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Serafino Lacerenza Lettere dal terzo millennio

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Page 1: Serafino Lacerenza Lettere dal terzo millennio

Serafino Lacerenza

Lettere dal terzo millennio

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Per il lettore

Non c’è trucco, non c’è imbroglio…

Questo libro è completamente gratis.

Faccio tutto questo per pura soddisfazione.

Quando si è terminato di scrivere un libro si pensa inevita-bilmente a pubblicarlo, sperando ovviamente che abbia successo; non tanto per il ritorno economico quanto per la soddisfazione di vederlo apprezzato. Si incomincia perciò la solita trafila, che consiste nell’inviare il tuo manoscritto a pic-coli e grossi editori, i quali, sommersi da migliaia di proposte come la tua, il più delle volte non ti rispondono nemmeno. Presto ti rendi conto che la pubblicazione del tuo libro non è che un vero e proprio miraggio. Oppure si può scegliere di pubblicarlo a proprie spese, sborsando una cifra non indiffe-rente per avere un centinaio di copie da regalare a parenti e amici.

In breve, ho voluto evitare tutto questo. I soldi non mi inte-ressano più di tanto; ho di che vivere più che degnamente. Quello che mi interessa è sapere se quello che ho scritto vale veramente qualcosa.

Perciò non chiedo soldi ma solo un piacere. Incomincia a leggere questo libro. Puoi scaricartelo sul computer, leggerlo a video, oppure stampartelo un po’ per volta. Se non ti piace butta pure via tutto. Se lo trovi interessante mandalo per posta elettronica ai tuoi amici. Ma in ogni caso ti prego di inviarmi un commento, anche di una sola parola, al mio indirizzo e-mail: [email protected]

Grazie. L’autore.

Un’ultima cosa: il manoscritto è regolarmente depositato alla Siae. Non si sa mai che qualcuno…..

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Serafino Lacerenza

Lettere dal terzo millennio

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Indice

Per il lettore 3

Prologo 9

Prima lettera 11

Seconda lettera 33

Terza lettera 53

Quarta lettera 72

Quinta lettera 90

Sesta lettera 106

Settima lettera 124

Ottava lettera 141

Nona lettera 147

Decima lettera 149

Undicesima lettera 158

Dodicesima lettera 172

Tredicesima lettera 186

Quattordicesima lettera 201

Quindicesima lettera 215

Sedicesima lettera 217

Diciasettesima lettera 237

Diciottesima lettera 248

Epilogo 255

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Prologo

Da ormai venti anni viveva nella sua dimora di Ferney, circondato da una piccola corte personale e riverito dai potenti d’Europa.Qui aveva scritto le sue opere più famose come il Candido, il Trattato sulla tolleranza, il Dizionario filosofico, assieme ad una vastissima corri-spondenza di circa 6.000 lettere. Chiamato a Parigi per la rappresentazione della sua ultima comme-dia Irene, vi moriva il 30 maggio 1778, all’età di ottantaquattro anni, tra il frastuono delle accoglienze trionfali.

Cadavere truccato da viaggiatore frettoloso, la sua spoglia sobbalza-va in una carrozza che lo trasportava lontano da Parigi, allo scopo di conciliare le esigenze della Chiesa, che non voleva dare sepoltura alla salma in terra consacrata, con le esigenze di chi non aveva mai accettato di rinnegare le proprie idee. Poco fuori Parigi, la carrozza venne fermata nella sua corsa notturna ad un posto di blocco. L’ufficiale si avvicinò al finestrino, scostò la tenda e introdusse una lanterna all’interno dell’abitacolo. Entrò; dalla tasca estrasse una piccola scatola che conteneva una mi-nuscola e affilatissima lama con la quale, dopo aver tolto la parrucca al morto, prelevò, incidendo il cuoio capelluto, un piccolo lembo di pelle e un po’ di capelli. Poi estrasse dall’altra tasca una minuscola sfera di metallo che appoggiò per alcuni istanti sulla fronte del silen-zioso viaggiatore. Mise il tutto dentro la scatola. Rimise la parrucca al morto. Scese e chiuse la porta. Poi, rivolgendosi al taciturno occupante della carrozza, disse: « Buo-na notte signore, e arrivederci a presto! ». Poi si ritrasse e fece cenno al postiglione di ripartire. Sulla fronte immobile del corpo senza vita di François-Marie Arou-et, meglio conosciuto come il signor di Voltaire, rimaneva il piccolo segno scuro, di una bruciatura a forma di croce.

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Prima lettera

Francia, 2 agosto 2004

Non so se mai qualcuno leggerà questa lettera, né se potrò scri-verne altre. Forse questo è soltanto un sogno, o forse il misterioso personaggio che mi ha accompagnato in questo luogo da dove sto scrivendo potrà spiegarmi quello che sta succedendo veramente. Ricordo che mi trovavo a Parigi. Là, sul palco, stavano incoronando il mio busto e nello stesso tempo, in platea, incoronavano me. La folla, all’intorno, applaudiva, mi osannava. All’improvviso un forte dolore al petto. La vista si annebbiava, le membra si intorpidi-vano, il respiro si faceva sempre più faticoso. Stavo morendo. Poi mi trovavo a percorrere una lunga e buia galleria, al fondo dalla quale si intravedeva una luce bianca. Questo cammino era grade-vole, poiché man mano che procedevo mi sentivo sempre meglio, mentre la luce diventava sempre più grande ed intensa. Percorsi tutta la galleria. Un gran senso di pace mi pervase, mentre la luce accecante mi avvolgeva completamente.

Un istante dopo, aprendo gli occhi, vidi l’azzurro del cielo. Ero su-pino, sdraiato sulla sabbia. Udivo il rumore delle onde che s’infran-gevano sulla riva. Mi sollevai a sedere e vidi il mare davanti a me. Mi voltai. Il sole stava sorgendo alle mie spalle, e l’aria fresca del mattino mi dava qualche brivido di freddo. Mi alzai in piedi, e, nel

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vimini arrotolate. Vennero in direzione della spiaggia e si fermarono poco distante. Posarono le borse in terra e srotolarono le stuoie sulla sabbia. Poi si voltarono verso me ed accennarono ad un saluto. Risposi con un inchino. In quel momento mi ricordai d’essere nudo anch’io, ed istintivamente mi coprii i genitali con le mani. L’uomo e la donna non ci fecero caso, e dopo aver disteso sopra le stuoie alcu-ni drappi colorati, chiamarono a sé i bambini e, spremendolo da un piccolo cilindro colorato, spalmarono loro un unguento sul corpo. Poi si stesero sopra le stuoie.

Altre persone cominciarono ad uscire dal bosco. Tutte quante por-tavano borse più o meno voluminose dalle quali uscivano stuoie e drappi colorati. Alcune portavano lettini pieghevoli costruiti unica-mente con una robusta stoffa che avvolgeva un’armatura di ferro, altri dei grandi parasole che aprivano e infilavano sopra un’asta che avevano precedentemente infissa nella sabbia. C’erano persone di tutte le età. Tutti erano nudi. “È questa la resurrezione dei corpi?” mi chiesi. La maggior parte portava occhiali con lenti scure e dalle forme mol-to strane. Quasi tutti avevano la pelle brunita dal sole, come i volti dei contadini in estate; ma nessuno se ne curava, anzi, tutti quanti esponevano il loro corpo nudo ai suoi raggi. Allora compresi. Incredibilmente, tutti erano là per farsi scurire la pelle dai raggi del sole!La cosa che mi stupì maggiormente si verificò quando una giovi-netta tirò fuori della borsa una piccola scatola colorata; premette su una piccola sporgenza e dalla scatola uscì una voce. Agì ancora sopra un’altra sporgenza e la voce si fece meno forte. Ne compren-devo abbastanza agevolmente le parole; erano in francese, ma in un gergo che non avevo mai udito e di molti vocaboli non conoscevo il significato. Poi dalla scatola uscì una musica eseguita da strumenti di cui non avevo mai udito il suono. La melodia era molto semplice, l’armonia primitiva e sovrastata dal suono martellante di quel che pareva un tamburo; una voce maschile iniziò un canto interrotto da frequenti urli. Ne riconobbi a stento la lingua: era inglese. Il sole era già più alto nel cielo e la spiaggia si era ormai popolata

farlo, subito mi accorsi che le gambe e le braccia reagivano con forza inaspettata. Abbassai lo sguardo sul mio corpo. Ero completamente nudo. Le mie membra non apparivano certo quelle di un ottanta-quattrenne. La pelle appariva levigata e soda ed i muscoli al di sotto di essa mostravano il vigore di una persona alquanto giovane. Mi toccai il volto e poi la sommità del capo. Con le mani potevo sentire la pelle liscia del viso e i capelli folti che scendevano fino alle spalle. Poi aprii la bocca e respirai profondamente, e mi accorsi, ri-chiudendola, di avere di nuovo tutti i miei denti. Mi guardai intorno. Ora vedevo perfettamente anche da lontano. La spiaggia era completamente deserta. Provai dapprima a cammi-nare, poi a correre, poi a saltare; quant’era bello poterlo fare nuo-vamente! Avevo il corpo di un ventenne! Un senso di gioia e di benessere mi pervase. In preda all’euforia mi lanciai in una corsa a perdifiato lungo la spiaggia. Poi mi tuffai nell’acqua del mare, la quale, data l’ora fresca del mattino, mi sembrava tiepida. Quale meravigliosa sensazione sentire l’acqua accarezzare il corpo nudo! Non so quanto tempo rimasi a saltare e sguazzare come un bambino. Alla fine, esausto, uscii dall’acqua. Il sole si era già alzato un poco sull’orizzonte ed i suoi raggi incominciavano a riscaldare l’aria del mattino. Ero bagnato e fuori dell’acqua sentivo freddo; mi stesi al sole per riscaldarmi. Chiusi gli occhi, mentre un turbinio di domande affollava la mia mente. “Che cosa è successo? Dove sono? È questo l’aldilà? La resurrezione dei corpi? Il paradiso?”

Non so per quanto tempo rimasi disteso a pensare. Ma ero vivo, vivo e materiale, e giovane!

Dietro di me, voci infantili mi fecero aprire gli occhi. Mi voltai. Dal bosco di pini marittimi che delimitavano la spiaggia uscirono un uomo e una donna, assieme a due bambini che si rincorrevano gio-cando. Erano nudi. Portavano in mano alcune borse e delle stuoie di

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che tutto ciò di cui parlerò l’ho visto e udito con questi occhi e con queste orecchie. La donna che mi aveva invitato a seguirla si incamminò. Io stavo dietro di lei chiedendomi se avevo fatto bene a fidarmi di una sconosciuta. D’altronde non avevo scelta. E poi la curiosità era troppo forte. Dopo un breve tragitto attraverso il bosco di pini marittimi sbucam-mo in un vastissimo spiazzo al centro del quale vi erano due enormi vasche piene d’acqua nelle quali alcune persone nuotavano; ai bordi delle vasche altra gente stava distesa al sole su dei lettini bianchi sui quali erano appoggiati dei piccoli materassi multicolori. Più in là, dai due estremi di un campo rettangolare di terra rossa il cui peri-metro era delimitato da una rete alta almeno quindici piedi e diviso in due da un’altra alta cinque o sei palmi, due persone si lanciavano l’un l’altra una piccola pallina gialla che rimbalzava sul terreno, ser-vendosi di uno strano attrezzo la cui forma ricordava una padella. Mi ricordava il jeu de paume con le racchette, come viene giocato in Inghilterra. Tutto intorno stavano piccole costruzioni in pietra molto sobrie e squadrate. Altro non erano che delle botteghe dove si trovava di tutto: abiti, cibi, libri e molti altri oggetti di cui non comprendevo l’utilità. La mia accompagnatrice si avvicinò e disse: « Venite con me; avrete appetito dopo un bagno di prima mattina. Ma prima scegliete uno di questi ». E mi indicò alcuni drappi variopinti appesi al di fuori di una bottega. « Che cosa sono? » chiesi. « Il loro nome è pareo. Si avvolgono intorno alla vita, quando ci si siede ». Non capivo l’utilità di usare questo drappo visto che tutti erano nudi. Ma essa mi spiegò: « È una questione di igiene ». Non conoscevo il significato di questa parola e glielo chiesi. Ed essa: « Dal greco hygieinè tèchne, l’arte della salute ». Ancora non capivo come il non sedersi su quel drappo potesse es-sere causa di malattia, ma non insistetti sull’argomento e ne indicai

di molte persone. Uomini, donne e bambini erano radunati tutti in quel luogo senza aver apparentemente nulla da fare, se non rimane-re distesi sulla sabbia, passeggiare, giocare e bagnarsi nell’acqua del mare. Tutti erano nudi, come me, e mi stupivo di quanta naturalezza ci fosse in tutto ciò e soprattutto di quanto io, dopo un breve disagio iniziale, non mi sentissi ormai per nulla imbarazzato. Non so per quanto tempo continuai ad osservare questa strana sce-na, camminando su e giù lungo la riva del mare. Mi chiesi nuovamente: “Cosa mi è successo?” Pensai ancora che ero morto, e nella mia metempsicosi avevo riac-quistato un nuovo corpo. Ma perché mi ero reincarnato in un adulto e non in un neonato? E soprattutto perché avevo conservato la memoria della mia vita precedente? Dove mi trovavo? Ero in una sorta di paradiso terre-stre? Certo la mia fede teista non mi aveva mai spinto ad indagare l’essenza di Dio e tanto meno su come fosse l’aldilà, ma quello che stava succedendo andava oltre ogni immaginazione. A proposito: che volto avevo? Avrei dovuto specchiarmi per saperlo. Mentre riflettevo su queste cose si avvicinò una giovane donna. Era bellissima in volto, con i capelli biondi tagliati molto corti e con un corpo scultoreo che non potei fare a meno di ammirare abbassando lo sguardo sulla sua nudità. Mi guardò sorridendo e disse: « Immagino il vostro stupore. Sono qui per spiegarvi tutto ».Ed io:« Dove siamo? Chi siete? ».E lei:« Siamo in Francia, ma dirvi chi io sia richiederà un po’ di tempo. Abbiate la compiacenza di seguirmi »« Dove andiamo? » chiesi. Mi guardò e con un sorriso rassicurante rispose: « Nel terzo millennio ».

Le meraviglie che ora descriverò, o sconosciuto lettore, potranno sembrare le farneticazioni di un folle; ma ti posso assicurare, sempre che non stia vivendo un lungo sogno dal quale non so svegliarmi,

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dolci, – pensai di aver finalmente trovato qualcosa che conoscevo, anche se il sapore era molto differente da quello a cui ero abituato. Dopo aver mangiato, la mia accompagnatrice m’invitò ad uscire. « Venite; ora vi accompagnerò al vostro alloggio. Ma prima passeg-giamo un po’, così potrò cominciare a spiegarvi qualcosa » mi disse indicando l’uscita. C’incamminammo per un viale lastricato di pietre che si inoltrava, passati i campi di terra rossa, dentro la pineta. La strada si diramava poi in tanti piccoli sentieri che conducevano a delle minuscole caset-te di legno immerse nel verde. « Chi siete? » domandai. « Per spiegarvelo devo prima dirvi da dove vengo » rispose. E continuò: « Questo non è l’aldilà e quello che vi è accaduto non è opera di ma-gia, ma di scienza. Nei vostri scritti avete parlato in molte occasioni dell’universo e dei milioni di mondi che lo compongono. Sappiate dunque che gli abitanti di uno di questi mondi, i quali hanno svilup-pato delle conoscenze e delle capacità a voi impensabili, sono giunti su questo pianeta da tempo immemorabile, ma finora non hanno ancora manifestato all’umanità la loro presenza. Per ora questo vi basti sapere su chi io sia. Piuttosto vi sarete chiesto chi siete voi, e come è stato possibile resuscitarvi e ringiovanirvi. La spiegazione di ciò è scientifica e comporta alcune questioni di carattere filosofico; ma voi siete un filosofo, e su questo avrete tempo di riflettere. Voi siete veramente morto, ma la notte in cui il vostro corpo era trasportato fuori da Parigi abbiamo provveduto a prelevare il vostro patrimonio genetico nonché tutti i ricordi che erano contenuti nel vostro cervello. Li abbiamo conservati per due secoli, allo scopo di immetterli in un corpo nuovo oggi ricostruito e fatto rivivere, con un procedimento chiamato clonazione. Tutto ciò è abbastanza semplice da eseguire con le conoscenze e gli strumenti che la nostra specie possiede ». Restai attonito, incapace di parlare. Mi trovavo nel futuro! Non avevo mai sentito parlare di patrimonio genetico né tanto meno di clonazione, ma il primo pensiero che mi venne in mente fu questo:

uno a caso. Essa lo prese assieme ad un altro e ad un paio di strani calzari, un copricapo e degli occhiali; mi fece tenere in mano il tutto, poi entrò nella bottega, tolse dalla collana che indossava alcune pal-line colorate, le diede alla persona che stava dietro il banco ed uscì. Mi fece indossare il tutto e ridendo mi disse: « Ora assomigliate veramente ad un turista! ». Si avvolse anch’essa il pareo intorno alla vita, quindi entrammo nella bottega accanto, la quale doveva essere un’osteria, poiché c’erano scaffali pieni di bottiglie e bicchieri. E di specchi. Fu lì che mi specchiai per la prima volta. Non conoscevo quel volto riflesso dallo specchio. La pelle devastata dalla malattia era scom-parsa, ma quel corpo era il mio. Ero io, con almeno sessant’anni di meno.

La curiosità di conoscere quello che era successo era molto forte, ma lo era anche l’appetito. Perciò, anche se morivo dalla voglia di chiedere delle spiegazioni al misterioso personaggio, un po’ per la soggezione e un po’ per la fame, quando mi invitò a sedermi per mangiare non mi feci pregare. Mi accomodai su una sedia che ap-parentemente sembrava di ferro, ma che mi stupì per quanto fosse leggera. Ma ormai incominciavo a capire di dovermi abituare all’idea che tutto fosse così strano in questo mondo in cui mi trovavo… Chiesi alla mia accompagnatrice: « Siamo su altro mondo? E turista, come mi avete chiamato poco fa, è forse il nome degli abitanti di questo mondo? ».Essa sorrise, e rispose: « In un certo senso!…Vi ho già detto poco fa che ci troviamo in Francia, sulle coste dell’oceano atlantico, non distanti dalla città di Bordeaux. Ma ora mangiamo qualcosa! ». Si sedette anche lei al piccolo tavolo rotondo dove già mi trovavo io, e quello che doveva essere l’oste si avvicinò. La mia accompagna-trice gli chiese qualcosa; l’oste annuì e poi andò dietro ad una grossa cassa colorata che stava appoggiata su una specie di balaustra di fer-ro lucido. Poco dopo si udì un forte sibilo e del vapore si alzò da die-tro la cassa. Eppure non avevo notato alcun fuoco acceso! Quando ci portò da mangiare – del latte con dentro un po’ di caffè e dei pani

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molto liscia e scura; era composta da minuscole pietruzze tenute insieme dall’asfalto. Ad un certo punto udii un rumore, sordo e con-tinuo. Si fece sempre più forte, quando, da una curva della strada, sbucò una carrozza rossa dalla forma molto particolare. Aveva ruote molto piccole, nere, larghe almeno un palmo. Avanzava senza essere trainata da alcun cavallo. Nella parte superiore era interamente con-tornata da vetri mentre all’interno una persona stava seduta con le mani appoggiate sopra un’altra piccola ruota. Esclamai: « Quali sorprendenti capacità ha sviluppato l’umanità in duecen-to anni! Un senso dell’equilibrio degno del miglior giocoliere, far parlare le scatole e la capacità di fare avanzare le carrozze da sole! E quale strano costume, quello di farsi scurire la pelle dal sole e ancor di più quello di vivere nudi! A proposito, in quale anno ci troviamo precisamente? ».« Nell’anno 2004. Il due agosto » rispose la mia accompagnatrice.Poi aggiunse: « Avrete tempo e modo di apprezzare i progressi compiuti dall’uma-nità. Vi attende un lungo viaggio ».« Per dove? ».« Per il mondo, o meglio per quel che ne resta ». Riflettei a lungo. Poi dissi: « I presupposti mi sembrano buoni per la scoperta di cose mera-vigliose. Suppongo che l’umanità, che è capace di far muovere le carrozze da sole, come ho potuto constatare poco fa, avrà senz’altro trovato il sistema per liberarsi dalla fatica del lavoro, poiché aratri e carri non avranno più bisogno della fatica dell’uomo e degli animali per potersi muovere. E, in effetti, vedo che ora gli uomini vivono in una specie di Eden, occupati soltanto ad oziare e a giocare ». Rise di gusto, e disse: « Dovete sapere che dove ci troviamo è un luogo in cui si viene per oziare e giocare, ma dopo aver lavorato. In effetti, al giorno d’og-gi quello che voi chiamavate il volgo non esiste più e le condizioni di vita rispetto a duecento anni fa sono enormemente cambiate. I bambini non lavorano più e tutti sanno leggere e scrivere, poiché ricevono, a partire dalla loro infanzia, come minimo otto anni di istruzione gratuita. La maggioranza delle persone lavora solamente

erano passati due secoli dalla mia morte ed io ero un’altra persona con i miei ricordi! Ma tutto ciò non aveva senso, poiché non potevo essere io e allo stesso tempo un altro. Quale interessante spunto di riflessione avrei potuto aggiungere, nel mio Dizionario Filosofico, alla voce Resurrezione! La mia interlocutrice continuò: « In fondo cos’altro siamo noi se non l’insieme dei nostri ricordi? Non siamo certo il nostro corpo, il quale non è materialmente sem-pre il medesimo. Quel corpo che vediamo oggi guardandoci allo specchio non è quello che vedevamo sei mesi fa: gli assomiglia sol-tanto. La materia che lo compone, infatti, non è più la stessa. Tutti gli esseri viventi sono formati da tante piccole unità chiamate cellule, le quali continuamente muoiono e si rigenerano; nel giro di poche settimane, anche se in tempi diversi, tutte le cellule sono morte e si sono completamente rinnovate. Un essere vivente, quindi, più che un corpo si può meglio definire un meccanismo. Quello che viene definito morte è soltanto l’interruzione di questo meccanismo, che nel vostro caso non abbiamo fatto altro che rimettere in moto dopo duecento anni. Quindi vivere, fisicamente, non vuol dire altro che ri-nascere continuamente. Morire vuol dire non rinascere. L’unica cosa che non si rinnova continuamente è la memoria, e poterla conserva-re, dopo la morte del corpo, equivale ad una sorta d’immortalità ». Restai in silenzio non so per quanto. Una riflessione si era fatta stra-da nella mia mente. L’anima. Era essa a ravvivare questo mio nuovo corpo? Avrei voluto chiedere alla mia interlocutrice cosa fosse avvenuto in proposito, ma già nella mia mente si affollavano mille altri pensieri.

Il turbinio di questi pensieri fu interrotto dalla vista di un ragazzo che avanzava a cavallo di uno strano veicolo che poggiava su due ruote, poste una avanti all’altra, fra le quali si trovavano due leve che egli faceva ruotare con i piedi. Passò così velocemente che non feci in tempo a comprenderne il funzionamento, e soprattutto come il ragazzo riuscisse a stare in equilibrio senza mai cadere. Camminan-do arrivammo dal viottolo ad una strada la cui pavimentazione era

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completamente nudo, e fanno questioni e argomenti di discussione sull’estensione delle superfici di stoffa e sulle parti del corpo che è lecito o no mostrare nelle varie occasioni. A seconda del Paese, le leggi puniscono più o meno severamente la nudità parziale o com-pleta, se praticata al di fuori di questi luoghi ». « È per questo motivo che siamo circondati da quello? » dissi indi-cando un muro che s’intravedeva dietro gli alberi. Rispose: « Certamente i naturisti vorrebbero poter praticare la loro idea ovunque, mentre sono costretti a rimanere in luoghi ben definiti e circoscritti. Ma questo luogo non è un ghetto, poiché qui non si è rinchiusi dato che vi si entra per scelta; quel muro non serve per impedire alle persone di uscire, ma di entrare. Ancora oggi la cultura dominante associa l’idea del nudo all’attività sessuale, e così chi non ha mai praticato il naturismo è portato a pensare che il vivere nudo sia sessualmente eccitante, mentre, come avete potuto constatare, ciò non è affatto vero; perciò si è costretti ad erigere una barriera che permetta l’entrata se non per la porta principale, dalla quale può passare solamente chi è realmente interessato a praticare il naturi-smo ». Le sue parole mi fecero riflettere. Non avevo un’opinione in propo-sito. Dissi: « Trovo positivo il fatto che una minoranza possa scegliere e prati-care liberamente ciò in cui crede. Mi pare una gran conquista per la libertà ». « Certamente, ma preparatevi a constatare ben altre conquiste che l’umanità può vantare oggi. Pensate solamente che oltre al fatto che tutti sanno leggere e scrivere, la medicina ha compiuto dei progressi inimmaginabili e che non esiste più la tirannia, ma è il popolo ad eleggere chi lo governa. Sebbene…». « Sebbene? » la incalzai. « Sebbene tutto quello che vi ho detto valga solo per un terzo dell’u-manità. Un altro terzo vive ad un livello decisamente inferiore, ed il restante muore letteralmente di fame e di malattie ».Rimasi sorpreso. « E per quale motivo sono stato prescelto a rivivere in questa epoca? » chiesi ancora. « Fa parte del piano per la salvezza di questo pianeta. Per ora posso

otto ore al giorno, cinque giorni la settimana per undici mesi l’anno; il dodicesimo mese riposa e in tutto gliene sono pagati tredici. Se è ammalata può non lavorare e venire pagata egualmente. Raggiunta una certa età non lavora più, ma viene egualmente pagata come se lavorasse, sino alla fine dei suoi giorni. Medici, medicine ed ospedali sono gratuiti » “Il paradiso in terra” pensai. « Vi sembrerà strano, ma i giorni di questo mese di riposo non ven-gono chiamati feste, ma ferie. Ci sono ancora, molto pochi, i nobili; ma la loro nobiltà non comporta i privilegi ed il potere che gode-vano due secoli fa. I nobili di oggi sono i ricchi, ma anche loro lavorano. La maggior parte di essi potrebbe vivere senza farlo, ma pochi vi rinunciano; anzi, finiscono per lavorare ancor più di quelli che ne hanno realmente bisogno. Come all’epoca della vostra vita precedente, chi più ha più vorrebbe avere. In questo senso poco è cambiato; questi uomini considerano il lavoro non solo una neces-saria attività per la loro sussistenza, ma lo esaltano come una vera e propria virtù. In realtà, attraverso il lavoro, esercitano il potere, consapevole o inconsapevole fine di ogni attività umana ».“Un paradiso molto terreno” pensai. Poi aggiunse: « In quanto al luogo in cui ci troviamo, esso non è che uno dei tanti in cui si vengono a trascorrere i periodi di ferie. Ma con un’ecce-zione: questo è un sito naturista. Il naturismo è un ideale di vita, un voler migliorare l’uomo attraverso il pieno contatto con la natura, come già sosteneva il signor Rousseau. E il vivere nudi non è che un mezzo per raggiungere questo ideale. In realtà i luoghi dove si può praticare il naturismo sono pochissimi nel mondo: poche centinaia contro le molte migliaia di altri che i naturisti chiamano tessili e i tessili chiamano normali. Per quanto riguarda il vestire avrete modo di constatare quanto la differenza tra naturista e tessile sia alquanto esigua. Si riduce a pochi pollici quadrati di stoffa, a cui i tessili danno una enorme importanza. Essa è notevole invece per quanto riguarda la morale: i naturisti pensano che nel corpo umano non ci sia nulla di vergognoso e si comportano di conseguenza; i tessili, pur sostenen-do a parole la medesima cosa, ritengono immorale mostrare il corpo

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« Vi ho appena concesso un po’ di confidenza, e già mi pare che ve ne stiate approfittando! ».Si fece seria in volto e mi rispose: « Credetemi quando affermo che le mie intenzioni nei vostri riguardi non potrebbero essere più serie. L’allegria è una caratteristica della mia gente. Nel mondo dal quale provengo è la qualità più apprezzata. Una persona che sa scherzare è sicuramente una persona non aggressiva; occorre difendersi unica-mente dalle sue burle. Aggressività e cattiveria, invece, sono sempre vestite di serietà ». La guardai. Mi guardai. In fondo aveva ragione. Le andai vicino, e la spinsi sotto l’acqua. Ridemmo entrambi come dei ragazzi – in fondo lo eravamo – dopodiché, indicandomi l’ingresso, disse: « Entriamo, vi mostrerò qualche altra meraviglia di questo mondo ». « Prima di entrare – risposi avvicinandomi ad un albero che delimi-tava il giardino – attendetemi un attimo, poiché devo soddisfare un bisogno corporale ».« Queste cose al giorno d’oggi sono segno di cattiva educazione. Troverete un luogo migliore all’interno della casa, ve lo assicuro! » disse Dìdele sorridendo.

Caro lettore, stenterai a credere quante e quali meraviglie si trovava-no in un così piccolo luogo. Per le comodità che in essa erano con-tenute era come avere dieci domestici al proprio servizio. Innanzi tutto la stanza che viene chiamata bagno: né la mia dimora di Ferney e neanche la reggia di Versailles hanno mai posseduto nulla di simile! Una seggetta dove espletare i propri bisogni con acqua che esce dai bordi e ne pulisce l’interno andando a perdersi nel sottosuolo; a lato riconobbi la piccola vasca dove lavarsi le parti intime, sulla quale ci si siede a cavalcioni e che viene giustamente chiamata puledro. Ai miei tempi questi attrezzi erano riservati a pochi aristocratici. Acqua fredda o calda a comando che sgorga da fontane che escono dai muri, poste su piccole vasche… Una grande vasca per lavarsi dove ci si può immergere completamente, come solo le grandi dame possiedono, e tutto in un piccolissimo spazio! Anche nella minuscola cucina l’acqua sgorgava a comando da una piccola fontana. Non vi era alcun camino; si cucinava al di sopra di

soltanto dirvi che il vostro ruolo è quello di conoscere, riflettere, scrivere. Penso che non chiediate di meglio ».« La salvezza? Da chi? Da cosa? » chiesi incuriosito. « La salvezza dell’uomo da se stesso; dall’autodistruzione » fu la sua risposta. « E perché mai l’umanità, la quale peraltro è riuscita almeno in parte a vivere in questo mondo sicuramente migliore di quello in cui vive-vo io, starebbe per distruggersi? ».« Avrete modo di constatarlo, quando dell’umanità conoscerete il passato ed il presente ».In quel momento pensai di non essere ancora a conoscenza del nome della mia interlocutrice. Glielo chiesi. « Il mio nome è Dìdele » mi rispose. « Ed il mio senz’altro lo conoscete, – risposi – ma dato che in questa mia nuova vita non possiedo nulla, neanche un abito, e che, a quan-to pare, dipendo interamente da voi, vi permetterò di chiamarmi François ».Frattanto eravamo giunti dinnanzi ad una graziosa casetta intera-mente costruita in legno. Sul davanti stava un piccolo giardino al centro del quale si trovavano un tavolo, quattro sedie e un grande ombrello variopinto. Vicino all’ingresso un tubo usciva verticalmente dal terreno per poi curvare, alla sommità, verso il basso, allargandosi a forma di cono. Chiesi a Dìdele a cosa servisse. Mi rispose: « Provate ad abbassare quella leva alla metà del tubo! ».Così feci, ed un getto d’acqua, proveniente dall’alto, mi investì. Bal-zai all’indietro, mentre Dìdele rideva di gusto. Ero tra il contrariato e lo stupito. Non ero abituato ad essere preso in giro. Non si fa con le persone della mia età! In quel momento mi ricordai che non avevo più ottantaquattro anni, ma ero giovane: ne avevo… Già, non cono-scevo neanche la mia età. La chiesi a Dìdele, la quale continuando a ridere e scuotendo il capo diceva: « Non ha importanza! ». Mi resi conto che era una burlona. Le dissi:

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« È il denaro di questo secolo » – disse Dìdele riferendosi alla carta ed ai piccoli rettangoli. « Le monete non si usano quasi più, e in ogni modo non valgono molto » aggiunse. Riconobbi la cartamoneta, ma non riuscivo spiegarmi l’utilità dei piccoli rettangoli. « Come possono valere quanto l’oro? » chiesi incuriosito. « È un po’ complicato da spiegare, mio caro François; diciamo che sono come delle lettere di credito accettate da tutti, ma sarebbe trop-po lungo ora spiegarvi l’intero meccanismo della questione. Avrete modo di conoscere e capire molte cose di questo tempo attraverso la lettura dei libri che vi abbiamo fornito e che sono sicura non tar-derete a leggere ». E così dicendo mi indicò un lato della stanza dove, in uno scaffale, erano stipati molti libri. Nella minuscola borsa, che Dìdele mi disse chiamarsi portafoglio vi era anche un minuscolo libricino. Sulla coper-tina vi era stampato Repubblica Francese - Passaporto. Lo aprii, e nella prima pagina era disegnato, in un quadratino, il mio ritratto. Sotto vi era scritto il mio nuovo nome e la data della nascita, nel 1980. « Questo libricino è il lasciapassare per recarsi in ogni luogo del mondo » disse Dìdele. Ce n’era anche un altro più piccolo, di sole quattro pagine, che ri-portava sempre mio ritratto e gli stessi dati. Era intitolato Repubblica Francese - Carta d’Identità. « Con questo, invece, potete recarvi solamente nel resto dell’Europa » aggiunse. Un altro libricino era intitolato Patente di guida. « E con questo potrete, quando avrete imparato, condurre le car-rozze senza cavalli. Ovviamente il vostro nome non esisteva negli archivi della Repubblica. Ma per noi non è stato difficile entrare in questo primitivo sistema informatico e immettere i vostri dati. Ufficialmente voi siete uscito dall’orfanotrofio di Narbonne nell’an-no 1998, ormai maggiorenne, senza essere mai stato adottato da nessuno. Vi siete appena sposato con me ed ora siamo in viaggio di nozze. Di professione fate lo scrittore, ed io sono una benestante che possiede abbastanza per mantenere tutti e due ».

piccoli fuochi blu che uscivano da alcuni dischi posti al di sopra di un piccolo banco di colore chiaro e che non mandavano né fumo né odori. Il forno stava di sotto i fuochi ed era caldo nonostante non vi fosse alcuna fiamma all’interno. Una gran madia bianca custodiva carni, verdure, formaggi e bevande; al suo interno produceva da sola il freddo: nella parte alta c’erano addirittura ghiaccio e neve. Vi erano, appese ai muri, delle casse dalle quali, come mi mostrò Dìdele, usciva a comando aria calda o fredda per poter riscaldare o rinfrescare l’aria a seconda delle stagioni. Non vi erano candele, ma, appese al soffitto, delle specie di lanterne che si accendevano come per magia quando si abbassava una levetta posta a lato della porta all’entrata di ogni stanza. Questa luce non era generata da una fiam-ma, ma da qualche sconosciuta fonte che faceva brillare le lanterne di una luce così intensa e continua da sembrare quella di un piccolo sole. Tutto ciò non era nulla, in paragone a quello che successe, quando Dìdele, tenendo nella mano una minuscola scatola nera pre-mette uno dei tanti bottoncini che la ricoprivano. Dapprima udii una voce; mi voltai per vedere da dove provenisse e, stento ancora a crederlo, una scatola nera a forma di cubo, di circa due palmi di lato, non solo si era messa a parlare, ma su una delle facce era apparso un quadro la cui immagine si muoveva e cambiava continuamente! Ora si vedeva un volto, ora un paesaggio, ora alcune persone a figura intera che parlavano tra loro; in alcuni momenti sembrava di volare alti sulle nubi, in altri sembrava di trovarsi in mezzo al mare. « Si chiama televisione – disse Dìdele – meritatamente definita la finestra sul mondo! ». Ero stupito, senza parole. Ma, come già ho detto, capivo di dover-mi preparare a conoscere le più grandi meraviglie che si potessero immaginare. Dentro la casa vi era anche un armadio con degli abiti, ovviamente della foggia di quest’epoca, e una minuscola borsa rettangolare che Dìdele m’invitò ad aprire. All’interno vi erano alcuni fogli di carta di vari colori, sui quali erano disegnati dei ponti, dei numeri e la parola Euro scritta in caratteri latini e greci, e alcuni piccoli rettangoli colo-rati e sottili come la copertina di un libro composti di un materiale lucido che non avevo mai visto prima.

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« In tempo per cosa? ».« Non è ancora il momento di affrontare quest’argomento. Per ora limitatevi a conoscere il mondo di oggi, cercando di comprendere il presente ed il passato. A questo scopo avrete modo di consultare quelli ».E mi indicò lo scaffale colmo di libri. Li esaminai con grande inte-resse. Vi erano libri di storia, scienza, filosofia e letteratura, nonché, frazionata in diversi volumi, un’enciclopedia. La consultai breve-mente. Era piena di vocaboli a me ancora sconosciuti, ma anche di splendide illustrazioni. Devo confessare che la tentazione fu molto forte. Non seppi resistervi. Alla lettera “V” cercai il mio nome e, piacevolmente sorpreso, lo trovai. Non mi sarei mai aspettato tanta importanza. Continuando a parlare, venni a conoscenza di altre strabilianti me-raviglie di questa epoca. Non solo ci sono carrozze che si muovono da sole, ma anche macchine volanti e navi che viaggiano sotto la superficie del mare. L’umanità ha raggiunto ed esplorato pressoché ogni parte del globo terrestre, ha posato il piede sulla Luna e sta progettando di farlo anche sul pianeta Marte. Altre macchine hanno volato intorno a tutti i pianeti del sistema solare e su alcuni si sono addirittura posate. Tutti i pianeti del nostro sistema solare sono però disabitati, essendo solamente delle lande desolate e inospitali, dove, con ostinazione, si sta cercando almeno una primitiva forma di vita.Grazie alle macchine oggi si può parlare con un’altra persona che si trova a centinaia di leghe di distanza come se ci si trovasse di fronte. Si possono imprigionare le immagini, sia fisse che in movimento, in piccole scatole e poi riprodurle fedelmente sulla carta o nella televi-sione oppure su grandi pareti alte come case di due piani in enormi sale chiamate cinema. Grazie alle macchine possiamo addirittura ve-dere all’interno del corpo umano senza doverlo tagliare. Malattie che due secoli fa erano sicura causa di morte si possono curare oggi con una semplice compressa; medici e chirurghi possiedono cognizioni enormi, se paragonate a quelle che si possedevano al tempo della mia vita precedente. È anche grazie a tutto questo che l’umanità è passata dal miliardo di individui cui era stimata due secoli fa, ai sei

Non capivo che cosa fosse questo sistema informatico; forse il modo in cui in quest’epoca le parrocchie archiviano i certificati di battesimo. Ma avevo già capito due cose: che la Francia non era go-vernata da una monarchia e che mi era stata creata una nuova iden-tità. Dopodiché Dìdele mi pregò di aiutarla a preparare il pranzo. Le risposi che non potevo esserle molto d’aiuto, dato che quest’attività era sempre stata svolta dai miei domestici ed inoltre non mi pareva il lavoro adatto ad un uomo. « Anche su questo argomento dovete imparare ancora molte cose »rispose Dìdele con un sorriso meno compiacente del solito, ed ag-giunse: « Anche se nei vostri scritti avete sostenuto che la superiorità dell’uo-mo sulla donna è cosa affatto naturale, dovete prepararvi ad una de-lusione. Oggi le donne dimostrano quotidianamente la loro assoluta parità intellettuale con l’uomo, hanno stessi diritti e doveri stabiliti dalla legge, ed in moltissimi casi ricoprono ruoli di responsabilità e di comando al di sopra degli uomini ».Ero incredulo. Non riuscivo ad immaginare una società siffatta. « Oggi una donna può essere il vostro giudice, il vostro avvocato, il funzionario di polizia ed anche il poliziotto che vi ha arrestato. E può anche essere un soldato o un ufficiale » aggiunse ancora, sfidando con malcelata fierezza la mia incredulità. « Non mi sembra però che la forza fisica permetta ad una donna di svolgere il compito di un soldato » risposi con vena volutamente polemica. « La forza fisica conta sempre meno, in questo mondo dominato dalle macchine e dalla tecnologia. Con le armi attuali, un soldato da solo terrebbe testa ad un intero reggimento del tempo della vostra vita precedente ». « È per questo motivo che le donne hanno raggiunto la parità con l’uomo? ».« Certo che no. La vera indipendenza, nella società civile, la donna se l’è conquistata con il lavoro e con la conseguente indipendenza economica dall’uomo. Questo cammino è stato lungo, e sincera-mente non è ancora stato completato. Ma presto lo sarà. Speriamo in tempo ».

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Non sapevo nuotare e pazientemente Dìdele incominciò ad inse-gnarmelo. All’imbrunire ci ritirammo nella nostra casetta. Più tardi ci vestim-mo per uscire e cenare in una delle tante osterie, alcune delle quali erano chiamate pizzeria. Osservando le persone che incontrammo per strada, e come potei constatare indossandoli io stesso, debbo confessare che questi abiti moderni sono molto comodi e pratici, anche se non si può certamente dire che siano eleganti. Le dame non vestono più gonne lunghe fino ai piedi, ma, al pari degli uomini, portano brache e camicie. Vi sono ancora abiti esclusivamente fem-minili, ma le gonne normalmente lasciano scoperte le gambe anche molto al di sopra del ginocchio. Non si portano più le parrucche. Uomini e donne non s’incipriano più il volto per far apparire la pelle chiara; soltanto più le donne adoperano essenze colorate, ma per farla apparire più scura. Pidocchi, pulci e cimici sono scomparsi. Averli è fonte di vergogna. Stentai a crederlo, quando Dìdele me lo disse. Cenammo in un piccolo ristorante sulla riva del mare. Dìdele era bellissima. Avrei voluto in qualche modo far convergere la nostra conversazione su noi due, ma non riuscivo a trovare argomenti va-lidi, e in più la mia curiosità sulle cose di questo nuovo mondo era molto forte e perciò la tempestavo continuamente di domande.Dopo la cena passeggiammo un poco e ad un certo punto arrivam-mo in uno spiazzo dove c’erano alcune persone che danzavano. Su un piccolo palco stavano tre musicanti. Il primo cantava reggendo con la mano un piccolo cono che teneva vicino alla bocca. Il secon-do aveva appeso al collo quello che nella forma ricordava vagamente un liuto, mentre il terzo, dondolandosi a tempo di musica, pigiava ritmicamente su una tastiera simile a quella di un clavicembalo. In-spiegabilmente si udiva però il suono di molti strumenti, compreso quello di possenti tamburi. Il suono usciva da due casse poste sul pavimento del palco, ed era fortissimo, al punto da essere fastidioso, quasi doloroso per le orecchie. Le persone danzavano ora singo-larmente, ora abbracciate. Non saprei come definire questa musica e questi balli; parevano danze tribali che di certo i popoli selvaggi dell’Africa avrebbero apprezzato più di me.

miliardi di oggi, notando particolarmente il fatto che è raddoppiata solo negli ultimi quaranta anni. Vi sono macchine dalle capacità di calcolo immense, che trasforma-no i numeri in immagini, suoni, voci e danno ad altre macchine or-dine di eseguire i lavori più diversi, di potenza, rapidità e precisione impossibili all’uomo. Purtroppo anche le armi sono progredite in proporzione; basti pensare che oggi una nave da guerra può pos-sedere una potenza distruttiva tale da permetterle da sola di radere al suolo una grande città. Conoscendo la natura umana, mi chiesi se questo fosse ciò che voleva intendere Dìdele, quando parlava di salvare l’umanità dall’autodistruzione. La nostra conversazione si protrasse per parecchio tempo e frat-tanto si era fatta l’ora di pranzo. Aiutai quindi Dìdele a prepararlo. Sbucciai le patate, lavai la frutta e apparecchiai la tavola. Cucinò nel forno un ottimo arrosto. Il pane era fresco, confezionato con farina bianca in forma stretta e allungata, chiamata bacchetta.Continuammo la nostra conversazione durante il pranzo, durante il quale non potei fare a meno di notare la bellezza della mia interlocu-trice, verso la quale cominciavo a provare una certa attrazione. Uf-ficialmente eravamo sposati. La mia nuova giovinezza mi spingeva già a considerare il fatto che non mi sarebbe dispiaciuto se il nostro matrimonio non si fosse fermato alla pura formalità. Dopo il pranzo riposammo nel piccolo giardino che stava davanti all’ingresso della casa, adagiati sulle strane poltrone di questa epoca, riparati dal sole dall’ombra degli alberi, e godendoci il fresco ed il canto degli uccelli. Guardai verso l’alto e vidi uno scoiattolo che si arrampicava sul tronco di un albero. La luce del sole filtrava appena scintillando attraverso le foglie. Guardai Dìdele che, a poca distanza, riposava con gli occhi chiusi. Una fresca e leggera brezza si era al-zata, e accarezzava i nostri corpi nudi. Chiusi gli occhi. Questo non era il paradiso. Ma se lo fosse stato, in quel momento mi sarebbe potuto bastare.

Verso il tardo pomeriggio ci recammo ancora sulla spiaggia, dove ci crogiolammo al sole per un paio d’ore, intervallando di tanto in tanto qualche bagno nell’acqua del mare.

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a capire cosa intendeva, quando affermava che le persone erronea-mente associano la nudità con la disponibilità sessuale: eravamo ri-masti nudi per tutto il giorno, ma solamente ora si stava scatenando in me il desiderio. Quindi, considerai, ciò che lo provoca non è la nudità, ma l’atteggia-mento della persona nuda. Mi spogliai anch’io e mi misi nel letto accanto a lei. Si girò verso di me e mi guardò seria negli occhi. Poi prese la mia mano, stringen-dola tra le sue. Ma c’era qualcosa che non andava. Non così! Lei mi attraeva molto, ma non so per quale motivo mi ritrassi; mettendomi in piedi accanto al letto, addussi goffamente una scusa dicendole: « Non offendetevi, ma sono ancora letteralmente frastornato da quello che è successo. Questa è stata una giornata intensa ed ho visto e conosciuto troppe cose in così poco tempo. Voi mi piacete molto, ma ho bisogno di fermarmi un attimo per riflettere. Vorrei mettermi a scrivere ».Chissà, forse la cosa che non riuscivo a sopportare era il fatto che fosse stata lei a conquistare me, e non viceversa. Dìdele non smorzò il suo sorriso e rispose. « Sapevo che le cose sarebbero andate così. Non preoccupatevi. Vi aspetto comunque qui, se dopo aver scritto vorrete coricarvi accan-to a me ».

La salutai e mi ritirai in questa stanza dove ora, a notte fonda, ho terminato di scrivere, con una penna che non ha bisogno di essere intinta nell’inchiostro, questa lettera, che non saprei a chi indirizza-re e che non so se qualcuno potrà mai leggere. Ma ho bisogno di raccontare tutto quello che è successo. Se è successo veramente. Se tutto ciò non è solo il delirio della mia mente morente.

Passeggiammo ancora un poco per le strade rischiarate dalle luci elettriche – così si chiamano ora queste lanterne che sono sparse ovunque nelle strade e nelle case – e quindi ci ritirammo nella no-stra casetta. Ero curioso di vedere ancora questo meraviglioso stru-mento chiamato televisione. Assistemmo ad una commedia che rac-contava una storia d’amore. Fu entusiasmante seguire lo spettacolo, mentre i quadri della scena cambiavano in continuazione. Ora gli attori erano ritratti a figura intera, ora solo in volto; ora sembrava di camminare insieme a loro, ora li si vedeva allontanare, mentre il paesaggio circostante si allargava sempre più. La musica, suonata da un’invisibile orchestra, sottolineava i momenti più toccanti della storia, coinvolgendo ancora di più lo spettatore. Non potei dire altrettanto della trama e della qualità dei dialoghi, i quali, nonostante non conoscessi il significato di molte parole, mi parevano alquanto poveri di contenuto. Inoltre la commedia era spesso interrotta da brevi episodi che non c’entravano nulla con essa, nei quali si elogiavano ora la bellezza di una carrozza senza cavalli, ora le qualità miracolose di un unguento che avrebbe fat-to sparire le rughe dalla pelle delle dame, ora la bontà dei biscotti che una famiglia felice consumava nella prima colazione, sottolineati secondo l’occasione da voci suadenti o declamatorie di imbonitori degni della fiera di san Dustano. Era giunta l’ora di andare a letto. Non avevamo ancora stabilito in quale stanza avrei dormito. In quella dove si trovavano la televisione e lo scaffale pieno di libri c’era un letto. Dissi a Dìdele: « Per me andrà benissimo dormire qui. Vi cedo vo-lentieri il letto matrimoniale nella camera da letto ».Mi rispose: « Ufficialmente siamo sposati, e visto che dovremo recitare questa commedia, possiamo farlo fino in fondo. Se non vi dispiace potre-mo dormire nello stesso letto ».E così dicendo si spogliò completamente e si mise sotto le lenzuola.Ero a dir poco imbarazzato. Dìdele mi guardava sorridendo; penso di essere arrossito molto, mentre con imbarazzo ricambiavo il suo sorriso. Mi attraeva molto, ed il mio giovane corpo di maschio me ne stava dando il segnale inequivocabile. Riflettendoci ora, comincio

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Seconda lettera

Le Porge, 1 settembre 2004

Non era un sogno. Ho riletto la lettera che scrissi la sera del primo giorno di questa mia nuova vita, ed ho rivissuto quei primi ed ecci-tanti momenti. Oggi, mentre sento di incominciare ad appartenere a questo mondo, già delle nuvole si stanno addensando all’orizzonte. Ma procediamo con ordine. Caro lettore, chiunque tu sia, ho ancora delle cose meravigliose da raccontarti.

È passato quasi un mese da quando, aprendo gli occhi, vidi Dìdele che dormiva accanto a me. Ricordo che quando mi alzai dal letto lei si svegliò. Ci scambiammo il buongiorno. Era già tardi ed avevamo appetito. Durante la colazione mi scusai per non aver risposto al suo espli-cito invito della sera precedente. Mi rispose dicendo di non sentirsi affatto offesa e di sentirsi pronta ad affrontare immediatamente l’ar-gomento. Incominciò dicendo:« Penso che non avrete difficoltà a comprendere che i costumi non sono gli stessi in ogni luogo; tanto meno nel posto da cui proven-go. Da tempo immemorabile nel nostro mondo il sesso non è più associato al peccato e neanche ridotto solamente al ruolo di attività riproduttiva all’interno di una coppia; per questo motivo è praticato liberamente e addirittura raccomandato come attività che favorisce i rapporti personali ed allenta le tensioni sociali ».

Ora mi sento davvero esausto. Andrò a coricarmi accanto a Dìdele. Riuscirò a dormire? Se ci riuscirò, spero, al risveglio, di non aver sognato.

Nam facit ipsa suis interdum foemina factis, Morigerisque modis, et mundo corpore cultu, Ut facile insuescat secum vir megere vitam. Infatti la donna stessa talvolta con le sue azioni, le buone maniere e il culto accurato del corpo fa sì che l’uomo si abitui ilmente a passare la vita con lei.

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tavano di argomenti scientifici, nonché i due libri consigliatimi da Dìdele. Essa stessa incominciò anche ad impartirmi le prime e basilari infor-mazioni sui progressi della scienza.

