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Sistemi dinamici: un’applicazione allo studio
delle malattie autoimmuni
Candidata: Rosa Claudia Torcasio
Matr. 112188
Relatori: Dott. Giovanni Mascali,
Dott. Giuseppe Alı,
Dott. Pasquale Palumbo
Anno Accademico 2008/2009
Indice
Introduzione 3
1 Sistemi dinamici 6
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.2 Definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.3 Sistemi dinamici lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.3.1 Esponenziale di operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.3.2 Teorema fondamentale per i sistemi lineari . . . . . . . 11
1.3.3 Forma di Jordan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.3.4 Teoria della stabilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.3.5 Sistemi lineari in due dimensioni . . . . . . . . . . . . 18
1.4 Sistemi dinamici non lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.4.1 Teorema fondamentale di esistenza ed unicita . . . . . 33
1.4.2 Dipendenza dalle condizioni iniziali e dai parametri . . 39
1.4.3 Flusso di un sistema dinamico non lineare . . . . . . . 40
1.4.4 Linearizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
1.4.5 Sistemi dinamici non lineari in due dimensioni . . . . . 49
1.5 Cicli limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
1.5.1 Il teorema di Poincare-Bendixon . . . . . . . . . . . . . 52
1.5.2 Il teorema di Lienard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
2 Biforcazioni e caos 60
2.1 Biforcazioni in una dimensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
2.2 Biforcazioni in piu dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
2.3 Biforcazione di Hopf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
2.4 Caos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
1
2.4.1 Equazioni di Lorenz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
2.4.2 Semplici proprieta delle equazioni di Lorenz . . . . . . 74
2.4.3 Alcune definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
3 Modelli matematici per il sistema immunitario 83
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
3.2 Tolleranza mediata da linfociti T regolatori . . . . . . . . . . . 84
3.2.1 Derivazione del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
3.2.2 Analisi del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
3.3 Tolleranza tramite la regolazione delle soglie di attivazione . . 95
3.3.1 Derivazione del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
3.3.2 Analisi del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
3.4 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
Bibliografia 108
2
Introduzione
Nella descrizione di gran parte dei fenomeni nelle scienze applicate e in
molteplici aspetti dell’attivita tecnica e industriale si fa uso di modelli matema-
tici. Oltre che in fisica ed in chimica, la modellistica matematica e entrata
in discipline complesse come la finanza, la biologia, l’ecologia, la medicina.
Modellizzare un problema significa innanzitutto individuare le variabili e le
equazioni che descrivono il loro comportamento e le loro interazioni. Si cer-
cano poi dei metodi per risolvere le equazioni (spesso in forma approssimata).
Si confrontano infine i risultati ottenuti dal modello con i dati sperimentali.
In particolare, in questo lavoro ci siamo occupati di modelli matematici in
medicina.
Esistono numerose applicazioni della matematica a varie branche delle scien-
ze mediche come, ad esempio, nell’analisi dell’apparato cardiocircolatorio (in
particolare gli studi sull’elettrocardiogramma e sull’emodinamica), negli stu-
di sulla diffusione di un virus in una popolazione, nella tomografia assiale
computerizzata, cioe la TAC (un importante strumento diagnostico che puo
essere considerato come un’applicazione della trasformata di Radon).
In questa tesi consideriamo un’applicazione dei metodi della matematica allo
studio delle malattie autoimmuni, cioe di quel gruppo di patologie autoinfiam-
matorie causate dall’alterazione del sistema immunitario, che reagisce contro i
tessuti dell’organismo stesso. Piu precisamente abbiamo voluto vedere quali
condizioni consentono il mantenimento dell’autotolleranza. Per analizzare
questo problema ci siamo serviti dello strumento dei sistemi dinamici. Nel
primo capitolo, infatti, introduciamo alcuni concetti fondamentali riguardan-
ti i sistemi dinamici. Abbiamo distinto i sistemi dinamici in lineari e non
lineari. Abbiamo trattato, ad esempio, i concetti di punto di equilibrio e
di flusso. Ci siamo chiesti sotto quali condizioni i punti di equilibrio siano
stabili o instabili. Per i sistemi non lineari abbiamo studiato il problema di
esistenza ed unicita delle soluzioni e dell’intervallo massimale di esistenza,
descrivendo anche il metodo di rescaling del tempo per estendere l’interval-
lo massimale di esistenza delle soluzioni. Siamo poi passati allo studio dei
cicli limite, richiamando, tra l’altro, nel caso bidimensionale il teorema di
Poincare - Bendixon ( che da le condizioni per l’esistenza di orbite chiuse in
3
particolari sistemi) ed il teorema di Lienard (che stabilisce sotto quali con-
dizioni un sistema ha un unico ciclo limite stabile).
Il secondo capitolo e dedicato principalmente allo studio delle biforcazioni.
Abbiamo analizzato biforcazioni in una e due dimensioni, fornendo, in en-
trambi casi, esempi di biforcazioni a nodo sella, transcritiche, a forcone ed
introducendo inoltre il teorema di biforcazione di Hopf. Ci siamo inoltre oc-
cupati del fenomeno del caos attraverso un esempio fornito da Lorenz.
Nel terzo capitolo abbiamo analizzato due modelli che cercano di descrivere i
processi che evitano che i linfociti autoreattivi causino malattie autoimmuni
in individui sani. Una delle proprieta fondamentali del sistema immunitario
e, per l’appunto, la sua capacita di evitare questo tipo di malattie. I meccani-
smi che stanno alla base di questo processo, conosciuto come autotolleran-
za, non sono ancora completamente compresi, ma sembrano coinvolgere il
controllo dello sviluppo clonale dei linfociti autoreattivi. Il rischio di au-
toimmunita non puo essere dissociato dalla capacita del sistema immunitario
di far fronte ad agenti patogeni provenienti dall’esterno, il cui sviluppo e
solitamente molto veloce. Questa capacita si basa su una grande varieta di
recettori dell’antigene espressi da linfociti, che nel loro insieme sono capaci
di riconoscere ogni possibile antigene. La maggior parte dei linfociti ha un
unico recettore dell’antigene (ad esempio i recettori presenti nelle cellule T (i
TCR) sono quelli coinvolti nelle malattie autoimmuni). La generazione dei
recettori e il frutto di un complesso processo di ricombinazione casuale di
diversi segmenti genici presenti nel genoma di ogni linfocita. Questa casua-
lita rende inevitabile il fatto che vengano creati anche linfociti con recettori
che riconoscono antigeni dell’organismo stesso. Questi linfociti autoreattivi
potenzialmente possono causare malattie autoimmuni se non si prevengono
la loro attivazione e la loro espansione clonale. Il problema ancora irrisolto e
quello di capire come venga evitata una risposta contro i tessuti dell’organi-
smo negli individui sani.
A tal proposito, esistono diverse ipotesi di cui in questo lavoro di tesi ne sono
state considerate due. Secondo la prima ipotesi esistono specifiche cellule T
regolatrici che impediscono ai linfociti T autoreattivi di proliferare e di dare
origine ad una risposta immunitaria. Questa ipotesi sarebbe confermata, ad
esempio, da un esperimento condotto su alcuni animali che vengono privati
4
delle cellule T. Si e visto, infatti, che se in questi animali vengono trasferite
solo cellule T di tipo CD4 si ha lo sviluppo di malattie autoimmuni. Questo
non succede se invece agli animali viene trasmesso lo stesso numero di cellule
T di tipo CD4 e di cellule T sia CD4 che CD25.
L’altra ipotesi che abbiamo preso in considerazione e quella secondo la quale
le cellule T diventano non rispondenti agli autoantigeni attraverso la modi-
fica del loro meccanismo di segnalazione delle cellule. Gli immunologi usano
la parola anergia per riferirsi a questa mancanza di risposta delle cellule, in
particolare quando questa si traduce in una diminuzione della risposta pro-
liferativa. Tra le possibili spiegazioni di questa anergia, la piu semplice si
basa sull’ipotesi che i linfociti modifichino le loro soglie di attivazione (TAT)
in risposta a stimoli ricorrenti. Per ogni modello abbiamo visto qual e
l’effetto dell’aumento della densita di cellule T sulla tolleranza ed abbiamo
studiato i corrispondenti spazi delle fasi, punti critici e biforcazioni. Si vede
che il secondo modello spiega solo in parte le osservazioni sperimentali sopra
accennate, mentre il primo e maggiormente in accordo con queste.
5
Capitolo 1
Sistemi dinamici
1.1 Introduzione
La dinamica oggi e una materia interdisciplinare, ma e nata come branca
della fisica. Le sue origini si possono far risalire al 1600, quando Newton
invento le equazioni differenziali e scoprı le leggi del moto e la gravitazione
universale. Newton risolse il problema dei due corpi, cioe quello di calcolare
il moto della terra attorno al sole. Le successive generazioni di matematici e
fisici tentarono di estendere i metodi analitici di Newton al problema dei tre
corpi (sole, terra, luna), ma questo problema risultava di difficile soluzione.
Dopo alcuni decenni si giunse alla conclusione che non e possibile ottenere
formule esplicite per il moto dei tre corpi. Un importante passo in avanti si
ebbe poi con Poincare alla fine del 1800. Egli introdusse un nuovo punto di
vista, mettendo in evidenza le questioni qualitative piuttosto che quantita-
tive. Ad esempio, anziche chiedersi la posizione esatta dei pianeti ad ogni
istante di tempo, si chiese se il sistema solare sarebbe stato sempre stabile o
alcuni pianeti avrebbero eventualmente potuto allontanarsi verso l’infinito.
Poincare fu anche il primo ad intravedere la possibilita del caos, nel quale
un sistema deterministico mostra un comportamento aperiodico che dipende
sensibilmente dalle condizioni iniziali, rendendo cosı impossibili le previsioni
a lungo termine. L’invenzione del computer fu poi un passo determinante
per la storia della dinamica. Infatti, attraverso il computer, si riuscirono a
compiere degli esperimenti con le equazioni in una maniera che fino a quel
6
momento era impossibile, permettendo cosı di sviluppare alcune intuizioni
sui sistemi non lineari.
1.2 Definizioni
Passiamo ora dalla storia alla struttura logica della dinamica. Si possono
distinguere due tipi principali di sistemi dinamici: i sistemi di equazioni dif-
ferenziali (sistemi dinamici continui) e le mappe iterate (sistemi dinamici
discreti). I sistemi continui sono molto utilizzati per descrivere una grande
varieta di fenomeni, nelle scienze sociali, della vita, fisici, della terra ed in
ingegneria. La teoria dei sistemi continui ha applicazione in problemi di
economia, crescita di popolazioni, regolazione dei battiti cardiaci, reazioni
chimiche, ecc.
Un sistema dinamico continuo in un aperto non vuoto D ⊆ <n e un sistema
di equazioni differenziali del tipo:
x1 = f1(x1, ..., xn)...
xn = fn(x1, ..., xn)
che puo essere scritto con una notazione piu compatta come:
x = f(x),
dove f : D −→ <n, f ∈ C1(D), dunque f e un campo vettoriale.
Definizione 1 Una soluzione di un sistema dinamico continuo e una fun-
zione x(t) a valori in D che soddisfa identicamente per ogni t ∈ < l’equazione
differenziale x = f(x(t))
Definizione 2 Le curve di <n corrispondenti alle soluzioni del sistema rap-
presentate dalle n-ple (x1(t), ..., xn(t)) vengono dette traiettorie o orbite.
Definizione 3 Un punto a ∈ D e detto punto di equilibrio o punto critico
dell’equazione x = f(x) se f(a) = 0.
7
Figura 1.1:
Definizione 4 Un punto di equilibrio a si dice stabile se
∀ε > 0,∃δ > 0 : ‖x0 − a‖ < δ ⇒ ‖x(t) − a‖ < ε,∀t ≥ 0.
Definizione 5 Il punto di equilibrio a e instabile se non e stabile.
Definizione 6 Un punto critico x=a dell’equazione in D e detto attrattore
positivo se esiste un intorno Ω ⊆ D di x=a tale che x(t0) ∈ Ω =⇒ limt→∞ x(t) =
a.
Definizione 7 Un punto di equilibrio che e un attrattore ed e stabile e detto
asintoticamente stabile.
Definizione 8 Se a e un punto di equilibrio, si dice bacino di attrazione
di a l’insieme A delle condizioni iniziali tali che le corrispondenti soluzioni
abbiano a come punto limite.
Definizione 9 Un punto di equilibrio e detto globalmente asintoticamente
stabile se il suo bacino di attrazione e tutto l’insieme D.
Possiamo fare un’ulteriore classificazione per i sistemi dinamici, distinguen-
doli tra sistemi lineari e non lineari.
8
1.3 Sistemi dinamici lineari
Un sistema lineare omogeneo di equazioni differenziali ordinarie ha la forma:
x = Ax, (1.1)
dove x ∈ <n e A e una matrice n × n e
˙x(t) =
dx1
dt...
dxn
dt
.
Se consideriamo il sistema lineare (1.1) unitamente alla condizione iniziale
x(0) = x0 otteniamo il seguente problema ai valori iniziali:
x = Ax
x(0) = x0
Si puo mostrare che la soluzione di questo problema e data da
x(t) = eAtx0.
Dobbiamo naturalmente dare un significato all’esponenziale di matrice.
1.3.1 Esponenziale di operatori
Per definire l’esponenziale di un operatore lineare T : <n → <n e necessario
definire il concetto di convergenza nello spazio lineare L(<n) degli operatori
lineari in <n. Questa definizione puo essere data usando l’operatore norma
di T definito da:
‖T‖ = max|x|≤1 |T (x)| ,dove |x| e la norma euclidea di x ∈ <n, cioe:
|x| =√
x21 + . . . + x2
n.
Risultano verificate le proprieta di una norma, cioe per S, T ∈ L(<n) si ha:
‖T ≥ 0 e ‖T‖ = 0 sse T = 0,
‖kT‖ = |k| ‖T‖ per k ∈ <‖S + T‖ ≤ ‖S‖ + ‖T‖ .
9
Definizione 10 Una successione di operatori lineari Tk ∈ L(<n) converge
ad un operatore T ∈ <n per k → ∞, cioe
limk→∞Tk = T
se ∀ε > 0 ∃N : ∀k ≥ N, ‖T − Tk‖ < ε.
Puo essere mostrato che valgono inoltre le seguenti
Proprieta
|T (x)| ≤ ‖T‖ ‖x‖ , ∀x ∈ <n, (1.2)
‖TS‖ ≤ ‖T‖ ‖S‖ (1.3)∥
∥
∥T k∥
∥
∥ ≤ ‖T‖k per k = 0, 1, 2, . . . (1.4)
Teorema 1 Dato T ∈ L(<n) e t0 > 0 la serie
∞∑
k=0
T ktk
k!
e assolutamente convergente per ∀t : |t| ≤ t0.
Dimostrazione
Per dimostrare questo teorema utilizzeremo il test di Weierstrass, cioe:
data la serie di funzioni∑∞
n=1 fn(x), con fn(x) limitate in un intervallo I,
sia Mn = supx∈I |fn(x)| e si consideri la serie numerica∑∞
n=1 Mn,allora∑∞
n=1 Mnconvergente ⇒ ∑∞n=1 fn(x) converge assolutamente e uniforme-
mente in I
Partiamo quindi con la dimostrazione del teorema.
Sia ‖T‖ = a. Otteniamo, per |t| ≤ t0,
∥
∥
∥
∥
∥
T ktk
k!
∥
∥
∥
∥
∥
≤∥
∥
∥T k∥
∥
∥
∣
∣
∣tk∣
∣
∣
k!≤ aktk0
k!,
dove nella prima disuguaglianza abbiamo utilizzato la proprieta (1.3). Os-
servando che∞∑
k=0
aktk0k!
= eat0
10
segue dal test di Weierstrass che la serie∑∞
k=0T ktk
k!e assolutamente conver-
gente per ogni t: |t| ≤ t0.
L’esponenziale di un operatore lineare T e allora definito dalla serie asso-
lutamente convergente:
eT =∞∑
k=0
T k
k!.
Segue dalle proprieta dei limiti che eT e un operatore lineare in <n e segue
dalla dimostrazione del teorema che∥
∥
∥eT∥
∥
∥ ≤ e‖T‖. Poiche cio che ci interessa
in questo paragrafo e la soluzione dei sistemi lineari della forma x = Ax
assumiamo che la trasformazione lineare T in <n sia rappresentata in qualche
base dalla matrice A e diamo la seguente
Definizione 11 Sia A una matrice n×n. Allora per t ∈ <, eAt =∑∞
k=0Aktk
k!
Enunciamo ora alcune proprieta dell’esponenziale di operatori lineari:
• proprieta 1 Se P ed A sono trasformazioni lineari in <n allora ePAP−1
=
PeAP−1
• proprieta 2 Se A e B sono trasformazioni lineari in <n, che commu-
tano, cioe che soddisfano AB=BA, allora eA+B = eAeB
• proprieta 3 Se A e una trasformazione lineare in <n, l’inversa della
trasformazione lineare eA e data da: (eA)−1 = e−A
1.3.2 Teorema fondamentale per i sistemi lineari
Sia A una matrice n × n. Vogliamo far vedere che per x0 ∈ <n il problema
ai valori iniziali
x = Ax
x(0) = x0
.
ha una e una sola soluzione ∀t ∈ <, data da x(t) = eAtx0
Per la dimostrazione di questo teorema abbiamo bisogno di calcolare la
derivata della funzione esponenziale eAt. Lo faremo attraverso il seguente
11
Lemma 1 Sia A una matrice quadrata, allora
d
dteAt = AeAt.
Dimostrazione
Utilizzando la definizione 10, l’uniforme convergenza e la proprieta 2 ottenia-
mo:d
dteAt = limh→0
eA(t+h) − eAt
h= limh→0
eAteAh − eAt
h
= eAtlimh→0eAh − I
h= eAtlimh→0
∑∞i=0
(Ah)i
i!− I
h
= eAtlimh→0
I + Ah + (Ah)2
2!+ . . . + (Ah)n
n!+ . . . − I
h
= eAtlimh→0
(
A +A2h
2+ . . . +
Anhn−1
n!+ . . .
)
= eAtA
Teorema 2 Teorema fondamentale per i sistemi lineari Sia A una
matrice n × n. Allora dato x0 ∈ <n, il problema ai valori iniziali
x = Ax
x(0) = x0
(1.5)
ammette una e una sola soluzione data da x(t) = eAtx0.
Dimostrazione
Verifichiamo innanzitutto che x = eAtx0 e una soluzione. Utilizzando il
lemma precedente otteniamo:
x =d
dt(eAtx0) = AeAtx0 = Ax, ∀t ∈ <.
Abbiamo inoltre:
x(0) = Ix0 = x0.
12
Per mostrare che questa e l’unica soluzione, supponiamo che y(t) sia una
qualsiasi soluzione del problema ai valori iniziali, dunque y(0) = x0, e ponia-
mo:
z(t) = e−Aty(t).
