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Sistemi di riferimento terrestri 1. Introduzione Come si è già osservato nella trattazione delle reti piane, nel rilevamento di una rete topografica o geodetica l'insieme di misure di angoli e distanze eseguite, anche quando sono sufficienti per fissare rigidamente la struttura geometrica della rete, non bastano tuttavia per stabilire le posizioni dei vertici; in effetti, la rete può essere sottoposta a traslazioni e rotazioni, che non modificano le quantità misurate. I vincoli che vengono imposti per eliminare questi gradi di libertà e fare in modo che le posizioni siano determinate in modo univoco corrispondono alla fissazione di un sistema di riferimento. Generalmente viene stabilito un sistema di riferimento locale in cui viene inserita la rete rilevata, ma è quasi sempre necessario inquadrare il rilevamento in un sistema di riferimento precedentemente definito (ad esempio quello della cartografia). Per questa operazione è in generale necessario che fra i vertici della rete siano presenti punti noti nel sistema preesistente. Come è noto, un punto nello spazio, e quindi in particolare un punto sulla superficie terrestre, è individuato da una terna di coordinate in un opportuno sistema di riferimento. Quando un tale sistema sia fissato (ad esempio, stabilendo l'origine e l'orientazione di una terna di assi ortogonali e l'unità di misura), diversi tipi di coordinate, trasformabili le une nelle altre da ben definite operazioni matematiche, possono essere utilizzati (ad esempio, coordinate cartesiane e coordinate polari); inoltre, è possibile definire trasformazioni matematiche fra coordinate relative a due sistemi di assi diversi, purché per entrambi siano note origine, orientazione e unità di misura. La determinazione di un sistema di riferimento ha invece un significato fisico e presenta aspetti delicati, per diversi ordini di motivi. In primo luogo, le direzioni di riferimento sono determinate con operazioni di misura, che contengono inevitabilmente errori, e non è detto che siano stabili nel tempo. Le incertezze che ne conseguono si riflettono evidentemente sulla precisione delle coordinate, e il dover tenere conto di una loro variabilità nel tempo comporterebbe rilevanti difficoltà pratiche. In secondo luogo, la posizione dei punti nella maggior parte dei casi viene determinata relativamente ad altri punti le cui coordinate sono supposte note. Queste operazioni di "trasporto" delle coordinate richiedono informazioni sulla geometria della superficie terrestre. Senza entrare in dettagli che saranno illustrati più avanti, basta osservare che la direzione della verticale, cioè del campo della gravità, utilizzata in tutte le misure terrestri, è variabile da punto a punto in maniera irregolare, e la conoscenza del suo andamento è essenziale per una determinazione precisa delle posizioni relative con misure terrestri. L'acquisizione di una buona conoscenza dei sistemi di riferimento richiede quindi l'uso di raffinati metodi geodetici. Ciò è tanto più vero quanto più alta è la precisione richiesta. Ai nostri giorni, facendo prevalentemente uso di tecniche che utilizzano satelliti artificiali, si punta a precisioni centimetriche, almeno nelle posizioni relative in regioni di notevole ampiezza (si pensi al territorio degli Stati Uniti, o dell'Unione Europea). Nel seguito saranno descritti gli aspetti essenziali sia dell'ambito concettuale, sia delle procedure operative necessarie per acquisire tale conoscenza. NOTA: Va osservato che, essendo le misure eseguite sulla terra, che è sottoposta alla rotazione diurna, l'accelerazione di gravità non è separabile da quella centrifuga, che è ortogonale all'asse di rotazione e proporzionale alla distanza da esso, e perciò massima all'equatore, dove ha anche la stessa direzione della gravità e verso opposto. Il modulo dell'accelerazione centrifuga all'equatore si calcola

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Sistemi di riferimento terrestri

1. Introduzione Come si è già osservato nella trattazione delle reti piane, nel rilevamento di una rete topografica o geodetica l'insieme di misure di angoli e distanze eseguite, anche quando sono sufficienti per fissare rigidamente la struttura geometrica della rete, non bastano tuttavia per stabilire le posizioni dei vertici; in effetti, la rete può essere sottoposta a traslazioni e rotazioni, che non modificano le quantità misurate. I vincoli che vengono imposti per eliminare questi gradi di libertà e fare in modo che le posizioni siano determinate in modo univoco corrispondono alla fissazione di un sistema di riferimento. Generalmente viene stabilito un sistema di riferimento locale in cui viene inserita la rete rilevata, ma è quasi sempre necessario inquadrare il rilevamento in un sistema di riferimento precedentemente definito (ad esempio quello della cartografia). Per questa operazione è in generale necessario che fra i vertici della rete siano presenti punti noti nel sistema preesistente. Come è noto, un punto nello spazio, e quindi in particolare un punto sulla superficie terrestre, è individuato da una terna di coordinate in un opportuno sistema di riferimento. Quando un tale sistema sia fissato (ad esempio, stabilendo l'origine e l'orientazione di una terna di assi ortogonali e l'unità di misura), diversi tipi di coordinate, trasformabili le une nelle altre da ben definite operazioni matematiche, possono essere utilizzati (ad esempio, coordinate cartesiane e coordinate polari); inoltre, è possibile definire trasformazioni matematiche fra coordinate relative a due sistemi di assi diversi, purché per entrambi siano note origine, orientazione e unità di misura. La determinazione di un sistema di riferimento ha invece un significato fisico e presenta aspetti delicati, per diversi ordini di motivi. In primo luogo, le direzioni di riferimento sono determinate con operazioni di misura, che contengono inevitabilmente errori, e non è detto che siano stabili nel tempo. Le incertezze che ne conseguono si riflettono evidentemente sulla precisione delle coordinate, e il dover tenere conto di una loro variabilità nel tempo comporterebbe rilevanti difficoltà pratiche. In secondo luogo, la posizione dei punti nella maggior parte dei casi viene determinata relativamente ad altri punti le cui coordinate sono supposte note. Queste operazioni di "trasporto" delle coordinate richiedono informazioni sulla geometria della superficie terrestre. Senza entrare in dettagli che saranno illustrati più avanti, basta osservare che la direzione della verticale, cioè del campo della gravità, utilizzata in tutte le misure terrestri, è variabile da punto a punto in maniera irregolare, e la conoscenza del suo andamento è essenziale per una determinazione precisa delle posizioni relative con misure terrestri. L'acquisizione di una buona conoscenza dei sistemi di riferimento richiede quindi l'uso di raffinati metodi geodetici. Ciò è tanto più vero quanto più alta è la precisione richiesta. Ai nostri giorni, facendo prevalentemente uso di tecniche che utilizzano satelliti artificiali, si punta a precisioni centimetriche, almeno nelle posizioni relative in regioni di notevole ampiezza (si pensi al territorio degli Stati Uniti, o dell'Unione Europea). Nel seguito saranno descritti gli aspetti essenziali sia dell'ambito concettuale, sia delle procedure operative necessarie per acquisire tale conoscenza. NOTA: Va osservato che, essendo le misure eseguite sulla terra, che è sottoposta alla rotazione diurna, l'accelerazione di gravità non è separabile da quella centrifuga, che è ortogonale all'asse di rotazione e proporzionale alla distanza da esso, e perciò massima all'equatore, dove ha anche la stessa direzione della gravità e verso opposto. Il modulo dell'accelerazione centrifuga all'equatore si calcola