È sorprendente quanto la conoscenza umana sia progredita negli ultimi due secoli. Da quel poco che sono riuscito a conoscere dalle prime letture ne-cessariamente superficiali ed affrettate, molte delle mie opinioni de-vono già essere rivedute. Se la Creazione, come narrata dalla Bibbia, ovviamente non c’è mai stata, non c’è stato neanche il Grande Architetto, l’Orologiaio auto-re della macchina perfetta dell’Universo. Il Dio creatore ha agito in maniera differente. L’universo sarebbe stato generato dal caos, tredicimiliardi e sette-centomilioni di anni fa, con una immensa esplosione dalla quale si liberò un oceano di particelle elementari le quali poi, raffreddandosi, si aggregarono fino a formare l’universo che oggi noi conosciamo.Per cercare di comprendere le dimensioni di questo universo, am-messo che ciò sia possibile per la mente umana, bisogna misurarle in anni luce. La luce viaggia circa a centosessantamila miglia ogni minuto secondo. Un anno luce è la distanza che percorre la luce in un anno, qualcosa come novanta miliardi di miglia, e le galassie più lontane si trovano a miliardi di anni luce ! L’ordine che regna in questo universo è soltanto apparente. Stelle e pianeti, addirittura galassie, si scontrano continuamente, e se non ce ne accorgiamo è solo perché tutto ciò avviene in tempi lunghissimi, dell’ordine di milioni di anni. E tuttavia queste conoscenze stanno già per essere messe in discus-sione. Quel che riusciamo a vedere, osservando l’universo, non è che la decima parte: le galassie e le stelle sono circondate da un’enorme quantità di materia invisibile: la materia oscura. Lord Kelvin, nell’an-no 1900, affermava enfaticamente: “Nella fisica non c’è più niente da scoprire. Restano solo da eseguire misurazioni sempre più precise”.

Riflettei brevemente e ribattei: « Come può sussistere una società siffatta? ». « Certamente questi costumi non sarebbero accettati dall’umanità d’oggi. Non per questioni culturali o morali, le quali richiederebbero comunque molte generazioni per venir superate, ma per una que-stione genetica. Avrete modo di apprendere, dai libri che leggerete, quanto di animale e di primitivo determini il comportamento uma-no in questa civiltà che si autodefinisce evoluta solamente per il fatto di possedere una tecnologia avanzata e armi potenti ».« Non capisco che cosa sia questa questione genetica, ma mi sentirei di affermare che questa civiltà abbia prodotto anche la cultura, la quale ci differenzia molto dai popoli primitivi » le risposi. « Questo è vero, ma la sia pur poca cultura dei popoli cosiddetti primitivi racchiude valori importantissimi, che questa civiltà ha di-menticato. E fino a quando questi valori non torneranno ad essere patrimonio dell’umanità intera, sarà molto difficile veder cambiare questo mondo. Inoltre, come sapete, la cultura da sola vale poco se non serve la filosofia. Confucio diceva: “Avere cultura senza avere idee è inutile, avere idee senza avere cultura è pericoloso”. Potrete facilmente constatare come, nonostante oggi tutti sappiano leggere e scrivere, i più leg-gano pochissimo e scrivano ancora meno. In quanto alla questione genetica vi consiglio di cominciare le vostre letture da queste riviste di scienze e dai libri L’origine della specie di Charles Darwin e La scim-mia nuda di Desmond Morris. Per il vostro bene, e presto, capirete da solo perché, bisogna limitare al massimo la visione della televisione ».In effetti, non vedevo l’ora di poter leggere tutti quei libri che erano riposti nello scaffale. « Quando potrò incominciare a leggere? » chiesi a Dìdele. « Da subito. Dovrete inoltre impratichirvi nella guida dell’automo-bile e perciò ogni giorno dedicheremo a questo scopo un paio d’ore alla pratica e allo studio delle regole della circolazione sulle strade ».Incominciai perciò da quello stesso giorno, un po’ sulla spiaggia ed un po’ nel giardinetto della nostra casetta, a leggere avidamente quei giornali chiamati riviste, sui quali erano pubblicati articoli che trat-

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ad essere più adatti all’ambiente sopravvivranno meglio degli altri; avranno quindi maggiori probabilità di riprodursi e trasmettere così ai discendenti i loro geni e con essi le caratteristiche che li rendono migliori. Fu così che, in più di un miliardo di anni, dai batteri si arrivò ai protozoi, dai protozoi ai vegetali e agli animali che dal mare usci-rono a colonizzare la terra e l’aria. Le teorie di Darwin sono state confermate dalla genetica che ha spiegato in che modo viene copiata l’informazione da una gene-razione all’altra, anche se non si è più tanto sicuri della teoria del brodo primordiale; forse la vita ha avuto origine nelle profondità degli oceani, in prossimità di vulcani sottomarini, oppure ha origini addirittura extraterrestri. Riflettendo sulla teoria di Darwin si comprende facilmente perché essa sia stata fortemente osteggiata dalla Chiesa, quando venne for-mulata, alla metà del diciannovesimo secolo. Essa esclude l’ipotesi di un Dio provvidente che crea ogni essere fornito di tutto ciò che gli serve per la sopravvivenza. Artigli al leone per cacciare, veloci zam-pe alla gazzella per sfuggirgli. Ali agli uccelli per poter volare, pinne ai pesci per nuotare. Al contrario, tutto, nella catena degli esseri, è frutto della selezione naturale. Se le cose stanno veramente così bisogna ammettere che oggi è più difficile contemplare le meraviglie della natura e dell’universo tro-vandovi la prova lampante dell’esistenza di Dio. Chiaramente questo non è tanto il migliore dei mondi possibili, quanto l’unico dei mondi possibili. Chissà cosa ne penserebbe il buon Leibnitz, se come me fosse rivissuto oggi! Tuttavia, se non è stato Dio ad aver creato questo universo, da dove è scaturita l’infinita energia che lo generò? Ancora una volta la scien-za non può dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio. In fon-do anche l’ateismo è una fede.

Avvertii inoltre un certo disagio nell’apprendere che l’uomo era il diretto discendente della scimmia. Evidentemente ci eravamo sba-gliati, nel Dizionario Filosofico, alla voce Catena degli esseri creati. Ed in più sorgeva un problema di carattere filosofico: se, al contrario dell’animale, l’uomo possiede un’anima immortale, quale sarà sta-

L’universo sembrava allora un luogo ben organizzato composto da pochi miliardi di stelle. I pianeti ruotavano attorno ai loro soli ob-bedendo alle immutabili leggi scoperte da Newton e tutto il cosmo funzionava come un orologio. La vita sulla terra era iniziata in un piccolo brodo primordiale, innescata da una scarica elettrica causata da un fulmine, e la successiva evoluzione era regolata dall’evoluzioni-smo Darwiniano. La materia era composta di un centinaio di varietà d’atomi, i quali sembravano comportarsi come pianeti in miniatura. L’universo, invece, è enormemente più grande di quanto si credeva nel diciottesimo secolo. Si è determinata con più precisione la sua età, si sono scoperti i quasar, le stelle di neutroni e i buchi neri. Lo scorrere del tempo non è più eguale ed immutabile in ogni parte dell’universo: l’orologio di Newton non è più tanto preciso. Gli atomi, a dispetto del loro nome, non sono indivisibili. Sono a loro volta composti da particelle, e alla loro scala di grandezza, gli oggetti hanno un comportamento diverso rispetto al mondo del grande. Anche l’origine della vita sarebbe avvenuta casualmente ed in ma-niera graduale. Miliardi di anni fa, nel brodo primordiale, si formarono i primi ammi-noacidi, dai quali si passò alle molecole organiche, poi ai procarioti e agli eucarioti, i quali, replicandosi, si aggregarono in forme sem-pre più complesse, dalle quali si arrivò ai batteri, poi ai protozoi, e, nel corso di centinaia e centinaia di milioni di anni, alle piante, agli animali e così via sino ai giorni nostri. Tutti gli esseri viventi, dal punto di vista fisico, altro non sono che delle aggregazioni di altri esseri viventi molto piccoli, le cellule, le quali traggono reciproco vantaggio nel trovarsi unite assolvendo ognuna la propria funzione in un sistema ben definito: un organismo. Tante cellule formano un tessuto, tanti tessuti un organo, tanti organi un essere vivente autonomo. Il meccanismo con il quale questi esseri si sono evoluti in esseri sempre più complessi si chiama evoluzionismo. Esso fu teorizzato verso la metà del diciannovesimo secolo da Charles Dar-win nella sua opera L’origine delle specie. Secondo questa teoria ogni essere trasmette ad un altro essere le proprie caratteristiche, ma con qualche leggera e casuale variazione. Gli individui che si troveranno

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grado di comprendere molti concetti scientifici che mi apparivano per lo più incomprensibili. Specialmente quello sulla relatività del tempo. È stato teorizzato da Albert Einstein, all’inizio del ventesimo secolo, che lo scorrere del tempo varia a seconda dello stato di moto o di quiete dell’osservatore, dipendendo dalla velocità con la quale quest’ultimo si muove. In poche parole, per una persona che viag-giasse ad una velocità prossima a quella della luce trascorrerebbe un certo tempo, mentre per quella che resta ferma ne trascorrerebbe di più; per fare un esempio, un ipotetico viaggiatore, dopo un anno, al suo ritorno, si accorgerebbe che per chi è rimasto fermo ad aspet-tarlo ne sono trascorsi cinquanta. Se questa velocità fosse superata si potrebbe addirittura viaggiare avanti e indietro nel tempo. Que-sta teoria strabiliante è stata recentemente dimostrata con sofisticati strumenti scientifici. Sembra però che sia impossibile raggiungere la velocità della luce, poiché per farlo occorrerebbe un’energia pres-soché infinita. Non riuscivo a penetrare questo concetto e perciò chiesi a Dìdele di aiutarmi a comprendere meglio. Mi disse: « Immaginate un’automobile che viaggia ad una certa velocità. Se voi misuraste la velocità della luce che esce dai fari la trovereste uguale sia che vi trovaste sull’automobile sia che siate fermo ad osservarla, mentre sarebbe logico pensare che, per chi resta fermo la velocità della luce debba essere maggiorata di quella dell’automobile. Per cui essendo il tempo in rapporto con distanza e velocità, se quest’ultima non varia per nessuno dei due osservatori, deve essere il tempo a variare per soddisfare l’equazione. Questo fenomeno accade conti-nuamente, ma non ce ne accorgiamo, poiché, alle velocità cui abi-tualmente viaggiamo, le differenze di tempo sono infinitamente pic-cole; solamente qualche miliardesimo di miliardesimo di secondo ».Confesso di non averci capito nulla, ma più ascoltavo e guardavo Dìdele e più ne ero affascinato. In lei non c’era soltanto la bellezza fisica e la simpatia, ma una grande intelligenza ed una vastissima cultura. Anche nell’attività fisica era bravissima, e in più occasio-ni dimostrò forza e agilità inaspettate. In fondo non eravamo che due ragazzi che giocavano tutto il giorno in questo piccolo paradiso. Così, pian piano, invece di cercare di istruirmi in maniera approfon-dita, cominciai a passare sempre più tempo a prendere il sole sulla

to il momento in cui Dio avrà stabilito di conferirgliela nel lungo passaggio dell’evoluzione? Ci sarà stato un essere privo di un’anima immortale che ne ha generato un altro il quale ne era provvisto? Mi chiedevo inoltre come la Chiesa potesse conciliare tutto ciò con quello che è affermato dalle Sacre Scritture. Lo chiesi a Dìdele, la quale mi rispose che essa considera ormai quel che è scritto nella Genesi un’allegoria, scritta in modo semplice per delle persone sem-plici, allo scopo di spiegare la creazione. « Sarebbe meglio dire: scritta in modo semplice da persone semplici, se non vogliamo credere all’ispirazione divina delle scritture » mi affrettai a precisare. « E poi, a questo punto, sorge un altro problema: la Bibbia è tutta quanta un’allegoria oppure, se così non è, in quale punto smette di esserlo? E qual è il criterio con cui lo si stabilisce? ».

Molto interessante è inoltre il libro di Desmond Morris. In esso si può ben constatare come il nostro comportamento conservi ancora molti aspetti di quello della scimmia e come l’uomo ne sia diven-tato una specie molto evoluta, sviluppando comportamenti socia-li e aspetti fisici modellati dalle esigenze di sopravvivenza imposti dall’ambiente in cui si è trovato a vivere. Tutto ciò in tempi lun-ghissimi, valutati in centinaia di migliaia di anni; perciò, dato che la comparsa della civiltà si può valutare in poche migliaia, anche se oggi l’uomo possiede cultura e tecnologia, nelle pulsioni che deter-minano i suoi comportamenti rimane sostanzialmente un primiti-vo. Tutto ciò spiega l’innata tendenza al dominio sui propri simili, i comportamenti apparentemente irrazionali, la violenza e la mitezza, l’individualismo e la collaborazione, la bontà e la cattiveria, l’amore e l’odio come esigenze dettate dall’evoluzione dell’uomo. È sin troppo facile a questo punto interrogarsi sul bene e sul male, sul libero arbitrio, sulla ragione, sui meriti o sulle colpe, giustificando i comportamenti malvagi dell’uomo. Direi comunque che la cono-scenza di tutto ciò non può giustificarli, ma, al contrario, la consape-volezza dei propri limiti è un ulteriore argomento che deve spingere l’umanità ad elevarsi oltre alla propria natura di animale evoluto.Devo convenire che senza l’aiuto di Dìdele non sarei mai stato in

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re contro il vetro o addirittura di essere proiettato all’esterno dalla forza di inerzia, mentre due palloni che si gonfiano istantaneamente impediscono di andare a sbattere la faccia sul volante ed evitano le lesioni al collo dei passeggeri. Dietro il volante si trovano molte lancette, le quali muovendosi dan-no le più svariate indicazioni, come la temperatura del motore, la ve-locità cui si sta viaggiando o quanta benzina è rimasta nel serbatoio. Delle piccole luci si accendono se non si è badato a chiudere bene le porte o non si è abbassata a fondo qualche leva. Premendo un pulsante i vetri si abbassano scomparendo nella porta. Dei piccoli fori buttano aria calda o fredda a seconda che si voglia riscaldare o raffreddare l’interno dell’automobile. C’è anche una radio, quell’ap-parecchio che emette musica e parole ricevendole da invisibili onde oppure inserendovi dei piccoli e sottilissimi dischi. Vi sono persino un orologio ed un termometro che assolvono la loro funzione fa-cendo apparire le cifre dell’ora e della temperatura esterna. All’esterno, nella parte anteriore, vi sono due lanterne che proiet-tano in avanti una luce fortissima, rischiarando la strada quando si viaggia col buio. Si gira la chiave ed il motore comincia a funziona-re. Un sistema di leve e pedali, assieme al volante, permette poi di condurre il veicolo. Viaggiare è estremamente confortevole, dato che le strade sono ricoperte da un liscio strato di asfalto. È curioso il fatto che, dato il ridotto numero di sobbalzi, si abbia così poco la sensazione del moto. Pur viaggiando alla velocità di un cavallo lan-ciato al galoppo si ha la sensazione di muoversi appena. In una sola ora si possono percorrere ben venti leghe, o cinquanta chilometri, esprimendosi nell’unità di misura che si adopera in questo tempo. Dìdele mi ha detto che dovrò anche imparare a muovermi con quel-lo strano veicolo a due ruote che si chiama bicicletta. Contrariamen-te a quanto si potrebbe pensare non è difficile rimanere in equilibrio. Ad evitare di cadere non è l’abilità del conducente, ma l’effetto stro-boscopico generato della rotazione delle ruote. Lo stesso principio fisico che fa sì che la moneta che abbiamo lanciato continui a roto-lare e a non cadere finché mantiene la sua corsa.

Ebbi un piccolo assaggio del mondo esterno un giorno in cui ci re-

spiaggia, a nuotare e a giocare al tennis, come si chiama oggi il gioco che si pratica lanciandosi una palla con quello strano attrezzo. Ero felice, e la mia felicità di stare con lei in questo luogo, annullava ad-dirittura il desiderio di uscirne per vedere il mondo con i miei occhi.

Il tardo pomeriggio fu dedicato alle lezioni di guida. Guidare è divertente. Incominciammo le lezioni di guida a bordo di un’automobile che era a nostra disposizione appena fuori il portone del centro vacanze, percorrendo le stradine deserte che si addentra-vano nei boschi che lo circondavano. È impressionante la quantità di invenzioni che sono contenute in un’automobile. Innanzi tutto le ruote: esse sono rivestite da dei palloni a forma di ciambella ripieni di… aria. Sì, aria compressa! Nella parte anteriore è contenuto il meccanismo che le permette di avanzare, giustamente chiamato motore. Esso funziona grazie a delle rapidissime e continue piccole esplosioni di una sostanza otte-nuta dal petrolio, chiamata benzina. Queste esplosioni azionano un complesso sistema di leve le quali, a loro volta, trasmettono il moto al mozzo, con una potenza pari a quella di decine di cavalli, permet-tendole così di raggiungere una velocità folle, ben tre volte superiore a quella di un cavallo lanciato al galoppo. Le pareti sono di metallo e sottili quanto un foglio di pergamena; perciò uniscono alla robustez-za e all’elasticità una leggerezza superiore a quella di una carrozza di legno. Un’altra sostanza con cui sono costruite queste automobili si chiama plastica; anch’essa è il frutto della lavorazione del petrolio. Quando ci si avvicina all’automobile si preme la testa di una piccola chiave. L’automobile accende e spegne rapidamente delle luci gialle poste sui quattro angoli, emettendo un breve fischio. Solo a questo punto le porte si potranno aprire. All’interno, seduti in una comoda poltrona, si inserisce la chiave in una minuscola serratura, posta die-tro ad una ruota chiamata volante; ruotando quest’ultima a destra o a sinistra si determinerà la direzione del veicolo. Dalla parete latera-le, sopra la spalla, si srotola una robusta fascia di tessuto, e, facendo-la appoggiare diagonalmente al petto, si fissa all’altro lato all’altezza del sedile della poltrona: è la cintura di sicurezza, la quale, in caso di urto del veicolo, trattiene il corpo impedendogli di andare a sbatte-

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tutti gli abitanti di dieci grossi villaggi! Per rendersi conto della sua velocità basti pensare che i viaggiatori potrebbero tranquillamente consumare la loro prima colazione a Calais e la cena a Marsiglia! Dopo il passaggio dei carri, le sbarre si alzarono da sole, restando in verticale; potemmo così continuare la strada. Chiesi a Dìdele i nomi di tutti i veicoli che non conoscevo. I grossi carri sulle strade si chia-mano camion, i veicoli a due ruote motociclette e i carri che corrono sopra i binari, vagoni. Tanti vagoni formano un treno. Tutti sanno leggere e scrivere. Entrando in un centro abitato, quel-lo che più colpisce è il numero delle scritte che si trovano ovun-que. Alcuni cartelli indicano il nome del paese, altri la direzione per raggiungere altre località., altri ancora la direzione da seguire per raggiungere determinati luoghi all’interno del paese. Nell’abitato, sull’entrata di ogni bottega vi è una grossa scritta che reca il nome della bottega stessa o il tipo di merce che viene venduta. Sui muri vengono incollati grandi fogli che avvisano ora di qualche evento che si terrà in qualche luogo, ora di qualche divieto posto dalle auto-rità. Ma il numero maggiore di scritte è dato dai cartelli pubblicitari. La pubblicità serve ad informare le persone sul nome di merci o servizi che si possono acquistare nelle tante botteghe. A volte questi cartelli sono enormi, alti quanto una casa di due piani. Di solito le scritte sono accompagnate da un dipinto che ritrae la merce in ven-dita assieme a bellissime donne, il più delle volte seminude oppure vestite con abiti succinti e molto aderenti. Non sono mai riuscito a cogliere il nesso tra il dipinto e la merce. Questi dipinti sono chiama-ti fotografie; non sono opera di pittori ma delle macchine, le quali, mediante la semplice pressione di un pulsante, ritraggono ciò che sta loro di fronte con estrema precisione. Il paese era situato in riva al mare, ed era pieno di gente che ne affol-lava le strade. Devo dire, osservando le donne, che sono molto più attraenti vestite che nude. Sino a quel momento ero vissuto nudo fra i nudi ed i corpi delle persone conservavano per me una sorta di pri-mordiale innocenza, né avevo mai provato una benché minima ec-citazione alla vista di tanti corpi senza veli. Gli abiti che s’indossano al giorno d’oggi, invece, non fanno che mettere in evidenza quelle parti del corpo che si afferma di voler nascondere per decenza.

cammo nel vicino paese per degli acquisti e per recarci entrambi dal parrucchiere. Non ero mai uscito dal villaggio vacanze se non per le lezioni di guida e avevamo sempre percorso solamente stradine deserte che si addentravano nei boschi circostanti. Questa volta ci trovammo a percorrere una strada più grande. Dìdele stava al vo-lante. Viaggiammo ad una velocità decisamente superiore a quella cui ero abituato. Incontro a noi sfrecciavano altri veicoli e all’inizio ero spaventato dal rumore che facevano quando li incrociavamo. Vi erano, oltre alle automobili, grandi e lunghi carri montati su sei, otto, a volte dieci enormi ruote. A volte erano aperti e portavano per lo più della terra, altre volte erano chiusi da un telo o non erano altro che un enorme cassone. Incrociammo un altro grande carro intera-mente contornato da vetri, all’interno del quale viaggiavano molte persone: saranno state più di cinquanta. Vi erano anche dei veicoli simili alle biciclette ma senza pedali, con un motore e con le ruote più spesse. Erano velocissime e facevano un gran rumore. Non osa-vo pensare che cosa sarebbe successo alla persona che le cavalcava se a quella velocità fosse caduta o avesse urtato un altro veicolo. Ad un certo punto voltammo a destra e dopo qualche centinaio di metri trovammo la strada sbarrata da due grosse pertiche poste trasver-salmente alla strada. Tra le due, sul terreno, correva un binario di ferro; al di sopra, sorretto da una serie di pali che si perdevano alla vista nelle due direzioni, riconobbi i fili che trasportavano l’elettri-cità. Questi fili corrono ovunque. Li si trova ai lati delle strade, in mezzo ai boschi, tra casa e casa. Attendemmo qualche minuto. Si udì un fischio in lontananza e dopo un po’, con un gran fragore, sul binario sfrecciò ad una velocità impressionante una serie di enormi e lunghissime carrozze legate l’una all’altra. Riconobbi lo stesso mezzo di locomozione di cui ave-vo sentito parlare da un mio amico inglese. Aveva suscitato molto scalpore, quando era stato inaugurato, nel 1738 a Whitehaven. Si trattava certamente di un tramway, solo che era composto di tante carrozze e naturalmente non era trainato da cavalli, ma traeva la pro-pria forza dai fili elettrici. Su ogni carro, mi disse Dìdele, c’era posto per cento persone, ed il treno, com’è oggi chiamato, era formato da almeno trenta carrozze. Ci avrebbero comodamente trovato posto

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usciva una musica assordante, dalle grida dei bambini che giocavano sulla sabbia e dal rumore che mandavano i motori di strane barche che si cavalcavano come le motociclette che avevo appena visto sulla strada, le quali sfrecciavano un poco al largo a folle velocità. A sten-to si udiva il rumore del frangersi delle onde sulla battigia. In lontananza una barca velocissima trainava, ad un’altezza impres-sionante, un enorme aquilone a cui era appesa una persona. Un’altra barca, più vicino, trascinava una persona che si reggeva ad una lunga fune e che rimaneva, non so come, in piedi sull’acqua. Completava-no il panorama cinque o sei vele triangolari, alle quali stava aggrap-pata un persona in equilibrio non su uno scafo ma soltanto su una tavola galleggiante. « Questo è il modo di divertirsi per la maggior parte della gente, al giorno d’oggi. Una volta il mare e la campagna erano luoghi dove ci si ritirava per assaporare la solitudine e le bellezze del paesaggio. Oggi si vive tutti insieme in grandi città, da queste ci si sposta tutti insieme, per venire nei luoghi di vacanza a divertirsi tutti insieme. La gente richiama altra gente. La maggior parte di queste persone si annoierebbe se non si trovasse in mezzo alla folla » disse Dìdele con un sorriso. « La cosa che più mi ha colpito di quest’epoca, devo confessarlo, è il modo di vestire. Com’è avvenuto tutto ciò? » replicai. « Non è stato un fenomeno graduale. In effetti, fino ai primi anni del ventesimo secolo le parti del corpo da coprire, per uomini e donne, erano in pratica le stesse, e cioè tutte, eccetto la testa e le mani. Poi avvenne nella società un cambiamento sostanziale. Due grandi guerre, all’inizio e alla metà del secolo, insanguinarono il mondo. La tecnologia e quindi le fabbriche che producevano armi e le nuove invenzioni si svilupparono enormemente e le donne fu-rono costrette a sostituire gli uomini impegnati al fronte nel lavoro in fabbrica. Questo determinò gradualmente uno stravolgimento del ruolo che le donne avevano sempre avuto nel corso della storia, in cui erano sempre state relegate nella cura della casa e dei figli.Questo fatto regalò loro una cosa importantissima: l’indipenden-za economica. Grazie al lavoro ora la donna incominciava a gua-dagnare e a rendersi sempre più indipendente, anche nell’ambito

Le donne indossano brache molto aderenti che mettono bene in risalto i glutei; camice attillate e scollate per evidenziare il seno. È stato inventato un indumento particolare, che si chiama reggiseno, il quale, portato al di sotto degli abiti, mantiene il seno ben sollevato. In qualche caso è imbottito per farlo apparire più grande di quanto non sia in realtà. Quasi tutte le giovani donne, poi, portano camice o magliette molto corte che arrivano solamente al di sopra dell’om-belico e brache che arrivano appena al di sopra del pube, lasciando così scoperta parte della pancia e della schiena. Molte hanno bucato la pelle dell’ombelico ed infilato un anello. Al-tre, addirittura, lo hanno fatto sul naso, sul labbro inferiore e addi-rittura sulla lingua. Molto frequenti, su tutte le parti del corpo, sono anche i tatuaggi. È una questione di moda, mi ha spiegato Dìdele. Non si indossano più costumi caratteristici e diversi da paese a pa-ese. In tutto il mondo il modo di vestire è pressoché il medesimo. Grazie alla televisione ed ai giornali, che in pochissimo tempo pos-sono riferire e mostrare quello che accade in ogni parte del mondo, le persone possono conoscere il modo di vestire e uniformarsi nel modo ritenuto più conveniente. In una delle tante botteghe acquistammo uno strano indumento. Era quel che restava di un paio di brache al quale era stato tolto tutto ciò che non coprisse solamente i genitali ed il posteriore. « Si chiama costume da bagno » mi disse Dìdele. Ne comprò uno anche lei, ancora più succinto, assieme a due coppe di stoffa legate tra loro, che servivano a coprire i seni ed erano fissa-te con due cordicelle che si annodavano dietro la schiena. Ci recammo, nel pomeriggio, alla spiaggia che stava di fronte al pa-ese. Qui compresi quello che intendeva dire Dìdele, quando affer-mava che la differenza tra i tessili ed i naturisti è minima nel vestire. Una folla ammassata sulla sabbia, chiassosa e variopinta, tra i grandi ombrelli e le poltrone pieghevoli, popolava la spiaggia. Il variopinto era dato dai colori dei piccoli pezzi di stoffa dei costumi da bagno; tante donne stavano col seno scoperto poiché ne indossavano sol-tanto la parte inferiore, la quale, dietro, si riduceva solamente ad una sottile striscia di stoffa che passava in mezzo alle natiche. Il chiasso proveniva dal vociare delle persone, da una grande cassa dalla quale

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Vi sono miriadi di palestre grandi e piccole dove la gente paga per potersi muovere e giocare, per poter sudare e stancarsi. Inoltre l’ec-cesso di alimentazione è anche causa di molte malattie, le quali erano perlopiù sconosciute due secoli fa. Al contrario di quanto avveniva allora, essere grassi non è più la prerogativa delle persone agiate, ma è la condizione dei poveri. Il vero scandalo di questi tempi è dato dal fatto che un terzo dell’umanità muore letteralmente di fame ed un altro terzo si ammala perché mangia troppo. Trovo buffo il fatto di spendere denaro per mangiare troppo e poi di spendere altro denaro per dimagrire faticando ».« A quanto pare la saggezza non sopravviene automaticamente con l’istruzione! » risposi ridendo.

Tornammo a casa la sera, in tempo per la cena. Si era già fatto buio. La strada del ritorno appariva come un buio corridoio delimitato da due file di luci, bianche a destra e rosse a sinistra. Le rare automobili che ci venivano incontro erano due puntini luminosi che spuntavano all’improvviso, s’ingrandivano sempre più e ci abbagliavano nel ru-more che si udiva nel momento in cui le incrociavamo, per poi spa-rire dietro di noi. Una striscia bianca, ora continua, ora tratteggiata, era dipinta a metà della strada, dividendola così in due parti uguali. In certi momenti si aveva la sensazione di essere fermi e che fossero le luci e le linee tratteggiate sull’asfalto a muoversi verso di noi. Di fronte questo suggestivo spettacolo, a fianco di Dìdele che guida-va, stavo seduto sulla mia poltrona, comodamente appoggiato allo schienale. Il ronzio del motore ed i leggeri sobbalzi dell’automobile mi cullavano dolcemente. I pensieri correvano dentro la mia mente. Chi ero io? Cos’era questa mia mente di ottantaquattrenne rinchiusa nel corpo di un giovane uomo nel pieno della forza fisica? Solamen-te un insieme di ricordi? E che ne era della mia anima? Si era staccata definitivamente al momento della morte o risiedeva in questo nuovo corpo? Come saperlo, giacché non si è mai potuto stabilire che cosa è un’anima? Forse Dìdele un giorno mi metterà a parte di conoscen-ze che la sua gente avrà senz’altro raggiunto nella sua evoluzione… Nonostante avessi speso tutta la mia vita precedente nella ricerca della conoscenza, mi accorgevo che in questi giorni della mia nuova

familiare, dall’uomo. Questo processo si consolidò gradualmente e raggiunse il suo apice nella seconda metà del secolo, quando, in questa parte del mondo si sviluppò ancora di più l’economia ed il benessere. Le donne, con il loro lavoro, parteciparono attivamente alla vita sociale e, dopo molte lotte, riuscirono faticosamente a conquistare nuovi ruoli all’interno della società e la parità di diritti di fronte alla legge. Man mano che tutto ciò cresceva, la lunghez-za delle gonne diminuiva, assieme alle restrizioni sulla morale e sui costumi. Il corpo della donna non era più proprietà esclusiva dell’uomo. Si può così affermare che se la libertà di poter mostrare il corpo non è la causa dell’emancipazione femminile, sicuramente ne è l’effetto. La dimostrazione di ciò sta nel fatto che in molte cul-ture dove la donna non gode della libertà e dei diritti che possiede in questa, i vestiti la coprono ancora interamente come si usava nei secoli scorsi ». Trascorremmo quel che restava del pomeriggio passeggiando sulla spiaggia. In un punto dell’arenile si trovava una vasca dove molte persone, immerse nell’acqua fino al petto, imitavano i movimen-ti delle braccia e delle gambe che un’altra, sul bordo della vasca, eseguiva al tempo di una musica ancora più forte e martellante di quella che avevamo udito all’inizio della spiaggia. « Che stanno facendo? » chiesi a Dìdele. « Si chiama acqua gym, definizione ibrida di ginnastica in acqua » mi rispose. « A che serve? » chiesi ancora. « In questo mondo caratterizzato dalla sovrabbondanza alimentare non c’è più il problema di trovare di che nutrirsi, ma, al contrario, c’è quello di non farlo troppo abbondantemente. La parte animale di noi stessi ci spinge a riempirci a più non posso, poiché in natura il cibo è scarso e faticoso da procurarsi. Vincere questo istinto è molto difficile. Per questo motivo la maggior parte della gente ingurgita molto più di quanto non abbia realmente bisogno e perciò ingras-sa. I media, parola latina che, pronunciata in inglese, si usa oggi per definire i mezzi di comunicazione, impongono un modello di fisico molto magro e dato che il moto brucia energia e fa dimagrire, non appena possono, molti praticano qualche attività fisica.

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dietro la nuca. Volevo possederla subito, ma lei dolcemente mi re-spinse, e, fattomi mettere supino, cominciò a baciarmi sulla bocca, sulle tempie, dietro le orecchie, poi sul collo e infine, scendendo verso il basso, su tutte le parti del corpo. Poi si mise supina a sua volta, facendomi capire che desiderava la stessa cosa. Non so dire per quanto tempo continuammo così. La mia eccitazione era salita all’inverosimile, quando finalmente mi portò sopra di sé. Iniziammo un amplesso la cui irruenza a stento, guidato dalle parole che mi sussurrava all’orecchio, riuscivo a dominare. Era lei, e non io, a con-durre il gioco. Se mi sono permesso di scendere nella descrizione di questi particolari è solo perché avvenne una cosa straordinaria. Raggiungemmo insieme l’orgasmo, ed in quel momento sentii le sue braccia che si incrociavano con forza dietro il mio collo, co-stringendo la mia fronte a restare attaccata alla sua. Mi sentii come paralizzato, mentre un calore, partendo dall’inguine, pervadeva tutto il mio corpo. Il piacere fisico provocato dall’orgasmo si trasformò in una sensazione di leggerezza che mi dava l’impressione di essere senza peso. Avevo l’impressione di non possedere più un corpo, ma di essere uno spirito che fluttuava nell’aria. Non udivo e non vedevo nulla intorno a me se non un chiarore che diventava sempre più intenso, fino a trasformarsi in un luce accecante. Udivo il suono celestiale e continuo di armonie sconosciute. Poi ci fu un’esplosione di colori che si muovevano in tutte le direzioni intorno a me e fra le quali mi libravo leggero come all’interno di un caleidoscopio. Un senso di benessere e di felicità mi pervase. L’estasi. Avrei voluto flut-tuare in quest’universo all’infinito. Non so dire per quanto tempo ci rimasi. Poi, gradatamente, i colori cominciarono ad affievolirsi, fino a che mi ritrovai dapprima nella penombra e poi nel buio più com-pleto. Pian piano sentivo il mio corpo che si materializzava, il mio respiro che diventava affannoso, mentre una sensazione di paura mi attanagliava. Aprii gli occhi, mi sollevai di scatto e vidi Dìdele che mi sorrideva. « Che cosa è successo » le chiesi ansimando. « Abbiamo fatto l’amore. Non lo ricordi? » « Sì, questo lo ricordo, ma poi cosa è successo? » le chiesi ancora. « Nella nostra specie l’evoluzione ha portato l’atto sessuale ad un

vita la cosa che mi interessava di più era godermi le meravigliose sensazioni che questo mio corpo mi dava. Poter correre, giocare, assaporare la fresca carezza dell’acqua sulla pelle, la calda luce del sole che riscalda le membra, quando, usciti dall’acqua, ci si distende sulla sabbia. Ma soprattutto, e ne ebbi l’improvvisa consapevolez-za, mi interessava lei. Sì, ne ero innamorato. Stavo incominciando a conoscere un mondo meraviglioso, ed invece di smaniare per uscire a vederlo con i miei occhi, in questo momento ero contento di ri-tornare a rinchiudermi con lei nella nostra casetta. Avevo reclinato leggermente lo schienale ed avevo il capo appoggiato al poggiatesta. Mi voltai verso di lei. La guardai. Era bellissima, con quel taglio di capelli un poco mascolino. Anche lei si voltò verso di me. Chiusi subito gli occhi, fingendo di dormire. Rimasi così per un po’, poi, timidamente, li riaprii, per poterla contemplare ancora. Lei si girò di scatto, cogliendomi sul fatto. Ci mettemmo a ridere entrambi. Questa volta, però, la mia risata era alquanto imbarazzata. Quella sera stessa, cenando, cercai invano di far convergere l’argomento della conversazione su noi due. Ero troppo impacciato. Cosa avrei potuto dirle di me che lei già non conoscesse? Cosa avrei potuto dire di lei che non apparisse per forza banale? Dopo la cena restammo in casa. Dìdele si mise a sfogliare alcuni giornali che avevamo com-prato durante il giorno. Io mi misi a guardare la televisione. Dopo un po’ lei andò a dormire. La raggiunsi e mi coricai, come sempre, accanto a lei. Sembrò addormentarsi quasi subito. Io, invece, non riuscivo a prendere sonno. La guardavo, mentre udivo il suo respi-ro. Furtivamente stesi la mia mano e la passai sopra i suoi capelli, sfiorandoli e immaginando di accarezzarli. Il lenzuolo la ricopriva solamente fino alla vita, lasciandole il seno scoperto. Timidamente le sfiorai anche quello. Improvvisamente anche la sua mano si mosse andando a stringere la mia, e, dopo una breve esitazione, allentò la presa e la abbassò dolcemente sul seno. Poi si girò verso di me e con l’altra mano accarezzò i miei capelli. In un attimo mi trovai stretto a lei. La stringevo e la baciavo con passione, mentre sentivo le sue mani che dalla nuca scendevano ad accarezzarmi la schiena e poi, ancora più in basso, stringevano i miei fianchi, serravano i glutei con le unghie e poi ancora risalivano per accarezzarmi voluttuosamente

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in riva al mare, guardava nella mia direzione. Era abbronzato su tut-to il corpo, eccetto in quella parte normalmente ricoperta dal co-stume da bagno. Mi era già capitato di vedere qualcuno abbronzato in questo modo; solitamente si trattava di qualche tessile che veniva a provare il naturismo. Lo trovavo molto buffo e, toccando Dìdele sulla spalla, mentre stava distesa al sole accanto a me, dissi: « Guarda, c’è un altro culo pallido » così chiamavamo scherzosamente le persone abbronzate in quel modo. Lei si sollevò e lo guardò. Invece di sorridere si fece scura in volto. « Che cosa succede? » le chiesi. « Conosco quell’uomo. Fai finta di niente, non guardarlo. È meglio che non si accorga che lo abbiamo notato. Restiamo ancora un poco per non destare sospetti; appena possibile dovremo andarcene im-mediatamente ».« Che cosa significa tutto ciò? » chiesi stupito. « È troppo lungo da spiegare. Per il momento significa una sola cosa: dobbiamo andarcene di qui al più presto » « Al più presto? »« Questa notte stessa! ».

Abbiamo trascorso la restante parte della giornata chiusi in casa, mentre Dìdele, visibilmente preoccupata, scostando le tendine della finestra, di tanto in tanto scrutava la strada. Ho approfittato di que-sto tempo, in cui forzatamente ho dovuto rimanere qui, per scrivere questa seconda lettera. Questa notte ce ne andremo; non porteremo nulla con noi, se non pochi abiti, il denaro e i documenti. Porte-rò con me soltanto queste due lettere che ho scritto. Avrei voluto portare anche i libri, ma Dìdele ha detto che non è necessario; ce ne procureremo degli altri. Questa sera usciremo per cenare al ri-storante, come se nulla fosse, sperando che chi ci segue sia tratto in inganno. La notte prenderemo sull’automobile per recarci verso una destinazione a me ancora ignota. Ho chiesto a Dìdele dove eravamo diretti, ma mi ha risposto che, per il bene di tutti, era meglio che non lo sapessi fino al momento in cui non vi fossimo giunti. Il saperlo avrebbe potuto mettere a repentaglio la sicurezza nostra e dei Fratel-li. Inutile dire che non mi ha detto nulla su chi siano questi Fratelli,

livello superiore. Non c’e più soltanto il piacere fisico dato dall’or-gasmo, ma, innescato da questo, quando le onde celebrali si incon-trano sulla stessa frequenza, stimolano nel cervello un abbondante rilascio di endorfine, sostanze che agiscono come una droga la quale provoca una forte sensazione di piacere » mi rispose. Rimasi senza parole. Provai un senso di delusione. Quello che mi era accaduto non era altro che un fenomeno fisico causato da un processo fisiologico che un essere di un’altra specie era in grado di provocare in me. Forse avevo sperato, nel mio intimo, che in tutto ciò ci fosse stato qualcosa di spirituale, qualcosa che trascendesse la fisicità dei corpi, qualcosa che riguardasse in qualche modo i senti-menti. Dov’era l’amore? Mi accorgevo che ogni cosa che scoprivo di questo mondo si rivelava sempre, alla fine, qualcosa di materiale. Ma era stato comunque bellissimo, ed il fatto di avere in quel momento Dìdele stretta tra le mie braccia mi fece rapidamente buttare dietro alle spalle ogni pensiero spiacevole. Mi addormentai così, abbraccia-to a lei, come un ragazzo che aveva fatto per la prima volta all’amo-re. Il mattino dopo, svegliandomi, la trovai già alzata, intenta a pre-parare la colazione. Mi alzai dal letto, andai verso di lei e l’abbracciai. « Ti ho amato dal primo momento in cui ti ho vista” le dissi. « Amore è una parola grossa e una persona della tua età dovrebbe riflettere bene prima di pronunciarla » mi rispose con un serio tono di voce che non seppi interpretare.« Certamente sono vecchio, ma solo d’esperienza. Di giovane pos-siedo soltanto questo corpo, e questa mi pare un’ottima qualità » ri-sposi cercando di riportare la conversazione ad un livello più brioso. « Non conosci ancora nulla di me ed entrambi non sappiamo anco-ra quanto tempo potremo trascorrere insieme. Viviamo questi mo-menti giorno per giorno, senza pensare al domani » mi rispose in tono ancora più serio. Aveva ragione. Cosa potevo pretendere, ma soprattutto cosa potevo offrile io, che da lei dipendevo in tutto e per tutto?

Oggi pomeriggio, un’oretta dopo aver terminato il pranzo, ci siamo recati alla spiaggia. Ero come sempre intento a leggere sotto l’om-brellone, quando, alzando gli occhi, vidi un uomo che, camminando

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Terza lettera

Torino, 25 settembre 2004

Mio caro e sconosciuto lettore, non avrei mai pensato di trovarmi a dover fuggire un’altra volta. A quanto pare questa situazione è desti-nata ad essere ricorrente nella mia vita. In più, questa volta, non so neanche da chi e da cosa mi sto nascondendo, ma, a quanto pare, la situazione è seria. Da tre settimane siamo rinchiusi in questo piccolo centro naturista immerso tra i boschi che ricoprono le colline situate a pochi chilometri dalla città di Torino. Sarai curioso di sapere come e perché siamo giunti qui: ti accontenterò subito.

Quella notte uscimmo dalla nostra casetta fra gli alberi portando con noi solamente due piccole borse. Ci avviammo con l’automo-bile. Dopo circa un’ora, raggiungemmo una strada molto grande, chiamata autostrada, per transitare sulla quale è necessario pagare. All’entrata, senza dover scendere dall’automobile, si ritira un bigliet-to che da solo esce da una fessura di una macchina; all’uscita lo si consegna ad una persona che calcola il prezzo da pagare in base alla distanza che si è percorsa. Queste strade sono molto larghe, con due, tre, talvolta quattro corsie per ogni senso di marcia e divi-se in due da una barriera composta da varie strisce di metallo che corrono parallele l’una sull’altra. Sono recintate ai lati e non si può uscirne, neanche a piedi, se non imboccando delle strade laterali che si trovano solamente in prossimità di punti prestabiliti, distanti molti

ma credo di aver intuito una cosa: non me ne sono mai accorto, ma non sono mai stato solo nella mia esistenza.

Quid dem? Quid non dem?Renuit tu quod jubet alter. Cosa devo darti? Cosa devo non darti? Tu non vuoi ciò che gli altri pretendono.

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Dopo aver riempito il serbatoio di benzina ci appartammo in un luogo riparato dell’area, e poi, reclinati gli schienali delle poltrone dell’automobile, dormimmo un paio d’ore. Ci svegliammo quando già stava albeggiando. Ci rimettemmo in viaggio. L’autostrada era pressoché deserta.« Devo chiederti una cosa che ha sollevato in me più di un interro-gativo » chiesi a Dìdele.« Ti ascolto” mi rispose. « A che distanza dalla Terra si trova il mondo da cui provieni? ».« Non molto distante, in termini spaziali. Una trentina d’anni luce in direzione della Proxima Centauri ». « Se la teoria di Eistein è esatta, devi aver viaggiato non meno di trent’anni, allora”« Le cose non stanno così. Noi viaggiamo utilizzando la curvatura dello spazio-tempo, o nell’iperspazio, come lo si definisce oggi. In pratica – questo è un concetto che la mente umana può solo calco-lare, ma non comprendere – disponendo di una grande quantità di energia, si può curvare lo spazio-tempo e avvicinare due punti di-stanti fra loro. Per esempio: immagina due punti posti alle estremità di un foglio. Tra loro vi è una certa distanza. Il foglio rappresenta lo spazio-tempo. Finché il foglio è disteso, per andare da un punto all’altro, bisognerà percorrere la lunghezza del foglio. Piegandolo, invece, i due punti si avvicinano e, viaggiando direttamente da un punto all’altro senza percorrere il foglio, si coprirà una distanza mi-nore. La linea tra i due punti è l’iperspazio” “Quanta energia occorre per compiere un tale viaggio? ”.« Moltissima. All’incirca equivalente a quella che questo pianeta con-suma nell’arco di un anno ».« E qual’ è la fonte da cui viene tratta? ».« Mediante la fusione nucleare di pochi chilogrammi di una par-ticolare materia. Gli atomi di cui è composta questa materia ven-gono trasformati in energia con un processo di fusione nucleare controllata. Sulla Terra la tecnologia del nucleare è solo agli inizi. Incominciò sessanta anni fa alla fine della seconda guerra mondiale, con due belle bombe fatte esplodere sul Giappone, che causarono in tutto mezzo milione di morti tra la popolazione civile. Poi venne

chilometri tra loro. Dìdele era silenziosa; di tanto in tanto control-lava nello specchietto retrovisore se qualche automobile ci stesse seguendo. Ad un certo punto ruppe il silenzio e disse: « Ci fermeremo per una breve sosta e poi ci riposeremo cercando di dormire un po’ ».Dato che ai lati di queste strade è proibito sostare, ci fermammo in una delle tante aree attrezzate al proposito, nelle quali, oltre alle pompe che erogano la benzina che si introduce nell’automobile per poter viaggiare, si trovano i bar ed i ristoranti, come vengono chia-mate oggi le locande. Entrammo nel bar per bere qualcosa. All’in-terno c’era una porta che dava accesso al luogo dove poter soddisfa-re i propri bisogni corporali. Viene chiamato “toilette”. Entrai. C’erano alcune cabine, all’interno delle quali si trovavano le apposite seggette. Di fronte, sul muro, stava una fila di rettangoli in pietra bianca posti in verticale, separati fra loro da piccole sporgenze dello stesso materiale. Mi avvicinai incuriosito. Quando fui molto vicino, l’acqua si mise a fluire da sola dalla sommità dei rettangoli. Compresi, anche dall’odore, che erano degli orinatoi. C’erano anche le vaschette al di sopra delle quali si trovano le fontanelle da cui esce l’acqua per lavarsi le mani. Non trovavo però il meccanismo me-diante il quale si fa sgorgare l’acqua. Lo cercai invano e quando misi le mani sotto al tubo dal quale l’acqua sarebbe dovuta uscire, questa si mise a defluire da sola. Allontanai le mani ed il flusso si arrestò. Ripetei divertito l’operazione un po’ di volte. Mi soffermai un po’ ad osservare il tutto e poi scossi la testa. È vero che in questo stra-no mondo si cerca di limitare al massimo la fatica umana, ma tutto questo mi pareva decisamente esagerato. Poi uscimmo per ritornare all’automobile. Fummo costretti a percorrere un lungo tragitto fra banchi e scaffali ove era esposto ogni tipo di merce, per poi arrivare alla stessa porta dalla quale eravamo entrati. Anche questo mi pareva decisamente fuori posto. Lo feci notare a Dìdele, la quale, riacqui-stando per un momento il suo abituale sorriso, mi rispose:« Non è un errore; tutto questo è progettato espressamente per farti passare davanti a tutta questa merce, allo scopo di tentarti in qual-che acquisto. Sono pochi quelli che riescono ad entrare in un posto come questo riuscendo ad uscirne senza aver acquistato qualcosa ».