Dal lemma precedente e dal fatto che y(t) e soluzione di (1.5) segue:
z(t) = −Ae−Aty(t) + e−Aty = −Ae−Aty(t) + e−AtAy(t) = 0
per ogni t ∈ <, poiche e−At e A commutano. z(t) risulta quindi essere
costante; otteniamo quindi
z(t) = z(0) = y(0) = x0 ⇒ x0 = e−Aty(t) ⇒ y(t) = eAtx0 = x(t).
Allora x(t) e l’unica soluzione
1.3.3 Forma di Jordan
Per vedere che forma puo avere la soluzione di un sistema lineare di equazioni
differenziali e utile introdurre la forma canonica di Jordan di una matrice A.
Diamo prima la seguente definizione
Definizione 12 Si dice autovettore generalizzato di ordine k associato al-
l’autovalore λi un qualunque vettore v(k)i tale che
v(k)i ∈ Ker
(A − λiI)k
,
v(k)i /∈ Ker
(A − λiI)k−1
.
Teorema 3 Sia A una matrice reale con k autovalori reali λj, j=1,..,k en−k
2autovalori complessi λj = aj + ibj e λj = aj − ibj con j = k +
1, ..., k + n−k2
. Allora esiste una base v1, ...vk, vk+1, uk+1, ..., vk+s, uk+s di <n
dove vj, j = 1, ..., k + n−k2
e wj = vj + iuj, j=k+1,...,n sono autovet-
tori generalizzati di A, rispettivamente reali e complessiDefinita la matrice
P = [v1, ...vk, vk+1, uk+1, ..., vk+s, uk+s], essa e invertibile e
P−1AP =
B1
. . .
Br
,
13
dove i blocchi elementari di Jordan Bi, i=1,...,r sono della forma
B =
λ 1 0 . . . 0
0 λ 1 . . . 0
. . .
0 . . . . . . λ 1
0 . . . . . . 0 λ
, (1.6)
se λ e uno degli autovalori reali di A, oppure della forma
B =
D I2 0 . . . 0
0 D I2 . . . 0
. . .
0 . . . . . . D I2
0 . . . . . . 0 D
(1.7)
con D =
a b
−b a
,I2 =
1 0
0 1
e 0 =
0 0
0 0
se λ = a + ib e uno degli autovalori complessi di A. Per ogni autovalore λ il
numero di blocchi di una data dimensione puo essere determinato a partire
dalla dimensione degli spazi nulli di (A − λI)j, j=1,...,mλ, dove mλ indica
la molteplicita algebrica di λ. La forma canonica di Jordan di una matrice
A e unica a meno dell’ordine dei blocchi elementari e del fatto che gli 1 nel
blocchi di tipo (1.6) possono apparire o sopra o sotto la diagonale principale,
cosı come le I2 nei blocchi di tipo (2.7).
La forma canonica di Jordan di una matrice A da alcune informazioni esplicite
riguardo la forma della soluzione del problema di Cauchy:
x = Ax
x(0) = x0
14
Infatti eAt = PeBtP−1. Se Bj = B e una matrice m × m della forma (1.6) e
λ reale e un autovalore di A, allora B = λI + N con
N =
0 1 0 . . . 0
0 0 1 . . . 0
. . .
0 . . . 0 1
0 . . . 0 1
e
eBt = eλteNt = eλt
1 t t2
2!. . . tm−1
(m−1)!
0 1 t . . . tm−2
(m−2)!
0 0 1 . . . tm−3
(m−3)!
. . .
0 . . . 1 t
0 . . . 0 1
,
poiche la matrice N e nilpotente di ordine m e
N2 =
0 0 1 0 . . . 0
0 0 0 1 . . . 0
0 . . . . . . 0
,...,Nm−1 =
0 0 . . . 0 1
0 0 . . . 0 0
0 . . . . . .
Allo stesso modo, se Bj = B e una matrice 2m × 2m della forma (1.7) e
λ = a + ib e un autovalore complesso di A, allora
eBt =
R Rt Rt2
2!. . . Rtm−1
(m−1)!
0 R Rt . . . Rtm−2
(m−2)!
0 0 R . . . Rtm−3
(m−3)!
. . . . . .
0 . . . R Rt
0 . . . 0 R
dove R e la matrice di rotazione
R =
cosbt −sinbt
sinbt cosbt
,
15
poiche la matrice 2m × 2m e nilpotente di ordine m e
N2 =
0 0 I2 0 . . . 0
0 0 0 I2 . . . 0
0 . . . . . . 0
,...,Nm−1 =
0 0 . . . 0 I2
0 0 . . . 0 0
0 . . . . . .
.
Abbiamo quindi il seguente
Corollario 1 Ogni coordinata della soluzione x(t) e una combinazione li-
neare di funzioni della forma eattkcosbt ed eattksinbt con 0 ≤ k ≤ n − 1.
Osserviamo infine che una matrice A 2 × 2 nella forma canonica di Jordan
puo essere scritta come
λ1 0
0 λ2
,
λ 0
0 λ
o
λ 1
0 λ
,
a b
−b a
a
seconda che A abbia due autovalori reali e distinti, reali e coincidenti con
molteplicita geometrica rispettivamente 2 e 1, complessi coniugati.
Ricordiamo che si dice molteplicita algebrica la molteplicita di un autovalore
λ come radice del polinomio det(A − λI). La moleplicita geometrica invece
e la dimensione dell’autospazio relativo all’autovalore λ
1.3.4 Teoria della stabilita
Introduciamo ora il concetto di flusso per un sistema di equazioni differenziali
lineare. Come sappiamo dal teorema fondamentale per i sistemi lineari, la
soluzione del problema ai valori iniziali
x = Ax
x(0) = x0
(1.8)
e data da x(t)=eAtx0. La famiglia di mappe ad un parametro eAt : <n →<n e detta flusso del sistema lineare (1.8).
Definizione 13 Se tutti gli autovalori della matrice n × n A hanno parte
reale diversa da zero, allora il flusso eAt : <n → <n e detto flusso iperbolico
ed il sistema (1.8) e detto sistema lineare iperbolico.
Teorema 4 Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
(a) Per ogni x0 ∈ <n, limt→∞eAtx0 = 0 e per x0 6= 0, limt→−∞
∣
∣
∣eAtx0
∣
∣
∣ = ∞
16
(b) Tutti gli autovalori di A hanno parte reale negativa.
(c) Esistono delle costanti positive a,c, m ed M ed una costante k ≥ 0 tali
che per ogni x0 ∈ <n si ha
m∣
∣
∣tk∣
∣
∣ e−at |x0| ≤∣
∣
∣eAtx0
∣
∣
∣ , t ≤ 0e∣
∣
∣eAtx0
∣
∣
∣ ≤ Me−ct |x0| , t ≥ 0.
Dimostrazione (a) ⇒ (b): se uno degli autovalori λ = a + ib ha parte reale
positiva, a > 0, allora dal teorema 3 e dal corollario 1 esiste un x0 ∈ <n,
x0 6= 0, tale che∣
∣
∣eAtx0
∣
∣
∣ ≥ eat |x0|. Dunque∣
∣
∣eAtx0
∣
∣
∣ → ∞ per t → ∞, cioe
limt→∞eAtx0 6= 0.
Se uno degli autovalori di A ha parte reale zero, diciamo λ = ib, allora dal
corollario 1 esistera un x0 ∈ <n tale che eAtx0 non tende a zero per t → ∞,
cioe (a) ⇒ (b).
(b) ⇒ (c): si dimostra considerando che, se x(t) e soluzione del problema
x = Ax allora, come abbiamo visto, ogni sua componente e combinazione
lineare di funzioni della forma eattkcosbt e eattksinbt con 0 ≤ k ≤ n− 1, cosı
come x(t)|x0|
, dunque si ha:
tk1ea1t (c1cosb1t + d1sinb1t) + ... + tkpeapt (cpcosbpt + dpsinbpt)
a1, ..., ap parte reale degli autovalori di A,
b1, ..., bp parte immaginaria degli autovalori di A. Consideriamo c tale che
0 > c > maxai, allora ai − c < 0 per ogni i=1,...,p. Sia c = −c > 0.
Mettiamo in evidenza e−ct e prendiamo il modulo:
e−ct∣
∣
∣
tk1e(a1−c)t (c1cosb1t + d1sinb1t) + ... + tkpe(ap−c)t (cpcosbpt + d1sinbpt)∣
∣
∣
≤ e−ct
tk1e(a1−c)t (|c1| + |d1|) + ... + tkpe(ap−c)t (|cp| + |dp|)
, t ≥ 0
La funzione tra parentesi graffe e continua nell’intervallo [0, +∞) ed inoltre
tende a zero per t → ∞, dunque e limitata. Allore esiste Mi > 0 tale che|xi(t)||x0|
≤ e−ctMi e dunque esiste M tale che∣
∣
∣eAtx0
∣
∣
∣ ≤ Me−ct |x0| .
(c) ⇒ (a): basta calcolare i limiti, rispettivamente per t → −∞ e per
t → +∞, delle due disuguaglianze scritte al punto (c).
Si puo provare anche il seguente teorema:
17
Teorema 5 Il punto di equilibrio 0 del sistema dinamico x = Ax (con det
A 6=0) e:
• globalmente asintoticamente stabile se e solo se tutti gli autovalori di
A hanno parte reale negativa;
• stabile ma non asintoticamente stabile se aj ≤ 0 per ogni j=1,...,m+s
e tutti gli autovalori con parte reale nulla hanno molteplicita algebrica
e geometrica uguali;
• instabile in tutti gli altri casi.
1.3.5 Sistemi lineari in due dimensioni
Negli spazi delle fasi unidimensionali il flusso e estremamente limitato. Tutte
le traiettorie sono costrette a muoversi monotonicamente o a rimanere costan-
ti. Negli spazi delle fasi in piu dimensioni le traiettorie hanno piu spazio a
disposizione e dunque si ha un piu ampio raggio d’azione per i comportamenti
dinamici.
Per dare un esempio concreto del comportamento dei sistemi lineari, con-
sideriamo quelli in due dimensioni.
Un sistema lineare in due dimensioni e un sistema della forma:
x = ax + by
y = cx + dy
che puo essere scritto in forma piu compatta come:
x = Ax
con A matrice 2x2, supponiamo inoltre che A sia non singolare.
Un sistema di questo tipo e lineare nel senso che se x1 e x2 sono soluzioni
allora ogni loro combinazione lineare c1x1 + c2x2 e soluzione.
Notiamo che x = 0 quando x=0, quindi x∗ = 0 e sempre un punto fisso
indipendentemente dalla scelta di A.
18
Questi sistemi sono interessanti perche giocano un ruolo importante nella
classificazione dei punti fissi dei sistemi non lineari. Ponendo y = T−1x si ha
y = T−1x = T−1Ax = T−1ATy, ed il sistema si puo ricondurre sempre ad
uno in cui A e della forma di Jordan. Per analizzare i punti critici del sistema
lineare determiniamo innanzitutto gli autovalori di A. Come abbiamo detto,
esistera una matrice non singolare T tale che T−1AT e nella cosiddetta forma
di Jordan. Il comportamento delle soluzioni risulta molto diverso, in base ai
valori di λ1 e λ2. Abbiamo i seguenti casi:
• Nodo
Gli autovalori sono reali ed hanno lo stesso segno. Se λ1 6= λ2 la forma
canonica di A e
λ1 0
0 λ2
con autovettori
1
0
e
0
1
e in questa
forma si hanno le soluzioni reali:
x1(t) = c1eλ1t (1.9)
e
x2(t) = c2eλ2t (1.10)
Ricaviamo t dalle equazioni (1.10) e (1.11):
x1
c1= eλ1t
x2
c2= eλ2t
⇒ log(
x1
c1
)
= λ1t
log(
x2
c2
)
= λ2t⇒ t = 1
λ1
log x1
c1
t = 1λ2
log x2
c2
Eguagliando le due espressioni ottenute per t otteniamo:
1
λ1
logx1
c1
=1
λ2
logx2
c2
⇔ log(
x1
c1
) 1
λ1
= log(
x2
c2
) 1
λ2 ⇔(
x1
c1
) 1
λ1
=(
x2
c2
) 1
λ2
elevando a λ1 entrambi i membri ricaviamo:
x1
c1
= (x2
c2
)λ1
λ2 ,
quindi in conclusione otteniamo la seguente equazione:
x1 = c(x2)λ1
λ2 ,
con c costante. Dunque nel piano delle fasi troviamo delle orbite che
hanno a che fare con le parabole. Chiamiamo un punto critico di questo
tipo nodo. Il punto (0,0) e stabile se gli autovalori sono negativi (Figura
1.2), instabile se sono positivi(Figura 1.3)).
19
Figura 1.2:
Figura 1.3:
20
Figura 1.4:
• Punto sella
Gli autovalori λ1 e λ2 sono reali ed hanno segni opposti. Anche in
questo caso la matrice A e della forma
λ1 0
0 λ2
Le soluzioni sono di
nuovo della forma data dall’equazione (1.9). Nel piano di fase le orbite
sono ancora date da:
x1 = cxλ1
λ2
2
con c costante. Stavolta pero λ1
λ2
< 0 e quindi il comportamento delle
orbite e iperbolico (Figura 1.4). Tra le soluzioni ce ne sono cinque
particolarmente semplici: il punto critico (0,0) e i quattro semiassi.
Notiamo che ci sono due soluzioni con la proprieta (x1(t), x2(t)) →(0, 0) per t → ∞ e due soluzioni con questa proprieta per t → −∞.
• Nodo a stella Gli autovalori sono reali e coincidenti: λ1 = λ2 = λ con
molteplicita geometrica 2. La forma canonica di A e:
λ 0
0 λ
con au-
tovettori
1
0
e
0
1
. Le orbite sono date da x1 = cx2. Se λ < 0
l’origine e detta nodo a stella stabile (Figura 1.5). Se λ > 0 l’origine e
21
Figura 1.5:
detta nodo a stella instabile (Figura 1.6).
Osserviamo che se gli autovalori sono reali e coincidenti con molteplic-
ita geometrica 1, la forma canonica della matrice A e
λ 1
0 λ
Anche
in questo caso se λ < 0 l’origine e un nodo stabile con ritratto di fase
mostrato in figura 1.7 e se λ > 0 l’origine e un nodo instabile (Figura
1.8).
• Fuoco
Gli autovalori λ1 e λ2 sono complessi coniugati, λ1,2 = a ± ib con ab 6=
0. La forma canonica di A e
a b
−b a
Le soluzioni complesse sono
della forma e(a±ib)t. Una combinazione lineare delle soluzioni complesse
produce soluzioni reali indipendenti della forma eat cos(bt) , eat sin(bt).
Le orbite si muovono a spirale in dentro o in fuori rispetto a (0,0). (0,0)
e detto fuoco.
Se a < 0 e b > 0 la soluzione si muove a spirale verso l’origine in senso
22
Figura 1.6:
Figura 1.7:
23
Figura 1.8:
antiorario. In questo caso l’origine e detta fuoco stabile (Figura 1.9).
Se invece a > 0 e b > 0 la soluzione ruota in verso antiorario, attorno
all’origine allontanandosi da essa e l’origine e un fuoco instabile (Figura
1.10). Se b < 0 la rotazione avviene in senso orario.
• Centro
In questo caso speciale gli autovalori sono puramente immaginari: λ1 =
bi e λ2 = −bi. Il punto (0,0) e detto centro. Le soluzioni possono
essere scritte come combinazione lineare di cos(ωt) e sin(ωt); le orbite
nel piano di fase sono circonferenze. (0,0) non e attrattivo ma e stabile.
1.4 Sistemi dinamici non lineari
I sistemi dinamici non lineari risultano piu complessi di quelli lineari poiche,
nella maggior parte dei casi, non e possibile risolverli analiticamente. D’altra
parte pero e possibile ricavare informazioni qualitative sul comportamento
locale delle soluzioni. L’interesse per i sistemi non lineari deriva dal fatto che
questo tipo di sistemi permette di modellizzare fenomeni fisici, biologici, ecc.
24
Figura 1.9:
Figura 1.10:
25
che non possono essere studiati attraverso sistemi lineari.
Un sistema non lineare di equazioni differenziali e un sistema del tipo:
x = f(x)
dove f : D → <n e D e un sottoinsieme aperto di <n.
Possiamo distinguere i sistemi non lineari in autonomi o non autonomi a
seconda che la funzione f dipenda espicitamente dal tempo oppure no. I
sistemi autonomi saranno dunque dati da x = f(x), mentre per i sistemi
non autonomi avremo x = f(x, t). Per un sistema non lineare non si ha in
linea di massima la possibilita di trovare soluzioni esplicite, e percio le rap-
presentazioni grafiche risultano spesso migliori delle formule per analizzare
questo tipo di sistemi. Vediamolo con un esempio nel caso unidimensionale
(interpreteremo un’equazione differenziale come un campo vettoriale).
Diamo prima la seguente definizione:
Definizione 14 Consideriamo l’equazione
x = f(x)
con x(t) funzione a valori reali del tempo t, f(x) funzione regolare a valori
reali di x. Chiamiamo le equazioni di questo tipo sistemi ad una dimensione.
Esempio 1
Consideriamo la seguente equazione differenziale non lineare:
x = sin(x)
Supponiamo che t sia il tempo, x la posizione di una immaginaria particella
che si muove lungo la retta reale, e x la velocita di questa particella. Allora
l’equazione differenziale x = sin(x) rappresenta un campo vettoriale sulla
retta : determina il vettore velocita x per ogni x. Consideriamo il piano(x, x)
e indichiamo sull’asse x il corrispondente vettore velocita ad ogni x mediante
delle frecce. Le frecce saranno dirette verso destra quando x > 0 e verso
sinistra quando x < 0.
Possiamo pensare in modo un po’ piu fisico a questo campo vettoriale
immaginando che un fluido stia scorrendo in modo stazionario lungo l’asse x
con velocita che varia da punto a punto in accordo con la legge x = sin(x).
26
Figura 1.11:
Come e mostrato in figura 1.11 il flusso e verso destra quando x > 0 e
verso sinistra quando x < 0. Nei punti in cui x = 0 non c’e flusso. Questi
punti sono detti punti fissi. Ci sono due tipi di punti fissi (come si puo
vedere dalla figura 1.11): i punti in nero rappresentano punti fissi stabili,
mentre i cerchi aperti rappresentano punti fissi instabili. A questo punto
tenendo conto della figura precendente, possiamo capire il comportamento
delle soluzioni dell’equazione differenziale x = sin(x). Facciamo partire la
nostra particella immaginaria da x0 e vediamo come viene trasportata dal
flusso. Possiamo rispondere alle seguenti domande:
• Supponiamo che x0 = π4; descrivere le caratteristiche qualitative della
soluzione x(t) per ogni t > 0. In particolare cosa accade quando t →∞?