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immediatamente dalla formula ra 2ω= , dove -15 sec1029.7 −⋅≅ω è la velocità angolare della rotazione terrestre e km6378≅r è il raggio equatoriale; risulta 22 m/sec1039.3 −⋅≅a , ovvero circa 1/300 della gravità. D'ora in poi per campo della gravità (indicato con g ) si intende il risultante della gravità e della accelerazione centrifuga. La possibilità di trattare le reti topografiche come reti piane è legata all’assunzione che, nell’area interessata al rilievo, la direzione della verticale, che è rilevabile fisicamente, si mantenga approssimativamente parallela in tutti i punti di stazione. In realtà essa varia da punto a punto, in modo irregolare in quanto dipende dalla distribuzione delle masse nel corpo della terra. In una prima approssimazione della superficie terrestre con una superficie sferica con raggio di circa 6400km e della distribuzione di massa con una a simmetria sferica, la direzione del campo di gravità varia di 1’’ in circa 30m.

fig.1 – misure sulla sfera e sul piano tangente (vedi testo)

Questo non significa però che, nei rilevamenti planimetrici, si debba tenere conto della curvatura terrestre anche in porzioni di territorio con estensioni di poche centinaia di metri. Per convincersene si consideri, su una circonferenza di raggio R=6400km (sezione della sfera terrestre con un piano passante per il centro), l’arco PP0 lungo 6.4km (fig.1), e quindi corrispondente ad un angolo al centro α di 10-3rad. L’ascissa di P rispetto ad un asse tangente alla circonferenza in P0 , con origine in P0 , è αsinRx = ; quindi la distanza della proiezione di P sull’asse dal punto P sull’asse distante esattamente km4.6=αR da P0 è mm16/)sin( 3 ≅≅− ααα RR . Ossia, fino ad una distanza di diversi km, l’estremo di un segmento lungo l’asse è sostanzialmente coincidente con la proiezione sull’asse dell’estremo di un arco di uguale lunghezza preso sulla circonferenza. Considerazioni diverse vanno fatte per un rilevamento altimetrico, per cui è ben diverso scegliere come superficie di riferimento il piano tangente piuttosto che la sfera. Infatti la loro separazione in corrispondenza del punto P è data da m32/)cos1( 2 ≅≅− αα RR , e certamente non può essere trascurata.

R

P

0P P

R

α (angolo al centro)

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2. Coordinate astronomiche

Se si lascia cadere l’assunzione del parallelismo delle direzioni della verticale in tutti i punti di stazione, si rende necessario determinare la loro orientazione. A tale scopo occorre individuare una direzione di riferimento fisicamente rilevabile da tutti i punti. Questa direzione è quella dell’asse di rotazione terrestre, e può essere rilevata osservando il moto apparente delle stelle nella volta celeste, dovuto appunto alla rotazione della terra. Le traiettorie delle stelle sono archi di circonferenza il cui centro è proprio nella direzione dell’asse di rotazione. Come è noto questa direzione è prossima a quella della stella polare (ma non esattamente coincidente). Ovviamente questa operazione può essere compiuta soltanto negli osservatori astronomici, che sul territorio nazionale sono in numero relativamente piccolo. NOTA: Affinché sia possibile definire un sistema di riferimento solidale con la terra, in cui i punti della superficie terrestre, prescindendo dalle deformazioni crostali (movimento delle placche tettoniche), hanno coordinate fisse nel tempo, occorre che la direzione di riferimento sia fissa rispetto alla terra. In realtà la posizione dei poli (punti di incontro dell’asse di rotazione con la superficie terrestre) subisce nel tempo piccole variazioni (moti dei poli) (fig.2) dell’ordine di pochi metri, con andamento approssimativamente periodico di periodo poco superiore a 400 giorni. Tuttavia esse possono essere registrate con osservazioni astronomiche, ed è quindi possibile ricondursi ad una direzione fissa (polo convenzionale).

fig.2 - moto del polo (dal 1962 al 1977)

L’angolo fra la verticale in un punto e la direzione dell’asse di rotazione convenzionale (verso il polo nord) è detto colatitudine astronomica del punto. Il suo complementare Φ (ossia l’angolo fra la verticale e il piano equatoriale) è detto latitudine astronomica. I valori della latitudine variano fra –900

(polo sud) e +900 (polo nord). In un punto sulla superficie terrestre la verticale e la direzione del polo convenzionale definiscono un piano detto piano del meridiano.

