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le grandi parole della Chiesa SPERANZA SPERANZA buttati! BIMESTRALE DEL CENTRO DI PASTORALE GIOVANILE E VOCAZIONALE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI DELLA LOMBARDIA - Poste Italiane Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 nº46) art. 1, comma 2, DCB (Bergamo) BIMESTRALE DEL CENTRO DI PASTORALE GIOVANILE E VOCAZIONALE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI DELLA LOMBARDIA - Poste Italiane Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 nº46) art. 1, comma 2, DCB (Bergamo) Anno XIX n. 1 - settembre 2011

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le grandi parole della Chiesa

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Anno XIX n. 1 - settembre 2011

LE GRANDIPAROLEDELLACHIESA

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LE GRANDI

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editoriale

Da sempre, l’umanità attraversa la storia, nei suoi periodi buoni – pochi, per la verità – e in quelli meno positivi: in un qualsiasi libro di storia, non andiamo olrte le due pagine, senza inciampare in una battaglia, una guerra, un catastrofe naturale… e tralasciamo le ingiustizie

che siamo fin troppo bravi ad inventare! Sembra proprio che abbia ragione il salmo 89: "gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, e il loro agitarsi è fatica e delusione…"!Ma allora, se le cose stanno così, perché scommettere ancora sul futuro, investendo “i migliori anni della nostra vita”? C’è qualche speranza per noi?

E,anche nel Vangelo le cose non sono poi così rosee: da un lato, Gesù parla di un amore che è ciò che sorregge il mondo, che alla fine sarà l’unico criterio e l’unica salvezza… ma poi questo amore finisce inchiodato a una croce! E - cosa ancor più sconvolgente - chiede

anche a me di fare questa fine: porta la tua croce, porgi l’altra guancia, perdona chi ti fa del male, ama il nemico…Ma, allora, quale speranza può muovere la mia fatica?Chi, come me, ha problemi di vista fa spesso l’esperienza di una visione un po’ falsata dalla mio-pia: ti guardi intorno, ma quello che vedi è sfocato, storpiato e ti rendi subito conto che la realtà è ben altra cosa! Allora metti gli occhiali, ma anche questi non sono sempre perfettamente puliti ed hai, così, una percezione quanto meno un po’ impoverata della realtà.

Bisogna, ogni tanto, dare una pulita alle lenti, per poter cogliere la realtà così come è davvero… e scoprire che, oltre il grigiore e le situazioni negative che ci circondano, c’è del buono, che non tutto va buttato… anzi, che a migliorare le cose posso collaborare anch’io. Devo

alzare lo sguardo per vedere che l’orizzonte è molto più ampio e più luminoso di quanto possa sembrare se mi limito a guardare le scarpe impolverate e infangate che ho ai piedi.Gesù, nel Vangelo, ci dice che è possibile e ragionevole sognare, che ci è donata una salvezza, ma che anch’io posso e devo fare la mia parte per realizzarla.

Mentre con l'amicizia e la preghiera siamo vicini a mons. Sigalini, speriamo di rileggerlo presto sulle pagine di STP!

fra Carlo

Oltre la miopia

POCHE

CHIACCHIERE

PIÙ PAROLA

fra Roberto Pasolini roberto.pasolini@

gmail.com

vertiginiIl sole se n’è andato a riposarsi dietro le colline della Galilea. Una grande folla, radunata attorno al Maestro per ascoltare la sua voce, ha perso la cognizione del tempo. «Siamo alle solite!», pensano i discepoli, visibilmente preoccupati per l’ennesima cena che stanno per saltare. Gesù si accorge dell’agitazione che serpeggia tra i suoi, e si mette a giocare un po’ con la loro fede, ancora acerba. Fingendo di non avere in mano la situazione, chiede a Filippo se ha qualche idea per sfamare questa incalcolabile raduno di gente. In realtà il Signore ha già pensato di compiere un segno prodigioso, ma vuole mettere alla prova i discepoli, coinvolgendoli. Filippo alza gli occhi verso la folla: è un numero spaventoso. Filippo si sente piccolo. E inizia a fare i conti. Quante volte, anche noi ci troviamo in questi stessi panni. All’improvviso, di soppiatto, la realtà ci rivolge domandi più grandi delle risposte che siamo capaci di dare frugandoci le tasche. E proviamo paura, disagio, voglia di scappare. Oppure tentiamo di cavarcela con un pizzico di sano realismo. Filippo esamina, riflette, fa i conti, quindi presenta a Gesù l’esito della sua analisi: missione impossibile! «Maestro questa volta hai toppato. Se anche ci mettessimo a lavorare per tre settimane di fila, non riusciremmo a sfamare questi cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Abbiamo solo cinque pani e due pesci!».Già è vero: cosa siamo noi di fronte al mondo e alla sua fame? Cosa ci illudiamo di fare per questo questa difficile realtà in cui viviamo? Saziarla? Cambiarla? Ma figuriamoci! Filippo ha proprio ragione. Certe sfide che il cielo ci lancia sono di gran lunga superiori

alle nostre forze. Gesù passa in rassegna i suoi seguaci con un silenzioso sorriso. Poi taglia corto. «No problem! Quello che abbiamo è sufficiente. Fateli sedere!». Una miracolosa catena rende in

pochi istanti tutti sazi e felici: i discepoli danno a Gesù e Gesù alla folla.Adesso anche il gruppo dei Dodici sorride. E capisce. Fino a quel giorno non sapevano di essere chiamati a sfamare altri anziché a provvedere, come sempre, alla lunga lista dei propri bisogni. Ignoravano che la loro vita potesse essere “cibo” da offrire e non solo

“bocca” da riempire.Anche a noi Dio regala speranza così. Facendoci provare le vertigini, di fronti a passi impossibili.Per poi guardarci con incrollabile fiducia, dicendo al nostro cuore: «Insieme possiamo fare cose grandi!».