Dalla figura 1.11 vediamo che una particella che parte da x0 = π4
si
muove sempre piu velocemente verso destra finche non attraversa x = π2
(dove la funzione sin x raggiunge il suo massimo). Poi la particella
inizia a rallentare e tende ad avvicinarsi al punto fisso stabile x = π
da sinistra. La forma qualitativa della soluzione e mostrata in figura
1.12. Notiamo che la curva e prima concava verso l’alto e poi concava
27
Figura 1.12:
verso il basso. Questo corrisponde all’accelerazione iniziale per x < π2
seguita dalla decelerazione verso x = π.
• Per una condizione iniziale arbitraria x0, qual e il comportamento di
x(t) per t → ∞?
Lo stesso ragionamento di prima si applica ad ogni condizione iniziale
x0. La figura(1.11) mostra che se inizialmente x > 0, la particella va
verso destra e asintoticamente tende al punto fisso stabile piu vicino.
Allo stesso modo, se inizialmente x < 0, la particella tende al punto
fisso piu vicino alla sua sinistra. Se x = 0 allora x rimane costante.
La forma qualitativa della soluzione per qualsiasi condizione iniziale e
mostrata in figura 1.13.
Le idee appena sviluppate possono essere estese ad un qualunque sis-
tema unidimensionale x = f(x). Disegnamo il grafico di f(x) e come
prima immaginiamo che un fluido stia scorrendo lungo la retta reale
con una velocita locale f(x).
Questo fluido immaginario e chiamato fluido di fase e la retta reale
e lo spazio di fase.Il flusso e verso destra quando f(x) > 0 ed e ver-
so sinistra quando f(x) < 0. Per trovare la soluzione di x = f(x)
partendo da una condizione iniziale arbitraria x0, posizioniamo una
particella immaginaria (detta punto di fase) in x e vediamo come viene
portata avanti dal flusso. Man mano che il tempo va avanti, il pun-
to di fase si muove lungo l’asse x in accordo con una certa funzione
x(t). Questa funzione, come abbiamo visto, si chiama traiettoria per
x0, e rappresenta la soluzione dell’equazione differenziale partendo dal-
28
Figura 1.13:
la condizione iniziale x0. Una figura come la 1.14, che mostra tutte le
traiettorie qualitativamente differenti del sistema, e chiamata ritratto
di fase. L’aspetto del ritratto di fase e controllato dai punti fissi x∗,
definiti, come ricordiamo, da f(x∗) = 0, che corrispondono ai punti di
stasi del flusso. In termini dell’equazione differenziale originaria, i punti
fissi rappresentano le soluzioni di equilibrio (alcune volte dette staziona-
rie, costanti, o soluzioni di riposo, poiche se x = x∗ inizialmente allora
x(t) = x∗ per ogni t). Come abbiamo visto, un equilibrio si dice stabile
se tutti i disturbi sufficientemente piccoli che allontanano il sistema da
esso si estinguono in tempo. Gli equilibri stabili sono rappresentati geo-
metricamente da punti fissi stabili. Al contrario, gli equilibri instabili,
nei quali i disturbi crescono nel tempo, sono rappresentati da punti fissi
instabili.
Consideriamo ora un esempio in cui analizziamo un sistema lineare:
29
Figura 1.14:
Esempio 2. Crescita di una popolazione
Il modello piu semplice per la crescita di una popolazione di organismi
e
N = rN,
dove N(t) e la popolazione al tempo t, e r > 0 e il tasso di crescita.
Questo modello predice una crescita esponenziale:
N(t) = N0 exprt,
dove N0 e la popolazione al tempo t = 0. Naturalmente questa crescita
esponenziale non potra andare avanti per sempre. Per modellare gli
effetti di sovraffollamento e risorse limitate, si assume spesso che il tasso
di crescita pro capite NN
decresce quando N diventa sufficientemente
grande, come mostrato in figura 1.15.
Per N piccoli il tasso di crescita e r, come prima. Per popolazioni piu
grandi di una certa capacita di carico K il tasso di crescita diventa
negativo; l’indice di morte e piu alto di quello di natalita. Un modo
conveniente per esprimere queste idee dal punto di vista matematico
e quello di assumere che il tasso di crescita pro capite NN
descresca
linearmente con N (Figura 1.16).
Questo conduce all’equazione logistica:
N = rN(1 − N
K).
30
Figura 1.15:
Figura 1.16:
31
Figura 1.17:
Consideriamo il piano (N, N) e nel grafico consideriamo solo gli N ≥ 0
poiche non ha senso considerare popolazioni negative. Ponendo N = 0
e risolvendo rispetto ad N si ottengono due punti fissi: in N∗ = 0 ed in
N∗ = K.
Analizzando il flusso in figura 1.17 vediamo che N∗ = 0 e un punto fisso
instabile, mentre N∗ = K e un punto fisso stabile. In termini biologici,
N∗ = 0 e un equilibrio instabile: una piccola popolazione crescera in
maniera esponenzialmente veloce allontanandosi da N=0.
D’altra parte, se N e disturbato debolmente dal valore K, il disturbo
decadra monotonicamente e N(t) → K per t → ∞. Infatti la figura
1.17 mostra che se avviamo un punto di fase a qualche N0 > 0 scorrera
sempre verso N=K. Quindi la popolazione raggiunge sempre la capa-
cita di carico. L’unica eccezione si ha per N0 = 0; in questo caso, non
essendoci alcun organismo per iniziare la riproduzione si avra N=0 per
ogni t. La figura 1.17 ci consente inoltre di dedurre la forma qualitativa
delle soluzioni. Per esempio, se N0 < K2, il punto di fase si muove
sempre piu velocemente finche non incrocia N = K2, dove la parabola
in figura 1.17 raggiunge il suo massimo. In seguito il punto di fase
rallenta ed alla fine si avvicina verso N=K. In termini biologici questo
significa che inizialmente la popolazione cresce in maniera accelerata e
il grafico di N(t) e concavo verso l’alto. Dopo N = K2
invece, la derivata
32
Figura 1.18:
N cominicia a decrescere, e dunque N(t) e concavo verso il basso e tende
asintoticamente alla linea orizzontale N=K (Figura 1.18).
Di conseguenza il grafico di N(t) e a forma di S per N0 < K2. Qualcosa
di qualitativamente diverso succede se la condizione iniziale N0 si tro-
va tra K2
e K, in questo caso le soluzioni decelerano rispetto al punto
di partenza. Dunque queste soluzioni sono concave verso il basso per
ogni t. Se la popolazione inizialmente supera la capacita di carico K,
N0 > K, allora N(t) decresce verso N=K ed il grafico e concavo verso
l’alto. Infine, se N0 = 0 o N0 = K allora la popolazione resta costante.
1.4.1 Teorema fondamentale di esistenza ed unic-
ita
Teorema 6 Sia D un sottoinsieme aperto di <n contenente x0 e sia
f ∈ C1(D). Allora ∀x0 ∈ D esisteranno un a > 0 e un δ > 0 tali che
33
il problema ai valori iniziali
x = f(x)
x(0) = y
ha una e una sola soluzione nell’intervallo [−a, a], ∀y ∈ Bδ(x0).
Prima di procedere con la dimostrazione del teorema abbiamo bisogno
di introdurre alcuni concetti.
Definizione 15 La funzione f : D → <n e differenziabile in x0 ∈ D
se esiste una trasformazione lineare Df(x0) ∈ L(<n) tale che
lim|h|→0|f(x0 + h) − f(x0) − Df(x0)h|
|h| = 0
∀h ∈ <n : x0 + h ∈ D
Df(x0) e detta derivata di f in x0.
Teorema 7 Se f : <n → <n e differenziabile in x0 allora esistono le
derivate parziali ∂fi
∂xj(x0) i,j,=1,...,n e ∀x ∈ <n
(Df(x0)x)i =n
∑
j=1
∂fi
∂xj
(x0)xj.
La derivata Df e data dalla matrice jacobiana n × n Df =[
∂fi
∂xj
]
Definizione 16 Sia f ∈ C(D) dove D e un sottoinsieme aperto di <n.
Allora x(t) e una soluzione dell’equazione differenziale x = f(x) su un
intervallo I sse x(t) e differenziabile su I e ∀t ∈ I, x(t) ∈ D e
x(t) = f(x(t)).
Inoltre dato x0 ∈ D, se si ha anche x(0) = x0, x(t) e una soluzione del
problema ai valori iniziali
x = f(x)
x(0) = x0.
34
Definizione 17 Sia D un aperto di <n. Una funzione f : D → <n si
dice lipschitziana su D se esiste una costante k > 0 tale che ∀x, y ∈ D
|f(x) − f(y)| ≤ k |x − y| .
f e detta localmente lipschitziana se ∀x0 ∈ E esiste un intorno di x0
Nε(x0) e una costante k0 > 0, che dipende da x0 tali che ∀x, y ∈ Nε(x0)
si ha
|f(x) − f(y)| ≤ k0 |x − y|Naturalmente Nε(x0) e dato da:
Nε(x0) = x ∈ <n : |x − x0| < ε .
Lemma 2 Sia D un aperto di <n e f : D → <n. Allora se f ∈ C1(D),
f e localmente lipschitziana.
Lemma 3 Lemma di Gronwall
Sia g : [−a, a] → < una funzione continua e non negativa e sia
g(t) ≤ c + k∣
∣
∣
∣
∫ t
0g(τ)dτ
∣
∣
∣
∣
, ∀t ∈ [−a, a]
con c,k costanti positive. Allora
g(t) ≤ cek|t| ∀t ∈ [−a, a]
Torniamo ora alla dimostrazione del teorema 6
Dimostrazione
Fissiamo x0 ∈ D. Per ipotesi f ∈ C1(D), dunque f e localmente
lipaschitziana, allora esiste Bε(x0) ⊂ D e una costante K > 0 tale che
∀x, y ∈ Bε(x0) si ha
|f(x) − f(y)| ≤ K |x − y| .
Definiamo ora:
C0 = ¯B δ2
(x0) e Bδ = B ε4(x0),
dove il primo raggio e la meta di quello di Bε e il secondo raggio e la
meta di quello di C0. Siano, inoltre,
M0 = maxx∈C0|f(x)|
35
e
|y − x0| < δ =ε
4.
Le approssimazioni successive
u0(t, y) = y
u1(t, y) = y +∫ t0 f(u0(s, y))ds...
uk(t, y) = y +∫ t0 f(uk−1(s, y))ds...
vengono dette iterate di Picard. Vogliamo ora mostrare che esiste a > 0
tale che le funzioni uk esistono e sono continue su G = [−a, a]×Bδ(x0)
per ogni k ∈ N e inoltre |uk(t, y) − x0| < ε2. Questo e vero per u0.
Supponiamolo vero per uk. Allora risulta che uk+1 e continua in G.
Inoltre:
|uk+1(t, y) − x0| = |uk+1(t, y) − y + y − x0| ≤
≤ |uk+1(t, y) − y| + |y − x0| =
=∣
∣
∣
∣
∫ t
0f(uk(s, y))
∣
∣
∣
∣
+ |y − x0| ≤
≤∣
∣
∣
∣
∫ t
0|f(uk(s, y))| ds
∣
∣
∣
∣
+ |y − x0| ≤
≤ M0a + |y − x0| ≤ε
4+
ε
4=
ε
2(1.11)
con a tale che a < ε4M0
.
Ora dobbiamo provare che la successione un(t, y) converge uniforme-
mente ad una funzione contiu nua u(t, y) per n → ∞ e per ogni
(t, y) ∈ G. Facciamo vedere che un e una successione di Cauchy.
Consideriamo:
|u2(t, y) − u1(t, y)| =∣
∣
∣y +∫ t0 f(u1(s, y))ds − (y +
∫ t0 f(u0(s, y))ds
)
36
=∣
∣
∣
∫ t0 [f(u1(s, y)) − f(u0(s, y))] ds
∣
∣
∣ ≤
K∣
∣
∣
∫ t0 |u1(s, y) − y| ds
∣
∣
∣ ≤
K∣
∣
∣
∫ t0 |u1(s, y) − x0| ds + |y − x0| a
≤
Ka(
ε2
+ ε4
)
< Kaε
Allora per induzione si prova che:
|un+1(t, y) − un(t, y)| < (Ka)nε, ∀n ∈ N.
Infatti:
|uk+1(t, y) − uk(t, y)| ≤∣
∣
∣
∣
∫ t
0|f(uk(s, y)) − f(uk−1(s, y))| ds
∣
∣
∣
∣
≤
≤ K∣
∣
∣
∣
∫ t
0|uk(s, y) − uk−1(s, y)| ds
∣
∣
∣
∣
Allora un(t, y) e una successione di Cauchy, (purche a < 1K
. Infatti
dato n ∈ N , siano n > m > n. Si ha:
|un(t, y) − um(t, y)| = |(un − un−1) + (un−1 − un−2) + ... + (um+1 − um)| ≤
≤n−1∑
j=m
|uj+1(t, y) − uj(t, y)| ≤∞∑
j=n
(Ka)jε = εαn+∞∑
l=0
αl = εαn
1 − α
dove α = (Ka) < 1 e αn → 0 per n → ∞. Quindi, se a < min
1K
, ε4M0
,
esiste u(t,y) continua in G tale che un(t, y) tende a n(t,y) uniforme-
mente. Infine, considerando il limite per n → ∞ di
un(t, y) = y +∫ t
0f(un−1(s, y))ds,
la convergenza uniforme implica che:
u(t, y) = y +∫ t
0f(u(s, y))ds,
37
e quindi abbiamo mostrato l’esistenza della soluzione che per la (1.11)
non esce da C0. Ora ci resta da provare l’unicita. Supponiamo quindi
che w1(t) e w2(t) siano due soluzioni del problema di Cauchy
x = f(x),
x(0) = x0,
sull’intervallo [−a, a]. Allora:
|w1(t) − w2(t)| ≤∣
∣
∣
∫ t0 |f(w1(s)) − f(w2(s))ds| Essendo w1 e w2 continue
e t ∈ [−a, a], esiste un compatto C tale che
C⊇ y : ∃t ∈ [−a, a] tale che w1(t) = y ∨ w2(t) = y,
inoltre f ∈ C1(D) implica che f e lipschitziana su C, quindi esiste K
tale che
|w1(t) − w2(t)| ≤ K∣
∣
∣
∣
∫ t
0|w1(s) − w2(s)| ds
∣
∣
∣
∣
.
Applichiamo ora il lemma di Gronwall a |w1(t) − w2(t)| e concludiamo
che w1(t) = w2(t) per ogni t ∈ [−a, a].
Il teorema di esistenza e unicita ha una conseguenza molto importante:
traiettorie differenti non si intersecano mai. Se si intersecassero, infatti,
ci sarebbero due soluzioni che partirebbero dallo stesso punto (il punto
di intersezione) e questo farebbe venir meno l’unicita nel teorema.
Si puo anche mostrare che sotto opportune condizioni per la funzione
f ( che sia ad esempio C1(D)) il sistema non lineare
x = f(x),
x(0) = x0,
ha un’unica soluzione qualsiasi sia la condizione iniziale x0 ∈ E, defini-
ta su intervallo massimale di esistenza (α, β) ⊂ <. Per intervallo mas-
simale intendiamo un intervallo che non puo essere prolungato ne a
38
destra ne a sinistra. tale intervallo dipende da x0 e contiene l’origine in
quanto deve essere soddisfatta la condizione iniziale. Valgono i seguenti
teoremi
Teorema 8 Sia D un aperto non vuoto di <n, f : D → <n e f ∈C1(D). Allora ∀x0 ∈ D esiste un intervallo massimale (α, β) con 0 ∈(α, β), sul quale la soluzione del problema ai valori iniziali
x = f(x),
x(0) = x0,
esiste ed e unica.
Teorema 9 Sia D un aperto non vuoto di <n contenente x0 e supponi-
amo f ∈ C1(D) e sia (α, β) l’intervallo massimale di esistenza della
soluzione x(t, x0) del problema ai valori iniziali
x = f(x),
x(0) = x0,.
Allora se β < ∞ per ogni compatto K ⊂ D esiste t ∈ (0, β) tale che
x(t, x0) /∈ K.
1.4.2 Dipendenza dalle condizioni iniziali e dai parametri
Vogliamo ora studiare la dipendenza della soluzione del problema ai
valori inizialix = f(x)
x(0) = x0
dalla condizione iniziale x0. Se l’equazione dipende anche da un parametro
µ ∈ <m cioe se si ha f(x, µ) allora la soluzione x(t, x0, µ) dipendera an-
che dal parametro µ. Parleremo quindi di dipendenza continua della
soluzione dalla condizione iniziale e dal parametro dato.
39
Teorema 10 Teorema di dipendenza dalle condizioni iniziali
Sia D un sottoinsieme aperto di <n contenente x0 e sia f ∈ C1(D).
Esisteranno allora a > 0 e δ > 0 tali che ∀x0 ∈ Bδ(x0) il problema ai
valori inizialix = f(x)
x(0) = x0
ha una e una sola soluzione x(t, x0) con x ∈ C1(G), dove G = [−a, a]×Bδ(x0) ∈ <n+1 e inoltre per ogni x0 ∈ Bδ(x0) x(t, x0) e una funzione
due volte continuamente differenziabile per t ∈ [−a, a].
Teorema 11 Teorema di dipendenza dai parametri
Sia D un sottoinsieme aperto di <n+m contenente il punto (x0, µ0) dove
x0 ∈ <n e µ0 ∈ <m e sia f ∈ C1(E). Esistono allora a > 0 e δ > 0 tali
che ∀y ∈ Bδ(x0) e ∀µ ∈ Bδ(µ0), il problema ai valori iniziali
x = f(x, µ)
x(0) = y
ha un’unica soluzione x(t, y, µ) con x ∈ C1(G) dove G = [−a, a] ×Bδ(x0) × Bδ(µ0).
1.4.3 Flusso di un sistema dinamico non lineare
Per i sistemi lineari abbiamo definito il flusso, eAt : <n → <n del
sistema lineare x = Ax. La famiglia di mappe φt = eAt soddisfa le
seguenti proprieta per x ∈ <n:
– φ0(x) = x
– φs(φt(x)) = φs+t(x) per ogni s, t ∈ <– φ−t(φt(x)) = φt(φ−t(x)) = x per ogni t ∈ <.
Ora definiamo il flusso del sistema non lineare x = f(x) che soddisfa le
stesse proprieta. Denotiamo l’intervallo massimale di esistenza (α, β)
della soluzione del problema ai valori iniziali
x = f(x),
x(0) = x0,
40
con I(x0), poiche gli estremi α e β dell’intervallo generalmente dipen-
dono da x0.
Definizione 18 Sia D un sottoinsieme aperto di <n e sia f ∈ C1(D).