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Per determinare completamente la direzione della verticale, è necessario, oltre all’angolo Φ , anche l’angolo Λ fra il piano del meridiano e un piano riferimento, convenzionalmente fissato dal piano del meridiano di Greenwich. Tale angolo è detto longitudine astronomica e varia fra –1800 e 1800 (fig.3). La misura della longitudine di un punto è più complessa di quella della latitudine. Essa infatti è data dalla differenza fra gli angoli che nello stesso istante la direzione dal polo ad una determinata stella nella volta celeste fa da un lato con la direzione del meridiano passante per il punto e dall’altro con la direzione del meridiano di Greenwich. L’ora del passaggio delle stelle per il meridiano di Greenwich è ben nota e registrata in appositi cataloghi. Quindi l’osservatore che si trova nel punto di cui si vuole determinare la longitudine deve conoscere esattamente l’ora di Greenwich nell’istante in cui compie l’osservazione. Ad esempio, si sa che ad una certa ora di Greenwich t una certa stella S passa per il meridiano di Greenwich; in quello stesso istante, in un certo punto P della superficie terrestre si osserva che l’angolo fra la direzione dal polo alla stella S e la direzione del meridiano locale ha valore Λ . Allora la longitudine di P è proprio Λ . Oggi, nell’epoca degli strumenti precisi e delle comunicazioni istantanee, non c’è nessuna difficoltà a conoscere l’ora di Greenwich in qualsiasi luogo, ma al tempo delle esplorazioni transoceaniche la soluzione del problema, con la costruzione di orologi che si mantenessero precisi per settimane anche nelle condizioni di instabilità dovute al mare agitato, richiese molti decenni. Bisogna tenere presente che le stelle nel loro moto apparente percorrono 150 in un’ora, e quindi un errore di 1 minuto nell’orologio corrisponde ad ¼ di grado di longitudine, ossia, alle nostre latitudini, circa 20km.

fig.3 – latitudine e longitudine

3. Geoide ed ellissoide Latitudine e longitudine astronomiche determinano completamente la direzione della verticale in un punto della superficie terrestre. Tuttavia, quello che interessa davvero è determinare la posizione del punto, e la relazione fra direzione della verticale e posizione del punto non è esprimibile in modo semplice, poiché, come si è già detto, la direzione della verticale (ossia del campo della gravità) varia irregolarmente sulla superficie terrestre a causa dell’irregolarità nella distribuzione delle masse.

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Per ottenere una determinazione accurata della posizione a partire da misure eseguite sulla superficie terrestre è necessario introdurre una superficie di riferimento esprimibile matematicamente in modo semplice, in maniera tale che possano essere rese esplicite le relazioni geometriche fra i punti e possano essere eseguiti i calcoli.

fig.4 – geoide ed ellissoide

Un primo passo in questa direzione consiste nell’individuare un modello di forma della terra che prescinda dalle irregolarità dovute all’aggregazione di masse rocciose sulla superficie delle terre emerse, ma sia ancora fortemente ancorato al modello fisico legato al campo di gravità. Si sceglie una superficie equipotenziale del campo della gravità (che è in ogni punto ortogonale alla verticale) che, nelle porzioni di superficie terrestre ricoperte dagli oceani, è approssimativamente coincidente con la loro superficie, mentre, in corrispondenza dei continenti, è molto più regolare della superficie fisica della terra, nonostante le masse delle montagne influiscano sul suo andamento, e può essere separata da essa anche di qualche km. Tale superficie è detta geoide, ed è ancora irregolare, proprio per il fatto che è in ogni suo punto ortogonale alla verticale, che varia irregolarmente (fig.4). NOTA: In realtà, la superficie degli oceani non è esattamente equipotenziale, anche mediando rispetto a variazioni rapide nel tempo (moti ondosi, maree), poiché sono presenti altri campi di forze (legati a rotazione terrestre, situazione climatica globale, temperatura) che determinano deviazioni stazionarie, evidenziate, ad esempio, dalla presenza di correnti oceaniche. Queste deviazioni, tuttavia, sono relativamente piccole (dell’ordine, al massimo, di pochi metri), anche se oggi, con l’affinamento delle tecniche di misura, possono essere rilevate, e acquisiscono notevole importanza scientifica, ad esempio, in relazione agli studi sul cambiamento globale del clima. La superficie del geoide è ben approssimabile con un ellissoide biassiale, che è una superficie a simmetria rotazionale, generata dalla rotazione di un ellisse intorno al suo asse minore; quindi le sue sezioni con piani contenenti l’asse minore sono ellissi, mentre le sezioni con piani perpendicolari all’asse minore sono circonferenze. Innanzitutto, scegliendo opportunamente i parametri geometrici dell'ellissoide (semiasse maggiore a e schiacciamento abaf /)( −= , dove b è il semiasse minore) e definendo opportunamente la sua localizzazione (ad esempio, con il centro di simmetria coincidente con il centro di massa della terra e l'asse di simmetria coincidente con l'asse di rotazione della terra), si

normale all’ellissoide

verticale

geoide

ellissoide

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può fare in modo che lo scostamento fra ellissoide e geoide (detto ondulazione del geoide) non superi qualche decina di metri; inoltre la superficie del geoide è abbastanza regolare, tanto che la direzione della verticale in un punto del geoide, che è ortogonale al geoide stesso, si discosta dalla normale all'ellissoide per quel punto di un angolo (detto deviazione della verticale) che in generale non supera i 20 arcsec ( rad10 4−≅ ), corrispondente ad una variazione di ondulazione del geoide di circa 1 m ogni 10 km. In fig.5 sono rappresentate le curve di livello dell’ondulazione del geoide sul territorio italiano.