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palazzi, se così li si può definire. Grandissime costruzioni a forma di parallelepipedo, perfettamente squadrate e con tantissime finestre vicinissime tra loro, simili ad enormi alveari, si stagliavano all’oriz-zonte in direzione del mare. Se Palladio o Michelangelo li avessero visti non li avrebbero cer-tamente apprezzati. Ma ciò che più mi colpì fu il dover constatare come le foreste, che ai miei tempi ricoprivano quasi interamente queste terre, erano scomparse. Radi alberi, prati, campi coltivati, qualche rara mandria di bestiame, si aprivano allo sguardo in ogni di-rezione. Era ormai trascorso mezzogiorno, quando giungemmo alla fine dell’autostrada. Il traffico si era fatto meno intenso; ci fermam-mo ancora nell’ultima area di sosta per pranzare e riposare un poco. Proseguimmo poi per la strada normale in direzione della cittadina di Gap. Vi ero già stato in un precedente viaggio, nel 1764. Con mia gran sorpresa, il lago costeggiato dalla strada alcuni chilometri più a monte, sbarrato da una diga, era cresciuto enormemente. Chiesi a Dìdele il perché. Rispose: « In queste zone alpine è una cosa molto frequente. Le acque del lago soddisfano il fabbisogno idrico di buona parte della costa sud della Francia ed in più, racchiuse in enormi tubi, scendo-no a valle con gran velocità, facendo funzionare le macchine che producono elettricità. Per produrre elettricità si può anche utilizzare il calore ottenuto dalla combustione del carbone o del petrolio e, come ho già detto, anche quello che si ottiene con l’energia nucleare; quest’ultima è la più conveniente dal punto di vista economico, ma solo nell’immediato. Non si conosce ancora, infatti, quanto costerà, fra qualche decina d’anni, smantellare queste centrali; il residuo del combustibile nucleare rimane ancora pericolosissimo e addirittura mortale per decine di migliaia di anni e deve perciò essere stipato in depositi sotterranei il cui costo di realizzazione è addirittura superio-re a quello della centrale stessa ».La strada proseguiva poi attraverso la valle, costeggiando a tratti il fiume Durance e pian piano salendo sempre più di quota, fino a raggiungere la cittadina di Briançon. Da qui, dopo un breve tratto, s’inerpicava fino al valico del Monginevro, dove oggi è posto il con-fine con l’Italia. Vi giungemmo nel tardo pomeriggio. Ancora non

impiegata per scopi pacifici, per produrre energia elettrica, con roz-ze centrali atomiche i cui guasti, nel tempo, causarono qualche altro migliaio di morti. Nel frattempo le armi atomiche si erano evolute a tal punto che al confronto le prime due bombe non erano che due grossi petardi. Il possesso della tecnologia del nucleare è molto costoso e all’inizio fu prerogativa solamente delle grandi potenze economiche. Oggi, percorrendo la strada inversa, gli stati più piccoli passano dal nucleare pacifico al nucleare per uso militare e tutto ciò rappresenta un notevole pericolo per l’umanità ».« In che senso? ».« Una guerra nucleare determinerebbe sicuramente la fine della vita sulla Terra, poiché gli effetti delle esplosioni atomiche si propaghe-rebbero per tutto il pianeta causando la morte d’ogni essere vivente. Eppure tutto ciò, per assurdo, è stata la causa di sessanta anni di relativa pace in Europa e nel mondo industrializzato. La garanzia che questo tipo di guerra avrebbe causato la distruzione reciproca dei contendenti, ha obbligato tutti a desistere da ogni tentativo di aggressione ».Pensai a quello che Dìdele mi aveva appena detto. È una triste pace quella tra due contendenti che sono seduti di fronte, ognuno su un barile di polvere da sparo e con una torcia accesa in mano, minac-ciando di farsi saltare entrambi in aria. Viaggiammo ancora per al-cune ore. Man mano che il tempo passava l’autostrada si affollava sempre più. Ad un certo punto fummo costretti a fermarci. Davanti a noi, ferme sulla strada, due file d’auto che si perdevano a vista d’occhio, ci impedivano di proseguire. Restammo fermi per una de-cina di minuti. La marcia proseguì poi, per più di due ore, con brevi tratti di strada percorsi molto lentamente e lunghe soste sull’asfalto sempre più arroventato dal sole. « Il solito ingorgo di fine stagione! » disse Dìdele. Mi spiegò che questa era una cosa normale, all’inizio e alla fine dei periodi estivi, quando è tempo di vacanza. Le troppe automobili sulle strade sono la causa quest’evento. Mi faceva sorridere l’idea di questi meravigliosi mezzi di trasporto in grado di viaggiare a velocità folli, costretti a procedere al passo di un vecchio ronzino. Dall’au-tostrada vidi anche in lontananza le case di alcune città, o meglio i

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Dopo qualche chilometro di strada normale imboccammo un’altra autostrada, la quale scendeva a valle, ora attraversando le viscere delle montagne con enormi e lunghissime gallerie, ora percorrendo altissimi ponti. Chiesi a Dìdele quanto tempo era occorso per rea-lizzare una tale ciclopica opera. Mi rispose, con mio grande stupo-re, che era bastata una decina d’anni! Dopo circa un’ora di viaggio giungemmo a destinazione. Il posto dove ci saremmo fermati era un altro piccolo sito naturista, posto nelle vicinanze della città di Torino. Arrivammo davanti al cancello d’ingresso e suonammo il campanello. Poco dopo ci fu aperto e fummo accompagnati verso la casetta adibita alla ricezione, nei pressi della quale assistei ad una scena a dir poco curiosa. Un uomo, che pareva arrabbiatissimo, in-veiva all’indirizzo di alcune persone; queste non gli rispondevano, ma, visibilmente imbarazzate, si limitavano ad annuirgli o a rivolgere lo sguardo altrove. Entrammo in una stanza per registrare il nostro ingresso e per farci assegnare una casetta dove avremmo alloggiato. Uscimmo dopo qualche minuto, accompagnati dal signore che ci aveva aperto all’entrata, per avviarci verso la nostra sistemazione, mentre l’uomo al di fuori della porta aveva continuato a sbraitare per tutto il tempo. Chiedemmo al nostro accompagnatore che cos’e-ra accaduto, ed egli, sorridendo e scuotendo il capo, ci disse di non preoccuparci. L’ uomo che sbraitava era il padrone del campeggio; non era veramente arrabbiato e neanche pazzo, ma solamente un po’ esaurito per il troppo lavoro. Mentre ci sistemavamo nella nostra casetta in legno, un bungalow, come viene chiamato, pensando a quel signore che gridava, chiesi a Dìdele che cosa vuol dire essere esauriti. « Esaurito è un termine che oggi non si usa più. Si preferisce usare il termine depresso. È una delle malattie caratteristiche di questi tempi. Quando si lavora troppo, non tanto sul piano fisico, ma su quello della tensione derivante dalle responsabilità e da un ritmo di lavoro eccessivo, l’organismo umano reagisce. Si perde il sonno, sorgono molti disturbi di carattere fisico; la mente non è più in grado di percepire correttamente la realtà ed anche i più piccoli problemi appaiono ingigantiti a dismisura. Si può arrivare così a delle forme di vera e propria pazzia ».

riuscivo a capacitarmi del fatto che solo all’alba di questo giorno mi trovavo sulla costa del mare vicino Bordeaux e all’imbrunire stavo varcando le Alpi, senza essere minimamente stanco per il viaggio, ma addirittura desideroso di scendere dall’automobile per sgran-chirmi un po’ le gambe. Arrestammo perciò la nostra marcia una volta giunti sul colle. Scendemmo dall’auto. Vi erano molte case, ma il paese era pressoché deserto. Sulle montagne intorno a noi, a varie quote, i boschi di conifere erano interrotti da ampie radure che scendevano come enormi strade fino a valle. In mezzo o vicino a queste radure salivano numerose file di tralicci di ferro perfettamen-te allineati che sorreggevano, su ogni lato, una fune alla quale erano appese, a distanza regolare, delle seggiole. « A che servono? » chiesi a Dìdele. « Sono degli impianti di risalita. Ora sono fermi, ma quando, in in-verno, la montagna è ricoperta dalla neve, due enormi ruote poste all’inizio ed alla fine della linea dei pali, fanno muovere la fune. Si sale sulle seggiole per essere trasportati in alto ».« A quale scopo? » chiesi. « Per ridiscendere subito a valle scivolando sulla neve, con i piedi fissati a due appostiti attrezzi, a forma di asse, chiamati sci, o ad uno solo, più largo, chiamato tavola. Il tutto per puro divertimento. Ci sono anche gli sci da fondo, con i quali non ci si avvale degli impianti di risalita, ma si percorrono lunghi tratti pianeggianti spingendosi con la forza delle gambe e, impugnando due pertiche, anche delle braccia ».Indubbiamente, pensai fra me, è una stranezza di quest’epoca. Per divertirsi la gente va nei posti caldi quando fa molto caldo e nei po-sti freddi quando fa molto freddo. Varcammo poi il confine senza alcuna formalità. Addirittura non c’era alcun posto di blocco. In quest’Europa, benché ogni Stato mantenga la propria sovranità, se ne possono varcare liberamente i confini. Vi è addirittura un’unica moneta, chiamata Euro. Ancora un paio d’ore ed avremmo raggiun-to la nostra destinazione, ai piedi del versante italiano delle Alpi. Ripensai al viaggio che avevo appena compiuto. Dell’epoca nella quale ero vissuto in precedenza, non restava quasi più nulla, se non le chiese e le rovine delle piazzeforti costruite da Vauban.

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come lo sono il legno e l’acqua. Fino a poco tempo fa queste fonti parevano inesauribili, o perlomeno non ci si poneva il problema di quanto sarebbero potute durare. Ora, però, incominciano a scarseg-giare. Le riserve di petrolio sono ancora consistenti, ma la domanda cresce sempre più poiché paesi come la Cina e l’India si stanno svi-luppando enormemente. Le grandi foreste che forniscono legname si sono assottigliate e le falde acquifere di tutto il mondo si stanno esaurendo. Persino l’acqua dei fiumi incomincia a scarseggiare, al punto che i grandi mari interni come il Mar Caspio ed il Lago D’A-ral hanno ridotto enormemente la loro superficie. Le emissioni di sostanze nocive nell’aria, nonché l’emissione di anidride carbonica, come risultato dei processi industriali della produzione di tutti i beni di consumo, hanno portato ad un riscaldamento dell’atmosfera del pianeta, il quale determina lo scioglimento dei ghiacci dei poli, con il conseguente innalzamento del livello dei mari, l’intensificarsi della potenza e del numero degli uragani e di tutti i fenomeni di maltem-po in genere. Per ultimo, ma non per questo meno rilevante, tutto ciò è stato causato finora da un terzo dell’umanità; immagina cosa succederà ora che gli altri due terzi, molto più rapidamente di quan-to ci abbia impiegato il primo, si stanno avviando a percorrere la stessa strada ».Ero attonito. Chiesi ancora: « Che cosa succederà? ».« Le prime guerre si combattevano per l’oro. Oggi si combattono per il petrolio e già si incomincia a combatterle per l’acqua. Di que-sto passo le prossime si combatteranno per l’aria da respirare. Gli uomini si uccideranno l’un l’altro per accaparrarsi le ultime ri-sorse del pianeta, incapaci di arrestare questo sistema economico basato sulla crescita della produzione e sullo spreco. Si avvereran-no le parole di Alce Nero, uno di quei selvaggi senza cultura che a torto disprezzi, il quale diceva: “Solo quando l’ultimo animale sarà stato cacciato, solo quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, solo quando l’ultimo pesce sarà stato pescato, solo quando l’ultima fonte sarà stata avvelenata, l’uomo bianco si accorgerà che i soldi non si possono mangiare” ».« Come è possibile che la gente, la quale peraltro oggi è molto

Una volta finito di sistemarci Dìdele chiamò con il cellulare una per-sona che avremmo dovuto incontrare. Era il dottor Krast. In quel momento si trovava anch’esso, con la moglie, nel centro naturista, o meglio nel club, com’è definito al giorno d’oggi adoperando una parola inglese, benché ci si trovi in Italia. Apparteneva allo stesso mondo da cui proveniva Dìdele, la quale mi mise a parte di altri particolari che riguardavano la presenza della sua gente sulla Terra. Erano in molti, in incognito, sparsi per le varie nazioni. Il loro com-pito era di preparare questo mondo alla grande trasformazione che presto si sarebbe compiuta ed a cui l’umanità sarebbe inevitabilmen-te andata incontro. Chiesi a Dìdele: « Da quanto tempo siete presenti sulla Terra? ».« Da quando la grande trasformazione ha avuto in inizio. Più o meno da due secoli » mi rispose.« E cosa è successo in questi ultimi due secoli? ».« Già nel quattordicesimo secolo in Europa apparvero le prime armi da fuoco, le quali, lentamente, cominciarono ad evolversi. Nei secoli successivi fu necessario sviluppare le scienze matematiche per calco-larne la potenza e la precisione, la chimica per fornirle di polveri da sparo più potenti e nuove leghe di metallo per cannoni sempre più efficienti. Navi da guerra sempre più grandi e potenti garantivano il predominio dei mari ed il controllo sulle nuove terre di là dell’ocea-no che le ultime scoperte geografiche avevano regalato all’umanità. Nel diciottesimo secolo s’impararono a sfruttare nuove forme di energia, come il vapore, l’elettricità ed infine il petrolio; i commerci si svilupparono enormemente e nel diciannovesimo secolo nacque la civiltà industriale. Nacquero i treni, le auto e le macchine che da sole svolgevano il lavoro di centinaia di persone. Vi era sempre meno il bisogno di sfruttare l’energia dell’uomo e degli animali poiché al loro posto stavano ora grandi macchine che fornivano abbondanti quantità di lavoro a basso costo. Nell’ultimo secolo del millennio, poi, questi fenomeni crebbero in maniera esponenziale. Due grandi guerre causarono decine di milioni di morti, ma lasciarono dietro di sé grandi progressi nella scienza e nella medicina. Il fatto di non sfruttare le forze della natura per far muovere le macchine è, però, soltanto un’illusione. Anche il petrolio è un prodotto della natura,

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Stati come l’Italia o la Francia spendono, per i loro eserciti e le loro armi, qualcosa come tre milioni di Euro ogni ora. Meno della metà di quello che si spende nel mondo per gli armamenti, basterebbe a can-cellare i problemi della fame e della miseria di tutta l’umanità ».« Nessuno Stato ha provato sinora a cambiare questo stato di cose, per il benessere dei cittadini e del mondo intero? » chiesi. « I problemi che si verificherebbero nel realizzare tutto ciò sono molto grandi. Prima di tutto vi è un ostacolo di carattere culturale. Lavorare meno vorrebbe dire avere molto tempo libero a disposizione. La mag-gior parte della gente non saprebbe che farsene. È abituata a spendere quel poco di tempo libero che ha, dopo cena, davanti alla televisione, per lo più addormentandosi dopo dieci minuti. Preferisce avere più sol-di invece che più tempo. Non si rende conto che per godersi veramente il denaro non è sufficiente possederlo: bisogna anche spenderlo. Ma il problema maggiore è dato dal fatto che le economie e gli scambi delle merci in tutto il mondo sono fortemente connessi tra loro. Lo Stato il quale da solo volesse attuare questo cambiamento andrebbe sicuramen-te incontro alla rovina. Il vero problema sta nel fatto che non è possibile cambiare se non tutti assieme. Ed infine vi sono ancora le Multinazionali, presenti in diversi Stati e con un forte controllo sul potere politico, le quali hanno interesse che le cose non cambino. Capirai meglio tutto ciò quando studierai a fondo l’economia ».

Nel frattempo eravamo giunti presso la piazzola del dottor Krast. In questo piccolo sito naturista gli ospiti, oltre che nei pochi bunga-lows, erano alloggiati per lo più in una specie di carrozza montata su due ruote, dotata, al suo interno, di tutte le invenzioni di una casa moderna; è chiamata roulotte e la si può trainare con una normale automobile. Altri erano alloggiati in tende dalle forme più diverse. Lo trovammo intento a posare, aiutato dalla moglie, che si chiamava Arual, delle grosse pietre di forma allungata lungo il perimetro che delimitava la sua piazzola. Ci vennero incontro; mi strinsero la mano presentandosi, poi abbracciarono calorosamente Dìdele. « Quanto tempo è passato! Non vedevo l’ora! » disse il dottor Krast. « Sono contenta anch’io di rivederti, anche se speravo di farlo in un’occasione migliore » gli rispose.

più istruita di due secoli fa, non si renda conto di tutto ciò? ».« Hai avuto modo di constatare, leggendo il libro La scimmia nuda, quanto in realtà l’uomo così detto moderno in realtà non sia altro che un primitivo. La sua natura lo spinge a sfruttare l’ambiente circo-stante il più possibile, accumulando il massimo possibile di risorse. Ragioni genetiche di sopravvivenza lo hanno sempre spinto ad agire così. Il problema è che oggi è diventato troppo potente e numeroso. Presto le risorse non basteranno più. Inoltre, tanti moderni Pangloss dell’economia, lo convincono che questo è il migliore dei mondi possibili e che non se ne può immaginare uno che possa funzionare in modo diverso. Ormai la gente non saprebbe più rinunciare ad un sacco di cose che in fondo sono inutili, per mantenere le quali è disposta a lavorare sempre più. Ti faccio un piccolo ma efficace esempio: oggi una persona dal reddito medio impiega all’incirca l’e-quivalente di due ore del proprio lavoro quotidiano per le spese oc-correnti all’acquisto ed al mantenimento della sua automobile. Non possedendola potrebbe quindi lavorare due ore in meno. Una decina di minuti di lavoro al giorno di tutti i lavoratori, poi, sarebbero suf-ficienti per contribuire ad un servizio pubblico senz’altro migliore e più efficiente di quello attuale, dato che il traffico cittadino non sarebbe ostacolato da un numero eccessivo di automobili ».« E cosa farebbero gli operai che lavorano per produrre le automo-bili? » domandai.« Mi pare ovvio. Andrebbero ad aumentare il numero di lavoratori disponibili, e, in un sistema economico dove si produce meno, per-metterebbero a tutti di lavorare ancora meno » fu la sua riposta. Poi continuò: « Se poi si lavorasse soltanto per produrre ciò di cui si ha veramente bisogno, e cioè i servizi essenziali come la sanità, l’i-struzione, la cultura ed i trasporti, si razionalizzasse il sistema di di-stribuzione delle merci evitando tantissimi sprechi dovuti, per esem-pio, agli imballaggi ed alla pubblicità, invece di otto ore al giorno se ne potrebbero lavorare tranquillamente quattro. Si risolverebbero inoltre molti problemi legati all’inquinamento, migliorando contem-poraneamente la qualità della vita. Rinunciando inoltre a bruciare un sacco di risorse con le spese per gli armamenti che ogni Stato possiede, questo tempo si ridurrebbe ulteriormente. Pensa che due

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ristorante del Club. Seduto ad un tavolo c’era anche quel signore che avevamo incontrato al nostro arrivo; ora non gridava più, ma conversava affabilmente, come se nulla fosse accaduto, con le per-sone che gli sedevano accanto. Ebbi modo, durante la cena, di udire la sua conversazione, la quale, per quanto potei afferrare in que-sto parlare italiano moderno, non mi parve affatto banale. Le sue argomentazioni erano alquanto argute ed i suoi ragionamenti per nulla insensati. Peccato, pensai, che tanta intelligenza dovesse essere racchiusa in un così pessimo carattere. Dopo la cena ci attardammo ancora un paio d’ore seduti al tavolo del ristorante e poi nel locale vicino dove alcuni ragazzi si erano radunati per danzare al suono di questa musica moderna la quale sembra che non si possa ascoltare al di sotto di un certo volume a dir poco assordante. Devo confessare che comincio a trovarla molto fastidiosa. Prima di andare a dormire percorremmo le buie strade del campeggio, il quale era disposto sul fianco della montagna, per recarci verso il suo punto più alto; quando vi giungemmo ammirai stupefatto il panorama notturno. In lontananza la città di Torino era illuminata da milioni di lampade elettriche che si estendevano a perdita d’occhio. Nel cielo, come stelle in movimento, le luci delle macchine volanti la sorvolavano lentamente, mentre, in cima alla collina che la sovra-stava, un faro mandava una luce intermittente. Chissà quante e quali meraviglie stavano laggiù. Cresceva sempre più in me il desiderio di tuffarmi in quel meraviglioso mondo. Allo stesso tempo un deside-rio quasi infantile mi teneva legato a Dìdele ed a questa vita rustica fatta di semplicità e di adamitica vita all’aria aperta. « Domani ti porteremo a visitare una città moderna » mi disse Dìdele. « Finalmente! » risposi con un tono misto di entusiasmo e di timore. Ci ritirammo quindi nel nostro piccolo alloggio.

Non riesco ancora a comprendere il motivo per cui sono stato scelto a rivivere in questa epoca. Non so neppure se sono io o una perso-na che crede di esserne un’altra. Non riesco a capire nemmeno se riuscirò ad adattarmi alle stranezze di questo mondo e quale sarà il mio ruolo in questa grande trasformazione annunciata da Dìdele. Ci mettemmo a dormire, come al solito, l’uno accanto all’altro.

« Sembra che ci abbiano rintracciato, quindi. Era lo stesso dell’altra volta? ».« Sì, era lui. Mi pareva che fosse solo, ma non posso esserne sicura. Comunque credo di essere riuscita a fargli perdere le nostre tracce. Secondo te, siamo al sicuro in questo posto? Mi sembra un po’ pic-colo per nascondersi ».« È vero, ma in compenso tra così poca gente siamo anche noi in grado di controllare meglio se c’è qualcosa di sospetto. In ogni caso, al finire del mese, verrete ad abitare a casa mia. È abbastanza grande e posso riservare per voi una stanza. Parleremo meglio di tutto ciò in seguito. Ora è tardi, ma abbiamo ancora il tempo di farci un bagno in piscina. Tra una mezz’ora chiude. Affrettiamoci ».Ci ritrovammo quindi nella piccola piscina del club e dopo aver nuo-tato un poco c’immergemmo tutti quanti nella vasca dell’idromas-saggio, la quale non è che una grande tinozza dalle cui pareti interne escono, da svariati ugelli, dei potenti soffi di aria i quali, agitando vi-gorosamente l’acqua, provocano su tutto il corpo un piacevole e ri-lassante massaggio. Fissammo poi l’appuntamento per l’ora di cena, che avremmo consumato nel piccolo ristorante del club. Tornando nel nostro alloggio chiesi ancora a Dìdele chi fosse quella persona che in Francia l’aveva tanto spaventata e della quale aveva parlato con il dottor Krast. Mi rispose frettolosamente: “La nostra presenza sulla Terra non è ancora nota all’umanità. Tuttavia, i servizi segreti francesi ci hanno individuato. Non conosciamo precisamente quello che hanno scoperto di noi, ma sicuramente non sospettano la nostra origine extraterrestre. Forse ci ritengono agenti segreti di qualche altra nazione. Probabilmente avranno scoperto che le nostre identi-tà sono false, ma di certo non avranno capito che siamo entrati nel loro sistema informatico per procurarcele. Credo di essere riuscita a far perdere le nostre tracce. Se così non fosse, si limiterebbero comunque ad osservarci, cercando di capire quali siano le nostre intenzioni. Sarò tuttavia più esauriente su quest’argomento un’altra volta. Ora andiamo a prepararci per la cena ».Ci vestimmo con quell’unico abito che eravamo riusciti a stipare nel piccolo bagaglio che frettolosamente avevamo preparato la sera precedente alla nostra partenza e ci recammo a cena nel piccolo

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piccole che s’intersecavano continuamente. I veicoli procedevano a velocità sostenuta vicinissimi l’uno all’altro. Si avanzava accele-rando e rallentando continuamente. Alcune volte le automobili che ci precedevano si fermavano all’improvviso e Dìdele era costretta a brusche frenate. Più di una volta ebbi la certezza che saremmo andati a sbatterci contro. In compenso gli automobilisti della città erano molto cortesi: se distrattamente non si ripartiva immediata-mente quando si accendeva la luce verde del semaforo, quelli che seguivano, nello spazio di pochi istanti, si premunivano gentilmente di avvertirci con il suono della tromba di cui tutte le automobili sono dotate. La velocità media, nelle città, è comunque molto bassa. Il dottor Krast mi assicurò che era più alta ai miei tempi, quando c’erano le carrozze trainate dai cavalli. Cominciavo a comprendere il discorso che mi aveva fatto Dìdele, il giorno precedente, sulle au-tomobili e sui mezzi pubblici. I bordi di tutte le strade erano occu-pati da file ininterrotte di automobili immobili e vuote, come si dice oggi, parcheggiate. La maggior parte dei possessori delle automobili non ha un posto, nella propria casa, dove collocarle quando non le adopera, ed è quindi costretta a lasciarle sulla strada. In effetti, il grosso problema delle città è trovare il posto dove parcheggiare. Ce ne accorgemmo quando, arrivati al centro della città, impiegammo molto tempo per trovare un posto dove lasciare il nostro veicolo. L’altra caratteristica di una grande città è il rumore. Scendendo dall’auto ci trovammo immersi in un sordo e continuo boato causa-to dalle automobili, dai grandi autobus gialli del trasporto pubblico e da altri piccoli treni, chiamati tram, che sferragliavano ai lati delle strade. La città è un agglomerato di palazzi, talvolta altissimi, anche di quindici o venti piani, alle volte attaccati l’uno all’altro. Sono per-lopiù abitazioni, ma spesso anche uffici dove trovano la loro sede le innumerevoli attività che caratterizzano il mondo di quest’epoca. Il piano terreno è invece quasi interamente occupato da piccoli e grandi botteghe dove si può trovare ogni tipo di merce. Entrammo in una bottega enorme, chiamata supermercato; in essa si poteva trovare di tutto: dal cibo ai vestiti, dai libri alle pentole. Prima di entrare prendemmo un grosso cesto di ferro montato su quattro ruote, e, spingendolo, ci addentrammo all’interno, passando

Ero pensieroso, ma soprattutto un senso di tristezza mi aveva per-vaso all’improvviso. Il fatto di non comprendere chi ero e di non conoscere quello che avrei dovuto fare mi dava un senso di inutilità che non riuscivo a sopportare. Dìdele se ne accorse. In certi mo-menti pareva che fosse in grado di leggermi nel pensiero. « Non essere triste, François; se non ti metto a conoscenza di molte cose, è solo per tutelare la tua e la nostra sicurezza. Per il momento, meno cose conosci di noi, meglio è per tutti ».Così dicendo mise la sua mano nella mia e con l’altra mi accarezzò la nuca. La strinsi a me. Il mio rinnovato impeto giovanile prese allora il sopravvento. Ci ritrovammo stretti l’uno tra le braccia dell’altra. Ci baciammo ed accarezzammo a lungo e poi ci amammo ancora in quel modo sublime che solo la sua gente era in grado di realizzare.

Il mattino dopo ci svegliammo di buon’ora. Dopo una breve co-lazione partimmo in visita per la città di Torino. Man mano che ci avvicinavamo alla città le strade diventavano sempre più larghe e cresceva anche il numero delle automobili che le percorrevano. La prima sensazione che si prova avvicinandosi ad una grande cit-tà è la puzza. Non per il fetore dei rifiuti umani ed animali, che ai miei tempi venivano gettati in strada, ma per il gas prodotto della combustione della benzina rilasciato dalle automobili. Questo gas ha un odore molto acre. Rimasi sorpreso quando Dìdele mi disse che era velenoso, addirittura mortale, se respirato troppo a lungo. Ci trovavamo in mezzo a migliaia di automobili che emettevano questo gas; se non morivamo era solo perché si disperdeva nell’aria. Se ci fossimo trovati in un ambiente chiuso saremmo morti in pochissi-mo tempo! Gli abitanti delle città si sono ormai assuefatti a tutto questo. Non vivendo più in campagna trovano sgradevoli gli odori che la caratterizzano, come quello delle stalle o dei campi concimati. Apprezzano soltanto il profumo dei fiori, anche se molti hanno con-tratto una malattia, chiamata allergia, la quale causa fastidiosi distur-bi al naso e agli occhi, quando, in primavera, la fioritura degli alberi e delle piante disperde nell’aria i pollini portati dal vento. Viaggiare in automobile in mezzo al traffico è stata un’esperienza a dir poco emozionante. La città era un immenso reticolo di strade grandi e

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del corpo. Ce n’è un tipo, chiamato jeans, il quale porta, nel mezzo della parte che ricopre i glutei, una cucitura verticale molto marcata, imitando così molto bene l’anatomia umana. Devo confessare che più di una volta Dìdele fu costretta, ridendo, a darmi una pacca sulla spalla, per farmi distogliere lo sguardo che si era incollato al fondo-schiena di qualche bella donna. « Tu che sei rinato nudo ed hai vissuto in mezzo ai nudi, ti sarai reso conto che gli abiti non servono per coprire ma per evidenziare quelle parti del corpo che altrimenti passerebbero inosservate » sen-tenziò, con aria grave, il dottor Krast. « Me n’ero già accorto, ma non pensavo che l’attrazione fosse così forte » risposi. In effetti, per le strade della città, la mia attenzione era attratta per una metà dalle meraviglie che mi circondavano e per l’altra metà dal corpo delle belle donne. Probabilmente questo era anche dovuto al fatto che ora avevo di nuovo vent’anni. Forse è il corpo, più che la saggezza sopravvenuta con l’età, che ad un certo punto della vita non ci fa più apprezzare determinate cose, riflettei. Dopo un’ora di passeggio in mezzo al trambusto mi sentivo stanco. Era già pas-sato mezzogiorno e ci recammo quindi a casa del dottor Krast per pranzare. L’abitazione era situata in uno di quei grandi e per la verità brutti palazzi di molti piani che caratterizzano le città di oggi; era, al contrario del palazzo, un appartamento molto bello e spazioso. Entrammo ed il dottor Krast ce lo mostrò. Era arredato con gusto, per quanto potessi intendermi del gusto di questa epoca. In una stanza vi era una grande vetrina con una collezione di tanti piccoli modellini di automobili. Evidentemente il dottor Krast era un tipo alquanto eccentrico. Ci mostrò la camera dove avremmo alloggiato nei prossimi mesi. Riposi in un armadio gli abiti che avevamo acqui-stato e ci accomodammo in soggiorno. Arual, la moglie del dottor Krast, si recò in cucina, ed incominciò a preparare il pranzo. A parte qualche gentile frase di circostanza tra me e la signora Krast, a tavola la conversazione si svolse quasi esclusivamente tra Dìdele ed il dot-tore. Non riuscivo ad afferrare molto bene il senso dei discorsi che si tenevano, anche perché si svolgevano in questo italiano moderno, che tra l’altro Dìdele padroneggiava alla perfezione.

attraverso un’enorme entrata nella quale grandi porte di vetro si aprirono da sole al nostro passaggio. Al suono di una musica che usciva dal soffitto, girando tra le innumerevoli file di scaffali ricolmi di merci sotto le quali c’era un cartellino che ne indicava il prezzo, il dottor Krast provvide a riempire il cesto. Comprammo anche abiti, calze e scarpe destinati a me. In questa epoca non ci sono quasi più i sarti; lo stesso tipo di vestito si trova in taglie diverse sugli scaffali dei negozi. Basta scegliere la misura adatta. Per uscire dovemmo attraversare una strettoia in cui il cesto montato sulle ruote passava a malapena. Prima di attraversarla vuotammo il contenuto del cesto mettendo gli articoli acquistati su un banco il cui piano si muoveva da solo e li trasportava verso una donna la quale li faceva passare uno ad uno davanti ad una macchina la quale, dopo aver emesso un breve fischio, ne calcolava e sommava il prezzo. Per pagare il dottor Krast non adoperò denaro, ma consegnò una piccola tessera. La donna la fece passare in un’altra piccola macchina, sulla quale erano stampati dei numeri, poi la porse al dottore il quale appoggiò il dito più volte sui numeri. La donna restituì la tessera assieme ad un pez-zo di carta ed alcune borse realizzate con un materiale leggerissimo e molto resistente, chiamato plastica, nella quale riponemmo i nostri acquisti. Devo confessare che se mi fossi trovato solo non avrei sa-puto neppure da che parte incominciare. Passammo ancora in qual-che altra bottega per ulteriori acquisti. Tornammo dove avevamo lasciato l’automobile e mettemmo il tutto nel baule posteriore. Poi passeggiammo per le vie del centro della città. La gente cammina in fretta e quando si passa accanto non si saluta. È vestita pressoché tutta allo stesso modo: non si distingue il gran signore dalla persona comune. Si ferma solo per guardare la merce che è esposta dietro ai grandi vetri delle botteghe. Vi sono ancora, abbastanza rari, i men-dicanti; non stanno più seduti ai bordi della strada con la mano tesa, ma camminano in mezzo alla gente con un cartello in mano, oppure chiedono la carità alle automobili ferme ai semafori, offrendosi di lavare il vetro anteriore. Le donne portano delle gonne molto corte che lasciano scoperti anche tre quarti delle gambe. La maggioranza però indossa, al pari degli uomini, delle brache, oggi chiamate pan-taloni, le quali sono molto aderenti e mettono bene i risalto le forme

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Sempre che tutto ciò non sia soltanto un lunghissimo, bellissimo sogno.

Somnia, quae mentes ludunt volantibus umbris, Non delubra deum nec ab aethere numina mittunt, Sed sibi quisque facit.I sogni, che ingannano la mente con volitanti fantasmi, non ce li mandano gli dèi né dall’etere i numi, ma se li fa ciascuno di noi.

Capii, in ogni caso, che erano in cerca di un’occupazione per me; mi avrebbero fatto lavorare all’interno della bottega di proprietà del dottor Krast e di sua moglie. Lavorare, pensai. Io, filosofo, scrittore, commediografo all’apice del successo; io, che avevo un posto di ri-lievo tra gli intellettuali del mio secolo; io, che ero una delle più gran-di intelligenze riverite dai potenti di tutta l’Europa, mi sarei travato a lavorare come un qualsiasi garzone di bottega. D’altronde, riflettei, cosa potevo pretendere? Dovevo anzi ringraziare la sorte che per qualche oscuro motivo mi aveva fatto rinascere non solo nel fiore degli anni, ma anche in un meraviglioso mondo tutto da scoprire. E poi, che cosa avevo fatto finora per meritare di più? Non avevo fatto altro che deliziarmi del mio nuovo corpo e dell’amore che nutrivo per Dìdele. Non avevo fatto altro che giocare, appagando il mio desiderio di conoscenza solamente con l’apprendimento di nuovi giochi. Ma non me ne importava. Avrei ricominciato tutto da capo. In fondo sarei partito da una situazione di vantaggio. Avevo la forza della gioventù e l’esperienza della vecchiaia. Incarnavo appieno l’a-dagio popolare che recitava: Se il giovane sapesse e il vecchio potesse!

Caro e sconosciuto lettore, immagino che leggere la descrizione del-le cose che ho visto e udito potrà far sorridere te, che vivi in questo tempo. Ma sento il bisogno di descrivere in qualche modo il mio stupore. Ho appena incominciato a conoscere questo mondo; tut-tavia credo di aver intuito, dai discorsi che mi ha fatto Dìdele, che la gente che oggi ci vive è enormemente fortunata ma non si rende conto di esserlo; ed anzi sta per perdere questa fortuna poiché non sa amministrare le risorse che la natura e l’ingegno umano gli hanno messo a disposizione. Settembre volge al termine. Le giornate sono sempre più corte e le sere sempre più fresche. Alla fine del mese ci trasferiremo a casa del dottor Krast. Questi due mesi vissuti all’in-terno di questi posti naturisti sono stati bellissimi, ma questo piccolo mondo incomincia ad andarmi stretto. È stata per me una specie di infanzia; come un adolescente ora sono impaziente di aprirmi al mondo, di conoscere, di viaggiare e di ca-pire. Soprattutto di conoscere lo scopo per il quale il destino mi ha chiamato a rivivere in questa epoca.

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subito conoscere ed apprendere di più, invece di passare i miei gior-ni a giocare come un ragazzino. Credo però che chiunque, al mio posto, avrebbe agito nello stesso modo. Se tu, caro e sconosciuto lettore, ad ottantaquattro anni, con tutti gli acciacchi dell’età, fossi tornato improvvisamente ad averne venti, vivendo in una sorta di paradiso terrestre e per di più innamorato e ricambiato da una don-na meravigliosa come Dìdele, cosa avresti fatto? Credo proprio che non avresti passato il tuo tempo sui libri, ma avresti agito come me!

Nel mese di ottobre dello scorso anno ho incominciato a lavorare presso il negozio del dottor Krast. È un grande magazzino dove si vendono materiali per edilizia. Il mio è un lavoro di contabilità e data la mia discreta conoscenza dell’inglese e del francese, seppur di due secoli fa, mi occupo degli acquisti dall’estero. Ufficialmente sono un lontano cugino della moglie del dottor Krast, venuto dalla Francia, che si vuole perfezionare nella lingua italiana. A tal proposito posso affermare che l’italiano d’oggi non è poi così difficile da apprendere come lo era ai miei tempi. Se poi si conosce l’inglese si è già a buon punto. È sorprendente il numero di parole inglesi che sono usate nel linguaggio scritto e parlato, anche quando si potrebbe trovare nella lingua italiana il loro perfetto corrispondente. Basta sfogliare qual-siasi giornale o rivista, e contare le parole inglesi contenute in una sola pagina, per constatarlo immediatamente. Nella coniugazione dei verbi è scomparso il congiuntivo e nella lingua parlata il passato remoto non si adopera quasi più; sopravvive soltanto negli scritti di carattere letterario. Non si usano più, se non in rari casi, le citazioni in latino. Di questa lingua sopravvivono, per la verità, ancora molte parole, anche se molte di esse vengono credute inglesi dalle persone poco istruite, e quindi pronunciate come se fossero tali. Ora passo il mio tempo libero a studiare. Studio la storia recente, che per me rappresenta il futuro. Studio le scienze, l’arte e gli svi-luppi del pensiero filosofico. Ho conosciuto un meraviglioso stru-mento, che da pochi anni si è sviluppato enormemente: il compu-ter. È senz’altro la vera e unica rivoluzione di questi ultimi tempi. Definirlo solamente un calcolatore, sarebbe estremamente riduttivo. Per le sue applicazioni sul lavoro, tempo libero e comunicazioni, nel

Quarta lettera

Torino, 10 ottobre 2005

È passato poco più di un anno da quel mattino in cui mi risvegliai su quella spiaggia sull’atlantico per trovarmi proiettato in un mondo sconosciuto. Ho riletto le tre lettere scritte in quel primo mese ed ho sorriso per l’ingenuità che da esse traspare. Penso che ne avrai sor-riso anche tu e forse ti avrò addirittura annoiato, caro e sconosciuto lettore che vivi in questo tempo e perciò non ti stupisci più di niente. Forse avrei dovuto tenere un diario, nel quale annotare, giorno dopo giorno, la storia della mia nuova esistenza e le mie considerazioni personali sugli avvenimenti del mondo; ma in fondo un diario non è che un dialogo con sé stessi, mentre io sento la necessità di comuni-care a qualcuno la meravigliosa esperienza che sto vivendo, ed è per questo motivo che scrivo queste lettere, anche se non so se mai un giorno qualcuno le leggerà. Lascia perciò che mi rivolga a te, anche se in fondo altro non sei che l’immaginaria figura generata dal mio bisogno di comunicare.

Dopo tutto questo tempo, posso affermare di conoscere già molte cose di questo mondo del terzo millennio e di essermi sufficiente-mente integrato in questo nuovo “modus vivendi”, o “way of life”, come si dice oggi, anche se per molti versi non riesco ancora a com-prenderlo pienamente. Penso a quel primo mese della mia nuova vita e mi viene spontaneo rimproverarmi il fatto di non aver voluto

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Il dottor Krast dice, scherzando, che c’è stata una grande evoluzione: si è passati dallo scrivere a macchina con due dita allo scrivere sul te-lefonino con un dito solo. Anche per questo strumento la definizio-ne di telefono è alquanto riduttiva. Trasmissioni di fotografie, video, programmi televisivi, la possibilità di interagire con altri strumenti e tantissime ulteriori funzioni ne fanno un avversario formidabile del computer in quanto a perdita di tempo. Come ogni strumento dalle tante possibilità è abbastanza complicato da adoperare, al punto che, per le persone anziane, le quali da sempre sono in difficoltà nell’ap-prendimento di cose nuove, si pensa di immettere sul mercato un modello la cui unica funzione sia quella di telefonare. Ho imparato a guidare disinvoltamente l’automobile nel traffico cittadino, a con-durre la motocicletta e l’inverno scorso ho persino imparato a sciare. Mi sto accorgendo, però, di trovarmi sempre più in difficoltà a far di conto, a forza di adoperare la calcolatrice; la mia calligrafia peggiora continuamente e faccio fatica a scrivere a lungo con la penna, a forza di adoperare la tastiera del computer. Sto perdendo la capacità ed il gusto di mandare a memoria le cose lette o udite, data la facilità di consultare libri e di leggere continuamente giornali e riviste, nonché la capacità di ricordare la musica, poiché ascoltarla in qualsiasi mo-mento lo si desideri non è difficile: lo si può fare con un disco o ac-cendendo la radio. Per il resto vivo felice con Dìdele. Ora abitiamo in una bella villetta nei sobborghi di Torino e ci comportiamo come una normale coppia sposata. Grazie all’abilità del dottor Krast, il quale è riuscito ad entrare nei sistemi informatici di molte banche, siamo intestatari di conti correnti con i saldi sempre capienti; siamo quindi in possesso di carte di credito e di bancomat con i quali non abbiamo che da effettuare pagamenti e prelevare i contanti che ci servono per vivere. Ho chiesto al dottor Krast come si possa fare tutto ciò senza essere scoperti; mi ha risposto, ridendo, che il siste-ma informatico terrestre è talmente primitivo che sul suo pianeta questo trucchetto potrebbe essere compiuto da qualsiasi studente di informatica alle prime armi. Potremmo vivere da ricchi, ma non ne approfittiamo per tanti motivi, non ultimo perchè la nostra ric-chezza potrebbe destare troppi sospetti. Mi sono attaccato a Dìdele come un bambino alla madre, forse perchè in questo mondo non ho

futuro modificherà radicalmente la vita della gente. Per la verità, ed in questo sono stato confortato dall’opinione di Dìdele e del dot-tor Krast, penso che ci troviamo ancora in una fase iniziale, dato che, nel modo in cui è congegnato, imparare a sfruttarlo appieno richiede ancora troppo tempo. Solo le operazioni più semplici sono relativamente facili da eseguire; ma non appena si prova a compiere qualche operazione più complessa ci si trova continuamente davanti ad un gran numero di possibilità tra le quali bisogna scegliere ogni volta quella corretta. È come percorrere un itinerario e trovarsi di fronte a continue diramazioni tra cui bisogna scegliere sempre la strada giusta, pena il non raggiungimento della meta. È necessario andare a scuola per imparare a sfruttarlo agevolmente; altrimenti bisogna procedere con innumerevoli tentativi, sprecando un sacco di tempo. Il dottor Krast afferma che questo tipo di computer non premia l’intelligenza, ma la costanza. È concepito come se dovesse essere l’uomo al servizio del computer e non viceversa. È molto in-teressante Internet. È bello poter comunicare in un attimo in tutto il mondo ed avere la possibilità di cercare qualsiasi cosa tra milioni di siti impostando anche solo una parola. Ma anche qui il difetto del sistema è rappresentato dall’enormità del numero. Il più delle volte è come cercare un ago in un pagliaio. In definitiva penso che oggi il computer sia indiscutibilmente utile per il lavoro; per tutto il resto non è che una colossale perdita di tempo. Ho imparato ad usare il telefono cellulare, o telefonino, com’è comunemente chiamato in Italia. È un altro grande giocattolo per adulti e bambini, che ha già cambiato la vita della gente. Le persone oggi non sopportano più l’idea di non essere raggiungibili da una telefonata in qualsiasi mo-mento del giorno e della notte. Non sanno resistere alla tentazione di richiamare il numero al quale non hanno risposto perché il te-lefono era spento oppure perché non hanno udito una delle tante musichette della suoneria. Ho letto su una rivista che, secondo una statistica, il quaranta per cento delle coppie interrompe il rapporto sessuale per rispondere ad una telefonata. Le ragazze ed i ragazzi si scambiano i cosiddetti messaggini come ai miei tempi si scambiava-no i bigliettini profumati. È impressionante la rapidità con cui, con l’uso del solo pollice, scrivono le parole sulla tastiera del telefonino.

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« Come avete fatto a clonarmi e a farmi ritrovare su quella spiaggia dell’Atlantico? ». « Non sei stato clonato qui, ma sul nostro pianeta. Da lì fosti inviato sulla Terra. Sarebbe troppo rischioso tenere qui le tecnologie di cui siamo in possesso: nel caso fossero scoperte l’umanità non esite-rebbe ad adoperarle per fabbricare delle armi ancora più potenti di quelle che già possiede. Ad ogni modo, presto potrai constatare come avviene la comunicazione tra i nostri due mondi ».Fu così che, verso la metà del mese scorso, io, Dìdele ed il dottor Krast, equipaggiati per cenare e passare la notte, ci avviammo nel tardo pomeriggio con lo scopo di recarci in cima al monte Musinè, nelle vicinanze di Torino. Dopo due buone ore di salita guadagnam-mo la vetta. Cenammo con pochi panini e con dell’ottimo vino che avevo portato nel mio zaino. Quello del dottor Krast era molto vo-luminoso e ignoravo cosa contenesse. Alla fine del pasto si era già fatto buio. Gli ultimi escursionisti avevano ormai abbandonato la cima da alcune ore; il dottor Krast disse che avremmo dovuto at-tendere la notte piena per portare a termine ciò per cui ci eravamo recati il quel luogo. Non feci altre domande, perché in ogni caso sapevo di non poter ottenere risposte precise. Conversammo ancora per non so quanto, completamente al buio, rischiarato appena dalle stelle e dalle luci che, laggiù in basso, par-tivano dalla città di Torino e scorrevano come un fiume luminoso attraverso la valle di Susa. Ad un certo punto saltò fuori, non so come, una piccola bottiglia di grappa, la quale venne da tutti mol-to apprezzata, visto che si svuotò, tra una chiacchierata e l’altra, in brevissimo tempo. Un’altra delle indubbie qualità del dottor Krast è quella di essere un grande intenditore di vini e di bevande alcoliche. Si era fatta notte fonda. Io e Dìdele riposavamo nella piccola tenda che avevamo montato poco lontano dalla grande croce che era po-sta in cima alla vetta, quando il dottor Krast, che nel frattempo era rimasto fuori a scrutare il cielo, ci chiamò e ci invitò ad uscire. In mano teneva una piccola scatola di metallo ricoperta di tanti pul-santi. Poi disse a me di guardare il cielo in una direzione e a Dìdele in quella opposta, e di avvertirlo non appena avessimo visto qualche luce in movimento. Seduto a terra, cominciò poi ad armeggiare con

che lei. Qualche volta ho la sensazione che quello che la lega a me sia semplicemente la propensione che possiede la sua specie per l’a-more fisico, o, peggio ancora, il dovere di realizzare il progetto di cui ancora sono tenuto all’oscuro. Al riguardo sono soltanto riuscito a sapere che si vuole salvare il mondo dall’autodistruzione, ma il come non mi è stato ancora svelato. Ogni volta che chiedo delle informa-zioni in proposito mi viene ripetuto che è meglio che io conosca il meno possibile. Di un solo particolare sono venuto a conoscenza. Una volta chiesi a Dìdele: « La vostra specie è tecnicamente più evoluta rispetto a quella uma-na; non avete alcuna difficoltà a viaggiare nell’iperspazio, potete introdurvi nel sistema informatico di qualsivoglia nazione senza essere individuati e siete in possesso delle tecniche di ingegneria biomedica tanto da essere in grado di effettuare la clonazione: cosa vi impedisce di impadronirvi in qualche modo dell’intero pianeta per costringerlo a mutare questo stato di cose che lo sta portando all’autodistruzione? »:Mi rispose: « La tecnologia che possediamo non sarebbe sufficiente; sarebbe ne-cessario soggiogare l’intero pianeta con una vera e propria invasione aliena. Non è questo ciò che vogliamo. Non vogliamo un popolo di schiavi. Crediamo che l’umanità debba trovare consapevolmente la strada della propria salvezza. Certamente dovremo forzare l’an-damento delle cose, ma tutto ciò si dovrà compiere senza inutili violenze ed essere approvato dalla stragrande maggioranza degli uo-mini. E poi, per il momento, siamo molto pochi sulla Terra. Non siamo che dei missionari che operano come agenti segreti nell’attesa di ordini superiori che ci vengono impartiti al momento opportuno. L’unica tecnologia di cui disponiamo qui sono i trasmet-titori con i quali comunicare con il nostro pianeta, il registratore cerebrale e l’abilità del dottor Krast, con la quale siamo in grado di entrare, senza essere scoperti, in tutti i sistemi informatici. Non possediamo armi, né qui né sul nostro pianeta. Furono presenti nel nostro passato, ma facemmo in tempo a distruggerle prima che esse distruggessero noi ».Le chiesi ancora:

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occhi! » le dissi un po’ arrabbiato, poiché mi pareva di essere preso in giro. « Mi pare giusto che ora tu sappia: noi possiamo comunicare anche telepaticamente. Quando decidiamo di aprire la nostra mente ad un altro e lui fa altrettanto, i nostri pensieri entrano in contatto. È una cosa bellissima, che si fa con gli amici. Non ci si può mai mentire ».« Vorresti dire di essere in grado di leggere anche nei miei pensieri? ».le chiesi preoccupato. « Non lo farò, se tu non vorrai. Ma ora ti presento Anavlis » mi ri-spose indicando la giovane donna. « Incantato » fu l’unica parola che goffamente riuscii a pronunciare. Poi proseguì: « Quello a cui hai appena assistito è stato l’arrivo di Anavlis dal nostro pianeta, attraverso un canale spazio-temporale ».« È dunque questo il vostro modo di viaggiare da un pianeta all’al-tro? » chiesi. « Sì. I terrestri hanno sempre immaginato che gli alieni viaggiassero nello spazio a bordo di astronavi che poi si posavano dolcemente sulla superficie di qualche pianeta. In realtà le dimensioni dell’uni-verso e la teoria della relatività non lo permetterebbero; non si può viaggiare a velocità superiori a quella della luce, poiché servirebbe un’energia pressoché infinita ed il processo creerebbe dei paradossi temporali ». « Ho letto le teorie di Einstein » mi affrettai a rispondere temendo di fare la figura dell’ignorante. « E poi i vostri radar ci individuerebbero senz’altro » continuò sor-ridendo.« Una curiosità: non capisco perché dobbiate arrivare nudi » chiesi ancora. « Semplicemente perché il nostro sistema è in grado di trasportare solamente materia organica. Il nostro è un pianeta pacifico. In que-sto modo è impossibile trasportare armi » rispose. Poi continuò: « Questo modo di viaggiare, inoltre, non è rilevabile dagli strumenti di cui è in possesso l’umanità. Non crea che un campo di onde elet-tromagnetiche il quale dura solamente il tempo del trasferimento ».« Ma ho visto in cielo delle luci; come possono passare inosservate? » chiesi.

la scatoletta di metallo. Ad un certo punto Dìdele esclamò: « Laggiù! » indicando una luce che si muoveva lentamente sopra la Sacra di San Michele, situata in cima ad una montagna sul lato op-posto della valle. « Ci siamo! » disse il dottor Krast. Orientò la scatola che teneva fra le mani verso la luce. Quest’ultima dapprima si fermò, poi, con una fortissima accelerazione si portò dall’altra parte della valle, ed anco-ra, invertendo repentinamente la direzione, sopra la nostra verticale, per poi affievolirsi sempre più, mentre scendeva lentamente per po-sarsi infine a terra davanti alla scatola che il dottor Krast teneva tra le mani. Ora si era ridotta ad una sfera fluorescente di colore bluastro larga qualche decina di centimetri. Il dottor Krast armeggiò ancora un poco con la scatola fino a che la sfera cominciò ad ingrandirsi sempre più. Intorno a noi guizzavano minuscoli lampi, mentre sotto i nostri occhi, un corpo umano cominciava a materializzarsi. Dopo alcuni minuti una donna bellissima, completamente nuda, giaceva supina ai nostri piedi. Aveva gli occhi chiusi, ma respirava. La luce era ormai scomparsa e tutto taceva. Il dottor Krast e Dìdele guar-davano la donna in silenzio. Ero attonito; benché volessi fare mille domande, non osavo parlare. « Ora puoi portare gli abiti » disse, dopo una decina di minuti, il dottor Krast rivolgendosi a Dìdele, rompendo così un silenzio in-terminabile. La giovane donna si era svegliata ed ora sedeva in terra. Tremava per il freddo. Dìdele le mise accanto gli abiti che aveva preso dallo zaino del dottor Krast. La donna si vestì in silenzio senza mai guardarci. Quando ebbe terminato alzò gli occhi su di noi e il suo volto si aprì in un sorriso. Allargò le braccia e i miei due compa-gni le andarono incontro. Si abbracciarono senza parlare. Ed ancora senza parlare e tenendosi per mano continuarono a guardarsi negli occhi per un bel po’. « Qualcuno vuole spiegarmi che cosa succede? » sbottai ad un certo punto. « Scusa, François, adesso ti spiego tutto » mi rispose Dìdele. Ed aggiunse: « Era tanto tempo che non ci vedevamo con questa nostra amica ed avevamo un sacco di cose da dirci! ».« Da dirvi? Ma se siete rimasti per dieci minuti a guardarvi negli

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il dottor Krast le aveva già fabbricato i documenti ed inserito i suoi dati nel sistema informatico dell’anagrafe italiana. Era molto bella. Non sfigurava per niente di fronte a Dìdele. Questi alieni, pensai, hanno la fortuna di poter realizzare i corpi umani a loro piacimento. Nella tarda mattinata giungemmo a casa. Anavlis si sistemò nella camera degli ospiti. Pranzammo e impiegammo il tardo pomerig-gio, benché fosse domenica, per recarci in un grande magazzino. Anavlis, infatti, necessitava di vestiti e di molte altre cose.