Per x0 ∈ D sia φ(t, x0) la soluzione del problema ai valori iniziali
x = f(x)
x(0) = x0
definita sul suo intervallo massimale di esistenza I(x0). Allora per ogni
t ∈ I(x0) la famiglia di mappe ad un parametro φt : D → D definita
da:
φt(x0) = φ(t, x0) := x(t, x0)
e detta flusso dell’equazione differenziale x = f(x)
Fissato x0 ∈ D, sia I = I(x0), allora la mappa φ(·, x0) : I e rapp-
resentabile mediante la traiettoria del sistema x = f(x) per il punto
x0. Viceversa, se si prende un K ⊆ D e t ∈ I(x0), ∀x0 ∈ K, allora
φt : K → E puo essere vista come il moto dei punti di K.
Anche nel caso non lineare valgono, con opportune modifiche le proprie-
ta del flusso lineare. Se definiamo l’insieme:
Ω = (t, x0) : x0 ∈ D, t ∈ I(x0)
allora valgono i seguenti risultati:
Teorema 12 Sia D un aperto di <n e f ∈ C1(D). Allora Ω e un
sottoinsieme aperto di <n+1 e φ ∈ C1(Ω)
Teorema 13 Sia D un aperto di <n e f ∈ C1(D). Allora ∀x0 ∈ D, se
t ∈ I(x0) e s ∈ I(φt(x0)), segue che
t + s ∈ I(x0) e φs+t = φs(φt(x0))
Teorema 14 Sotto le ipotesi del teorema precedente, se t ∈ I(x0) ∃ un
intorno U di x0 tale che t × U ⊂ Ω. Allora l’insieme V = φt(U) e
aperto e
φ−t(φt(x)) = x per ogni x ∈ U
41
e
φt(φ−t(y)) = y per ogni y ∈ V.
E’ possibile mostrare che mediante un rescaling del tempo lungo le
traiettorie si puo passare ad un sistema di equazioni differenziali le
cui soluzioni hanno tutte intervallo massimale di esistenza uguale a
(−∞, +∞),∀x0 ∈ D. Dobbiamo distinguere due casi: D = <n e D ⊂<n. Cominciamo dal primo:
x = f(x), conf ∈ C1(<n).
Riscaliamo il tempo lungo le traiettorie di questo sistema mediante la
formula:
τ(t, x0) =∫ t
0[1 + |f(x(s, x0))|]ds,
che definisce una t(x, τ) strettamente crescente. Abbiamo allora:
dx
dτ=
dx
dt
dt
dτ= f(x)
1
1 + |f(x)| .
Qundi il sistema di partenza si trasforma nel seguente sistema dinamico:
x = g(x)
con g(x) = f(x)1+|f(x)|
∈ C1(<n). La g(x) cosı definita e limitata, infatti
|g(x)| ≤ 1. Vale quindi il seguente
Teorema 15 ∀x0 ∈ D(= <n), la soluzione del problema di Cauchy
x = g(x)
x(0) = x0
e definita su tutto <.
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che esista un x0 tale che l’intervallo di definizione
della soluzione (α, β) 6= <, cioe o α o β sono finiti. Sia β finito.
Consideriamo per t ≥ 0:
x(t, x0) = x0 +∫ t
0g(x(s, x0))ds.
42
Prendendo il modulo di entrambi i membri otteniamo:
|x(t, x0)| ≤ |x0| +∫ t
0|g(x(s, x0))| ds,
ma |g(x)| ≤ 1, quindi
|x(t, x0)| ≤ |x0| +∫ t
01ds = |x0| + t ≤ |x0| + β
dove nell’ultima disuguaglianza abbiamo sfruttato il fatto che β e finito.
Dato che β < +∞, in [0, β) la soluzione e contenuta nel compatto
K = x ∈ <n : |x| ≤ |x0| + β ,
che e un assurdo. Allora β = +∞. Analogamente si prova che α = −∞.
Nel caso in cui D e un sottoinsieme proprio di <n e necessario un
rescaling diverso da quello appena descritto.
Teorema 16 Siano f : D → <n, f ∈ C1(D), D 6= ®, D ⊂ <n,
K = <n − D (chiuso). Siano, inoltre, g(x) = f(x)1+|f(x)|
, γ(x) = d(x,K)1+d(x,K)
(0 < γ(x) ≤ 1,∀x ∈ D), G(x) = γ(x)g(x). Allora le soluzioni di
x = G(x)
x(0) = x0
esistono ad ogni t ∀x0 ∈ D.
Si definisce il nuovo tempo
τ(t) =∫ t
0
1
γ(x(s))[1 + |f(x(s))|]ds,
di modo che il sistema x = f(x) diventa per l’appunto
dx
dτ=
dx
dt
dt
dτ= f(x)
γ(x)
1 + |f(x)| ,
cioe
x = G(x) con G(x) ∈ C1(D), |G(x)| ≤ 1.
Vediamo ora un teorema di esistenza globale:
43
Teorema 17 Sia f ∈ C1(<n) e valga la seguente condizione di lips-
chitzianita
|f(x) − f(y)| ≤ M |x − y| per qualche M > 0 e ∀x, y ∈ <n.
Allora
I(x0) = (−∞, +∞), ∀x0 ∈ <n.
Dimostrazione
Per assurdo esista x0 ∈ <n tale che l’intervallo massimale destro [0, β)
della soluzione del corrispondente problema di Cauchy sia limitato (β <
∞). Abbiamo
x(t, x0) − x0 =∫ t
0[f(x(s, x0)) − f(x0) + f(x0)]ds
⇒ |x(t, x0) − x0| ≤∫ t
0|f(x(s, x0)) − f(x0)| ds + t |f(x0)| ≤
≤ M∫ t
0|x(s, x0) − x0| ds + β |f(x0)|
e per il lemma di Gronwall
|x(t, x0) − x0| ≤ β |f(x0)| eMt ≤ |f(x0)| eMβ,
che implica che la traiettoria destra e contenuta in un compatto di <n,
che e un assurdo. Analogamente si prova che α = −∞.
Possiamo dunque concludere che ad ogni sistema di equazioni differen-
ziali possiamo associare una mappa C1
φ : <× D → D, con D aperto di <n,
che soddisfi le proprieta:
1. φ0(x) = x,∀x ∈ D
2. φt φs(x) = φt+s(x),∀s, t ∈ <,∀x ∈ D,
dove φt = φ(t, x).
44
1.4.4 Linearizzazione
Per iniziare ad analizzare il sistema non lineare
x = f(x),
e opportuno cercare di determinare i suoi punti di equilibrio e descri-
vere il comportamento del sistema in un intorno dei punti di equilibrio
trovati. Diamo innanzitutto la seguente
Definizione 19 Un punto di equilibrio e detto iperbolico se nessuno
degli autovalori della matrice Df(x0) ha parte reale nulla.
Il comportamento locale del sistema non lineare (1.4) vicino ad un
punto di equiibrio iperbolico x0 e qualitativamente determinato dal
comportamento del sistema lineare:
x = Ax,
con A = Df(x0). Vediamo perche procedendo in analogia al caso uni-
dimensionale. Supponiamo che f(x) abbia uno sviluppo di Taylor del
primo ordine piu termini di ordine superiore. Linearizzando trascu-
riamo i termini di ordine superiore. Dunque, nel caso dell’equazione
(1.4), in un intorno del punto critico x=a si puo scrivere:
x =∂f
∂x(a)(x − a) + termini di ordine superiore
Dovremmo quindi studiare l’equazione lineare con coefficienti costanti:
x =∂f
∂y(a)(x − a)
Per semplificare la notazione trasliamo il punto a nell’origine dello
spazio delle fasi. Ponendo x = x − a otteniamo:
˙x =∂f
∂x(a)x
45
Per abbreviare possiamo porre ∂f∂x
(a) = A, con A matrice n×n. Quindi
il sistema linearizzato da studiare in un intorno di x=a sara della forma
x = Ax
Escludiamo il caso in cui A sia una matrice singolare, dunque avremo:
det A 6= 0
Dobbiamo a questo punto determinare gli autovalori di A. Utilizziamo
l’equazione caratteristica
det(A − λI) = 0
Otteniamo n autovalori λ1, ..., λn.
Il sistema lineare scritto sopra e detto linearizzazione di x = f(x) in a.
Definizione 20 Sia X uno spazio metrico. Siano A e B sottoinsiemi
di X. Un omeomorfismo di A su B e una mappa 1 a 1, h : A → B,
che sia continua e con inversa continua. Gli insiemi A e B si dicono
omeomorfi o topologicamente equivalenti.
Vogliamo enunciare ora il teorema della varieta stabile. Consideriamo
prima un’ulteriore definizione ed un esempio.
Definizione 21 Una varieta differenziabile M n-dimensionale e uno
spazio metrico connesso tale che M =⋃
α Uα
e il ricoprimento di aperti
Uα
gode delle seguenti proprieta:
– ∀α Uα e omeomorfo a B1(0) di <n, cioe esiste un omeomorfismo
hα : Ualpha → B1(0)
– se Uα ∩ Uβ 6= ®, allora la mappa
h : hα h−1β : hβ(Uα ∩ Uβ) → hα(Uα ∩ Uβ) e differenziabile e
∀x ∈ hβ(Uα ∩ Uβ) si ha che detDh(x) 6= 0.
46
Esempio 3
Sia dato il sistema non lineare
x1 = −x1
x2 = −x2 + x21
x3 = x3 + x21
con condizione iniziale c = (c1 c2 c3)T . La soluzione del sistema dato e:
x1(t) = c1e−t
x2 = c2et + c2
1(e−t − e−2t)
x3 = c3et +
c31
3(et − e−2t)
Si ha che limt→∞φ(c) = 0 se e solo se c3 = − c21
3e anche che limt→−∞φ(c) =
0 se e solo se c1 = c2 = 0. Definiamo ora
S =
x ∈ <3 : x3 = −1
3(x1)
2
e
U =
x ∈ <3 : x1 = x2 = 0
.
Consideriamo ora il sistema linearizzato x = Ax con
A = Df(0) =
−1 0 0
0 −1 0
0 0 1
.
Gli autovalori sono:
λ1 = −1 a cui corrisponde il sottospazio stabile
x1
x2
0
,
λ2 = 1 a cui corrisponde il sottospazio instabile
0
0
x3
.
L’origine e un punto di equilibrio iperbolico perche nessuno degli auto-
valori ha parte reale nulla. Osserviamo che il sottospazio generato da
λ1 e S hanno la stessa dimensione, cosı come il sottospazio generato da
λ2 ed U. Enunciamo ora il seguente
47
Teorema 18 Teorema della varieta stabile
Sia D 6= ® un aperto di <n contenente l’origine, f ∈ C1(D) e sia φt
il flusso associato ad f. Supponiamo che f(0)=0 e che Df(0) abbia k
autovalori con parte reale negativa e i rimanenti n-k con parte reale
positiva. Allora esistono:
1 Una varieta differenziabile S k-dimensionale tale che φt(S) ⊂ S,
∀t ≥ 0 e limt→∞φt(x0) = 0, ∀x0 ∈ S
2 Una varieta differenziabile U (n-k)-dimensionale tale che φt(U) ⊆ U
∀t ≤ 0 e limt→−∞φt(x0) = 0, ∀x0 ∈ U.
Definizione 22 Due sistemi di equazioni differenziali si dicono topo-
logicamente equivalenti in prossimita dell’origine se esiste un omeo-
morfismo H che mappa un intorno U di 0 in un altro intorno V di
0 in modo da trasformare le traiettorie di U del primo sistema nelle
traiettorie di V del secondo sistema, preservando l’orientazione.
Un altro risultato importante e il seguente
Teorema 19 Teorema di Hartman-Grobman
Sia D un aperto non vuoto di <n contenente l’origine e f ∈ C1(D).
L’origine sia un punto di equilibrio iperbolico, φt sia il flusso del sistema
non lineare x = f(x) e A=Df(0). Esiste allora un omeomorfismo H
di un aperto U contenente l’origine in un altro aperto V contenente
anch’esso l’origine ed un intervallo I0 ⊆ < (0 ∈ I0):
H φt(x0) = eAt H(x0), ∀x0 ∈ U,∀t ∈ I0.
L’effetto dei termini non lineari cambia la struttura qualitativa del ri-
tratto di fase vicino all’origine nel caso in cui questa non sia un punto
di equilibrio iperbolico.
48
1.4.5 Sistemi dinamici non lineari in due dimen-
sioni
Analizziamo ora i sistemi non lineari in due dimensioni.
La forma generale di un campo vettoriale sul piano di fase e:
x1 = f1(x1, x2)
x2 = f2(x1, x2)
dove f1 ed f2 sono funzioni date. Questo sistema puo essere scritto in
una forma piu compatta come:
x = f(x),
dove x rappresenta un punto del piano di fase e x e il vettore velocita
in questo punto. Scorrendo lungo il campo vettoriale, un punto di fase
traccia una soluzione x(t), che corrisponde ad una traiettoria che si
muove lungo il piano di fase.
Come abbiamo detto, nei sistemi non lineari di solito le traiettorie non
si riescono a determinare analiticamente. Si cerca quindi di determinare
il comportamento qualitativo delle soluzioni, analizzando il ritratto di
fase del sistema. Esiste un’enorme varieta di possibili ritratti di fase.
Alcune caratteristiche comuni a tutti i ritratti di fase sono:
– Punti fissi che soddisfano la condizione f(x∗) = 0 e corrispondono
agli stati stazionari o agli equilibri del sistema
– Orbite chiuse, che corrispondono alle soluzioni periodiche, cioe le
soluzioni per le quali x(t+T)=x(t) per ogni t e per qualche T > 0.
– La disposizione delle traiettorie vicino ai punti fissi e alle orbite
chiuse.
– La stabilita o instabilita dei punti fissi e delle orbite chiuse.
1.5 Cicli limite
Un ciclo limite e una traiettoria chiusa isolata. L’essere chiusa implica
che il moto sia periodico. Per isolata si intende che tutte le traiettorie
49
vicine non sono chiuse e si muovono a spirale verso il ciclo limite o
allontanandosi da esso. A secondo del movimento delle traiettorie nel-
l’intorno di un ciclo limite possiamo distinguere tre tipi di cicli limite:
Figura 1.19:
– cicli limite stabili: tutte le triettorie in un intorno del ciclo limite
convergono ad esso quando la variabile tempo tende all’infinito;
– cicli limite instabili: tutte le traiettorie in un intorno del ciclo
limite divergono da esso quando la variabile tempo tende all’in-
finito;
– cicli limite semistabili: alcune traiettorie nell’intorno del ciclo
limite convergono ad esso, mentre altre divergono da esso quando
la variabile tempo tende all’infinito.
I cicli limite sono molto importanti nel campo scientifico. Ci sono in-
numerevoli esempi di sistemi caratterizzati da cicli limite. Ne citiamo
alcuni: il battito del cuore, l’accensione periodica di un neurone pace-
maker, i ritmi quotidiani della temperatura del corpo umano e della
secrezione di ormoni, ecc.
I cicli limite riguardano i fenomeni non lineari. Non possono accadere
nei sistemi lineari. Un sistema lineare puo avere orbite chiuse, ma non
possono essere isolate: se x(t) e una soluzione periodica del sistema,
allora lo e anche cx(t) per ogni costante c 6= 0, quindi x(t) e circondata
da una famiglia ad un parametro di orbite chiuse.
Consideriamo ora un semplice esempio (useremo le coordinate polari).
50
Figura 1.20:
Esempio1
Consideriamo il sistema:
r = r(1 − r2)
θ = 1
dove r ≥ 0. Le dinamiche radiali e angolari non sono legate e possono
essere quindi analizzate separatamente. Trattiamo r = r(1 − r2) come
un campo vettoriale sulla retta. Vediamo che r∗ = 0 e un punto fisso
instabile e r∗ = 1 e stabile (figura(1.20)). Tutte le traiettorie, tranne
r∗ = 0 si avvicinano al cerchio unitario r∗ = 1 monotonicamente. Dato
che il moto nella direzione angolare e una rotazione semplice a velocita
angolare costante, vediamo che tutte le traiettorie si muovono asintot-
icamente a spirale verso un ciclo limite in r∗ = 1 (figura(1.21)).
Consideriamo ora un altro esempio
Esempio2
Oscillatore di Van der Pol
La seguente equazione (di van der Pol) ha avuto un ruolo centrale nello
studio delle dinamiche non lineari:
x + µ(x2 − 1)x + x = 0
51
Figura 1.21:
dove µ ≥ 0 e un parametro. Questa equazione e un semplice oscillatore
armonico ma con un termine di smorzamento non lineare µ(x2 − 1)x.
Questo termine agisce come uno smorzamento ordinario positivo per
|x| > 1, e come uno smorzamento negativo per |x| < 1. In altre pa-
role fa decadere oscillazioni di grande ampiezza e le fa aumentare se
diventano troppo piccole. Si puo provare che l’equazione di van der Pol
ha un unico ciclo limite stabile per ogni µ > 0, come mostreremo piu
avanti.
1.5.1 Il teorema di Poincare-Bendixon
Cerchiamo ora un metodo per stabilire se le orbite chiuse esistono in
particolari sistemi. Il teorema di Poincare - Bendixon e uno dei pochi
risultati in questa direzione. Inoltre e uno dei risultati chiave della
dinamica non lineare in quanto implica che il caos non puo accadere
nel piano di fase.
52
Figura 1.22:
Teorema 20 Supponiamo che:
1 R sia un sottoinsieme chiuso e limitato del piano
2 x = f(x) sia un campo vettoriale continuamente differenziabile su un
insieme aperto contenente R
3 R non contenga punti fissi
4 Esista una traiettoria C costretta a rimanere in R, nel senso che
parte da R e resta in R in qualsiasi tempo futuro
Allora o C e un’orbita chiusa o si muove a spirale verso un’orbita chiusa
per t → ∞. In entrambi i casi R contiene un’orbita chiusa (figura 1.22).
Nell’applicare il teorema di Poincare - Bendixon e facile verificare le
condizioni 1 - 3. La condizione 4 e la piu difficile. Cosa ci garantisce
l’esistenza di una traiettoria C confinata? Il metodo standard e quello
di costruire una regione trappola R, cioe un insieme chiuso connesso
tale che i vettori del campo vettoriale sul contorno di R siano ovunque
diretti verso l’interno (figura 1.23). Allora tutte le traiettorie di R sono
confinate. Se possiamo anche stabilire che non ci sono punti fissi in
R, allora il teorema di Poincare - Bendixon assicura che R contiene
un’orbita chiusa. Il teorema di Poincare - Bendixon puo essere difficile
da applicare in pratica. Un caso favorevole si ha quando il sistema ha
una semplice rappresentazione in coordinate polari, come nel seguente
esempio:
53
Figura 1.23:
Esempio3
Consideriamo il sistema:
r = r(1 − r2) + µrcosθ
θ = 1
Quando µ = 0 c’e un ciclo limite stabile in r = 1. Vediamo che esiste
ancora un’orbita chiusa per µ > 0, finche µ e sufficientemente piccolo.
vediamo se e possibile trovare due cerchi concentrici con raggi rmin e
rmax tali che r < 0 sul cerchio esterno e r > 0 sul cerchio interno. Allora
la regione 0 < rmin ≤ r ≤ rmax sara la nostra regione trappola Notiamo
che non ci sono punti fissi in questa regione poiche θ > 0; dunque, se
rmin ed rmax possono essere trovati, il teorema di Poincare-Bendixon
implica l’esistenza di un’orbita chiusa. Per trovare rmin richiediamo
r = r(1−r2)+µrcosθ > 0 per ogni θ. Dato che cosθ ≥ 1, una condizione
sufficiente per rmin e 1−r2−µ > 0. Quindi ogni rmin <√
1 − µ va bene,
finche µ < 1 in modo che la radice quadrata abbia senso. Dovremmo
scegliere rmin piu grande possibile, per circondare il ciclo limite piu
’saldamente’ possibile. Potremmo prendere rmin = 0.999√
1 − µ. Con
un ragionamento simile, il flusso e dentro il cerchio esterno se rmax =
1.001√
1 + µ. Allora un’orbita chiusa esiste per ogni µ < 1 e giace da
qualche parte nella regione 0.999√
1 − µ < r < 1.001√
1 + µ.