fig.5 – ondulazione del geoide sul territorio italiano (modello ITALGEO95)

Ad un ellissoide biassiale può essere associato un sistema di assi cartesiani con l’origine nel centro di simmetria, l’asse z coincidente con l’asse di simmetria, l’asse x orientato in una direzione scelta convenzionalmente nel piano ortogonale all’asse di simmetria e passante per l’origine (a causa della simmetria rotazionale, non esiste una direzione privilegiata in questo piano) (fig.3). In questo sistema di assi, l’equazione dell’ellissoide biassiale è

12

2

2

22

=++

bz

ayx (3.1)

Dato un punto P nello spazio, la sua posizione rispetto all’ellissoide può essere individuata dalla direzione della normale all’ellissoide passante per P e dall’altezza h di P sull’ellissoide, misurata lungo la normale ( h>0 per punti esterni all’ellissoide). (si veda ancora fig.3). La direzione della normale è individuata dagli angoli ϕ con il piano xy (latitudine geodetica) e λ della sua proiezione sul piano xy con il semiasse x positivo (longitudine geodetica).

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Sull’ellissoide vengono individuati i meridiani e i paralleli, che sono rispettivamente archi di curva con uguale longitudine e con uguale latitudine. I meridiani sono intersezioni dell’ellissoide con semipiani delimitati dall’asse di simmetria, e sono semi-ellissi; i paralleli sono intersezioni dell’ellissoide con piani perpendicolari all’asse di simmetria, e sono circonferenze. Se l’ellissoide è posizionato rispetto al geoide in modo che le due superfici siano prossime, con l’asse di simmetria parallelo all’asse di rotazione terrestre e l’asse x diretto verso il meridiano di Greenwich, gli angoli ΛΦ, che individuano la direzione di g (latitudine e longitudine astronomica), sono molto vicini agli angoli λϕ , . La relazione fra h,,λϕ e le coordinate cartesiane di P nel sistema di assi sopra definito è

( )( )( ) ϕϕ

λϕϕλϕϕ

sin)1)((sincos)(coscos)(

2 heNzhNyhNx

+−=+=+=

(3.2)

dove 2222 /)( abae −= ; 2/122 )sin1()( −−= ϕϕ eaN è la lunghezza del segmento lungo la normale all’ellissoide per P congiungente P con l’asse di simmetria (fig.6), e conseguentemente ϕϕ cos)(N è il raggio del parallelo. Si noti che in un ellissoide a simmetria rotazionale la normale in qualsiasi punto sta in un piano contenente l’asse di simmetria, ma il suo punto di incontro con l’asse non è nel centro di simmetria (con l’eccezione delle normali per i poli e per i punti del piano equatoriale).

fig.6 – normale all’ellissoide e asse di simmetria

L’inversione della (3.2) è piuttosto laboriosa, ma è possibile, date le coordinate x,y,z di un punto P, determinare i corrispondenti h,,λϕ . La posizione di P è univocamente determinata anche dagli angoli ΛΦ, che individuano la direzione della verticale per P e dall’altezza H di P sul geoide (normalmente detta quota sul livello del mare; il suo significato e la sua misurazione saranno discusse più avanti). Tuttavia, a causa dell’irregolarità della forma del geoide, la conoscenza di H,,ΛΦ non consente di esprimere la posizione di P mediante coordinate cartesiane in un qualche sistema di assi. In sostanza, le coordinate h,,λϕ (dette coordinate ellissoidiche o geodetiche) non sono fisicamente misurabili in via diretta, ma, essendo in corrispondenza biunivoca con le coordinate cartesiane (con l’eccezione dei punti lungo l’asse di simmetria, per cui λ non è definita), sono adatte a definire in modo preciso la posizione relativa di punti diversi, e nello stesso tempo, a differenza delle coordinate cartesiane, consentono di visualizzare facilmente la collocazione di un punto sulla superficie terrestre.

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Detta N l’ondulazione del geoide, è approssimativamente valida la relazione NHh += . La relazione non è esatta, dato che la direzione della verticale, lungo la quale si misura H , non coincide esattamente con la direzione della normale all’ellissoide, lungo cui si misurano h e N (fig.7). Tuttavia, l’errore che si commette è in ogni caso trascurabile.

fig.7 – altezza sul geoide e altezza sull’ellissoide

4. Ellissoidi e sistemi di riferimento

Come si è visto, le posizioni dei punti nello spazio, e quindi in particolare sulla superficie terrestre, e le loro relazioni geometriche (distanze, direzioni congiungenti) sono determinate quando è stabilita la collocazione dei punti rispetto ad un ellissoide. E’ quindi necessario, per stabilire un sistema di riferimento legato alla terra, definire non soltanto i parametri geometrici dell’ellissoide, ma anche la sua localizzazione rispetto al geoide, che deve essere fissata facendo riferimento a punti e direzioni fisicamente determinabili. Quindi, la situazione esemplificata nel paragrafo precedente (centro di simmetria dell’ellissoide coincidente con il centro di massa della terra) non è realizzabile eseguendo soltanto misure sulla superficie terrestre, poiché le posizioni dei punti sulla superficie terrestre rispetto al centro di massa non sono fisicamente misurabili, ed è necessario adottare una scelta diversa. La procedura usualmente adottata è la seguente:

- si fissa un punto P di riferimento sul territorio (detto punto di emanazione), di cui sono note latitudine e longitudine astronomiche e quota sul livello del mare;

- si sceglie un punto Q sull'ellissoide la cui latitudine ellissoidica (ovvero il complementare dell'angolo della normale per Q con l'asse di simmetria dell'ellissoide) è uguale alla latitudine astronomica di P;

- si fa coincidere il punto Q con il punto P’ sul geoide ottenuto proiettando P lungo la direzione della verticale, e si richiede che in tale punto l'ellissoide sia tangente al geoide;

- ruotando l'ellissoide attorno alla normale per Q si fa in modo che l'asse di simmetria dell'ellissoide sia parallelo all'asse convenzionale di rotazione terrestre.