Quando penso che ai miei tempi il lavoro alla domenica avrebbe senz’altro attirato gli anatemi della Chiesa, mi stupisco come oggi questa sia diventata una cosa normale. Ci sono state, per la verità, delle forti resistenze all’inizio, ma gli appelli sono caduti nel vuo-to, poiché la Chiesa, oggi, non possiede più l’influenza del passato. Sull’altare del consumismo si sono immolate molte cose, troppe, con il risultato che, benché possieda molto, l’uomo moderno è sem-pre meno padrone di sé stesso. Ho studiato la storia di questi ultimi due secoli e inoltre mi sono fatto un’opinione ben precisa su alcuni aspetti della società di oggi. Ci sono stati molti progressi nel campo del lavoro. Intendo dire delle condizioni dei lavoratori. Si è passati dalle condizioni disumane del diciannovesimo secolo all’assistenza sanitaria, alla pensione e alle ferie pagate. Ma oggi si comincia ad assistere ad una perdita del potere d’acquisto dei salari, all’aumento degli orari di lavoro, al sempre più diffuso precariato e ad un sempre maggiore divario tra chi possiede di più e chi possiede di meno. Anche nei paesi ricchi il numero dei poveri è in costante aumen-to. Inoltre la globalizzazione costringe i lavoratori a concorrere con quelli dei paesi emergenti, nei quali le condizioni di lavoro sono an-cora molto arretrate e le retribuzioni notevolmente più basse. Appa-rentemente nessuno cerca di porre rimedio a tutto ciò. Il protezio-nismo, a quanto si dice, è passato di moda ed è controproducente. Ho il sospetto che tutto ciò sia volutamente mantenuto nello stato attuale da chi detiene il potere economico e vede in questo modo crescere sempre più i suoi profitti. I sindacati, ormai indeboliti da anni di sconfitte, non brillano certo per particolare fantasia. A parte qualche piccolo ed agguerrito sindacato nostalgico del sessantotto,

« È vero; tanti credono che si tratti dei cosiddetti UFO mentre, come si sa, la stragrande maggioranza degli avvistamenti è perfettamente spiegabile dal punto di vista scientifico: per i pochissimi restanti, tra i quali i nostri, la scienza ufficiale non ha tempo per indagare e non sapendo come spiegare il fenomeno, s’inventa qualche strampalata teoria. Per la verità, talvolta dei problemi li abbiamo avuti. Per esem-pio, poco più di un anno fa, a Caronia, in Sicilia, non siamo riusciti, durante un trasferimento, a chiudere il canale spazio-temporale per alcuni giorni. Il fatto ha determinato un forte campo elettromagne-tico che ha causato il corto-circuito di molti impianti elettrici nel raggio di alcuni chilometri, con il conseguente incendio, in molte case, delle apparecchiature elettriche. La scienza ufficiale, non essen-do in grado di spiegare il fenomeno, si è comportata come se questo non esistesse: dopo l’enunciazione di qualche fantasiosa teoria da parte di qualche eminente scienziato, non è mai stata effettuata alcu-na seria ricerca da parte di alcuno ».Mi ritirai a dormire nella tenda, mentre Dìdele ed il dottor Krast proseguivano la loro muta conversazione alla luce delle stelle. Albeggiava, quando fui svegliato. Avevo dormito solo nella tenda. I miei tre compagni, benché avessero passato la notte in bianco, non parevano per niente stanchi. Smontammo la tenda e iniziammo in silenzio la discesa lungo la via del ritorno, mentre il sole, davanti a noi, saliva sempre più in alto nel cielo. Eravamo a metà del cammi-no, quando finalmente udii la voce di Anavlis. « Forse è meglio, almeno per educazione, che ci parliamo attraverso la voce » disse la nuova venuta rivolta agli altri due viaggiatori. « È vero. Scusaci, François » rispose Dìdele. « Alla buon’ora. Mi pareva di stare ad un funerale! » dissi. Venni così a sapere che l’arrivo di Anavlis faceva parte del grande piano di salvezza della Terra che gli alieni avevano progettato. Si sa-rebbe attuato nell’arco di parecchi anni e sarebbe stato lungo e diffi-cile. Era inutile insistere per ottenere ulteriori particolari; ogni volta mi veniva risposto che era meglio che conoscessi il meno possibile. Tutti noi ci trovavamo nel costante pericolo di essere scoperti e se fossi stato catturato e costretto a parlare avrei potuto compromette-re la riuscita del piano. Anavlis avrebbe abitato con noi per un po’;

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la povertà, il perdono, la non violenza; queste virtù sono all’inizio sinceramente professate dai nuovi adepti anche a costo della loro stessa vita. Una volta diventato la religione ufficiale assistiamo a lot-te fratricide tra cristiani, al potere temporale della Chiesa, all’inqui-sizione, alle crociate e alle guerre di religione. Insomma, sotto una divisa militare, sotto una porpora cardinalizia o sotto l’abito di un capo di stato c’è sempre un uomo. Inoltre credo che Marx abbia commesso due errori di fondo: il primo è stato quello relativo alla religione. Se infatti è facilmente dimostrabile che ai suoi tempi que-sta fosse l’oppio dei popoli non lo è altrettanto l’affermazione che Dio non esiste. Avrebbe dovuto perlomeno riconoscere che anche l’ateismo è una fede. Se avesse avuto dalla sua parte la Chiesa, forse oggi il comunismo nel mondo non sarebbe ancora caduto. Il secon-do errore, al pari di quello che commettemmo noi Illuministi, è sta-to quello di credere che gli uomini fossero tendenzialmente buoni. Purtroppo non è così. La natura li ha selezionati diversamente. È pur vero che in loro sono presenti sentimenti di collaborazione e di amore, ma sono limitati alla famiglia ed al gruppo in cui vivono. Per quanto riguarda il resto, l’egoismo e la violenza la fanno da padroni. Nella storia dell’umanità, quando sono venuti in contatto, i popoli più forti hanno sempre sopraffatto i più deboli; è innata nell’uomo la propensione a creare delle gerarchie ed ogni individuo vuole sem-pre mantenere sotto di sé quelli più deboli di lui. In tal modo la razza umana si è rafforzata sempre più nel corso dell’evoluzione. Oggi rimangono pochi paesi sotto il regime comunista. Qualcuno, come la piccola Cuba, è oggetto di embargo economico e politico da parte del mondo cosiddetto libero, con la motivazione che non è un paese democratico. Con la grande Cina, enormemente più numerosa, tutti fanno affari e nessuno si preoccupa di quello che avviene laggiù. In fondo il capitalismo è un sistema che rispecchia quel che avviene in natura: il migliore prevale sul peggiore. Chi riesce a produrre a costo minore, è vincente sul mercato; gli altri sono costretti a soccombere. La comunità intera trae da ciò un in-dubbio vantaggio, poiché dispone in tal modo dei beni e dei servizi migliori a prezzi minori. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che tutto ciò vale anche per la retribuzione del lavoro, per

i grandi sindacati, per mantenere il numero degli iscritti, si sono or-mai ridotti solamente a poco più di un servizio di consulenza, in cui il massimo è rappresentato dalla compilazione del modulo per il pagamento delle tasse. Non sanno (o non possono) fare altro che accettare questo modello economico sottoscrivendo contratti di la-voro sempre più svantaggiosi per i lavoratori. Mi chiedo: sarebbe tanto difficile fare in modo di realizzare la competitività non più abbassando il salario degli uni ma alzando quello degli altri? Sareb-be tanto difficile, per i sindacati, unirsi fino a raggiungere una di-mensione europea per arrivare ad un contratto di lavoro per ogni categoria che sia uguale in tutti gli Stati d’Europa? Evidentemente questa tanto sbandierata unità europea oggi non è ancora l’unione dei popoli, ma soltanto l’unione dei soldi. Ho manifestato più volte a Dìdele queste mie opinioni. Mi ha risposto scherzando che sto diventando comunista con una propensione particolare alla profes-sione di sindacalista. Comunista… Oggi l’appellativo di comunista è diventato quasi un insulto anche tra i partiti della sinistra. Eppure, devo confessarlo, non penso male del marxismo. Ho letto, non sen-za sforzo, Il Capitale. È facile condividere le teorie filosofiche, economiche e politiche che basandosi sul principio del materialismo storico propugnano la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo profetizzando un radicale cambiamento della società in nome dell’uguaglianza di tutti gli uo-mini, i quali lavorano consapevoli e gratificati per il bene comune. Una siffatta società sembrerebbe preludere al paradiso in terra. Ma tutto ciò pare destinato a rimanere soltanto un’utopia. Infatti non si può pensar bene del comunismo nel modo in cui è stato realizzato. Certamente all’inizio ha risolto molte ingiustizie ed ha sfamato mi-lioni di uomini altrimenti condannati alla miseria; ma dal punto di vista economico si è rivelato meno che mediocre, e, soprattutto, nel suo nome sono stati commessi i peggiori crimini contro l’umanità da persone indegne che ne hanno infangato per sempre la reputazione. Ogni regime che si regge sulla violenza e sulla tirannia non merita di sopravvivere. Credo che tutto ciò sia dipeso non tanto dalla bontà o meno della teoria, ma dall’indole umana. Questo ce lo insegna la Storia. Prendiamo ad esempio il Cristianesimo: esso predica l’amore,

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Poi si congedò dandoci appuntamento per l’indomani. Restammo in casa solo noi tre. Dìdele ed Anavlis a comunicare telepaticamente, ed io a sprofondarmi in qualche lettura. Si era fatto tardi. Andai a coricarmi; poco dopo Dìdele mi raggiunse e si mise nel letto accanto a me. Ci mettemmo a parlare di quello che era successo quel giorno. Ad un certo punto sul suo viso apparve quell’espressione inconfon-dibile che ormai avevo imparato a riconoscere. Devo confessarlo: era sempre lei a prendere l’iniziativa. Mi aveva preso la mano e come sempre l’aveva portata su di sé. Il mio rinnovato ardore giovanile non mi aveva mai tradito, ma questa volta stava per accadere un fatto che lo avrebbe messo a dura prova. Mentre eravamo intenti a scambiarci le nostre effusioni amorose, avvertii una presenza dietro di me. Mi voltai. Anavlis era nuda e stava ritta sull’uscio guardan-domi. Poi guardò Dìdele e quest’ultima le fece un lieve cenno di assenso con il capo. Senza parlare Anavlis si diresse verso di noi, poi sollevò le lenzuola e s’infilò nel letto accanto a me. Restai immobile tra loro. Guardai dapprima la nuova venuta e poi, con aria interroga-tiva, Dìdele, la quale, senza scomporsi e con l’aria più innocente che si sarebbe potuta immaginare, mi rispose: « Gliel’ho promesso. È tanto ansiosa di provare il suo nuovo corpo! Ti dispiace tanto se partecipa anche lei? ».Ero molto imbarazzato; ma la cosa, devo confessarlo, mi attraeva notevolmente. Balbettati qualcosa, e dopo aver finto di pensarci un po’ riuscii a dire abbastanza disinvoltamente: « Per me va bene, ma sei sicura che a te la cosa non dispiaccia? ».« Certamente. Sono io che te lo chiedo. Anche Anavlis te ne sarà grata ».Fare all’amore con due donne è senza dubbio molto eccitante per un uomo. Il mio vigore maschile fu all’altezza della situazione. Mi stu-pii, infatti, di quanto soddisfarle sessualmente entrambe fosse stato relativamente facile. Evidentemente ero stato dotato di un corpo perfetto e di questo dovrò sempre essere grato a chi lo ha costruito. Ma era stato soltanto amore fisico. Mi mancava l’estasi che come sempre accompagnava i miei rapporti con Dìdele. Anche le mie due compagne parevano non completamente soddisfatte. Trascorse una buona mezz’ora. Dìdele, che per tutto questo tempo aveva continuato

cui, quando i lavoratori sono più deboli dei capitalisti, vengono fa-cilmente sfruttati. Non a caso lo sviluppo dell’economia del benes-sere avvenne nel secolo scorso, quando i lavoratori riuscirono ad ottenere maggiori salari e riduzione di orario. È rimasta celebre la frase di Ford, il costruttore di automobili, che diceva pressappoco: “ I miei operai devono avere più tempo libero e più soldi, altrimenti chi comprerà le mie automobili”?Capitalismo o comunismo. Quale sarà dunque il sistema migliore? Dìdele afferma che oggi questo interrogativo non appassiona più la gente. Questi ragionamenti sono al massimo delle piacevoli di-gressioni che divertono chi le fa e talvolta chi le ascolta. La politica si è ridotta ad un sistema di partiti che tutelano l’interesse di questa o quella categoria e la gente sceglie, se per caso intende esercitare il diritto di voto, quel partito che suppone essere il meno ladro. Le persone che hanno vissuto il sessantotto sono invecchiate e non credono più che si possa cambiare il mondo; hanno relegato questa speranza tra gli errori di gioventù. Seguono gli eventi prendendo per buone le verità di quel telegiornale, fra i tanti, che riferisce le notizie nel modo in cui le vogliono sentire, mentre i loro figli, rassegnati ad un mondo futuro peggiore di quello attuale, si crogiolano nell’il-lusione, propria della loro età, che la giovinezza sia praticamente eterna.

Terminati gli acquisti tornammo a casa e ci preparammo per la cena. Anavlis si era mostrata molto interessata verso tutto ciò che aveva visto nel pomeriggio; diceva che doveva essere molto simile a quello che era stato il suo mondo tanto tempo prima. Il dottor Krast aveva portato con sé delle fotografie in cui era ritratta Anavlis. Quando le aveva scattate? Glielo chiesi. Mi rispose che quella ritratta non era la nostra nuova amica, ma un’altra persona. Anavlis era il suo sosia, clonato sul suo mondo e poi inviato in questo. In effetti, la somi-glianza era perfetta. Per quale oscuro proposito era stato realizzato tutto ciò? Come se mi avesse letto nel pensiero il dottor Krast mi disse che presto avrei capito. Guardò ancora bene le fotografie e poi le confrontò con l’aspetto di Anavlis. Poi disse soltanto:« Ottimo lavoro ».

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confessare che non ho mai avuto molta voglia di adoperarlo, dato che per tutto il giorno sono già impegnato a lavorare con quello del-la ditta e la sera preferisco leggere ed istruirmi piuttosto di perdere tempo a cercare di capire come funziona. Ma il dottor Krast mi ha detto che è ora di sfruttarlo, dato che come scrittore ne avrò sicura-mente bisogno. « In fondo dovrai soltanto adoperarlo per scrivere, per immagaz-zinare filmati, foto e musiche, e collegarti alla rete di Internet » mi disse. « E ti pare poco? Ma se avrai la pazienza di insegnarmi imparerò senz’altro » gli dissi. « Insegnarti? Non appartengo certo alla preistoria del computer. Questi modelli terrestri non funzionano ancora con i comandi vo-cali, ma per il momento ti potrà bastare questo ».E mi consegnò un CD ROM. Accesi il computer ed inserii il disco nel lettore. Queste due azioni da quel momento furono la cosa più difficile che incontrai adoperando il mio portatile. Sullo schermo apparve una scritta che diceva: CIAO! CHE COSA VUOI FARE? SE VUOI ADOPERARMI PREMI UN TASTO QUALSIASI. Premetti un tasto a caso. Sullo schermo apparvero diversi rettan-goli all’interno dei quali vi era scritto: INTERNET - SCRIVERE - FOTO - FILMATI - MUSICA mentre una voce diceva: « Clicca sul rettangolino che ti interessa ».Provai con il rettangolino di internet. La voce disse, mentre sul video appariva scritta la medesima cosa: DEVI COLLEGARE IL COM-PUTER ALLA PRESA DEL TELEFONO. Così feci. Il computer si collegò automaticamente ad Internet. Tutto il resto venne sempli-ficato da una finestra nella quale si scriveva che cosa si voleva fare, ad esempio: cerca un ristorante cinese a Torino, collegati al sito tal dei tali, salva questa immagine, manda un messaggio a, fammi leggere la posta e via discorrendo. Il computer faceva tutto da solo, chiedendo ogni vol-ta di comunicargli gli eventuali dettagli. Provai con il rettangolo di scrivere. Il computer mi chiese se volevo scrivere qualcosa di nuovo o modificare qualcosa già scritto. Era impressionante. Sembrava che dall’altra parte ci fosse una persona, non una macchina. Alle voci filmati e musica, poi, si dimostrava particolarmente servizie-

a comunicare telepaticamente con la sua amica, si mise a parlare dicendole: « Non era previsto; speriamo che lo regga. In fondo se lo merita ».E ricominciammo. O meglio ricominciarono. Ora si erano trasfor-mate in due Messaline la cui foga non si arrestava mai e che mi in-citavano a fare cose che ogni uomo non sempre ottiene dalle donne comuni. Ero spaventato. Non avevo mai conosciuto Dìdele sotto quest’aspetto. Ma in quel momento non avevo tempo per pensare. Fare l’amore con due aliene è una cosa indescrivibile. Non voglio entrare nei particolari su come riuscimmo in tre a raggiungere in-sieme l’apice del piacere fisico, ma quando unimmo le nostre fronti l’estasi che ne derivò parve moltiplicata rispetto a quando facevo l’amore soltanto con Dìdele. A tal punto che quando riaprii gli occhi erano le due del pomeriggio del giorno dopo. « Te lo avevo detto che stava solo dormendo! » furono le prime pa-role che udii, pronunciate da Anavlis seduta sulla poltrona che stava accanto al letto. Con fatica mi sollevai a sedere, ma quando provai ad alzarmi dal letto dovetti desistere, poiché le gambe non mi reggevano. « Stava solo dormendo.. stava solo dormendo…» sbottò Dìdele. E continuò: « Mi sono spaventata molto. Per fortuna non è successo niente! ».Ero così debole che per tutto il giorno non riuscii ad alzarmi dal let-to. Mi furono serviti i pasti dalle mie due compagne, con frequenti e scherzose allusioni al leone della sera, unite ad un altro irrispettoso appellativo, in rima, adatto al mattino.

Ci sono delle grandi novità. Presto faremo un viaggio negli Stati uniti, allo scopo di compiere la missione per cui Anavlis è giunta sulla Terra. Il dottor Krast le sta fabbricando i documenti necessari. Finalmente potrò cominciare a conoscere qualcosa in più di questo nuovo mondo. E poi il mio periodo di lavoro come contabile sta per terminare. Ora dovrò incominciare una nuova attività. Quella di scrittore. Come dicevo all’inizio di questa lettera, è ormai da poco più di un anno che sono giunto in questa nuova vita. Per l’occasione un paio di mesi fa mi è stato regalato un computer portatile. Devo

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seranno al resto. Come faranno, ancora lo ignoro. Ma ho fiducia che abbiano delle risorse che ancora non conosco. Presto partiremo per un viaggio, lo scopo del quale non mi è ancora stato rivelato. Non chiedo di meglio. Di vedere, ascoltare, conoscere, capire. Ancora non conosco appieno le ragioni per cui ora mi trovo qui. Il mio destino comincia appena a delinearsi. Potrei sfuggirgli? Lo vorrei? Non m’importa, qualunque rischio dovessi correre, in fondo una vita l’ho già vissuta.

Nullum numen abest, si sit prudenzia, sed te Nos facimus, fortuna, deam, coeloque locamus.Nessun nume è lontano se c’è la prudenza, ma noi ti facciamo dea, o fortuna, ed in cielo ti poniamo.

vole poiché, quando si ciccava sull’apposito rettangolo, provvedeva da solo ad aprire lo sportello dove andava inserito il disco, e se non lo si faceva, dopo qualche secondo la voce e la scritta lo rammen-tavano prontamente. Se si voleva duplicare il disco bastava scrivere duplicare, oppure copiare o anche soltanto fammene un altro. Lavorava un po’, poi apriva lo sportello dicendo di inserire il disco sul quale si voleva incidere quello che si voleva copiare. A lavoro ultimato riapriva lo sportello ricordando di richiuderlo se non lo si voleva più adoperare. Sono riuscito senza sforzo ad incidere un disco con una sequenza di foto digitali con dissolvenze incrociate e musiche sincronizzate di sottofondo che si può vedere in qualsiasi DVD. « Non è altro che un programma che adopera quelli già esistenti sul computer, il quale permette di compiere con estrema facilità tutte le operazioni di base per cui il programma è stato creato, le quali, in fondo, sono le uniche che necessitano allo scopo » disse il dottor Krast. « Mi pare una cosa molto buona. Ma perché nessuno ci ha mai pen-sato fino ad ora? » chiesi. « Evidentemente il mercato non lo richiede in maniera particolare. Occorrerebbe un programma molto costoso, e realizzarlo sarebbe antieconomico; l’informatica è in continua evoluzione e bisogna continuamente creare nuovi programmi sempre più complessi an-ziché semplificare quelli già esistenti. I giovani, i quali hanno meno difficoltà ad imparare, non fanno caso agli ostacoli che incontrano nell’uso. Per loro in fondo è un gioco. Forse non ci si è ancora accor-ti che una semplificazione ne estenderebbe l’uso anche alle persone più anziane che non possiedono più l’elasticità mentale occorrente per imparare ad usarlo ».In effetti, da quel giorno ho incominciato ad adoperarlo sempre più e devo riconoscere che, per quanto riguarda lo scrivere, ora che ho acquistato una certa dimestichezza con la tastiera, mi sta facendo risparmiare un bel po’ di tempo. Ho già in mente parecchie idee e molti argomenti sui quali scrivere. Il mio timore è quello di non riu-scire a farmi conoscere. Oggi è difficile pubblicare qualcosa, poiché vi è moltissima concorrenza. Ma il dottor Krast e Dìdele mi hanno rassicurato. Io dovrò pensare a scrivere qualcosa di valido; loro pen-

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per qualche ora di ritardo! Si è persa la capacità di stupirsi. Invece io, nonostante da più di un anno non faccia altro che scoprire ogni giorno qualcosa di sorprendente, stento ancora ad abituarmi alle novità. Partimmo il tardo pomeriggio. Piovigginava ed era già quasi buio. Ricordo come, al momento del decollo, sembrava che l’ae-reo non dovesse mai staccarsi da terra, e come, quando finalmente ciò accadde, si avvertisse in maniera rilevante l’accelerazione verso l’alto. Poi, gradatamente, il fenomeno si attenuò, sino a scomparire del tutto, mentre la terra, giù in basso, continuava ad allontanarsi. Quasi subito raggiungemmo le nuvole, le attraversammo, e quando ne fummo al di sopra vedemmo il sole all’orizzonte. Viaggiavamo verso ovest, in direzione del tramonto; il chiarore del crepuscolo durò ancora parecchio. Si poteva ammirare, dal finestrino dell’aereo, il meraviglioso panorama di un bianco mare di nuvole che si stende-va sotto di noi. Dopo circa due ore si era fatto completamente buio. Ci fu servita la cena a bordo. Riflettei. Stavo cenando comodamente seduto sulla mia poltrona ad undici chilometri di altezza dal suolo, viaggiando a una velocità prossima a quella del suono e nell’arco di dieci ore dall’Europa avrei raggiunto l’America; le persone oggi sono talmente abituate a meraviglie come questa che non si rendono conto di vivere qualcosa di straordinario. Pensando alle condizioni di vita del tempo della mia esistenza precedente non posso che ri-marcare i progressi straordinari che sono stati compiuti. Oggi si vive senz’altro meglio di allora. « Dipende dai punti di vista » disse Dìdele, quando la misi a parte di queste mie riflessioni. Poi aggiunse: « Se consideriamo la storia dell’umanità nel suo insie-me, si può dire con certezza che il peggioramento delle condizioni di vita incominciò addirittura dalla preistoria, quando l’uomo abban-donò i ritmi naturali scanditi dalla caccia e dalla raccolta per diven-tare pastore e agricoltore, e, vivendo in comunità sempre più grandi, passò dai villaggi alle città, con tutti i problemi che ne derivarono ».« In questo modo, tuttavia, si è arrivati al progresso, alla conoscen-za e allo sviluppo del pensiero; questa mi pare una cosa positiva » risposi. « Certamente; ma in termini di felicità, per la maggior parte degli

Quinta lettera

Washington, 2 novembre 2005

Dio è onnipotente. Tra le cose che determinano la sua onnipoten-za, vi è la conoscenza del futuro, nonché il poter decidere ciò che accadrà domani. Domani, però, non sarà più libero di cambiare la sua decisione, cosa impossibile dato che è onnipotente; e nel caso lo facesse, vorrebbe dire che non conosce il futuro.

Caro e sconosciuto lettore, mi trovo qui, in una stanza d’albergo, solo e inquieto, a meditare su questo divertente paradosso filosofico tempo fa propostomi. da Dìdele. Sono nell’attesa dei miei compa-gni, i quali potrebbero anche non tornare più. Ho camminato per ore su e giù per la stanza, fermandomi ogni tanto per scrutare fuori della finestra. Ora, per ingannare il tempo e rendere meno snervante l’attesa, ho deciso di scrivere questa lettera, nella quale voglio rac-contati quello che è successo in questi ultimi giorni.

Finalmente ho incominciato a conoscere qualcosa in più sul con-to di Dìdele e dei suoi compagni. Durate il lungo viaggio in aereo dall’Europa sino a qui, avemmo molto tempo a disposizione per parlare. Ho detto lungo viaggio; impiegammo in tutto quindici ore. Ai miei tempi un simile tragitto avrebbe richiesto dei mesi con il non trascurabile rischio, dati i mezzi di trasporto dell’epoca, di non arri-vare mai a destinazione. E pensare che oggi la gente si spazientisce

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per noi, da quando, ottantamila anni fa, perfezionammo la tecnica della clonazione e della registrazione dei ricordi. La durata naturale della vita sul nostro pianeta equivale pressappoco a quella terrestre, dato che il pianeta stesso per dimensioni e distanza dal sole è pra-ticamente uguale alla Terra, ed i meccanismi dell’evoluzione della vita sono i medesimi in tutto l’universo” “Come si chiama il vostro pianeta? » la interruppi. « Come voi lo chiamiamo Terra » mi rispose con un tono che la-sciava trasparire la stupidità della domanda e l’ovvietà della risposta. « Da quando, ti dicevo, siamo in grado di immagazzinare i nostri ricordi in nuovi corpi rigenerati, la morte è diventata una scelta per-sonale. Più che la morte, farei meglio a dire il momento della morte, dato che tutti, prima o poi, decidono di compiere il passo e di non farsi più rigenerare ». Ero esterrefatto. La sua gente possedeva l’immortalità, ma ad un certo punto decide-va di morire! Com’era possibile? Glielo chiesi. Mi guardò fisso negli occhi. Passarono alcuni istanti interminabili durante i quali sembrò voler scrutare i miei pensieri. Poi abbassò lo sguardo e disse con un tono di voce insolitamente basso: « L’eternità...Che senso ha? Cos’è il tempo? Tu mi dirai: è un insie-me di istanti. Ma cos’è un istante? Come nel paradosso di Achille e della tartaruga, prendi un’ora e dividila per due, poi ancora per due e poi ancora e ancora e così all’infinito; non riuscirai mai a definire la durata di un istante perché potrai sempre dividerlo…Tu mi dirai ancora: questo non è che un paradosso matematico, il buon senso ci fa capire che un istante è il presente, è ciò che esiste veramente, poiché il passato non esiste più ed il futuro non esiste ancora; do-vrai tuttavia convenire che, essendo ogni istante divisibile all’infinito, dove finisce il passato inizia immediatamente il futuro e quindi il presente in realtà non esiste. Queste conclusioni fanno sorridere, perché cozzano contro la ragione… Ma ti dirò che il tempo esiste, ma non è che una convenzione. L’illusione che esso scorra è dovuta ad una serie infinita di adesso che a differenza del tempo sono ogget-tivi e reali, che continuamente attraversiamo, ognuno dei quali esiste come un universo a parte. Ci sono quindi infinite versioni di noi stessi, tutte immortali, incastrate in un tempo che non esiste e che

uomini che sono vissuti, tutto ciò è stato negativo. Pensa a come si viveva nell’antichità, alla schiavitù, alle condizioni di vita nel Medio Evo, alla condizione degli operai nel diciannovesimo secolo; pen-sa all’Africa, depredata nei secoli delle sue risorse e spopolata dal commercio degli schiavi, o allo sterminio delle popolazioni indigene delle Americhe operate prima dagli spagnoli e poi dagli Stati Uniti in poco più di due secoli. E voi terrestri parlate pomposamente del cammino che l’umanità ha compiuto: in realtà non siete che un pia-neta di pochi ricchi violenti e una moltitudine di straccioni morti di fame! ».Tanta veemenza mi sconcertava. Ma in fondo non potevo che es-sere d’accordo con lei. Sembrò accorgersene, e, come per scusarsi, aggiunse:« Il fatto è che tutto ciò è inevitabile, visto il modo in cui sono fatti gli uomini. Restammo in silenzio per un po’, poi, ripensando a quel-lo che mi aveva detto le chiesi: « Come fai sapere che le condizioni di vita erano migliori nella prei-storia rispetto ad oggi? ».« È giunto il momento per te di conoscere qualcosa in più sul no-stro conto. Ti avevo detto che siamo presenti sulla Terra da circa due secoli. Questo non è completamente vero. Da due secoli siamo presenti in modo attivo nel programma per la salvezza di questo pianeta, ma in realtà sono passati circa trentamila anni da quando la nostra specie ha visitato per la prima volta la Terra ». Rimasi scon-certato. Le chiesi: « Chissà quante generazioni della tua gente si saranno im-pegnate in questo nobile intento! Perché lo fate? ».« Quante generazioni? È una cosa relativa. Non sai quanto viviamo e quanti anni ho ». « Ogni volta che ti chiedevo qualcosa, rispondevi sempre che era meglio che io non sapessi. Mi sono rassegnato a questo pensando che aveste senz’altro le vostre buone ragioni. Ma ora, come mi hai detto poco fa, mi sembra che sia giunto il tempo che io incominci a conoscere qualcosa di più. Non ti pare? ». Rimase per un po’ in silenzio, poi, annuendo, disse: « Va bene ».Ed incominciò: « Stabilire quanto viviamo è diventato difficile anche

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Restammo un po’ senza parlare. Pensavo all’età di Dìdele. E al fatto che, curiosamente, mi avrebbe fatto più impressione se mi avesse detto di avere novant’anni anziché trentamila. In quest’anno della mia nuova vita ero sempre stato impegnato con il mio lavoro presso la ditta del dottor Krast; questo mi aveva permesso di conoscere meglio le persone e i meccanismi che regolavano la vita di tutti i giorni. Avevo dedicato troppo del mio tempo libero per lo più a divertirmi e a fare l’amore e quel poco che ne restava a conoscere questo mondo attraverso i libri e la televisione. Chissà perché non mi ero mai posto molte domande su come fosse il suo mondo; forse perché mi restava già poco tempo per scoprire questo? Tanto meno mi ero mai chiesto quali progressi avessero compiuto dal punto di vista filosofico. Ed ora, dopo avermi fatto capire che non aveva in-tenzione di vivere all’infinito, mi aveva appena confessato di essersi convertita. A che cosa? Forse ad una religione? “Sors tua mortalis, non est mortale quod optas” “Se la tua sorte è mortale, non è mortale ciò che brami” pensai fra me. Ad un certo punto non potei fare a meno di chiederle a bruciapelo: « Dio esiste? ». Rise di gusto. « E come faccio a saperlo? Pensi che con la conoscenza scientifica si possa dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio? Forse con la filosofia si può tentare di arrivare a qualcosa, ma dimostrarlo, come sai, è impossibile. Di certo non esiste il piccolo Dio della Genesi, del Paradiso Terrestre, del Diluvio Universale, della Torre di Babele. A queste cose ormai, almeno nel senso letterale, non credono più quasi tutti i teologi. Di certo non esiste il piccolo Dio che crea l’uo-mo libero, ma debole e peccatore e poi fa dipendere la sua salvezza da una scelta di fede; oltretutto, quale scelta sarebbe quella che ti proponessi dicendoti: o ami me o vai all’inferno? Di certo non esi-ste il Dio che ti mette alla prova lasciandoti tentare dal demonio. Oppure vuole verificare fino a che punto sei disposto ad obbedirgli, come fece con Abramo, quando gli chiese di sacrificare il suo unico figlio Isacco; che bisogno ha di metterti alla prova dato che, essendo onnipotente, conosce perfettamente il tuo cuore come conosce e sempre conoscerà quello di tutti gli uomini?

non scorre mai. E poi si pensa all’eternità sempre al futuro, mai al passato. Se c’è un futuro eterno, perché non deve esserci un passato eterno? Già sant’Agostino si chiedeva cosa facesse Dio prima della creazione del mondo. In realtà non esiste un presente, ma solo un eterno passato che è la causa di un eterno futuro… L’unico modo per poter evitare questo paradosso è uscire da questa dimensione. Uscire dalla dimensione fisica per entrare in quella energetica, o spi-rituale, come la definite voi terrestri…».Mi sembrò un ragionamento alquanto confuso. Per la prima volta avvertii una qualche incertezza nelle sue parole. Poi continuò: « Perché poi sul nostro pianeta prima o poi tutti decidano di morire è difficile da spiegare. Il fatto è che ad un certo punto la vita, benché piacevole e in concreto senza problemi, diventa insopportabile. Io ho trentamila anni e sono già stata clonata moltissime volte. Avevo già deciso di interrompere, perché mi ero accorta di non riuscire a dare un significato alla mia esistenza, ma poi mi sono convertita e sono entrata nell’ordine dei Fratelli. Prima di interrompere voglio vedere avviato il progresso di questo pianeta. Ormai mancano pochi anni al momento decisivo, in cui daremo all’umanità la possibilità di uscire dalla sua infanzia tecnologica ».« Mi pare che questo mondo stia progredendo anche senza di voi » dissi. « Il vostro non è ancora progresso. Avete acquisito solo delle cono-scenze tecnologiche, ma rimanete pur sempre e soltanto dei primi-tivi che sanno adoperare il computer e armi sempre più potenti e sofisticate. Alla maggior parte di voi non passa neanche per la mente che lo sviluppo economico non può continuare all’infinito, che deb-ba essere programmato e non soltanto regolato dal mercato, che le risorse della terra non sono illimitate e che arrivati ad un certo punto non sarà più possibile tornare indietro. Ci sarebbe stata una buona occasione in passato, con i regimi comunisti, per avere uno Stato in grado di controllare efficacemente l’economia; ma questi sono presto sfociati in dittature sanguinarie e non hanno fatto altro che imitare, in termini ecologici e di sviluppo economico, la dissennata politica del capitalismo. È molto difficile cambiare la società senza prima cambiare l’uomo ».

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« Quindi non c’è un Dio che continuamente crea un’anima ogni volta che un essere vivente nasce? ».« Non precisamente. Ogni nuovo essere vivente che nasce, dal più piccolo batterio all’uomo, apre un ponte tra il mondo materiale e quello energetico, o spirituale. Questo ponte è l’anima. Fummo noi, migliaia d’anni fa, a suggerire tutto ciò all’umanità nei nostri viaggi precedenti. Tra i saggi che scrissero le sacre leggi dello Shasta e del Veda c’erano infatti i primi Fratelli. Tante volte siamo intervenuti in passato per influenzare, direttamente o indirettamente, i loro pen-sieri ». Ero strabiliato.

Avrei voluto farle ancora un mucchio di domande ma tutte mi si affollavano nella mente, al punto che non riuscii a farne uscire ne-anche una. E continuò: « Ricordo ancora quando arrivammo la prima volta su questo pia-neta. Fummo materializzati sulle rive dell’Eufrate, ad est dell’attuale Turchia, in piena età della pietra. Quello era il vero paradiso terre-stre! Una prateria dove brulicavano pacifiche migliaia di gazzelle. Il clima era piacevolmente caldo. Ricordo una battuta di caccia: gli uomini sono armati soltanto di lunghi bastoni appuntiti; ben orga-nizzati, aspettano al varco gli animali che attraversano il guado sul fiume, poi spingono le loro prede verso la trappola disposta sull’altra riva. Con una sola spedizione avranno a disposizione tonnellate di carne. A quei tempi anche la raccolta era un gioco da ragazzi. I pendii delle colline erano coperti di cereali e piante da frutto che crescevano spontaneamente su delle grandi distese. Senza aver semi-nato riempivano senza fatica i loro granai. La terra, a quei tempi era sicuramente generosa. Era finito il tempo in cui bisognava aspettare, al freddo, il passaggio incerto di qualche mammut, oppure, nella mi-gliore delle ipotesi, accontentarsi di qualche carogna. La glaciazione era terminata da qualche migliaio di anni e in quel corridoio fertile tra il Tigri e l’Eufrate un vento caldo aveva regalato all’uomo un vero paese della cuccagna. Quegli uomini avevano realizzato già una grande opera: un santuario monumentale, che non aveva paragoni in quell’epoca così antica. Questo centro di culto attirava pellegrini da cento a duecento chilometri nei dintorni.

Ed infine non esiste certo il piccolo Dio che, conoscendo il futuro, crea un’anima che sa già essere condannata alla dannazione eterna ».Ero abituato a disputare su questi argomenti, e, per una specie di ri-vincita nei suoi confronti, cercai di metterla in difficoltà su quest’ul-timo argomento, dicendole:« Qualsiasi teologo potrebbe risponderti che, nonostante Dio cono-sca il futuro, fa di tutto per salvare la tua anima con l’aiuto della Gra-zia e con la sua infinita misericordia. La tua salvezza dipende quindi unicamente da te ».Forse si accorse di questo mio tentativo, perché il suo tono di voce, nella risposta, si fece decisamente ilare, quasi canzonatorio. « Se tu conoscessi il futuro, metteresti al mondo un figlio il quale, no-nostante tutti i tuoi sforzi per evitarglielo e sia pur per sua scelta, sof-frisse e fosse infelice per tutta la vita? Potresti affermare che la vita che gli hai dato è un dono? Potresti asserire d’essere buono e di volergli bene? Suvvia, François, questo è un Dio fatto dall’uomo a sua imma-gine e somiglianza, mentre dovrebbe essere vero il contrario. Questo è bestemmiare Dio. Egli è qualcosa di infinitamente più grande. La prova? Guarda il cielo. Perché un universo così grande per un uomo così piccolo? Ma a tutto questo ci eri già arrivato da solo, tre secoli fa. Ciò in cui credo io, se vogliamo prendere lo spunto da una tra le tante religioni terrestri, è la reincarnazione. Non esiste l’inferno. O almeno l’inferno può essere in questa vita, se nella precedente ci si è com-portati male. Il raggiungimento del Paradiso si ottiene attraverso un cammino di perfezione attraverso molteplici esistenze, alla fine delle quali, con i ricordi di tutte le esistenze passate, al di fuori dello spazio e del tempo, l’anima si ricongiunge a Dio. Questa è la mia fede, e mi consola pensare che se invece dopo la morte non ci fosse nulla, non avrei comunque modo di rammaricarmene poiché non esisterei più ».« Credi dunque nell’anima? » ribattei. « Certamente. La tua vera essenza di ogni essere è l’anima. È una forma di energia. È il ponte tra il mondo fisico e la forza che ha crea-to l’universo. Ogni essere vivente, dal più semplice al più complesso ne è dotato. Al termine dell’universo tutto quanto si condenserà in una singolarità unica in un punto onnisciente ed eterno e conterrà tutte le informazioni, o anime di tutti gli esseri vissuti »

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bilonia, soprattutto quelli degli Assiri e dei Sumeri, inventori della scrittura verso il tremila avanti Cristo. Gli esempi abbondano. I pri-mi versetti della Genesi In principio gli dei fece, o fecero, il cielo e la terra e separò la luce dalle tenebre ricordano l’inizio di un poema sumero sulla creazione: quando il cielo fu separato dalla terra, quando la terra fu allonta-nata da cielo. Nella Bibbia Dio modella l’uomo con il fango del suolo e per i Sumeri gli dèi modellano delle creature umane con l’argilla. Lo stesso episodio di Caino ed Abele si rispecchia nell’antagonismo tra il dio pastore Dumuzi e il dio agricoltore Enkidu, entrambi in-namorati della stessa donna. Persino il perfido serpente della Bibbia viene da un episodio dell’epopea di Gilgamesh dove un re viene derubato da un serpente della pianta della vita che gli avrebbe dato l’immortalità ».Molte di queste cose le avevo già ipotizzate e scritte nel mio Dizio-nario Filosofico; mi confortava il fatto che anche lei fosse della mia opinione. Ne era stata testimone diretta? La sua gente era presente da migliaia di anni su questo pianeta. Doveva quindi aver assistito ai più importanti avvenimenti della storia. Le chiesi subito della cosa che mi pareva più importante: « Siete quindi stati testimoni diretti della venuta di Gesù Cristo su questa terra? ».« No. Come ti ho detto, scoprimmo che questo pianeta era abitato da forme di vita intelligente trentamila anni fa. Ritornammo dopo ventimila anni, come ti ho descritto prima, ma non intervenimmo in alcun modo. Tornammo ancora nel periodo del quinto secolo avanti Cristo, quando in vari luoghi della terra ispirammo i filosofi dell’an-tica Grecia, il Budda, Confucio e Zaratustra. Ed infine ritornammo tre secoli fa, agli albori dell’età industriale, per seguire l’umanità allo scopo di evitare, come era successo già in altri mondi, la catastrofe che l’uso dissennato della tecnologia avrebbe causato. Non ti posso quindi dire se Gesù sia veramente il figlio di Dio e se è risorto, come non posso sapere se veramente l’Arcangelo Gabriele sia apparso a Maometto. Queste rimarranno sempre questioni di fede. Io ho la mia e non pre-tendo che anche gli altri ce l’abbiano. Sono poi convinta che tutte le religioni non siano che tanti sentieri che partono dai diversi versanti

Una Santiago di Compostela dell’età preistorica. Fu necessario ri-unire centinaia di uomini per costruirlo, ed i lavori durarono molti anni. Per la prima volta degli uomini si riunirono in gran numero e lo fecero allo scopo di prendere parte a dei riti. La spiritualità è il pri-mo motore della vita sociale. Il posto dove sorgeva questo santuario oggi è chiamato Gobekli Tepe (La collina dell’ombelico). Un bel nome per il luogo delle origini, non trovi? ».« Origini di cosa? » domandai. « Le origini del mito del paradiso perduto, dell’Eden » e continuò: « Al di là di ogni significato religioso, il primo libro della Bibbia riassume quattromila anni della storia dell’uomo. Adamo ed Eva mangiano il frutto proibito raccolto dall’albero della conoscenza del bene e del male e si scoprono nudi. Vestiti di tuniche in pelle dategli da Yahvè, subiscono il castigo di venire cacciati dal giardino dell’E-den. Questo episodio racconta in realtà la fine dell’età meravigliosa della caccia e della raccolta e l’invenzione dell’agricoltura della se-dentarietà. È quella che viene detta la rivoluzione del neolitico, che si è sviluppata circa dodicimila anni fa, nelle regioni del Medio Oriente. Il giardino dell’Eden e I suoi alberi graditi alla vista e buoni da mangiare è un’allusione ai primi uomini che vivevano di raccolta, come lo è l’ingiunzione divina di Potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino eccetto che dell’albero della conoscenza del bene e del male. Il fatto di lasciare questo paradiso è appunto l’invenzione dell’agricoltura che è evocata nella maledizione lanciata da Yahvè: Maledetto sia il suolo a causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. In confronto all’ozio relativo di un cacciatore-raccoglitore che vive nell’abbondanza delle risorse naturali questa trasformazione è dolorosa: Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte. Poi arriva l’allevamento: Abele divenne pa-store, e fece l’offerta dei primi nati del suo gregge e il loro grasso. Poi ancora la costituzione dei primi centri abitati, altra caratteristica del neolitico: Caino fondò una città e gli diede il nome di suo figlio Henoc. Poi l’età dei metalli: Zilla partorì Tubalkain, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame ed il ferro. Non si può certo attribuire alla Bibbia, che è stata scritta tra il decimo e sesto secolo avanti Cristo, la paternità di queste idee. I redattori ebrei della Genesi si sono basati sugli scritti delle civiltà che li hanno preceduti, nel periodo in cui furono deportati a Ba-

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sanitaria. Paese della civiltà e della democrazia, dove in molti Stati è ancora in vigore la pena di morte. Il ricco paese che, dopo la ca-duta del muro di Berlino, ne ha eretto uno al confine con il pove-ro Messico, come ha fatto Israele con la Palestina. Un posto come tanti, dove è meglio essere ricchi che poveri. La prima impressione che ebbi all’aeroporto fu quella di entrare in un paese blindato. I controlli a cui fummo sottoposti all’andata erano poca cosa a con-fronto di quelli che dovemmo subire al nostro arrivo. D’altronde, dopo l’undici settembre tutto questo ne era la logica conseguenza. L’attacco sferrato al cuore dell’America era stato un brusco risveglio dal sogno di una nazione che si era sempre ritenuta inattaccabile. Il fenomeno del terrorismo è esploso non solo qui, ma in tutto il mondo. Chiesi a Dìdele cosa pensasse di tutto ciò. Mi rispose: « Come ai tempi della decadenza dell’impero romano i barbari incominciano a premere alle frontiere. Con la differenza che oggi i confini non sono più soltanto geografici, ma si estendono in tutto il mondo in zone di influenza economica e quindi gli interessi di una nazione possono facilmente venire colpiti anche al di fuori dei suoi confini. Non a caso il mondo occidentale si è affrettato a seguire l’America nell’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq, uffi-cialmente per sradicare il terrorismo e riportarvi la libertà e la demo-crazia, ma in realtà per controllare delle aree di vitale importanza per l’economia del petrolio. Anche altri Paesi avrebbero avuto bisogno di simili interventi, ma non possedevano petrolio o qualche altra ric-chezza da poter sfruttare e quindi sono stati abbandonati a sé stessi».Le risposi: « Vedo che le cose, rispetto al mio tempo, non sono cam-biate. Sono cambiati i mezzi e le armi, non ci sono case regnanti ma multinazionali e nomenklature, ma si trova sempre un buon motivo per fare qualche migliaio di morti in nome di qualcosa di nobile, ca-muffando così interessi economici o di potere ». E aggiunsi: « Volete cambiare il mondo, ma mi chiedo come pensate di riuscire a cambiare gli uomini in così poco tempo ».« Certamente non riusciremo a cambiare la loro natura; ma vedrai che riusciremo a farli ragionare. Vedi, mio caro François, la mag-gioranza degli uomini non è né cattiva né buona. È amorfa. È abi-tuata ad obbedire e il più delle volte non si preoccupa se quello che

della montagna per confluire sulla cima, dove si trova l’unica verità assoluta ».Era bello sentirla parlare. Chissà quante cose conosceva. Di quale intelligenza era dotata. Al suo confronto mi sentivo un povero igno-rante. Un ignorante innamorato di lei. E in quello stato di dipenden-za che viene dal contemporaneo sussistere di amore e soggezione verso una persona. Forse anche per questo avevo sempre accettato senza discutere tutti gli ordini che, sorridendo, mi aveva impartito. Guardai fuori del finestrino. Si era fatto buio. Avvicinai gli occhi al vetro e misi le mani ai lati del volto per poter scrutare il cielo sen-za essere disturbato dal riflesso delle luci dell’interno dell’aereo. Un magnifico cielo stellato, punteggiato da migliaia di stelle, si presenta-va alla vista. Forse una di quelle stelle era il sole attorno al quale or-bitava il pianeta da cui proveniva Dìdele. Nelle poltrone avanti a noi Anavlis e il dottor Krast si guardavano senza parlare. Ormai avevo incominciato a riconoscere quando, per comunicare, non adopera-vano le parole ma la telepatia. Reclinai lo schienale della poltrona e mi adagiai dolcemente chiudendo gli occhi. Mi addormentai. Fui svegliato dalla voce del comandante che per radio annunciava che da lì a poco saremmo atterrati sul suolo americano, a New York.

Anche l’atterraggio è emozionante, forse ancor più del decollo. Ri-cordo come mi resi conto della velocità a cui stavamo viaggiando solo quando l’aereo, con un sobbalzo, toccò terra. Sembrava che non dovesse farcela ad arrestarsi, mentre i motori giravano al mas-simo. Avvertimmo gli effetti della decelerazione, mentre l’aereo ral-lentava notevolmente la sua corsa. Alcuni passeggeri applaudirono. « Sono italiani » commentò Dìdele. Finalmente eravamo in America. Patria della democrazia. Patria del-la libertà e paese delle opportunità. Paese moderno ed evoluto, mi-glior sistema economico del mondo, più grande esercito, quantità e qualità di armamenti, in poche parole i padroni del mondo. Il paese che da solo brucia più della metà delle risorse mondiali di energia e di materie prime. Il paese dei miliardari. Ma anche il paese con il dieci per cento della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. Un paese dove un cittadino su quattro non ha l’assistenza

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Mi sembrano così innaturali…» dissi cercando di celare il mio im-barazzo. « Non credere che l’omosessualità o la bisessualità siano cose inna-turali o peggio, immorali. Sono perfettamente naturali; questi casi in natura esistono in numero rilevante tanto per gli animali quanto per gli uomini. Sul nostro pianeta sono praticati senza alcuna remora di carattere morale. Il matrimonio omosessuale e quello poligamico, per ambo i sessi, sono una cosa perfettamente normale da molto tempo. La cosa immorale semmai è imporre, contro la sua volontà, ad omosessuale un rapporto eterosessuale e viceversa. Voi terrestri credete di amare ma il più delle volte obbedite solamente al bisogno di possedere. In fondo un uomo è molto meno geloso se la sua don-na lo tradisce con un’altra donna. Forse perché la sua virilità non è messa in discussione ». Ma con Anavlis la cosa era diversa. Per lei il sesso era una cosa da praticare anche con gli amici - e con le amiche - anche soltanto come semplice manifestazione d’affetto. Chissà, nel corso della sua lunga vita, con quanti uomini e donne era stata, e con quanti altri contava di stare. In più, non mi aveva mai detto Ti amo. Lo so, non avevo certo il diritto d’essere geloso, ma la cosa mi bruciava.

Alcuni giorni dopo ci recammo a Washington. Qui si sarebbe svolta l’operazione per la quale ci eravamo recati negli Stati Uniti. « È giunto il momento di agire. Domani compiremo un’azione mol-to pericolosa. E tu avrai un compito da svolgere » mi disse Anavlis dopo che tutti e quattro fummo riuniti nella stanza dell’albergo. « Io? Cosa devo fare? » chiesi più preoccupato che incuriosito. « Ora ti spiegherò tutto » intervenne il dottor Krast. E continuò: « Non preoccuparti. Non avrai parte attiva nello svolgimento dell’o-perazione. Il tuo compito sarà molto semplice ».Prese una borsa, la aprì, e ne trasse quattro piccole sfere e quello che sembrava un computer portatile. « Questo non è un computer; non è altro che quella scatola che hai visto quella notte sul monte Musinè quando Anavlis venne materializzata. L’ho camuffata in questo modo per poter passare i controlli alla frontiera ». Diede una sfera ad ognuno, poi mi disse:

sta facendo è bene o male, perché scarica la propria responsabilità sul gruppo o sul capo. Ciò che lo preoccupa veramente non è di commettere qualcosa d’immorale, ma qualcosa di socialmente ri-provevole. E quindi si adegua all’opinione corrente. Pensa ai tempi odierni, in cui tanti comunisti di ieri sono diventati i conservatori di oggi. Dopo la caduta dei regimi comunisti pochi hanno osato spe-rare che fosse possibile migliorare il comunismo. I più si sono sem-plicemente adeguati all’opinione corrente e hanno seppellito anche questa speranza, assieme a quella di cambiare il mondo, tra gli errori di gioventù. È vero che solo gli stupidi non cambiano mai opinione: ma ci sono quelli ancor più stupidi che solo per il solo fatto di averla cambiata sono persuasi di trovarsi per forza in quella giusta. I guai cominciano quando non si hanno più dubbi, ma solo certezze ». « In vitium ducit culpae fuga. Nel vizio porta la fuga dalla colpa. (Quan-do cercando di evitare un errore se ne commette un altro) la inter-ruppi ancora, cercando di calmare la sua impetuosità ».« La nostra missione è intervenire sui pochi uomini che condizio-nano il destino dell’umanità. Siamo venuti qui per questo » terminò. Queste sue ultime parole mi lasciarono perplesso. Eravamo solo in quattro, senza armi e senza alcuna particolare risorsa. Cosa avevano intenzione di fare? Glielo chiesi; con le solite scuse mi fu negata la risposta. Per alcuni giorni visitammo New York. Caro e sconosciuto lettore, mi asterrò dal descrivere cose che sicuramente conoscerai meglio di me. Non basterebbe un libro intero per descrivere questa città. Una cosa mi ha sconvolto. Riguarda Dìdele. Una sera mi ero at-tardato nella hall dell’albergo, conversando con il dottor Krast. La conversazione si protrasse per molto tempo. Dìdele e Anavlis ci ave-vano lasciato, con la scusa che si sarebbero ritirate nella nostra stan-za per parlare in tranquillità. Quando ebbi terminato di conversare con il dottor Krast salii anch’io per andare a letto, ma quando aprii la porta della stanza rimasi di stucco: Dìdele ed Anavlis stavano nel letto abbracciate e si stavano baciando sulla bocca. Si accorsero di me. Si divisero dal loro abbraccio. Con una naturalezza disarmante Dìdele disse: « Non sarai per caso geloso, François? ».« No, il fatto è che non sono abituato a questo genere di cose.