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. cf. Gv 6,1-13

Sguardo di speranza

com

e Fr

ance

sco…

La strada verso Santa Maria degli Angeli è scivolosa, ma ormai

ci siamo. Uno o due miglia ancora e arriveremo al coperto.

Una pioggerella incessante ci accompagna da stamane e sembra

preceda giusto il nostro passo. Noi che siamo con lui grondiamo e rabbrividiamo.

Da ore apriamo bocca solo per parlare di un bel fuoco, di toglierci il saio zuppo, di un brodo caldo. «I campi ne avevano bisogno» sussurra Francesco. Ecco, lui è così. È fradicio come noi, trema per il freddo come noi. Ma lui, lui vede più in là. Dovremmo saperlo, noi che da sempre siamo stati con lui; ma ogni volta ci lasciamo sorprendere. Di fronte a un malato, noi guardiamo le piaghe: Francesco un piccolo da servire. In un confratello pigro e indisponente, noi compatiamo un frate fallito: Francesco un fratello che ha maggior bisogno d’amore. In un assassino, noi temiamo la belva feroce: Francesco se stesso prima che Dio avesse

misericordia di lui (e qualche volta – lui stesso lo afferma – anche dopo…). D’altra parte, ti basta avvicinarlo per renderti conto che lui, lui respira l’universo. Per tutto è cosi. Che tratti di persone, di situazioni, di prospettive, non fa differenza. Lui vede dove gli altri baluginano, lui comprende ciò che per noi altri è solo nebbia, lui profetizza autenticità dove troppi minacciano sogni vacui o sventure…Che cosa lo ha reso così? Noi che siamo stati con lui, ce lo chiediamo spesso. Le risposte ovviamente discordano… come potremmo? Poveri miopi…!Rufino dice che l’incontro con i lebbrosi

Basta avvicinare Francesco per ren-dersi conto che lui respira l’universo, ha uno sguardo che va oltre.

l’ha mutato per sempre, facendogli scoprire compassione e misericordia: chiavi di lettura del reale, contro pretenziosità e arroganza.Leone sostiene che furono le richieste in-fuocate del crocifisso a risvegliarlo: quel «Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina» arderebbe costantemente in quel cuore, donando forza e coraggio impensabili.Masseo è certo che il Vangelo gli ha donato occhi nuovi e nuovo ascolto: come una spada ha fatto a pezzi mentalità e tradizioni secolari, rivelando la freschezza della novità, l’ardire dell’ispirazione.Angelo as -serisce che l’aver fatto i conti senza sconto (e il continuare a lottare) con i suoi mostri interiori – la violenza, la sete di onore e il potere legato al dena-ro – l’hanno reso maestro d’umanità : messaggero di pace, fon-te d’umiltà, s ignore as-soluto della povertà.E io? Non so… ma darei tutto il brodo caldo del mondo, pur di avere quegli occhi, quello sguar-do! fr

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– 4 –

Sguardo di speranza 8 secoli di luce

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hiara…Un nuovo anno, anche se non ci sono scoppi di petardi e scintille nella notte, né brindisi e auguri. Solo un po’ di ritardo. Ogni anno in più ci porta qualche piccolo impaccio nei movimenti, magari, e la somma delle azioni richiede un po’ più tempo del solito. Ma siamo ancora agili e scattanti, non c’è dubbio! E il fatto che siate ancora qui a leggere, né è una piccola conferma: alla fine siamo tra le vostre mani, pieni d’idee e di sogni, di colori e immagini. Pieni di speranza. Un po’ fuori dal tempo, e anche dallo spazio, ma presenti. Un po’ come Chiara: fuori dal nostro tempo,

lontana nello spazio, ma presente. Da 800 anni. L’i-nizio della sua avventura di

“cristiana” – di pienamente consegnata a Cristo, dietro a Francesco e ai suoi primi fra-telli – è un po’ come la luce di una delle stelle della Chioma di Berenice (la 23 Com) che è partita otto-centovent’anni fa e che noi vediamo solo adesso, per-ché, appunto, è distante da noi... ottocen-tovent’anni luce! Un luce

che comunque ancora ci fa sognare, che ancora attrae il nostro sguardo nel buio della notte e ci indica la direzione. Trovandola in cielo, possiamo sapere dove sono il nord e il sud, l’est e l’ovest, partendo da lì possiamo anche spostarci e raggiungere altre stelle, sicuri di non sbagliare, di non disorientarci.Anche Chiara è distante da noi ottocento

anni, eppure anche la sua luce ci raggiunge, come luce di stella: discreta, baluginante, assorta, silenziosa. Ma luce. E, per chi alza gli occhi, sfavillio capace, anche nel buio che tutto avvolge, di indicare la strada, di orientare il cammino. Anche Chiara è un po’ ad una distanza siderale, ma come le stelle, è piena di desiderio (dal latino de sidera). Del desiderio che la nostra vita, come la sua, come quella di Francesco e di tantissimi altri nei secoli, sia tutta avvolta, temprata e ristorata dalla presenza del Signore. Dalla gioia che il Signore pone come seme nella nostra vita e che ci chiede solo di coltivare. Nella speranza. Come Abramo, che, dice Paolo, credette, saldo nella speranza contro ogni speranza (Rm 4,18), e come Chiara stessa che, di fronte agli ostacoli che le si oppongono sulla strada del Signore e ai suoi che le si contrappongono, il suo proposito di santità non cede e la sua forza d’animo non viene meno, ma in mezzo a parole e sentimenti di odio, a lei si tempra la speranza (FF 3173).Felici notti di stelle, desideri e speranze! Con Chiara.

