresentano uno tra i principali “targets” per la caratterizzazione e
il trattamento di questa invalidante patologia neurologica. Se
molteplici sono i sistemi e i circuiti neuronali alterati nei pazienti
con HD, qui verranno messe in luce le possibili variazioni di due
parametri neurochimici strettamente associati alla capacità di
relazione sociale, al mantenimento del tono dell’umore/ansia nei
limiti fisiologici oltre che alle abilità di risposta ad eventi stressanti:
l’OX e la neurotrofina brain derived neurotrophic factor (BDNF).
19
OSSITOCINA
L’ormone neuroipofisario OX è stato il primo neuropeptide ad
essere sequenziato (1984) ed anche il primo sintetizzato nella sua
forma biologicamente attiva (1992). Il suo nome deriva dal greco:
ὀξύς (oxus) = veloce + τόκος (tokos) = nascita, e sta, quindi, per
“nascita rapida” a causa della sua attività uterotonica.
2.1 Struttura dell'ossitocina
Illustrazione 3: Rappresentazione grafica e struttura amminoacidicadell'ossitocina
20
E' un piccolo peptide costituito da 9 amminoacidi, la cui sequenza
è: cisteina, tirosina, isoleucina, glutammina, asparagina, cisteina,
prolina, leucina, glicina-NH2. E’ presente un legame a ponte
disolfuro tra le due cisteine in posizione 1 e 6 che conferisce alla
molecola una struttura in parte ciclica (Illustrazione 3). Il suo peso
molecolare è di circa 1007 daltons. La porzione carbossiterminale
subisce una reazione di α-ammidazione che si realizza durante i
processi di sintesi del peptide. Questa struttura è molto simile a
quella di altri nonapeptidi, tra cui la vasopressina, che differisce per
due soli residui aminoacidici, la fenilalanina in posizione 3 e
l’arginina in posizione 8. Queste sequenze sono “affiliate” a due
distinte famiglie di nonapeptidi con funzione neuroendocrina, la
famiglia dei peptidi dell’OX e quella dei peptidi della vasopressina
che differiscono soprattutto per l’AA in posizione 8, un AA neutro
per i peptidi della famiglia dell’OX o un AA basico (arginina o21
Illustrazione 4: Rappresentazione dei bersagli periferici di ossitocina e vasopressina.
lisina) per i peptidi della famiglia della vasopressina. In particolare,
le sostituzioni degli AA in posizione 3 e 8 sono alla base delle
affinità rispettive dell’OX e della vasopressina per i propri recettori
(Gimpl e Fahrenholz, 2001).
Nell’illustrazione 4 sono raprresentati schematicamente i principali
bersagli dell'ossitocina e della vasopressina.
22
2.2 Sintesi dell'ossitocinaL’OX è un peptide presente solo nei mammiferi placentari la cui
sede di sintesi è principalmente l'ipotalamo (Illustrazione 5).
Dall’ipotalamo, l’ormone viene poi trasportato in altre sedi del SNC
e in modo particolare nella neuroipofisi.
Nell'ipotalamo l’OX viene sintetizzata da due tipi di cellule: le
magnocellule e le parvocellule. Questi due tipi di cellule
differiscono per dimensione e localizzazione all’interno della
regione ipotalamica.
Le magnocellule, piu grandi, si trovano nel nucleo sopraottico e in
quello paraventricolare. Il peptide prodotto viene trasportato lungo
gli assoni alla neuroipofisi che funge da riserva dell'OX, la quale,
dopo opportuni stimoli, viene rilasciata nella circolazione sistemica.
23
Illustrazione 5: Ipotalamo e ipofisi
I neuroni parvocellulari, più piccoli, presenti nel nucleo
paraventricolare dell’ipotalamo, rilasciano l’OX che andrà ad agire
direttamente nel SNC.
Il rilascio da parte della neuroipofisi sembra avvenire in modo
indipendente, anche se gli incrementi dei livelli di OX sia periferici
che centrali sembrano coordinati.
L’OX, come altri ormoni peptidici, viene sintetizzata a partire da un
precursore peptidico di dimensione maggiore, “pro-ormone”, che,
nel caso specifico, prende il nome di “Preprossifisina” (Illustrazione
6). Esso comprende una sequenza segnale, la sequenza dell’ormone
stesso e quella della sua proteina vettore, chiamata Neurofisina I.
Queste ultime due sono legate tra loro dalla sequenza “GKR”,
rappresentata dal tripeptide “Glicina-Lisina-Arginina”.
La Preprossifisina è stata isolata nel 1977 attraverso tecniche di
isoelettrofocalizzazione e sequenziata successivamente grazie a
tecniche di clonaggio molecolare e ottenimento del cDNA a partire
24
Illustrazione 6: Schematizzazione zone di taglio Preprossifisina
da lisato di ipofisi di bovino. Essa è costituita da una sequenza di
oltre 100 amminoacidi avente un peso molecolare di 20 kD; nel
1992, ne fu individuato il gene responsabile della sua espressione
nell’uomo, costituito da tre esoni e localizzato nel cromosoma 20. Il
primo esone, in particolare, codifica per la sequenza segnale oltre
che per il nonapeptide, per il tripeptide GKR e per i primi dieci
amminoacidi della Neurofisina; il secondo e terzo esone codificano
rispettivamente per la parte centrale e carbossi-terminale della
Neurofisina. Quest’ultima, a sua volta, è costituita da circa
novantacinque residui amminoacidici, tra cui si trovano molte
cisteine impegnate nella formazione di ponti disolfuro. La sua
funzione non è ancora ben chiara, ma si ritiene che essa sia
fondamentale nel trasporto, nel ripiegamento e
nell’immagazzinamento dell’ormone, prima che questo venga
rilasciato.
Questa struttura, dopo essere stata sintetizzata, va incontro ad un
processamento enzimatico post-traduzionale dato dalla
combinazione di diverse attività consecutive a diversi livelli, che
portano alla liberazione della forma biologicamente attiva dell’OX.
Clamagirand C., nel 1986, scoprì che la sintesi parte da un enzima
ad attività endo proteasica dibasica, il quale opera un taglio tra
l’amminoacido basico Arginina della sequenza GKR ed il resto
della Neurofisina, separando, così, da quest’ultima l’intermedio
oxytocinil-Gly-Lys-Arg. Recentemente, l’enzima, individuato e
purificato nel 1986, è stato classificato come appartenente ad una
25
famiglia di endoproteasi definita “pro-ormone convertasi (PC)”,
tipica dei mammiferi, la quale riconosce, con alta specificità,
substrati rappresentati da uno o due amminoacidi basici.
Eggel Kraut-Gottanka R. et al., nel 2004, attribuirono questa attività
enzimatica, più precisamente, all’isoforma PC2.
La sintesi procede con la rimozione sequenziale dei due residui
Lisina e Arginina, per azione di un secondo enzima ad attività
esoproteasica, specifica per coppie di amminoacidi basici terminali;
da tale evento si ottiene il peptide intermedio oxytocinil-Gly.
Questo secondo enzima, rappresentato da una carbossipeptidasi di
tipo B, è stato isolato nel 1986, sempre a partire da lisato di
neuroipofisi di bovino.
L’oxytocinil-Gly subisce l’azione di un enzima peptidil-glicina alfa-
amidasi-monossigenasi (α-AE) avente attività di α-ammidazione sul
residuo aggiuntivo di Glicina (numero 10 della sequenza GKR) con
l’impiego di ossigeno molecolare.
Tra il 1983 e il 1993, si scoprì che l’enzima converte il precursore
oxytocinil-Gly-COOH nel composto finale oxytocinil-NH2, il quale
costituisce la forma matura dell’ormone. Grazie a quest’ultimo
passaggio, la molecola dell’OX è caratterizzata dalla presenza di
un ammino gruppo terminale aggiuntivo, a una delle estremità; oltre
a questo passaggio, all’altra estremità del peptide troviamo la
struttura ciclica, generata dalla formazione del ponte disolfuro tra i
due residui 1 e 6 di cisteina, all’interno della molecola. L’ ammino
gruppo terminale, la struttura ciclica, insieme agli amminoacidi
26
cisteina, tirosina e leucina, sono fondamentali per l’attività
biologica dell’ormone.
Tramite studi di cristallografia, si è osservato che dopo il taglio
endoproteolitico, i precursori intermedi e il peptide maturo stesso
rimangono, comunque, uniti intimamente alla Neurofisina tramite
giunzioni di tipo non covalente, rappresentate da interazioni
elettrostatiche e da legami idrogeno. È scaturita, inoltre, l’analogia
fra tali interazioni, sia nel caso del precursore di partenza, sia dopo
che questo è stato processato. Queste interazioni sono sostenute
principalmente dai residui di Cisteina e Tirosina, situati,
rispettivamente, in posizione 1 e 2 dell’anello.
Nel 1999 fu dimostrato sperimentalmente che questi composti
intermedi possedevano una certa affinità di verso la Neurofisina.
Grazie a queste interazioni, si ha la formazione di dimeri OX-
Neurofisina, i quali, tramite folding e assemblamento
multimolecolare, si organizzano in aggregati macromolecolari
ordinati di maggiore entità. La formazione di questo complesso
avrebbe un ruolo protettivo dell’intera struttura del peptide contro
un’eccessiva digestione enzimatica, prima della liberazione
dell’ormone maturo.
Il rilascio, che avviene in seguito al propagarsi di un potenziale
d’azione fino alla terminazione, consiste in un processo di esocitosi
calcio-dipendente. Con quest’ultimo evento, si ha la liberazione nel
sangue, separatamente, dell’ormone maturo e della corrispondente
Neurofisina, di cui non sono note le attività biologiche
27
nell’organismo. Con l’esocitosi, che costituisce il passaggio del
peptide dall’interno dei granuli al sangue, gli aggregati OX-
Neurofisina, subiscono un cambiamento di pH da 5.5 a 7.4, che
determina la rottura dei vari legami deboli. Questo passaggio induce
la separazione netta tra l’OX e la Neurofisina. La concentrazione
plasmatica dell’OX è estremamente bassa, sia nella donna non
gravida che nell’uomo. L’ormone circola nel plasma in forma di
monomero, non legato a sostanze proteiche, ha un emivita di 5
minuti e viene catabolizzato nel fegato e nel rene, ove il peptide
viene inattivato tramite un processo di acetilazione (William F.
2001).
2.3 Il gene dell’ossitocina La struttura del gene dell’OX è stata definita inizialmente, nel ratto,
nel 1984 e successivamente, anche in altre specie, tra cui l’uomo,
nel 1992. In tutte le specie, tale gene è adiacente a quello del
recettore della vasopressina, che dista da esso di pochi Kb, ed é
espresso in direzione opposta. Questo significherebbe, secondo
l’ipotesi di molti, una duplicazione a partire da un unico gene
ancestrale, seguita dall’inversione di uno dei due geni.
Nell’uomo, il gene è localizzato nel cromosoma 20, nel locus p13,
ed è dato da tre esoni, già ben sequenziati, di struttura molto simile
a quelli individuati in altri mammiferi. Il promotore, è dato da una
sequenza di circa 200 bp, e possiede una regione altamente
conservata, presente oltre che nell’uomo, anche in ovini, bovini,
28
topi e roditori.
L’espressione di tale gene, studiata soprattutto con l’uso di topi
transgenici, è soggetta ad una fine e complicata regolazione tessuto-
specifica da parte di diversi elementi capaci di agire su specifiche
regioni del promotore.
Sono stati individuati numerosi membri, appartenenti a importanti
famiglie di recettori nucleari, capaci di interagire con tale regione e
regolare, così, l’espressione del gene. Nell’uomo e nel ratto, il
promotore di tale gene, a livello di specifici elementi di risposta,
può essere stimolato, in una varietà di cellule, dai recettori nucleari
ERα e ERβ, specifici degli estrogeni, dal recettore THRα
dell’ormone tiroideo e dai recettori dell’acido retinoico RARα e
RARβ .
Nel complesso dell’espressione di tale gene, nelle varie specie e nei
diversi tessuti, si può dire che essa sia regolata da numerosi
“enhancers” e “repressori”, interagenti tra loro in un modo
complesso che deve essere ancora ben definito.
29
2.4 Recettori dell'ossitocina e vie di trasduzione del
segnaleL'azione dell'OX, come per altri ormoni prevede prima il legame di
quest'ultima con il proprio recettore (OXR) a livello di tessuti sia
centrali che periferici.
Nel ratto la presenza del recettore è stata accertata a livello di vari
distretti: utero miometrio, endometrio, amnion, corion, decidua,
ovaio, corpo luteo, testicoli, ghiandola prostatica, ghiandola
mammaria, reni, pancreas, timo, cuore (in atri e ventricoli) e
endotelio vascolare. Inoltre è stata rilevata la presenza di tale
struttura, anche in alcuni tipi di cellule, come, adipociti, osteoblasti,
mioblasti, e in linee cellulari di diversi tumori umani, come cancro
al seno, neuroblastoma, glioma e adenocarcinoma dell’endometrio,
dove sembra possa essere coinvolto nella regolazione della crescita
cellulare (Guzzi F, et al 2002).