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Dovrai attendere parecchio, forse delle ore. Quando nel cielo vedrai delle luci come quella notte sul Musinè toccala nuovamente. Questo è tutto. Sono stato chiaro? ».In effetti non era difficile. Pensai divertito a quanto la cosa sarebbe stata complicata adoperando un computer dei nostri giorni. « Se per un qualsiasi motivo non attivassi la ricezione, cosa succede-rebbe? » chiesi. « Ad una data ora i corpi si materializzerebbero comunque sulla spiaggia di Le Porge, ma si correrebbe il rischio che qualche estra-neo possa assistere alla loro materializzazione ».« E cosa devo fare nei nove mesi di attesa? » chiesi ancora. « Incomincia a scrivere ».« Scrivere cosa? ».« L’argomento lo troverai sempre nella borsa. È un rapporto di uno dei massimi esperti di psicologia, Daniel Kahhneman, che parla del rapporto tra economia e felicità. La tua abilità di scrittore ti per-metterà senz’altro di scrivere qualcosa sull’argomento. Anche per questo sei stato scelto. Attraverso il tuo successo di scrittore dovrai contribuire a creare una nuova coscienza tra la gente per quel che riguarda il rapporto tra consumo, relazioni e felicità. Troverai anche l’indirizzo di una casa editrice a cui potrai rivolgerti per la pubblica-zione delle tue opere. Non temere di vedertela rifiutare. Il proprieta-rio della casa editrice è un Fratello: penserà lui a tutto ».

È già quasi buio. Ho impiegato tutto il pomeriggio per scrivere que-sta lettera. Comincio a temere il peggio. I miei compagni sono partiti questa mattina e non sono ancora tornati. Ci siamo salutati con un abbraccio. Hanno appoggiato le sfere sulla loro fronte per qualche istante, me le hanno consegnate e sono usciti. Solo ora scopro quan-to mi sono affezionato a loro. Più di tutto mi sono rimaste impresse le parole che Dìdele mi sussurrò all’orecchio, prima di lasciarmi: « Ti voglio bene, François ».« Nello stesso modo in cui vuoi bene ad Anavlis? » avrei voluto chiederle.

Amplector hunc et illam. Abbraccio questo e quella.

« L’operazione di domani sarà rischiosa. Anavlis è stata clonata come sosia di una persona che lavora alla Casa Bianca. Questa persona ha accesso a documenti importantissimi per la nostra missione sulla Terra. Domani mattina, mentre si reca al lavoro, la rapiremo, ma non le faremo del male. Cancelleremo dalla sua mente il ricordo del rapi-mento. Dormirà soltanto per un po’. Quando tornerà la rilasceremo e non ricorderà nulla. Crederà di avere avuto un’amnesia. Anavlis dovrà introdursi nella Casa Bianca al suo posto per fotografare al-cuni documenti. Prima dell’operazione, per sicurezza, registreremo i nostri ricordi nelle sfere che lasceremo in questa borsa. Se qualcosa andasse storto non potremmo permetterci di essere catturati vivi ».Prese la borsa e me la diede. Poi continuò: « Nel caso in cui non tornassimo dalla missione entro la mezzanotte, dovrai andartene subito. Non tornare in Italia, ma recati Parigi. Lì c’è un appartamento nel quale dovrai andare ad abitare. Nella borsa ci sono le chiavi e l’indirizzo. Dovrai trasmettere al più presto i dati contenuti nelle sfere seguendo le istruzioni dell’apparecchio. Nell’appartamento troverai il denaro che ti permetterà di vivere tranquillamente per i nove mesi occorrenti al nostro ritorno, che avverrà a Le Porge, presso il cen-tro naturista dove hai conosciuto Dìdele. Porta l’apparecchio e le sfere ».« Scusa, hai detto nove mesi?”lo interruppi.« Sì, occorre tutto questo tempo per formare dei nuovi corpi. Quando sul nostro pianeta giungeranno i nostri ricordi, una volta terminata la clonazione si provvederà ad inserirli in essi e poi ad inviarli sulla Terra ». Poi mi mostrò la scatola e mi impartì le istruzioni. « Accendi l’apparecchio come se fosse un normale computer. Sul video, tra le tante icone ne troverai una con scritto viaggi. Non ado-perare il mouse, ma toccala con il dito e sul video ti verrà richiesta la password: Voltaire. Digitala normalmente. Sul video appariranno diverse icone. Tocca quella su cui è scritto introduzione sfere. Il video diventerà verde. Appoggia una sfera su quest’apertura e attendi fino a quando diventerà giallo. Toglila; il video ritornerà verde. Fai altret-tanto con le altre sfere. Poi tocca l’icona sulla quale è scritto trasmis-sione e attendi. Ti apparirà la scritta OK, e, più in basso, la data nella quale sarà possibile attivare la ricezione dei nostri corpi. Quando vorrai attivare la ricezione dovrai toccare l’icona con scritto ricezione.

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dustrializzazione che ha creato il progresso almeno qui in Occidente, ha dato da mangiare e una casa a tutti, ha allungato la durata della vita, insomma ha dato la sicurezza economica? Oggi la risposta a questa domanda non è più così scon-tata, da quando cioè i progressi della psicologia e della sociologia hanno permesso di misurare la felicità, cioè il grado di soddisfazione raggiunto, sia individuale che collettivo, delle nostre società. Queste indagini hanno confermato l’intuizione secondo cui l’aumento del reddito e della ricchezza di una persona non è automa-ticamente legato ad un aumento della felicità e che, oltre un certo livello di reddito che corrisponde al soddisfacimento dei bisogni di base, la curva della felicità tende a decrescere. Secondo molti studiosi, l’economia oggi è ad una svolta storica e deve porsi come obiettivo principale non la crescita del Pil, ma la felicità. C’è un bellissimo scritto di Robert Kennedy, che illustra questa idea, e dice: il prodotto nazionale lordo comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze che trasportano i feriti degli incidenti stradali; conta le serrature che blindano le porte delle nostre case e delle celle in cui rinchiudiamo chi cerca di scassinarle. Il Pil non considera la distruzione delle sequoie e la morte del Lago Superiore. Aumenta con l’aumentare della produzione di Napalm, di missili e di testate nucleari, ma non tiene in alcun conto la salute delle nostre famiglie, la qualità dell’istruzione, la gioia dei giochi. Non riesce a rilevare la bellezza della poesia, la forza di un matrimonio, l’intelligenza del dibattito politico o l’integrità dei funzionari pubblici. Insomma, misura tutto, salvo quello che rende la vita degna di essere vissuta. Oggi, nella nostra società industrializzata, lo sforzo concentrato su un solo obiettivo, che è quello di incrementare il reddito pro-capite, così come ci racconta ogni giorno la televisione, oltre a non aumentare il livello di soddisfazione dei singoli individui, crea incentivi che distruggono l’occupazione, la salute, la stabilità dei legami familiari. Il fatto nuovo che invece sta emergendo negli ultimi anni è proprio il rapporto perverso per cui in certi casi avere più ricchezza ci fa sentire più infelici. In sintesi, il dibattito attuale sul benessere e sulla felicità può essere riassunto così: La felicità è qualcosa di diverso rispetto ai mezzi economici con cui crediamo di perseguirla. Possiamo, cioè, essere ricchi e infelici. L’importanza della prestazio-ne economica è che essa può essere un mezzo per ottenere un fine. Questo fine non è il consumo esasperato, né l’accumulazione di televisori o scarpe, e neanche il desiderio di tassi di interesse sempre più elevati, quanto piuttosto l’arricchimento del sentimento di benessere dell’umanità. Anzi, ci accorgiamo che la felicità au-menta quando diminuiscono i consumi imposti e aumentano i beni relazionali.

Sesta lettera

Le Porge, 6 luglio 2006 La ricerca della felicità gode di una lunga tradizione anche nello studio dell’eco-nomia. L’economia nasceva infatti nei paesi mediterranei come scienza della feli-cità pubblica, cioè sociale; insomma, riguardava tutti. Già agli economisti del di-ciottesimo secolo era molto chiaro il concetto per cui il consumo era solo un mezzo per vivere più contenti. Fu nel diciannovesimo secolo, quando nacque l’economia moderna, che i primi economisti suggerirono che il principale obiettivo dell’eco-nomia fosse quello di allargare sempre più la felicità complessiva di una società. Questa impostazione, che gli economisti chiamarono dell’utilitarismo, si ritrova anche in alcuni scritti di Adam Smith, come il famoso La ricchezza delle nazio-ni, ed è presente persino nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776, dove troviamo scritto che la Pursuit of Happiness, cioè la ricerca della felicità, era uno dei diritti inalienabili di tutti gli uomini, insieme al diritto alla vita e alla libertà. Prevalse poi l’impostazione di Adam Smith, che diceva che era l’interesse individuale la molla dell’interesse collettivo, e di Charles Darwin che sosteneva che “se tu non curi i tuoi interessi, nessuno lo farà per te”. Per questo si arrivò all’adozione, nella prima metà del ventesimo secolo, del concetto di reddito pro-capite come misura dell’economia, e all’idea che un au-mento di produzione dava anche più benessere e quindi più felicità. Aumentare il reddito pro-capite degli stati come fonte di benessere per tutti, divenne dunque il metodo adottato dalle Nazioni Unite, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. Nessuno metteva in dubbio questa verità, anche perché si diceva: non è forse stata la straordinaria crescita economica promossa dall’in-

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Terzo: la crisi del benessere, perché non siamo per nulla convinti che nei nostri paesi ricchi le persone siano più felici, ed è vero invece che il sistema consumistico ha bisogno di persone insoddisfatte per far nascere il bisogno di nuovi prodotti. Ed infine: la crisi del futuro, perché non è più vero che dandosi da fare e lavo-rando si possano migliorare le condizioni di vita proprie e dei propri figli, perché le nuove generazioni stanno peggio delle precedenti e perché questa società sta perdendo le sue prospettive e la capacità di dare un senso all’esistenza. Meno consumo di merci e più relazioni? Ma cosa sono questi beni relazionali che non costano nulla e che ci rendono felici? I beni relazionali sono beni che hanno un valore ma non un prezzo di mercato, sono beni che rappresentano non un incontro di interessi ma di gratuità. Sono dei beni di creatività e non beni di comfort. La cosa è alquanto complessa. Beni di comfort sono ad esempio un paio di scarpe, un frigorifero, un piatto di pasta, un comodo divano, una vasca idro-massaggio. Cosa hanno in comune questi beni? Hanno una utilità che decresce fortemente con l’uso e conducono subito alla noia. Apprezzo molto il mio primo paio di scarpe se prima non ne avevo ma l’utilità che mi conferisce il quinto paio è molto piccola. Così avviene anche per gli altri beni. Anzi per i beni di comfort più durevoli averli tra i piedi è fonte di disutilità e desiderio di comprarne dei nuovi. I beni di creatività invece hanno la caratteristica opposta: più li uso più mi portano benessere. Esempi classici sono i beni culturali, la musica, la lettura, il teatro, ma anche i beni relazionali. La lettura di un buon libro, l’impegno civile, le amicizie, il tempo per seguire i figli, e Dio sa quanto è lungo questo elenco,sono tutti beni che continuano a conferire utilità nel tempo e non hanno gli effetti di nausea dei beni comfort. Vedere nel mio scaffale un libro già letto continua a generare in me un senso di piacere. Il futuro ci interroga e ci parla della necessità di sostituire una dimensione puramente economica dell’esistente con una che mette al centro i nostri bisogni più profondi. Non possiamo rimandare il confronto. Il tempo stringe. Ce lo dicono i fatti.

Citius, altius, fortis dovranno diventare Lentius, profundis, suavis

Per tutto questo sarà necessaria un’economia al servizio della Politica, e non, come allo stato attuale, una Politica al sevizio dell’economia.

Del resto non è forse vero che la maggioranza dei piaceri della vita non hanno prezzo, non sono in vendita e non passano attraverso il mercato? Lo scrittore Francesco Gesualdi, antico allievo di Don Milani, si spinge ad-dirittura a parlare del concetto di sobrietà. L’alternativa inevitabile, dice, non può che essere la scelta di un minor consumo individuale e collettivo di risorse, il che non significa assolutamente un peggioramento della qualità della vita, e soprattutto non di quelle componenti più importanti, quella spirituale, culturale, relazionale. Anzi, l’obiettivo è un aumento del benessere personale, meno cen-trato però sul terreno dell’avere e più, come diceva Erich Frommm, su quello dell’essere. Questo tuttavia non è per nulla pacifico e implica profondi cambia-menti anche personali, perché mette in discussione tutto l’assetto dell’economia così come oggi è strutturata, in quanto è un’economia fondata sull’espansione. E se cominciamo a parlare di una società che deve passare da un’economia fon-data sull’espansione ad un’economia del limite, allora siamo subito tutti quanti presi da una tremenda paura, perché siamo abituati a vivere nel superfluo e non riusciamo ad immaginarci proprio come si possa vivere bene pur disponendo di meno. Però è evidente che così non possiamo continuare e che non possiamo arrogarci il diritto, noi, 20% dell’umanità, di consumare l’ 84% delle risorse esistenti sulla terra e di continuare ad avere un impatto distruttivo sull’ambiente. Allora è necessario passare ad un modello di vita, di produzione e di consumo diverso, radicalmente diverso. Magari iniziando dallo stile di vita personale, cominciando a metterci nell’ordine di idee di un nuovo concetto di benessere che non sia fatto solo di beni avere, come questo sistema ci vende, ma di un benessere che tiene in considerazione tutte le dimensioni dell’essere, perché noi non siamo soltanto un tubo digerente che inizia dalla bocca e termina con l’ano, ma siamo anche sfera affettiva, anche rapporti con gli altri. Ci sono quattro crisi che ci attendono dietro l’angolo, e che non si possono ragio-nevolmente negare. Innanzitutto la crisi ecologica, nel senso che la nostra società non sarà in grado di durare nel tempo, perché utilizza più risorse naturali di quelle che il pianeta può fornire in modo rinnovabile ed emette più inquinanti di quanti la terra possa assorbire. Il che significa semplicemente che stiamo distrug-gendo la stessa base della nostra esistenza. Secondo: la crisi della giustizia, perché ci appropriamo di uno spazio di natura e di risorse molto maggiore di quello che ci competerebbe, per cui possiamo dire tranquillamente che ci stiamo appropriando di quote di natura che spettano ad altri popoli o alle generazioni future.

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che aveva lasciato l’ufficio dicendo di non sentirsi bene; in più era vestita in modo differente da come l’aveva lasciata due ore prima. Le chiese cosa era successo. La donna disse non ricordare niente e che aveva un fortissimo mal di testa. Lo pregò di entrare, perché aveva bisogno di riordinare le idee. Li lasciammo così, sperando che la cosa non creasse ulteriori complicazioni. Poi passammo a prendere Anavlis e per un po’, da distante, sorvegliammo ancora la casa. Ad un certo punto arrivò un’auto, dalla quale scesero due uomini; suo-narono il campanello ed entrarono. « Se il suo amico ha preso il numero di targa non sarà difficile tro-varci. L’auto l’abbiamo noleggiata tramite l’albergo » disse Anavlis. « Speriamo di no. In ogni caso teniamoci pronti a partire e soprattut-to teniamo pronte queste. Le avete sempre con voi? » disse il dottor Krast mostrando una minuscola fiala. « Che cosa sono? » chiesi incuriosito. « Cianuro. Morte istantanea. Ti ho già detto che non possiamo esse-re catturati vivi » rispose il dottor Krast. « Sì, dobbiamo morire, se vogliamo rivederci ancora! » disse Anavlis quasi ridendo. « Ma ora passiamo subito i nostri ricordi nelle sfera. Ne abbiamo di molto piacevoli, in questi ultimi mesi, è vero François? Sarebbe un vero peccato perderli! » mi disse Dìdele. « In ogni caso tieni questi documenti e mettili nella borsa. Non si sa mai » disse ancora il dottor Krast.

Quella di immagazzinare i ricordi nella sfera era una cosa che face-vamo ogni giorno e subito dopo qualche avvenimento importante, oppure particolarmente gradevole. L’operazione è semplice; causa solamente un leggero stordimento: si appoggia la sfera sulla fronte e tutto avviene automaticamente. Come mi è stato spiegato, vengono inviati degli impulsi al cervello il quale risponde con altri impulsi elettrici che la sfera è in grado di decifrare e registrare. Lo si può fare anche su una persona morta, se il cervello è ancora in buone condizioni. Ma occorre più energia, l’uso della quale lascia evidenti segni di bruciatura sulla fronte. Registrare i propri ricordi, in fon-do, non è una cosa molto piacevole, perché fa pensare alla morte,

Questi, in sintesi, i concetti contenuti nello scritto di Daniel Kahne-man contenuta nella borsa che i miei compagni mi lasciarono e sui quali ha incominciato ad ispirarsi la mia attività letteraria. Da al-lora ho letto molto ed ho anche passato molto tempo a scrivere. Grazie al Fratello nella casa editrice, un paio dei miei scritti, sotto pseudonimo, non hanno avuto difficoltà ad essere pubblicati. Devo anche dire, con un po’ d’orgoglio, che stanno riscuotendo un discre-to e sempre più crescente successo. Saranno contenti di saperlo, i miei compagni, quando domani torneranno. Sì, perché domani sarà il gran giorno. La data del loro ritorno è scritta qui, sull’apparec-chio che mi lasciò il dottor Krast prima di uscire assieme a Dìdele e Anavlis da quella stanza di albergo a Washington. Sono passati nove mesi; ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri.

Era già quasi mezzanotte; ormai disperavo di rivedere i miei amici. Qualcosa doveva essere sicuramente accaduto. Avevo già preparato i bagagli ed ero pronto a recarmi all’aeroporto per salire sul primo aereo diretto a Parigi. Quando finalmente li vidi rientrare. Mi saluta-rono appena. Il dottor Krast disse rivolgendosi ad Anavlis e Dìdele: « Eppure sono convinto che qualcuno ci stesse seguendo ».« Che cosa è successo? » intervenni. Mi rispose Dìdele: « Qualcosa non è andata per il verso giusto. Que-sta mattina rapimmo la donna all’uscita di casa. Dopo averla addor-mentata il dottor Krast le cancellò il ricordo del rapimento. Anavlis si sostituì a lei ed entrò alla Casa Bianca, dove svolse regolarmente la sua missione. Quando ritornò, svegliammo la donna, che aveva dor-mito tutto il tempo sul sedile posteriore dell’auto. Quando aprì gli occhi era ancora in stato confusionale; come era nei piani, le dicem-mo di averla raccolta svenuta per strada e che l’avremmo accompa-gnata all’ospedale, se lo desiderava. Rifiutò, e ci offrimmo ancora di accompagnarla a casa sua, che si trovava nelle vicinanze. Acconsentì. Qui si verificò l’imprevisto. Un uomo, che probabilmente era un collega di lavoro, stava sulla porta con un mazzo di fiori in mano ».« Doveva essere quel deficiente che mi ronzava intorno con i suoi sorrisini idioti! » disse Anavlis. Si stupì molto di vederla arrivare. Pensava di trovarla in casa, dato

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riera che spingeva il carrello delle pulizie. Camminai il più normal-mente possibile, per non destare sospetti. Uscii dall’albergo, presi un taxi e mi recai all’aeroporto. Il dottor Krast era stato previdente. Nella borsa c’era un nuovo passaporto con tutti i documenti della mia nuova identità, assieme a del denaro e ad un biglietto aereo. Quella notte stessa presi l’aereo per Parigi. Due giorni dopo avevo già provveduto, con l’apparecchio del dottor Krast, a trasmettere la memoria dei miei compagni.

Quant’è cambiata la mia Parigi! A stento l’ho riconosciuta. I sob-borghi che ai miei tempi erano tranquilli campi coltivati, prati dove pascolavano pecore e mucche, piccoli borghi immersi nel verde del-le campagne, ora non sono altro che immensa distesa di cemento e di palazzi, dove, giorno e notte, invece del canto degli uccelli e del frinire dei grilli, si ode solamente il rumore del traffico. I bei palazzi del centro sono scomparsi o inglobati nelle case costruite nel dician-novesimo secolo. Non si riconoscono più i quartieri delle Halles, di Saint Pierre-aux-Boeufs; la rue Brise-Miche, quella di Pet-au-Diable non esistono più. Che impressione rivedere il Louvre con quella orribile piramide che lo fronteggia! Sono anche stato a visitare il Pantheon, ed ho visto la mia tomba. Mi sono abituato alla vita di cit-tà. Mi muovo con l’auto, la metropolitana, il treno. Ho incominciato a frequentare persone, ho stretto delle amicizie e l’anno scorso ho anche conosciuto una ragazza con la quale ho avuto una relazione sentimentale; ma le sensazioni che ho provato nel fare l’amore con lei non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle che pro-vavo nel farlo con Dìdele. Devo confessarlo: non passa giorno che non pensi a lei.

La mia opinione su questo mondo, rispetto all’inizio, è alquanto mu-tata. A pensarci bene la gente di quest’epoca, pur con l’istruzione generalizzata e tutte le invenzioni e le conoscenze che questa società mette a disposizione, non è poi molto differente da quella dei miei tempi. Ieri, nella mia prefazione al Dizionario Filosofico, scrivevo che il volgo non era fatto per accedere alle conoscenze filosofiche, ma era destinato a lavorare sei giorni alla settimana ed il settimo a

la quale, anche se si ha la possibilità di rivivere in un corpo nuovo, fa egualmente paura. In fondo, perché i cristiani cercano di rimane-re più tempo possibile lontani dal paradiso? E comunque tutto ciò non mi dà l’idea di rivivere, ma di passare semplicemente i ricordi ad un’altra persona. Sì, lo so che normalmente tutte le cellule del corpo muoiono e si rigenerano continuamente, così che la sostanza di cui siamo formati non è la stessa quale era anche soltanto pochi mesi prima e che quindi tutto ciò equivale a trasportare, o meglio mantenere continuamente, la coscienza della nostra esistenza in un corpo apparentemente uguale nella forma ma sempre diverso nella sostanza. Sarà assurdo, ma non riesco ancora ad accettare tutto que-sto come una prosecuzione della vita. In ogni caso il salvataggio dei ricordi nelle sfere si rivelò molto utile. La giornata era stata intensa, non tanto per l’azione, quanto per la tensione. Mi augurai che tutto potesse risolversi per il meglio. Presi la borsa e mi preparai a met-termi a letto, mentre i miei tre amici continuavano a parlare. Stavo cominciando a spogliarmi, quando udii, nell’altra stanza, bussare alla porta. Poi il silenzio. Poi il tonfo della porta che veniva sfondata e una voce che intimava di non muoversi. Ebbi paura. Mi nascosi sotto il letto. Passarono alcuni lunghissimi istanti, poi la stessa voce che avevo udito disse: « Maledizione, si sono suicidati! Dai un’occhiata in giro. Dovevano essere in quattro ». Da sotto il letto vidi i piedi di un uomo che era entrato nella stanza. Il cuore mi batteva all’impazzata. Poi udii ancora la voce che diceva: « Lascia stare! Andiamo! Sta arrivando gente! ».Passarono ancora alcuni interminabili secondi. Udii i passi degli uo-mini che uscivano di corsa. Allora venni fuori da sotto il letto, presi la borsa e mi apprestai ad uscire. Vidi i corpi dei miei tre amici giace-re riversi sul pavimento. Mi fermai solo un attimo a contemplare la mia Dìdele; i suoi occhi erano rivolti al soffitto, ma il suo sguardo era spento, perso nel vuoto. Per un attimo mi sembrò di udire ancora le parole che quella mattina mi aveva sussurrato all’orecchio: « Ti voglio bene, François » risposi, come se potesse sentirmi.« Anch’io, ti amo, Dìdele. Ci rivedremo. Me lo hai promesso ».Col cuore in gola uscii dalla stanza e nel corridoio incrociai la came-

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niverso e sul suo Creatore, ma solamente insignificanti puntini luminosi nel cielo. Anche il problema etico e religioso è enormemente trascurato. Il nu-mero degli atei è cresciuto molto. Gli agnostici sono la maggioranza. Persino tra i cattolici cosiddetti praticanti vi è un’ignoranza abissale sulla Bibbia, sul catechismo e sui più basilari elementi di teologia. Non c’è più la paura dell’inferno per non aver seguito i precetti della Chiesa. I preti non minacciano più le pene eterne. Il peccato origina-le sembra essere scomparso dai motivi per cui si battezzano i bam-bini. Come ai miei tempi, la maggior parte dei credenti praticanti tratta la religione come una superstizione; i credenti non praticanti, che sono la maggioranza, non parlano di paradiso e inferno ma si limitano all’intima e vaga credenza a qualcosa dopo questa vita. Ci si guarda bene dal farne un argomento di conversazione: si dovrebbe parlare del fatto che prima o poi si deve morire, ed affrontare così il grande tabù che caratterizza questa epoca: la morte. La morte… si evita il più possibile di nominarla. I morti in batta-glia sono caduti. Le persone morte sono mancate. I pazienti che non sopravvivono all’operazione sono persi. Non si parla più della morte di qualcuno, ma della sua scomparsa. E poi decesso, fine, perdita, sonno eterno, dipartita… quante parole si adoperano per non pronunciarne una sola! È vero che l’età media si è alzata molto, ed arrivare all’età che raggiunsi nella mia vita precedente oggi non è più un’eccezione, ma quasi la regola. Ma la morte, prima o poi, deve arrivare. Ciò nondimeno, come ho già detto, tutto ciò raramente è un argomento di conversazione. Si preferisce ignorarlo, piuttosto che affrontarlo. Eppure, credenti o atei, si vivrebbe meglio se si riflettesse di più sul fatto che prima o poi si deve morire, invece di sforzarsi conti-nuamente di possedere e accumulare, per non dover ammettere che presto o tardi le cose non ci serviranno più.

Nemo est tam senex, qui se annum non putet posse vivere.Nessuno è così vecchio da non pensare di poter vivere ancora un anno.

passarlo all’osteria. Se all’inizio di questa mia nuova vita pensavo a chissà quali progressi, oggi posso scrivere tranquillamente che è fatto per lavorare otto ore al giorno e passare il resto della giornata a rincretinirsi davanti alla televisione. Le partite di calcio hanno so-stituito i giochi gladiatori dell’antica Roma. La benefica catarsi della tragedia ha lasciato posto a film dove si assiste continuamente ad omicidi plurimi e ad episodi di violenza gratuita. Non c’è più, come nelle buone commedie, l’intenzione di stimolare lo spet-tatore alla riflessione, di educarlo alla moralità ed alla proprietà del linguaggio; ci si limita a stupirlo con gli effetti speciali spesso in mezzo a banali turpiloqui. Oggi un libro costa relativamente poco, è alla portata di tutti, eppure la maggior parte della gente non ne legge neanche uno all’anno. Nonostante anni di istruzio-ne obbligatoria vi è uno spaventoso analfabetismo di ritorno. I più sono in difficoltà nello scrivere anche una semplice lettera, per non parlare della spaventosa indifferenza e ignoranza non solo nei confronti della filosofia, ma anche dei più elementari argomenti scientifici, storici e geografici. Insomma, anni di istru-zione obbligatoria e gratuita pare che ai più siano serviti soltanto per leggere i cartelli e le scritte della pubblicità. Le credenze popolari nelle cose più assurde, che ieri nel popolo passavano di bocca in bocca nelle fiere e venivano raccontate la sera nelle stalle alla luce delle candele, hanno cambiato il loro aspetto: oggi si chiamano leggende metropolitane e si diffondono con internet. Nonostante l’istruzione generalizzata, la filosofia, la storia, le lettere, le meraviglie della scienza e dell’universo non interessano le masse e nemmeno le persone dotate di un po’ più di istruzione, se non in maniera molto superficiale. L’interesse della gente comune si limita ai pettegolezzi, riportati e alimen-tati dai rotocalchi, sulle persone famose, e, nonostante che l’uo-mo abbia posato il piede sulla luna, per i più l’universo si ferma qualche chilometro sopra la propria testa. Pochi conoscono la distanza che intercorre tra la terra e la luna. Pochissimi quella con il sole. Le stelle, che peraltro non si vedono quasi più a causa delle sfavil-lanti luci della città, non sono più occasione di riflessione sull’u-

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La gente ha radicalmente cambiato il modo di vivere. Pur vivendo nelle città con milioni di abitanti, molti sono soli. Vivono magari per anni in un appartamento senza aver mai parlato al vicino che abita nella porta accanto. Non si riesce più a restare soli in casa senza accendere la radio o la televisione, o ad ascoltare musica. Pochissimi sono capaci di passare una serata nel silenzio, leggendo un libro, o semplicemente riflettendo. Il silenzio assoluto non esiste più. Si prova un forte disagio a trovarsi soli in qualche luogo isolato e udire solamente il rumore del proprio respiro. Si è abituati a vivere con-tinuamente nel rumore delle attività umane: di notte il frastuono della città penetra come un sordo rimbombo anche nelle case con le finestre chiuse. Si vive in uno stato di menzogna permanente, diffuso dai Media. Nelle pubblicità il mondo appare felice e popolato da persone belle, sorridenti e sensuali. La realtà della vita è continuamente stravolta da film assurdi e quasi sempre a lieto fine. I politici infinocchiano la gente, come nella favola della volpe e del corvo, sapendo che in fon-do è stupida e si lascia ingannare dalle apparenze e dalle belle frasi ad effetto. Non a caso la frase più ricorrente, usata per accattivarsi le simpatie degli elettori, e che indica l’esatto contrario di quel che sostiene, è: La gente non è stupida, sa capire e chi scegliere! Un’altra cosa che mi sconvolge in questa società è la cultura dell’automobile. Ci sono persone che con quel che guadagnano hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, ma non sanno rinunciare all’auto di gros-sa cilindrata. Altre che vanno tranquillamente in giro con i denti guasti, ma non sopporterebbero di andare in giro con un’ammacca-tura sulla carrozzeria. Chi è capace a cavalcare sa bene che il cavallo, quando all’improvviso si trova davanti ad uno spazio aperto, spesso deve essere trattenuto, perché il suo istinto lo spinge a lanciarsi al galoppo. Ebbene, l’intelligenza dell’automobilista medio non oltre-passa di molto quella equina. Se da una strada stretta passa ad una più larga è colto dall’impulso irrefrenabile di accelerare, anche se i segnali stradali gli impongono di non farlo. Mantenere l’andatura imposta dai limiti di velocità, diventa per lui una vera e propria sof-ferenza. Nelle città, specialmente sulle strade più ampie, nessuno rispetta il limite dei cinquanta chilometri orari. Ci si lancia a velocità

In quest’epoca vi è un’enorme potenzialità dei mezzi di comunica-zione moderna e dell’istruzione. Tanti gli istruiti; ma, come ai miei tempi, pochi i pensanti. I filosofi sono pressoché scomparsi. Una cosa in questo nuovo mondo si è decisamente evoluta: la guerra. I motivi per cui si combattono le guerre sono ancora i medesimi: denaro, potere e fanatismo. Ma rispetto a trecento anni fa le guerre di oggi mietono vittime a decine di migliaia grazie alla potenza delle armi moderne, non solo più tra i soldati, ma soprattutto tra la po-polazione inerme. Nei paesi ricchi i soldati non sono più dei rozzi contadini strappati al lavoro dei campi o dei balordi magari reclutati con la forza nelle osterie, ma sono persone anche molto istruite che hanno volontaria-mente scelto la loro professione; qualcuno spinto dal grande ideale di servire la patria, i più per svolgere un mestiere come un altro. D’al-tronde le prospettive di entrare in un combattimento vero e proprio sono abbastanza remote, e, nel caso, molto ben remunerate. Oggi il nemico non lo si vede più in faccia. Non si può più guardarlo negli occhi mentre lo si infilza con una spada nel ventre, o lo si sgozza con un coltello; non lo si vede cadere dopo aver scoccato una freccia che gli ha trafitto il cuore o dopo avergli piazzato una palla in fronte dalla distanza di venti passi. Per ucciderlo, o meglio per ucciderne tanti, è sufficiente premere un pulsante; da centinaia di metri o ad-dirittura chilometri di distanza moderne mitragliatrici che sparano fino a tremila proiettili al minuto, missili e bombe intelligenti che da sole conoscono la strada, provvederanno da soli alla strage. Il tutto guidato da un computer, che ci dirà se il bersaglio – oggi si definisce così, per una sorta di pudore, il nemico – è stato colpito. Quando si veste una divisa non bisogna farsi domande. Bisogna obbedire. Si può sperare al massimo di trovarsi dalla parte giusta. Altri, invece, sempre sicuri di trovarsi dalla parte giusta, non vestono una divisa e sono disposti ad immolare la loro vita per un ideale; per raggiun-gerlo sono però disposti anche ad uccidere persone innocenti: oggi vengono chiamati terroristi. È più che mai vero quel che diceva Dìdele, parafrasando Confucio: avere la cultura senza avere delle idee è inutile ed avere delle idee senza avere la cultura è pericoloso.

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Ma nel caso mi succedesse di causare del male a qualcuno, io potrei affermare che si è trattata di una disgrazia. Tu no ».

Caro e sconosciuto lettore, presumo che anche tu, purtroppo, sia come la maggioranza degli automobilisti. Non te ne faccio una col-pa; in fondo anche tu sei condizionato dalla tua natura di essere umano. Oltre che alla riflessione ti invito a sostenere una prova di vero e proprio coraggio: il risultato ti sorprenderà: prova a percor-rere il tuo solito tratto di strada rispettando scrupolosamente i limiti di velocità. Ti stupirai di quanta poca differenza di tempo potrai constatare, rispetto alla tua andatura, diciamo così, normale.

Queste non sono le parole di un vecchio che recrimina sulla bontà dei bei tempi passati. Sono parole dettate dalla riflessione e dalla ragione. Comprendo perfettamente che il disagio che provo è dovu-to al fatto di essermi trovato all’improvviso in questo mondo così diverso dal mio. So anche come sono fatti gli uomini, ed è perfet-tamente normale che in ogni epoca e rispetto alle circostanze ma-nifestino i loro difetti. Mi sarei aspettato, però, di trovare molte più persone pensanti, visto che gli ignoranti sono diminuiti. E invece sembra proprio che la Filosofia sia morta. Il suo posto è oggi oc-cupato dalla Scienza. Troppe persone molto istruite sembrano agi-re come un computer: molta memoria, molte nozioni; ma solo su programmi prestabiliti. Come dei computer, in fondo, dei perfetti imbecilli.

Ma, in fondo, per ogni essere umano, per ogni vero filosofo, il più grande problema dell’esistenza umana rimane sempre e soltanto uno: l’anima. Quanto si è disputato e quanto si disputerà ancora su di essa? Lascia, caro lettore, che ti ripeta quello che già scrissi due secoli fa.

Nell’antica Grecia, culla delle arti e degli errori, dove si spinse così lontano la grandezza e la stoltezza dello spirito umano, si ragionava così sull’anima. Il di-vino Anassagora, al quale si eresse un altare per aver insegnato agli uomini che il sole era più grande del Peloponneso, che la neve era nera e che i cieli erano di

di molto superiori, per arrestarsi poco dopo ad un semaforo rosso. Molti sono addirittura convinti che andare piano sia pericoloso, per la minaccia di venire tamponati…. Sopravvalutano i propri riflessi. Sono convinti che la loro auto è sicura e che riusciranno sempre a fermarsi in tempo. Pensano di essere sufficientemente prudenti, che in fondo i limiti di velocità sono esagerati. E che in caso di urto non si faranno male. Non si rendono conto che la velocità di cinquanta all’ora equivale a quella che si raggiunge cadendo dal secondo piano di una casa. Si è ormai costretti a mettere dei sobbalzi sulla strada per costringere le auto a rallentare! Ma il vero scandalo non è questo. In fondo gli uomini hanno sempre dimostrato di non possedere un gran senno. Il vero scandalo è che le leggi trattano gli omicidi commessi per mezzo delle automobili come se fossero delle semplici infrazioni al codice della strada. E tutto ciò nonostante ogni anno in Europa le vittime delle strada siano diverse migliaia. Una vera e propria guerra. Oggi puoi correre ai cento all’ora in un centro abitato, uccidere qualcuno, e cavartela con un ritiro della patente per qualche mese e con un processo dove, se verrai condannato, non dovrai scontare nemmeno un giorno di galera. I limiti di velocità non sono rispettati da nessuno. Eppure sarebbe facile, con le moderne tecnologie, dotare le automobili di un limitatore di velocità elettronico, magari comandato da appositi apparecchi posti sulle strade nei punti più pericolosi. A quanto pare troppi interessi gravano sul mercato dell’automobile; e poi nessun politico si vuol prendere la briga di prendere dei seri provvedimenti in merito. In democrazia tutto ciò potrebbe costargli caro in termini di voti. E così si continua a morire. Sottoponevo queste riflessioni ad una persona di mia conoscenza, particolarmente spericolata nella gui-da, la quale affermava che secondo lei stavo esagerando e che in fondo anche io, pur andando piano, potevo comunque causare un incidente. Gli risposi: « È vero, può anche darsi che questa cosa accada a me, che guido sempre con prudenza, e mai a te, che guidi sempre in maniera così rischiosa. È molto difficile, ma potrebbe accadere, lo ammetto.

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in un colpo solo quello che non si conosce, esamina per gradi quel che si vuole comprendere. Prende un bambino al momento della nascita, segue passo a passo i progressi della sua intelligenza; osserva quello che ha in comune con le bestie e quello che ha al di sopra di esse; verifica le proprie affermazioni, la coscienza del suo pensiero. Lascio – disse – la discussione a quelli che sanno più di me se la nostra anima esiste prima o dopo la formazione del nostro corpo; ma spero che mi sia toccata una di quelle anime grezze che non pensano continuamente, ed ho inoltre la sven-tura di non concepire come sia più necessario all’anima di pensare continuamente che al corpo di essere sempre in movimento.

Altri filosofi sono venuti, dopo la mia morte, ma gradualmente le riflessioni sulla metafisica hanno sempre più lasciato lo spazio, a partire da Kant, alla ragione e alla scienza. Nessuno ha rischiarato il buio che è stato lasciato da millenni. Insomma: c’è sempre meno spazio per il dualismo Cartesiano. Se fino a ieri si immaginava che fosse l’anima a fornire vita e mo-vimento al corpo, la scienza ci insegna oggi che tutto ciò dipende unicamente da innumerevoli e complesse reazioni chimiche e fisi-che; i nostri pensieri, le nostre azioni, il nostro umore e addirittura i sentimenti dipendono dall’attività del nostro cervello. Se così è ed esiste un’anima immortale, questa deve essere un’entità che assorbe continuamente tutti i ricordi del cervello, per poter mantenere poi la necessaria coscienza di sé stessi nell’aldilà. Si potrebbe così affermare ancora una volta che tutto ciò dimostra che l’essenza di noi stessi altro non è che l’insieme dei nostri ricor-di, e che quindi è l’insieme di questi ricordi che verrà premiato o castigato. Ma allora i nostri ricordi sono la nostra anima? Forse in-comincio a capire quello che intendeva Dìdele quel giorno in cui le chiesi dell’esistenza di Dio. Ma non intendo dimostrare nulla. Non sono l’angelo della scolastica, e quindi non posso avere certezze, ma soltanto fede, per credere nell’esistenza di Dio o dell’anima. Ed inol-tre, continuando nella citazione di me stesso, mi vanto dell’onore di essere stupido quanto Locke. Nessuno mi farà mai credere che io pensi in continuazione, e non mi sento ancor più disposto a imma-ginare che, qualche settimana dopo il mio concepimento, io fossi

pietra, affermò che l’anima era uno spirito aereo, ma allo stesso tempo mortale. Diogene, quello che divenne cinico dopo essere stato un falsario, assicurava che l’anima era una porzione della medesima sostanza di Dio; quest’idea era per-lomeno brillante. Epicuro la componeva di parti, come il corpo. Aristotele, che è stato interpretato in mille modi, poiché era intelligibile, credeva, se si fa riferimento a qualcuno dei suoi discepoli, che l’intelletto di tutti gli uomini era una sola e medesima sostanza. Il divino Platone, maestro del divino Aristotele, e il divino Socrate, maestro del divino Platone, affermavano l’anima corporale ed eterna. Quanto ai nostri Padri della Chiesa, parecchi, nei primi secoli, anno creduto l’anima umana, gli Angeli e Dio, esseri corporali. Il mondo si affina continuamente. San Bernardo, secondo il punto di vista di Padre Mabillon, insegnò, a proposito dell’anima, che dopo la morte essa non ve-deva affatto Dio nel Cielo, ma che conversava solamente con l’umanità di Gesù Cristo; non lo si credette, in questo caso, sulla parola. L’avventura della crociata aveva un po’ screditato i suoi oracoli. Mille scolastici sono in seguito venuti, come il dottore irrefragabile, il dottore sottile, il dottore angelico, il dottore serafico, il dottore cherubinico, i quali sono stati tutti ben sicuri di conoscere l’anima molto chiaramente, ma che non hanno tralasciato di parlarne in modo come se avessero voluto che nessuno ci capisse nulla. Cartesio, nato per scoprire gli errori dell’antichità per poi sostituirli con i suoi, esercitato da quello spirito sistematico che acceca i più grandi uomini, immaginò di aver dimostrato che l’anima fosse la stessa cosa del pensiero, come la materia, secondo lui, si identifica con l’estensione; assicurò che si pensa continuamente, e che l’anima arriva nel corpo provvista di tutte le nozioni metafisiche, della conoscenza di Dio, dello spazio, dell’infinito, in possesso di tutte le idee astratte, riempita infine di tante belle cognizioni, che dimentica purtroppo uscendo dal ventre della madre. Il Malebranche, nelle sue sublimi illusioni, non soltanto ammise le idee innate, ma non dubitò mai che vivessimo tutti quanti in Dio, e che Dio, per così dire, non fosse che l’insieme delle nostre anime. Mentre tanti ragionatori hanno fatto il romanzo dell’anima, è venuto un saggio che modestamente ne ha fatto la storia. Locke ha approfondito la ragione umana, come un eccellente anatomista spiega le risorse del corpo umano. Si serve sempre dei chiarimenti resi dalla fisica; osa talvolta parlare affermativamente, ma osa anche dubitare. Invece di definire

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Questa notte torneranno? Si materializzeranno sulla spiaggia, nello stesso punto in cui arrivai io tre anni fa?

A presto, amici miei!

Ex nihilo nihil, in nihilum nil posse reverti.Nulla deriva dal nulla, e nulla può tornare nel nulla. (Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma).

un’anima grandemente sapiente, in quanto conoscevo allora mille cose che ho dimenticato nascendo, avendo così posseduto nell’utero materno delle conoscenze che ho dimenticato e di cui avrei potuto aver bisogno, e che non potrò mai più apprendere nuovamente.

Ma allora che ne è della mia anima? Sarà unita a questo mio nuovo corpo? E poi, per quanto tempo potrò vivere questa nuova vita? Grazie a Dìdele e alla sua gente potrò forse riviverne altre, ma per non morire mai questo processo dovrebbe ripetersi all’infinito. Vivere in eterno. Non morire mai. Vivere per un tempo infinito. Benissimo! Poi penso al fatto che tra quattro miliardi di anni si-curamente la vita sul pianeta Terra non esisterà più, poiché la sua stella, il sole, avrà esaurito la sua attività. Dovrei quindi emigrare, nel frattempo, su qualche altro pianeta di questo smisurato universo. E sia, con tutto questo tempo a disposizione, ne troverei certamente il modo. Ma questo universo quanto durerà ancora? Altri quindici miliardi di anni? Trenta? Cento? Mille? Non ha importanza: mille miliardi di miliardi di anni non sarebbero nemmeno un secondo dell’eternità! Cosa farei in tutto questo tempo? Sono sicuro che non mi stancherei mai di vivere? L’eternità…pensarci fa venire le ver-tigini! In fondo, quando parliamo di vita eterna, lo facciamo senza alcuna consapevolezza dell’eternità. Esorcizziamo solamente la pau-ra della morte. Se dobbiamo parlare di vita eterna di un’anima im-mortale dobbiamo svincolaci dal pensiero del tempo e proiettarci in una un’altra sconosciuta dimensione, che la nostra mente non può immaginare, essendo irrimediabilmente vincolata alle percezioni dei sensi. Forse incomincio a capire perché sul pianeta di Dìdele ad un cer-to punto le persone non vogliono più continuare a vivere… ma… dove mi ha portato il pensiero di Dìdele?

Passerò il resto della giornata a pensare, a leggere e rileggere questa lettera, impaziente nell’attesa della notte. Passerò il tempo a cullarmi nei pensieri della vita e della morte, che non mi hanno più abbando-nato da quando vidi la mia Dìdele e i suoi compagni giacere senza vita sul pavimento di quella stanza d’albergo.

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spensi la torcia. Nel debole chiarore dell’aurora potevo ora distin-guere le sagome delle persone e a malapena i volti. Restai per un po’a guardare. Cercavo di intravedere Dìdele, o perlomeno il dottor Krast o Anavlis, sperando che almeno loro si facessero avanti. Ma rimasi deluso. Forse, pensai, se non si fanno avanti avranno i loro buoni motivi, oppure staranno comunicando telepaticamente. In ef-fetti, nonostante fossero una cinquantina, ora non si udiva alcuna voce, mentre tutti gesticolavano come se stessero parlando tra loro. Sembrava di trovarsi in un film muto. Ad un certo punto non ce la feci più, e, indispettito, alzando un po’ la voce, dissi: « Se ci fosse qualcuno a conoscenza del programma, lo pregherei vivamente di mettermene al corrente. Sono a disposizione! ».La piccola folla silenziosa smise di muoversi. Tutti gli sguardi ora erano rivolti verso di me. Dal gruppo uscì una donna e mi venne incontro. Non la conoscevo. Era bellissima; scura di capelli, più alta di me di qualche centimetro, ed ora che si era fatto un po’più chiaro potevo intravedere sul suo corpo nudo guizzare muscoli degni di un fisico da culturista. Mi guardò senza proferire una parola. Poi sorri-se. In un modo a me familiare. Troppo familiare. « Allora, François, non mi saluti? » mi disse appoggiando le mani sulle mie spalle.Dapprima l’idea mi sembrò assurda. “No, non è possibile!” pensai tra me. Ma la sensazione che provavo standole accanto era inequi-vocabile. « …sei tu? » domandai con un filo di voce. « Bravo! Hai indovinato! Non ti piaccio? » mi disse compiendo un giro su se stessa alzando i gomiti e appoggiando le mani sulla testa. Poi mi abbracciò con la forza che le conferiva il suo nuovo fisico. « …ma… non capisco… perché… hai cambiato corpo? » balbettai. « Esigenze… di servizio, diciamo così. Ormai eravamo troppo co-nosciuti. Sarebbe stato troppo pericoloso continuare la nostra opera con i vecchi corpi. Abbiamo dovuto cambiare tutto: dna, impronte digitali, gruppo sanguigno. E poi il lavoro che dovremo svolgere richiede una prestanza fisica non comune ».La guardai dal basso verso l’alto. Era una sensazione quantomeno bizzarra, quella che stavo provando. Normalmente una donna può

Settima lettera

New York, 20 luglio 2007

È passato quasi un anno da quando, quella notte, seguendo le istru-zioni del Dottor Krast, mi recai sulla spiaggia e azionai il dispositivo di ricezione. Le stelle incominciavano a scomparire dal cielo, mentre l’oscurità lasciava lentamente spazio al chiarore del mattino, quando finalmente le tanto attese luci si mostrarono nel cielo. Come delle lucciole, tanti piccoli puntini luminosi iniziarono ad apparire intor-no a me. Si fecero sempre più grandi. Poi si posarono sulla sabbia e rapidamente assunsero un colore blu. Continuarono ad ingrandirsi, e, mentre perdevano luminosità, lentamente, al loro interno presero forma dei corpi umani. Aspettavo tre persone. Ed invece ce n’erano almeno cinquanta. I loro corpi nudi stavano distesi sulla sabbia. Ave-vo portato con me una torcia. L’accesi e incominciai ad aggirarmi tra quei corpi immobili illuminando i loro volti. Avevano ancora gli occhi chiusi. Ero alla ricerca irrequieta di una persona che conosce-vo molto bene: la mia Dìdele. A poco a poco i corpi cominciarono a muoversi. Si udì dapprima un diffuso brusio, poi distintamente alcuni gemiti; qualcuno cominciava a sollevarsi rimanendo seduto in terra, altri già si rizzavano in piedi. Guardavano tutti nella mia dire-zione; probabilmente perché tenevo in mano la torcia accesa. Una voce intimò in tono perentorio: « Spegni! Vuoi che ci veda qualcuno? ».Mi resi conto della stupidaggine che stavo commettendo e subito

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Mi venne incontro con le braccia aperte. Aveva un alito pestilenziale. Feci finta di niente e cercai di trattenere il respiro, mentre abbrac-ciavo anche lui. « Non ti preoccupare, lo so di non avere un aspetto particolarmente gradevole » si affrettò a dirmi con tono divertito. Il fatto è che sono il sosia di una certa persona che devo sostituire e…» s’interruppe guardando in direzione di Dìdele. « Non importa. È arrivato il momento di metterlo a parte di molte cose » disse Dìdele annuendo.« Piuttosto, dobbiamo procurarci qualcosa per vestirci tutti quanti » disse ancora guardandomi. Avevo portato degli abiti, poiché mi ricordavo che quando i corpi venivano materializzati erano completamente nudi, ma li avevo por-tati solo per tre persone; oltretutto le taglie non corrispondevano per nessuno dei tre. Lo feci presente a Dìdele, la quale mi rispose: « Ti capisco, ma c’è stato un cambiamento di programma. Ovvia-mente non ti potevamo avvertire. Comunque domattina ci confon-deremo con i naturisti del centro e poi ce ne andremo ».Non sapevo proprio come avrebbero fatto cinquanta persone ad uscire dal centro naturista senza dare nell’occhio. Nudi com’erano, non potevano certo allontanarsi alla chetichella per strada. Non sa-pevo neppure come avrebbero fatto a trovare gli abiti per un così gran numero di persone in così poco tempo. Ma Dìdele mi disse di procurarmi almeno una cinquantina di lenzuoli e di altrettante paia di ciabatte. Così feci, girando per i negozi ed i grandi magazzini del circondario. Il pomeriggio ero già di ritorno. Il centro naturista era molto grande e durante il giorno le cinquanta persone erano riuscite a confondersi agevolmente tra la folla di naturisti che lo popolavano. Intanto Dìdele aveva provveduto a telefonare ad un Fratello che si trovava nella base di Bordeaux, il quale giunse il tardo pomeriggio con un autobus noleggiato per l’occasione. Uscirono tutti dall’in-gresso principale, sotto lo sguardo divertito dei portinai, i quali, vedendoli salire sull’autobus, pensarono che si stessero recando a qualche festa in maschera, avvolti nei lenzuoli e con le teste rico-perte da corone di rami e foglie a guisa di antichi romani. Partirono; dopo qualche chilometro, in aperta campagna, con una scusa fecero

cambiare colore dei capelli, può cambiarsi il trucco; con la chirurgia estetica può rifarsi tutta quanta, come si dice al giorno d’oggi. Ma ri-mane sempre lei: migliorata, cambiata; ma sempre lei, riconoscibile. Qui invece mi trovavo completamente davanti ad un’altra persona, attraente, fin troppo, ma dall’aspetto a me sconosciuto. Quel che avevo da spartire con lei non erano altro che i ricordi che avevamo in comune. « Non ti preoccupare, tra noi tutto sarà come prima » mi sussurrò all’orecchio, stringendomi le mani. « Come prima…come? » le chiesi imbarazzato. « Come prima tutto: convivenza, dialogo, sesso…» mi rispose con tono dolce ma deciso. « Ma…ti piaccio ugualmente? Sei diventata una superdonna. Sei ad-dirittura più alta di me; la gente riderebbe vedendoci insieme abbrac-ciati per strada ».« E chi riderebbe? Gli uomini? Forse riderebbero, ma in cuor loro ti invidierebbero. Le donne? Non credo. Penserebbero che sicuramen-te possiedi qualche qualità nascosta » si affrettò a rassicurarmi con un tono di voce un po’ divertito. « Cavaliere in mezzo a due dame, deve avere un bel salame! » pro-nunciò una voce di donna in mezzo alla piccola folla taciturna. « Mi pare che il detto popolare adoperasse le parole fa la figura invece che deve avere, ma non importa. Sono lieto di riabbracciare anche te, Anavlis » risposi, sicuro di averla riconosciuta, rivolto nella direzione in cui avevo appena udito queste parole. Mi venne incontro. Come Dìdele ora possedeva un corpo nuovo, era rossa di capelli, con il corpo degno di un’amazzone. Una forza della natura. Mi abbracciò. Devo confessare che, stupidamente, la prima cosa che mi venne in mente in quell’istante fu il pensiero di non sapere se avrei retto col mio fisico, insieme a due donne di tal fatta, a fare all’amore in tre. « Ma non hai ancora visto il dottor Krast! » mi disse ancora Dìdele indicando la persona che ora si stava facendo avanti, uscendo dal mezzo di un piccolo gruppo di persone di una certa età. Devo confessarlo, non aveva un bell’aspetto. Avrà avuto più di cin-quant’anni, stempiato, un po’ grasso, con i baffi e con la pancia.