L’inizio dell’avventura di Chiara è come la luce di una stella partita ottocentovent’anni e che noi vediamo solo adesso, e che ci fa ancora sognare, attrae il nostro sguardo nel buio della notte e ci indica la direzione.

Pittore: Umberto Gamba www.umbertogamba.it

Una suora clarissa del monastero di Bienno clarisse.bienno@

virgilio.it

– 5 –

la convinzione che si stesse aprendo una stagione di radicale rinnovamento nel segno della liberazione dell’uomo dai vincoli della sua limitata condizione creaturale. Si cominciò a credere che la tecnologia avrebbe final-mente introdotto l’umanità in un’epoca non solo di pieno appagamento nei consumi, ma anche di generale e innalzata qualità della vita. Ci si convinse che l’istruzione avrebbe emancipato in via definitiva le persone, finalmente riconosciute nella loro

“maggiore età”. Lo “sviluppo” si impose come la convinzione che ormai non c’erano ostacoli per la piena espressione dell’essere umano. Insomma, abbiamo fatto il pieno di ottimi-smo, cominciando a guardare dall’alto in basso chi ci aveva preceduto e non aveva potuto esprimere – come eravamo convinti di poter fare noi – il suo protagonismo.Forse la tendenza al pessimismo di oggi non è altro che la conseguenza di quell’eccesso di ottimismo e, come accade al pendolo, facciamo i conti semplicemente con un atteggiamento contrario che subentra al precedente. Ma siamo condannati a questa perenne oscillazione?La disposizione del cristiano verso il futuro non coincide con l’ottimismo, ma con la speranza. La differenza è presto detta. Sia l’ottimismo, sia la speranza si esprimono attra-verso un’emissione di credito sul futuro, ma con una differenza fondamentale. Nell’ottimismo il credito lo facciamo “su moneta nostra”, cioè perché siamo convinti di poter affrontare (e vincere) qualunque sfida incontreremo. Con la speranza le cose stanno molto diversamente perché l’emissione di credito la facciamo “su moneta altrui”. Che cosa significa? Colui che coltiva la speranza sull’avvenire non è convinto che, qualunque cosa accadrà, sarà all’altezza di affrontarla, ma che – in qualunque situazione si troverà – non sarà solo perché Dio è accanto a lui. La speranza cristiana non esclude la sconfitta: esclude la

È evidente che il nostro tempo fatica a praticare la virtù della speranza. Come

mai? Bastano i fatti di cui siamo a conoscenza per spiegare

questo atteggiamento? È vero che – sui giornali

e alla tv – continu-iamo a incrociare

fatti tragici : guerre e gesti

di squilibrati, la crisi eco-nomica e il declino de-mografico, le coppie

conflit-tuali e

la delin-quenza…

ma non c’è solo questo.

Veniamo an-che a sapere

che si fa pace, si raggiungono

frontiere im-pensate – fino a

qualche anno fa – nella conoscenza e nell’espansione della

tecnica, si abbattono le distanze divulgando

modalità comunicative efficacissime (pensiamo

solamente a Internet)… il bilancio dovrebbe essere di

pareggio, se non positivo: ma le cose non stanno così.

Forse la causa è nella intos-sicazione di ottimismo che

abbiamo alle spalle. Negli anni 60-70, infatti, si diffuse

La speranza cristiana

scaturisce dalla fede nella

Risurrezione di Cristo: non

è un narcotico che non fa

percepire la sofferenza, ma è una lente che ingrandisce ciò che può essere

osservato, facendo

scorgere oltre la visione comune.

speranza oppure ottimismo?

– 6 –

Giuseppe Mari ordinario di Pedagogia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano [email protected]

solitudine. Per questa ragione, guarda anche alla sconfitta non come all’evento che annienta in via definitiva, ma all’ostacolo che viene comunque superato perché – come recita un testo anonimo che negli ultimi anni ha avuto una certa circolazione – Dio ci prende in braccio. Nelle poche righe che lo compongono si narra di una persona che ha la ventura di poter ripercorrere a ritroso la sua esistenza. Gli viene detto che l’ha percorsa avendo sempre accanto a sé Dio. In effetti, nota che il suo cammino reca per lunghi tratti due serie di impronte, ma – a un certo punto – ne rimane solo una. Alla sua richiesta di spiegazione, gli viene risposto che si tratta delle orme lasciate da Dio che lo ha preso in braccio nei momenti più difficili della sua vita. È questa la condizione in cui si trova chi ha speranza, per questo motivo non cede al pessimismo: può conoscere anche amarezza e dolore, ma non soccombe mai, perché la presenza di Dio accanto a lui gli dà forza e non lo consegna alla rassegnazione. Dall’ottimismo, invece, discende il pessimismo non appena