Per quanto riguarda l'uomo, purtroppo, i dati sperimentali a
disposizione sono pochi: comunque recettori dell’OX sono stati
individuati nelle zone della substantia nigra (suggerendo
coinvolgimenti motori dovuti all'interazione con recettori a livello
di neuroni dopaminergici e nigrostriatali) e del globus pallidus. Si è
inoltre visto, mediante risonanza magnetica, che queste zone si
attivano in soggetti adulti alla vista di una foto del proprio figlio o
del partner.
Altre zone in cui sono state individuate tali strutture, sono il
30
cingolato anteriore e l’insula media, le quali appartengono a un’area
cerebrale che recentemente è stata battezzata come il “cervello
sociale” (Bartels A, Zeki S. 2000).
Il tipo recettoriale dell'OX è un recettore accoppiato a proteina G
(GPRCs) di classe I, costituito da 388 AA disposti in domini
transmembrana ad alfa elica uniti da 3 loop intracellulari e loop
extracellulari. Il sito di legame sembra trovarsi in parte nei loop
extracellulari e in parte nei domini transmembrana.
In seguito al legame tra agonista e recettore viene attivata una
Fosfolipasi C (PLC) che idrolizza il fosfatidilinositolo 4,5 bifosfato
formando cosi l'inositolo 1,4,5 trifosfato (IP3) e l'1,2-diacilglicerolo
(DAG) che sono i nostri secondi messaggeri.
-IP3 e IP4 (quest’ultimo generatosi da IP3) incrementano entrambi la
concentrazione di Ca2+ intracellulare sia liberando ioni Ca2+
(considerato il vero 2 messaggero) dai siti di deposito tramite canali
a livello del reticolo endoplasmatico sia aprendo canali di
membrana plasmatica.
-DAG attiva la proteinchinasi C, una proteina appartenente alla
superfamiglia delle proteine serin-treonina chinasi, che è in grado di
fosforilare e regolare l’attività di substrati proteici intracellulari a
livello dei residui degli aminoacidi serina e treonina.
Generalmente il Ca2+ , una volta liberato all'interno del
31
compartimento cellulare, lega la calmodulina, proteina
citoplasmatica, formando un complesso Ca2+-calmodulina che attiva
una proteinchinasi calmoduina dipendente.
Si è notato che il rilascio di Ca2+ indotto dall'OX è maggiore in
presenza di Ca2+ extracellulare, dimostrando l'effetto su canali di
membrana plasmatica da parte dell'OX e la capacità di questo
agonista di promuovere un flusso di calcio tramite sistemi voltaggio
dipendenti o tramite recettori canali.
2.5 Il gene del recettore dell'ossitocinaIl gene codificante per il recettore dell'OX è lungo 17kb presente in
singola coppia nel genoma umano localizzato sul cromosoma 3 in
posizione p25-p26.2 ed è costituito da 4 esoni e 3 introni.
La regione di inizio trascrizione si trova tra 618 e 621 paia di basi a
monte della sequenze ATG, vicino a varie sequenze di legame per
fattori di trascrizione. Non sono presenti elementi di risposta agli
estrogeni (ERE), ma sono presenti 3 sequenze semipalindroniche
appartenenti a questo motivo, che potrebbero prendere parte
all'espressione del recettore in seguito a liberazione di estrogeni
nelle donne prossime al parto.
32
2.6 Ruolo fisiologico
Per quanto riguarda i ruoli dell’OX finora individuati nei
mammiferi, si può dire che questi sono numerosi (Illustrazione 7),
sia a livello centrale, che periferico. Come già accennato
nell’ultimo decennio, questo aspetto dell’OX e gli studi legati ad
essa, hanno subito dei profondi mutamenti, poiché essa è stata
individuata in aree importanti e particolari del SNC. Questo
fenomeno ne ha fatto supporre anche attività neurologiche e
psichiatriche, oltre a quelle ginecologiche, legate alla gravidanza, al
parto e all’allattamento già note e considerate per molto tempo le
sole azioni dell’OX.
E’ stato anche dimostrato che in tutti i mammiferi l’OX, oltre che
nel cervello, viene sintetizzata a livelli funzionalmente significativi
in altri distretti dell’organismo per svolgere numerose azioni
periferiche. Gerald Gimpl, nel 2001, appurò che tali zone di sintesi
nei vari mammiferi, sono, generalmente, rappresentate da: utero,
placenta, amnion, corpo luteo, testicoli, prostata, timo, cuore e
33
Illustrazione 7: Le possibili azioni dell'ossitocina
nell’uomo pare, anche dal pancreas (Chaves et al., 2013).
Per questo motivo, si usa fare distinzione, oltre che tra funzioni
centrali e periferiche dell’OX, anche fra quelle classicamente
conosciute e quelle scoperte più di recente. Il SNC libera OX che va
ad agire in periferia o solo nell’encefalo, mentre in periferia altre
sedi possono liberare OX, a scopo “locale”. Il legame tra queste vie
di sintesi è tuttora in studio.
34
2.7 Ossitocina a livello perifericoA livello periferico, i due principali organi bersaglio dell’ormone
sono le cellule muscolari lisce dell’utero e le cellule mioepiteliali
della ghiandola mammaria, nel periodo della gravidanza.
Durante la gestazione, si possono rilevare l’ormone e il suo
recettore, non solo nell’utero, ma anche nella placenta,
nell’amniom, nel corion, e nella decidua. Con questa presenza,
l’OX agisce da forte induttore del parto, determinando la
contrazione delle cellule muscolari lisce dell’utero e facendo sì che
il feto possa essere liberato. È interessante notare che, durante tale
periodo, nei vari mammiferi non sono rilevabili grossi aumenti dei
livelli plasmatici di OX, mentre nel miometrio, si può rilevare un
forte incremento del numero dei recettori. Questo aumento è
proporzionale al progredire della gravidanza ed è influenzato, in
questa situazione, dagli estrogeni mentre, dopo il parto, il numero di
recettori decade rapidamente (Adolphs R. Curr Opin 2001).
Grazie a questo ruolo dell’OX, si fa uso a livello clinico, del peptide
in forma sintetica, per indurre il parto e di suoi antagonisti per
impedire casi precoci.
35
L’ OX ha un’azione fondamentale anche nell’allattamento
(Illustrazione 8), poiché determina la contrazione delle cellule
mioepiteliali delle ghiandola mammaria, inducendo la fuoriuscita
del latte. Questo avviene in risposta alla suzione del capezzolo, la
quale costituisce un riflesso tattile che, tramite vie nervose,
raggiunge l’ipotalamo, stimolando la secrezione di OX nel plasma.
Quest’ultima, infine, per mezzo dei propri recettori, determina la
contrazione a livello del sito bersaglio.
Oltre a queste due azioni, considerate le più importanti, l' OX
esplica la sua influenza anche in altri distretti periferici quali l’ovaio
e il corpo luteo. Come fattore follicolo stimolante, è importante nel
mantenimento della fertilità e stimola il rilascio e la sintesi del
progesterone.
A livello cardio-vascolare, provoca effetti diversi come il rilascio
36
Illustrazione 8: L'ossitocina e la componente materna
del peptide natriuretico e, nell’embrione in particolare, comporta la
differenziazione dei cardiomiociti .
L’OX ha la funzione di agente natriuretico osmoregolatore renale,
interviene sul Timo nella differenziazione e proliferazione cellulare.
A livello del Pancreas stimola il rilascio di glucagone mentre
inibisce il rilascio di insulina.
Nei Testicoli incentiva la spermatogenesi e la modulazione della
steroidogenesi, oltre alla contrazione dei tubuli seminiferi e l’
erezione.
Nella Prostata stimolala contrazione, eiaculazione e la crescita
cellulare mentre, negli Adipociti, stimola l’ossidazione del glucosio
e la citogenesi.
37
2.8 L'ossitocina nel SNCNel 2004, tramite esperimenti di autoradiografia, fu accertato il
forte coinvolgimento di aree cerebrali quali nucleus accumbens,
corteccia prefrontale, setto laterale, bulbo olfattivo, organo
vomeronasale, amigdala, area preottica e ipotalamo, nella
roditori (Bielsky IF, Young LJ 2004 ; Young LJ, Wang Z.Nat 2004).
Innanzitutto l'OX agisce a livello dell’ipotalamo stesso, mediante il
proprio rilascio intranucleare da parte del corpo cellulare e dei
dendriti appartenenti ai neuroni magnocellulari. Tale rilascio
produce effetti autoregolatori sull’ipotalamo stesso, azione mediata
da recettori per l'OX, presenti nella membrana dei neuroni
magnocellulari. Inoltre, questo effetto stimola l’amigdala e sembra
che deprima proiezioni GABAergiche, presenti in vicinanza
dell’ipotalamo.
Azioni dell’OX sono state rilevate anche a livello dell’adenoipofisi,
dove essa è implicata nella regolazione del rilascio della prolattina,
delle gonadotropine e dell’ormone ACTH.
Numerosi effetti dell’ OX sono stati rilevati anche a livello del
sistema nervoso autonomo riguardo la regolazione cardiovascolare,
gli effetti analgesici, le attività motorie, la termoregolazione, la
motilità gastrica, l’ osmoregolazione e la respirazione (Mack SO et
al 2002).
L’identificazione dell’OX e del suo recettore in determinate aree
cerebrali dei mammiferi, ha fatto ipotizzare che essa avesse, oltre
alle azioni precedentemente descritte, anche particolari effetti
centrali. La presenza dell’ormone, in relazione alla funzione svolta
da tali aree, ha innescato da circa un ventennio a questa parte,
profondi studi in molti mammiferi, mirati a definire questi nuovi
ruoli, ben diversi rispetto alle funzioni classicamente conosciute del
peptide (Kosfeld M et al., 2005).
39
Tali studi, condotti per anni soprattutto su roditori e scimmie, hanno
fornito una cospicua quantità di dati, che hanno portato a definire
l’OX un ormone fondamentale per la sopravvivenza e il protrarsi di
ogni specie, compreso l’uomo. Essa infatti, in base a tali ruoli,
sarebbe fortemente implicata nella procreazione, oltre che da un
punto di vista “pratico”, anche da un punto di vista
comportamentale e sociale. Ovvero, questa piccola molecola di
nove amminoacidi, comporterebbe, grazie alla propria presenza in
specifiche aree cerebrali, grossi effetti a livello di legami e relazioni
tra individui nei mammiferi e nell'uomo come dimostrato da Eric B.
Keverne, nel 2004 . Nell’uomo, l’OX avrebbe, in particolare, un
ruolo chiave nella regolazione delle interazioni sociali, favorendole,
permettendo la formazione e il protrarsi di relazioni forti, quali il
legame madre-prole, il rapporto di coppia, e per noi umani, anche i
rapporti d’amicizia. Il peptide regolerebbe non solo la formazione e
la durata di tali fattori, ma anche la loro intensità e stabilità, poiché
esse sarebbero fortemente implicate nella regolazione e nella
formazione dell’attaccamento alla base di ogni tipo di rapporto
( Storm EE, Tecott LH 2005).
40
LE NEUROTROFINE
La scoperta delle neurotrofine, proteine con funzione di fattore di
crescita per le cellule neuronali, ha provocato cambiamenti radicali
nel campo della neurofisiologia e nella concezione scientifica del
trofismo del SNC e dell’encefalo in particolare, portando una luce
di speranza nel buio di malattie neurodegenerative inesorabili quali
la malattia di Parkinson, l’Alzheimer e la Còrea di Hungtinton.
3.1 Formazione delle neurotrofine
Agli inizi degli anni '50, studi condotti dal premio Nobel Rita Levi
Montalcini (Illustrazione 10) e collaboratori, portarono alla scoperta
41
Illustrazione 10: Rita Levi Montalcini e i primi studi degli anni '50
che cellule maligne di topo (tipo Sarcoma 180), sintetizzano e
rilasciano in circolo una molecola che svolge un ruolo essenziale
nel differenziamento e nella funzionalità di due tipi di cellule
nervose sensitive e simpatiche (Levi Montalcini e Hamburger, 1953
; Cohen e Levi Montalcini, 1956; Cohen et al., 1954; Cohen et al.,
1960).
Questa molecola è stata denominata fattore di crescita del nervo
(NGF) ed oggi è il prototipo della famiglia proteica delle
neurotrofine (NTs).
Successivamente sono stati intrapresi studi atti ad isolare altre
molecole strutturalmente e funzionalmente correlate all'NGF.
Nel 1982, Barde e coautori hanno isolato dal cervello di maiale un
fattore proteico, altamente omologo alla sequenza dell'NGF,
denominato “brain-derived neurotrofic factor” o fattore neurotrofico
derivato dal cervello (BDNF) (Barde et al., 1982 ; Leibrock J et al.,
1989).