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Che cosa impediva al vostro Fratello di mettervi a conoscenza di quei dati, visto che nessuno conosceva la sua vera identità? » chiesi. « Hai detto vostro Fratello. Dovresti incominciare a dire nostro Fra-tello, visto che anche tu fai parte della nostra organizzazione » si affrettò a precisare Dìdele. « Certamente faccio parte dell’organizzazione, ma non del vostro mondo » le risposi. « Davvero? E di quale mondo fai parte? Forse di questo? O forse di quello di duecentocinquanta anni fa? Da dove sei venuto? Quale donna ti ha partorito? » ribatté in tono leggermente divertito. In quel momento me ne resi conto. Non ci avevo mai pensato: anch’io ero un alieno, anche se non mi sentivo di esserlo; ma ogget-tivamente le cose stavano così! Poi continuò: « Il nostro Fratello aveva il compito di passarci i dati sull’ambiente che arrivavano al governo degli Stati Uniti in forma strettamente riservata. Era un compito che la nostra organizzazione da sola non poteva svolgere, visto che questi dati sono il frutto del lavoro di molte persone e di un notevole numero di attrezzature scientifiche sparse in tutto il mondo. Tutto andava bene, fino a quando non è scomparso » disse. « E per quale motivo? »« Sono stati loro » e continuò: « Forse hanno indagato sul suo inesistente passato, oppure hanno scoperto che copiava dati dal computer; non sappiamo cosa sia suc-cesso. Nel corso della nostra missione siamo comunque venuti a conoscenza che è stato prelevato dai servizi segreti e trasferito nella prigione di Guantanamo ».« Guantanamo? Non è una prigione per terroristi? Il nostro Fratello non potrebbe mai subire un processo. Evidentemente le informa-zioni di cui è venuto a conoscenza, se divulgate, metterebbero in serio imbarazzo l’Amministrazione degli Stati Uniti. Guantanamo è una prigione dove si entra per non subire processi e dove gli in-terrogatori dei detenuti non sono propriamente quelli di un paese democratico ».« Ma non poteva fare come voi, col cianuro, voglio dire? » chiesi.« Il fatto è che non abbiamo trovato la sfera dei suoi ricordi.

arrestare l’autobus. Addormentarono il conducente e gli cancellaro-no i ricordi di quella giornata. Quando si risvegliò lo lasciarono, in stato confusionale, in una stazione di servizio lungo la strada, dopo aver chiamato un’ambulanza. Io, che li avevo seguiti con la mia auto, presi a bordo Dìdele ed Anavlis, mentre il dottor Krast si mise alla guida dell’autobus. Chiesi a Dìdele cosa sarebbe successo. « Seguiremo l’autobus fino alla base di Bordeaux, dove lasceremo i Fratelli » mi rispose. « Quante persone sono arrivate! Aspettavo soltanto voi; c’è un mo-tivo particolare? » chiesi. « Sì. Le informazioni di cui siamo venuti a conoscenza nel nostro viaggio di nove mesi fa in America non ci hanno lasciato scelta. Il tempo stringe. Non ci sono più molti anni a disposizione. I politici, nonostante gli avvertimenti di molti eminenti scienziati, sembrano non aver compreso la gravità del problema. Dovremo intervenire in molti. Quelli che sono arrivati oggi non sono che una piccola parte ».Mi aveva detto tutto senza praticamente dirmi niente. Ma era già molto, rispetto alle altre volte.

Ci fermammo a Bordeaux per qualche giorno. Giusto il tempo oc-corrente al dottor Krast per penetrare nei vari sistemi informatici e creare le nostre nuove identità, documenti falsi, bancomat e carte di credito. Dopo molta insistenza da parte mia, fui messo a parte di molti particolari. C’erano parecchie basi come quella di Bordeaux, sparse per tutto il mondo, ma non erano in contatto fra di loro. Solo dodici Fratelli in tutto ne conoscevano l’esistenza e l’ubicazione. E Dìdele era uno di questi. Agivano tutti quanti per uno scopo comu-ne. Quale fosse e come raggiungere questo scopo non mi fu detto. Ma compresi che i tempi erano molto ristretti e la situazione molto grave, almeno dal loro punto di vista. Me ne resi conto dalla conver-sazione che ebbi con Dìdele. « Lo scopo della nostra missione di nove mesi fa, in America, era quello di entrare in possesso dei dati che un nostro Fratello, infil-trato in una commissione di scienziati che rilevano informazioni sull’ambiente, aveva raccolto per noi » mi disse. « Non riesco a capire perché abbiamo dovuto agire in quel modo.

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le conoscenze necessarie per comprendere a fondo quello che sta per succedere. Dall’elaborazione dei dati che il nostro Fratello ci ha fornito sino ad ora, abbiamo potuto calcolare due cose. La prima: a questo pianeta non restano che pochi anni, dieci o venti al massi-mo, prima che si inneschino i meccanismi che altereranno in modo irreversibile il clima, con conseguenze apocalittiche. La seconda: il sistema economico del capitalismo occidentale non vivrà a lungo. I paesi emergenti bruceranno le sempre più scarse risorse del mon-do; i lavoratori sottopagati e sempre più sfruttati di questi paesi, per effetto della globalizzazione, trascineranno sempre più verso il basso le condizioni di vita dei lavoratori dell’occidente, bloccando così il meccanismo dell’economia del benessere. Aggiungiamo che il capitalismo puro rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri: questo determinerà ancor più l’indebolimento e il re-stringimento della classe media, che è sempre stata la spina dorsale dell’economia dei paesi dove esiste il benessere diffuso ».Rimasi pensieroso per un po’. Poi le chiesi: « Davvero i governi non riusciranno a rimediare a tutto questo? Sa-ranno così miopi? ». Mi rispose: « Sì. Le democrazie ancora sono troppo soggette al po-tere dell’economia e dei voti. L’unico modo per evitare la catastrofe sarebbe quello di modificare al più presto il modello di sviluppo economico di tutto il mondo; ma questa modifica, per poter essere realizzata, presupporrebbe un accordo fra tutte le nazioni. E questa cosa, in condizioni normali, è inverosimile. Si cercherà invece con ostinazione di far ripartire l’economia secondo i vecchi modelli e i vecchi schemi. Aumento della produzione, aumento della produt-tività, aumento del PIL, aumento, aumento, aumento…, mentre la soluzione è diminuire, distribuire, creare giustizia sociale. Ci si osti-nerà a potenziare una macchina che non ha più il terreno adatto su cui camminare. In più, questo cambiamento dovrà essere imposto dall’alto, dato che non riscuoterebbe sicuramente il consenso popo-lare. La gente avrebbe paura di cambiare in peggio. Avrebbe paura di tornare indietro. Non si rende conto che bisogna tornare indietro per poter andare avanti. Che tornare indietro non vuol necessaria-mente dire stare peggio, ma, al contrario, stare meglio in termini di

Molto probabilmente è in mano a chi lo ha catturato. Dubito che siano in grado di capire di cosa si tratti. Penseranno che si tratti di qualche speciale apparecchio per immagazzinare dati informatici, dato che in fondo non è altro che un enorme hard disk. In ogni caso i loro computer non saranno mai in grado di leggerlo e sicuramente, nel tentativo di analizzarlo, lo rovineranno irrimediabilmente ».E aggiunse: « Spero che sia ancora in vita. La nostra missione è quella di ritrovar-lo vivo. Abbiamo pronta per lui un’altra sfera ».« Non avete paura che, sotto tortura, parli? » Mi rispose: « Questo è il vero problema: continueranno a torturarlo fino a quan-do non dirà qualcosa di credibile, perché l’unica cosa a cui non cre-deranno mai sarà la verità ».Aveva ragione. Pensai: « Chi potrebbe credere ad una storia simile? Agli extraterrestri? Al mondo che sta per finire? ».« Agli extraterrestri no, ma che il mondo stia per finire cominciano a crederlo già in molti » disse Dìdele. Restai interdetto. « Mi hai letto nel pensiero? ».« Sì » « Avevi detto che non l’avresti fatto, contro la mia volontà ».« È vero. Ma in fondo sei tu che lo vuoi ».« Sono io che lo voglio? Cosa te lo fa pensare? ».« Il fatto che sei innamorato di me. E forse anch’io lo sono di te. Voler possedere interamente l’altra persona è la caratteristica dell’in-namoramento ».« E perché io non posso leggere nei tuoi pensieri? ».« Perché il tuo organismo è ancora uguale a quello degli umani. Ti abbiamo clonato da un lembo di pelle e un po’ di capelli presi dal tuo corpo, un giorno dopo la tua morte, nel 1778. Così nel tuo cervello non è sviluppata l’area destinata alla comunicazione telepatica ».« Non sapevo cosa dire. Non sapevo cosa pensare; a quel punto ave-vo addirittura paura di pensare ». Dìdele sorrise, e continuò: « Non avere paura, non spierò più i tuoi pensieri. Prometto che rispetterò la tua intimità ». Poi aggiunse: « Il tempo stringe. Gli scienziati e gli economisti non possiedono ancora gli strumenti e

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bisognasse restare sempre completamente vestiti, anche al chiuso, spendendo denaro per rinfrescare l’aria. Questa fu l’occasione per chiedere loro qualcosa in più riguardo al loro mondo. Come Dìdele non furono particolarmente loquaci al riguardo, ma visto che pro-babilmente erano stati da essa autorizzati a rivelarmi gradatamente qualcosa, riuscii a capire che sul loro pianeta si viveva in una sorta di eterna vacanza naturista, dato che il lavoro era quasi scomparso, poiché il necessario per vivere era quasi interamente prodotto dalle macchine; inoltre si consumava molto poco in termini di risorse dato che si produceva l’indispensabile per il cibo, pochissimo per i beni voluttuari e molto per l’istruzione, la ricerca e la salute. Il sesso non era vissuto allo stesso modo in cui lo si vive su questa terra, e, conoscendo Dìdele, non ne fui affatto sorpreso. Non li sfiora-va nemmeno l’idea che potesse essere in alcun modo qualcosa di riprovevole, sia che lo si praticasse per divertimento, per amicizia, o per amore. Fare l’amore per loro non era solamente una questio-ne di sesso, ma il più comune mezzo di socializzazione che inoltre consentiva di raggiungere, con le persone innamorate, l’estasi, facol-tà che avevano acquistato nella loro evoluzione naturale. Una cosa, molto interessante, mi fu detta. Mi ero sempre chiesto come facesse il loro pianeta a non essere sovrappopolato, dato l’enorme numero di anni che, grazie alle clonazioni, gli abitanti vivono. Minisino mi disse: « In effetti, sul nostro pianeta il numero delle nascite per cause natu-rali, vale a dire da un normale parto e non in seguito a clonazione, è rigidamente controllato ».Gli domandai se questa non gli paresse un’ingiustizia. Mi rispose: « Questo controllo è effettivamente previsto dalla legge, ma non è affatto vissuto come una costrizione, perché è da tutti seguito spontaneamente. Durante tutta la sua esistenza ogni coppia nor-malmente non genera che due figli e l’eccedenza prodotta dai pochi che ne generano di più è ampiamente compensata da quelli che ne generano uno solo o non ne generano affatto. Così vi sono normali famiglie con uno, due o tre figli; solo che tra genitori, figli e fratelli ci sono differenze di età anche di secoli ».Mi veniva da pensare al tempo della mia vita precedente, quando

qualità e non di quantità. La generazione del sessantotto ha costrui-to un futuro per sé, ma non per i suoi figli…».La guardai e lei s’interruppe. La sua voce era diversa, ma dalla foga e dal tono delle sue parole ebbi una volta di più la certezza che si trattava sempre di lei. Le dissi: « Insomma, questo meraviglioso mondo sta per finire, a quanto sembra. A quanto ho letto, una grande crisi c’è già stata, nel secolo scorso, nel 1929: non è possibile che ci sia una ripresa, come allora ci fu, con il New Deal? ».« Attenzione; ci fu una ripresa. E, dieci anni dopo, un conflitto mon-diale » mi rispose. Cominciavo a capire.

La nostra destinazione era di nuovo l’Italia. Lì avremmo fatto tappa per una nuova e a me ignota destinazione. Non avremmo viaggiato solamente in quattro. Nella nuova missione ci avrebbero accompa-gnato due nuovi Fratelli, giunti quella notte assieme agli altri. Erano una coppia; lui si chiamava Minisino e mi fu presentato come grande esperto d’informatica ed elettronica, al pari del dottor Krast. Lei aveva l’impronunciabile nome di Krysts; parlava correntemente venticinque lingue della Terra, compresi il latino ed il greco antico, che aveva imparato, in soli duecento anni, sul suo pianeta. Si erano preparati a lungo per svolgere la loro missione. Erano molto giova-ni: avevano solo duemila anni, relativamente pochi sul loro mondo, ed erano ansiosi di conoscere questo. Doveva essere simile a quello che era stato il loro, decine di migliaia di anni prima. Certamente appariva loro molto interessante, dato che mostrarono subito molto interesse verso tutto ciò che potevano osservare, come l’inquina-mento dell’ambiente, la quantità, a loro dire incredibile, di automo-bili ferme ai bordi delle strade, lo spreco per l’enorme numero di cose inutili che si producevano. Ma anche per cose apparentemente poco importanti come le abitudini della gente, a loro dire, alquanto bizzarre. Ad esempio, trovavano ridicolo quanto le persone fossero ossessionate dai vestiti. Non riuscivano a capacitarsi del fatto che avessero paura di mostrare completamente il loro corpo nudo, ed erano molto divertiti al pensiero che d’estate, nonostante il caldo,

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« Supponiamo che il museo crolli e che il giorno dopo dei muratori rozzi ed ignoranti, scavando tra le macerie, trovino i resti del dipinto del settecento che ora è esposto nella sala all’entrata del museo. Pur non conoscendo nulla di arte né possedendo alcun gusto o concetto di bello, comprenderebbero comunque di trovarsi davanti a qualco-sa di prezioso. Se poi, continuando a scavare, trovassero la tazza e lo scopino, penserebbero di trovarsi di fronte a un’opera d’arte o a un cesso rotto? ».Risi di gusto. Se poi penso alla musica… Se c’è una cosa che, dai tempi della mia prima vita, sicuramente non si è evoluta, questa è la musica. In quei tempi era rarissimo che una persona potesse assi-stere più di una volta allo stesso concerto. Oggi si può agevolmente ascoltare, grazie alla tecnologia sempre più avanzata, tutta la musica che è stata scritta fino ai giorni nostri, anche se è vero che il più per-fezionato Hi-Fi non è ancora in grado di eguagliare il suono emesso da una vera orchestra o anche di un solo strumento suonato dal vivo. Ma nonostante le potenzialità di ascolto della buona musica che quest’epoca offre, sono pochissimi quelli che la amano. Bisogna però ammettere che oggi, quando si va a teatro ad ascoltare un’opera, bisogna rimanere in silenzio, mentre nel mio tempo pas-sato in platea la gente vociava, mangiava e addirittura giocava a dadi.

Vi è la musica moderna, evoluzione (o involuzione?) della musica clas-sica, la quale, alla pari delle arti figurative, sfugge totalmente alla mia comprensione e sulla quale mi asterrò dunque dall’esprimere un giudizio sulla sua validità. C’è poi la musica confezionata per non essere ascoltata. Non esito a definirla una vera e propria regressione. Oggi è chiamata musica leggera, o meglio, musica pop. È adoperata soprattutto alla radio, per alternarla, in trasmissioni dal contenuto a volte intelligente, a intermezzi pubblicitari quasi sempre idioti. Si può ritrovare pressoché ad ogni pubblica manifestazione, nei grandi supermercati, nei luoghi di lavoro, nei ristoranti. Talvolta ad un vo-lume accettabile, talvolta ad un livello acustico tale da costringere chi si parla a gridare per farsi udire. Alcuni poi la ascoltano in auto ad un volume altissimo, a tal punto che, quando l’auto sta per giungere, si ode prima il sordo martellare della batteria elettronica, poi quello

bisognava mettere al mondo tanti figli, perché mediamente su quat-tro bambini uno moriva alla nascita e un altro prima di raggiungere i cinque anni; tanti figli volevano dire tante braccia per lavorare e servivano a garantire la sopravvivenza ed il mantenimento nella pre-coce vecchiaia.

Dopo una giornata di viaggio giungemmo in Italia, al già conosciuto campeggio nei pressi di Torino. Come ogni anno in quel periodo era popolato di moltissime tende di turisti stranieri, tra i quali ci confon-demmo senza difficoltà. Il posto era notevolmente cambiato. Si era ingrandito nella sua estensione, nuove costruzioni di bungalow e di locali destinati al divertimento lo rendevano ancor più accogliente. Solo una cosa non era cambiata: il carattere del suo proprietario, il quale continuava ad essere afflitto dal suo esaurimento.Dopo il tempo necessario al dottor Krast di sistemare alcune faccen-de relative alla ditta che la moglie aveva gestito in suo nome durante la nostra assenza, ci preparammo a raggiungere nuovamente l’Ame-rica. Negli ultimi giorni precedenti la partenza, ebbi l’occasione di visitare il più grande museo di arte moderna d’Europa. Era situato a Rivoli, alle porte di Torino, in quello che era stato un castello di un’antica residenza sabauda.

Vi sono stati progressi in ogni campo, in questi ultimi due secoli. Mi chiedo se questo si possa affermare anche riguardo all’arte. A parte la danza e il neonato cinema, le restanti arti come architettura, musica, pittura, scultura e poesia di questa epoca sono lontanissime dal concetto che ho dell’arte e della bellezza. So che il concetto di bello è quanto mai impossibile da definire, che è estremamente sog-gettivo, forse quanto lo è il concetto di arte. Ma un sacco pieno di caffè, un cavallo impagliato appeso al soffitto o una tazza di cesso con annesso scopino possono essere considerati, sia pur in un de-terminato contesto, un’opera d’arte? Ne discutevo con Dìdele, men-tre passeggiavamo per le stanze del museo. Mi fornì una risposta divertente, tratta da un libro scritto venti anni prima dal filosofo e umorista italiano De Crescenzo, a suo dire il più grande divulgatore della filosofia del ventesimo secolo:

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La musica è diventata un fenomeno di costume. Più che per ascolta-re, ai concerti di musica pop si va per adorare i nuovi dei pagani: le grandi star della musica, restando in mezzo a migliaia di persone, in grandi riti collettivi, ballando, stordendosi con il volume del suono e talvolta con il fumo di sostanze proibite e nocive. Per la verità si può attribuire un merito alla musica leggera: quello di aver permesso la sopravvivenza e addirittura diffuso la poesia. Forse inconsapevol-mente, i cantautori di un certo livello sono valutati più per la qualità dei testi che per la qualità della musica. Più che musicisti, li definirei poeti. Di certo non in tutte le composizioni e non con la forza e l’armonia delle strofe di un Torquato Tasso o di un Quinault, ma in alcune canzoni, pur costretti tra le note e la brevità imposta dalle leggi del mercato, traspirano tratti di vera poesia. Questa musica non mi piacerà mai. Resterò sempre fedele a quella del mio tempo; nes-sun concerto pop è paragonabile all’emozione che provo quando mi perdo dentro l’armonia e il contrappunto per ritrovare ed inseguire il tema della fuga per poi perdermi ancora…

Caro e sconosciuto lettore, continuerai a pensare che a parlarti sia un povero vecchio il quale non riesce ad accettare i cambiamenti e le novità di un mondo che in fondo non gli appartiene. Non so che dirti. Come farà Dìdele che ha vissuto innumerevoli vite in più delle mie due? Forse nel suo mondo i cambiamenti non sono più così ra-pidi come nel nostro. Presumevo di essere stato fatto rivivere in un mondo di istruzione diffusa allo scopo di sensibilizzare ancor più la gente ai problemi della religione e della filosofia. Invece la religione è vissuta dai più con indifferenza e la filosofia come un vezzo da intellettuali che nel migliore dei casi è identificata con la sempli-ce rassegnazione. Eppure, non ci si può esimere dalla scommessa sull’esistenza o non esistenza di Dio. Riflettere sul senso dell’esistenza e su cosa succederà dopo la morte, dovrebbe essere la principale preoccupazione di ogni essere pensan-te. Si può non pensarci, ripetendosi continuamente che il momento della fine è ancora lontano; questo è l’atteggiamento della maggior parte degli uomini. Ma presto o tardi, volenti o nolenti, ricchi o po-veri, sani o malati, il momento giungerà inesorabilmente.

del motore. Dal punto di vista tecnico e artistico, questo tipo di musica è molto povero. Non si cerca che il ritmo. Il contrappunto è totalmente bandito da ogni composizione. Le voci molto raramente cantano in polifonia. Nel migliore dei casi, quando una canzone non è costruita soltanto su pochi accordi, talvolta addirittura soltanto uno, il tutto si riduce a delle melodie di poche battute che si ripeto-no ossessivamente, in composizioni che normalmente durano tre minuti e raramente superano i cinque. La ricchezza di un brano non risiede nella melodia, ma nell’accompagnamento, il quale sempre la sovrasta. Provate ad eliminare l’accompagnamento e la batteria: non resteranno, il più delle volte, che delle semplici e povere nenie infan-tili. Insomma: molto fumo e poco arrosto. Se una canzone non è un’opera d’arte, non la si può neanche defini-re un prodotto artigianale. È elaborata secondo schemi fissi, come un qualsiasi prodotto della tecnologia odierna e come tale ormai generata per la sua maggior parte da programmi informatici. Più che da ascoltare è musica da vedere, dato che la sua monotonia è limitata solamente dai videoclip, per la maggior parte ad alto contenuto eroti-co. Se si vuole far ascoltare al grosso pubblico qualcosa di classico si è costretti a ridurlo musicalmente ai minimi termini e a ritmarlo facendolo sovrastare dalla batteria elettronica. È proprio vero che la musica nasce ad imitazione dei suoni dell’am-biente che ci circonda; infatti, se ai miei tempi il signor Vivaldi scri-veva la musica delle sue Quattro Stagioni ad imitazione dei suoni della natura, la musica di oggi è scritta ad imitazione del fragore della civiltà moderna. Nelle discoteche, poi, la musica quasi scompare, per lasciare posto esclusivamente al martellamento dei tamburi elet-tronici e delle note dei bassi, ad un volume tale da far vibrare il petto e indolenzire i timpani. Parlarsi è praticamente impossibile. D’al-tronde i frequentatori raramente avrebbero qualcosa da dirsi. Né sarebbero in grado di sostenere una conversazione intelligente. Così è più comodo, per far capire ciò che si vuole offrire e ricevere, met-tersi in mostra esibendo il cosiddetto look, cioè il modo di vestirsi, e danzare in modo istintivo in una impressionante regressione allo stato primitivo; tanto la cosa che si cerca e si offre in questi posti è perlopiù soltanto una: il sesso.

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e un altro secolo di antropologia culturale, quello che ho scritto nel Settecento mi appare già criticabile e carico di pregiudizi. Ma la con-vinzione di fondo rimane: il mio teismo dettato dalla ragione. Non può non esistere un Essere onnipotente, che esiste per se stesso, supremo artefice di tutto l’universo. Certamente questo non è il pic-colo Dio che si trova nel cielo Empireo, come affermava la teologia medievale. Oggi si sa con certezza che l’universo è enormemente più vasto di quello immaginato da Aristotele e che la Terra non è altro che uno dei milioni di miliardi di mondi che lo compongono. Anche per questo non mi sono meravigliato più di tanto di aver consta-tato l’esistenza di altri esseri intelligenti che lo abitano. Perché Dio avrebbe dovuto creare un universo così vasto solo in funzione di questo piccolo mondo? Ed è anche per questo motivo che mi sento di affermare che chi crede in Dio non può non credere nell’esistenza di altri esseri intelligenti che popolano l’universo. Questi argomenti sono stati il soggetto di feroci discussioni con Minisino, il quale si professa ateo convinto, durante l’intero tragitto dalla Francia all’Ita-lia e dall’Italia all’America. Fra noi si frapponeva Dìdele, la quale sosteneva che in fondo la cosa veramente importante non è chiedersi se Dio esista oppure no, né tanto meno chiedersi come questo Dio sia fatto, ma cercare di perseguire la virtù. E di non farlo solamente per ottenere un premio nell’aldilà, perché il perseguimento della virtù dona serenità ed è di per se stesso il premio. L’importante è essere soddisfatti alla fine di ogni giorno. Se poi dopo la morte ci troveremo nell’aldilà, tanto me-glio. Se invece ci sarà il nulla, non potremo rammaricarcene, perché semplicemente non ci saremo.

Ho detto soddisfatti alla fine di ogni giorno: è giunto il momento di coricarsi, ma dormirò solo, questa notte. Dìdele ed Anavlis dormo-no assieme nello stesso letto, come hanno fatto molto spesso negli ultimi tempi. Sarà per la novità dei loro nuovi corpi, ma ultimamente fra di loro ci sono stati molti rapporti amorosi. Ormai non mi scan-dalizzo più per questi loro atteggiamenti saffici. Mi ci sono quasi abituato.

Anche per te. Caro e sconosciuto lettore, tu potrai anche smette-re di leggere questa lettera, potrai anche non pensarci, potrai dirti che manca ancora molto, ma qualsiasi cosa tu faccia per distrarti da questo pensiero, è solo questione di tempo; il tuo destino è segnato. Sei anche tu un condannato a morte che non conosce la data della sua esecuzione. Se dico questo, non è per rattristarti, ma per ralle-grarti. Sì, per rallegrarti; poiché se possiederai appena un barlume di saggezza, pensando a tutto questo, ti renderai conto di quanto ogni momento della tua giornata sia prezioso, qualsiasi sia la tua condi-zione, e di come la vita andrebbe vissuta come se ogni giorno fosse l’ultimo, specialmente se sei giovane. Riuscirai a gioire di tutto ciò se sarai capace di distaccarti dalle piccole e grandi cose vane che in ogni epoca hanno sempre attratto gli uomini, come il denaro ed il potere, per dedicarti a perseguire la virtù e la conoscenza. Io ci sono già passato e nonostante la mia vita precedente sia stata molto lunga ed intensa, mi sembra egualmente di aver sbagliato molte cose e di aver sprecato troppo tempo. Spero quindi che ti chiederai se Dio esiste, e, se pensi che esiste, quale sarà, cercandolo tra le molteplici religioni, il vero Dio. Alcuni si sentono sicuri della sua esistenza grazie alla loro fede. Già il fatto che ci credano per una questione di fede e non di ragione dovrebbe farli riflettere sulla validità dei loro convincimenti. Altri credono, convinti da ciò che si trova nelle Sacre Scritture. Basterebbe che le leggessero con un minimo di spirito di razionali-tà, insieme a qualcosa che è stato scritto da me e da altri un paio di secoli fa, per veder presto vacillare le loro convinzioni. Poi ci sono gli atei irriducibili, i quali, di fronte alla grandezza di questo univer-so, non si chiedono e certamente non sanno da dove sia scaturita l’energia che lo ha originato. Come ho già detto, anche l’ateismo è una fede. Quanto a me continuerò a ripetere ciò che già scrissi molto tempo fa: Imponetemi il silenzio sulla religione e sul governo e non avrò più nulla da dire. Posso asserire di avere anticipato Marx affermando che ogni critica deve cominciare dalla religione. Certamente, ora che già pos-siedo un po’ di cultura moderna, avendo letto ciò che è stato scritto in due secoli di riflessioni pre-sociologiche, un secolo di sociologia

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Ottava lettera

Lettera aperta al presidente degli Stati Uniti d’America

Signor Presidente,

tra i 2 e i 5 milioni di persone, in gran parte bambini, muoiono ogni giorno, per problemi legati all’acqua. 2,6 miliardi di persone al mondo non hanno acqua nelle proprie case e sono costrette a rifornirsene da fonti quasi sempre contaminate. Nella sola Africa la popolazione a non avere acqua corrente in casa è il 76%. L’acqua utilizzabile del pianeta si sta riducendo e indubbiamente scatenerà nuovi conflitti. Le contese attorno a 263 bacini fluviali sono già ora focolai di crisi internazio-nali. Il Nilo, come anche il Tigri e l’Eufrate, sono al centro di dispute decennali tra diversi Stati. Nella dichiarazione del Millennio tenuta nel settembre del 2000 alle Nazioni Unite, 189 capi di stato si sono impegnati a dimezzare il numero di chi non ha accesso all’acqua potabile entro il 2015. Ma per raggiungere il traguardo occorrerebbe garantire l’acqua a 100 milioni di persone in più ogni anno, e cioè 274.000 al giorno: una città di media grandez-za da collegare ogni mattina alla rete idrica e fognaria. Secondo le stime della Banca Mondiale serviranno almeno 3.600 miliardi di dollari. Al ritmo attuale le stime più realistiche, per garantire l’acqua a tutti, parlano del 2025 per l’Asia, 2040 per l’America Latina e del 2050 per l’Africa.

Sento di amare ancora Dìdele, anche se talvolta mi riesce difficile. Non che il suo nuovo corpo mi dispiaccia, tutt’altro; ma devo conti-nuamente pensare a lei come mente e come anima.

Ho terminato di scrivere questa lettera, ed ho ricaricato i miei ricordi nella sfera. Questa mia nuova vita sembra un romanzo. Non pre-tendo, caro lettore, che tu ci creda. Forse non ci credo neppure io; forse è solamente l’allucinazione di un vecchio morente, su un letto a Parigi. Ci attende nuovamente una missione pericolosa, ma non ho paura. Il sogno continui!

Pro captu lectoris habent sua fata libelli. Secondo le capacità del lettore i libri hanno il loro destino.

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Il sale è il motore delle correnti sottomarine, che rimescolano le acque e le tempe-rature di tutto il pianeta. E se le correnti si fermassero farebbero precipitare il pianeta sotto una coltre gelata. Nella Corrente del Golfo, che riscalda le coste del nord Europa, nell’ultimo decennio c’è stata una riduzione del volume d’acqua pari al 30%. Nel novem-bre del 2004 si è addirittura fermata per 10 giorni. Tutto questo comporterà cambiamenti politici ed economici notevoli. Un quarto delle riserve globali di combustibili fossili giace sotto l’Oceano Polare. Ne sono state segnalate addi-rittura a soli 300 chilometri dal Polo. Ciò permetterà al sistema dell’economia del petrolio, il quale è il principale responsabile dell’effetto serra, di continuare a sopravvivere, rendendo sempre poco competitive le fonti alternative. Sarebbero inoltre fonte di tensioni internazionali per il possesso delle aree ricche di petrolio.E la Storia ci insegna che non c’è stato un solo territorio dove viene estratto petrolio che non abbia visto una guerra. Lo scioglimento dei ghiacci determina l’innalzamento del livello del mare. Entro il 2090 crescerà di 30 centimetri, nelle ipotesi più ottimistiche, e addirittura di 6-7 metri se la temperatura dovesse salire di 5 gradi, secondo quelle più pessimistiche. E questo fenomeno, come è già noto, determinerà già nei prossimi anni, conseguenze catastrofiche per circa 200 milioni di persone in tutto il pianeta.

Con l’attuale ritmo di consumo di acqua, suolo fertile, risorse forestali, specie animali e in particolar modo risorse ittiche, un pianeta non basta. Nel 2050 ce ne vorranno due. Gli ecosistemi si stanno degradando ad un ritmo impressionan-te, senza precedenti nella storia della specie umana. In quell’anno la popolazione umana raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità del pianeta terra. I grafici delle popolazioni delle specie viventi dimostrano globalmente una pericolosa discesa: negli ultimi 30 anni le popolazioni di vertebrati hanno subito una diminuzione di 1/3. Nello stesso periodo i consumi umani sono raddoppia-ti, e continuano a crescere al ritmo del 1,50% all’anno. L’inquinamento dell’aria uccide ogni anno circa 40.000 persone ogni cento mi-lioni di abitanti che vivono nelle città. E questa non è che una goccia nel mare. Per inquinamento e deforestazione ad opera dell’uomo si perdono ogni anno circa 150.000 chilometri quadrati di foreste tropicali. Ciò riduce l’assorbimento di anidride carbonica e l’emissione di ossigeno che le piante operano grazie alla fotosintesi clorofilliana, contribuendo ad aumentare l’effetto serra. L’anidride carbonica, oltre a causare il riscaldamento del pianeta, aumenta

Ma gli Stati, soprattutto quelli poveri, non sono in grado di investire sull’acqua. Nel Forum di Kyoto nel 2003 si parlava di privatizzare. Gli appalti che ver-rebbero concessi a multinazionali e aziende private per migliorare l’efficienza della gestione idrica, garantendo l’acqua a tutti, imporrebbero però tariffe a carico del consumatore per il recupero dei costi di gestione e di investimento; non a caso grosse multinazionali sono pronte a spartirsi gli affari in un settore molto promettente. In Bolivia la privatizzazione dell’acqua ha portato a rincari del 300%. Un costo che i poveri non possono permettersi.

Negli ultimi 35 anni il numero degli uragani è raddoppiato. Nel 1970 si regi-strava nel mondo una media di 10 uragani o cicloni di categoria 4 o 5 (quelli con venti superiori a 200 km/h). Dagli anni 90 il loro numero è salito a 18. La causa di tutto ciò è naturale. È da attribuire ai cicli ventennali di frequenza degli uragani, i quali si susseguono variando da un minimo a un massimo di frequenza in modo abbastanza brusco. Quel che desta preoccupazione è che la temperatura degli oceani è maggiore e quindi l’umidità è salita. Gli uragani hanno quindi più carburante. Dovremo aspettarci fenomeni sempre più violenti e con più pioggia. Dal 1970 ad oggi la durata degli uragani e la velocità dei venti è cresciuta del 50%. I Poli sono i luoghi del pianeta più colpiti dal riscaldamento: il rialzo delle tem-perature è 3 volte maggiore rispetto all’equatore. Presto al Polo Nord nascerà un nuovo oceano. Tra i 40 e gli 80 prossimi anni il Polo sarà libero dai ghiacci. Se non verrà ridotto l’effetto serra, le estati artiche saranno prive di ghiaccio e neve entro i prossimi 100 anni. Il riscaldamento riduce la copertura nevosa, e dunque l’albedo, cioè la capacità di riflettere la luce del sole. Verranno quindi progressivamente lasciate libere aree sempre più ampie di mare e di terra, le quali, essendo più scure, aumenteranno progressivamente il riscaldamento in un circolo vizioso. Dopo secoli di copertura nevosa la tundra vede già per la prima volta il cielo. L’aumento della temperatura catalizza l’attività di miriadi di microrganismi che finora erano rimasti inattivi, e che, respirando, producono anidride carbonica. Inoltre un completo scioglimento del permafrost può compor-tare la liberazione del gas che era intrappolato nel terreno. Le coste della Groenlandia perdono 100 gigatonnellate di ghiaccio ogni anno, e questa enorme massa d’acqua, riversandosi in mare, ne riduce la salinità.

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il clima della terra. Oggi la popolazione mondiale ha raggiunto il numero di 6.500.000.000. Appena 7 anni fa era di sei miliardi. In questi pochi anni si sono aggiunte tante persone quante popolavano il nostro pianeta al tempo degli imperatori romani. Chi è nato negli anni 50 o 60 del secolo scorso ha potuto assistere nel corso della sua esistenza al raddoppio del numero degli esseri umani. I demografi stimano comunque che la popolazione mondiale dovrebbe stabiliz-zarsi intorno ai nove miliardi intorno al 2050. La cosa che dobbiamo temere non è tanto l’aumento, quanto il fatto che la popolazione del terzo mondo rag-giunga i nostri standard di vita.

Dobbiamo pensare al futuro dei nostri figli.

La maggior parte della gente queste cose non le conosce affatto o non ne compren-de l’entità e la gravità. In fondo non gli importa molto se ogni giorno scompare una specie di esseri viventi o se qualche orso polare annega al Polo Nord per la mancanza di ghiaccio. Per una vecchiaia serena, nei paesi ricchi i giovani bene-stanti investono il loro denaro nei fondi pensione. Ma riusciranno a godersela? In quali condizioni sarà il mondo quando saranno vecchi? Sarebbe meglio che investissero in ecologia, per il loro ed altrui benessere.Comunismo e capitalismo, per i prossimi anni, sono due lussi che la politica non potrà più permettersi. L’unica strada percorribile, non tanto per il progresso, quanto per la sopravvi-venza della specie umana, sarà l’ecologia.

E certamente, se ci sarà un futuro per l’umanità, la generazione attuale verrà considerata da quelle future allo stesso modo con cui essa considera quelle dei secoli bui del Medioevo: rozza e ignorante.

Nel passato, inteso come ere geologiche, e cioè in milioni di anni, ci sono già state estinzioni di massa di specie viventi. Quindi ci si può aspettare che la vita in qualche modo continuerà. Ma, in un periodo molto più breve, probabilmente la terra farà la fine di Venere. A causa dell’amplificazione progressiva degli effetti serra l’acqua del pianeta evaporerà. Tutta la terra sarà coperta da uno strato opaco di anidride carbonica a 90 atmosfere con una temperatura media di più di 400 gradi.

l’acidità dell’acqua degli oceani (del 5% al 2005). In un ambiente acido il car-bonato di calcio, usato dai coralli per costruire lo scheletro, si scioglie. Si prevede, al ritmo attuale, la scomparsa di tutti i coralli delle grandi barriere entro la metà del secolo. Si stima una perdita dai 5 ai 10 milioni di dollari già entro il 2020, nei settori della pesca e del turismo. In soli 30 anni il Chad, uno dei più grandi laghi africani si è quasi prosciugato. È ridotto al 5% della sua superficie. Il lago d’Aral, che era il quarto lago più grande al mondo, si è ridotto a un quarto. I suoi affluenti sono stati sfruttati per le coltivazioni soprattutto di cotone e l’acqua è diminuita ed è diventata salata (e inquinata) danneggiando tutte le specie viventi. A causa della desertificazione oggi vengono considerati degradati 1,2 miliardi di ettari di terreno, qualcosa come la superficie dell’Europa, mentre dei 5,2 miliardi di ettari di terreno attualmente coltivati, il 69% è considerato a rischio. La perdita di produzione alimentare annuale, causata dall’inaridimento dei territori, ammonta a 24 miliardi di dollari, mentre il costo della desertifica-zione, come perdita globale di reddito raggiunge i 42 miliardi di dollari all’anno. Si stima che la popolazione mondiale non potrà sopportare questa situazione per più di 10-20 anni.

L’umanità si trova di fronte alla sua prova più dura. L’attuale accelerazione dei mutamenti climatici e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali spazzerà via l’ambiente confortevole a cui siamo abituati. È come se avessimo acceso un camino per scaldarci, continuando ad alimentarlo senza accorgerci che nel frattempo la casa intorno ha preso fuoco. Il riscaldamento globale sta aumen-tando come un incendio e non c’è più quasi tempo per agire. Non vogliamo ancora capire che il genere umano, al pari degli altri esseri viventi, dai microbi ai cetacei, fa parte di un’unica entità molto più grande, ovvero la Terra vivente. I politici si mostrano ansiosi di intervenire, ma poi, in realtà, si limitano a temporeggiare. Se non ci sarà un mutamento radicale nella gestione delle risorse e nella produzione di energia, entro un decennio il mondo entrerà in una dinamica irreversibilmente catastrofica. Uragani e scioglimento dei ghiacci ai Poli non sono che avvisaglie di qualcosa di molto più devastante che si sta approssimando. È ora di preoccuparsi seriamente di queste cose. I poveri pensano a migliorare la loro condizione, a qualsiasi costo, e non si possono permettere il lusso di pensare all’ambiente. Non è verosimile che le economie emergenti come Cina e India taglino i consumi. E sono loro la principale fonte di emissioni che alterano

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Nona lettera

Nota operativa riservata. Codice bx 0009632/ls

A tutti gli agenti predisposti - loro sedi.

In riferimento al documento allegato si raccomanda di seguire la procedura stan-dard sul controllo della diffusione delle notizie riguardanti la sicurezza nazio-nale.

È stato infatti ritenuto che il documento in oggetto, che si presta ad essere male interpretato, se massicciamente diffuso dagli organi di stampa, potrebbe dare adito ad ingiustificati allarmismi da parte della popolazione, nonché a strumen-talizzazioni da parte di gruppi politicizzati da sempre contrari ai valori della democrazia.

Si dispone perciò quanto segue: 1) I responsabili di livello A attiveranno la procedura ordinaria di blocco presso

i media loro assegnati. Disporranno, per ogni eventualità, di un extra-budget in danaro, il cui ammontare dovrà come sempre essere concordato, previa valutazione, con il loro diretto superiore. Si raccomanda la massima cautela nelle eventuali azioni di persuasione presso i soggetti che dovessero dimostrare riluttanza a seguire le disposizioni. In caso di insuccesso sarà molto difficol-toso da parte nostra continuare a prestare la consueta assistenza.

Per questi motivi Le chiediamo che, grazie al prestigio e all’influenza che la Sua amministrazione gode nell’ambito internazionale, si faccia al più presto promo-tore di azioni concrete atte a porre rimedio alle gravi emergenze che l’umanità si appresta ad affrontare, cercando di coinvolgere, nelle opportune sedi, i Governi di tutto il mondo. In particolar modo:

- dovranno essere disponibili gratuitamente le conoscenze relative al Pianeta Ter-ra, diffuse attraverso un sistema digitale accessibile a tutti.

- dovrà essere incoraggiato lo sviluppo di nuove conoscenze e tecnologie a beneficio dei Paesi in via di sviluppo.

Si renderanno indispensabili: - l’istituzione di Geoparchi, Riserve della Biosfera e Siti del Patrimonio Mondia-

le quali strumenti di conservazione e sviluppo. - la creazione di una rete di monitoraggio su scala mondiale finalizzata a preve-

dere in anticipo i mutamenti che intervengono nell’ambiente del pianeta. - l’istituzione di un Centro Internazionale di Ricerca per lo sviluppo sostenibile.

Dal canto nostro, faremo uso del prestigio che i nostri nomi godono nell’ambito scientifico internazionale per diffondere su tutti i principali mezzi di informa-zione, e in tutti gli Stati ove ciò sarà possibile, la lettera che Le abbiamo invia-to, opportunamente corredata da particolari e cifre, allo scopo di sensibilizzare Governi e popolazione.

Seguono le firme di eminenti scienziati di tutto il mondo.

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Decima lettera

Guantanamo Bay, 4 settembre 2008

Nella mia vita precedente sono stato incarcerato più volte. Dappri-ma nel soggiorno forzato nei castelli dei miei influenti protettori, all’età di vent’anni. Pochi anni dopo rinchiuso alla Bastiglia e nuo-vamente imprigionato dopo circa dieci anni. Pochi anni di questa nuova vita e mi ritrovo nuovamente in carcere. Devo ammettere che quello di allora era estremamente più confortevole di quello di oggi. Da una settimana sono rinchiuso a Guantanamo, e, anche se non ho subito le torture per cui questo carcere è stato tristemente famoso, sto trovando particolarmente duro. Ma il dottor Krast ora è qui. È proprio lui. È venuto per portarmi via. È arrivato questa mattina nella mia cella; mi ha detto di prepararmi, perché il pomeriggio mi avrebbe portato fuori di qui. Non ha specificato come, mi avrebbe spiegato tutto dopo. Come ci riuscirà, non riesco ad immaginar-lo. Ingannerò l’attesa scrivendo questa lettera per la quale, caro e sconosciuto lettore, ti chiedo scusa anticipatamente per la brevità e mancanza di particolari, dato che ho molta fretta e non ho molto tempo per scrivere.

Per mia fortuna oggi, a quasi cinque anni dalla sua apertura, il cam-po non è più lo stesso. Allora i prigionieri portavano una tuta aran-cione e le celle erano aperte da tutti e quattro i lati, in modo da non avere la benché minima intimità. In una settimana venivano concessi

2) I responsabili di livello B provvedano alla consueta diluizione e all’inserimen-to delle notizie di contrasto. Come sopra disporranno dell’extra budget, ed anche a loro si raccomandano le cautele già raccomandate ai responsabili di livello A.

Nell’approssimarsi delle elezioni questo servizio non può permettere che scan-dali o anche soltanto dubbi sul corretto svolgersi della pratica democratica di questo Paese, mettano in difficoltà la corrente Amministrazione e la corrente politica da cui questo Servizio trae le risorse che ne permettono la sussistenza.

Si raccomanda come sempre di rivolgersi, per i chiarimenti del caso nonché per la risoluzione di imprevisti, al diretto superiore, e, in mancanza dovuta a forza maggiore, di attendere istruzioni che verranno impartite con i soliti codici di riconoscimento.

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torio e poi rinchiuso in una cella dicendomi che ne sarei uscito solo quando avrei confessato. Caro lettore, ti chiederai cosa è successo e come sono finito qui. Ti accontento subito.

Sbarcammo una mattina dopo un viaggio in aereo dall’Italia alla Francia e dalla Francia all’America. Ora avevamo nuove identità, e grazie ai nuovi documenti, non avemmo difficoltà a superare i con-trolli della frontiera. Poi Minisino e Krysts si separarono da noi per recarsi in missione in un altro luogo. Il giorno dopo andammo a Washington, dove si trovava l’abitazione del nostro Fratello che era stato arrestato. Si trovava in periferia; era una graziosa villetta in affitto ed ora era abitata da una coppia la quale, durante il giorno, la lasciava vuota per recarsi al lavoro. Non fu neanche necessario entrare in casa, poiché quello che ci serviva era seppellito in giardino. Con un particolare apparecchio che aveva portato con sè, il dottor Krast, travestito da giardiniere per non de-stare sospetti, individuò immediatamente l’esatto punto in cui, na-scosta in una cassettina di legno, era seppellita una piccola chiavetta di memoria USB. In esso erano contenute, tra molti documenti e informazioni, due lettere. La prima era stata sottoscritta da un gruppo di eminenti scienziati i quali avrebbero voluto farla pubblicare dai principali giornali di tut-to il mondo e nella quale si affermava, sulla base dell’elaborazione di moltissimi dati, che la situazione del pianeta dal punto di vista ecolo-gico era quasi certamente avviata alla catastrofe. Questione di pochi decenni e poi la situazione sarebbe degenerata in modo irreversibile. La seconda conteneva delle disposizioni impartite anonimamente a degli anonimi agenti. Il pensiero di ciò mi fa sorridere. C’era bisogno di un gruppo di eminenti scienziati per affermare che ci stiamo avviando verso la catastrofe ecologica? Con tutto quello che si può leggere e udire al giorno d’oggi sull’argomento, non c’è persona dotata di un po’ di informazione e di intelligenza che possa dubitare che ciò avvenga. Il problema è che il fatto di non poter quantificare con precisione il tempo che manca, lo rende un problema che la gente affronta come

solo novanta minuti d’aria, divisi in mezz’ore, il minimo per evitare che i muscoli si atrofizzassero. In questi brevi periodi non c’era in ogni caso la possibilità di muoversi liberamente, i movimenti erano impediti da pesanti catene a mani e piedi e si stava sempre dentro ad una delle gabbie. I premi per la disciplina erano quei minuti d’aria e l’acqua calda per una doccia. I prigionieri venivano chiamati con il loro numero di gabbia e c’era una serie di regole che bisognava rispettare: in base al comportamento si saliva o si scendeva di livello, in una scalata al premio che concedeva più o meno tempo per pren-dere aria o lavarsi, le uniche cose ammesse. Il livello più basso era la stanza di tortura dove c’era pochissimo spazio e una luce sempre accesa. Oggi non è più così. Il vecchio campo di detenzione ora è un luogo invaso dalle erbacce. Le baracche di legno dove avveniva-no i primi interrogatori giacciono abbandonate a marcire all’aperto. Nella cella degli interrogatori si trova un elegante tavolino da caffè, un poltrona in velluto, un tappeto. A malapena si nota la cavigliera incatenata al pavimento, la telecamera in un angolo del soffitto e il bottone d’allarme. La Guantanamo di oggi non è più quella dei detenuti in tuta arancio-ne circondati dal filo spinato, ma è rappresentata da due blocchi di cemento con aria condizionata, battezzati Camp 5 e 6. Per chi si comporta bene sono previsti alcuni vantaggi, come quello di indossare comodi indumenti bianchi o color canapa, invece delle tute arancioni riservate ai disobbedienti, assieme a biancheria di ricam-bio, rotoli di carta igienica extra, tappeto e copricapo da preghiera, carte da gioco. C’è persino la possibilità di accedere a cinquemila libri in diciannove lingue di cui dispone la biblioteca.Anche la qualità del cibo è migliorata. Dalle cucine escono gli stessi pasti sia per i militari che per i detenuti, e per questi ultimi sono previste ben cinque varianti, per rispettare le tradizioni musulmane. Degli ottocento detenuti arrivati qui in cinque anni, cinquecento hanno già lasciato la base perché trasferiti nel loro paese o rilasciati. Per i trecento che rimangono si preannuncia un futuro di sepolti vivi. Non ho subito particolari maltrattamenti, se non quello, nello stile dell’antica inquisizione, di essere sottoposto ad un blando interroga-

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prezzolati presso tutti i principali giornali e televisioni del Paese. C’è a disposizione altro denaro per corrompere eventualmente qual-cuno. Per chi non accettasse di farsi corrompere o cercasse di de-nunciare la cosa sono previste intimidazioni o addirittura l’omicidio. Si raccomanda di stare attenti perché sotto elezioni la situazione è molto delicata e l’organizzazione in questo caso provvederebbe ad eliminare fisicamente l’agente che fallisse o venisse scoperto. Fa-ranno in modo che la lettera non venga pubblicata, avvalendosi dei responsabili dei giornali già corrotti o intimiditi. Insabbieranno la cosa facendo in modo che le notizie in essa contenute non venga-no divulgate tutte assieme, ma diluite nel tempo su vari giornali e sempre obiettate da qualche altro scienziato (non ce ne sono molti per la verità) di opinione diversa. A quanto pare non si conoscono fra di loro, perché nel caso debbano contattare l’organizzazione al di fuori del loro diretto superiore debbono usare dei codici di rico-noscimento ».