– com’è accaduto negli ultimi decenni – ciò che sembrava alla portata appare perduto. Ne abbiamo molteplici conferme oggi, basta fare i conti con la crisi economica e morale da cui siamo afflitti: che ne è delle (presuntuose) sicurezze di 30-40 anni fa?Il cristianesimo non ha l’esclusiva della speranza. L’antico mito greco di Pandora, quello secondo cui questa donna – togliendo il coperchio che non avrebbe dovuto sollevare

– ha fatto uscire tutti i mali che affliggono l’u-manità, narra che – sui bordi del vaso – rimase impigliata la speranza. Che cos’era quindi la speranza per i Greci ossia per i pagani? Era la disposizione che permetteva di sopportare la sofferenza. Il suo valore fondamentalmente era negativo: non valeva perché permetteva qualcosa, ma perché impediva il cedimento alla disperazione. La speranza cristiana è molto diversa perché scaturisce dalla fede nella Risurrezione di Cristo. Non opera come un narcotico che non fa percepire la sofferenza, ma come una lente che – ingrandendo ciò che può essere osservato – fa scorgere quello che va al di là della visione comune. Alla sua radice troviamo non un movente negativo di fuga, ma la positiva

volontà di non sciogliere il legame con Dio. È il suo amore – vissuto nella relazione personale con Lui – che alimenta la speranza non come un fattore residuale (quello che è rimasto impigliato ai bordi del vaso di Pandora), ma come il nucleo che ci sta a cuore, quello che non vogliamo perdere perché vale di per sé e tale è perché esprime amore. Che anche oggi possiamo continuare a sperare, dipende molto dalla testimonianza di coloro che sperano perché credono e credono perché amano. Non è facile oggi come non era facile ieri, ma è sempre possibile

– ieri come oggi – a patto che si sappia non fare affidamento solo su se stessi.

La tendenza al pessimismo di oggi è la conseguenza dell’eccesso di ottimismo degli anni 60-70: come nel pendolo, facciamo i conti semplicemente con un atteggiamento contrario che subentra al precedente.

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Modà – SalvaMi Testo e musica: F. Silvestre Modà - Viva I Romantici (2011)

Sarà anche l’ultima a morire ma non sta scritto da nessuna parte che sia immortale o eterna… anche la speranza va alimentata, ma non a suon di illusioni bensì con progetti concreti e mete ben visibili.

Il primo passo verso la salvezza è sapere a cosa puntare, come un naufrago che sente nascere dentro di sé la speranza di salvarsi solo nel momento in cui inizia a scorgere all’orizzonte il profilo di una costa. È allora, solo allora che la sua speranza assume una forma e un progetto nel quale “sporcarsi le mani”; è allora che ogni fibra del suo essere, ogni energia del suo corpo è spesa per quell’unico obiettivo.

Così è per l’uomo che, dopo una lunga notte del cuore, vede riaccendersi il lumicino del riscatto, della svolta e sente affiorare sulle sue labbra le parole: «salvami, stendi le tue mani verso me e sollevami, porta il mio cuore lontano da questi luoghi scuri e insegnami l’amore…» parole che hanno un destinatario ben preciso e non sono affidante al vento perché le porti dove vuole lui.

Quante energie spendiamo, invece, per modifica-re la realtà che ci circonda, senza accorgerci che cambiare noi stessi sarebbe la cosa più semplice e immediata da fare: quanti giorni buttati lamentandoci della pioggia, delle amicizie perse o del tempo fuggito via, senza accorgerci che sotto quell’ombrello si potrebbe stare bene anche in due, che gli amici ogni tanto vanno anche cercati e le occasioni create per essere un po’ anche artefici della nostra speranza.

Salvami, allunga le tue mani verso me, insegna-mi ad amare come ami tu… ma soprattutto fammi essere migliore, un portatore di speranza.

Sarà anche l’ultima a morire ma non sta scritto da nessuna parte che sia immortale o eterna… anche la speranza va alimentata, ma non a suon di illusioni bensì con progetti concreti e mete ben visibili. Il primo passo verso la salvezza è sapere a cosa puntare, come un naufrago che sente nascere dentro di sé la speranza di salvarsi solo nel momento in cui inizia a scorgere all’orizzonte il profilo di una costa. È allora, solo allora che la sua speranza assume una forma e un progetto nel quale “sporcarsi le mani”; è allora che ogni fibra del suo essere, ogni energia del suo corpo è spesa per quell’unico obiettivo. Così è per l’uomo che, dopo una lunga notte del cuore, vede riaccendersi il lumicino del riscatto, della svolta e sente affiorare sulle sue labbra le parole: «salvami, stendi le tue mani verso me e sollevami, porta il mio cuore lontano da questi luoghi scuri e insegnami l’amore…» parole che hanno un destinatario ben preciso e non sono affidante al vento perché le porti dove vuole lui.Quante energie spendiamo, invece, per modificare la realtà che ci circonda, senza accorgerci che cambiare noi stessi sarebbe la cosa più semplice e immediata da fare: quanti giorni buttati lamentandoci della pioggia, delle amicizie perse o del tempo fuggito via, senza accorgerci che sotto quell’ombrello si potrebbe stare bene anche in due, che gli amici ogni tanto vanno anche cercati e le occasioni create per essere un po’ anche artefici della nostra speranza.Salvami, allunga le tue mani verso me, insegnami ad amare come ami tu… ma soprattutto fammi essere migliore, un portatore di speranza.