54
1.5.2 Il teorema di Lienard
Molti circuiti oscillanti possono essere modellati da un’ equazione dif-
ferenziale del secondo ordine della forma:
x + f(x)x + g(x) = 0
conosciuta come equazione di Lienard. Questa equazione e una gener-
alizzazione dell’oscillatore di van der Pol x + µ(x2 − 1)x + x = 0. Puo
essere anche interpretata come il moto di una massa soggetta ad una
forza di smorzamento non lineare −f(x)x ed ad una forza non lineare
di ripristino -g(x). L’equazione di Lienard e equivalente al sistema:
x = y
y = −g(x) − f(x)y.
Il teorema che segue assicura che questo sistema ha un unico ciclo limite
stabile sotto opportune ipotesi su f e su g.
Teorema 21 Supponiamo che f(x) e g(x) soddisfino alle seguenti con-
dizioni:
1 f(x) e g(x) siano continuamente differenziabili per ogni x
2 g(-x)=-g(x) per ogni x (cioe g(x) sia una funzione dispari)
3 g(x) > 0 per x > 0
4 f(-x)=f(x) per ogni x (cioe f(x) sia una funzione pari)
5 La funzione dispari F (x) =∫ x0 f(u)du ha esattamente uno zero per
x=a, e negativa per 0 < x < a, e positiva e non decrescente per x > a,
e F (x) → ∞ per x → ∞Allora il sistema ha un unico ciclo limite stabile intorno all’origine nel
piano di fase.
Le ipotesi su g(x) indicano che la forza di richiamo agisce come quella
di una molla e tende a ridurre ogni spostamento, mentre le ipotesi su
f(x) implicano che lo smorzamento e negativo per valori piccoli di |x| ed
e positivo per valori piu alti di |x|. Dato che le piccole oscillazioni sono
pompate e le grandi oscillazioni sono smorzate, non e sorprendente che
55
il sistema tenda a stabilizzarsi in un’oscillazione di un’ampiezza inter-
media.
Vediamo ora un esempio
Esempio4
Mostriamo che l’equazione di van der Pol ha un’unico ciclo limite sta-
bile.
Per l’equazione di van der Pol
x + µ(x2 − 1)x + x = 0 (µ > 0)
si ha f(x) = µ(x2−1) e g(x) = x, quindi le condizioni 1 - 4 del teorema
di Lienard sono chiaramente soddisfatte. Osserviamo che considerando
l’energia E(x, x) = (x2+x2)2
si vede che
E(x, x) = xx + xx = x[µ(1 − x2)x − x] + xx = µ(1 − x2)x2.
Questo implica che l’oscillatore dissipa energia per |x| > 1, mentre la
produce per |x| < 1. Dato che F (x) = µ∫ x0 (u2 − 1)du = µ(1
3x2 − 1)x,
la condizione 5 e anch’essa soddisfatta.
Diamo anche un’altra dimostrazione dell’esistenza di un ciclo limite.
Ponendo z = x + µ(x3
3− x) otteniamo: x = z − µ(x3
3− x) e da z =
x + µ(x2 − 1)x otteniamo z = −x. Dunque il sistema
x = z − µ(x3
3− x)
z = −x
e equivalente a quello di partenza. La corrispondenza (x, x) ↔ (x, z)
tra punti dei due piani e biunivoca e regolare ed il ritratto di fase e
quindi qualitativamente simile nei due casi. In particolare punti di
equilibrio e orbite chiuse si corispondono nei due piani. L’unico punto
di equilibrio e (0,0); linearizzando si trova
x = µx + z
z = −x
a cui e associata la matrice
µ 1
−1 0
. L’origine e un fuoco instabile.
Vogliamo mostrare che esiste un unico ciclo limite stabile, nel senso
56
che ogni traiettoria diversa da (0,0) tende, per t → ∞, ad avvolgersi
su di esso. Osserviamo ora che l’equazione differenziale della famiglia
di traiettorie edz
dx= − x
z − F (x)
dove
F (x) := µ(x3
3− x)
in quanto se x=x(t) e invertibile esiste t=t(x) e considerando z(x(t)) si
hadz
dt=
dz
dx
dx
dt⇒ dz
dx=
dzdtdxdt
= − x
z − F (x)
La sostituzione z → −z e x → −x lascia invariata l’equazione e quindi
si deduce che se si riflette un’orbita rispetto all’origine si ottiene ancora
un’orbita. Consideriamo l’orbita che parte da un punto P = (0, ξ).
L’andamento dell’orbita e quello indicato in figura 1.24: dopo un tempo
finito interseca la cubica z=F(x) in un punto T, x diventa decrescente
e dopo un tempo finito interseca l’asse z in un punto S di coordinate
(0,−η(ξ)), η(ξ) > 0. Osserviamo ora che se esiste ξ > 0 tale che η(ξ) =
ξ allora riflettendo simmetricamente all’origine si ottiene un’altra orbita
che si salda con la precedente dando luogo ad un’orbita chiusa. Poiche
tutte le orbite si avvolgono intorno all’origine possiamo concludere che i
punti fissi dell’applicazione ξ → η(ξ) sono in corrispondenza biunivoca
con le orbite chiuse. Dobbiamo dunque mostrare che di questi punti fissi
ne esiste esattamente uno. Consideriamo la funzione V (x, z) = x2 + z2
e chiamiamo γξ il tratto di orbita da (0, ξ) a (0,−η(ξ)) e τ il relativo
tempo di percorrenza. Si ha:
δ(ξ) := η(ξ)2 − ξ2 =∫ τ
0
dV
dtdt = 2
∫ τ
0(xx + zz)dt = −2
∫ τ
0xF (x)dt =
(essendoz = −x) = 2∫
γξ
F (x)dz.
Facciamo vedere che:
1) δ(xi) > 0 per ξ vicino a 0;
2) δ(ξ) e strettamente decrescente;
3) δ(ξ) → −∞ per ξ → ∞.
57
Figura 1.24:
Da queste proprieta segue l’esistenza di un unico punto ξ tale che δ(ξ) =
0, che equivale a ξ = η(ξ).
1) Se ξ e abbastanza vicino a 0, il punto T si trova nel tratto in cui F
e negativa. Essendo anche z < 0 si ha F (x)dz > 0 e quindi δ(ξ) > 0.
2) Si puo scrivere
F (x)dz = − xF (x)
z − F (x)dx.
Inoltre∫
γξ
F (x)dz =∫
_
PQ... +
∫
_
QR.. +
∫
_
RS.
Se ξ decresce,_
PQ si alza,_
RS si abbassa. Cio significa che z − F (x)
aumenta in modulo su questi tratti, mentre xF(x) rimane inalterato e
negativo. Essendo F (x)dz > 0,∫
_
PQ... +
∫
_
RS... diminuisce. Sul tratto
_
QR F e positiva e strettamente crescente e dz < 0. Ne segue che se
aumenta ξ allora∫
_
QRF (x)dz diminuisce.
3) Consideriamo il tratto di orbita_
QR. Facendo riferimento alla figura
1.25 deduciamo che∫
_
QRF (x)dz ≤
∫
_
LNF (x)dz ≤ F (a)
∫
_
LNdz.
Poiche∫
_
LNdz=(differenza tra l’ordinata di N e l’ordinata di L) → −∞
per ξ → +∞ segue la tesi.
58
Figura 1.25:
59
Capitolo 2
Biforcazioni e caos
Uno degli aspetti interessanti riguardo ai sistemi ad una o piu dimen-
sioni e la dipendenza dai parametri. La struttura qualitativa del flusso
puo variare se si variano i parametri. In particolare i punti fissi possono
essere creati o distrutti oppure puo cambiare la loro stabilita. Questi
cambiamenti qualitativi nelle dinamiche sono detti biforcazioni e i va-
lori dei parametri per i quali avvengono sono detti punti di biforcazione.
2.1 Biforcazioni in una dimensione
Cominciamo analizzando le biforcazioni di punti fissi sulla retta.
– Biforcazione a nodo sella
La biforcazione a nodo sella e il meccanismo di base attraverso il
quale punti fissi sono creati e distrutti. Al variare di un parametro
due punti fissi si muovono l’uno verso l’altro e si annullano a vi-
cenda. L’esempio tipico di una biforcazione a nodo sella e dato
dal seguente sistema del primo ordine:
x = r + x2
60
Figura 2.1:
dove r e un parametro che puo essere positivo o negativo o nullo.
Quando r e negativo abbiamo due punti fissi, uno stabile e uno
instabile. Man mano che r arriva a zero da sinistra, la parabola
y = r + x2 si sposta verso l’alto ed i due punti fissi si muovono
l’uno verso l’altro. Quando r=0, i punti fissi si riuniscono in un
punto fisso semistabile x∗ = 0. Questo tipo di punto fisso e es-
tremamente delicato, scompare non appena r > 0 e poi non ci
sono piu punti fissi. In questo esempio possiamo dire che c’e una
biforcazione per r=0, poiche i campi vettoriali per r < 0 e r > 0
sono qualitativamente differenti.
Un altro esempio e dato dal campo vettoriale:
x = r − x2.
I punti fissi sono dati da r − x2 = 0, dunque x∗ = ±√r. Ci sono
due punti fissi per r > 0 e nessuno per r < 0. Per determinare
la stabilita lineare, calcoliamo f ′(x∗) = −2x∗. Quindi x∗ = +√
r
e stabile poiche f ′(x∗) < 0. Utilizzando lo stesso ragionamento
possiamo concludere che x∗ = −√r e instabile. Nel punto di
biforcazione r=0 troviamo f ′(x∗) = 0; la linearizzazione sparisce
quando i punti fissi si uniscono. Il diagramma di biforcazione e
mostrato in figura 2.2.
61
Figura 2.2:
Mostriamo che anche il sistema non lineare del primo ordine x = r
− x− e−x passa attraverso una biforcazione a nodo sella variando
r, e calcoliamo il valore di r nel punto di biforcazione.
I punti fissi soddisfano f(x) = r − x − ex = 0. A differenza
dell’esempio precedente, pero, in questo caso, non riusciamo a
trovare esplicitamente i punti fissi come funzione di r. Utilizziamo
dunque un approccio geometrico. Disegnamo nella stessa figura i
grafici di r−x ed e−x (Figura 2.3). Quando la retta r−x interseca
la curva e−x, abbiamo r − x = e−x e quindi f(x) = 0. Dunque le
intersezioni tra la retta e la curva corrispondono ai punti fissi del
sistema. Questa figura ci permette anche di studiare la direzione
del flusso sull’asse x: il flusso e verso destra quando la retta si
trova sopra la curva poiche r−x > e−x e quindi x > 0. Dunque, il
punto fisso sulla destra e stabile e quello sulla sinistra e instabile.
Ora cominciamo a far decrescere il parametro r. La retta r − x
scivola verso sotto ed i punti fissi si avvicinano l’un l’altro. Per
un particolare valore r = rc la retta diventa tangente alla curva
ed i punti fissi si uniscono in una biforcazione a nodo sella. Per
valori di r minori di rc, la retta si trova sotto la curva e non ci sono
punti fissi. Per trovare il punto di biforcazione rc imponiamo la
condizione che i grafici di r − x ed e−x siano tangenti. Chiediamo
62
Figura 2.3:
dunque l’uguaglianza delle funzioni e delle loro derivate:
e−x = r − x
ed
dxe−x =
d
dx(r − x)
Dalla seconda equazione abbiamo −e−x = −1 e quindi x=0. Al-
lora nella prima equazione abbiamo r=1.
Dobbiamo quindi concludere che c’e una biforcazione in x=0 ed il
valore di biforcazione e rc = 1.
– Biforcazione transcritica
Ci sono alcune situazioni in cui un punto fisso esiste per tutti i
valori di un parametro e non puo essere distrutto. Per esempio
nell’equazione logistica ed in altri semplici modelli per la crescita
di una singola specie, c’e un punto fisso della popolazione a zero,
indipendentemente dal valore del tasso di crescita. Comunque, un
tale punto fisso puo cambiare la sua stabilita variando il parametro
che compare nell’equazione. La biforcazione transcritica e il mec-
canismo standard per questi cambi di stabilita. La forma normale
per una biforcazione transcritica e:
x = rx − x2.
63
Figura 2.4:
Questa equazione somiglia all’equazione logistica, ma adesso am-
mettiamo che x ed r assumano valori sia positivi che negativi. La
figura 2.4 mostra il campo vettoriale al variare di r. Notiamo che
c’e un punto fisso in x∗ = 0 per tutti i valori di r. Per r < 0 c’e un
punto fisso instabile in x∗ = r ed un punto fisso stabile in x∗ = 0.
All’aumentare di r il punto fisso instabile raggiunge l’origine e vi
si unisce quando r=0. Infine quando r > 0, l’origine e diventa-
ta instabile. Notiamo l’importante differenza tra la biforcazione
a nodo sella e la biforcazione transcritica: nel caso transcritico i
due punti fissi non spariscono dopo la biforcazione ma cambiano
solo la loro stabilita. Il diagramma di biforcazione e mostrato in
figura 2.5.
– Biforcazione a forcone
Analizziamo ora un terzo tipo di biforcazione, detta biforcazione
a forcone. Questa biforcazione e comune nei problemi fisici che
hanno una simmetria. Per esempio, molti problemi hanno una
simmetria spaziale tra destra e sinistra.
Ci sono due tipi di biforcazione a forcone: la biforcazione a forcone
supercritica e la biforcazione a forcone subcritica.
64
Figura 2.5:
Biforcazione a forcone supercritica
La forma normale di questo tipo di biforcazione e:
x = rx − x3.
Notiamo che questa equazione non varia se sostituiamo x con
-x. Questo fatto esprime matematicamente la simmetria di cui
abbiamo parlato prima. La figura 2.6 mostra il campo vettoriale
per diversi valori di r.
Quando r < 0 l’origine e l’unico punto fisso, ed e stabile. Quando
r=0, l’origine e ancora stabile, ma piu debolmente, poiche i termini
lineari scompaiono. Infine quando r > 0 l’origine diventa instabile.
Compaiono due nuovi punti fissi simmetrici rispetto all’origine e
collocati a x∗ = ±√r. La ragione dell’utilizzo del termine forcone
risulta chiara se plottiamo il diagramma di biforcazione (Figura
2.7).
Biforcazione a forcone subcritica
Nel caso precedente il termine cubico e stabilizzante: agisce come
una forza di richiamo che riporta indietro x(t) verso x=0. Se
invece il termine cubico fosse destabilizzante, cioe:
x = rx + x3,
allora avremmo una biforcazione a forcone subcritica. La figura
65
Figura 2.6:
Figura 2.7:
66
Figura 2.8:
2.8 mostra il diagramma di bifocazione. Ci accorgiamo innanzi-
tutto che e invertita rispetto alla figura 2.7. I punti fissi diversi da
zero, cioe x∗ = ±√−r, sono instabili, ed esistono solo al di sotto
della biforcazione (r < 0), da qui il termine subcritica. L’origine e
stabile per r < 0, e instabile per r > 0, come nel caso precedente,
ma ora l’instabilita non e contrastata dal termine cubico; infatti
il termine cubico contribuisce a portare le traiettorie all’infinito.
Si puo mostrare che
x(t) → ±∞
in un tempo finito, partendo da una qualsiasi condizione iniziale
x0 6= 0.
Nei sistemi fisici reali, questo tipo di instabilita e solitamente con-
trastata dall’influenza stabilizzante di termini di ordine superiore.
Assumendo che il sistema sia simmetrico, il primo termine stabi-
lizzante deve essere x5. Dunque l’esempio canonico di un sistema
con una biforcazione a forcone subcritica e:
x = rx + x3 − x5.
67
2.2 Biforcazioni in piu dimensioni
Passando dai sistemi unidimensionali ai sistemi bidimensionali, i punti
fissi possono essere sempre creati, distrutti o destabilizzati, ma ora
questo vale anche per le orbite chiuse. Le biforcazioni discusse nel
paragrafo precedente hanno le loro analoghe in due dimensioni (ed in
generale in tutte le dimensioni). Consideriamo ora alcuni esempi.
– Biforcazione a nodo sella
La biforcazione a nodo sella e come abbiamo visto il meccanismo
base per la creazione e la distruzione di punti fissi. L’esempio
tipico in due dimensioni e:
x = µ − x2
y = −y
C’e una biforcazione a nodo sella nel punto critico non iperbolico
Figura 2.9:
(0,0) al variare del parametro µ. Per µ < 0 non ci sono punti
critici. Per µ = 0 c’e un punto critico nell’origine ed e un nodo-
sella. Per µ > 0 ci sono due punti critici in (±√µ, 0). (
õ, 0) e
un nodo stabile e (−√µ, 0) e una sella. Il ritratto di fase di questo
sistema e mostrato in figura 2.9. Il diagramma di biforcazione e
lo stesso di quello mostrato in figura (2.2).
– Biforcazione transcritica
Consideriamo il sistema:
x = µx − x2
y = −y
68
C’e una biforcazione transcritica nell’origine al variare di µ. I
Figura 2.10:
punti critici sono nell’origine e in (µ, 0). Il ritratto di fase di questo
sistema per µ = 0.5 e mostrato in figura 2.10. Il diagramma di
biforcazione e lo stesso di quello del caso unidimensionale.
– Biforcazione a forcone
Biforcazione a forcone supercritica
Consideriamo il sistema:
x = µx − x3
y = −y
Cerchiamo i punti di equilibrio:
x = 0
y = 0⇒
µx − x3 = 0
y = 0⇒
x(µ − x2) = 0
y = 0
Per µ ≤ 0 l’unico punto critico e nell’origine e per µ > 0 i punti
critici sono nell’origine e in (±√µ, 0). Per µ < 0 l’origine e un
nodo stabile. Per µ > 0 l’origine e un punto sella e sia (√
µ, 0) che
(−√µ, 0) sono nodi stabili. La biforcazione si ha in µ = 0, dove
un equilibrio si biforca in 3 all’aumentare di µ. Il ritratto di fase
di questo sistema per µ = 0.5 e mostrato in figura 2.11 .