A seguire, sono state individuate altre componenti della famiglia
delle NTs che, per quanto riguarda i mammiferi, comprende
attualmente anche la neurotrofina 3 (NT3) e la neurotrofina 4/5
(NT-4/5) (Barde, 1990).
La famiglia delle NTs è composta da proteine secrete,
strutturalmente simili , che hanno un ruolo importante nella
regolazione della sopravvivenza, della differenziazione e del
funzionamento di differenti popolazioni neuronali sia a livello del
sistema nervoso centrale che periferico.
42
Per questo le NTs attualmente sono al centro di molti studi
nell'ambito delle neuroscienze atti a comprendere non solo il ruolo
fisiologico di queste molecole, ma anche il loro possibile
coinvolgimento nella patogenesi delle malattie neurodegenerative,
caratterizzate dalla morte di specifiche popolazioni neuronali
( Morbo di Alzheimer, malattia di Parkinson e disturbi dell'umore
come la depressione).
Le NTs sono generate come precursori pre-pro-neurotrofinici
all'interno del reticolo endoplasmatico ruvido (ER), polipeptidi
lunghi approssimativamente 240–260 amminoacidi, ed
ulteriormente processate fino ad essere secrete come proteine
omodimeriche mature nello spazio extracellulare (lunghezza del
monomero: 118–129 amminoacidi per un peso molecolare di circa
12 KDa) ( Halban ed Irminger, 1994; Merighi, 2002; Rothman et
Orci, 1992).
Il passaggio da pro-NT a proteina matura avviene nelle cisterne
della membrana del trans-Golgi (TGN) ad opera dell'enzima
"FURIN" o nei granuli secretori immaturi ad opera di specifiche
convertasi (Seidah et al.,1996). Possono essere generate due tipi
differenti di vescicole a seconda che il meccanismo di secrezione
sia costitutivo o regolato (Merighi, 2002).
I granuli secretori della via costitutiva sono piccoli (diametro delle
vescicole 50–100 nm) e si fondono con la membrana plasmatica per
liberare il loro contenuto in assenza di qualsiasi specifico
meccanismo d'attivazione (Halban e Irminger, 1994; Hokfelt et al.,
43
2000; Harter e Reinhard, 2000). Questa via costitutiva è presente in
tutti i tipi di cellule ed è indipendente dai livelli intracellulari di
Ca2+.
A queste si contrappongono le vescicole, relativamente grandi
(diametro 100–300 nm), che fanno parte della via regolata della
secrezione proteica: contrariamente ai granuli costitutivamente
secreti, le vescicole della via regolata si fondono con la membrana
plasmatica a seguito di un aumento della concentrazione
intracellulare di Ca2+ (Lang et al., 2001).
Per studiare i meccanismi della secrezione regolata neuronale del
BDNF sono stati fatti diversi studi su neuroni ippocampali. In
questi esperimenti è stato valutato l'aumento del contenuto di
BDNF nel sovranatante di colture cellulari tramite test ELISA: è
risultato che la depolarizzazione indotta da glutammato o da K+
50mM (Canossa et al., 1997; Griesbeck et al., 1999) determina un
notevole aumento della concentrazione intracellulare di Ca2+ che
causa il rilascio del BDNF dalle vescicole secretorie.
Altri esperimenti effettuati su neuroni del sistema nervoso
44
Illustrazione 11: Struttura proteica del BDNF
periferico in coltura (Balkowiec e Katz, 2000) hanno riportato che
una scarica di stimoli elettrici extracellulari (50 pulses di 20-50 Hz
ad intervalli di 20 sec per 30/60 min) provoca un accumulo di
BDNF nello spazio extracellulare, mentre un pattern di
stimolazione con una frequenza più bassa è inefficace. Questi dati
suggeriscono che la secrezione del BDNF è dipendente dalle alte
concentrazioni intracellulari di Ca2+ che possono essere raggiunte
con influsso di Ca2+ a seguito di stimoli elettrici ad alta frequenza.
45
3.2 I recettori delle neurotrofine
Le neurotrofine legano due differenti tipi di recettore:
1) i recettori Trks (chinasi tropomiosina-connessa) appartenenti
alla famiglia di recettori tirosin-chinasici
2) il recettore p75, un membro della superfamiglia dei recettori
per il fattore di necrosi tumorale (TNF).
Ogni NT lega uno specifico recettore Trk (Illustrazione 12); in
particolare NGF attiva TrkA, mentre il BDNF e NT-4/5 attivano
TrkB e NT-3 attiva TrkC (Kaplan e Miller, 2000); per quanto
riguarda p75 studi in vitro hanno dimostrato come questo recettore
leghi preferenzialmente la forma immatura delle NTs (Lee et al.,
2001).
Il legame della NT al recettore Trk provoca la dimerizzazione del
46
Illustrazione 12: Le neurotrofine e i loro recettori
recettore e innesca l'attività tirosin-chinasica.
Ci sono 10 residui di tirosina conservati nel dominio citoplasmatico
di ogni recettore Trk, tre dei quali presenti nel loop di
autoregolazione del dominio chinasico. La fosforilazione di questi
amminoacidi attiva ulteriormente la chinasi, mentre, la
fosforilazione degli altri residui, promuove il segnale creando siti di
legame per gli adattatori proteici che accoppiano questi recettori
alle cascate di trasduzione del segnale intracellulari, compresa la via
Ras/ERK (extracellular signal regulated kinase), la via PI3K/Akt
(Phosphatidylinositol-3-OH kinase) e la PLC-g1 (phospholipase C)
(Kaplan e Miller, 2000; Pawson e Nash, 2000).
Queste vie di segnalazione culminano nell'attivazione di alcuni
fattori di trascrizione che alterano il pattern di espressione genica.
In condizioni fisiologiche il legame delle NTs mature ai recettori
Trks e p75 promuove la sopravvivenza cellulare,poiché il segnale di
sopravvivenza mediato da Trk sopprime il segnale pro-apoptotico
proveniente da p75 ed agisce sinergicamente col segnale anti-
apoptotico proveniente da p75 (Dobrowsky et al., 1995; Yoon et
al., 1998; Mazzoni et al., 1999; Aloyz et al., 1998; Maggirwar et
al., 1998; Hamanoue et al., 1999).
Negli stati patologici invece predomina il segnale pro-apoptotico
proveniente da p75 (alterazione dell'equilibrio pro/anti-apoptotico).
47
3.3 Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF)- Ruolo
fisiologicoAll’interno della famiglia delle NTs, il BDNF si distingue quale
potente fattore fisiologico di sopravvivenza: si ritiene infatti che
abbia un ruolo importante nella sopravvivenza, differenziazione e
crescita di neuroni centrali e periferici durante lo sviluppo e in età
adulta. Di fatto, il BDNF costituisce il fattore trofico maggiormente
diffuso nel cervello e partecipa ai meccanismi di plasticità come il
potenziamento a lungo termine, l’apprendimento e la memoria
(Schinder et al., 2000).
Era già noto che il differenziamento e la sopravvivenza dei neuroni
striatali fosse regolato dal BDNF.
Nonostante ciò la sua produzione (nel SNC) non è attribuibile ai
neuroni striatali. Il BDNF infatti è prodotto a livello della corteccia
e poi trasportato per via retrograda dal corpo cellulare, lungo le
fibre corticali che si connettono allo striato dove viene poi rilasciata
la NT.
In base a queste evidenze si è pensato che la morte neuronale possa
essere correlata a un malfunzionamento del trasporto del BDNF allo
striato.
Il BDNF produce inoltre effetti molto più acuti sulla plasticità
sinaptica e sul rilascio neurotrasmettitoriale e agevola il rilascio di
glutammato, acido γ-aminobutirico (GABA), dopamina e
48
serotonina (Goggi et al., 2002; Schinder et al., 2000).
Il trascritto (RNA messaggero) del BDNF non è sintetizzato
solamente a livello neuronale ma anche in molti altri tessuti ed
organi periferici quali pareti aortiche, endotelio, cuore, reni,
ghiandole sottomascellari, ovaie, gangli dorsali, muscoli e polmoni
(prove sperimentali nei topi) (Fujimura et al., 2002). Anche nel
sangue è stato osservata la presenza del BDNF anche in linfociti e
piastrine (Yamamoto et al., 1990), ma la sua presenza non è stata
ancora confermata. Il BDNF viene rilasciato in tali sedi dalle cellule
bersaglio agendo come fattore di sopravvivenza per queste.
Rosenfeld e colleghi hanno rilevato la presenza del BDNF anche a
livello ematico (Rosenfeld et al., l995). I livelli di BDNF sono circa
10 volte superiori nel siero rispetto al plasma, forse perché le
piastrine rilasciano elevate quantità di BDNF quando sono attivate.
Di fatto, le piastrine non sono capaci di produrre il BDNF ma lo
catturano dal plasma attraverso un meccanismo non ancora noto
(Fujimura et al., 2002). Il BDNF plasmatico è verosimilmente
prodotto dall'endotelio, dalla muscolatura liscia e dai macrofagi e
linfociti attivati. Gli autori hanno opinioni divergenti in merito al
superamento della barriera emato-encefalica da parte del BDNF
(Pan et al., 1998) quindi non è chiaro se i neuroni centrali e gliali
influenzino di fatto la concentrazione ematica del BDNF.
Inoltre, il ruolo del BDNF a livello piastrinico non è ancora noto:
probabilmente ha una funzione specifica nei processi infiammatori,
49
nei traumi tessutali, lesioni nervose ed emorragie. Infatti, quando le
piastrine attivate rilasciano il BDNF, quest'ultimo avrebbe
probabilmente un ruolo nell'infiammazione e nella proliferazione
cellulare e un’azione sulla muscolatura liscia.
I livelli di BDNF possono variare in risposta a vari tipi di stimoli
come stress, somministrazione di farmaci, ma variano anche
autonomamente durante l'arco della giornata.
3.4 Sintesi e secrezione del BDNFLa proteina BDNF è sintetizzata come pre-pro-BDNF. Il pre-
dominio di 18 aminoacidi è immediatamente tagliato dopo la
traslocazione della proteina nascente nel reticolo endoplasmatico
(Illustrazioe 13). Il pro-BDNF (32Kda) viene trasportato dapprima
alle cisterne cis dell’apparato del Golgi e successivamente al trans
50
Illustrazione 13: Organizzazione cellulare
Golgi tramite un trasporto mediato da vescicole. Dal trans-Golgi si
diramano due vie di secrezione del BDNF, una costitutiva ed una
regolata. Per la secrezione costitutiva, il BDNF subisce un taglio
proteolitico del predominio da parte di proteine specifiche del trans-
Golgi. La forma matura (14Kda) viene internalizzata in vescicole e
trasportate verso la membrana plasmatica per la secrezione.
Il BDNF secreto interagisce coi recettori Trk-B pre e post-sinaptici
per innescare le diverse vie di trasduzione dei segnali intracellulari.
Per la secrezione regolata, il pro-BDNF viene internalizzato in
granuli, che dal trans-Golgi trasportano la forma non matura della
NT verso le membrane plasmatiche. Durante il trasporto enzimi
proteolitici effettuano il taglio che consente la conversione del pro-
BDNF in BDNF maturo. I granuli contenenti la forma matura della
NT si accumulano a livello delle membrane e la secrezione del
BDNF avviene solo in seguito a stimoli specifici (Lessmann et al.,
2003).
Il proBDNF di 32 Kda oltre a dare origine alla forma matura della
NT, può svolgere una funzione extracellulare nei terminali sinaptici,
promuovendo la morte cellulare per apoptosi (Teng et al., 2005).
51
Il BDNF è presente soprattutto nei neuroni (Murer et al., 2001), ma
alcuni lavori hanno evidenziato anche la capacità delle cellule gliali
(Illustrazione 14) di esprimere il BDNF in condizioni di stress
metabolico (Ceccatelli et al., 1991; Batchelor et al., 1999).
Furukawa e colleghi (1998) hanno riportato la presenza di
oligodendrociti BDNF-immunoreattivi nella sostanza bianca del
cervello di ratto e studi successivi hanno dimostrato la capacità
della microglia di secernere ridotte quantità di BDNF in vitro.
Sebbene questi dati riportino evidenze della capacità delle cellule
gliali di produrre BDNF, l’ipotesi più accreditata è che la NT
presente in tali cellule venga internalizzata dall’ambiente esterno,
come suggerito dalla presenza sulla membrana plasmatica della
forma tronca del recettore TrkB, capace di legare il BDNF e di
promuoverne l’internalizzazione, ma non in grado di tradurre il
segnale perché privo di dominio catalitico (Frisen et al., 1993;
Rudge et al., 1994; Roback et al., 1995; Nakajima et al., 1998).
Il BDNF è ampiamente distribuito nel SNC, con livelli più elevati52
Illustrazione 14: Rappresentazione struttura neuronale
nella corteccia cerebrale, nello striato, nel proencefalo,
nell’ippocampo, nell’ipotalamo, nel tronco encefalico e nel
cervelletto (Murer et al., 2001). L’espressione del messaggero del
BDNF e della proteina sono sostanzialmente simili nella maggior
parte delle regioni cerebrali.