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ma chi me lo fa fare?

La sfiducia nel futuro e la rasse-gnazione sono sentimenti che caratterizzano i giovani di oggi, anno 2011: le prospettive che la vita ci offre sono poco confortanti, sia dal punto di vista lavorativo che da quello affettivo.E allora mi chiedo: noi giovani come dobbiamo porci di fronte a questa realtà e alla luce della nostra fede in Cristo?Sicuramente, non voglio essere una spettatrice indifferente a quello che accade intorno a me; non voglio acquisire l’abitudine di chiudere il mio cuore di fronte alla sofferenza, alle ingiustizie sociali, a tutto ciò che in questo strano mondo non va. Vorrei rimboccarmi le maniche, agire e non stare a guardare, e affrontare le decisioni che ogni giorno devo prendere con uno

sguardo sereno, speranzoso. Già, fin qui belle parole, ma chi me lo fa fare di rischiare tutto se poi gli esiti sono quello che sono, se poi il mondo continuerà ad andare male?La speranza a cui mi riferisco non è un’ingenua e puerile convinzione che le cose andranno bene, che il male non accadrà mai a noi, come se vivessimo in un mondo incantato. Non si tratta di indossare dei paraocchi, che impediscono di vedere quanto sia difficile vive-re. Al contrario bisogna esserne consapevoli, e inoltre è normale e ragionevole provare una qualche forma di timore di fronte al futuro. Accanto a questa consapevolezza, però, ve ne è un’altra, ancora più grande e che ci dà la forza di buttarci, affidandoci: lui è con noi.

Potrebbe sembrare una frase fatta, una panacea per tutti i mali, ma è la conclusione a cui sono arrivata partendo dalla mia personalissima esperienza: a volte, se le cose non vanno come pensiamo, se non otteniamo gli oggetti dei nostri desideri, spesso dopo qualche tempo ci rendiamo conto che le cose hanno acquisito un senso nuovo, una nuova luce; e gli eventi acquisiscono una nuova luce proprio se li guardiamo in una nuova ottica, più cristiana.Non a caso, Gesù ci insegna a pre-gare rivolgendoci al nostro Padre e chiedendogli che sia fatta la sua volontà. Se ci impegnamo nella nostra vita con questa consape-volezza, se ci butteremo allora sì, forse cadremo, ma ci sarà lui a sorreggerci.

Un minimo di timore di fronte al futuro è normale; c’è, però, una certezza, che ci dà la forza di buttarci, affidandoci: Dio è con noi.

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– 9 –– 9 –

“io speriamo che me la cavo!”

Titola così il best-seller pubblicato nel 1990 da un maestro elementare, Marcello D’Orta, che ha raccolto sessanta temi svolti dai ragazzi di una scuola in provincia di Napoli.

IO… Facendo il verso all’autore, potrei scrivere che in certi momenti la mia speranza è “sgarrupata”. Mi sento solo, mi sembra che siano così poche le cose che posso condividere con i miei amici, ho paura di espormi e ammettere le mie incertezze, le mie

domande, le mie ferite. Non sono più così sicuro che potrò essere felice, e questo mi mette dentro una inquietudine profonda. Pilato chiese a Gesù cos’è la verità, io chiedo: cos’è la felicità? Esiste ancora? Ha senso sperare che il mio futuro sarà felice o è più intelligente non sperare niente e puntare a sopravvivere finchè ce la farò?

SPERIAMO… Mi piace questo noi, ne sento

– 10 –

Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa ren-dere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più proverai l’amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una fe-licità ed in un’estasi che mai potranno aver fine

santa Teresa di Gesù (1873-1897), Esclamazioni dell’anima a Dio 15,3

anima, e che anche l’universo sarà salvato e rinnovato. Tu mi permetti di sperare che questo mio corpo non finirà nel marcio. In te non ci saranno più la morte, il dolore assurdo. In te saremo finalmente un cuore solo, tu sarai il destino comune dell’uomo e della materia. Ti vedremo, ti godremo. L’attesa di questo incontro dà ragione e forza all’impegno per collaborare alla costruzione di un mondo più

umano… come lo vuole Gesù: divino! Per questo progresso sono disposto a “fare sacrificio”, a spen-dermi senza troppa paura!Devo riconoscere che questa spe-ranza mi dà gioia: intuisco che con te, Dio, posso essere felice, possiamo esser felici. Se tu sei con me, ritrovo la ragione profonda della fiducia negli altri. Tu sei il Principio e il Fine di ciascuno e di tutti. Tu sei nostro Padre!La tua speranza risponde allora al nostro bisogno di felicità, rende plausibili le attese del nostro agire per cambiare la storia, ci salva dallo scoraggiamento e ci sostiene nei momenti di abbandono. Dilata il nostro cuore e lo lancia nell’attesa di una felicità che non conoscerà il limite del tempo…Lo slancio della tua speranza ci strappa dall’individualismo armato e ci fa ritrovare la gioia di volerci bene. Senza paura di rimanere fregati!Sperare: con te si può, con te non se ne può fare a meno!

tanto il bisogno. Quando siamo in mille ad un concerto o allo stadio o in manifestazione, mi sembra di sentirmi più forte. In altri momenti però non riesco a fidarmi dei mei amici, non riesco a rischiare di appoggiarmi a loro. Già, ma se fosse così, come faccio a rischiare di coinvolgermi sentimentalmente, cosa rischio se mi innamoro? Ci si può fidare dell’amore? Posso sperare che ci sia un amore per

me? Sento tagliente il timore che sperare sia sinonimo di illudersi per poi rimanere fregati.