Il dottor Krast era riuscito a penetrare negli archivi elettronici del Pentagono e possedeva, tra le altre cose, l’elenco degli ufficiali che prestavano servizio nella base di Guantanamo. Per il suo ritorno sulla Terra, dopo il suicidio assieme a Dìdele e Anavlis, il suo nuovo corpo era stato clonato a somiglianza di uno di questi, sulla base delle fotografie riprese di nascosto da alcuni Fratelli. Tra le altre cose di cui era venuto a conoscenza c’era il fatto che era scapolo e che, dall’indirizzo che lasciava per la sua reperibi-lità, era solito recarsi in licenza nella vicina Miami Beach, la località balneare più famosa degli Stati Uniti. Qui ci recammo, aspettando l’arrivo del militare nell’albergo dove questi era solito soggiornare. Nell’attesa approfittammo del tempo libero che avevamo a dispo-sizione per visitare un poco la città. Percorremmo anche la celebre Ocean Drive, conosciuta per i suoi hotel Art Decò, divisa dall’oceano da una spiaggia brulicante di bagnanti, la quale si colora con le tante luci poste nei ristoranti e bar che animano le sue interminabili notti. Per un po’ facemmo anche vita di spiaggia, dove i miei compagni si mostravano molto insofferenti per il fatto di dover indossare il costume da bagno.

quello relativo a Dio e all’aldilà: non ci pensa, illudendosi di avere ancora molto tempo davanti a sé. E poi c’è la fiducia cieca nel pro-gresso, dal quale, non si sa come, si pensa che prima o poi arriverà qualche invenzione che permetterà di risolvere la situazione. Come se le invenzioni che hanno rivoluzionato la Storia fossero state ap-positamente realizzate nel momento in cui servivano, e non in modo casuale. Sono state le invenzioni a determinare la Storia, non la Sto-ria a determinare le invenzioni! Eppure, nell’era della procreazione responsabile, le coppie mettono tranquillamente al mondo dei figli pur essendo consapevoli che questi molto difficilmente avranno un futuro migliore del loro. Non che mi aspetti che non lo facciano; questa è una cosa affatto naturale e buona. Ma se veramente si ama-no i figli bisogna pensare oltre al loro presente, soprattutto al loro futuro, impegnandosi perciò da subito e con ogni sforzo possibile per renderlo migliore. Questa generazione invece ha abbandonato ogni proposito di cam-biare le cose, per correre dietro ai miti del consumismo, ai suoi tele-fonini e agli SMS. Posso dire, a malincuore, che la generazione che ha rinunciato a cambiare il mondo si merita bene quello che le sta succedendo: di avere figli senza certezze per il futuro che vivono costantemente nel precariato.

Il file conteneva anche un resoconto del Fratello di come i servi-zi segreti, manovrati da alcune grosse multinazionali del petrolio e della chimica avessero fatto in modo che questa relazione non fosse mai divulgata. Non doveva essere stata una cosa molto difficile, dato che l’attuale presidente degli Stati Uniti è un petroliere. Il Fratello manifestava inoltre la convinzione che in qualche modo i servizi segreti fossero a conoscenza del nostro movimento. Fui informato di ciò da Dìdele, la quale mi mostrò la lettera degli scienziati e la nota operativa. « La lettera degli scienziati è molto chiara; invece la nota operativa presenta molti punti oscuri » le dissi dopo averle lette entrambe. « Te la spiego subito» mi rispose. E continuò: « L’anonima entità che impartisce gli ordini è un’organizzazione segreta finanziata dalle multinazionali che ha infiltrati e giornalisti

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Dopo una giornata passata in spiaggia non ebbero difficoltà a con-vincerli a tornare con loro nella stanza dell’albergo. Qui li attendeva-mo io ed il dottor Krast. Rimasero stupiti nel vederci, e soprattutto di vedere il dottor Krast che era il sosia di uno dei due. Dìdele e Anavlis non dettero loro il tempo di riprendersi dalla sorpresa. Qua-si all’unisono passarono il loro braccio sotto la spalla dei due mal-capitati: con una mossa fulminea si girarono, se li caricarono sulla schiena, li fecero cadere in terra e li immobilizzarono facendo leva sul gomito col ginocchio, mentre con il piede premevano sulle loro gole. Il dottor Krast si avvicinò, appoggiò per qualche istante sulle loro fronti una sfera e i due non dettero più alcun segno di reazione. Poi appoggiò la sfera sul suo computer e dopo alcuni minuti sullo schermo cominciarono ad apparire delle immagini. « Che cosa sono? » chiesi incuriosito. « Sono le immagini prodotte dai loro cervelli. Sono state registrate sulla sfera » mi rispose il dottor Krast. E continuò: « Ora lasciatemi lavorare. Avrò bisogno di un po’ di tempo per tro-vare quel che mi serve ».« E cosa ti serve? » chiesi ancora.« Devo vedere molte cose. Devo trovare le immagini della base, la cella dove si trova il nostro compagno, devo vedere i volti delle per-sone, insomma, devo cercare di conoscere il più possibile per poter-mi introdurre nella base senza destare sospetti, ritracciare il nostro fratello e caricare tutti i suoi ricordi sulla sfera ».

Il dottor Krast passò quasi tutta la sera e buona parte della notte in-tento al suo lavoro. Il giorno dopo si disse pronto. Trascorsi l’intera giornata da solo, dopo che i miei tre amici erano usciti senza dirmi dove erano diretti, assieme ai due militari che avevamo catturato, i quali, con lo sguardo spento ma in grado di muoversi e camminare, obbedivano docilmente a tutti gli ordini che venivano loro impartiti. Da alcune ore stavo nell’attesa nella mia camera di albergo e come al solito ero preoccupato e spazientito. Improvvisamente la porta si aprì. Apparve il dottor Krast. Era senza baffi. Non era accompa-gnato da Dìdele e Anavlis, ma da due poliziotti in divisa. Tanta era la mia sorpresa, che credei di non aver capito, quando disse:

« È così importante per voi restare nudi? Non vi sembra di esagera-re? In fondo che importanza ha un pezzettino di stoffa in più o in meno? » dissi rivolgendomi a Dìdele. « Queste sono le obiezioni che fanno sempre i tessili nei confronti dei naturisti. E allora ti chiedo: che male si fa a mostrarsi nudi? Si nuoce a qualcuno? Innanzi tutto è una questione di dignità. Sì, di dignità. Non sopporto il fatto di dovermi vergognare del mio corpo. Lo so che i moralisti assicurano che non è una questione di vergogna ma di pudore e di modestia. Ma chi si denudasse in pubblico non ver-rebbe apostrofato con l’epiteto di immodesto, semmai con quello di porco o qualcosa di peggio. Quindi pudore e modestia, inconsapevol-mente, sono adoperati in modo ipocrita per non dire che in fondo il corpo è qualcosa di cui vergognarsi. Certo le donne che vivono in quei paesi in cui è obbligatorio portare il velo, da sempre abituate a questo costume, si sentirebbero a disagio senza. Ma se ti ci dovessi trovare tu, ad essere sempre obbligato a coprirti dalla testa ai piedi, pena qualche frustata, penso che dopo poco tempo manifesteresti la stessa insofferenza che mostriamo noi nei confronti del costume da bagno. Quanto poi alla differenza tra un pezzettino di stoffa in più o in meno penso che quel pezzettino di stoffa sia enormemente im-portante per chi lo porta e non per chi non lo porta. E ti dirò ancora che, in fondo, la maggior parte della gente più che aver paura di mo-strarsi nuda ha semplicemente paura di fare qualcosa di diverso dagli altri. Tale è ancora l’istinto nella vostra razza, il quale vi spinge ad uniformarvi sempre ai costumi e agli usi del gruppo di cui fate parte! Pensate di essere civili solo per il fatto di portare le mutande? ».A tanta veemenza non osai replicare.

Dopo qualche giorno il militare arrivò regolarmente. Non portava più i baffi ed era un po’ ingrassato. Ma era comunque molto somi-gliante al dottor Krast. Stava sempre in compagnia di un suo com-militone; entrambi non disdegnavano la compagnia di belle ragazze abituate a vendere i loro favori, le quali la sera erano solite bazzicare nei pressi dell’albergo. La mattina del terzo giorno Dìdele ed Anavlis si fecero avanti. Non fu difficile per due femmine come loro abbor-dare i due militari già durante la prima colazione.

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Abbiamo parlato. Sì, è proprio lui. Si è solamente tagliato i baffi. Mi ha detto di continuare a scrivere riportando tutto quello che suc-cede. Ha preso i fogli della lettera che ho appena scritto e ha passato uno ad uno i fogli sul video del computer che ha portato con sé. Mi dice di non preoccuparmi; penserà lui ad aggiungere questa let-tera alle altre. Ero convinto che fosse venuto per portarmi fuori di qui; mi ha ri-sposto che è questa la sua intenzione. Gli ho chiesto come pensa di farlo. Non risponde. Estrae la pistola. Capisco. Annuisco. Ho abbassato lo sguardo sul foglio. Sento la sua voce che mi dice che non proverò alcun dolore. Porta con sé tre sfere. Saranno sicuramente la mia, la sua, e quella del fratello. Ha appoggiato la terza sfera sulla mia fronte ed ha registrato i miei ricordi. Avverto il solito leggero stordimento. Trasmette con le sfere. Si è portato dietro di me. Sento la punta della pistola che si appoggia alla mia nuca. La mano mi trema. Poserò la penna accanto al foglio dopo aver scritto l’ultimo pensiero. Vedrò nuovamente l’azzurro del cielo?

Sic transit gloria mundi. Così passa la gloria del mondo. (Come sono passeggere le glorie del mondo).

« È lui. Prendetelo! ».Uno dei due poliziotti teneva in mano una pistola e me la puntò contro. Mi fece appoggiare le mani sulla testa, mentre l’altro mi per-quisiva. « Non è armato » disse il poliziotto che mi aveva perquisito. Poi mi fece mettere le mani dietro a schiena e mi ammanettò. Cerca-vo di incontrare lo sguardo del dottor Krast, ma egli si negava. Cosa poteva essere successo? Un tale comportamento mi pareva inspie-gabile. Non portava più i baffi: era proprio lui? Forse si trattava di un piano nel quale rientrava il fatto che per qualche motivo dovessi essere arrestato, oppure il dottor Krast agiva così perché era stato scoperto e aveva paura di qualcosa… insomma non sapevo cosa pensare, non sapevo se scoraggiami o essere fiducioso. Ogni residuo di fiducia svanì molto presto. Fui caricato su un’auto e portato in una stazione di polizia. Venni rinchiuso in una cella. Dopo qualche ora arrivarono due uomini in borghese che mi prele-varono e mi portarono in un appartamento nel quale fui rinchiuso in una stanza. Poco dopo, uno dei due uomini che mi avevano prelevato nella sta-zione di polizia entrò accompagnato da quello che speravo ancora fosse il dottor Krast e mi chiese dove erano i miei complici e dove avevamo nascosto l’altro militare. Ovviamente non sapevo cosa ri-spondere e quindi restai in silenzio. « È tipico di questi terroristi. Forse ci hanno rapito nella speran-za di ottenere lo scambio con qualche prigioniero. Meno male che sono riuscito a fuggire, altrimenti a quest’ora mi avrebbero nascosto chissà dove. E chissà quale trattamento mi avrebbero riservato quei bastardi! » disse quello che ormai ero sicuro che non fosse il dottor Krast. « Ora lo stesso trattamento lo riserveremo a lui. – disse l’uomo – È già pronto un bel posto nell’albergo di Guantanamo. Vedrai che non ci metterà molto a cantare come un uccellino! ».La sera stessa fui caricato su un aereo militare e dopo tre ore stavo già in questa cella dove ora mi trovo.

Ora mi devo interrompere perché è entrato il dottor Krast.

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« Ti sei preso una bella paura, non è vero? Purtroppo abbiamo dovu-to farlo perché ormai eri bruciato, come lo era il Fratello che era dete-nuto a Guantanamo. Il tuo volto, come il suo, era ormai conosciuto e quindi dovevamo far credere che foste morti. Quel che è accaduto nella base è apparso come un caso di duplice omicidio seguito dal mio suicidio. Eseguito da un sosia, visto che hanno ritrovato i due militari scomparsi, i quali non ricordano cosa sia successo. Ci met-teranno un bel po’ per capirci qualcosa » mi rispose ridacchiando.

C’era una gran novità, di cui Minisino andava particolarmente or-goglioso. Me la mostrò durante il viaggio. Sembrava una normale penna stilografica; in realtà era tutt’altra cosa. « Finalmente sono riuscito a perfezionarlo. È un apparecchio in gra-do di interagire con le onde cerebrali emesse dal cervello di tutte le persone che si trovano nel raggio di cinquanta metri » disse Minisino. « E a cosa ci servirà? » domandai incuriosito. « Ad una distanza massima di trenta chilometri potremo ricevere i dati che trasmette, leggendo perciò i pensieri ma soprattutto in-fluenzando le decisioni delle persone che si troveranno nel raggio d’azione dell’apparecchio mi rispose ». E continuò: « In questi giorni in Italia, all’Aquila, si terrà il vertice del G8. Sarà l’occasione per testarne l’efficienza ».« E come pensate di agire? ».« Dìdele è stata clonata a somiglianza di una delle amazzoni, le guar-die del corpo di Gheddafi. Si sostituirà a lei. Porterà l’apparecchio con sé. Quando sarà abbastanza vicina, influenzeremo la mente del colonnello e faremo in modo, per prima cosa, che porti sempre la penna con sé. Così, quando sarà in riunione con gli altri Capi di Sta-to, potremo influenzarli tutti ».Questa, assieme al fatto che si potevano materializzare i corpi solo in determinati luoghi della Terra, tra i quali Le Porge e il monte Musinè erano già di mia conoscenza, furono le uniche due cose che Minisino mi disse essere autorizzato a rivelarmi. « Nullum magnum ingenium sine mixtura dementiae fuit » esclamai. « Che cosa hai detto? » mi chiese Minisino.

Undicesima lettera

Roma, 15 luglio 2009

« La cosiddetta morte è solo il rivestirsi di una cosa vecchia in nuova forma e abito… È lo spirito disincarnato che vola qua e là…gettato da una dimora all’altra. L’anima è sempre la stessa. Solo la forma è perduta ». Questo pensiero di Ovidio sembra calzare alla perfezione su quanto è successo.

È impressionante come mi sia sembrato che non fosse passato ne-anche un istante da quel momento in cui la sfera appoggiata sulla mia fronte registrava i miei ricordi, a quando, nove mesi dopo, nel chiarore dell’aurora, riaprivo gli occhi nuovamente disteso sulla sab-bia della riva del mare, nel solito posto di Le Porge. Non ero solo. Vicino a me si era materializzata un’altra persona che non avevo mai visto prima. Mi parlò e si fece riconoscere: era il dottor Krast. Accanto a noi c’erano Minisino e Krysts i quali ci avevano atteso in questo nuovo arrivo. Avevano pronti abiti e alcune borse con dena-ro e nuovi documenti. Mi porsero uno specchio: lo adoperai e vidi che anch’io ero in possesso di un nuovo corpo dall’aspetto diverso dal precedente. Chiesi subito notizie di Dìdele e Anavlis. Erano in Italia, per una missione. La mattina stessa saremmo dovuti partire per raggiungerle. « Perché tutta questa messinscena? » chiesi al dottor Krast.

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troverebbero che una innocua penna. L’importante è non trovarsi mai vicini all’amazzone di cui sono il sosia. Quando sarò vicina al colonnello attiverò la penna e il dottor Krast farà il resto. Anavlis resterà fuori per ogni evenienza. E poi ho sempre pronta questa, mi disse indicando la pillola al cianuro che stava sul tavolo ».

Questa volta le cose andarono per il verso giusto. Dìdele riuscì ad entrare, svolgere il suo compito e uscire senza destare sospetti. Risa-limmo sul camper e immediatamente ripartimmo, seguiti a distanza dall’auto su cui viaggiavano Minisino e Krysts, mentre Dìdele ed Anavlis si cambiavano d’abito. « Tutto bene? » chiesi.« Ora il colonnello possiede una bella penna, dalla quale non vuole più separarsi, convinto di averla sempre posseduta » disse il dottor Krast in tono ironico. La penna funzionava, dato che ci fu tra i partecipanti al vertice un’i-naspettata intesa sull’impegno a ridurre i gas serra. Non era molto, ma per il momento poteva bastare. « È giunto il momento di metterti a parte di molte cose. – riprese il dottor Krast – Il nostro piano è molto semplice, almeno in teoria. Dovremo riuscire ad impadronirci delle menti dei grandi della terra, per costringerli ad agire secondo le nostre indicazioni. E non sarà abbastanza. Dovremo anche, per sicurezza, riuscire a controllare quelle dei più alti gradi militari e riuscire ad individuare quali grossi capitalisti nel mondo manovrano l’economia e il potere politico. Il problema ora è quello di fare in modo che, dopo aver preparato un futuro consenso a livello planetario, i grandi della Terra si ritro-vino insieme per poterli influenzare tutti quanti in un colpo solo. Ma abbiamo pensato anche a questo. » E continuò: « Questo non è l’unico problema. Da quanto il nostro Fratello è riuscito a scoprire, l’organizzazione segreta finanziata dalle multinazionali ha in mente un piano tutto suo per risolvere i gravi problemi del mondo ».« Veramente? » chiesi incuriosito. « Sì. In presenza di un limitato numero di risorse a diposizione dell’u-manità c’è un’altra soluzione, oltre a quella di consumare meno ».« E quale sarebbe? ».

« Non esiste grande ingegno in cui non ci sia un po’ di pazzia » si affrettò a tradurre Krysts. In effetti, non credevo che il fatto di influenzare le decisioni di una decina di capi di stato fosse sufficiente a cambiare il corso degli avvenimenti. Ormai avevo vissuto abbastanza in quest’epoca per ca-pire che troppi erano gli interessi in gioco e troppe le nazioni anco-ra ostili perché ciò potesse verosimilmente realizzarsi. Nello stesso tempo capivo che i miei compagni erano molto determinati e che sicuramente il loro piano non si limitava solo a questo. Giungemmo all’Aquila quando ormai si era già fatto buio. A mano a mano che ci avvicinavamo alla città, attraversando i paesi limitrofi potevamo constatare, alla sola luce dei fari dell’auto, la desolazione e la rovi-na che il recente terremoto aveva recato. Lungo la strada fummo fermati a ben tre diversi posti di blocco, date le eccezionali misure di sicurezza che erano state predisposte per l’evento. Li superam-mo tutti grazie alle nostre false credenziali di giornalisti. Trovammo Dìdele ed Anavlis ad attenderci in un camper. Si stavano provando gli abiti. Erano vestite da amazzoni, con un vistoso basco rosso e la divisa militare. L’abbondanza di mezzi di cui disponeva l’organizza-zione dei miei compagni mi faceva supporre che fossero dotati di basi e di laboratori ben forniti, della cui esistenza non ero mai stato messo al corrente per i soliti motivi di sicurezza, dato che riuscivano a sfornare con facilità documenti falsi, carte di credito, apparecchi elettronici e questa volta persino due divise su misura. Riabbracciai Dìdele. Erano passati più di nove mesi da quando ci eravamo sepa-rati a Miami Beach, ma solo sul calendario. Per me erano passati solo otto giorni. Questa volta il mio nuovo corpo clonato era all’altezza del suo. Finalmente non ero più basso di lei; la mia statura era leg-germente superiore alla sua. La mattina seguente eravamo pronti per entrare in azione. « Come farai a superare il cordone di polizia? » chiesi a Dìdele. « Da molto tempo seguiamo le mosse del colonnello. Non si fida molto dei servizi di sicurezza altrui. È solito mandare in avansco-perta le sue amazzoni in perlustrazione anche al di fuori dei cordoni di polizia. Con questa divisa non dovrei avere difficoltà a passare. Penseranno che stia rientrando. E anche se mi perquisissero non

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Per me, invece, è venuto il momento di scrivere. Le opere letterarie che ho l’incarico di stendere dovranno orientarsi nei loro argomenti alla necessità del cambiamento che il mondo dovrà attuare per la sua sopravvivenza. Riporto qui per intero un’esemplare relazione di Bruno Clèmentine e Vincent Cheynet, alla quale conto di ispirarmi, e che, a parer mio, riassume bene la strada che l’umanità dovrà ne-cessariamente compiere per la sua salvezza.

Relazione

La contestazione della crescita economica è un fondamento dell’e-cologia politica. Non può esserci crescita infinita su di un piane-ta finito. Dal momento che disturbava troppo, perché in radicale rottura con il nostro sviluppo attuale, questa critica fu ben presto abbandonata a vantaggio di concetti più flessibili, come lo sviluppo sostenibile. Eppure, razionalmente, non esiste quasi altra via, per i paesi ricchi (20% della popolazione planetaria e 80% del consumo delle risorse naturali) che quella di ridurre la loro produzione e il loro consumo al fine di decrescere. Non c’è bisogno di essere eco-nomisti per capire che un individuo, o una collettività, che tragga la maggior parte delle sue risorse dal suo capitale, e non dai suoi red-diti, è destinato al fallimento. Eppure questo è proprio il caso delle società occidentali, che attingono alle risorse naturali del pianeta, un patrimonio comune, senza tenere conto del tempo necessario per-ché esse si rinnovino. Non contento di depredare questo capitale, il nostro modello economico, fondato sulla crescita, induce inoltre un aumento costante di questi prelievi. Gli economisti ultra-liberali, come i neo-marxisti, hanno eliminato dai loro ragionamenti il parametro natura, perché troppo contra-riante. Privato del suo dato fondamentale, il nostro modello econo-mico e sociale si trova così scollegato dalla realtà fisica e funziona nel virtuale. Gli economisti vivono, in effetti, nel mondo religioso ottocentesco, in cui la natura era considerata inesauribile. Negare la realtà a vantaggio di una costruzione intellettuale è caratteristico di un’ideologia. Possiamo quindi considerare che l’economia attuale è

« Molto semplice: se non si possono aumentare i consumi basta ridurre il numero dei consumatori ».Impiegai qualche istante per capire. Poi chiesi ancora: « In che modo? Scatenando qualche guerra? ». « No, un vasto conflitto sarebbe troppo rischioso e incontrollabile. Troppi paesi ormai possiedono armi nucleari. Metterebbe a repen-taglio, oltre alla vita su tutto il pianeta, l’esistenza stessa dei mezzi di produzione. Le multinazionali correrebbero il rischio di essere annientate a loro volta. C’è un modo molto più semplice di risolvere la questione: un bel virus che faccia bene il suo lavoro fino a quando, guarda caso, vengano scoperti un antidoto o un vaccino che mettano fine alla strage, quando, purtroppo, l’umanità si è ormai dimezzata ».Ero attonito. Chiesi ancora: « Ne sei sicuro? ».« I documenti di cui siamo venuti in possesso ed i finanziamenti che l’organizzazione riceve dalle multinazionali rendono più che plau-sibile quest’ipotesi. Inoltre c’è un particolare collegamento con un laboratorio di ricerca, situato in Amazzonia, che ci fa sospettare che sia proprio quello in cui si sta lavorando alla produzione del virus. Siamo riusciti ad infiltrare un Fratello e da lui abbiamo saputo che da quel laboratorio non è mai uscito niente, mentre continuano ad arrivare soldi e personale. Due persone che ci avevano lavorato sono inspiegabilmente morte, il che fa supporre che siano state eliminate in quanto pericolose, probabilmente perché sapevano troppo. La priorità ora è risolvere questo problema nel più breve tempo possi-bile ».

Ci recammo quindi a Roma e venimmo ad abitare in questa villetta di periferia, dove mi trovo attualmente. Qui, mascherata da piccolo laboratorio per la riparazione di materiali elettronici, si trova una delle basi dell’organizzazione dei Fratelli. È da qui che probabilmen-te escono le sfere e i vari marchingegni di cui si serve il dottor Krast. Con Minisino sta già lavorando ad un nuovo apparecchio. A cosa servirà naturalmente non mi è stato detto, ma mi hanno fatto capire che dal suo funzionamento dipenderà l’esito della missione dei Fra-telli sulla Terra.

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essere contestate, ci dirigiamo verso la fine della maggior parte delle risorse planetarie a breve scadenza, se non cambiamo radicalmente rotta. Contrariamente al ventesimo secolo, ormai consumiamo più risorse di quante non ne scopriamo. Inoltre è previsto, da qui a 20 anni, un raddoppio del parco automobilistico e del consumo ener-getico mondiale. Infine, più ci avviciniamo alla fine delle risorse, più queste sono difficili da estrarre. Resta il fatto che il pericolo mag-giore, oggi, sembrano essere i danni che facciamo al clima, che non l’esaurimento delle risorse naturali.

L’economista romeno Nicholas Georgescu-Roegen è il padre della decrescita. Nicholas Georgescu-Roegen distingue l’alta entropia, energia non disponibile per l’umanità, dalla bassa entropia, ener-gia disponibile. Egli dimostra semplicemente che ogni volta che noi intacchiamo il nostro capitale naturale, come le riserve energetiche, ipotechiamo le speranze di sopravvivenza dei nostri discendenti. Ogni volta che produciamo un’automobile, lo facciamo al prezzo di una riduzione del numero di vite future. Egli mette in evidenza il vicolo cieco costituito dalla crescita zero o dallo stato di stabilità decantato dagli ecologisti. In effetti, anche se stabilizzassimo la nostra economia, continueremmo ad attingere al nostro capitale.

Tutto il problema consiste nel passare da un modello economico e sociale fondato sull’espansione permanente ad una civiltà sobria il cui modello economico abbia integrato la finitezza del pianeta. Per passare dalla nostra civiltà all’economia sana, i paesi ricchi do-vrebbero impegnarsi in una drastica riduzione della loro produzione e dei loro consumi. In termini economici, questo significa entrare nella decrescita. Il problema è che le nostre civiltà moderne, per non generare conflitti sociali, hanno bisogno di questa crescita perpe-tua. Il fondatore della rivista The ecologist, l’ecologista milionario e conservatore Edwards Goldsmith, avanza l’ipotesi che riducendo del 4% l’anno per 30 anni la produzione e il consumo, avremmo una possibilità di scampare alla crisi climatica, con un minimo di volontà politica. Facile a dire sulla carta, fosse anche riciclata o semplicemente sbiancata senza cloro!

prima di tutto di natura ideologica, non fosse altro che per difetto. La realtà è più complessa, poiché il sistema economico è in effetti largamente abbandonato a sé stesso, senza controllo politico. Chia-meremo economia sana un modello economico che, come minimo, non intacchi il capitale naturale. L’ideale sarebbe ricostituire il capi-tale naturale già distrutto. Ma il primo obiettivo di un’umanità che vive sui redditi della natura costituisce già una sfida straordinaria. Possiamo anche domandarci se quest’obiettivo sia ancora realizza-bile, e se il punto di non-ritorno non sia stato già oltrepassato. In ogni caso quest’obiettivo è il solo al quale l’umanità possa puntare, sia dal punto di vista morale che da quello scientifico. Morale, per-ché fa parte del dovere e della responsabilità di ogni individuo e dell’umanità preservare il proprio ambiente e restituirlo ai propri discendenti, come minimo, nello stato in cui l’ha trovato. Scientifico, perché immaginare che l’umanità abbia i mezzi per colonizzare altri pianeti vuol dire delirare. Le distanze nello spazio sono fuori della portata delle nostre tecnologie. Per fare dei salti da pulce nello spa-zio, sprechiamo inutilmente quantità gigantesche di risorse preziose. Inoltre, in via puramente teorica, se potessimo portare sul nostro pianeta, in maniera economicamente conveniente, una risorsa ener-getica extra-terrestre, questo avrebbe come conseguenza un nuovo degrado ecologico. In effetti, alcuni scienziati pensano che il perico-lo sia più nelle troppe risorse, che nel rischio di vederle esaurirsi. Il pericolo principale è l’incapacità dell’ecosistema globale di assorbire tutti gli agenti inquinanti che generiamo. L’arrivo di una nuova ri-sorsa energetica riuscirebbe così solo ad amplificare i cambiamenti climatici. Non attingere per niente al nostro capitale naturale sembra difficile, anche solo per produrre degli oggetti di prima necessità come una pentola o un ago. Ma abbiamo già prelevato e trasformato una quantità considerevole di minerali. La massa d’oggetti prodotti costituisce già un formidabile potenziale di materia da riciclare. L’o-biettivo dell’economia sana può sembrarci un orizzonte utopistico. In pratica abbiamo al massimo 50 anni per arrivarci, se vogliamo salvaguardare l’ecosistema. La biosfera non concede dilazioni. Re-stano, al ritmo di consumo attuale, 41 anni di riserve certe di petro-lio, 70 anni di gas, 55 anni di uranio. Anche se queste cifre possono

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implodere il loro sistema sociale. Al contrario, dovranno proprio rinforzarlo in questa difficile transizione per tendere ad una mag-giore equità. Una cosa sembra sicura: per raggiungere l’economia sana, la decrescita dei paesi ricchi dovrà essere sostenibile. Più di tre quarti delle risorse energetiche che utilizziamo oggi sono di origini fossili. Sono il gas, il petrolio,il carbone. Assieme all’uranio sono risorse non-rinnovabili, o più esattamente con un tasso di rinno-vamento estremamente debole. In ogni caso, senza alcun rapporto con il nostro attuale utilizzo. L’economia sana ci impone di cessare questo saccheggio. Dobbiamo riservare queste risorse preziose per degli impieghi vitali. Inoltre, la combustione di queste risorse fossili disgrega l’atmosfera (effetto serra e altri inquinamenti) e intacca da quest’altro lato il nostro capitale naturale. Quanto al nucleare, oltre al pericolo che fanno correre le sue installazioni, produce rifiuti che hanno una vita dalla durata infinita, se paragonata alla scala umana (plutonio 239, tempo di dimezzamento 24.400 anni, iodio 129, du-rata dell’emivita 16 milioni di anni). Il principio di responsabilità, che definisce l’età adulta, suggerisce di non sviluppare una tecnica che non riusciamo a controllare. Non dobbiamo lasciare in eredità ai nostri discendenti un pianeta avvelenato fino alla fine dei tempi. Al contrario, avremo diritto alle energie di rendita, cioè quella sola-re, l’eolica e, in parte, la biomassa (legno) e un po’ d’idraulica. Con queste ultime due risorse che devono dividersi con altri utilizzi che non la sola produzione di energia. Quest’obiettivo è raggiungibile solo con una drastica riduzione del nostro consumo energetico. In un’economia sana, l’energia fossile sparirebbe. Questa sarebbe riser-vata a degli usi di sopravvivenza, come gli usi medici. Il trasporto aereo, i veicoli con il motore a scoppio sarebbero condannati a spa-rire. Sarebbero sostituiti dalla marina a vela, la bicicletta, il treno, la trazione animale (quando la produzione di alimenti per gli animali è sostenibile). È chiaro che tutta la nostra civiltà sarebbe sconvolta da questo mutamento nel rapporto con l’energia. Significherebbe la fine dei grandi centri commerciali a vantaggio dei piccoli negozi di quartiere e dei mercatini, dei prodotti manufatti poco cari importati a beneficio dei prodotti locali, degli imballaggi usa e getta a vantaggio dei contenitori riutilizzabili, dell’agricoltura

La realtà sociologica è tutt’altro. Perfino i ricchi dei paesi ricchi aspi-rano a consumare sempre più. E non è un minimo di volontà politica che sarebbe necessario se un gruppo volesse condurre que-sta politica dall’alto, ma piuttosto un potere totalitario. Quest’ultimo avrebbe un gran da fare per contrastare una sete infinita di consumi alimentata da anni di condizionamento all’ideologia pubblicitaria. A meno di rientrare in un’economia di guerra, l’appello alla responsa-bilità degli individui è la priorità. I meccanismi economici condotti dal politico dovranno svolgere un ruolo fondamentale, ma resteran-no secondari. La svolta dovrà quindi attuarsi dal basso, per restare nella sfera democratica.

Edwards Goldsmith afferma anche che solo una crisi economica mondiale potrebbe ritardare la crisi ecologica globale se non si in-traprende niente. La storia ci dimostra che le crisi hanno raramente delle virtù pedagogiche, e che esse generano molto spesso dei con-flitti sanguinosi. In situazione di pericolo, l’umano privilegia i suoi istinti di sopravvivenza, a scapito della società. La crisi del 1929 ha portato al potere Hitler, i nazisti, i fascisti, i franchisti in Europa e gli ultranazionalisti in Giappone. Le crisi invocano dei poteri forti, con tutte le derive che questi generano. Tutto l’obiettivo consiste, invece, nell’evitare che sia il caos a regolare le cose. È per questa ragione che questa decrescita dovrà essere sostenibile. Vuol dire che non dovrà generare una crisi sociale che rimetta in discussione la de-mocrazia e l’umanesimo. Non servirebbe a niente, voler preservare l’ecosistema globale, se il prezzo per l’umanità è un crollo umano. Ma più aspetteremo ad impegnarci nella decrescita sostenibile, più l’impatto contro la fine delle risorse sarà rude, e più il rischio di generare un regime eco-totalitario o di sprofondare nella barbarie sarà elevato. Un esempio di decrescita caotica è la Russia. Questo paese ha ridotto del 35% le sue emissioni di gas a effetto serra dalla caduta del muro di Berlino (6). La Russia si è disindustrializzata. È passata da un’economia da superpotenza ad un’economia in larga parte di sopravvivenza. In termini puramente ecologici, è un exploit. In termini sociali, è ben lungi dall’esserlo. I paesi ricchi dovranno tentare di diminuire la loro produzione e i loro consumi senza far

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dello simile porterebbe al commercio equo per tutti: applicando là dove si produce i criteri umani di dove si vende. Questa regola di semplice enunciazione porterebbe alla fine della schiavitù e del neo-colonialismo.

Quando saranno enunciate le misure da prendere per entrare nella decrescita sostenibile, la maggior parte dei nostri concittadini resterà incredula. La realtà è troppo dura per essere ammessa di colpo, per la maggioranza dell’opinione pubblica. Nella maggior parte dei casi essa suscita una reazione di animosità. È difficile rimettersi in di-scussione quando si è stati allattati al biberon mediatico pubblicita-rio della società dei consumi. Un cocktail che somiglia stranamente alla Soma, droga euforizzante descritta da Aldous Huxley ne Il mi-gliore dei mondi (Brave New World, 1932, che annunciava un potere psicobiologico!). Anche il mondo intellettuale, troppo impegnato a risolvere delle questioni bizantine e ancora abbagliato dalla scienza, avrà molte difficoltà ad ammettere di essere passato così lontano da un’impresa di civiltà così importante. È difficile, per gli Occidentali, prendere in considerazione un altro modo di vita. Ma non dobbia-mo dimenticare che il problema non si pone in questi termini per la stragrande maggioranza degli abitanti del globo. L’80% degli umani vive senza automobile, senza frigorifero o ancora senza telefono. Il 94% degli umani non ha mai preso l’aereo. Dobbiamo perciò uscire dal nostro quadro di abitanti dei paesi ricchi per ragionare su scala planetaria e considerare l’umanità come una e indivisibile. In man-canza di ciò, saremmo ridotti a ragionare come Maria Antonietta alla vigilia della Rivoluzione francese, incapace di immaginare di potersi spostare senza sedia con il portantino, e che consigliava di mangiare brioche a quelli che non avevano pane.

Circa un terzo della popolazione americana è obeso. Gli Americani si sono lanciati alla ricerca del gene dell’obesità per risolvere questo problema in maniera scientifica. Naturalmente la soluzione giusta è adottare una dieta più adeguata. Questo comportamento è del tutto sintomatico della nostra civiltà. Pur di non rimettere in discussione il nostro modo di vita, continuiamo nella nostra fuga in avanti alla

intensiva motorizzata a beneficio di una agricoltura contadina esten-siva. Il frigorifero sarebbe rimpiazzato da una camera fredda, il viag-gio alle Antille da una gita in bicicletta nelle Cevenne, l’aspirapolvere dalla scopa e lo straccio, l’alimentazione a base di carne da una dieta quasi vegetariana, ecc. Almeno durante il periodo di riorganizza-zione della nostra società, la perdita dell’energia fossile porterà ad un accrescimento considerevole della massa di lavoro per i paesi occidentali, e questo anche considerando una forte diminuzione dei consumi. Non solo non disporremmo più dell’energia fossile, ma in più la manodopera a buon mercato dei paesi del terzo mondo non sarebbe più disponibile. Faremmo allora ricorso alla nostra energia muscolare.

Al livello dello Stato, un’economia sana gestita democraticamente può essere solo il frutto di una ricerca di equilibrio costante tra le scelte collettive e individuali. Essa ha bisogno di un controllo demo-cratico dell’economia da parte del politico e delle scelte di consumo degli individui. Un’economia di mercato controllata dal politico e dal consumatore. Dove l’uno non può fare a meno dell’altro. Que-sto modello esige una maggiore responsabilizzazione del politico come del consumatore. In maniera succinta, possiamo immaginare un modello economico che si articoli su tre livelli. Il primo sarebbe un’economia di mercato controllata che eviti qualunque fenomeno di concentrazione. Sarebbe, per esempio, la fine del sistema del fran-chising. Ogni artigiano o commerciante sarebbe proprietario del suo utensile di lavoro e non potrebbe possedere più di questo. Sarebbe necessariamente il solo a decidere della sua attività, in relazione con la sua clientela. Quest’economia di piccole entità, oltre al suo carat-tere umanista, avrebbe l’immenso merito di non generare pubblicità, condizione sine qua non per la messa in opera della decrescita so-stenibile. Il secondo livello, la produzione di attrezzature che hanno bisogno di investimenti, avrebbe dei capitali misti, privati e pubblici, controllati dal politico. Infine il terzo livello sarebbe quello dei ser-vizi pubblici di base, non privatizzabili (accesso all’acqua, all’energia disponibile, all’istruzione e alla cultura, ai trasporti in comune, alla sanità, alla sicurezza delle persone). La messa in pratica di un mo-

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Dodicesima lettera

Le Porge, 20 luglio 2010

Riguardo alle rispettive capacità nell’ambito informatico, tra Mini-sino e il dottor Krast vi era una certa rivalità. Lo avevo capito dalla sottile ironia con cui quest’ultimo commentò il fatto che la penna che era stata consegnata a Gheddafi avesse smesso di funzionare dopo appena pochi giorni. « Non importa, ho già individuato il difetto » disse Minisino. « Intelligenza è imparare dai propri errori, soprattutto quando questi sono elementari » rispose sornione il Dottor Krast, sottolineando con un tono di voce particolare l’ultima parte della frase. « Questo è vero, ma direi che la vera intelligenza sta soprattutto nell’imparare dagli errori altrui, quando si riesce a individuarli » ri-batté Minisino alla stessa maniera. La conversazione proseguiva tra i due rivali, i quali continuavano a beccarsi reciprocamente, quando intervenne Dìdele, la quale molto diplomaticamente, disse: « Non importa, ora dovete concentrarvi sulla missione. E poi sono sicura che il nuovo apparecchio che avete progettato insieme fun-zionerà alla perfezione ».A cosa servisse questo apparecchio, come sempre non mi era stato detto; ma avevo capito che era di fondamentale importanza.

Queste discussioni si svolgevano mentre, su un fuoristrada che

ricerca di soluzioni tecniche, per rispondere ad un problema cul-turale. Inoltre, questa folle fuga in avanti non fa che accelerare il movimento distruttivo. In effetti, anche se la decrescita ci sembra impossibile, la barriera si trova più nelle nostre teste che nelle rea-li difficoltà a metterla in pratica. È necessario far uscire l’opinione pubblica dal condizionamento ideologico fondato sulla fede nella scienza, le novità, il progresso, i consumi, la crescita, cioè da tutto ciò che condiziona quest’evoluzione. La priorità è quindi di impe-gnarsi su scala individuale nella semplicità volontaria. È cambiando noi stessi che trasformeremo il mondo. Se torniamo alla definizione del concetto sviluppo sostenibile, cioè: ciò che permette di rispon-dere ai bisogni delle generazioni attuali, senza con ciò compromet-tere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro propri bisogni, allora il termine appropriato per i paesi ricchi è proprio la decrescita sostenibile.

Caro e sconosciuto lettore, in questi pochi giorni che sono trascorsi dal mio ritorno, ho passato meravigliosi momenti con Dìdele. Avrei voluto che non avessero mai fine, ma purtroppo è già arrivato il momento di ripartire. Il fratello infiltrato nel laboratorio in Amazzonia ha confermato che il virus è stato prodotto. Sembra che ora arrivino ordini dall’alto, i quali, essendo in codice, non hanno ancora potuto essere decifrati. Dovremo quindi recarci al più presto laggiù, in una missione che non è difficile prevedere pericolosa. Devo confessare che queste missioni, anche se mi appaiono a dir poco disperate, cominciano ad attrarmi. Sarà per questa sorta d’im-mortalità che le clonazioni rappresentano, ma ora ho molta meno paura. Mi sento molto più coraggioso, anzi, spavaldo. E poi sarò sempre vicino a Dìdele. E con lei vorrei restare ancora per sempre, dovessi morire e rinascere ancora cento, mille volte.

Non annosa uno quercus deciditur ictu.La quercia vecchia non si fa abbattere da un solo colpo.

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molto professionale. Aveva portato con sé una valigetta dentro alla quale vi era la sua sfera. Cercando di non farci scorgere dai custodi, per non insospettirli, ci salvò i suoi ricordi. Noi facemmo altrettanto con le nostre sfere. Poi il dottor Krast me le affidò dicendomi: « Solita procedura. Noi andiamo. Tu aspettaci qui e nel frattempo trasmetti i nostri ricordi. Se non saremo di ritorno entro due ore vorrà dire che qualcosa è andato storto. In questo caso dovrai allon-tanarti immediatamente da qui, tornare al rifugio di Parigi ed atten-dere il nostro ritorno dopo nove mesi al solito posto di Le Porge ».E mi affidò una valigia nella quale, oltre alle sfere ed al trasmettitore erano contenuti documenti, denaro e biglietto aereo per il ritorno. Dal baule del fuoristrada il dottor Krast prese un’altra valigia, del cui contenuto non ero stato messo a conoscenza, e la portò con sé allontanandosi in compagnia dei miei tre amici. Mentre si allontanavano guardavo Dìdele. Chissà perché, avvertivo un certo presentimento. Avrei voluto baciarla ed abbracciarla prima che andasse via, ma ovviamente non potevo farlo davanti al labo-ratorio per non destare sospetti. Dopo aver trasmesso il contenuto delle sfere mi misi a passeggiare su e giù per ingannare l’attesa, pro-vando a fumare qualche sigaretta. Sì, mio caro lettore, hai capito bene. Mi sono messo a fumare. O meglio, ci sto provando, dato che per ora le sigarette mi causano solamente un certo disgusto. Se non avessi già vissuto una vita e non avessi la prospettiva di viverne altre non mi sarebbe neanche passato lontanamente per la mente di provare. Ma qualcosa di piace-vole ci dovrà pur essere in questa assurda pratica! Malattie cardiache, cancro ai polmoni, enfisema… Apparentemente nessuna persona di buon senso si sognerebbe mai di incominciare. Eppure tanti, troppi, fumano. Prendono la loro sigaretta da un pacchetto su cui è scritto che il fumo li ucciderà, la accendono e inalano profondamente tutti i 401 veleni ed i 43 agenti chimici che causano il cancro. Senza contare gli altri numerosi danni che il fumo causa: rughe facciali, impotenza, denti macchiati, alito cattivo, puzza, fragilità ossea, depressione… E il tabacco, che causa ogni anno nel mondo più morti di una guerra, viene liberamente venduto ovunque! D’altronde non potrebbe es-sere altrimenti. Il proibizionismo, come per altre droghe come l’al-

sobbalzava lungo una strada accidentata che attraversava la foresta amazzonica, io, Dìdele, Minisino e il dottor Krast, ci dirigevamo verso il luogo in cui si trovava il laboratorio segreto che quest’ultimo era riuscito a individuare. All’interno si trovava il Fratello, che era riuscito ad infiltrarsi con la solita tecnica delle sostituzioni di persona con i sosia. Aggrappa-to ad una maniglia per evitare di sbattere la testa contro il soffitto dell’abitacolo, mi chiedevo perché i miei amici si ostinassero a por-tarmi con loro in queste pericolose missioni. Non che la cosa mi dispiacesse; anzi, se non me lo avessero chiesto loro l’avrei proposto io, dato che desideravo comunque rimanere il più possibile vicino a Dìdele. Ma non riuscivo a comprenderne l’utilità. Forse si servivano di me per non mettere inutilmente a repentaglio la vita di qualche Fratello. La sua clonazione, nel caso fosse rimasto ucciso, avrebbe infatti richiesto preziosi mesi di attesa. A quanto avevo capito la missione consisteva nell’introdursi all’in-terno del laboratorio. Lo scopo non mi era chiaro. Si volevano forse prelevare campioni di virus per smascherare così l’organizzazione ed informare l’opinione pubblica di quanto si stava preparando? Non lo sapevo. Quel che sapevo era che non sarebbe certo stato facile riuscirci. Ma io confidavo nelle capacità dei miei amici. Il dottor Krast era riuscito a penetrare nella posta elettronica del laboratorio e aveva simulato un messaggio da parte dell’organizza-zione segreta che avvisava che alcuni tecnici sarebbero giunti per consegnare dell’importante materiale al Fratello infiltrato. Con que-sto pretesto sarebbero entrati nel laboratorio. Giungemmo a destinazione nel primo pomeriggio. Il laboratorio si trovava all’interno di un’ampia radura, interamente circondato, ad una distanza di una cinquantina di metri, da un’alta rete metallica. Dietro al cancello di entrata, oltre ai normali custodi, c’erano due uomini armati di fucile. Dìdele scese dal fuoristrada e si avvicinò al cancello. Presentò la falsa documentazione al custode, il quale la esaminò; poi alzò la cornetta del telefono e iniziò a parlare. Gli uomini armati di fucile osservavano la scena. Dopo qualche minuto il Fratello infiltrato uscì all’esterno e con Dìdele si avvicinò al fuo-ristrada; scendemmo e ci stringemmo tutti quanti la mano in modo

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« E perché dovrei? Non so neanche chi sei e che cosa hai fatto! » mi rispose calmo. « Non sono ricercato dalla polizia; anzi, se arrivasse ne sarei ben lie-to e chiederei protezione. Mi cercano gli uomini armati che lavorano al laboratorio che si trova ad un’ora da qui. Si tratta di un malinteso » risposi goffamente adducendo questa scusa, la quale era la prima cosa che mi fosse venuta in mente. Il missionario mi scrutò alcuni istanti in volto. Poi disse ridacchian-do: « Ho capito. Un malinteso che se non viene chiarito finisce a fucila-te! » E aggiunse: « Sicuramente la spiegazione è un’altra. Ma comunque ora non c’è tempo per parlarne. Se le cose stanno come tu dici sei veramente in pericolo. E se sei nemico di quelli del laboratorio sicuramente sei amico nostro. Mi spiegherai tutto strada facendo ».

Mi ritrovai così in mezzo a due indios che remavano su una piroga che risaliva la lenta corrente di un fiume. Non portavo nulla con me, se non la valigia che custodiva le sfere, i miei documenti e del dena-ro. Il fuoristrada era stato nascosto in un posto sicuro nella foresta. Con noi viaggiava un’altra piroga sulla quale stavano il missionario e altri due rematori. Viaggiammo solo un paio d’ore, dato che era-vamo partiti il tardo pomeriggio e cominciava a far buio. Ci accam-pammo lungo il fiume per prepararci a passare la notte. Quella sera, parlando accanto al fuoco, venni a conoscenza di alcuni particolari. Tempo prima una decina di indios del villaggio erano stati rapiti da alcune persone armate per essere portati al laboratorio. Vennero rinchiusi tutti quanti in una cella. Ad uno di essi fu praticata un’i-niezione: Il giorno dopo venne colto da una violenta febbre e morì in poche ore. Dopo due giorni tutti gli altri vennero colti dalla me-desima febbre e seguirono la stessa sorte. Tutti meno uno, il quale, nonostante la febbre era invece sopravvissuto. Creduto morto, era stato gettato nel fiume assieme ai corpi dei suoi sventurati compagni ed era riuscito a salvarsi, a tornare al villaggio e a riferire tutto. « Inutile avvertire la polizia. È corrotta, e poi gli indios quasi non sono considerati esseri umani » disse il missionario.

col, si è sempre rivelato controproducente. In attesa di una migliore soluzione non resta che affidarsi a campagne di dissuasione e di educazione che oggi molti governi nel mondo stanno già attuando. In ogni caso non fumai molte sigarette, dato che non ci fu bisogno di attendere le due ore. Dopo una trentina di minuti, un’esplosione squassò il laboratorio, facendo letteralmente compiere un balzo al fuoristrada. Non so per quanto tempo rimasi come inebetito, scosso ed assordato com’ero a causa dell’esplosione. Ma appena mi ripresi compresi subito che qualcosa era andato storto e anche cosa con-teneva la valigia che il dottor Krast aveva portato con sé. Saltai sul fuoristrada. Misi in moto e mi allontanai il più rapidamente possi-bile. Certamente gli uomini armati che erano all’ingresso, riavutisi dalla sorpresa causata dall’esplosione, si dovevano essere insospettiti del fatto che io mi fossi repentinamente allontanato; probabilmente qualcuno avrebbe cercato di seguirmi. Ma organizzare il mio inse-guimento avrebbe richiesto senz’altro un minimo di tempo, che mi sarebbe forse bastato per guadagnare un vantaggio tale da evitare di venire raggiunto. Prudentemente non percorsi la strada che avevamo seguito all’anda-ta, ma, giunto ad un bivio che si trovava dopo pochi chilometri, svol-tai per una strada laterale, anche se non sapevo dove conducesse. La percorsi per circa un’ora, sempre continuando a controllare nello specchietto retrovisore se qualcuno mi stesse seguendo. La strada si era ridotta a poco più di un sentiero che infine sbucava in un’altra radura all’interno della quale stavano poche misere capanne, dalle quali, al mio arrivo, si affacciarono alcuni indios. Erano visibilmente impauriti. Solo quando scesi dal fuoristrada e poterono constatare che ero solo, ma soprattutto che non ero armato, timidamente si avvicinarono. Uno di essi mi rivolse la parola nella sua lingua. Ov-viamente non compresi nulla. Questi continuava a parlare ed io a fargli segno che non lo intendevo, fino a quando da una capanna uscì un bianco. Era anziano. Si avvicinò, e dal crocefisso che portava al collo, capii che si trattava di un prete. Mi parlò prima in portoghe-se, poi in inglese, ma dal suo accento compresi che era un francese. Era un missionario. « Devo nascondermi. Può aiutarmi? » gli chiesi subito.

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soffriva e che il più piccolo gesto d’amore verso il prossimo valeva più di cento anni di studi teologici. Questo è tutto ».