Alcuni studi però hanno rivelato nello striato la presenza della
proteina e la mancanza del messaggero (Altar et al., 1997; Baquet
et al., 2004).
Poiché i neuroni corticali che innervano lo striato contengono
elevate quantità di messaggero del BDNF, è stato ipotizzato che la
maggior parte della NT nello striato abbia origine dalla corteccia
(strati II-III e IV-V) e venisse trasportata per via anterograda allo
striato (Dugich-Djordjevic et al., 1995; Altar et al., 1997; Fusco et
al., 2003; Baquet et al., 2004).
53
3.5 Il gene del BDNF umanoIl gene del BDNF umano, come descritto dal gruppo di ricerca
diretto da Tonis Timmusk del Department of Gene Technology,
Tallinn University of Technology, Estonia, si estende per circa 70
Kb ed è costituito complessivamente da 11 esoni e 9 promotori
funzionali (Pruunsild et al., 2007), responsabili della formazione di
diversi trascritti tessuto-specifici, accomunati dalla regione 3’
codificante per la proteina (l’esone IXd) e distinguibili per le
sequenze UTR (untranslated region) in 5’(Illustrazione 15).
Nell’esone IX ritroviamo la sequenza destinata ad essere tradotta
54
Illustrazione 15: Possibili punti di inizio trascrizione per la sintesi del BDNF
nella proteina BDNF, delimitata dalla tripletta d’inizio traduzione
ATG e dal codone di stop TAG. Tale esone è suddiviso in 4 regioni
(a, b, c, d). Generalmente durante il processo di trascrizione l’esone
IX viene coniugato con un altro esone a monte (I-VIIIh) e in questi
casi i trascritti maturi si trovano ad includere solamente la porzione
più a valle dell’esone IX, ovvero la regione IXd.
Gli esoni I, VII e VIII presentano dei codoni ATG interni che
possono essere utilizzati come sito d’inizio traduzione, portando
conseguentemente alla formazione di una proteina prepro-BDNF
con un N-terminale più lungo.
Negli esoni II, V e VI sono presenti diversi siti di splicing che
determinano la formazione di trascritti accomunati dalla regione
codificante che differiscono tra loro per la lunghezza delle 5’UTR.
I trascritti alternativi del BDNF hanno un’espressione tessuto-
specifica.
E’ stato dimostrato che gli RNA messaggeri contenenti gli esoni II,
III, IV, V e VII sono prevalentemente rilevabili a livello cerebrale,
mentre gli altri trascritti, sono espressi nei tessuti periferici
(Pruunsild et al., 2007).
Un numero così elevato di esoni, la presenza di più siti d’inizio
trascrizione, di promotori e di diversi siti di splicing lasciano
presupporre una complessa attività regolatrice dell’espressione di
questo gene. Numerosi studi sono quindi stati condotti per
identificare le possibili sequenze implicate nella regolazione
dell’espressione del BDNF.
55
E’ stata poi osservata la presenza di trascritti definiti antiBDNF,
ovvero, RNA antisenso non codificanti, trascritti a partire dal gene
del BDNF umano, capaci di formare col trascritto senso del BDNF
un RNA a doppio filamento non traducibile in proteina (Pruunsild
et al., 2007).
56
3.6 Trasporto anterogrado e retrogrado del BDNFIl trasporto intracellulare di proteine e organelli è fondamentale per
la sopravvivenza delle cellule ma, dal momento che i neuroni sono
cellule estremamente polarizzate, nel sistema nervoso tale processo
assume caratteristiche peculiari. I neuroni infatti hanno un corpo
cellulare che si prolunga con assoni e dendriti, e spesso tali strutture
proiettano a considerevole distanza l’uno dagli altri (nell’uomo,
l’assone di un motoneurone può superare anche la lunghezza di 1
m).
Il trasporto assonale può essere distinto a seconda della direzione in
anterogrado o retrogrado.
I motori molecolari sono chinesina e dineina, o ATPasi microtubuli-
associate, capaci di utilizzare l’energia fornita dall’idrolisi dell’ATP
per muovere il carico lungo i microtubuli stessi.
Il trasporto in senso anterogrado, cioè dal corpo cellulare verso le
terminazioni assoniche, viene utilizzato per il trasporto di tutti i
componenti membranosi di nuova sintesi che devono raggiungere le
terminazioni nervose; il trasporto retrogrado, in direzione opposta, e
invece finalizzato al riciclo degli stessi.
57
La presenza di BDNF nei neuroni striatali è il risultato di un
trasporto anterogrado che consente lo spostamento della
neurotrofina dalla corteccia e, in modo minore, dalla pars compacta
della substantia nigra, allo striato (Illustrazione 16). Il fenomeno
del trasporto anterogrado del BDNF dalla corteccia allo striato è
stato ampiamente dimostrato. Nei roditori, in seguito ad iniezione
intracerebroventricolare con colchicina, un farmaco che ostacola
l’assemblamento dei microtubuli, si è osservata una netta riduzione
del contenuto striatale di BDNF e un parallelo aumento
dell’immunoreattività per tale neurotrofina nei corpi cellulari dei
neuroni della corteccia e della substantia nigra (Altar et al., 1997).
Inoltre, la rimozione unilaterale della corteccia frontale e parietale
nei roditori ha determinato una diminuzione della immunoreattività
per il BDNF nello striato (Altar et al., 1997).
Per escludere un eventuale contributo dei neuroni dello striato nella
58
Illustrazione 16: Schematizzazione struttura nervosa e trasporto assonale
produzione di BDNF è stata operata, dallo stesso gruppo di
ricercatori, un’iniezione intrastriatale con acido chinolinico. Questa
tossina è in grado di distruggere in maniera selettiva i neuroni
striatali risparmiando le terminazioni assoniche afferenti dalla
corteccia e dalla substantia nigra. In questa situazione non si è
osservata nello striato alcuna diminuzione dell’immunoreattività per
il BDNF, a conferma dell’assenza di contributo dei neuroni striatali
alla produzione di BDNF (Altar et al., 1997).
Questi studi sono stati però criticati in quanto l’ablazione della
corteccia non blocca solo l’apporto di BDNF, ma danneggia in
generale tutta la neurotrasmissione del circuito cortico-striatale.
Per questo motivo e per confermare l’esistenza del trasporto
anterogrado del BDNF lungo la via cortico-striatale, il gene del
BDNF è stato inattivato nella corteccia cerebrale di topo (Baquet et
al., 2004). In questi modelli animali si è osservata la completa
perdita di BDNF nello striato e un decremento del volume corticale
e striatale. L’analisi morfologica dei neuroni striatali ha rivelato una
riduzione significativa del soma, un assottigliamento dei dendriti e
una diminuzione della densità delle spine dendritiche. Non è stato
invece osservato un effetto massiccio di morte cellulare (Baquet et
al., 2004). Questi risultati evidenziano che il BDNF ha un ruolo
fondamentale nella promozione del differenziamento e nel
mantenimento di un fenotipo maturo dei neuroni striatali.
Il BDNF oltre ad essere trasportato per via anterograda lungo le
afferenze cortico-striatali, può subire anche un trasporto retrogrado
59
(Altar et al., 1998) dai processi cellulari al soma mediante
l’interazione con i recettori TrkB presenti sui terminali pre-sinaptici
(Heerssen et al., 2004). Tale interazione induce una risposta
nucleare fondamentale per promuovere la sopravvivenza cellulare e
per consentire il recupero da danni cellulari indotti da stimoli tossici
(Lindholm et al., 1994; Heerssen et al., 2004).
60
STATO DELL'ARTE
4.1 Ossitocina e Cognizione Sociale nella malattia di
Huntington L’OX ha una lunga storia nella regolazione del comportamento
sociale (Insel et al., 2000) : dal punto di vista evolutivo sono state
identificate sostanze con funzioni simili anche in invertebrati e
vertebrati.
Numerosi studi sui mammiferi nell’ultimo decennio hanno
permesso di intuire la relazione dell’OX con il SNC e gli effetti
psichiatrici e comportamentali che ne conseguono.
L’OX, ha un importante ruolo nella regolazione del comportamento
sociale nei mammiferi; è interessante come il rilascio di questo
peptide determini “sfumature” comportamentali genere-dipendenti:
in particolar modo, nel genere femminile assume un ruolo
predominante essendo alla base del senso di protezione della prole e
stimolando la formazione di forti legami sociali.
Nei mammiferi, il diverso atteggiamento sociale tra generi riflette
differenze nelle strategie riproduttive. Nel genere maschile è alta la
competitività con esponenti dello stesso sesso e il successo è
rappresentato dalla capacità di accoppiarsi con il maggior numero
possibile di esponenti dell’altro sesso; essi tendono raramente a
formare forti legami. 61
Al contrario il genere femminile investe nei rapporti al fine di
generare prole interessandosi alla cura di questa, propendendo
quindi per la formazione di forti legami.
Queste differenze tra i due sessi trovano un correlato nella diversa
espressione di OX, infatti in corso di gravidanza, gli ormoni
femminili stimolano la sintesi di OX e l’espressione di specifici
recettori a livello del bulbo olfattivo, area preottica mediale,
amigdala mediale e nucleo accumbens, importante stazione del
circuito di “reward” dove estrogeni e progesterone stimolano anche
recettori dopaminergici (Keverne et al., 2004)
Nei roditori di piccola taglia la somministrazione intraventricolare
di OX ha comportato un aumento della tendenza all’affiliazione
sociale e una riduzione di ansia ed aggressività (Harmon et al.,
2002).
Il rapporto tra OX e cognizione sociale è ulteriormente supportato
dalla compromissione del riconoscimento sociale, associato
all’integrità dell’apprendimento e della memoria, in topi knockout
per OX (Kavaliers et al., 2003), deficit compensato dalla
somministrazione di OX in particolare a livello dell’amigdala
(Ferguson JN et al 2001).
Diversi studi in letteratura hanno messo in relazione cambiamenti
dei livelli plasmatici di OX con comportamenti affettivi alterati nel
contesto di patologie neuropsichiatriche (Modahl et al., 1998;
Goldman et al., 2008) o con lo stato d’ansia in volontari sani
62
(Marazziti et al., 2006); infine livelli elevati di OX sono stati
rilevati all’autopsia in pazienti affetti da malattia di Alzheimer.
Sulla base dei suddetti risultati, è stato condotto uno studio su 36
pazienti trattati con placebo (n:18) o con OX intranasale ad un
dosaggio di 20UI (n:18) dal quale è emerso che la somministrazione
di OX migliora il riconoscimento dell’espressione dei volti, in
particolare, nel caso in cui esprimano rabbia (Savaskan et al.,
2008).
I primi dati in letteratura riguardanti la percezione delle espressioni
dei volti nella HD risalgono al 1996 quando Sprengelmeyer
dimostrò, mediante il test di Benton per il riconoscimento dei volti,
una compromissione del riconoscimento di volti che esprimevano
disgusto già nelle fasi iniziali di malattia (Sprengelmeyer et al.,
1996); dato confermato anche in pazienti presintomatici (Gray et
al., 1997) anche per stimoli di tipo uditivo, olfattivo o gustativo
(Hayes et al., 2007). Parallelamente studi successivi hanno
dimostrato un'estesa compromissione del riconoscimento di
emozioni negative senza però evidenziare un prevalente deficit nel
riconoscimento del disgusto (Henley et al., 2008; Johnson et al.,
2007). Benchè molti studi differiscano per tipo di stimolo utilizzato
e grado di malattia indagato, per quanto riguarda il riconoscimento
delle espressioni del volto, una recente revisione ha dimostrato una
maggior compromissione del riconoscimento della rabbia e disgusto
in pazienti con HD manifesta e un deficit prevalente nel
riconoscimento del disgusto in pazienti pre-sintomatici (Henley et
63
al., 2012).
Questi presupposti clinici insieme ai danni riscontrati sulla vitalità
dei neuroni secernenti OX sembrano a favore di un ruolo del
neuropeptide nello sviluppo del complesso quadro clinico dei
pazienti con Còrea.
4.2 Il BDNF nella Malattia di HuntingtonEsperimenti in modelli in vitro e in vivo della HD condotti e
pubblicati nel 2001, hanno mostrato come l’HTT sana, ma non
quella mutata, promuova la produzione di BDNF agendo a livello
trascrizionale (Zuccato et al., 2001).
La capacità dell’HTT di stimolare la produzione di BDNF è stata
inizialmente dimostrata in vitro in modelli cellulari Huntington. In
cellule ST14A, di derivazione neurale ed ingegnerizzate per
sovraesprimere l’HTT umana normale, si è evidenziato un
incremento della produzione di BDNF rispetto ai controlli. I livelli
di proteina BDNF sono invece significativamente ridotti in cellule
che sovraesprimono la proteina HTT mutata (Zuccato et al., 2001).