CHE ME LA CAVO… Tutti mi dicono che, al momento del bisogno, è giusto che ognuno pensi a se stesso. Ciascuno deve arrangiarsi, deve imparare a ca-varsela da solo. Certo che voglio cavarmela, nel senso che voglio una vita bella, che meriti di starci dentro, che sia un po’ felice, più felice possibile! Ma non vorrei cavarmela io da solo, facendo la guerra al resto del mondo… Per

“farcela” bisogna proprio combattere come guerrieri assatanati tutti contro tutti, sapendo che alla fine vince uno solo? Tutto qui quello che posso sperare?E tu, Dio, hai una speranza per me?Alla fine dei tempi… spero che tu, Dio, ci accoglierai con un giudizio di amore, di perdono e di giustizia, spero che tutti vivremo nella tua gioia e nella tua bellezza in corpo e

Fra Marcello Longhi rileggendo il Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1042-1050. 1812-1821.framarcello@

suituoipassi.it

– 11 –

Spero che Dio, alla fine dei tempi,

ci accolga con un giudizio di amore,

di perdono e di giustizia; spero che tutti vivremo

nella sua gioia e nella sua bellezza in corpo e

anima; spero che l’universo

sarà salvato e rinnovato.

«Speriamo in bene!»; si dice spesso tra amici quando si deve affrontare una prova ardua. «Sperém!» dicono i più anziani, in dialetto lombardo, di fronte alla situazione enigmatica del futuro, alla quale non si riesce a venire a capo. «Speriamo che il prossimo anno sia meglio di quello passato», così ci si augura all’inizio di un nuovo anno. Se ci pensiamo bene, la speranza ha a che fare con due esperienze umane che tutti facciamo. Innanzitutto la speranza è legata ai nostri desideri: si spera che accada qualche cosa che si desidera, ma che non si possiede. Spero che si compia quello che desidero per me e per chi amo. Quindi, senza una speranza affidabile alla fine muoiono anche i desideri. Secondo elemento: la speranza ha a che fare con il tempo. Infatti si desidera qualche cosa che non c’è ancora. La speranza è una percezione positiva del tempo che separa ancora il desiderio dalla sua soddisfazione piena. Non si partirebbe per una gita in montagna se non si avesse la speranza di poter arrivare alla cima. La speranza ci fa dire: il tempo che passa lavora per i nostri desideri e non contro di essi.Qui è il punto: che cosa ci può ga-

con noi, affinché possiamo vivere ogni istante della vita con gioia ed impegno, sapendo che con lui arriveremo alla meta. Gesù Cristo è la nostra speranza, che ci permette di vivere il tempo, qualsiasi cosa accada, nella certezza che quello che Dio ha iniziato in noi lo porta a compimento. La speranza è il sapore cristiano del tempo. Gesù Cristo è la “speranza affidabile in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente”. Infatti, ci ricorda Benedetto XVI, “il presente, anche un presente faticoso, può es-sere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino” (Spe Salvi, 1). Per questo la speranza cristiana permette all’uomo di vivere fino in fondo i propri desideri più veri e di attraversare nella letizia del cuore il tempo che passa.Chi possiede una speranza affidabile si vede soprattutto da una carat-teristica: può ricominciare sempre, indomabilmente, dopo qualsiasi sconfitta, delusione o peccato. Cristo, attraverso la sua dolce presenza, il suo perdono e la sua forza, ci permette sempre un nuovo inizio!

una speranza affidabile

rantire che il desiderio più profondo che sta nel nostro cuore, di felicità e di amore, troverà risposta? Dove sta la vera speranza affidabile che ci dà il coraggio di affrontare la vita quotidiana? “Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un

volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge” (Spe salvi, 35). Infatti, Dio che è entrato nel tempo e che si è fatto nostro compagno di cammino, lavora

fra Paolo Martinelli docente di teologia presso

l’Università Gregoriana e presso l’istituto Francescano

di Spiritualità di [email protected]

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Gesù Cristo è la speranza che ci

permette di vivere il tempo, qualsiasi cosa accada, nella certezza che quello che Dio ha iniziato in noi lo porta

a compimento.

fra Giampaolo Beghi fragiampaolo@

suituoipassi.it

È bello rendersi sempre conto che, dopo 18 anni di convento, l’incontro con dei confratelli è sempre occasione di gioia e crescita.Gioia, perché in queste occasioni riscopro sempre la bellezza della mia vita e della vita fraterna; crescita perché dopo questi incontri è normale fare un po’ il punto della situazione.Fare il “punto della situazione” per me ha voluto dire chiedermi come vivo il cambiamento di fraternità e come vivo il nuovo incarico che mi è stato affidato.Chiedermi come vivo le gioie, le fatiche legate a questo nuovo compito; e chiedermi se sono all’altezza di questo.Sono tante le domande che nascono in me e, in questi anni, ho imparato ad ascoltarle tutte, a giudicarle, valutarle.Mi sono chiesto spesso:

“Va bene che ci siano le gioie, ma

perché anche le paure?”La paura fa parte della con-

dizione umana. Anzi ne è una dimensione essenziale e irrinunciabile.