In questo modo, se anche per l’ellissoide si stabilisce l’origine delle longitudini al meridiano di Greenwich, al punto P vengono attribuite latitudine e longitudine ellissoidiche coincidenti con quelle astronomiche, dato che, a causa della tangenza di geoide ed ellissoide, verticale e normale all’ellissoide hanno direzioni coincidenti; inoltre, l'altezza di P sul livello del mare è uguale all' altezza sull'ellissoide, dato che l'altezza del geoide sull'ellissoide in P’ è nulla. Inoltre, a partire dalle coordinate geodetiche del punto P si possono determinare le coordinate cartesiane in un sistema di assi

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avente l'origine nel centro dell'ellissoide, l'asse z lungo il suo asse di simmetria e l'asse x fissato nel piano equatoriale (meridiano di Greenwich). Questo sistema di assi verrà denominato sistema di assi globale. Si tratta ora di vedere come sia possibile, partendo da P come punto di riferimento, determinare le coordinate ellissoidiche di altri punti sul territorio. Che questo sia possibile lo si può capire dalle seguente osservazione. Si supponga che, facendo stazione in P, sia possibile con uno strumento topografico collimare un punto Q sul territorio e determinare angolo zenitale e azimut (rispetto alla direzione del meridiano locale) della direzione PQ , e inoltre la distanza fra P e Q. E’ allora possibile determinare le coordinate cartesiane di Q in un sistema di assi locale, con l’origine in P , l’asse z lungo la verticale per P (che coincide con la normale all’ellissoide), l’asse y lungo il meridiano:

coscossinsinsin

1

1

1

ζαζαζ

dzdydx

===

(4.1)

fig.8 – sistema di assi locale (le direzioni degli assi x e y sono diverse da quelle indicate nel testo)

D’altra parte è nota la roto-traslazione fra questo sistema di assi e il sistema globale. Infatti, le componenti della traslazione sono le coordinate di P nel sistema globale, mentre la rotazione dal sistema globale a quello locale può essere decomposta nella sequenza di 3 rotazioni elementari:

- una rotazione attorno all’asse z di un angolo uguale alla longitudine di P che porta l’asse x nel piano del meridiano locale (contenente le direzioni dell’asse z globale e dell’asse z locale);

- una rotazione attorno all’asse y di un angolo complementare alla latitudine di P che porta l’asse z globale ad essere parallelo all’asse z locale;

- una rotazione attorno all’asse z che porta l’asse y ad essere parallelo alla direzione del meridiano locale.

NOTA: questa decomposizione non è univocamente determinata. Basta pensare che sarebbe possibile, con la prima rotazione attorno all’asse z, portare l’asse x ad essere ortogonale al piano del meridiano

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locale, poi portare gli assi z locale e globale a coincidere con una rotazione intorno all’asse x, e infine eseguire un’ulteriore rotazione attorno all’asse z. Quindi possono essere calcolate le coordinate cartesiane di Q nel sistema globale, e da queste le coordinate ellissoidiche. La procedura sopra descritta non è quella usualmente adottata per determinare le coordinate geodetiche dei punti sul territorio. In pratica vengono istituite reti geodetiche in cui vengono misurati essenzialmente angoli, mentre la scala viene determinata con la misurazione della lunghezza di un piccolo numero di basi (in teoria ne basterebbe una sola, ma è bene avere ridondanza per poter effettuare compensazioni, ed è opportuno che siano distribuite sul territorio in modo da avere il più possibile uniformità nella distribuzione degli errori propagati alle posizioni dei punti). Procedure di questo tipo sono state adottate in passato per la costruzione delle cartografie nazionali. In generale le coordinate geodetiche utilizzate per sistemi cartografici diversi fanno riferimento ad ellissoidi e a punti di emanazione diversi, e le trasformazioni di coordinate fra sistemi diversi richiederebbero la conoscenza delle posizioni relative dei diversi ellissoidi (che, in teoria, sono semplicemente traslati l'uno rispetto all'altro, avendo gli assi z paralleli e gli assi x definiti secondo la stessa convenzione); queste però non sono in generale note.

fig.9 – rete geodetica italiana del I ordine

La cartografia nazionale italiana è basata sul sistema di riferimento ROMA40, legato all'ellissoide internazionale (di Hayford) "orientato" (ossia tangente al geoide) in corrispondenza dell'osservatorio di

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Monte Mario (a Roma). L'ellissoide internazionale, adottato per convenzione nel 1924, ha parametri geometrici 297/1 , m6378388 == fa . La rete geodetica fondamentale ROMA40 (del I ordine) (fig.9) creata dall’Istituto Geografico Militare è costituita da vertici posti a distanza di alcune decine di km. A partire da tali vertici, lo stesso IGM ha istituito reti più fitte (fino al IV ordine), i cui vertici sono ben visibili dal territorio circostante (per esempio, cime di campanili) e sono descritti da schede monografiche (fig.10). Molti paesi europei hanno adottato un sistema di riferimento, detto ED50 (ED = European Datum), legato anch'esso ad un ellissoide internazionale, che però ha un orientamento medio europeo, non esattamente coincidente con alcun orientamento dei vecchi sistemi di riferimento nazionali.