Un secondo gruppo di esperimenti ha mostrato come l’incremento
della produzione di BDNF in cellule esprimenti HTT normale sia
dovuto ad una promozione della trascrizione a livello del promotore
II del gene e come questo effetto si perda in presenza della
mutazione (Zuccato et al., 2001). Risultati simili sono stati ottenuti
in vivo, in tessuti cerebrali di topi sovraesprimenti l’HTT umana
normale e mutata (Zuccato et al., 2001).
64
Negli anni successivi numerosi studi hanno confermato la presenza
di ridotti livelli di BDNF in diversi modelli animali della HD:
topi BAC esprimente l’HTT umana intera con 103
glutammine, mostrano una riduzione significativa della
trascrizione del BDNF in corteccia accompagnata dalla
comparsa dei sintomi motori (Gray et al., 2008);
topi R6/2, esprimenti un frammento N-terminale dell’HTT
mutata di 1,9 Kb contenente 160 glutammine, mostrano una
diminuzione nel cervello del trascritto e della proteina
BDNF a partire da stadi pre-sintomatici (Zuccato et al.,
2005; Apostol et al., 2008);
topi knock-in eterozigoti ed omozigoti per l’HTT mutata
esprimono ridotti livelli di RNA messaggero e proteina
BDNF nel cervello (Simmons et al., 2009; Zuccato et al.,
2007).
Il rilevamento della riduzione dei livelli di BDNF nei modelli
animali di malattia di Huntington ha portato ad ipotizzare la
presenza di una disfunzione simile anche nell’uomo.
A dispetto delle difficoltà che si incontrano nell’analisi di campioni
autoptici di origine umana, diversi studi sono stati condotti per
rilevare i livelli di BDNF nel cervello umano. Il primo studio risale
al 2000 quando il Dott. Ferrer dell’Unità di Neuropatologia di
Barcellona in Spagna, analizzando un esiguo numero di campioni (4
pazienti Huntington e 6 controlli) osservò una riduzione dei livelli
della proteina BDNF nello striato ma non nella corteccia (Ferrer et
65
al., 2000). Un lavoro del 2004 ha confermato questi dati su tessuti
autoptici prelevati da 10 pazienti e 7 controlli (Gauthier et al.,
2004). Un terzo studio ha utilizzato la collezione di tessuti più
ampia ad oggi analizzata, evidenziando una riduzione dei livelli di
questa NT anche in corteccia (Zuccato et al., 2008). La riduzione
del BDNF compare dai primi stadi della patologia. In questo studio
sono stati valutati anche i livelli di RNA messaggero del BDNF ,
significativamente ridotti nei tessuti autoptici di pazienti
Huntington rispetto ai tessuti ottenuti da soggetti controllo (Zuccato
et al., 2008).
I diversi risultati ottenuti in questi studi potrebbero essere
riconducibili alle diverse metodiche analitiche utilizzate e alla
diversità dei campioni analizzati. Studi condotti su modelli animali
della malattia di Huntington e in controlli hanno mostrato che
l’HTT sana, ma non quella mutata, è in grado di stimolare la
trascrizione del BDNF agendo a livello del promotore II del gene.
L’HTT mutata, riduce invece la trascrizione del BDNF bloccando
principalmente l’attività del promotore II, ma anche quella dei
promotori III e IV.
La regolazione dell’espressione del trascritto II del BDNF dipende
principalmente dall’attività di una sequenza silenziante chiamata
NRSE/RE1 (Neuron-Restrictive Silencer Element/Repressor
Element1) situata a monte dell’esone II. Il neuron-restrictive
silencer factor (NRSF), chiamato anche repressor element silencing
trascriptor factor (REST), è il fattore trascrizionale capace di legare
66
la sequenza RE1/NRSE e di attivare la sua capacità silenziante.
Nel 2003, è stato dimostrato che l’HTT sana è capace di trattenere il
fattore REST nel citoplasma evitandone la traslocazione nel nucleo
e promuovendo la trascrizione del gene codificante per la
neurotrofina BDNF (Zuccato et al., 2003). L’HTT mutata,
presentando una ridotta capacità di legare il fattore REST, permette
il suo ingresso all’interno del nucleo e il suo legame alla sequenza
NRSE presente a monte dell’esone II, bloccando così la trascrizione
del BDNF (Zuccato et al., 2003; Zuccato et al., 2007). La sequenza
NRSE/RE1 è stata trovata in numerosi geni fondamentali per il
mantenimento e per il differenziamento neuronale. Uno studio
condotto dal gruppo di ricerca del Prof. Noel Buckley della School
of Biochemistry and Microbiology and Biomedical Sciences,
University of Leeds, United Kingdom ha evidenziato la presenza di
più di 1300 siti NRSE/RE1 nel genoma murino e umano, la
maggior parte dei quali codifica per canali ionici,
neurotrasmettitori, fattori di crescita, ormoni, fattori coinvolti nel
traffico vescicolare e molecole preposte al mantenimento del
citoscheletro e della matrice cellulare (Bruce et al., 2004; Johnson
et al., 2008). Studi successivi hanno dimostrato che nella HD si
osserva una riduzione della trascrizione genica oltre che del BDNF
anche di altri geni espressi nei neuroni sotto il controllo di
RE1/NRSE (Zuccato et al., 2007).
Oltre alla riduzione della trascrizione del gene del BDNF a livello
centrale, nella Còrea si sono riscontrate anche alterazioni del
67
trasporto vescicolare della proteina.
L’HTT normale, oltre a promuovere la trascrizione del gene del
BDNF è infatti anche in grado di promuovere il trasporto
vescicolare della NT.
Studi condotti da ricercatori del gruppo di Frederic Saudou
dell’Unitè Mixte de Recherche, Centre National de la Recherche
Scientifique, Institut Curie, Irsay Cedex, in Francia, pubblicati nel
2004, hanno evidenziato la capacità dell'HTT sana di promuovere il
trasporto vescicolare del BDNF lungo i microtubuli. Questo studio
mostra che l’HTT sana interagisce con una proteina coinvolta nel
trasporto assonale chiamata HAP1 (huntingtin associated protein)
che può reclutare alternativamente la subunità p150Glued della
dinactina o le catene leggere della chinesina guidando così il
trasporto retrogrado e/o anterogrado lungo i neuroni (Gauthier et
al., 2004). L’interazione dell’HTT mutata con HAP1 invece riduce
la capacità di quest’ultimo di associarsi alla subunità p150Glued
della dinactina, compromettendo in tal modo l’interazione con la
chinesina (Gauthier et al., 2004). In questo modo, il trasporto
retrogrado ed anterogrado di vescicole contenenti BDNF viene a
trovarsi ridotto. Uno studio recente condotto da Lu Shiun Her e
Lawrence S.B. Goldstein del Department of Cellular and Molecular
Medicine, University of California, San Diego, USA, ha riscontrato
riduzione del trasporto vescicolare del BDNF nei neuroni primari
striatali e ippocampali da modelli murini knock-in della HD. Non si
osservano invece alterazioni del trasporto in neuroni corticali (Her
68
& Glodestein, 2008). Contrariamente alle scoperte del gruppo di
Saudou (Gauthier et al., 2004), questo studio ha mostrato che i
difetti nel trasporto del BDNF non sono attribuibili ad un danno al
complesso motorio che regola il trasporto lungo i microtubuli. Per
valutare che la discrepanza dei risultati nei due studi non fosse
causata dall’utilizzo di modelli animali o di metodiche analitiche
differenti, i ricercatori dell’Università di San Diego hanno provato a
riprodurre l’esperimento presentato da Gauthier nel 2004,
utilizzando gli stessi modelli e le stesse tecniche di analisi, ma
senza ottenere alcuna conferma.
Come proposto da alcuni diversi autori, il trasporto del BDNF
potrebbe essere alterato nell’HD a causa della presenza di aggregati
di HTT mutata che vanno a costituire un vero e proprio ostacolo
fisico al flusso (Chang et al., 2006; Orr et al., 2008).
Gli aggregati potrebbero anche determinare la precipitazione delle
proteine motorie riducendone la forma solubile responsabile del
trasporto (Gunawardena et al., 2003; Trushina et al., 2004).
Esistono quindi risultati contrastanti circa i meccanismi che
soggiacciono all’alterazione del trasporto del BDNF e questo
evidenzia la necessità di approfondire questo aspetto della
patologia.
69
RAZIONALE E OBIETTIVI DELLO
STUDIO
5.1 Scopo della tesi
Sulla base di quanto esposto nei capitoli precedenti, il primo scopo
di questa tesi è stato quello di valutare le possibili alterazioni dei
livelli di OX plasmatica in un gruppo di pazienti con HD in
relazione ad alcuni parametri e abilità neuropsicologiche. Pertanto,
abbiamo misurato l'OX nel plasma di questi pazienti e di controlli
sani prima (tempo t0) e dopo (tempo t1) la somministrazione di
opportuni test di abilità cognitiva e sociale.
Mediante tale procedura si voleva cercare di evidenziare
cambiamenti dei livelli del peptide in risposta agli stimoli provocati
dai questionari e in relazione ai punteggi realizzati. A nostra
conoscenza non vi sono studi simili nella letteratura corrente sulle
basi neurochimiche della Còrea di Huntigton. Infine, lo scopo è
stato anche quello di trovare eventuali correlazioni con la scala di
valutazione clinica motoria UHDRS e altre caratteristiche
demografiche, quali età, scolarità (grado di istruzione) ed età di
esordio della malattia.
Il secondo scopo di questo studio è stato il rilevamento dei livelli
piastrinici di BDNF nei medesimi soggetti. Infatti, se nella maggior
70
parte dei precedenti studi, sono state riportate variazioni dei livelli
sierici o plasmatici di BDNF in soggetti stressati, con depressione e
ansia (Kurita et al., 2012 ; Autry and Monteggia 2012; Karege et al.
2005) e anche nella Còrea (Zuccato et al. 2011), la quota presente
all'interno delle piastrine è stata scarsamente considerata. Gli studi
di Lee e Kim (2009) e Pandey et al. (2010) hanno confermato la
riduzione dei livelli di BDNF osservata nel siero o plasma di
pazienti con depressione maggiore valutando lo stesso parametro
nelle piastrine. In realtà, la misura del BDNF nel plasma e nel siero
come marker predittivo e di monitoraggio della HD è stata messa in
discussione, a causa della scarsa robustezza del test e delle variabili
sia individuali che dovute al campionamento, al tempo di
separazione del plasma o del siero, tutti fattori che possono
condizionare in modo considerevole il risultato finale (Zuccato et
al., 2011). Le piastrine, secondo uno studio pubblicato in “ the
Journal of Neuroscience” nel 1990 effettuato da Hirotaka Y e
Mark E. Gurney, sono il sito di maggior contenimento di BDNF
nell'uomo e, quindi, il BDNF intrapiastrinico rappresenterebbe la
quota principale in circolo mantenendone anche una riserva interna
non rilasciabile (Yamamoto e Gurney, 1990; Fujimura et al., 2002).
Le piastrine liberano il BDNF durante la loro attivazione o in base a
stimoli di varia natura. Il preciso ruolo fisiologico di questo rilascio
non è stato totalmente chiarito, ma sembra che questo sia legato a
processi di riparazione tissutale e soprattutto alla coagulazione
ematica. Circa la provenienza del BDNF nelle piastrine esistono
71
dati contrastanti e questa non è stata ancora del tutto chiarita: alcuni
autori riportano la presenza di RNA messaggero del BDNF nelle
piastrine umane (Yamamoto e Gurney, 1990) mentre altri non
confermano tale risultato sia nelle piastrine umane che in linee di
differenziamento piastriniche (magacariociti) (Fujimura et al.,
2002). L’ipotesi attualmente più accreditata è quella che ritiene le
piastrine non un sito di sintesi della neurotrofina in periferia ma
solo di storage, accumulandola dal circolo e/o da altre sedi. Poiché
le piastrine vengono considerate una “finestra” in periferia
dell'attività neuronale attraverso meccanismi di comunicazione
molecolare tra sistema nervoso e cellule in circolo (Maes, 1995;
Cocchi et al 2012; Behari et al., 2013), l'utilizzo di questo modello
periferico non invasivo potrebbe svelare alterazioni eventuali di tale
canale neuroendocrino: il BDNF piastrinico potrebbe essere un
marker più robusto e diretto delle patologie considerate rispetto al
plasma e al siero, permettendo di valutare la quota totale della
neurotrofina in circolo. Pertanto, in questa tesi, sono stati
determinati anche i livelli piastrinici di BDNF nei pazienti e nei
soggetti di controllo ma solo a livello basale (t0), prima dei test
socio-cognitivi. Non si prevedevano infatti variazioni a breve
termine a carico del BDNF piastrinico. In sostanza, lo scopo del
nostro lavoro consisteva nel testare preliminarmente se l’OX
plasmatica e il BDNF piastrinico potessero essere utilizzati come
validi markers biochimici di questa invalidante patologia nel
monitoraggio delle diverse fasi di malattia, del grado di
72
MATERIALI E METODI
6.1 Campionamento e prelievi
Il reclutamento dei soggetti è avvenuto presso gli ambulatori del
Dipartimento di Medicina e Clinica Sperimentale dell’Università di
Pisa, sezione di Neurologia. Nello studio sono stati inclusi in totale
12 pazienti affetti da HD (8 uomini, 4 donne) e 9 controlli (8
uomini, 1 donna), questi ultimi selezionati tra i pazienti afferenti al
reparto di Neurologia per patologie non neurodegenerative. In
Tabella 1, sono presentate le caratteristiche demografiche e cliniche
(punteggio UHDRS) dei pazienti con HD mentre in Tabella 2 quelle
solo demografiche dei soggetti di controllo.