La mia, la nostra quotidianità è attraversata

da conflitti interiori ed esterni, che mettono a dura prova la nostra capacità di resistenza; che mettono a dura prova la speranza.In questa situazione diventa normale chiedersi: «Quale è la mia speranza oggi? Perché ancora oggi vale la pena sperare nonostante tutto?».Vale la pena di sperare sempre, perché la speranza è dono di Dio; e Dio non viene mai meno alle sue promesse, ai suoi doni… quindi “spero” cioè attendo con certezza.Che cosa?Non qualunque cosa, non quello che in qualche modo mi piace; ma spero perché si compia, nella mia vita, il progetto di Dio.La speranza rappresenta per me uno sforzo e una conquista da realizzare ogni giorno

“alla sequela d i C r i s t o

sulle orme di S. Francesco

d’Assisi”.Il dono che mi è stato

fatto è anche un compito da vivere; e quando ci viene

affidato qualche cosa, quando ci viene chiesto di vivere qualco-

sa questo comporta un impegno, uno sforzo.

San Francesco mi è di esempio in questo; gli è stato affidato un compito

(a volte difficile) e gli è stata donata tanta speranza da fargli dire, nelle Lodi di Dio altissimo: “Tu sei la nostra speranza…”. E lo ripete due volte, quasi a voler mostrare tutta la forza della speranza nella sua vita e nell’ispirazione di ogni sua scelta.La promessa del premio e l’incrollabile fiducia che lo “Spirito del Signore” soffia ancora su chi lo accoglie con “purità di mente e di cuore” hanno sorretto Francesco, donandogli quella gioia traboccante, che ancora oggi attira verso di lui ogni genere di persone, compresi i più indifferenti e lontani.

attendo con certezza

Vale la pena di sperare sempre, perché la speranza è dono di Dio; e Dio non viene mai meno alle sue promesse, ai suoi doni.

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Valer

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aniel

e, 35

e 37

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– 14 –

Una volta un missionario mi disse che avrei trovato Dio quando meno me lo sarei aspettato, perchè sarebbe stato lui a venire da me.Aveva ragione.Ero nella sala parto di un grande ospedale di Milano, ero stan-ca, affaticata e do-lorante. Era una calda giornata di autunno. Io ero lì ma avrei potuto essere in qualsiasi altro luogo del mondo, fuori avrebbe potuto esser-ci il sole, la pioggia, la rivoluzione ma a me non importa-va nient’altro che quel caldo fagotto che avevo fra le braccia. Avevo pro-vato la gioia immensa di sentire la mia bambina uscire dal mio corpo, di udire il suo primo pianto, di averla appoggiata al mio ventre e sentito il suo fragile calore. L’avevo fra le braccia, ancora un po’ bagnata, e la contemplavo. E nel silenzio di quella stanza, sulla mia pelle, ho sentito per la prima volta il respiro di Dio.Quando con mio marito decisi di avere un figlio, eravamo una giovane coppia piena di impegni, di amici, di viaggi, di progetti. Insomma, ci amavamo e stavamo bene insieme. Perchè sconvolgere quell’equilibrio con un figlio? Perchè complicarsi la vita con notti insonni e tossi asinine, corse al pronto

soccorso, dubbi, preoccupazioni e le giornate che diventano sempre più un puzzle di difficile composizione? Cosa

ci mancava? A dire il vero non ci mancava proprio nulla, però sentivamo anche che

per vivere fino in fondo la pienezza della vita quella era la strada che

dovevamo percor-rere: accogliere il dono di una nuova vita.

E come spes-so accade

q u a n -d o s i riceve

un rega-lo grande, quello che alla fine

a b b i a m o avuto era ina-

spettato, in molti sensi.

Si può spiegare la felicità? Non credo di

saperlo fare. Crescere le nostre bambine e crescere insieme a loro è la

più grande responsabilità che abbiamo mai avuto. Accompagnarle nella vita cercando di non oscurare la luce dei loro occhi con i nostri problemi irrisolti, le nostre fatiche e le nostre amarezze è un impegno quotidiano, delicato e difficile. Eppure è la cosa che ci rende vivi, è il mistero dell’amore che si svela piano piano.Se incontrassi quel missionario gli direi che sono ancora alla ricerca del senso della vita. Ma, come quella mattina di cinque anni fa, quando osservo le mie bambine addormentate posso sentire il suo profumo nell’aria.

il respiro di Dio

Perchè complicarsi

la vita con un figlio?

Ne valeva la pena? Cosa

ci mancava? Proprio

nulla, però accogliere

il dono di una nuova vita era

la strada per vivere la vita fino in fondo,

in pienezza.