fig.10 – scheda monografica di un punto trigonometrico Qualora siano disponibili le coordinate di un certo numero di punti in due diversi sistemi, è possibile stimare ai minimi quadrati i parametri della trasformazione, e quindi la posizione relativa dei due ellissoidi a cui i due sistemi sono riferiti. In generale, oltre ai tre parametri che definiscono una traslazione, si introducono tre parametri che descrivono una rotazione degli assi ed un parametro di scala, che si giustificano perché nei diversi sistemi l'orientazione dell'ellissoide e la scala delle lunghezze sono definite sulla base di insiemi di misure, e a volte anche di tecniche, diverse; naturalmente, ci si aspetta che la rotazione sia molto piccola e che il fattore di scala sia molto vicino a 1. Si tratta quindi di 7 parametri; in linea di principio è quindi sufficiente conoscere nei due sistemi un numero di coordinate maggiore di 7, ad esempio le terne di coordinate di 3 punti. In tempi recenti, per il diffondersi del posizionamento GPS, ha acquisito rilevanza il sistema di riferimento legato al GPS, detto WGS84, che fa uso di un ellissoide geocentrico. La nuova rete geodetica italiana istituita dall'Istituto Geografico Militare, detta IGM95, fa uso di coordinate WGS84; il punto di riferimento è al Centro di Geodesia Spaziale di Matera, che dispone anche di una stazione SLR (Satellite Laser Ranging) e di una stazione VLBI (Very Long Baseline Interferometry, basata su osservazioni radioastronomiche).

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Il Laser ranging si basa su misure distanziometriche con impulsi laser inviati dalla stazione stessa ad un satellite puramente passivo, dotato di una superficie sferica riflettente, la cui orbita è determinabile con altissima precisione; la distanza è determinata dal tempo intercorso fra l'invio dell'impulso e la ricezione dell'impulso riflesso (non presenta quindi problemi di sincronizzazione fra orologi diversi). Il VLBI si basa su misure di posizione relativa fra stazioni molto lontane, ottenute dalla differenza di fase con cui le stazioni ricevono uno stesso segnale radio (onda piana) proveniente da sorgenti extra-galattiche. Poiché la cartografia ufficiale fa ancora uso dei sistemi di riferimento ROMA40 e ED50, gli operatori che eseguono rilevamenti con il GPS e nello stesso tempo usano la cartografia devono eseguire le trasformazioni di coordinate, per cui è possibile utilizzare del software messo a disposizione dall’IGM.

4.1. Rotazioni nello spazio 3-dim Si è già osservato che la rotazione fra 2 terne di assi cartesiani può essere decomposta nella sequenza di 3 rotazioni attorno ad assi coordinati. D’altra parte, come già visto nel caso 2-dim, la trasformazione delle coordinate di un punto per effetto di una rotazione della terna di assi è lineare ed è rappresentata dal prodotto righe per colonne di una matrice 33× per il vettore delle coordinate. La forma delle matrici di rotazione attorno agli assi coordinati si ottiene facilmente tenendo conto che esse devono mantenere invariata la componente corrispondente all’asse di rotazione, e agire sulle altre 2 come rotazioni piane. Quindi

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛−=

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛ −=

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

−=

1000cossin0sincos

)( , cos0sin

010sin0cos

)( , cossin0sincos0

001)( γγ

γγγ

ββ

βββ

ααααα zyx RRR (4.2)

Alla composizione di una sequenza di rotazioni corrisponde il prodotto righe per colonne delle matrici. Si noti che il prodotto di matrici di rotazione attorno ad assi diversi non è commutativo. L’ordine in cui le matrici sono applicate al vettore da trasformare è da destra verso sinistra; esso corrisponde all’ordine in cui si susseguono le rotazioni. Ad esempio, con riferimento alla composizione di rotazioni descritta all’inizio del paragrafo 4,

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛−−−

−++−=−

ϕλϕλϕϕαλϕαλαλϕαλαϕαλϕαλαλϕαλα

λϕα π

sinsincoscoscoscossinsinsinsincossincossinsinsincoscoscossinsincoscossincossincossinsin

)()()( 2 zyz RRR

Lo stesso risultato si ottiene dal prodotto )()()( 222

πππ λϕα +−− zxz RRR , che corrisponde alla seconda forma della composizione sopra descritta. Le matrici di rotazione sono ortogonali, ossia l’inversa coincide con la trasposta (questa proprietà ne facilita il calcolo). Inoltre le matrici di rotazione in dimensione 3 hanno sempre autovalore 1, a cui corrisponde un autovettore che viene lasciato invariato dalla trasformazione. Tale vettore evidentemente ha la direzione dell’asse di rotazione.

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Se gli angoli sono piccoli, sono spesso adottate formule approssimate al I ordine rispetto agli angoli, ponendo 1cos , sin ≅≅ θθθ . Ad esempio

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛−≅

1000101

)( γγ

γzR

e formule simili per le rotazioni attorno agli altri assi. Sempre al I ordine, trascurando i prodotti di angoli piccoli,

⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

−−

−≅

11

1)()()(

αβαγβγ

γβα zyx RRR

E’ importante osservare che, mentre le rotazioni in generale non commutano, le rotazioni piccole al I ordine (cioè trascurando prodotti di angoli piccoli) commutano.