I soggetti erano di età media comparabile, al di sopra di 45 anni; la
discrepanza numerica tra soggetti di sesso maschile e femminile è
stata bilanciata tramite il reclutamento di soggetti di sesso
femminile in menopausa. Tutti i pazienti avevano sospeso la terapia
in corso con neurolettici e/o antidepressivi almeno un settimana
prima dello studio e i soggetti di sesso femminile non praticavano
terapia ormonale sostitutiva.
In 8 dei 12 pazienti e in tutti i controlli, abbiamo effettuato 2
prelievi a distanza di circa un’ora e mezzo l'uno dall'altro. Tra i due
prelievi è stato chiesto ad ognuno dei pazienti di compilare un
questionario di screening e valutazione delle abilità di cognizione
sociale, e della capacità a riconoscere alcune espressioni facciali74
quali la paura e la tristezza. I test somministrati agli 8 pazienti erano
seguiti da un neurologo e uno psicologo autorizzati e specializzati
nella mansione.
N° Sesso Punteggio
UHDRS
Età esordio
malattia
Età Scolarità
(anni)
Terapia (sospesa)
1 M 33 52 57 13 Amantadina2 M 50 59 77 5 Mirtazapina,
Tetrabenazina3 M 39 49 55 8 Tetrabenazina,
Valproato4 M 35 60 76 5 Tetrabenazina,
Valproato,
Paroxetina5 M 29 36 47 13 Pramipexolo6 F 28 58 60 5 Amantadina,
Valproato7 M 26 44 52 8 Tetrabenazina,
Valproato8 M 40 76 78 5 Amantadina
9 F 42 57 62 8
Amantadina,
Venlafaxina,
Fluoxetina,
Trazodone
10 F 34 44 45 13 Amantadina,
Pregabalin
11 M 55 43 52 13 Tetrabenazina,
Olanzapina,
Sertralina
12 F 29 72 72 8 Trazodone
Tabella 1: Caratteristiche demografiche e cliniche dei pazienti
75
N Sesso Scolarità Età1 M 13 712 M 13 583 F 5 664 M 5 685 M 5 696 M 5 757 M 13 458 M 8 739 M 5 78
Tabella 2: Caratteristiche demografiche della popolazione di controllo
Il primo prelievo è stato effettuato tra le 8 e le 9 di mattina (dopo
una notte di digiuno), mentre il secondo intorno alle 10 sempre
presso la Divisione Neurologica dell'Università di Pisa, in accordo a
disposizioni e procedure descritte in dettaglio nel protocollo del
progetto, letto e approvato dal Comitato Etico dell'Università di
Pisa.
76
6.2 Valutazione clinica neuropsicologicaAgli 8 pazienti selezionati per le valutazioni cognitivo-sociali e i
livelli plasmatici di OX, sono stati somministrati i questionari
sempre subito dopo il prelievo basale (t0) e prima del prelievo post-
test (t1).
Una prima batteria di test è stata utilizzata per valutare la capacità
neuropsicologica dei pazienti e dei controlli tramite i seguenti
questionari:
◦ Punteggio Mini Mental State Examination (MMSE)
(Folstein MF et al J Psychiatr Res 1975): test che indaga
lo stato cognitivo globale. Punteggio varia da 0-30.
◦ Punteggio alla Montreal Cognitive Assessment (MoCA)
[Nasreddine ZS et al I Am Geriatr Soc 2005]: indaga 8
diversi domini cognitivi. Punteggio varia da 0-30.
◦ Punteggio Frontal Assessment Battery (FAB) [Dubois B
et al Neurology 2000]: indaga sulla flessibilità mentale,
programmazione motoria, sensibilità all’interferenza,
controllo dell’inibizione e autonomia ambientale. Il
punteggio varia da 0-18.
◦ Punteggio Test Intelligenza Breve (TIB) [Sartori G et al
1997]: questo test si basa sulla correlazione tra
intelligenza generale e abilità di lettura.
77
Una seconda valutazione è invece consistita nell'indagine sulla
capacità di cognizione sociale di tutti i soggetti.
I questionari e le scale utilizzate sono state:
Punteggio al test “faux pas task” [Stone VE et al J of Cog
Neuroscience 1998]: vengono proposte al paziente 10 storie,
chiedendo di identificare comportamenti scorretti da parte di
un soggetto A nei confronti del soggetto B.
Riconoscimento dell'espressione dei volti secondo la scala
Karolinska Directed Emotional Faces (KDEF): [Lundqvist
D et al CD ROM from Department of Clinical
Neuroscience, Psychology section, Karolinska Institutet,
ISBN 91-630-7164-9] vengono proposte al paziente delle
immagini di volti raffiguranti delle espressioni da
riconoscere. Il punteggio varia da 0 a 28.
Punteggio al test di attribuzione delle emozioni mediante
stimolo Verbale [Prior M et al 2003 versione in italiano]: il
test si propone di indagare l’abilità di attribuire stati emotivi
ad altre persone. Il punteggio varia da 0-15.
Punteggio al test “Strange Stories” [Happé F et al 1999;
Prior M et al 2003 versione in italiano]: test che consente di
indagare la capacità del soggetto di immedesimarsi negli altri
e comprenderne gli stati mentali. Il punteggio varia da 0-13.
Punteggio alla Vignetta Wilhelm Bush [Ioue Y et al 2004],
famoso caricaturista Tedesco del diciannovesimo secolo. Il
test prevede comprensione del testo e deduzione tattica. Il
punteggio varia da 0 a 4.
6.3 Prelievo ematico
Il prelievo di sangue venoso periferico, di circa 15 ml, è stato
raccolto in provette contenenti EDTA (1mg/ml) e Aprotinina (1
mg/12 ml) e poi centrifugato a circa 200x g per 15-20 minuti a
temperatura ambiente al fine di ottenere il plasma ricco di piastrine
(PRP).
Il PRP è stato successivamente centrifugato a 2500 x g per 15
minuti a 4°C. Il sovranatante S1, ossia il plasma, è stato raccolto e
acidificato diluendolo 1:1(v:v) con HCl 0,1N per l'estrazione
dell'OX.
Il pellet contenente le piastrine intere è stato congelato a -80°C per
79
il dosaggio del BDNF.
6.4 Estrazione dell'ossitocina dal plasma Il plasma acidificato è stato centrifugato a 48,000 x g per 10 minuti
a 4°C. In seguito a questa centrifugazione, il sovranatante S2 è stato
recuperato per l’estrazione dell’OX mediante una procedura in fase
solida utilizzando cartucce C-18 tipo Sep-pak e un apparato
sottovuoto a 24 postazioni, munito di manometro, come collettore
dell’eluato (Waters, Vacuum manifold, Illustrazione 18). Le
colonnine C18 (Strata X, 3 ml, Phenomenex) sono state
previamente attivate con 10 ml di metanolo e 20 ml di acqua
deionizzata e il campione (S2) è stato successivamente caricato
permettendo l’adesione dell’OX alla colonna.
Dopo un lavaggio con 10 ml di acido acetico al 4%, l'OX veniva
staccata dalle cartucce C18 facendo eluire 2 ml di metanolo al
100%. Quindi l’eluato è stato portato a secco con una centrifuga-
concentratore (Speedvac, Savant) munita di trappola di
condensazione per vapori tossici. A fine operazione, gli essiccati
sono stati conservati a -80°C fino al momento del dosaggio di
determinazione dell'OX.
80
6.5 Dosaggio EIA dell'ossitocina plasmatica
Al momento del dosaggio, i campioni essiccati e conservati a -80°
sono stati portati a temperatura ambiente e ripresi in 150 µl di
tampone di dosaggio, permettendo di concentrare notevolmente la
quantità di OX presente nel plasma: infatti, in tal modo, i circa 6
ml di plasma, ottenuti dai 15 ml di sangue intero, venivano estratti
e concentrati circa 1: 40 (v:v). Per la misura dei livelli plasmatici di
OX è stato utilizzato un kit EIA (Enzyme ImmunoAssay)
colorimetrico di tipo competitivo (Oxytocin Enzyme Immunoassay
kit, Enzo Life Sciences). Il kit comprende una micro piastra a 96
pozzetti il cui fondo è rivestito di Anticorpo anti-IgG di capra anti-
coniglio, ai quali si lega un Anticorpo specifico per OX presente nel
kit.
Il kit, oltre a tutte le altre soluzioni e tamponi necessari, fornisce
l’OX standard (10,000 pg/ml) da diluire per la retta di calibrazione
(15.6-1000 pg/ml) e l’OX coniugata covalentemente all’enzima
fosfatasi alcalina il quale, in presenza del substrato p-
Nitrofenilfosfato (pNpp), catalizza la reazione di formazione del
prodotto colorato di giallo p-Nitrofenolo. Successivamente, in
pozzetti separati, sono stati aggiunti 100 µl delle varie diluizioni
della retta di calibrazione e dei campioni concentrati assieme a 50
µl di OX coniugata e 50 µl di anticorpo policlonale di coniglio anti-
OX. In questo modo si realizza una competizione, per il legame al
secondo anticorpo anti-OX, tra l’OX endogena non marcata a
82
contenuto incognito nel campione o l’OX a contenuto noto (retta di
taratura, Illustrazione 19), e l’OX coniugata con l’enzima fosfatasi
alcalina.
Dopo opportuna incubazione e lavaggi, è stato aggiunto il substrato
della fosfatasi alcalina: la colorazione finale dovuta alla formazione
del prodotto risulta quindi proporzionalmente inversa alla quantità
di OX non marcata presente in ogni pozzetto, misurata a 405 nm
mediante spettrofotometro Victor Wallac (Perkin Elmer).
Dall’analisi della retta di calibrazione sono state estrapolate le
concentrazioni incognite di OX nei campioni. Il kit è fornito di
controlli di qualità interni per la valutazione di accuratezza e
precisione del metodo; il metodo possiede una massima selettività
(assenza di cross-reazioni con la vasopressina) ed è molto sensibile,
potendo dosare quantità di OX pari a circa 12 pg/ml.
83
10 100 10000
20
40
60
80
100
log conc
% A
bs/A
bsT
Illustrazione 19: Curva standard fornita dal kit
6.6 Trattamento e lisi delle piastrine per l'analisi del
BDNFIl giorno del dosaggio del BDNF, le piastrine conservate a-80°C
sono state poste in ghiaccio e sono stati aggiunti 7,5 ml di tampone
di lisi, 10 mM Tris-HCl, pH=8, contenente un mix di inibitori delle
proteasi (Sigma Aldrich, Protease Inhibitor Cocktail, cod: P8340)
diluito 1:1000-2000 (v:v). Le piastrine trattate sono state poi
omogeneizzate mediante sonicatore (Sonics Vibracell) per 30-60
secondi al fine di provocare la rottura delle membrane plasmatiche
delle piastrine mediante ultrasuoni. L’omogenato ottenuto è stato
trasferito in provette eppendorf centrifugate mediante una
centrifuga microfuge a velocità massima per 5 min.
Il pellet di membrane ottenuto è stato posto nuovamente a -80°C
per altre analisi e valutazioni, mentre il sovranatante è stato preso
ed utilizzato per il dosaggio del BDNF intrapiastrinico.
84
6.7 Dosaggio del BDNF con kit ELISA Il dosaggio ELISA è un metodo specifico e sensibile per valutare la
concentrazione di BDNF nel sovranatante di colture tissutali, nel
plasma, nel siero, nelle urine e negli estratti tissutali.
ELISA è un acronimo derivato dall'espressione inglese Enzyme-
Linked ImmunoSorbent Assay (Saggio Immuno-Assorbente legato
ad un Enzima). Si tratta di un versatile metodo d'analisi
immunologica usato in biochimica per rilevare la presenza di una
sostanza usando uno o più anticorpi ad uno dei quali è legato un
enzima.
Per la determinazione dei livelli di BDNF abbiamo utilizzato un Kit
ELISA della Promega che ci permette un identificazione di tipo
colorimetrico, il “BDNF Emax ImmunoAssay System”.
85
Illustrazione 20: Rappresentazione schematica della procedura del kitELISA per determinazione del BDNF.