Era il 27 Ottobre 1986. Ed è una di quelle date che lasciano un segno nella storia, che rimangono nella memoria di chi quei momenti li ha vissuti, con partecipazione, o solo per aver sentito dire che è accaduto.Ed accadde!Un ancora giovane - nonostante avesse già subito un attentato - Giovanni Paolo II fu in grado di sognare e di realizzare qualcosa di impensabile e, almeno in quella forma e in quelle dimensioni, irrealizzato fino ad allora: convocare persone di religioni diverse a pregare, ciascuna secondo il proprio credo e i propri riti, per la pace!Già, perché forse è proprio la pace il bene assoluto, decisamente condivisibile e con-diviso, al di là delle varie culture e delle varie religioni, il valore in grado di unire uomini e donne differenti, facendoli andare oltre le differenze!Ci aveva creduto, il Papa polacco; ci aveva scommesso, mettendoci la faccia… e ave-va vinto la scommessa, perché furono una settantina i rappresentanti delle principali religioni che si ritrovarono ad Assisi quel giorno, sperando e pregando perché negli uomini, potenti o meno, potesse emergere il senso e il desiderio circa la possibilità di costruire

un mondo migliore. La pace creò unità; la preghiera unì le differenze: è possibile un futuro, perché esistono ancora uomini “di buona volontà”, che cercano la volontà di Dio, sia pure percorrendo sentieri distinti.E, in quel giorno, tutto il mondo si strinse nella stessa preghiera e nella stessa unità: Dio ha creato l’uomo buono; facciamo venire a galla la bontà dell’uomo, costruiamo la pace, cerchiamo la giustizia, abbattiamo i muri di separazione che in secoli di incomprensione, di egoismo e di difesa dei propri interessi

– non sempre nobili e, spesso, a scapito di quelli altrui – abbiamo costruito! La pace è possibile, perché l’uomo è ragionevole e capace di amare!E, da allora, il cosiddetto “spirito di Assisi” è diventato una parola d’ordine, ancora capace di unire gli uomini verso una pace possibile e auspicabile; un “patrimonio dell’umanità”, che permette a persone lontane, nella cultura, nelle tradizioni e nella religione, di unire la propria preghiera perché la pace, da possibilità diventi certezza, da speranza diventi realtà.A noi, oggi, raccogliere questa sfida, vincere questa scommessa!Era il 27 ottobre, ed accadde…Di nuovo!

lo spirito di Assisi

– 15 –– 15 –

Lo spirito di Assisi è uno sguardo di speranza sull’uomo: la pace è possibile, un futuro si può sperare, perché esistono ancora uomini “di buona volontà”, che cercano la volontà di Dio, sia pure percorrendo sentieri distinti.

www.su i tuo ipass i . i t / in iz ia t iveMILANO CENTRO - tel 02 771221 fra Giampaolo Beghi: [email protected]

MILANO SAN SIRO - Tel 02 4877731 fra Emanuele Zanella: [email protected]

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La rivista viene inviata agli amici che sostengono le iniziative dei Frati Cappuccini per farne conoscere la vita, l’attività e i progetti.

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Direttore responsabile: P. Giulio Dublini

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Stampa: Grafital s.r.l. - Via Borghetto 13 - 24020 Torre Boldone BG

Autorizzazione Trib. di Bergamo nº 25 del 23/9/1993

Editore: Beni Culturali Cappuccini ONLUS viale Piave, 220129 Milano

Fotografie immagine di pagine 4 e 5 del pittore Umberto Gamba.

a questo numero hanno collaborato: fra Roberto Pasolini, fra Paolo Giavarini, una suora clarissa del monastero di Bienno, Giuseppe Mari, fra Giorgio Rizzi, Francesca, fra Marcello Longhi, fra Paolo Martinelli, fra Giampaolo Beghi, Valeria e Daniele.

Finito di stampare il 22 novembre 2011

prossimi appuntamenti

ALBINO BG - Tel 035 751119 fra Attilio Gueli: [email protected] fra Riccardo Corti: [email protected] - Tel 031 270118 fra Gianpaolo Mai: [email protected] - Tel 0372 454235 fra Giorgio Peracchi: [email protected] fra Massimo Taglietti: [email protected] fra Attilio Defendenti: [email protected] fra Gabriele Sacchini: [email protected]

RITIRO SPIRITUALEUn tempo di silenzio per ascolta-re il Signore, fare il punto della tua storia con Lui e fare un po’ di ordine dentro di te; un’occasione per con-dividere in fraternità con altri giova-ni le tue esperienze, le tue difficoltà e i tuoi sogni.Dalle 16,30 del sabato alle 16,00 della domenica nel convento di Cre-mona (via Brescia, 48)

3-4 dicembre; 10-11 marzoInfo: [email protected]

“CHI SEI TU?” – PERCORSO VOCAZIONALEItinerario di discernimento in sette incontri da gennaio a ottobre con l’obiettivo di verificare la propria vocazione ad una delle scelte adul-te di vita cristiana, in dialogo con lo Spirito santo e nella pratica della fraternità francescana.Info: [email protected]

CAPODANNO AD ASSISIPellegrinaggio di fraternità e di fe-sta ad Assisi per accostare la spi-ritualità di Francesco e Chiara nei luoghi della loro vita, per fare bilan-cio dell’anno che termina e proget-tare da cristiani francescani il nuovo anno che il Signore ci dona.

28 dicembre - 1 gennaioInfo: [email protected]

FRATERNITÀ DI ACCOGLIENZAI frati offrono la possibilità di un’e-sperienza di fraternità in convento a giovani che cercano spazi di spi-ritualità francescana per ascoltare il Signore che chiama. Le ragazze possono fare la stessa esperienza presso le religiose francescane che collaborano con noi.Info: [email protected]

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fra Alberto, fra Piergiacomo e fra Davide: dal 3 settembre,

uomini di speranza, come Francesco