Biforcazione a forcone subcritica
x = µx + x3
y = −y.
69
Figura 2.11:
Questo sistema ha un equilibrio per µ ≥ 0 e 3 equilibri per µ < 0.
La biforcazione e in µ = 0, in cui 3 equilibri si riuniscono in 1
all’aumentare di µ.
2.3 Biforcazione di Hopf
Supponiamo che un sistema bidimensionale abbia un punto fisso
stabile. Quali sono i possibili modi in cui questo punto puo perdere
stabilita al variare di µ? La risposta va cercata negli autovalori
della matrice Jacobiana. Se il punto fisso e stabile, gli autovalori
λ1 e λ2 devono trovarsi entrambi nel semipiano di sinistra del
piano complesso, cioe con parte reale minore di zero. Ci sono due
possibilita: o gli autovalori sono entrambi reali e negativi, oppure
sono complessi coniugati. Per destabilizzare il punto fisso, uno
o entrambi gli autovalori devono andare nel semipiano di destra
al variare di µ. Consideriamo ora il caso in cui due autovalori
complessi coniugati attraversano l’asse immaginario per andare
nel semipiano di destra.
Teorema 22 Teorema di biforcazione di Hopf
Sia x=0 una soluzione di equilibrio ed il sistema linearizzato at-
torno a questo punto abbia una coppia di autovalori complessi co-
niugati semplici λ(µ) = Reλ ± Imλ. Si supponga che la parte
70
reale di questa coppia sia la piu grande tra le parti reali di tutti gli
autovalori e che in un piccolo intorno del punto di biforcazione µc
si abbia:
∗ Reλ < 0 se µ < µc
∗ Reλ = 0 e Imλ 6= 0 se µ = µc
∗ Reλ > 0 se µ > µc
Allora in un piccolo intorno destro di µc lo stato stazionario e
instabile ed esiste almeno una soluzione di ciclo limite periodica
attorno ad x=0.
Consideriamo ora alcuni esempi:
Esempio1
Consideriamo il sistema bidimensionale:
x1 = x1(µ − x21 − x2
2) − x2
x2 = x2(µ − x21 − x2
2) + x1
L’origine e il solo punto di equilibrio. Infatti:
x1 = 0
x2 = 0⇒
x1(µ − x21 − x2
2) − x2 = 0
x2(µ − x21 − x2
2) + x1 = 0⇒
x1(µ − x21 − x2
2) = x2
x2(µ − x21 − x2
2) + x1 = 0
⇒
x1(µ − x21 − x2
2) = x2
x1(µ − x21 − x2
2)(µ − x21 − x2
2) + x1 = 0⇒
x1(µ − x21 − x2
2) = x2
x1[(µ − x21 − x2
2)2 + 1] = 0
⇒
x1(µ − x21 − x2
2) = x2
x1 = 0⇒
x2 = 0
x1 = 0.
Consideriamo ora il sistema linearizzato x = Ax con
A =
µ −1
1 µ
.
Dunque A − λI e dato da:
µ − λ −1
1 µ − λ
71
Abbiamo dunque
(µ − λ)2 + 1 = 0 ⇒ λ2 − 2λµ + µ2 + 1 = 0
che ha come soluzioni
µ ±√
µ2 − µ2 − 1 = µ ± i.
Per µ < 0 abbiamo una coppia di autovalori complessi nel semi-
piano con parte reale negativa: un fuoco asintoticamente stabile.
Per µ > 0 abbiamo una coppia di autovalori complessi con parte
reale positiva: un fuoco instabile.
Consideriamo ora
(x21+x2
2). = 2(x1x1+x2x2) = 2x2
1(µ−x21−x2
2)−2x1x2+2x22(µ−x2
1−x22)+2x1x2
= 2(µ − x21 − x2
2)(x21 + x2
2).
Passando a coordinate polari si ha:
(ρ2). = 2(µ − ρ2)ρ2 ⇒ 2ρρ = 2(µ − ρ2)ρ2 ⇒ ρ = ρ(µ − ρ2).
C’e un ciclo limite stabile per µ > 0, cioe una circonferenza di
raggio√
µ. Per µ < 0, ρ e negativo tranne che per ρ = 0, dunque
l’origine e un equilibrio globalmente stabile. La biforcazione in
µ = 0 e detta biforcazione di Hopf supercritica. Il diagramma di
biforcazione e mostrato in figura 2.12.
Figura 2.12:
72
Esempio2
Un altro tipo di biforcazione di Hopf avviene, ad esempio, per il
sistema:
x1 = x1(µ + x21 + x2
2)(1 − x21 − x2
2) − x2
x1 = x2(µ + x21 + x2
2)(1 − x21 − x2
2) + x1
Anche in questo caso l’origine e l’unico punto di equilibrio. E’ un
fuoco stabile per µ < 0 ed un fuoco instabile per µ > 0.
Consideriamo
(x21 + x2
2). = 2(x1x1 + x2x2)
= 2x21(x
21+x2
2+µ)(1−x21−x2
2)−2x1x2+2x1x2+2x22(x
21+x2
2+µ)(1−x21−x2
2) =
= 2(x21 + x2
2)(x21 + x2
2 + µ)(1 − x21 − x2
2).
Passando a coordinate polari
(ρ2). = 2ρρ = 2ρ2(ρ2 + µ)(1 − ρ2) ⇒ ρ = ρ(ρ2 + µ)(1 − ρ2).
C’e un ciclo limite per ρ = 1 e , per µ < 0, c’e un altro ciclo limite
per ρ =√−µ. Per µ < −1 il ciclo limite in
õ e stabile ed il
ciclo limite in 1 e instabile. Per −1 < µ < 0 il ciclo limite in√
µ
e instabile ed il ciclo limite in 1 e stabile. Per µ > 0 abbiamo
solo un ciclo limite stabile in 1. La biforcazione in µ = 0 e detta
biforcazione di Hopf subcritica. Il diagramma di biforcazione e
mostrato in figura 2.13.
Figura 2.13:
73
2.4 Caos
Finora ci siamo occupati dello studio di sistemi dinamici in una o
due dimensioni. Al crescere del numero delle dimensioni si presen-
tano fenomeni sempre piu complessi. A partire dalla dimensione
tre si ha il caos. Studiamo questo fenomeno tramite un esempio
fornito da Lorenz.
2.4.1 Equazioni di Lorenz
Consideriamo le equazioni di Lorenz:
x = σ(y − x)
y = rx − y − xz
z = xy − bz
(2.1)
dove σ, r, b sono parametri positivi. σ e il numero di Prandtl ed
r e il numero di Rayleigh. Lorenz scoprı che questo sistema puo
avere dinamiche estremamente irregolari: per un’ampia gamma di
parametri la soluzione oscilla irregolarmente, ma sempre rimanen-
do in una regione limitata del piano delle fasi. Quando disegno
le traiettorie in 3 dimensioni, scoprı che si sistemavano in un in-
sieme complicato, detto ’attrattore strano’. A differenza dei punti
fissi e dei cicli limite stabili, l’attrattore strano non e un punto,
una curva o addirittura una superficie ma e un frattale, con una
dimensione frazionaria compresa fra 2 e 3.
2.4.2 Semplici proprieta delle equazioni di Lorenz
Lorenz ha eliminato tutte le possibilita conosciute per il compor-
tamento a lungo termine di questo sistema: mostro che in un certo
range di parametri non possono esserci punti fissi stabili e cicli li-
mite stabili. Provo anche che tutte le traiettorie restano confinate
in una regione limitata e sono alla fine attratte da un insieme di
volume zero. Ci si chiede quindi come possa essere questo insieme
74
e come le traiettorie si muovano su di esso. Vedremo che questo
insieme e l’attrattore strano di cui parlavamo prima e il moto su
di esso e caotico.
Vediamo prima di tutto come Lorenz esculse le possibilita tradizio-
nali.
∗ Non linearita.
Nel sistema (1.12) gli unici termini non lineari sono i termini
quadratici xy e xz.
∗ Simmetria.
Nel sistema di Lorenz c’e una importante simmetria: sos-
tituendo (x,y) con (-x,-y) in (2.1) le equazioni restano le stesse.
Quindi se (x(t),y(t),z(t)) e una soluzione allora lo e anche (-
x(t),-y(t),+z(t)). Questo significa che o una soluzione e es-
sa stessa simmetrica, o c’e un’altra soluzione simmetrica alla
prima.
∗ Contrazione del volume.
Il sistema di Lorenz e dissipativo: i volumi nello spazio delle
Figura 2.14:
fasi si contraggono sotto l’azione del flusso. Per verificare
questa situazione dobbiamo prima rispondere alla seguente
domanda: come si evolvono i volumi? Rispondiamo a questa
domanda in generale, considerando un sistema in 3 dimensioni
75
x = f(x). Prendiamo una superficie chiusa arbitraria S(t)
di volume V(t) nel piano delle fasi. Pensiamo ai punti di S
come condizioni iniziali per le traiettorie e immaginiamo che
si evolvano di un tempo infinitesimo dt. S si evolvera in una
nuova superficie S(t+dt). Quanto vale il suo volume V(t+dt)?
Consideriamo la figura (2.14). Sia n la normale uscente da S.
Dato che f e la velocita istantanea dei punti, allora f · n e
la componente della velocita della normale. Al tempo dt un
elemento di area dA spazzera dunque un volume f · ndt)dA,
come mostrato in figura 2.15. Quindi
Figura 2.15:
V (t+dt) = V (t)+(volume spazzato da piccoli elementi di superficie
integrato su tutti gli elementi).
Otteniamo:
V (t + dt) = V (t) +∫
S(f · ndt)dA.
Dunque
V =V (t + dt) − V (t)
dt=
∫
Sf · ndA.
Infine, dal teorema della divergenza, abbiamo:
V =∫
V∇ · fdV. (2.2)
76
Per il sistema di Lorenz,
∇·f =∂
∂x[σ(y−x)]+
∂
∂y[rx−y−xz]+
∂
∂z[xy−bz] = −σ−1−b < 0.
Dato che la divergenza e costante in (1.13) abbiamo V =
−(σ+1+b)V , che ha soluzione V (t) = V (0)e−(σ+1+b)t. Percio
i volumi nello spazio delle fasi si rimpiccioliscono in maniera
esponenziale. La contrazione del volume impone forti limi-
tazioni sulle possibili soluzioni delle equazioni di Lorenz, in
quanto impedisce che ci siano soluzioni quasi periodiche e
punti fissi o cicli limite repulsivi.
∗ Punti fissi.
Il sistema di Lorenz ha due tipi di punti fissi. L’origine
(x∗, y∗, z∗) = (0, 0, 0) e un punto fisso per tutti i valori dei
parametri. Per r > 1 c’e anche una coppia simmetrica di
punti fissi x∗ = y∗ = ±√
b(r − 1), z∗ = r − 1. Lorenz li
chiamo C+ e C−. Per r → 1+ , C+ e C− si riuniscono con
l’origine in una biforcazione a forcone.
∗ Stabilita lineare dell’origine.
La linearizzazione nell’origine e
x = σ(y − x)
y = rx − y
z = −bz
ottenuta omettendo i termini xy e xz in (1.12).
L’equazione per z e indipendente e mostra che z(t) tende a ze-
ro in modo esponenziale. Le altre due direzioni sono governate
dal sistema:
x
y
=
−σ σ
r −1
x
y
,
con traccia τ = −σ− 1 < 01 e determinante ∆ = σ(1− r). Se
1Per i sistemi in due dimensioni il det(A − λI) e dato da:∣
∣
∣
∣
∣
a11−λ a12
a21 a22 − λ
∣
∣
∣
∣
∣
= (a11 − λ)(a22 − λ) − a12a21
77
r > 1 l’origine e un punto sella perche ∆ < 0. Includendo la
direzione z, la sella ha una direzione uscente e due entranti.
Se r < 1, tutte le direzioni sono entranti. In particolare, dato
che
τ 2 − 4∆ = (σ + 1)2 − 4σ(1 − r) = (σ − 1)2 + 4σr > 0,
l’origine e un nodo stabile per r < 1.
∗ Stabilita globale dell’origine
In realta per r < 1 possiamo mostrare che ogni traiettoria
raggiunge l’origine per t → ∞. L’origine e globalmente sta-
bile. Quindi non possono esserci cicli limite o caos per r < 1.
Per la dimostrazione bisogna costruire una funzione di Lia-
punov2. Non c’e una regola generale per costruire le funzioni
di Liapunov. In questo caso consideriamo
V (x, y, z) =1
σx2 + y2 + z2.
Le superfici con V costante sono ellissoidi concentriche intorno
all’origine (figura 2.16) L’idea sta nel mostrare che se r < 1 e
(x, y, z) 6= (0, 0, 0) allora V < 0 lungo le traiettorie. Questo
implica che la traiettoria continua a muoversi verso un V piu
= λ2 − (a11 + a22)λ + a11a22 − a12a21 = λ2 − τλ + ∆
e dunque gli autovalori sono dati da
λ1,2 =τ ±
√τ2 − 4∆
2
2In generale se consideriamo il sistema x = f(x) con un punto fisso in a e riusciamo a
trovare una funzione di Liapunov, cioe una funzione V(x) di classe C1 a valori reali con le
seguenti proprieta:
· V (x) > 0 per ogni x 6= a e V (a) = 0 (cioe V definita positiva)
· V < 0 per ogni x 6= a
allora a e globalmente asintoticamente stabile: per qualunque condizione iniziale x(t) → a
per t → ∞. In particolare il sistema non ha orbite chiuse.
78
Figura 2.16:
basso, e quindi penetra ellissoidi sempre piu piccole per t →∞. Ma V e limitato inferiormente da 0, quindi V (x(t)) → 0
e x(t) → 0. Calcoliamo ora
1
2V =
1
σxx+yy+zz = (yx−x2)+(ryx−y2−xzy)+(zxy−bz2)
= (r + 1)xy − x2 − y2 − bz2.
Completando i quadrati nei primi due termini abbiamo:
1
2V = −[x − r + 1
2y]2 − [1 − (
r + 1
2)2]y2 − bz2.
Vogliamo mostrare che il membro di destra di quest’ultima
equazione e strettamente negativo se r < 1 e (x, y, z) 6=(0, 0, 0). E’ certamente non positivo, poiche e una somma ne-
gativa di quadrati. Potrebbe essere V = 0. Questo richiederebbe
che i termini a destra si annullassero separatamente. Si avrebbe
quindi y=0, z=0 del secondo e terzo termine (in quanto, aven-
do assunto r < 1, il coefficiente di y2 non e nullo). Il primo
termine diventa −x2 che si annulla solo se x=0. In conclusione
V = 0 implica dunque (x,y,z)=(0,0,0). Altrimenti V < 0.
∗ Stabilita di C+ e C−
Supponiamo ora r > 1, in modo che esistano C+ e C−. Si
79
puo vedere che C+ e C− sono linearmente stabili per
1 < r < rH =σ(σ + b + 3)
σ − b − 1
(assumendo anche che σ − b − 1 > 0). Usiamo il pedice H
perche C+ e C− perdono la loro stabilita in una biforcazione
di Hopf per r = rH . Cosa succede immediatamente dopo la
biforcazione, per r un po’ piu grande di rH? Si potrebbe sup-
porre che C+ e C− siano circondati da un piccolo ciclo limite
stabile. Questo succederebbe se la biforcazione di Hopf fos-
se supercritica. Ma in realta e subcritica: i cicli limite sono
instabili ed esistono solo per r < rH [3]. Per r < rH , il ritrat-
to di fase vicino a C+ e mostrato schematicamente in figura
2.17. Il punto fisso e stabile ed e circondato da un ciclo a
Figura 2.17:
sella, un nuovo tipo di ciclo limite instabile che e possibile
solo in spazi delle fasi di 3 o piu dimensioni. Il ciclo ha una
varieta instabile ed una varieta stabile bidimensionali. Per
r → rH dal basso il ciclo si restringe attorno al punto fisso.
Nella biforcazione di Hopf il punto fisso assorbe il ciclo a sella
e cambia in un punto sella. Per r > rH non ci sono attrattori
nelle vicinanze. Quindi per r > rH le traiettorie devono andar
via verso un attrattore lontano. Un parziale diagramma di bi-
forcazione (figura 2.18),pero, non mostra alcun indizio della
80
Figura 2.18:
presenza di oggetti stabili per r > rH . Si potrebbe quindi
pensare che tutte le traiettorie vengano respinte verso l’infini-
to. Anche questo non e possibile perche si puo provare che
tutte le traiettorie alla fine entrano e rimangono in un ellis-
soide di una certa grandezza. Un’altra ipotesi e quella che
ci sia un ciclo limite stabile del quale non siamo consapevoli.
Questo potrebbe essere possibile, ma Lorenz spiego che per
r un po’ piu grande di rH , ogni ciclo limite deve essere in-
stabile. Quindi le traiettorie devono avere uno strano tipo di
comportamento a lungo termine. Sono respinte da un ogget-
to instabile all’altro e allo stesso tempo sono confinate in un
insieme limitato di volume zero, pero riescono a muoversi su
questo insieme per sempre senza intersecare se stesse o altre
traiettorie.
2.4.3 Alcune definizioni
Definizione di Caos
Nessuna definizione del termine caos e universalmente accettata.
Si potrebbe dire che il caos e
’un comportamento aperiodico a lungo termine in un sistema de-
terministico che mostra una sensibile dipendenza dalle condizioni
81
iniziali’.
∗ 1. Comportamento aperiodico a lungo termine signifi-
ca che ci sono traiettorie che non si stabilizzano in punti fissi,
orbite periodiche o quasi periodiche per t → ∞. Possiamo
dire che c’e un insieme aperto di condizioni iniziali che genera
traiettorie aperiodiche o che queste traiettorie si verificano
con probabilita diversa da zero, data una condizione iniziale
presa a caso.
∗ 2. Deterministico significa che il sistema non ha parametri
casuali o di disturbo. Il comportamento irregolare deriva dalla
non linearita del sistema e non da forze di disturbo.
∗ 3. Sensibile dipendenza dalle condizioni iniziali signifi-
ca che traiettorie vicine si separano con velocita esponenziale.
Definizione di attrattore e di attrattore strano
Un attrattore, senza pretesa di rigore, e un insieme al quale con-
vergono tutte le traiettorie nei dintorni. Per esempio i punti fissi
stabili e i cicli limite stabili sono attrattori. Piu precisamente pos-
siamo definire un attrattore come un insieme chiuso con le seguenti
proprieta:
∗ 1. A e un insieme invariante: ogni traiettoria x(t) che parte
in A rimane in A ad ogni istante.
∗ 2. A attrae un insieme aperto di condizioni iniziali: esiste un
insieme aperto U che contiene A tale che se x(0) ∈ U allora la
distanza da x(t) ad A tende a zero per t → ∞. Questo vuol
dire che l’insieme A attrae tutte le traiettorie che partono
sufficientemente vicine ad esso. Il piu grande di questi U e
detto bacino di attrazione di A.