Questo metodo è stato messo a punto per la determinazione
sensibile e specifica del BDNF utilizzando un sistema di anticorpi
tipo sandwich (illustrazione 20).
In sostanza, al fondo in polistirene della piastra da 96 pozzetti viene
fatto aderire, con una procedura detta di “coating” (rivestimento),
un anticorpo monoclonale Anti-BDNF (mAb) che dovrà legarsi al
BDNF presente sia negli standards a contenuto noto (retta di
taratura) sia nel campione a contenuto incognito. Il BDNF catturato
dall’mAB legato al fondo del pozzetto lega il secondo anticorpo
specifico, l’anticorpo policlonale anti BDNF (pAb), che riconosce
altri epitopi della molecola. Dopo opportuni lavaggi, la quantità di
pAb legato in modo specifico, sarà determinata usando un terzo
anticorpo anti-IgY specie-specifico, coniugato con un enzima, la
perossidasi di rafano. Il coniugato non legato viene rimosso lavando
la piastra e viene poi aggiunto il substrato della perossidasi
contenente un gruppo cromogeno che si trasforma nel prodotto che
conferisce un colore azzurro alla soluzione. Aggiungendo la
soluzione di stop, HCl 0.1N, la soluzione da azzurra diventa gialla e
viene letta allo spettrofotometro a 450nm. La quantità di BDNF
sarà proporzionale al colore generato nella reazione enzimatica, una
reazione di ossidoriduzione.
.Questo test è in grado di identificare concentrazioni minime di
BDNF (15,6 pg/ml) con un alto tasso di specificità (lega meno del
3% di sostanze non BDNF come NT-3, NT-4 e NGF).
86
6.8 Preparazione della piastra e procedura
Poiché lo scopo di questo studio era la determinazione della
concentrazione di ormone BDNF presente all’interno delle
piastrine, prima di dosare il BDNF in tutti i soggetti reclutati nello
studio, abbiamo dovuto effettuare una prova per valutare la
diluizione opportuna di sovranatante di lisato piastrinico al fine di
ottenere letture spettrofotometriche nella linearità della retta di
taratura, quindi all'interno del range di valori della scala degli
standards di BDNF fornita dal kit.
Per trovare la quantità giusta di campione da usare nel dosaggio,
abbiamo quindi diluito l’omogenato piastrinico in rapporto 1:2, 1:4
e 1:8 (v:v) usando il tampone di dosaggio fornito dal kit. Il tampone
consisteva in una soluzione contenente proteine per bloccare legami
aspecifici alla piastra, il tampone “Block and Sample 1X buffer”,
ottenuto dalla diluizione 1:5 (v:v) in acqua distillata del tampone
“Block and Sample 5X buffer” provvisto dal kit.
A seguito di questa prova, la diluizione ottimale del sovranatante di
lisato piastrinico è risultata pari a 1:8.
Per il test del BDNF sono state utilizzate le piastre a 96 pozzetti del
tipo Nunc Maxisorp TM in polistirene, come consigliato dal
protocollo, specifiche per dosaggi ELISA.
La realizzazione dell’intera procedura del kit prevedeva l’utilizzo di
tre tipi di soluzioni tampone:
87
1) il tampone di “coating”, o soluzione di carbonato-bicarbonato a
pH=9.7, il “Carbonate Coating buffer” contenente bicarbonato
di sodio 0,025 M e carbonato di sodio 0,025M ;
2) il tampone di lavaggio o “Washing buffer” consistente in
tampone 20 mM Tris-HCl, pH= 7.6, 150 mM NaCl, 0,05%
detergente Tween 20;
3) il tampone “Block and Sample Buffer 1X” (vedi sopra).
La procedura di “coating” è una procedura standard per i dosaggi
di tipo ELISA e consiste nell’incubazione di una notte, il giorno
precedente al test, dell’anticorpo monoclonale mAb anti-BDNF in
tampone carbonato-bicarbonato, pH=9,7-9,9, che consente
l’adesione alla plastica della proteina . Dopo un lavaggio con il
“Washing buffer”, sono stati aggiunti alla piastra 100 µl di tampone
Block and Sample buffer 1X lasciato poi incubare per 1 ora a
temperatura ambiente al fine di bloccare il legame aspecifico. Dopo
1 lavaggio sono stati aggiunti 100 µl delle diluizioni dello standard
a contenuto noto di BDNF e dei sovranatanti di omogenato
piastrinico diluiti 1:8 in tampone Block and Sample buffer 1X. Poi
è stato seguito il protocollo del kit e alla fine del test abbiamo
ottenuto i valori di assorbanza a 450 nm utilizzando lo
spettrofotometro Victor Wallac (Perkin Elmer) e li abbiamo
confrontati con la retta standard fornita dal Kit (Illustrazione 21).
Tali valori sono proporzionali al quantitativo di BDNF presente
88
all'interno del nostro campione.
La retta di calibrazione del kit è stata quindi ottenuta ponendo i
valori di Abs a 450 nm sull’asse delle ordinate in funzione delle
concentrazioni note di BDNF in pg/ml.
Dall’equazione sono stati ricavati i valori di BDNF in pg/ml
contenuto nelle piastrine dei soggetti valutati.
89
Illustrazione 21: Curva standard fornita dal kit ELISA Promega
6.9 Dosaggio proteico con metodo di BradfordPoiché la quantità di piastrine ottenute è variabile da soggetto a
soggetto, abbiamo rapportato i quantitativi di BDNF in pg/ml
determinati con il kit ELISA, con la quantità di proteine totali
presenti in ciascun campione piastrinico. A tale scopo abbiamo
utilizzato la procedura di Bradford (Biorad). Il metodo è di
semplice esecuzione ed è molto sensibile: consiste in un unico
passaggio in cui il colorante viene aggiunto ai campioni diluiti in
acqua distillata e andando subito a misurare l’assorbanza allo
spettrofotometro a 595 nm.
Il legame del colorante Coomassie Brilliant Blue G-250 alle
proteine determina uno spostamento del massimo di assorbimento
da 465 nm (rosso) a 595 nm (blu) in soluzioni acide. La formazione
di complessi non covalenti con le proteine avviene tramite90
Illustrazione 22: Schematizzazione dell'attacco del Blue Comassie alla proteina
interazioni elettrostatiche con amminoacidi basici (positivi) ed
interazioni idrofobiche con amminoacidi aromatici.
La quantità di colorante che si lega è proporzionale alla quantità di
proteina presente in soluzione, quindi l’intensità del colore blu (e
dunque l’assorbimento) sarà anch'esso proporzionale alla
concentrazione proteica. La retta di calibrazione viene effettuata
utilizzando concentrazioni note di γ-globulina (Illustrazione 23).
I vantaggi di questo metodo sono: la semplicità di preparazione del
reattivo e i tempi rapidi di esecuzione con sviluppo immediato della
colorazione, la stabilità dei complessi che si formano e la sensibilità
pari a circa 22μg/ml.
Di contro però si deve sottolineare che la quantità di colorante che
lega le proteine dipende dal contenuto di amminoacidi basici, che
molte proteine non sono solubili nella miscela di reazione acida, e
che si potrebbero avere interferenze dovute a detergenti.
91
0 5 10 15 20 250.0
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0 y= 0.038x
-globulina (g)
Abs,
595
nm
Illustrazione 23: Retta di calibrazione per il metodo di Bradfordottenuta con gamma-globulina
6.10 Analisi statistica
L’elaborazione dei dati e l’analisi statistica sono stati condotti
mediante il software GraphPad Prism (versione 5.0, San Diego,
CA, USA). I dati sono stati presentati come media ± deviazione
standard (DS). Per i confronti riguardanti i livelli di OX nei vari
gruppi a confronto (pazienti e controlli e stessi soggetti al t0 e t1)
sono stati utilizzati tests non parametrici, sia il test di Mann-
Whitney per dati non appaiati sia il test di Wilcoxon per dati
appaiati (test prima e dopo). Per il confronto dei livelli di BDNF
intrapiastrinico tra pazienti e controlli a livello basale (t0, prima
del test neuropsicologico), è stato utilizzato il t-test di Student,
data la distribuzione normale di questo parametro.
Successivamente, sono state condotte analisi di correlazione con
le variabili individuali e cliniche mediante test di Spearman (non
parametrico) per l’OX e di Pearson (parametrico) per il BDNF
seguite da regressione lineare multipla. La soglia di significatività
stabilita era p = 0.05, ammettendo l'ipotesi nulla per p > 0.05.
92
RISULTATI E DISCUSSIONE
7.1 Valutazione neuropsicologica
In Tabella 3, sono mostrati i dati riassuntivi (Media ± DS) relativi ai
punteggi ottenuti dalla valutazione clinica e psicologica dei 8
pazienti e 8 controlli. Dal confronto di questi punteggi nei due
gruppi, mediante il test di Mann-Whitney, emerge che i pazienti
affetti da HD presentano un’estesa compromissione sociale
rappresentato dal valore significativamente ridotto della scala
“faux-pas” (FP/FP e FP/C) e delle “strange stories” (p< 0.01).
93
FAB FP/FP FP/C KDEF/paura
Str Stor EV EV/triste
Pazienti
Media
DS
12.1
2.8
12.1
10.9
8.5
2.3
0.5
0.5
8.2
3.2
11.4
1.3
2.2
0.5
Controlli
Media
DS
15.1
2.1
25.5
2.3
10
0
2.1
0.9
12.4
0.7
13.4
1.2
2.7
0.6
Mann-Whitney
Significatività
13.000
.024
9.000
.009
13.500
.007
6.000
.003
5.000
.002
7.500
.005
16.000
.027
Tabella 3: Confronto tra 9 pazienti e 9 controlli: valutazione socio-cognitiva.
Inoltre, i pazienti presentavano una peggiore percezione delle
emozioni, mostrando maggiori difficoltà rispetto ai controlli nel
riconoscere la paura dall’espressione dei volti e la tristezza a partire
da emozioni verbali (scala KDEF, p<0.01; scale EV ed EV/trist.
p<0.01). Tramite la correlazione non parametrica Spearman
eseguita considerando tutti i soggetti (8 pazienti + 8 controlli), si è
evidenziato che soggetti che presentano maggiore scolarità e minore
età al momento dello studio raggiungono migliori risultati in
particolare nel riconoscimento di rabbia, disgusto, tristezza e neutro
94
(p<0.05, p<0.01). Analizzando controlli e pazienti separatamente è
emerso che nei controlli sani vi è una correlazione positiva tra
scolarità e riconoscimento della rabbia e della paura. Questa stessa
indagine, condotta sulla popolazione di pazienti affetti da HD, ha
confermato questo andamento.
In particolare, sono stati ottenuti dati sovrapponibili per quanto
concerne la relazione tra scolarità e performance nel riconoscimento
dei volti soprattutto per le espressioni di disgusto, tristezza e neutre
(p<0.05, p<0.01). Questi dati depongono a favore quindi
dell’impatto del grado di istruzione sulle abilità di elaborazione e
percezione mentale.
Circa le correlazioni tra i parametri di malattia e performance dei
tests nei pazienti, è emersa invece una correlazione negativa tra
durata dall'insorgenza della malattia e i punteggi delle scale:
pazienti con durata di malattia maggiore hanno punteggi più bassi,
mentre pazienti con età di esordio più alta hanno una maggior
capacità nel riconoscere la paura (p<0.05, p<0.01). Questo implica
che nel tempo la patologia tende ad aggravare le condizioni
cognitive e sociali dei pazienti.
95
7.2 Livelli ematici di ossitocinaNelle Tabelle 3 e 4, sono riportati tutti i valori calcolati di OX
plasmatica ottenuti. Se i confronti clinici hanno messo in evidenza
delle notevoli differenze nella percezione di fatti ed emozioni,
comparando i livelli ematici basali (t0) di OX nei due gruppi in
studio è emersa solo una piccola differenza (Media ± DS: 7.8±5.8
pg/ml controlli, 6.9±2.7 HD), che non ha raggiunto livelli di
significatività al Test di Mann-Whitney (Illustrazione 24).
Nell'illustrazione 25, invece, sono presentati i dati ottenuti al tempo
t1, dopo i questionari. Anche in questo caso, non sono emerse
differenze significative tra i due gruppi (Media ± DS: 8.2 ± 5.2
pg/ml controlli, 7.1±2.9, HD).
Questi risultati negativi potrebbero essere stati influenzati dalla
notevole variabilità delle concentrazioni ematiche di OX e
dall’esigua numerosità del campione esaminato. Quindi,
sembrerebbe che i pazienti Còreici abbiano una certa tendenza ad
avere livelli di OX circolante più bassi, ma questo aspetto necessita
una conferma, estendendo lo studio ad un numero più elevato di
soggetti o controllando maggiormente le variabili individuali.