5. L'altezza ortometrica Le differenze di quota vengono usualmente determinate con la livellazione geometrica, la cui operazione elementare, detta battuta di livellazione, consiste nell'individuare su due stadie verticali poste ad una certa distanza fra loro (generalmente dell'ordine di 100m, o anche inferiore su terreno accidentato) due punti connessi da una linea orizzontale. Viene così misurata

'')()( 221112 PPPPPHPH −=−

fig.11 – battuta di livellazione La collimazione dei punti sulle stadie viene eseguita con uno strumento detto livello, costituito da un cannocchiale posto su un treppiede in posizione intermedia fra le stadie; l'orizzontalità dell'asse del

'2P '1P

1P

2P

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cannocchiale è controllata mediante una livella toroidale. Gli errori dovuti al fatto che il cammino ottico non è rettilineo a causa della rifrazione vengono compensati se il livello è posto a ugual distanza dalle due stadie. L'accuratezza di una singola battuta può raggiungere 0.1mm. Poiché l'accuratezza di un profilo di n battute si ottiene moltiplicando per n l'accuratezza della singola battuta, essa è approssimativamente proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del profilo. Quindi, ad esempio, con battute di 100m, si può eseguire la livellazione lungo un profilo di 10km (100 battute) con accuratezza millimetrica. In una campagna di livellazione possono così essere misurati i dislivelli di determinati punti di una regione rispetto ad un punto di riferimento. Per poter definire mediante questa procedura le altezze "sul livello del mare", ossia sul geoide, occorrerebbe che le differenze di quota rispetto a punti di riferimento posti tutti al livello del mare fossero indipendenti dalla scelta del punto di riferimento e dal percorso seguito. In realtà ciò non avviene. Infatti, come si è visto, la battuta di livellazione consiste nell’individuare 2 punti sulle stadie connessi da una linea orizzontale (ossia ortogonale alla verticale); d’altra parte, le superfici in ogni loro punto ortogonali alla direzione della verticale (ossia equipotenziali) a livelli diversi non sono parallele fra loro e, in conseguenza di questo fatto, può accadere che dislivelli misurati con sequenze di battute di livellazione risultino diversi su percorsi diversi. Questa situazione è illustrata dalla fig.12, da cui risulta evidente che, dati 2 punti A e A’ sulla stessa superficie equipotenziale, il dislivello misurato lungo il percorso AB è minore di quello misurato lungo il percorso A’B, dato che le diverse superfici equipotenziali lungo A’B sono più distanti fra di loro che lungo AB.

fig.12 – non parallelismo delle superfici equipotenziali

Per introdurre una definizione rigorosa di altezza di un punto sul geoide, si considera la lunghezza dell'arco di verticale congiungente il punto dato con il geoide, detta altezza ortometrica. Si noti che questo arco non è un segmento rettilineo, dato che deve essere in ogni suo punto ortogonale ad una superficie equipotenziale, e le superfici equipotenziali, come osservato in precedenza, non sono parallele fra di loro. D’altra parte l’altezza ortometrica non è direttamente misurabile, e i dislivelli che possono essere misurati con la livellazione geometrica ne forniscono soltanto un valore approssimato. Senza entrare nei dettagli, si può dire che lo scarto fra l’altezza ortometrica in un punto e il valore determinato con la livellazione, che dipende dall’andamento del campo della gravità lungo il profilo di livellazione, può essere stimato utilizzando opportune formule che utilizzano il valore della gravità lungo il profilo. Poiché la gravità varia lentamente, è sufficiente fare un piccolo numero di misure, ad

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esempio ogni 10km. Inoltre, si verifica che queste correzioni sono molto piccole, e per molti fini pratici possono essere trascurate, come nel caso di profili di lunghezza inferiore a qualche km. Sul territorio nazionale l’Istituto Geografico Militare ha istituito una rete di livellazione di alta precisione (fig.13), che si sviluppa per circa 13000km, lungo le cui linee sono posizionati capisaldi quotati a distanza di circa 1km l’uno dall’altro, descritti da schede monografiche. (fig.14) La rete è costituita da un certo numero di maglie chiuse, ed è stata compensata. La quota di riferimento ( H=0 ) è fissata al livello medio del mare determinato dalle misure eseguite al mareografo situato nel porto di Genova in un lungo intervallo di tempo (della durata di alcuni anni).

fig.13 – rete di livellazione di alta precisione IGM NOTA: L’altezza ortometrica è riferita al geoide, e quindi ha un significato fisico legato all’andamento del campo di gravità, mentre l’altezza sull’ellissoide, che pure ha importanza per la determinazione della posizione tridimensionale di un punto, è riferita ad una superficie matematica ed ha un significato puramente geometrico. D’altra parte, una delle principali ragioni per cui vengono eseguite livellazioni è la determinazione della direzione di scorrimento delle acque, che avviene lungo linee il cui angolo con il vettore gravità è minore di 900. A tale scopo è importante fare riferimento alle superfici equipotenziali piuttosto che alle quote ortometriche. Dalle considerazioni svolte in precedenza si può capire che il dislivello fra due superfici equipotenziali non è costante, e questo fatto può in linea di principio creare situazioni apparentemente paradossali, come lo scorrimento dell’acqua da una quota ortometrica più bassa ad una più alta. Tuttavia, la deviazione delle superfici equipotenziali dalle superfici a quota ortometrica

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costante è in generale inferiore agli errori commessi nelle misure di livellazione lungo un profilo; di conseguenza, i dislivelli misurati danno un’indicazione sufficientemente precisa delle direzioni di scorrimento.

fig.14 – scheda monografica di un caposaldo di livellazione IGM

APPENDICE: Proprietà geometriche dell’ellissoide Poiché nel trattamento delle misure geodetiche viene usato un ellissoide come superficie di riferimento, è di grande importanza lo studio delle proprietà di particolari archi di curva congiungenti punti sull’ellissoide. Poiché questi archi di curva non sono necessariamente ottenuti dall’intersezione dell’ellissoide con un piano, è opportuno premettere alcuni concetti riguardanti gli archi di curva in uno spazio 3D. Normale principale e raggio di curvatura Dato un arco di curva regolare (ossia dotato di tangente in ogni suo punto), è possibile parametrizzarlo con un’ascissa curvilinea. Fissato sull’arco un punto 0P , scelto come origine, e un verso di percorrenza positivo, si attribuisce ad ogni punto P dell’arco un numero s (detto ascissa curvilinea) uguale in valore assoluto alla lunghezza dell’arco PP0 , con segno corrispondente a quello del verso di percorrenza da 0P a P. E’ quindi possibile esprimere le coordinate di P in funzione di s:

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⎪⎩

⎪⎨

===

)()()(

szzsyysxx

, ovvero, in forma vettoriale, )(srr = .