∗ 3. A e minimale: non ci sono sottoinsiemi propri di A che
soddisfano le condizioni 1. e 2.
Definiamo infine un attrattore strano come un attrattore che mostra
una sensibile dipendenza dalle condizioni iniziali.
82
Capitolo 3
Modelli matematici per il
sistema immunitario
3.1 Introduzione
I modelli matematici del sistema immunitario spesso si concen-
trano sulla riposta immunitaria agli agenti patogeni. Qui viene
analizzato un altro fondamentale processo che avviene nel sistema
immunitario: il mantenimento dell’autotolleranza, cioe la preven-
zione di risposte immunitarie dannose per le parti del corpo.
La domanda che ci si pone e la seguente: quali sono i processi che
evitano che i linfociti autoreattivi, cioe i linfociti con recettori che
riconoscono antigeni (macromolecole che reagiscono con prodotti
del sistema immunitario) del corpo, causino malattie autoimmuni
in individui sani?
Prenderemo in considerazione due ipotesi in merito. Una prima
ipotesi e quella secondo la quale ai linfociti T autoreattivi viene
impedito di proliferare per l’esistenza di particolari cellule T rego-
latrici. Secondo un’altra ipotesi, invece, le cellule T diventano non
rispondenti agli autoantigeni attraverso la modifica del loro mecca-
nismo di segnalazione delle cellule; gli immunologi usano la parola
anergia per riferirsi a questa mancanza di risposta delle cellule,
83
in particolare quando questa si traduce in una diminuzione della
risposta proliferativa. Tra le possibili spiegazioni del meccanismo
di induzione di questa anergia, la piu semplice si basa sull’ipote-
si che i linfociti regolano le loro soglie di attivazione in risposta
a stimoli ricorrenti. Nei prossimi paragrafi deriveremo modelli
matematici che rappresentano le dinamiche di una popolazione di
linfociti T autoreattivi in accordo con queste due ipotesi.
3.2 Tolleranza mediata da linfociti T
regolatori
3.2.1 Derivazione del modello
Consideriamo la dinamica di una popolazione di cellule T autore-
attive la cui attivazione, proliferazione e sopravvivenza dipende
dall’interazione con una popolazione di cellule che presentano anti-
gene (APC - antygene presenting cells). La popolazione di cellule
T e composta da due sottopopolazioni di cellule regolatrici ( TR)
ed effettrici (TE).
Le cellule TE sono responsabili dei disordini autoimmuni se le cel-
lule TR non controllano la loro espansione dipendente dall’atti-
vazione.
Le cellule TR e TE a riposo possono morire o formare coniugati con
le cellule APC libere. La coniugazione puo essere produttiva, dan-
do luogo all’attivazione di cellule T, oppure non produttiva, cosı
che le cellule T rimangono a riposo. L’attivazione delle cellule T
e transitoria, dunque le cellule T attivate giungeranno spontanea-
mente alla condizione di riposo. Solo le cellule TR e TE attivate
interagiscono tra loro. Le sole cellule TE attivate producono un
fattore di crescita, sotto la cui azione le cellule TE e TR si dividono.
Prima di procedere alla derivazione del modello, introduciamo sin-
golarmente le variabili e le costanti che saranno coinvolte nelle
equazioni:
84
RF densita delle cellule TR libere
EF densita delle cellule TE libere
RC densita delle cellule TR coniugate
EC densita delle cellule TE coniugate
RA densita delle cellule TR attivate
EA densita delle cellule TE attivate
AF densita delle APC libere
A densita totale delle APC
c tasso costante di formazione di coniugati
d tasso costante di dissociazione di coniugati
r tasso costante di ritorno dallo stato attivo allo stato di
riposo
p tasso costante di divisione delle cellule TE attivate che da
luogo a due cellule TE a riposo
s tasso costante di trasformazione delle cellule TE attive in
cellule TE a riposo senza divisione, e di divisione delle cellule TR
attivate in due cellule TR a riposo
δ tasso costante di morte
α probabilita che una cellula T sia attivata
Partendo dalle considerazioni fatte finora e dal diagramma in figu-
ra (3.1), con le notazioni appena introdotte, possiamo considerare
il seguente sistema di sei equazioni differenziali ed un’equazione
di conservazione:
dRF
dt= 2sRAEA + rRA + d (1 − α) RC − cRF AF − δRF (3.1)
dEF
dt= sRAEA+2pEA+rEA+d (1 − α) EC−cEF AF−δEF (3.2)
dRC
dt= −dRC + cRF AF (3.3)
dEC
dt= −dEC + cEF AF (3.4)
85
Figura 3.1:
dRA
dt= dαRC − sRAEA − rRA (3.5)
dEA
dt= dαEC − sRAEA − pEA − rEA (3.6)
A = AF + RC + EC . (3.7)
Nella (3.1) l’incremento delle RF e dato da tre termini: il primo
termine 2sRAEA che indica la trasformazione di cellule T attivate
in cellule T a riposo in seguito all’incontro di una cellula RA con
una EA (la moltiplicazione per due e dovuta al comportamento
della s che divide ogni TR attivata in due TR a riposo); l’addendo
86
rRA indica la trasformazione di cellule TR attivate in TR a riposo
ed infine il termine d(1−α)RC che indica la dissociazione di cellule
TR coniugate ed e moltiplicato per (1−α), cioe per la probabilita
che queste cellule non siano attivate. Abbiamo anche due termi-
ni che danno un contributo negativo: le cellule TR libere possono
diminuire nel tempo formando coniugati con le APC (-sRF AF )
oppure per morte naturale (-δRF ).
Nella (3.2) il termine sRAEA non e moltiplicato per due in quan-
to la s fa sı che le cellule TE attivate si trasformino in TE a ri-
poso senza divisione. Gli altri contributi positivi sono dati dalla
trasformazione di cellule TE attivate in TE a riposo (rEA), dalla
dissociazione di cellule TE coniugate, ma allo stesso tempo non at-
tivate d(1 − α)EC ed infine dal termine 2pEA che trasforma ogni
cellula TE attivata in due cellule TE a riposo. Inoltre la EF puo
diminuire nel tempo per la formazione di coniugati con le APC
(-cEF AF ) o per morte naturale (-δ EF ).
Nella (3.3) la densita delle TR coniugate puo diminuire per la disso-
ciazione di coniugati (-dRC) oppure aumentare per la formazione
di coniugati con le APC (cRF AF ).
Nella (3.4) la situazione e analoga a quella dell’equazione prece-
dente, cioe la densita delle TE coniugate diminuisce proporzional-
mente alla dissociazione di coniugati (-dEC) ed aumenta pro-
porzionalmente alla formazione di coniugati con le APC (cEF AF ).
Nella (3.5) la densita delle cellule TR attivate puo subire un decre-
mento a causa della trasformazione di cellule TR attivate in TR a
riposo (-rRA), oppure per la formazione di cellule TR e TE a riposo
in seguito all’interazione fra TR e TE attivate (-sRAEA); l’incre-
mento delle RA e dato dal termine dαRC cioe dalla dissociazione
di coniugati che da luogo a cellule TR attivate.
Nella (3.6) osserviamo che i termini -rEA, dαEC assumono lo stes-
so significato rispettivamente di -rRA e dαRC nell’equazione prece-
dente, ricordando pero che ora si ha a che fare con le TE e non
con le TR. La stessa considerazione vale per il termine -sRAEA.
L’unica differenza con la (3.5) sta nel termine -pEA che da un
87
contributo negativo alla (3.6) ed indica la divisione di TE attivate
in due TE a riposo. La (3.7) esprime il fatto che la densita to-
tale delle APC e data dalla somma delle APC libere, con le APC
coniugate con le TR o con le TE.
In realta ci interessano le dinamiche delle densita totali delle TR e
delle TE, che indichiamo rispettivamente con R ed E. Le rispettive
derivate sono date da:
dR
dt=
dRF
dt+
dRC
dt+
dRA
dt(3.8)
dE
dt=
dEF
dt+
dEC
dt+
dEA
dt. (3.9)
Da (3.8), (3.1),(3.2) e (3.3) otteniamo:
dR
dt= 2sRAEA + rRA + d (1 − α) RC − cRF AF − δRF − dRC
+cRF AF + dαRC − sRAEA − rRA
cioedR
dt= sRAEA − δRF . (3.10)
Da (3.9), (3.2),(3.4) e (3.6) otteniamo:
dE
dt= sRAEA +2pEA +rEA +d (1 − α) EC −cEF AF −δEF −dEC
+cEF AF + dαEC − sRAEA − pEA − rRA,
cioedE
dt= pEA − δEF . (3.11)
Per maggiore semplicita assumiamo che le densita delle cellule T
coniugate e attivate siano trascurabili se confrontate con le densita
totali. Dunque si ha:
R = RF + RC + RA ≈ RF (3.12)
88
e
E = EF + EC + EA ≈ EF . (3.13)
Le approssimazioni (3.12) e (3.13) sono valide se c << d ed αd ≤ r,
che assicurano che all’equilibrio la densita delle cellule coniugate
sara molto piu piccola della densita delle cellule libere, e la densita
delle cellule attivate e al massimo uguale alla densita delle cellule
coniugate.
Con queste assunzioni, le equazioni (3.10) e (3.11) diventano rispet-
tivamente:dR
dt= sRAEA − δR
edE
dt= pEA − δE.
Assumiamo che le densita delle cellule T coniugate siano in stato
quasi stazionario, dunque poniamo:
dRC
dt= 0,
edEC
dt= 0.
Otteniamo, allora:
−dRC + cRF AF = 0,
cioe
RC =c
dAF RF (3.14)
e
−dEC + cEF AF = 0
89
cioe
EC =c
dAF EF . (3.15)
Sostituendo queste espressioni nell’equazione di conservazione (3.7)
si ha:
A = AF +c
dAF RF +
c
dAF EF = AF
(
1 +c
dRF +
c
dEF
)
⇒ AF =A
1 + cdRF + c
dEF
.
Sostituendo quest’ultima in (3.14) otteniamo:
RC =c
d
ARF
d+cRF +cEF
d
=cARF
c(
dc
+ RF + EF
) =ARF
dc
+ RF + EF
e, allo stesso modo, sostituendo in (3.15) l’espressione di AF ,
otteniamo:
EC =c
d
AEF
cd
(
dc
+ RF + EF
) =AEF
dc
+ RF + EF
.
Tenendo conto delle approssimazioni (3.12) e (3.13) avremo dunque:
RC =AR
dc
+ R + E
e
EC =AE
dc
+ R + E.
Assumiamo che anche le cellule T attivate siano in stato quasi
stazionario. Ponendo dunque
dRA
dt= 0
avremo:
dαRC − sRAEA − rRA = 0 ⇔ (sEA + r) RA = dαRC
90
⇔ RA =dαRC
sEA + r; (3.16)
mentre ponendo:dEA
dt= 0,
avremo:
dαEC − sRAEA − pEA − rEA = 0,
sostituendo in quest’ultima equazione l’espressione di RA ottenuta
in (3.16) si ha:
dαEC − sEA
dαRC
sEA + r− pEA − rEA = 0
⇔ dαEC (sEA + r) − sdαEARC − pEA (sEA + r) − rEA (sEA + r) = 0
⇔ rdαEC + sdαECEA − sdαRCEA − EA (p + r) (r + sEA) = 0
⇔ rdαEC + sdαECEA − sdαRCEA − rEA (p + r) − sE2A (p + r) = 0
⇔ rdαEC + [(sdαEC − sdαRC − r (p + r)] EA − s(
p + r)E2A = 0
dunque abbiamo un’equazione di secondo grado in EA. Una sola
delle due soluzioni e positiva e quindi solo questa soluzione ha un
significato dal punto di vista biologico. L’espressione di questa
soluzione e data da:
EA =
√
4d (p + r) rsαEC + [r (p + r) + dsα (RC − EC)]2 − r (p + r) + dsα (RC − EC)
2 (p + r) s
Quindi, in conclusione abbiamo ottenuto un sistema di due equazioni
differenziali:dR
dt= sRAEA − δR
edE
dt= pEA − δE
91
con
RA =dαRC
sEA + r
EA =
√
4d (p + r) rsαEC + [r (p + r) + dsα (RC − EC)]2 − r (p + r) + dsα (RC − EC)
2 (p + r) s
EC =AE
dc
+ R + E
RC =AR
dc
+ R + E
dove R ed E sono le densita totali delle cellule TR e TE, A e la
densita totale dei siti di coniugazione delle APC (che assumiamo
essere costante), c e il tasso di coniugazione, d e il tasso di disso-
ciazione, δ e il tasso di morte, s e il tasso di soppressione ed r e il
tasso di conversione allo stato di riposo di una cellula T attivata.
3.2.2 Analisi del modello
Il piano delle fasi di questo modello presenta, al piu, 4 stati stazionari,
di cui due stabili, si veda la Figura 3.3. Si vede immediatamente
che un primo stato stazionario e quello banale, cioe (0,0), infatti:
E = 0 ⇒ EC = 0
R = 0 ⇒ RC = 0
RC = 0 ⇒ RA = 0
RC = 0 ed EC = 0 ⇒ EA = −r(p + r) − r(p + r)
2(p + r)s= 0
e dunque dRdt
= 0 e dEdt
= 0. Lo stato (0,0) corrisponde al-
l’estinzione delle cellule TR e TE ed e instabile. Altri due stati
92
Figura 3.2: Nel modello sono stati usati i seguenti valori dei parametri: p=2
giorni−1, r=0.3 giorni−1, d=6 giorni−1, c=0.06 cdu−1giorni−1, δ=0.02 giorni−1,
α=1 e s=0.07 cdu−1giorni−1, cdu=unita di densita di cellule
Figura 3.3: Nel modello sono stati usati i seguenti valori dei parametri: p=2
giorni−1, r=0.3 giorni−1,d=6 giorni−1,, c=0.06 cdu−1giorni−1,δ=0.02 giorni−1,
α = 1, s=0.07 cdu−1giorni−1; cdu=unita di densita di cellule
93
stazionari sono dati da un punto sella instabile in cui TR e TE
coesistono (R3, E3) ed uno stato stabile di coesistenza di TR e
TE (R2, E2). Infine l’ultimo stato stabile in cui le cellule TR sono
eliminate per competizione dalle cellule TE e (0, E1). Interpretia-
mo la coesistenza stabile di cellule TR e TE come autotolleranza
e l’eliminazione competitiva delle cellule TR da parte delle cellule
TE come autoimmunita. L’esistenza di questi stati stazionari nel
piano delle fasi e controllata dai relativi valori dei parametri che
determinano la crescita della popolazione di TR e la crescita della
popolazione di TE. Se la crescita netta della popolazione delle TR
e relativamente alta rispetto a quella delle TE si arriva ad una
stabilita globale dello stato di autotolleranza. Invece una crescita
relativamente bassa porta ad una scomparsa dello stato di auto-
tolleranza e ad una stabilita globale dello stato di autoimmunita.
Un importante parametro di controllo e la densita delle APC, cioe
A. Nella Figura 3.2 e rappresentato un tipico diagramma di bi-
forcazione della densita totale di TR e TE(R + E) in funzione del
valore di A. Densita troppo basse di APC non riescono a sostenere
la popolazione delle cellule T. Lo stato (0,0) e globalmente sta-
bile, mentre lo stato (0, E1) e instabile e non ha significato fisico
in quanto E1 < 0. In seguito ad una biforcazione transcritica che
coinvolge questi due stati, lo stato (0, E1) diventa stabile ed in-
oltre acquista significato fisico poiche (E1 ≥ 0). Per un intervallo
di valori relativamente bassi di A, solo le cellule TE possono essere
sostenute nella popolazione. Per valori piu alti di A, a seguito di
una biforcazione a nodo sella, che conduce alla formazione di una
sella instabile (R3, E3) e dello stato stabile (R2, E2), il sistema
diventa ’bistabile’, cosı che, a seconda delle condizioni iniziali,
possono essere raggiunti o l’autoimmunita o gli stati di tolleranza.
Per valori ancora piu alti di A c’e una biforcazione transcritica che
coinvolge la sella instabile (R3, E3) e lo stato di esclusione com-
petitiva (0, E1). Quest’ultimo stato diventa instabile e lo stato
di coesistenza prima instabile diventa stabile, ma senza significa-
to fisico perche R3 e ora negativo. Come conseguenza di questa
94
biforcazione, lo stato di coesistenza di cellule TR e TE (R2, E2)
diventa il solo stato stabile con significato fisico. Notiamo, infine,
che al crescere di A, la popolazione E+R nello stato stazionario di
coesistenza tende asintoticamente ad un valore costante. Questo
significa che la soppressione richiede una presenza minimale di
cellule TR.
3.3 Tolleranza tramite la regolazione
delle soglie di attivazione
3.3.1 Derivazione del modello
L’attivazione, la proliferazione e la sopravvivenza dei linfociti T
richiedono continue interazioni dei loro recettori (TCR) con i pep-
tidi leganti sulla membrana delle APC.
Il diagramma in figura 3.4A puo essere tradotto nelle seguenti due
equazioni differenziali ed un’equazione di conservazione:
dTF
dt= (1 − α)dC − cTF AF − δTF + 2dαC
= (1 + α)dC − cTF AF − δTF
dC
dt= cTF AF − dC
A = AF + C
dove le quantita utilizzate hanno i seguenti significati:
TF densita delle cellule T libere
AF densita delle APC libere
A densita totale delle APC
C densita delle cellule coniugate
c tasso costante di formazione dei coniugati
d tasso costante di dissociazione dei coniugati
δ tasso costante di morte delle cellule libere
α probabilita che una cellula T sia attivata
95
Figura 3.4:
Siamo interessati a studiare la variazione della densita totale delle
cellule T nel tempo. La ragione di questo e soprattutto pratica,
in quanto sperimentalmente e molto piu complicato contare sepa-
ratamente cellule T libere e cellule T coniugate, piuttosto che
contare cellule T miste (sia coniugate che libere).
Indichiamo dunque con T la densita totale delle cellule T nel
tempo. Avremo:
T = TF + C.
Prendendo le derivate rispetto al tempo di entrambi i membri
otteniamo:
dT
dt=
dTF
dt+
dC
dt= dC + αdC − cTF AF − δTF + cTF AF − dC
= αdC − δTF = dαC − δ(T − C).
Assumendo che i coniugati siano in stato quasi stazionario, abbia-
96
mo:dC
dt= cTF AF − dC = 0.
Sostituendo TF e AF con le loro espressioni in termini di A,T e C
otteniamo un’equazione del secondo ordine:
c(T − C)(A − C) − dC = 0
Risolvendola otteniamo due soluzioni di cui scegliamo quella piu
piccola in quanto l’altra soluzione verrebbe ad essere maggiore di
T e questo non e possibile.
c(T − C)(A − C) − dC = 0 ⇔ (cT − cC)(A − C) − dC = 0
⇔ cTA − cTC − cCA + cC2 − dC = 0
cioe
cC2 − (cT + cA + d)C + cTA = 0.