96
97
C T0 HD T04,176049 9,44,71034 8,4230855,79161 10,3112716,97813 3,67831518,7796 8,927846,662515 4,8052077,292978 3,2548784,71034 6,4534372,626629
Tabella 3 : Concentrazione di ossitocina (pg/ml) in pazienti (HD) e controlli (C) al T0
C T1 HD T16,251124 7,1428574,040023 9,5891585,412429 12,1895717,82639 7,51243316,58748 5,8055316,341831 4,0400236,135153 3,3500255,210128 7,2743795,801123
Tabella 4: Concentrazioni di ossitocina (pg/ml) in pazienti e controlli al T1
C T0
HD T0
0
5
10
15
20
Oss
itoci
napl
asm
atic
a, p
g/m
l
Illustrazione 24: Rappresentazione grafica dei livelli di ossitocina (pg/ml) in pazienti (HD) e controlli ( C) al t0
Comparando pazienti (Illustrazione 27) e controlli (Illustrazione 26)
(stessi soggetti) per i livelli di OX prima (t0) e dopo (t1) la
somministrazione dei questionari, non abbiamo riscontrato alcuna
differenza significativa nel rilascio di OX: Media ± DS: 6.8 ± 2.6
pg/ml al t0 e 6.95 ± 2.72 al t1 nei pazienti con HD; Media ± DS:
7.98 ± 5.8 pg/ml al t0 e 8.2 ± 5.2 al t1 nei controlli (test di
Wilcoxon per dati appaiati, p>0.05).
98
C T1HD T1
0
5
10
15
20O
ssito
cina
plas
mat
ica,
pg/
ml
Illustrazione 25: Rappresentazione grafica dei livelli diossitocina (pg/ml) in pazienti (HD) e controlli (C) al t1
99
HD T0HD T1
0
5
10
15
Oss
itoci
napl
asm
atic
a, p
g/m
l
Illustrazione 27: Distribuzione dei livelli di ossitocina (pg/ml) dei pazienti (HD) al t0 e t1
C T0 C T10
5
10
15
20O
ssito
cina
plas
mat
ica,
pg/
ml
Illustrazione 26: Distribuzione dei livelli di ossitocina (pg/ml) dei controlli (C) al t0 e t1
I tests sembrano quindi non aver influenzato i livelli ematici di OX
in tutti i soggetti esaminati. Anche in questo caso, si dovrebbe
comunque estendere lo studio per confermare il dato.
Per evidenziare una possibile relazione tra OX e i punteggi della
scala UHDRS nei pazienti, abbiamo effettuato una correlazione di
Spearman riportando una tendenza verso una correlazione positiva
dei livelli di OX plasmatica al t0 rispetto alla gravità della
componente motoria del disturbo, senza raggiungere la
significatività (Illustrazione 28). Al tempo t1, questa correlazione è
diventata altamente significativa, p=0.0072 (Illustrazione 29).
Questo risultato è di difficile interpretazione.
20 30 40 50 600
5
10
15CH T0
UHDRS
Oss
itici
napl
asm
atic
a, p
g/m
l
r= 0.4, p> 0.05
Illustrazione 28: Correlazione tra livelli plasmatici di ossitocina alt0 e valori scala UHDRS
100
20 30 40 50 600
5
10
15
r=0.88, p=0.007
HD T1
UHDRS
Oss
itoci
napl
asm
atic
a,pg
/ml
Illustrazione 29: Correlazione tra livelli plasmatici di ossitocina al t1 e valori scala UHDRS
Le correlazioni tra livelli circolanti di OX con età, età di esordio
della malattia, durata di malattia e scolarità non sono risultate
significative.
Riguardo alle correlazioni tra livelli di OX e scale di valutazione
cognitivo-sociale, un risultato interessante qui ottenuto consiste
nell’aver rilevato che i livelli basali di OX plasmatici nei soggetti
sani spiegavano circa il 55% della variabilità dei risultati relativi al
test di riconoscimento dei volti, mediante test di regressione lineare
multipla (r2 = 0.55, p<0.01). Seppur limitata dalla numerosità del
campione, tale relazione si mantiene anche analizzando il gruppo
dei malati (regressione lineare significativa, p<0.05). Quindi, questi
dati confermano che la percezione delle emozioni dei volti si
101
7.3 Livelli intrapiastrinici di BDNFI dati riguardanti il BDNF sono stati ottenuti tenendo in
considerazione solamente il campione di sangue proveniente dal
primo prelievo (t0).
Le tabelle 5 e 6 presentano i dati, calcolati tramite la retta di taratura
, relativi ai valori di BDNF piastrinico in pg/ml nei (C) e nei
pazienti (H), ottenuti dall’omogenato diluito 1:8. Questi stessi
valori sono riportati come scatter plot nell'illustrazione 30.
103
pg/ml 1:8C1 434,1109C2 340,2726C3 293,6155C4 125,3356C5 400,5598C6 385,8812C7 414,7142C8 380,1146C9 428,8685
Tabella 6: BDNF piastrinico, pg/ml: diluizione 1:8 nei controlli.
pg/ml 1:8HD1 402,6567HD2 435,1594HD3 439,3533HD4 314,585HD5 428,3443HD6 403,7052HD7 439,8775HD8 388,5023
HD9 373,8237HD10 441,4503HD11 381,163HD12 410,5203
Tabella 5: BDNF piastrinico, pg/ml: diluizione 1:8 nei pazienti
I valori riportati nelle prime due tabelle sono stati poi tutti corretti
per il fattore di diluizione del sovranatante di omogenato piastrinico
ottenendo i valori riportati nelle tabelle 7 e 8 e nell'illustrazione 31.
104
pg/mlHD1 3221,254HD2 3481,275HD3 3514,826HD4 2516,68HD5 3426,754HD6 3229,642HD7 3519,02HD8 3108,018HD9 2990,59
HD10 3531,602HD11 3049,304HD12 3284,162
Tabella 8: BDNF piastrinico (pg/ml) dei pazienti
C HD0
200
400
600
BD
NF
pias
tinic
o,pg
/ml(1
:8)
Illustrazione 30: Livelli di BDNF piastrinico (pg/ml) ottenuti con il kit. Diluizione 1:8
pg/mlC1 3472,887C2 2722,181C3 2348,924C4 1002,685C5 3204,479C6 3087,05C7 3317,714C8 3040,917C9 3430,948
Tabella 7: BDNF piastrinico (pg/ml) dei controlli
Come si può vedere dall'illustrazione 31, i valori ottenuti dai
campioni dei pazienti sono leggermente maggiori rispetto ai valori
dei controlli.
Tuttavia, per una misura più accurata del BDNF contenuto
all'interno delle piastrine, tali dati sono stati poi tutti rapportati alla
quantità di proteine totali contenute nel sovranatante piastrinico,
considerando la notevole variabilità del numero di piastrine tra
campioni di soggetti diversi. Dai pg/ml di BDNF abbiamo quindi
ottenuto i pg di BDNF/mg di proteine totali riportati nelle tabelle 9
e 10.
105
C HD0
1000
2000
3000
4000
5000B
DN
F pi
astr
inic
o,
pg/m
l
Illustrazione 31: Livelli di BDNF piastrinico (pg/ml) nei controlli (C) e nei pazienti (HD)
Nell'illustrazione 32 vediamo espressi gli stessi valori sotto forma
di scatter plot.
106
pg/mg proteine tot.C1 2385,225C2 1050,629C3 2525,725C4 1261,239C5 2706,485C6 2243,495C7 3670,037C8 2058,847C9 4432,75
Tabella 9: Valori di BDNF (pg/mg di proteine) nei controlli
pg/mg proteine tot.HD1 3563,334HD2 4378,962HD3 3350,645HD4 3544,62HD5 3005,925HD6 2061,035HD7 3439,902HD8 2285,308HD9 2046,947
HD10 3147,596HD11 2144,377HD12 2438,131
Tabella 10: Valori di BDNF (pg/mg di proteine) nei pazienti
C HD0
1000
2000
3000
4000
5000
BD
NF
pias
tinic
o,pg
/mg
prot
eine
tota
li
Illustrazione 32: Valori di BDNF (pg/mg di proteine) in pazienti (HD) e controlli (C)
Esprimendo i dati come pg/mg di proteine totali, le quantità medie
di BDNF piastrinico riscontrate nei pazienti sono ancora
leggermente superiori alle quantità medie di BDNF piastrinico dei
controlli: Media ± DS: 2482 ± 1064 pg/mg proteine totali, controlli;
Media ± DS: 2951 ± 749 , pazienti HD. Queste differenze non sono
risultate significative (t-test: p > 0.05), probabilmente per la
notevole dispersione dei dati, soprattutto nei controlli, e l'esiguo
numero di pazienti e controlli a nostra disposizione.
Infine, le correlazioni Pearson tra i livelli piastrinici di BDNF e la
scala UHDRS, età, scolarità ed età di esordio della malattia non
sono risultate significative.
Una correlazione significativa e positiva è stata invece osservata tra
i livelli di BDNF nei pazienti e la durata della malattia
(Illustrazione 33).
Illustrazione 33: Correlazione tra BDNF piastrinico (pg/mg prot. tot)e duratadella malattia (anni)
107
0 5 10 15 200
1000
2000
3000
4000
5000
r = 0.64; p=0.025
durata malattia (anni)
BD
NF
pias
tinic
o,pg
/mg
prot
eine
tota
li
Quindi possiamo affermare che, nel loro complesso, i nostri risultati
confermano che le piastrine rappresentano una riserva di BDNF in
circolo (Yamamoto e Gurney, 1990; Fujimura et al., 2002; Pandey
et al., 2010; Serra-Millàs et al., 2011). Nel siero, i livelli di BDNF
si avvicinano più a quelli piastrinici, come osservato da diversi
autori (Zuccato et al., 2011; Ventriglia et al., 2013). Dallo studio
multicentrico di Zuccato et al., (2011) sono emersi risultati
contrastanti tra i gruppi di ricerca inglese e francese, rispetto a
quello Italiano. In quest’ultimo infatti non è stata evidenziata alcuna
differenza significativa tra i livelli di BDNF nei pazienti e nei
controlli, mentre inglesi e francesi trovano un aumento significativo
in plasma processato dopo due o quattro ore. Nel nostro studio
abbiamo potuto osservare una correlazione positiva per quanto
riguarda i livelli di BDNF e durata della malattia. Questo dato
potrebbe risultare in accordo con quanto descritto da Zuccato nel
2011 riguardo ai gruppi Inglese e Francese. All’interno dello studio
si può descrivere un generale aumento dei livelli circolanti di
BDNF nei pazienti verso i controlli sani nella popolazione generale,
che risulta ancora più marcato se confrontato con i livelli dei
pazienti malati da molti anni. In sostanza , noi non siamo qui
riusciti ad evidenziare differenze a carico di questo parametro
perché circa il 42% dei pazienti da noi valutati risultavano malati da
meno di 5 anni.
108
CONCLUSIONI
Questo lavoro mette in luce come i livelli di OX plasmatica siano
collegati alla sfera cognitivo-sociale e alla capacità di percezione
delle emozioni, un dato osservato sia nei controlli sani che nei
pazienti. I pazienti con HD hanno rivelato una forte riduzione della
performance nei test di valutazione neuropsicologica e, in
particolare, i soggetti con minor istruzione e livelli di OX basali più
bassi avevano ottenuto punteggi peggiori. Pur non avendo rilevato
differenze significative tra pazienti e controlli, si può inoltre
osservare un trend verso una minor concentrazione di OX
plasmatica nei pazienti con HD. Inoltre, abbiamo riportato una
tendenza verso la correlazione positiva tra i livelli plasmatici di OX
basale e valutazione della scala UHDRS, correlazione che diviene
fortemente significativa dopo la somministrazione dei tests
neuropsicologici. Questo risultato non risulta tuttavia facilmente
interpretabile, visto il numero così esiguo di soggetti sottoposti allo
studio.
Per quanto riguarda i risultati ottenuti dall’analisi dell’altro
parametro biochimico indagato, il BDNF piastrinico, presentiamo
qui in modo preliminare una correlazione positiva tra i livelli di
BDNF piastrinico e la durata di malattia, suggerendo l’influenza di
questa variabile nel confronto statistico. Possiamo dire di aver
osservato un trend all’aumento, che comunque non raggiunge i
livelli di significatività. La presenza di maggiori livelli di BDNF109
piastrinico nei pazienti con HD potrebbe essere giustificata da una
modifica a livello proteico, causa di un eccessivo accumulo di
BDNF, o da un difetto nel rilascio dello stesso. Solo ulteriori
indagini potranno confermare e spiegare questi risultati.
Al termine dell'analisi, possiamo concludere suggerendo che sia i
livelli di OX plasmatici che quelli di BDNF piastrinici, non
rappresentano, almeno allo stato attuale dell’indagine, dei marcatori
diretti della HD.
Le correlazioni qui osservate a carico dei due parametri, quelle
relative ai sintomi e livelli di OX o quelle tra durata della malattia e
concentrazioni di BDNF dovrebbero essere confermate ed
ulteriormente indagate incrementando la numerosità dei soggetti.
Infine, altri parametri neurochimici dovrebbero essere valutati in
concomitanza.
110
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