Si può provare che, se esiste la tangente, il vettore )(sr è derivabile, e la sua derivata )(' sr è un vettore diretto come la tangente all’arco di curva nel punto )(sr e di lunghezza 1 . Di conseguenza, se esiste anche la derivata seconda )('' sr , essa è un vettore ortogonale all’arco di curva nel punto )(sr (dato

che 0)('')('2)(')/( cost 1)(' 2 =⋅≡⇒== sssdsds rrrr ), e individua una particolare direzione uscente dal punto nel piano ortogonale alla curva, detta normale principale. In particolare, se l’arco di curva è piano, la normale principale giace nello stesso piano dell’arco. La quantità )(''/1 sR r= è detta raggio di curvatura dell’arco di curva nel punto )(sr . Si capisce

intuitivamente che, quanto più grande è )('' sr , tanto più rapidamente varia la direzione del vettore tangente )(' sr , e questo corrisponde al fatto che in una circonferenza la direzione del vettore tangente varia tanto più rapidamente quanto più piccolo è il raggio. Più precisamente, si può dire che, fra tutte le circonferenze tangenti all’arco di curva nel punto )(sr , quella di raggio R è quella che approssima meglio l’arco in un piccolo intorno di )(sr , nel senso che la sua distanza dall’arco tende a 0 più rapidamente quando ci si avvicina al punto di tangenza. D’altra parte, si verifica immediatamente che, per una circonferenza con centro nell’origine sul piano

xy, espressa in funzione dell’ascissa curvilinea da ⎩⎨⎧

==

)/sin()/cos(

RsRyRsRx

, si ha

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−−

=)/sin()/1()/cos()/1(

)(''RsRRsR

sr , e quindi Rs /1)('' =r .

Sia P un punto su un ellissoide a simmetria rotazionale con il semiasse maggiore nel piano equatoriale. Le intersezioni dell’ellissoide con i piani contenenti la perpendicolare all’ellissoide in P si dicono sezioni normali. Si può provare che i raggi di curvatura delle sezioni normali per P assumono valore minimo M e massimo N rispettivamente nella direzione del meridiano e del parallelo per P. Per una sezione normale in una direzione arbitraria con azimut α il raggio di curvatura αR è dato da

NMRαα

α

22 sincos1+=

Le espressioni di M e N in funzione della latitudine geodetica ϕ sono: 2/3222 )sin1)(1()( −−−= ϕϕ eeaM , 2/122 )sin1()( −−= ϕϕ eaN ( )2222 /)( abae −= .

)(ϕN è la stessa quantità introdotta nella formula (3.2). Geodetiche L’operazione elementare su cui si basano le misure geodetiche classiche consiste nella collimazione di un punto Q osservato da una stazione in un punto P ; se sono note le coordinate geodetiche della stazione, e quindi la direzione della normale all’ellissoide, è naturale prendere in considerazione il piano PΠ contenente la normale all’ellissoide nel punto di stazione e il punto collimato, e la corrispondente sezione normale Pγ .

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La scelta di questo arco di curva come percorso fra le proiezioni sull’ellissoide del punto di stazione e del punto collimato va però incontro ad una difficoltà: in generale il piano PΠ non contiene la normale all’ellissoide in Q , e quindi il piano QΠ contenente la normale all’ellissoide in Q e il punto P non coincide con PΠ , e la sua intersezione con l’ellissoide, Qγ , non coincide con Pγ . Fanno eccezione i casi in cui P e Q sono sullo stesso meridiano o sullo stesso parallelo. In realtà, dati 2 punti P e Q sull’ellissoide, fra tutti gli archi di curva che congiungono P e Q ce n’è uno di lunghezza minima, detto arco di geodetica, che in generale non coincide con una sezione piana. Nei calcoli geodetici viene scelto come percorso fra P e Q proprio l’arco di geodetica che li congiunge, e si definisce distanza sull’ellissoide fra P e Q la lunghezza di tale arco. Gli archi di geodetica che giacciono su una superficie hanno la proprietà che in ogni loro punto la normale principale coincide con la normale alla superficie. Sull’ellissoide gli archi di meridiano e gli archi di equatore sono archi di geodetica, mentre gli archi di parallelo non lo sono. Le geodetiche sulla superficie sferica sono cerchi massimi; quindi, per determinare l’arco di geodetica fra 2 punti, si prende la sezione della superficie sferica con il piano passante per i 2 punti e per il centro della sfera. In particolare, un arco di geodetica fra 2 punti di uguale latitudine ha in tutti i suoi punti interni una latitudine maggiore in valore assoluto di quella degli estremi. Questo spiega perché le rotte aeree fra Roma e New York, che sono all’incirca alla stessa latitudine, si spingano fino a latitudini molto più elevate (Irlanda, Canada). Le geodetiche sull'ellissoide, come si è già accennato, non sono in generale curve piane, e sono difficili da studiare. Tuttavia, dato che lo schiacciamento dell’ellissoide terrestre è piccolo, gli archi di geodetica, almeno per punti non troppo distanti, sono ben approssimabili con sezioni normali. Per dare un’idea degli errori che si possono commettere, le differenze nelle lunghezze degli archi sono di circa 1 cm su 1000 km, le differenze di azimut sono al massimo 0.03'' su 100 km, 0.26'' su 300 km.