Dunque la soluzione che ci interessa e data da:
C =c(T + A) + d −
√
−4ATc2 + (c(T + A) + d)2
2c(3.17)
Quindi abbiamo ottenuto un’equazione differenziale
dT
dt= −dαC − δ(T − C) (3.18)
dove T e la densita delle cellule T, e C e la densita dei coniugati
nello stato quasi stazionario ed e data dalla (3.17).
Secondo l’ipotesi della regolazione della soglia di attivazione, i
continui segnali da parte dei TCR dovrebbero condurre ad un
adattamento del meccanismo di trasduzione dei segnali. Per in-
serire questa caratteristica nel modello, e necessario definire la
probabilita α di coniugazione produttiva in funzione dello stato
del meccanismo di segnalazione dei linfociti coniugati. Questo
meccanismo coinvolge due enzimi: la chinasi e la fosfatasi. I lin-
fociti, dopo la coniugazione, saranno attivati se l’attivita della
chinasi e piu alta di quella della fosfatasi.
97
La dinamica delle attivita di questi enzimi puo essere descritta
attraverso due equazioni differenziali:
dK
dt= rk(K0(1 + σ) − K),
dP
dt= rp(P0(1 + σ) − P ), (3.19)
dove
K e l’attivita della chinasi,
P e l’attivita della fosfatasi,
rk e il tasso di turnover della chinasi,
rp e il tasso di turnover della fosfatasi,
K0 e l’attivita basale della chinasi nello stato stazionario,
P0 e l’attivita basale della fosfatasi nello stato stazioanario,
σ e l’entita dello stimolo ai tassi di produzione, che assume il valore
0 se la cellula e libera e σ se e coniugata.
Assumiamo che il tasso di turnover della chinasi sia maggiore di
quello della fosfatasi (rk > rp) e che, per qualsiasi stimolo, l’at-
tivita nello stato stazionario della fosfatasi sia maggiore di quella
della chinasi (P0 > K0). Queste condizioni servono ad assicurare
che il meccanismo di segnalazione abbia proprieta adattive, cioe
che si accenda temporaneamente e si spenga alla fine se lo stimolo
persiste.
Abbiamo bisogno di due ulteriori approssimazioni. Innanzitutto
assumiamo che il turnover dell’attivita della chinasi e molto veloce
se paragonato con il tasso di dissociazione dei coniugati (rk >> d)
cosı come col tasso di turnover dell’attivita della fosfatasi (rk >>
rp). Sotto queste ipotesi, l’attivita della chinasi e in stato quasi
stazionario e puo essere approssimata o da K = K0(1 + σ) o da
K = K0, rispettivamente quando il linfocita T e coniugato con
una APC, dando luogo ad uno stimolo σ o quando il linfocita e
libero, non producendo alcuno stimolo. Assumiamo infine che per
ogni densita di cellule T e APC, i processi di coniugazione e disso-
ciazione siano quasi in equilibrio. Questo implica la stazionarieta
delle funzioni densita di probabilita delle popolazioni di cellule T
98
coniugate e libere relative all’attivita della fosfatasi.
Queste due ulteriori assunzioni sono fatte essenzialmente per sem-
plificare il modello da un punto di vista matematico, ma hanno an-
che un riscontro biologico quando la popolazione diventa costante.
Le funzioni densita di probabilita delle cellule T coniugate e libere,
sono indicate rispettivamente con ρC e ρF . ρC(P )dP rappresenta
la frazione di coniugati la cui attivita della fosfatasi e compresa
tra P e P + dP , analogo e il significato di ρF . Le dinamiche di ρC
e ρF sono descritte dal seguente sistema di equazioni differenziali
alle derivate parziali del primo ordine:
∂ρC
∂t+
∂
∂P(PCρC) = −dρC + cEρF ,
∂ρF
∂t+
∂
∂P(PF ρF ) = dρC − cEρF ,
dove PC ed PF sono le funzioni che governano la dinamica del-
la fosfatasi nei regimi coniugato e libero, cioe il membro destro
dell’equazione (3.19) con σ > 0 e σ = 0 rispettivamente:
PC = rP (P0(1 + σ) − P ), (3.20)
PF = rF (P0 − P ), (3.21)
cE e d sono rispettivamente il tasso di passaggio dallo stato libero
a quello coniugato (cE = cAF = c(A−C)) ed il tasso di passaggio
dallo stato coniugato a quello libero. Notiamo che cE dipende
da T tramite C. Cerchiamo le soluzioni nello stato stazionario,
dunque poniamo:∂ρC
∂t= 0,
∂ρF
∂t= 0
e otteniamo il seguente sistema di equazioni differenziali:
∂
∂P(PCρC) = −dρC + cEρF ,
∂
∂P(PF ρF ) = dρC − cEρF , (3.22)
99
notando che i membri destri di queste ultime due equazioni sono
uno l’opposto dell’altro, possiamo sommarli ottenendo la seguente
equazione:∂
∂P(PCρC + PF ρF ) = 0
che integrata diventa:
PCρC + PF ρF = K.
Siccome ρC e ρF sono funzioni densita di probabilita che tendono
a zero per P → ∞ deve essere K = 0, che da luogo alla seguente
equazione:
PF ρF = −PCρC .
Risolvendo questa equazione rispetto a ρF abbiamo:
ρF =−PCρC
PF
,
e sostituendola nell’equazione (3.22) otteniamo:
∂
∂P(−PCρC) = dρC + cE
PCρC
PF
,
cioe∂ρC
∂P= (− d
PC
− cE
PF
− ∂PC
PC∂P)ρC .
La soluzione di questa equazione e data da:
ρC = Ne∫
(− dPC
−cEPF
−
∂PC∂PPC
)dP. (3.23)
Utilizzando le espressioni di PF e PC date nelle (3.20) e (3.21) si
ha:∫
− d
PC
dP = log |P0(1 + σ) − P |d
rP ,
−∫ cE
PF
dP = log |P0 − P |cErF ,
e∫
−∂PC
∂P
1
PC
dP = log |P0(1 + σ) − P |−1 .
100
Sostituendo questi integrali nell’equazione (3.23) otteniamo:
ρC =
N [(P0(1 + σ) − P )d
rP−1
(P − P0)cErP ], P0 ≤ P ≤ P0(1 + σ)
0 altrimenti
La soluzione e divisa in due pezzi perche nello stato stazionario i valori di P
sono sempre contenuti nell’intervallo [P0, P0(1 + σ)], i cui estremi sono i va-
lori di P nello stato stazionario ricavati in accordo con l’equazione (3.19)
rispettivamente nei casi in cui le cellule T sono sempre libere o sempre
coniugate.
La frazione α di cellule T che e attivata e si divide quando termina la coniu-
gazione e pari alla frazione di cellule T che nell’istante di separazione dalle
APC ha K > P . Sara dunque:
α =∫ K0(1+σ)
P0
ρCdP.
Sostituendo questo valore di α, che e quindi una funzione di T, nell’equazione
(3.18) definiamo completamente la dinamica della popolazione di cellule T
con soglia di attivazione regolabile.
3.3.2 Analisi del modello
Se il valore dell’attivita della fosfatasi all’inizio della coniugazione e P ≥K0(1 + σ) allora questo e sufficiente (sebbene non necessario) a prevenire
l’attivazione delle cellule T. La soglia di attivazione e modulata dalla storia
degli stimoli alle cellule T, che determina il valore dell’attivita della fosfa-
tasi ad ogni istante. Dal punto di vista della biologia della popolazione delle
cellule T, in questo modello, la soglia di attivazione e dipendente dalla fre-
quenza delle interazioni delle cellule T con le APC (cE), cioe dalla frequenza
degli stimoli alle singole cellule T (figura 3.5). Se le cellule T fossero sempre
libere, la funzione densita di probabilita della fosfatasi corrisponderebbe ad
una delta di Dirac centrata in P0. Se tutti i linfociti fossero permanentemente
coniugati con le APC, con lo stesso stimolo σ, allora la funzione densita di
probabilia sarebbe una delta di Dirac centrata in P0(1 + σ) (Figura 3.6).
Dato che le cellule T si alternano tra periodi di liberta e di coniugazione,
la funzione densita di probabilita stazionaria dei linfociti e non nulla per
101
Figura 3.5: cinetica della fosfatasi (linea nera) e della chinasi (linea grigia). La
probabilita che l’attivita della fosfatasi P superi l’attivita della chinasi all’istante
di deconiugazione aumenta con la frequenza degli incontri.
Figura 3.6: Funzioni densita di probabilita stazionaria dell’attivita P della fos-
fatasi nella popolazione di cellule T coniugate alle densita indicate di cellule T
(P0 = 60, σ = 1000).
102
valori di P nell’intervallo [P0, P0(1 + σ)]. La frequenza delle interazioni con
le APC per ogni cellula T decresce man mano che la densita delle cellule
T aumenta a causa della competizione. Questo implica che, all’aumentare
della densita delle cellule T, la mediana della funzione densita di probabilita
relativa all’attivita della fosfatasi nelle cellule T coniugate (ρC(P )) si avvi-
cina al valore P0; in modo reciproco se la densita delle cellule T decresce, la
mediana della funzione densita di probabilita si avvicina a P0(1 +σ) (Figura
3.7). Questo significa che la frazione α di cellule che passa dalla coniugazione
all’attivazione aumenta con la densita delle cellule T. Cio definisce un ciclo di
retroazione positivo, tale che aumenti (diminuzioni) della densita delle cellule
T danno luogo a valori medi piu alti (piu bassi) di α, il che porta ad un ulte-
riore incremento (diminuzione) della densita delle cellule T. Questo ciclo di
retroazione positivo previsto dal presente modello e l’opposto di un controllo
della popolazione retroattivo dipendente dalla densita . In questo modello,
questo ciclo interagisce con il ciclo di retroazione negativo dovuto all’effetto
della competizione sulla densita dei coniugati. Per questo motivo il modello
ha due possibili stati stazionari: uno in cui la popolazione di linfociti e estinta
e uno in cui e limitata dalla disponibilita delle APC e composta prevalen-
temente di linfociti non anergici (Figura 3.7). Il diagramma di biforcazione
Figura 3.7: Diagramma di fase del modello indicante il tasso di morte (linea
tratteggiata) ed i tassi di crescita (linee continue) i per valori indicati del parametro
di controllo P0
K0= 60.
103
(Figura 3.8) della popolazione nello stato stazionario in funzione del rapportoP0
K0
, che e una misura dell’adattabilita del meccanismo di segnalazione, indica
che il contributo principale della presenza di soglie regolabili, per valori in-
termedi di P0
K0
, e quello di cambiare la grandezza dei bacini di attrazione dei
due stati stabili spostando la posizione del punto di equilibrio instabile; man
Figura 3.8: Diagramma di biforcazione ottenuto variando il parametro di controlloP0
K0che determina la capacita di adattamento del meccanismo di segnalazione; gli
stati stazionari stabili e instabili sono indicati rispettivamente con linee continue
e tratteggiate.
mano che questo parametro di controllo fa aumentare la dimensione della
popolazione nel punto di equilibrio instabile e diminuire quella nello stato
stabile limitato dalle APC, c’e una biforcazione a nodo sella per un valore
critico di questo parametro nel quale i due punti si fondono in uno solo. Al
di la di questo valore critico tali punti scompaiono. In questo modello l’unico
modo affinche la popolazione di cellule T autoreattiva persista e la compe-
tizione dovuta ad un numero limitato di APC; se predomina l’effetto della
regolazione delle soglie di attivazione, la popolazione si estingue.
3.4 Conclusioni
Abbiamo mostrato due modelli matematici in cui l’autotolleranza, mediante
il controllo dell’espansione della popolazione di cellule T autoreattive, e ot-
104
tenuta attraverso due meccanismi: la soppressione da parte di linfociti T
regolatori e la regolazione delle soglie di attivazione. Nel secondo model-
lo l’anergia proliferativa decresce con la densita delle cellule T relativa alle
APC. Il modello puo quindi spiegare il controllo dell’espansione delle cellule
T autoreattive, ma non la loro permanenza. Nel primo modello l’esistenza
di uno stato stazionario di tolleranza in cui le cellule TR e TE coesistono e
compatibile col fatto che da ogni individuo autotollerante possono essere es-
tratte cellule T autoreattive che causano autoimmunita se iniettate in altri
individui. In contrasto con il secondo modello questo sarebbe vero anche in
assenza di un afflusso continuo di cellule dal timo. Si puo dedurre quindi
che modelli che spieghino l’equilibrio tra proliferazione di cellule e morte,
in assenza di sorgenti esterne, devono includere qualche forma di soppres-
sione dipendente dalla densita delle cellule T. Il primo modello mostra che
la persistenza e la crescita della popolazione delle cellule TR e dipendente
dalle cellule TE che controllano e questa dipendenza aumenta l’efficienza del-
la funzione soppressiva. Concludiamo, facendo alcune considerazioni piu in
generale sul problema della regolazione dell’autotolleranza ed il problema cor-
relato dell’adattamento del sistema immunitario a stimoli cronici di antigeni.
Possiamo porci diverse domande:
∗ La presenza di soglie di attivazione regolabili e la soppressione
attraverso cellule T regolatrici non sono due meccanismi che
si escludono a vicenda. Quali proprieta dinamiche dobbiamo
aspettarci se l’anergia delle cellule T e indotta e mantenuta
sia dall’interazione con le APC che dall’interazione con altre
cellule T anergiche?
Si supponga che la frazione α di cellule TE e TR attivate at-
traverso la coniugazione con le APC dipenda dalla frequenza
delle coniugazioni e dalla regolazione. Consideriamo anche
la frequenza delle interazioni tra le cellule T e le APC negli
stati stazionari del sistema (R,E) con α fissato. Lo spazio
delle fasi rimarra inalterato se i parametri sono tali che le
coniugazioni con le APC negli stati stazionari stabili siano
abbastanza rare che la regolazione sia insignificante, cioe α
sia costante. In queste condizioni ci si aspetta che l’estinzione
105
sia delle cellule TR che delle cellule TE sis stabile. Invece se
i parametri sono tali che le interazioni con le APC siano ab-
bastanza frequenti da ridurre le frazioni di cellule TE e TR
coniugate che diventano attivate, allora gli stati stazionari
possono scomparire. Comunque queste complicazioni aggiun-
tive richiedono dei modelli appropriati.
∗ Il sistema immunitario si adatta agli stimoli continui di anti-
geni. Di solito, le popolazioni di cellule T stimolate cronica-
mente diventano non rispondenti quando sono esaminate nel
loro complesso. La domanda e: quanto l’adattamento, ottenu-
to come acquisizione di mancanza di risposta complessiva da
parte delle cellule T, avviene al livello del meccanismo di se-
gnalazione delle singole cellule o al livello della popolazione?
La dipendenza dalla densita di cellule T della mancanza di
risposta prevista rispettivamente dal modello di regolazione
e dal modello TAT e una l’opposta dell’altra. La soppres-
sione aumenta all’aumentare della densita di cellule TR per
APC, e la risposta globale delle cellule T (cioe la risposta di
un miscuglio di cellule TR e TE) dovrebbe diminuire di con-
seguenza. Questo dovrebbe consentire di valutare quale sia
il meccanismo di adattamento dominante in un dato setting
sperimentale nel quale la capacita complessiva di risposta in
funzione della densita di cellule T per APC sia misurabile.
∗ La questione piu importante riguardo ad un qualsiasi mec-
canismo di autotolleranza e la seguente: come possono es-
sere date risposte immunitarie efficienti agli agenti patogeni
esterni, mentre il sistema immunitario resta fortemente auto-
tollerante?
La risposta delle singole cellule agli antigeni esterni dovrebbe
essere facilitata e piu sostenuta se l’aumento dello stimolo per
APC (σ) non e concomitante con un forte aumento della APC
stimolatrici. Quindi, un aumento delle APC, che e spesso as-
106
sociato alle infezioni, aumentera la frequenza degli eventi di
coniugazione e dunque facilitera l’adattamento. Questa facili-
tazione dell’adattamento puo essere controbilanciata dal fatto
che una volta che le cellule T sono attivate, le loro soglie di
attivazione si abbassano e probabilmente diventano piu re-
sistenti alla regolazione. Per quanto riguarda la tolleranza
mediata da cellule T regolatrici, uno degli aspetti riguardan-
ti la questione posta e che gli antigeni esterni sono sempre
presenti insieme agli autoantigeni e quindi le cellule T au-
toreattive potrebbero prevenire la risposta immunitaria. La
risposta immunitaria puo essere efficientemente suscitata per
quegli antigeni esterni che rimuovono autoantigeni dalle APC
e/o che si presentano in concomitanza con un aumento delle
APC. Un’altra soluzione, suggerita ad esempio dal diagramma
di biforcazione in figura 3.2, e quella che le cellule T regolatrici
sono fortemente indirizzate verso autoantigeni. Consideriamo
una situazione in cui la maggior parte delle cellule T in circo-
lazione incontra un numero troppo basso di APC per sostenere
le cellule T regolatrici. Queste cellule T saranno solo cellule
TE ma non dovrebbero causare autoimmunita perche la loro
espansione e limitata dal fatto che le APC disponibili sono
troppo poche. Un numero piu basso di cellule T riconoscereb-
bero abbastanza APC da espandersi a numeri molto elevati, e
quindi da causare autoimmunita. In questo caso, comunque,
la densita della APC e sufficiente a sostenere le cellule TR, e
dunque l’espansione clonale e controllata. Sebbene in questo
regime di bistabilita i cloni autoreattivi possono raggiungere
o l’autoimmunita o la tolleranza, ci sara una forte tolleran-
za verso questi antigeni se il timo esporta abbastanza cellule
TR da assicurare che ogni popolazione (R,E) si trovera nel
bacino di attrazione dello stato di coesistenza di cellule TR e
TE. In questa situazione il modello predice che la varieta di
cellule T puo essere divisa in due insiemi di cloni di linfociti:
un insieme contenente solo cellule TE ed un altro contenente
107
sia cellule TE che TR. Nel primo insieme la quantita dei cloni
e determinata solo dalla disponibilita delle APC, mentre nel
secondo insieme dalla soppressione mediata dalle cellule T re-
golatrici.
In queste condizioni la risposta immunitaria, guidata princi-
palmente da un aumento delle APC, dovrebbe essere dovu-
ta al primo insieme, mentre l’autotollerazna dovrebbe essere
assicurata dal secondo insieme. La plausibilita di questo sce-
nario dipende criticamente dalla reattivita incrociata dei TCR
e dalla copresenza di piu peptidi sulle stesse APC: se un anti-
gene esterno provochi una risposta immunitaria dipendera da
quanti cloni del primo e del secondo insieme riconosceranno
peptidi sulle stesse APC.
108
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