Durante tutto il tempo in cui sono stato con lui la mia ammirazione nei suoi confronti non ha fatto che crescere continuamente. Lavo-rava anche venti ore al giorno, e alla sua età queste ore dovevano pesare ancor più. Lui diceva di essere felice così, anche nel dolore e nelle prove, perché ormai la foresta e i suoi abitanti erano la sua famiglia, il suo mondo, che doveva difendere dai cacciatori di legno pregiato, dalle multinazionali in cerca di petrolio e minerali strategi-ci, dai grandi proprietari terrieri in cerca di pascoli, dall’incombente disboscamento, dalla morte della selva. Mi colpì per la sua inaspetta-ta coscienza ecologica. Diceva che l’uomo non aveva mai depredato l’ambiente come durante gli ultimi cinquanta anni, e che questo era la causa delle degradazioni e delle alterazioni climatiche. Presto ci sarebbero stati altri disastri come quello di New Orleans. Diceva che era ora di pensare ad uno sviluppo economico differente, che non fosse basato soltanto sullo spreco, sulla distruzione dell’am-biente e sull’inquinamento. Le conseguenze sarebbero state terribili. La Storia lo insegnava: gli abitanti dell’Isola di Pasqua, in passato, commisero gli stessi errori, depredando il proprio territorio e le loro risorse. La conseguenze furono la decadenza stessa della loro civiltà e la fame, che arrivò persino al cannibalismo. Non era contrario, però, alle innovazioni tecnologiche e alle conquiste della scienza. Semplicemente, secondo lui, l’uso che ne veniva fatto era distorto. Si rendeva conto che era grazie a queste almeno una parte dell’uma-nità era riuscita ad ottenere condizioni di vita un tempo impensabili. Ma il punto era che tutto questo sistema si reggeva su un principio sbagliato, e cioè la crescita continua. Diceva: « Lo so, negli ultimi due secoli le innovazioni tecnologiche hanno portato benessere e occupazione; ma, bada bene, solamente in se-guito alla crescita della produzione, all’aumento della popolazione e soprattutto quando i salari sono stati aumentati e gli orari di lavoro ridotti. Purtroppo hanno anche portato ai i problemi ambientali e di sfruttamento delle risorse che ci sono al giorno d’oggi; come ho già detto non si può pensare di aumentare la produzione all’infinito.

Tutto questo confermava che il virus ed il vaccino erano già pronti. Chissà cos’era successo ai miei amici. Forse erano stati scoperti e avevano deciso di far saltare il laboratorio. Ovviamente non avevo potuto rivelare al missionario la mia vera identità, né lo scopo della nostra missione. In ogni caso non sarei stato creduto. Raccontai per-ciò di essere un giornalista che aveva cercato di penetrare all’interno del laboratorio, nel quale si sospettava che succedesse qualcosa di poco pulito. Le cose erano andate male, avevano cercato di catturar-mi ma ero riuscito a fuggire. Viaggiammo ancora tutto il giorno seguente e sul far della sera giun-gemmo alla nostra destinazione: un villaggio immerso nella foresta. Nelle settimane che seguirono ebbi modo di apprezzare le qualità del mio salvatore. Si trattava di un ex gesuita che dopo diversi anni trascorsi all’interno dell’Ordine aveva deciso di diventare missionario. Gli chiesi cosa lo avesse spinto ad abbracciare la sua nuova vocazio-ne. Mi rispose: « Non rinnego nulla del mio passato da gesuita. Non è stato per nul-la inutile il lungo e duro periodo di formazione culturale e teologica che ho compiuto. Lo rifarei di nuovo. Ma ad un certo punto della mia vita ero entrato in crisi. Credevo di aver sbagliato tutto e dopo un lungo travaglio interiore non sapevo più che fare. Troppi dub-bi, troppe incertezze. Mi chiedevo perché mai il Signore mi avesse chiamato per poi abbandonarmi; e se non era stato Lui a chiamarmi perché aveva permesso questo mio errore? Quale era il suo disegno? Quale era la via che la Provvidenza voleva indicarmi? Poi, un giorno, mentre aspettavo l’autobus alla fermata davanti all’università, udii casualmente due studenti che parlavano tra loro. Era l’ora di pranzo e probabilmente i due avevano appetito. Uno voleva andarsene a casa per poter pranzare tranquillamente, mentre l’altro insisteva per andare ancora a seguire la lezione di filosofia. Mi colpì la frase che, scherzando, il primo pronunciò: “Ma per filosofare occorre avere la pancia piena. A pancia vuota non ci si riesce proprio!” Era solo una battuta, ma per me fu l’illuminazione. In quel momento capii che tutta la mia intelligenza e tutta la mia istruzione non sarebbero mai serviti a nulla fino a quando vicino a me ci fosse stato qualcuno che

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dei miei amici fosse riuscito, non sarebbe forse stato un miracolo? Non veniva la tentazione di credere all’intervento di un qualcuno o un qualcosa di superiore?

Come sono cambiate le cose dal diciottesimo secolo ad oggi! Se al-lora scrivevo contro i Gesuiti e contro la Chiesa oggi mi devo inchi-nare dinnanzi a questi esempi. Certamente non perché allora avessi torto, ma perché la Chiesa nel frattempo è enormemente cambiata. Ha perso il suo potere temporale e gran parte delle sue ricchezze. Questo è stato un bene. Da quando fare il prete o il monaco non è più un mestiere come un altro, anzi migliore di tanti altri, ma è una scelta che implica sacrificio e dedizione, le vocazioni sono diminu-ite, ma quelle rimaste sono sincere e più forti. Certo, esiste ancora il retaggio di quel tempo passato. Alcune voci autorevoli all’interno della Chiesa vorrebbero riportare le cose allo stato in cui erano in passato, rinnegando in modo sempre meno malcelato i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni. Ma costoro non sono la Chiesa. La vera Chiesa sono le persone come questo vecchio missionario che non ha esitato, con grande rischio e pericolo, ad accogliermi e a proteggermi senza sapere chi fossi, e che ha dedicato la sua vita al servizio del prossimo. Verso la fine della mia vita nel diciottesimo secolo parlai di Gesù come di una persona con cui avrei fatto volen-tieri amicizia. Era un grande saggio, un grande maestro. Ma era un uomo, non un Dio. La mia fede era teista e lo è tuttora. Per questo, tra un buon filosofo illuminista che si confronta con un gesuita, av-vennero alcune dispute, talvolta violente. Nutrivo per il missionario la massima ammirazione per quello che faceva, non per quello in cui credeva. Talvolta, ed al pensiero provo ancora un po’ di vergogna, gli mancavo di rispetto, provocandolo stupidamente. Ad esempio, una volta gli dissi: « Ogni giorno durante la messa reciti il Credo, nel quale testualmen-te affermi di credere nella resurrezione dei corpi: pensi che risor-geremo nudi o vestiti? Se siamo destinati a risorgere nudi perché la Chiesa ha sempre considerato immorale il nudo al di fuori dell’arte? E se invece saremo vestiti, a risorgere saranno anche mutande e pantaloni? ».

Cosa succede oggi, quando arriva qualche innovazione tecnologica per cui occorrono meno braccia per produrre la stessa quantità di beni o di servizi? Invece di lavorare meno tutti quanti, dato che le risorse prodotte sarebbero sufficienti per dare da vivere a tutti, o si aumenta la produzione oppure una parte di lavoratori rimane senza occupazione. Ieri un operaio produceva un’auto al giorno. Grazie all’automazione oggi ne produce due. Ma lavora pressoché sempre lo stesso tempo e per lo stesso salario. Dove finisce il maggior gua-dagno? È per questo semplice motivo che oggi i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri; per questo il mondo si trova di fronte ai problemi ecologici, per questo l’Amazzonia sta scomparendo, per questo motivo stiamo sempre più velocemente uccidendo la vita su questo pianeta ». « La soluzione del problema, allora, parrebbe abbastanza semplice » dissi. « Purtroppo no. Le economie degli Stati sono talmente collegate tra loro che per poter sussistere devono restare tutte nel medesimo modello economico. Insomma, per riuscire a cambiare questo mo-dello, producendo di meno, occorrerebbe la contemporanea azione di tutti gli Stati. Chi avrebbe il coraggio di proporre tutto ciò? Chi avrebbe il coraggio di seguirlo? Non ci sarebbe nessun Paese, per quanto potente, in possesso dell’autorità e della forza per imporre tale cambiamento al resto del mondo. Quel che mi preoccupa è che quando e se mai si giungesse ad un tale intento, sarebbe ormai trop-po tardi. Cosa succederà quando sulla terra, tra vent’anni, saremo nove miliardi e le risorse disponibili saranno sufficienti solo per la metà della popolazione? ».Non potevo fare a meno di pensare quanto il suo punto di vista corrispondesse a quello dei miei amici. Pensando al piano che avreb-bero dovuto attuare per la salvezza dell’umanità, anche se non lo conoscevo ancora, gli dissi: « Non disperare, un miracolo può sempre accadere! ».« Sì, occorrerà un miracolo, perché la ragione non farà in tempo a farsi strada in un numero di teste sufficiente a disarmare questa fol-lia collettiva » rispose sconsolato. Queste parole mi restarono particolarmente impresse. Se il piano

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o tre miliardi di uomini che arrostiscono all’inferno non sono altro che la mancanza, causata dall’uomo, di una parte di quell’amore che Dio dispensa continuamente in questo mondo. Bisognerebbe farsi manichei per trovare una risposta plausibile a tutte queste domande ».Naturalmente le risposte che mi furono fornite dal missionario non mi convinsero.

Caro lettore, se per caso anche tu nutrissi dubbi di tal genere sappi che probabilmente non li risolverai mai. Ti dovrai accontentare delle soluzioni che i preti di qualsiasi religione potranno fornirti. Loro non possono sbagliare: sono illuminati dalla fede. Per loro bisogna credere per capire. Invece per me bisogna prima capire per credere. A pensarci bene la metempsicosi sembra il sistema più ingegnoso e razionale per raggiungere quello che è lo scopo principale di tutte le religioni, vale a dire la spiegazione del male, del dolore e della morte. Questa dottrina non è poi così assurda. Non è più sorprendente essere nati due volte che una sola. Secondo questa dottrina esiste solamente il paradiso. L’inferno semmai è su questa terra, in cui tutte le creature compiono attraverso la sofferenza delle continue reincarnazioni, un cammino di perfezione che li porta finalmente al paradiso. Come disse il divino Platone:

O giovane, sappi che se divieni peggiore andrai in un’anima peggiore, e in un’a-nima migliore se migliorerai, e in ogni successione di vita e di morte farai e soffrirai ciò che il simile ha del simile. Questa è la giustizia celeste.

Il mio soggiorno in Amazzonia terminò abbastanza presto. Passati due mesi, con molta cautela, ritornammo in città. Da lì riuscii a mettermi in contatto con Anavlis, che si trovava in Eu-ropa e che partì immediatamente per portarmi denaro e documenti con una nuova identità che mi avrebbero permesso di rimpatriare senza rischi. Avevo conosciuto nel missionario una persona fuori del comune: lo lasciai con tristezza, dopo avergli donato tutto il denaro che posse-devo, trattenendo solo lo stretto necessario per il ritorno. Sapevo che lo avrebbe senz’altro speso bene.

Sorrise, e, grattandosi la nuca, mi rispose: « Non ci ho mai pensato; non mi pare una cosa molto importante. Sarà quel che Dio vorrà. Tu, invece, cosa pensi? ».Gli risposi: « Sono sempre stato, allora come oggi, nel dubbio; ma quello a cui sicuramente non posso credere è a questo Dio che si occupa inces-santemente di ogni più piccola cosa del mondo, che con la Provvi-denza e la Grazia è continuamente impegnato nel seguire le azioni di ogni uomo, offrendogli sempre la libertà di decidere, ma pronto a lasciarlo bruciare tra le fiamme dell’inferno se per caso non deci-de per Lui e muore privo della sua Grazia. Mi potrai replicare che per commettere un peccato occorre materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso, quasi mormorando sottobanco che in fon-do, valutando questi tre fattori, sia molto difficile commettere un peccato mortale; che Dio è infinitamente misericordioso, che fa di tutto per riportarci sulla retta via. Allora ti chiedo: questo inferno esiste o non esiste? E se esiste, e non è inutilmente vuoto, c’è qual-che anima che dovrà restarci per l’eternità? E l’eternità non è una pena sproporzionata anche per il più orrendo dei delitti che si possa immaginare? E se non esiste l’inferno, ma soltanto il paradiso, che senso ha amare Dio e il prossimo? Che senso ha il dolore nell’esi-stenza umana? È la conseguenza, assieme alla morte fisica, del pec-cato dell’uomo? E allora gli animali, in natura costretti a divorarsi l’un l’altro per sopravvivere e a loro volta venire divorati dall’uomo, quale colpa hanno commesso? Perché il predatore ha bisogno della preda e la preda del predatore per mantenere l’equilibrio naturale? Perché la vita ha bisogno della morte per evolversi? È tutto questo, nel migliore dei mondi possibili, l’opera di un Dio creatore vera-mente buono? E ancora, anche se Dio non è l’autore del male e del dolore, ma talvolta lo permette solamente, non cozza tutto ciò con-tro la sua natura? Permettere, potendo evitare, non equivale forse a causare? Ed infine mi si dice ancora che Dio ha creato solamente il bene, ed il male è opera dell’uomo: il male non è che la mancanza del bene, come il buio non è che la mancanza della luce ed il freddo quella del caldo. Che consolazione! Così il dolore non è altro che la mancanza del piacere, la fame la mancanza della sazietà; trecentomi-la morti a causa dello tzunami, tre milioni di bambini morti di fame

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morte. Eppure ora che mi trovo all’inizio della mia terza vita, e in più con la prospettiva di viverne chissà quante altre, è curioso quanto la morte continui ad occupare la maggior parte dei miei pensieri… Voglia di vivere o paura di morire? Talvolta è difficile distinguerle. Ho la possibilità di vivere molte vite, ma in quale modo? Ho scoper-to un nuovo mondo meraviglioso, sono già alla mia terza vita; ma quali prospettive si delineano all’orizzonte? Quelle di un mondo che entrerà rapidamente il crisi. Il punto di non ritorno è stato calcolato dal dottor Krast in quindici anni, i quali equivalgono a centottanta mesi oppure a 5.480 giorni... poche migliaia di giorni… il che vuol dire che in questo caso i giovani di oggi non solo non godranno dei benefici che i loro padri stanno godendo nella loro età avanzata, come la pensione e lo Stato Sociale, ma che probabilmente non riu-sciranno nemmeno a raggiungere l’età avanzata di oltre ottanta anni che è l’aspettativa di vita media di quest’epoca. A meno che, come è stato detto, non succeda il miracolo che salverà questo strano mondo… un mondo non più di cittadini ma di consu-matori, dove si compra tutto, persino l’acqua da bere e dove non si sa più dove mettere i rifiuti che ormai traboccano, alle periferie delle città, in enormi discariche sorvolate da gabbiani che non hanno mai visto il mare. Un mondo destinato a soffocare nella spazzatura che produce. Ed io che cosa posso fare? Certamente non isolarmi nell’erudizione. Forse continuare a pensare ai problemi metafisici? Con la metafisica non si mangia e non si cambia la vita della gente. Un compito mi è già stato assegnato ed in fondo è l’unica cosa che so fare: scrivere. Scrivere qualcosa per contribuire a cambiare questo mondo? Sì, ho già conosciuto molte cose; dal punto di vista della conoscenza e del-la filosofia in due secoli si sono compiuti progressi inimmaginabili. Realtà oggettive come la psicologia, l’evoluzionismo e l’astrofisica hanno messo in crisi molto di quello in cui credevo duecento anni fa. Per non parlare della politica. In fondo non ho mai creduto che un popolo potesse mai essere pronto ad una vera democrazia, ed è curioso che proprio io che non ho mai sostenuto idee repubblicane, sia diventato, dopo la mia morte, uno dei padri nobili della Rivoluzio-ne Francese.

Quello che mi aveva stupito di Anavlis era il fatto che non mi era parsa molto preoccupata di essere rimasta senza nostre notizie per due mesi. « Non ti sarebbe dispiaciuto se io e soprattutto la tua cara amica Dìdele fossimo morti senza poter salvare i nostri ricordi nelle sfere? » le chiesi. « In fondo non sarebbe stata una gran perdita. Avreste smarrito solamente il ricordo di qualche giorno di vita, dato che tutti i ricordi sono stati impressi in altre sfere al momento della partenza. In più c’è un’ulteriore registrazione, fino all’ultimo viaggio, sul nostro pia-neta. L’unico disguido, semmai, è rappresentato dal fatto che tutto ciò comporta il fatto di dover attendere nove mesi il vostro ritorno, allungando i tempi della missione » fu la sua risposta. Aveva ragione. Ma provavo un certo disagio nel considerare tutto ciò: trovavo riduttivo pensare a me come ad un semplice insieme di bit racchiuso in un contenitore, mentre di continuo mi si affacciava-no alla mente tutte le riflessioni sull’anima.

Posso affermare che in questi mesi in cui ho atteso Dìdele non ho avuto il tempo di annoiarmi. Tutte le giornate sono state impegnate nella mia attività letteraria; molte notti con Anavlis. Sì, lo confesso, sono stato con lei molte volte. Non sono stato io a cercarla; è stata lei a farsi avanti con insistenza. All’inizio ho abbozzato qualche resi-stenza, ma devo confessare che mi sono arreso molto presto. D’al-tronde avevamo fatto spesso l’amore in tre, e poi la sua razza, come ho già detto, non considerava l’amore necessariamente monogamo, nè il sesso come un qualcosa che non si potesse esercitare come, quando e con chi si volesse. Ed ancora, per lei, come per tutte le persone del suo mondo, il sesso non era che il mezzo per raggiun-gere l’estasi delle menti, ed anche io ormai cominciavo ad esserne dipendente. Infine sapevo che Dìdele non sarebbe mai stata gelosa. Solo io mi ostinavo a volere che lo fosse, perché in fondo ero io ad esserlo, e l’avrei voluta soltanto per me.

Quanti pensieri affollano la mia mente… normalmente si passa la prima metà della vita a pensare al futuro e l’altra metà a pensare alla

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leggi generosamente emanate da questo o da quel governo? Non si rendono conto che se non avessero alle spalle la famiglia, la maggior parte di loro sopravvivrebbe appena, come succedeva agli operai nel diciannovesimo secolo?

Quanti pensieri, caro e sconosciuto lettore, per non confessartene uno: quello della mia Dìdele. La data e l’ora del suo ritorno sono scritte qui, sul computer del Dottor Krast. Questa notte, tra pochissimo, ritornerà, con i miei amici, sulla spiag-gia. Devo affrettarmi, e quindi devo terminare qui questa lettera; ora la riporrò al sicuro con le altre. Tutta la mia storia mi pare troppo lunga per essere un sogno e trop-po breve per essere reale. Eppure devo continuare. Cosa mi riserve-rà il futuro?

Primum vivere, deinde philosophari. In primo luogo bisogna vivere, poi fare filosofia.

Mi definirei un liberale moderato, benché sostenitore, in politica, ad-dirittura di un potere assoluto, purché illuminato. Bisogna in ogni modo riconoscermi una certa dose di progressismo, dato che, in un’epoca in cui le forche venivano erette sulle pubbliche piazze, fui tra i primi sostenitori dell’abolizione della tortura e della pena di morte. Devo riconoscere che avrei visto favorevolmente il comuni-smo, se, oltre a non aver commesso grandi errori in campo econo-mico ed ecologico, fosse stato guidato da persone illuminate e non avesse limitato libertà di pensiero e di coscienza. Chi sa se mai si riuscirà a realizzarne un modello a misura d’uomo? Né si può parlar meglio del capitalismo, che si è arricchito sporcando il mondo ed ora si appresta ad arricchirsi ancor più pulendolo, facendone pagare il conto ai più poveri. Questo capitalismo ha decretato la fine del comunismo. Ma io credo che il comunismo si potrà dire morto e seppellito solamente quando il capitalismo sarà in grado di garantire giustizia sociale ed economica per tutta l’umanità, ed un sistema non più basato sulla crescita ma sulla stabilità dell’esclusivo sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili.

Caro e sconosciuto lettore, tu dirai che tutto ciò è molto difficile da realizzare. Hai ragione, ma questo è un percorso che l’umanità dovrà necessariamente compiere se vorrà sopravvivere a se stessa. E la decrescita dell’economia non è che il primo passo. Certo è desolante vedere come la maggioranza della gente non si renda conto di tutto ciò. Non si accorge del gran pericolo che il rapido sviluppo econo-mico dei Paesi emergenti come la Cina e l’India rappresenta per la futura pace mondiale, in un mondo dove le risorse sono sempre più limitate. Altri lupi, ben più voraci, si stanno aggiungendo a divora-re quel che resta della carcassa. Quando la carne starà per finire si sbraneranno tra loro per contendersi l’ultimo boccone. I lavoratori dei paesi ricchi stanno diventando sempre più poveri. I salari e le condizioni di lavoro, rispetto alla fine del Novecento, peggiorano sempre più. Farebbero bene a tenerlo presente i giovani di oggi, i quali sembrano non aver alcuna intenzione di lottare per il loro futuro. Pensano forse che i diritti dei lavoratori di oggi non siano il frutto delle lotte e delle conquiste dei loro padri, ma derivino da

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In effetti aveva ragione. I suoi ricordi si fermavano al momento in cui erano stati salvati, davanti al laboratorio in Amazzonia. « Sono contento che il primo tuo pensiero sia stato di apprezzamen-to per il fatto di aver salvato le sfere! » replicai calcando la risposta in tono volutamente sarcastico. E continuai: « Che cosa sarebbe successo se le sfere fossero andate perse? ».Mi rispose: « Non sarebbe stato poi un gran danno, dal punto di vista personale. Una banca dati dei nostri ricordi esiste anche sul nostro pianeta: avrei ricominciato dall’ultimo salvataggio. Non avrei perso che una piccola parte della mia esistenza. Ne ho già vissute molte. E poi, in fondo, una vita è abbastanza, credimi! ».La sua risposta mi fece pensare all’analogia tra la mente umana e la memoria di un computer. Non sapevo cosa rispondere. Gli chiesi: « Ma non ti dispiacerebbe rimanere privo del ricordo del tempo pre-sente? ».« Il tempo non esiste. Sai bene che quello che viene chiamato pre-sente altro non è che l’insieme di un passato ed un futuro molto prossimi e per definizione passato e futuro o non esistono più o non esistono ancora; si può parlare quindi solamente di un passato che termina immediatamente dove incomincia il futuro ».Benché l’argomento fosse affascinante, in quel particolare momento non ero in vena di imbarcarmi in una disputa filosofica. Perciò non risposi e troncai la discussione rivolgendo la mia attenzione a Dìde-le, che si era materializzata poco distante. Aveva aperto gli occhi. Anche lei, come il dottor Krast, aveva ripreso il corpo della prima volta che l’avevo vista. La preferivo così; quella era la donna di cui ero innamorato. Anche i suoi ricordi si fermavano al momento in cui erano stati salvati nella sfera. Perciò le dissi: « Ho molte cose da raccontarti, sai? ».Lei sorrise dolcemente e mi rispose: « Ed io non vedo l’ora di ascoltarle. Magari noi due soli, nell’intimità...».L’esplicita conferma che voleva ancora restare con me, unita al de-siderio ovviamente accresciuto da un anno di lontananza, mi riempì di gioia.

Tredicesima lettera

Monastero di Ganden (Tibet), 10 ottobre 2011

Mi chiedo se il fatto di rivolgermi a te, caro e sconosciuto lettore, altro non sia che un continuo inganno verso me stesso. So bene che nessuna persona di buon senso, al tempo della mia vita nel diciotte-simo secolo, avrebbe mai creduto al mondo del ventunesimo che ho descritto in queste lettere, come nessuna persona di buon senso del giorno d’oggi crederebbe mai a degli extraterrestri che in incognito stanno lavorando per salvare il mondo destinato ad un immancabile disfacimento. Queste lettere, in fondo, sono ormai diventate una sorta di confessionale: fingo di parlare con te, ma in realtà non fac-cio altro che annotare fatti e sensazioni che in questi pochi anni della mia, o meglio mie nuove vite, non hanno ancora finito di stupirmi e di turbarmi. Continuerò perciò a mantenere questo tono, per na-scondere a me stesso l’angoscia causata dall’idea che nessuno vorrà mai credermi o perlomeno ascoltarmi. E allora lasciami ricordare.

Albeggiava. Mi trovavo sulla spiaggia del centro vacanze naturista di Le Porge. Avevo terminato la solita procedura di ricezione. I corpi si erano ormai materializzati. Davanti a me, il dottor Krast, nelle sembianze della prima volta che l’avevo visto, aveva aperto gli occhi. « Suppongo che abbiamo dovuto far saltare il laboratorio » furono le prime parole che pronunciò guardandosi intorno senza nemmeno salutarmi.

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soprattutto pochi mezzi. Siete enormemente superiori nella cono-scenza e nella tecnologia, lo riconosco, ma non possedete né armi né un sia pur piccolo esercito. Con quale forza potrete obbligare qualcuno a fare qualcosa? Sperate forse che i popoli si sollevino e vi appoggino solamente per la forza delle vostre idee, ammesso e non concesso che siano in grado di comprenderle? Dovreste convincere i potenti della terra e questi potenti dovrebbero essere dei despoti illuminati; come pensate di riuscirci? Con quel congegno a forma di penna in grado di influenzare i pensieri come quello che avete testa-to all’Aquila? E quante penne occorrerebbero? ».« Inexpertis enim dulcis est pugna! Aquila non captat muscas et ubi leonis pellis deficit, volpina indenta est. Non multa sed multum. (Per chi è inesperto la guerra è dolce! L’aquila non cattura le mosche e quando manca la pelle del leone bisogna indossare quella della volpe. Non molte cose, ma molto) ».

Rimasi sorpreso sentendomi rispondere in latino. Il dottor Krast non l’aveva mai fatto prima. Erano solamente delle famose citazio-ni, ma riassumevano bene la strategia che i miei amici intendevano adottare. Pensandoci bene, probabilmente avevano ragione. Quante vite umane sarebbe costata un’azione in grande stile con un eserci-to? Occorreva rimanere piccoli, per evitare di scatenare la reazio-ne del grande, e invece della forza bisognava usare l’astuzia, poiché conta più la qualità che la quantità. « Sine pennis volare haud facile est (Non è facile volare senza penne.) » risposi sfoggiando a mia volta un’altra citazione latina, anche per controllare se il Dottor Krast comprendesse veramente o nel parlare in latino non avesse imparato a memoria la lezione. « Vedrai che riusciremo a volare con le nostre piccole ali! E anche lontano! » rispose spavaldo. E continuò: « Ma dobbiamo fare in fretta. Il tempo stringe ».« Perché? Sta per accadere qualcosa? » chiesi incuriosito. « Qualcosa? Stanno per succedere un sacco di cose! » rispose in tono quasi stizzito. E continuò: « Vuoi che te ne dica solo qualcuna? La crisi economica di questi ultimi anni sta facendo passare in secondo piano quella ecologica.

« Dì la verità: non avrai fatto il furbetto con Anavlis durante la mia assenza? » continuò. Sapevo perfettamente che non era affatto gelosa e che, conoscendo la sua amica, era ben sicura di essere stata tradita, ma finsi egual-mente di essere preoccupato a rassicurarla del contrario. Anche Mi-nisino, poco più in là, si era alzato in piedi, e seguiva in silenzio il nostro dialogo. Mentre i miei tre amici si vestivano con gli abiti che avevo portato, cominciai a raccontare loro quello che era successo. L’abito di Dìdele, naturalmente, era più grande di almeno tre misu-re. Narrai del mio soggiorno forzato nella foresta amazzonica, del missionario e del suo aiuto generoso e disinteressato, di come riu-scii a rientrare in Francia e di come fossi stato costretto a rimanere nascosto per tutto il tempo assieme ad Anavlis e Krysts. Si era già fatto quasi giorno, e dopo qualche ora uscimmo dal centro vacanze. Krysts ci attendeva all’uscita. Subito ci recammo alla base di Borde-aux, dove ci fornimmo di denaro e documenti e dopo pochi giorni ci rimettemmo di nuovo in viaggio, per trasferirci alla base di Roma, dove il dottor Krast e Minisino dovevano perfezionare, a loro dire, quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo congegno. Ultimo perché da questo congegno dipendeva l’esito della missione dei Fratelli su questo pianeta.

Il lavoro richiese alcuni mesi, non tanto per quanto riguardava la progettazione, la quale era già impressa nelle menti dei due amici, quanto per i mezzi e gli strumenti di cui la tecnologia terrestre di-sponeva, i quali, a detta del dottor Krast, erano ancora quelli della preistoria. Questa volta, diversamente dal solito, alla mia richiesta di conoscere la destinazione del congegno che doveva essere realizza-to, ricevetti la risposta che presto sarei stato messo a parte di tutto. C’erano ancora molte altre cose che non riuscivo a comprendere. Una in particolare non mi era mai stata chiara. Perciò chiesi al dottor Krast: « Non riesco a capire come un pianeta progredito e sicuramente potente come il vostro, nel grandioso e nobile intento di salvarne un altro, si limiti ad agire con mezzi così scarsi. Pochi uomini: a quanto ho capito solamente qualche centinaio sparso in tutto il mondo; ma

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ma anche di materie prime: dove si potrebbe trovare, ad esempio, il ferro necessario a fabbricare sei miliardi di automobili? Non c’è al-ternativa: bisognerà cambiare il modello di sviluppo con la decresci-ta sostenibile. E tutto questo lo si sapeva già da molto tempo. Eppu-re i governi hanno varato gli incentivi per l’acquisto delle auto e non per la fabbricazione degli autobus. Così per trasportare una persona di settanta chili si continua a consumare il carburante occorrente a trasportare la tonnellata del peso della sua auto. Viaggiare in auto costa, in termini di risorse e di spese che lo Stato deve sostenere per strade e infrastrutture, dieci volte rispetto al servizio pubblico. La gente dorme in un posto e lavora in un altro. Poi pensa al fatto che ogni giorno, in ogni Paese dell’Europa, a causa del traffico, ci sono mediamente quindici morti e ottantacinque feriti. Non c’è solo l’in-dustria; anche l’agricoltura è una fonte di inquinamento. Pensa solo all’impatto ecologico del consumo di carne. Innanzi tutto, nei paesi del nord del mondo, il consumo di carne è esagerato, e, tra paren-tesi, causa di molte malattie che rappresentano un non trascurabile costo sociale. Ogni americano ingurgita in media 122 chili di carne all’anno, un europeo solamente. Presto la produzione dell’Europa non sarà più in grado di soddisfare la domanda. Bisognerà importarla dal Sudamerica. Calcola che per produrre un solo chilo di carne occor-rono 108 metri cubi di acqua, valutando sia l’acqua utilizzata per irri-gare le coltivazioni destinate al mangime che quella impiegata per la manutenzione delle stalle. Gli allevamenti dei bovini sono una delle principali cause della perdita di zone della foresta amazzonica brasi-liana. Ma, stando agli ultimi rapporti finanziari, il vero e proprio oro verde delle Amazzonia è la soia. La sua coltivazione sta avanzando sempre più, spinta dall’enorme sviluppo del suo mercato mondiale, dai prezzi eccellenti e dai soldi degli investitori. Ciò significa che gli allevamenti avanzano, causando ulteriore disboscamento. Non bisogna dimenticare che il 75% della soia oggi viene destinata all’a-limentazione animale. E che il consumo della carne cresce del 4% all’anno. Non ultimo, il virus che abbiamo distrutto in Amazzonia sta per essere riprodotto…».Interruppi il discorso del dottor Krast annuendo ed alzando la mano sopra la testa facendo segnale di arresto. Aveva parlato poco,

Evidentemente l’ecologia non è ancora percepita come una necessi-tà, ma solamente come un lusso che ci si può permettere solamen-te quando l’economia va bene. E l’economia non va affatto bene. Ci sono già i primi segnali della crisi imminente del mondo occi-dentale. Dopo quello che è successo alla Grecia e alla Spagna, altri paesi dell’Europa si stanno avviando a percorrere la stessa strada. L’occupazione è in costante calo, perchè il capitalismo occidentale continua a dirottare la produzione di merci e servizi nei paesi dell’O-riente, dove la manodopera costa meno; per ora il mercato dell’Oc-cidente è in grado di assorbire queste produzioni, anche perché le merci così prodotte costano meno. Ma a lungo andare il sistema collasserà. Ci sarà sempre più disoccupazione e ad un certo punto sempre meno gente in grado di comprare queste merci. I lavoratori saranno sempre più poveri, poiché per effetto della globalizzazione saranno in diretta concorrenza con i lavoratori sottopagati del ter-zo mondo, e quindi costretti ad una sempre maggiore competitività e flessibilità, parole d’ordine di questi ultimi anni che dovrebbero signi-ficare maggiore qualità ed invece significano più lavoro e meno soldi. L’Occidente è avviato verso un rapido declino. Cina e India saranno i nuovi padroni del mondo ». Si fermò un attimo come per pensare. Poi sbottò in una mezza risata: « Non che la cosa mi dispiaccia. In fondo se lo merita. Stanno per finire i tempi in cui il 20 per cento dell’umanità brucia l’80 per cento delle risorse del mondo ».Poi continuò riprendendo il suo tono abituale: « Il fatto è che anche i nuovi padroni vorranno vivere allo stesso livello di quelli vecchi. E le risorse non basteranno. Si esauriranno presto. Il petrolio finirebbe in ogni caso prima di riuscire a sostitu-irlo con le fonti alternative e il costo sarebbe comunque proibitivo. Le centrali nucleari? All’inizio sarebbero una piccola vittoria in una guerra che alla fine si perderebbe inevitabilmente. Bisognerebbe co-struirne migliaia per sostituire il petrolio. Ed anche nel caso in cui fossero sicure e si trovasse facilmente il modo di sistemarne le sco-rie, anche l’uranio disponibile con le attuali tecniche di estrazione fi-nirebbe nel giro di venti anni. Non sarà solo un problema di energia,

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nel tardo ventesimo secolo. Secondo questa teoria la nostra non è l’unica realtà; vi sono infiniti universi alternativi e infiniti svolgimen-ti che la storia avrebbe potuto prendere. Uno dei più interessanti sviluppi di questa teoria è l’interpretazione dei molti mondi, secondo cui per ogni evento possibile esiste una realtà alternativa, ossia un universo parallelo. In parole povere, se lanciando per aria una mo-neta, in questo universo questa ricade per terra dal lato della croce, esiste una realtà parallela in cui la moneta mostra invece la testa, e persino un’altra in cui la stessa moneta cade di taglio. Tutti gli esiti possibili, di tutti i possibili eventi, possono potenzialmente verificar-si in un infinito numero di universi multipli. Maggiore è la portata dei cambiamenti avvenuti, più aumenta la differenza fra gli universi; in una realtà alternativa potrebbe cambiare solo la posizione di un singolo atomo, mentre in un’altra potrebbe essere mutato il destino dell’intera Galassia ». Il dottor Krast continuò: « Ora ci attendono alcuni mesi di viaggio. Avrai modo di conoscere quanto la nostra or-ganizzazione sia radicata in tutte le parti del mondo. Il nostro scopo è quello di costringere i governi di tutto il mondo ad unirsi, anziché combattersi economicamente o peggio ancora militarmente. Do-vranno collaborare per costruire un sistema che sia contemporanea-mente capitalista e socialista ».Lo interruppi dicendo: « Mi sembra un paradosso. Siete sicuri che funzionerebbe, ammesso e non concesso che si riuscisse a realizzare questo miscuglio? ».« I bastardi sono sempre i migliori, lo sai anche tu. E poi sul nostro pianeta è ben collaudato e funziona benissimo da tempo immemo-rabile. Certo, un piccolo aiutino glielo daremo, diciamo così…in incognito, ma ufficialmente i governi si ispireranno alle idee della nuova etica dell’economia e dell’ecologia, contenute nei libri come i tuoi ».

Durante il periodo di permanenza a Roma e in quello successivo dei continui viaggi proseguii la mia attività letteraria, ormai interamente volta ai problemi ecologici e alla nuova economia. Ero sempre in contatto con l’editore di Parigi, ma, sebbene i miei libri mietessero un più che discreto successo, non si diffondevano al di fuori del ristretto circuito di lettori interessati all’argomento.

ma, come al solito, aveva saputo rendere molto bene l’idea. Aveva ragione: con tutto quello che avevo letto e scritto la cosa più stupida che avessi potuto fare era quella di domandare perchè ci fosse fretta. Ma poi, in tono più dolce, quasi per scusarsi dei suoi modi un po’ bruschi mi disse: « Per la verità un motivo c’e, e più urgente di tutti: il 21 dicembre 2012 ».Avevo letto della profezia del calendario Maya e di come da quella data avrebbe dovuto finire questo mondo per iniziarne un nuovo. Se ne faceva un gran parlare in quel periodo. C’era forse lo zampino dei Fratelli nella profezia? Ero scettico sull’argomento, come lo ero sempre stato su tutti gli argomenti che non poggiassero su più che solide basi scientifiche. Perciò risposi: « Non posso credere che tu presti fede a tali idiozie ».« Certo che no. Tuttavia è una coincidenza per lo meno singolare: i Maya hanno operato questa credenza in base a delle osservazioni astronomiche. E curiosamente, a partire da quella data, per la par-ticolare posizione che assumeranno il nostro pianeta ed il vostro, a causa dell’influenza sui campi gravitazionali causata dall’esplosione di una supernova, avvenuta seimilacinquecento anni fa, non sarà più possibile controllare la curvatura dello spazio-tempo. In poche pa-role facendo viaggiare dei corpi nell’iperspazio potrebbero manife-starsi discordanze spaziali o temporali ». « Spiegati meglio ».« In teoria i corpi potrebbero finire in un altro luogo o in un tempo diverso. L’apparecchio ricevente segnalerebbe comunque la data ed il luogo dove i corpi si materializzerebbero, ma per la trasmissione dal nostro pianeta a questo, potrebbero occorrere degli anni ».« Per voi che potete vivere all’infinito non mi pare una cosa poi così grave ».« La cosa grave è che se un corpo arrivasse a destinazione in un tem-po diverso da quello stabilito, per evitare un paradosso temporale, finirebbe necessariamente in un universo parallelo. E in un universo parallelo le cose potrebbero essere andate in modo del tutto diverso ».Conoscevo la teoria degli universi paralleli ed ora avevo la confer-ma della loro esistenza. Essa è stata teorizzata da alcuni scienziati

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Qui stava uno dei Fratelli, che aveva abbracciato la fede buddista ed era diventato monaco. Aveva deciso di terminare in questo luo-go il proprio ciclo di clonazioni. Aveva trovato, nella dottrina delle reincarnazioni, una possibile spiegazione al mistero dell’esistenza. Io rimango sempre scettico e confesso la mia profonda ignoranza al riguardo; ma se ripenso a quello che scrissi sul buddismo nella mia prima vita oggi arrossisco di vergogna. Infamare il Dio Fo, ossia il Buddha, ignorando tutto di lui, e principalmente il fatto che non si annunciò mai come Dio e che insegnò che solo allontanando da sé ogni passione qualsiasi uomo può diventare un buddha, mi ha fatto tradire la più tollerante fra tutte le religioni. La mia unica scusante è quella di non aver potuto a quell’epoca conoscere le cose se non attraverso le ridicole favole divulgate in occidente dai Gesuiti. Il Fratello monaco mi conosceva; sapeva chi ero stato nella mia pri-ma esistenza e perciò fu da subito molto lusingato di poter discutere con me su argomenti che riguardavano la religione. Le sue argomen-tazioni presentavano spunti molto interessanti. « Cosa ti ha spinto a restare in questo luogo? » gli chiesi. « Io ho sempre creduto in Dio. L’evoluzione stessa dell’universo lo conferma. Se guardiamo indietro nel tempo arriveremo per forza al punto in cui l’universo, che non esisteva ancora, ha incominciato ad esistere. Il Big Bang dimostra che vi è stato necessariamente un inizio, e quindi una creazione, a meno che si non riesca a dimostrare che dal nulla possa autonomamente scaturire qualcosa. Certamente la creazione non è quella narrata nella versione estremamente sem-plicistica fornita dalla Bibbia o dalle altre religioni. L’Onnipotente ha voluto che la vita nascesse da un unico processo e si diffondesse e sviluppasse con l’evoluzione. Ora tu mi chiederai: perché la vita eterna? Io ti rispondo: a quale scopo l’Eterno avrebbe creato un essere con la consapevolezza di sé stesso per farlo esistere solamen-te la durata di una vita, la quale è meno di un attimo in confronto all’eternità? A quale scopo avrebbe creato tutti gli esseri viventi? Al solo scopo di lasciarli morire per farne nutrimento per altri? Io ti rispondo che la morte di ogni essere vivente è necessaria alla vita di un altro essere vivente, e che la morte genera in questo modo altra vita. La morte non è che la trasformazione della vita.

Krysts ora lavorava al mio fianco traducendo in varie lingue le mie opere. Ebbi modo di apprezzare le sue qualità a dir poco portentose: stava traducendo in una ventina di lingue contemporaneamente! Lo scopo dei nostri viaggi era quello di fornire ad ogni base un esem-plare di quell’apparecchio che il dottor Krast e Minisino avevano perfezionato a Roma. Esso non era altro che un potente trasmettito-re in grado di focalizzare, a grandissima distanza, un campo di forza di una natura ancora sconosciuta alla Terra, in grado addirittura di riflettere la luce e le onde elettromagnetiche. Su come avrebbero agi-to questi apparecchi non mi venne ancora detto. Ma ero già conten-to così. Rispetto alle altre volte era moltissimo. Lo scopo dei viaggi, inoltre, non si limitava solamente alla dotazione degli apparecchi alle varie basi, ma consisteva anche in un addestramento di almeno una settimana per chi avrebbe dovuto manovrarli. Questo mi permise di conoscere molte persone e di visitare molti luoghi. I Fratelli vivevano ben mimetizzati tra la gente, e molti di loro aveva-no scelto la Terra come ultima destinazione, nel senso che avevano deciso, una volta compiuta la loro missione, di lasciarsi invecchiare e morire naturalmente senza farsi più clonare. Molti erano sposati tra loro, ed alcuni con la gente normale. I figli nati da queste ulti-me unioni erano i famosi bambini indaco. C’era dunque qualcosa di vero nella credenza che già dagli anni ’60 del ventesimo secolo aveva cominciato a farsi strada nella cultura New Age, la quale sosteneva che nel mondo stavano nascendo alcuni bambini dotati di qualità particolari come empatia, creatività, forza di volontà, o addirittura paranormali come telepatia e chiaroveggenza.

A quanto ho potuto constatare, sull’esistenza di Dio e dell’anima i Fratelli hanno le stesse certezze dei terrestri, vale a dire nessuna. Anche se tecnologicamente e culturalmente sono molto più avan-zati di noi, non sono in grado di dimostrarne in maniera scientifica l’esistenza. Ciò non mi sorprende: Dio è infinitamente grande e la scienza non potrà mai dimostrarne l’esistenza o la non esistenza. Ci riuscirà la filosofia, ammesso che questa sarà mai in grado di dimostrare qualcosa? L’ultima tappa dei nostri viaggi era in questo monastero buddista in Tibet, dove attualmente mi trovo.

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di noi stessi al di fuori del tempo e dello spazio ».Non avevo ben compreso cosa intendesse affermare con quest’ulti-ma frase, perciò lo interruppi dicendo: « Che cosa vuol dire al di fuori del tempo e dello spazio? E poi a cosa ser-ve questa anima se non è lei a pensare, se non è lei a farti muovere? Saresti ancora certo della sua esistenza se con una clonazione si tra-sferissero contemporaneamente gli stessi ricordi in due o più corpi diversi? Di quale corpo quest’anima conserverebbe la coscienza? ».Queste domande non parvero metterlo in difficoltà. Mi rispose, con calma: « Tutta l’evoluzione naturale non è che la conferma che la grande e unica anima del mondo si va sempre più ingrandendo e perfezio-nando. In quanto al paradosso che mi hai posto, e cioè cosa succe-derebbe trasferendo gli stessi ricordi contemporaneamente in corpi diversi, ti rispondo facilmente: dal momento in cui questi esseri co-minciassero vivere avrebbero delle esperienze e ricordi differenti; comincerebbero perciò ad essere delle persone diverse l’una dall’al-tra. La loro anima? Sarebbe una sola, e conserverebbe i ricordi di tutti, come ha conservato quelli delle loro vite precedenti. Dammi retta: le reincarnazioni sono l’unica soluzione possibile alla spiega-zione del male che è presente nel mondo: dall’apparente ingiustizia che tutti gli esseri sono costretti a subire per cause naturali, al male che gli uomini si procurano da sé medesimi quando non praticano la virtù. E poi, nel caso in cui non ci fosse che una sola esistenza, che ne sarebbe dell’anima di un bambino nato morto o di un altro nato e vissuto demente? Nell’aldilà quale ricordo, quale coscienza di sé stesso possiederebbe il primo? Ed il secondo continuerebbe ad essere un demente? Lo ripeto: la metempsicosi è l’unica plausibile forma di religiosità. Il continuo ciclo delle esistenze non è altro che il graduale cammino verso la perfezione, per ricongiungersi a Dio in paradiso. È l’anima che si lega ai ricordi delle vite, ed ogni volta che ci sono i tuoi ricordi e le tue idee c’è un po’ della tua anima ».L’unica cosa che avrei potuto replicare a queste argomentazioni, sa-rebbe stata quella che già scrissi nel Dizionario Filosofico, e cioè che su questo argomento siamo e resteremo sempre degli ignoranti. Tutti i grandi saggi hanno ammesso la loro ignoranza, e nessuno di loro ha

È questo a rendere possibile l’evoluzione. Da buon filosofo tu af-fermerai che tutto ciò non ti consola; Dio avrebbe potuto trovare un modo migliore di far funzionare le cose, senza necessariamente dover imporre ad ogni creatura il dolore e la morte, nonché la palese ingiustizia di far vivere ad alcuni una vita sana, lunga e spensierata e far patire ad altri malattie, povertà, dolore e una morte prematura. Qui ti rispondo che aver vissuto la più bella o la più brutta delle vite non fa alcuna differenza di fronte all’eternità del Paradiso; e poi Dio non interviene certo a regolare nei minimi particolari la vita di ogni essere vivente: ha formulato delle leggi immutabili e non le mute-rà certo per compiacere un uomo soltanto perché questo lo prega con particolare fervore. Solamente la sorte e la volontà di ognuno determinano la qualità dell’esistenza. E se esiste Dio esiste anche l’anima, attraverso la quale ogni essere vivente possiede i ricordi e la coscienza di sé stesso e di tutte le vite vissute nel ciclo delle reincar-nazioni, attraverso il quale raggiungerà gradualmente la perfezione e dal quale si libererà alla fine per raggiungere il Paradiso ». « Così tu pensi che un uomo possa essere stato Giulio Cesare, poi altre dieci persone diverse? ».« Certamente ».« E quale di queste persone sarà quando raggiungerà il Paradiso? ». « Sarà una persona formata dai ricordi di Giulio Cesare e dalle altre dieci persone ».« Non ti sembra una situazione un po’ confusa? ». « Tu hai già vissuto tre vite, e ne possiedi tuttora il ricordo: ti senti per questo confuso? ». Non seppi cosa rispondere. Poi continuò: « Anch’io, come te, mi ponevo domande sull’anima e che ne fosse di essa con le continue clonazioni. Ogni volta viene clonato un corpo e non un’anima. Il fatto di registrare i ricordi ogni volta in un corpo diverso conferisce l’essenza di sé stessi. Ciò conferma che l’anima, se esiste, non è un piccolo individuo rinchiuso nel nostro corpo, che lo fa muovere e pensare. Inoltre, come hai già scritto nel settecento, questo sarebbe un segno di impotenza per Dio. Infatti Egli non avrebbe alcuna difficoltà a creare degli automi che avessero in sé stessi il dono del movimento e del pensiero. L’anima è la coscienza

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di Cristo e il venerdì santo pregavano pro perfidis Judaeis. Avrei do-vuto dissociare la mia avversione per la Bibbia dall’opinione che mi ero formato degli ebrei in generale. È stato questo Jahweh umano, troppo umano, a farmi ribellare, e l’odio per la Bibbia mi ha fatto apparire gli ebrei come un’orda di ladri e di usurai, di schiavi della lettera, di schiavi barbari di cui avere giustamente orrore. Ma, senza tema di rivangare gli errori del passato, devo affermare che oggi lo Stato di Israele non sta dando un buon esempio. Con quello ha patito nel se-colo scorso, il popolo ebreo ha tutte le ragioni di affermare di essere stato ingiustamente perseguitato e di avere il diritto di possedere anch’esso una Patria. Perché allora nega questo diritto ai suoi vicini, approfittando di ogni occasione per invaderne e popolarne le terre? Subisce di continuo attacchi terroristici, è vero, ma i metodi spietati e inumani con i quali risponde coinvolgendo la popolazione inerme non hanno nulla da invidiare a quelli, narrati nella Bibbia, che furo-no propri del re Davide. Ogni persona di buon senso che conosce la situazione, sa che ci sono ragioni e responsabilità a livello inter-nazionale per cui tutto questo accade. Non starò qui ad elencarle. In fondo Israele non è che il cane da guardia dell’occidente contro l’integralismo islamico; ma non bisogna commettere l’errore di rica-dere nell’antisemitismo per criticare lo Stato di Israele, il quale a sua volta non deve accusare di antisemitismo chi giustamente critica il suo operato. Sono convinto che la maggioranza degli israeliani come dei palestinesi non chieda altro che di vivere in pace e in libertà. In fondo non sono che due popoli prigionieri dei loro estremisti. No, non penso di aver perseguito degli ideali fallimentari. Fino all’ul-timo sono stato sincero. Ho sempre cercato il vero Dio criticando allora un certo tipo di religione, come critico quella di oggi, vissuta dai più semplicemente come l’osservanza di alcuni riti, andando a Messa solamente come se ciò equivalesse a pagare il premio di una polizza di assicurazione sulla vita…eterna.

Ma ora le cose stanno per cambiare, o meglio domani incomince-ranno a cambiare, se gli apparecchi che in questi mesi abbiamo con-segnato ai Fratelli funzioneranno. Sono curioso di vedere cosa acca-drà. Il dottor Krast e Minisino sono eccitati, e non lo nascondono.

avuto la sfrontatezza di sostenere di conoscere la natura dell’anima. Posso non credere nell’esistenza dell’anima, e preferire di essere la macchina di un Dio della cui esistenza ho la prova, piuttosto che la macchina di un’anima di cui dubito.

Ti sarai accorto anche tu, caro e sconosciuto lettore, che nonostante mi trovi a vivere in un mondo meraviglioso il quale tuttavia sta per finire, un mondo in cui il solo sacrilegio inespiabile è quello di met-tere in discussione il dio denaro, le mie preoccupazioni principali riguardano ancora, come nella mia prima vita, Dio e la religione. Ho la prospettiva di vivere ancora altre esistenze, ma mi sto ren-dendo conto che, come disse alcuni anni fa una grande scienziata italiana la quale aveva raggiunto l’età di cento anni, l’importante è aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita. E poi, quanti errori, alla luce delle conoscenze di oggi, ho com-messo nella mia prima esistenza! Li commettemmo in tanti, è vero. All’inizio noi illuministi pensammo che l’uomo fosse tendenzial-mente buono, e che fosse la società a corromperlo. Una tesi opposta lo volle in seguito tendenzialmente cattivo; Darwin descrisse il suo tendenziale egoismo e crudeltà come fattori necessari all’evoluzio-ne: solo il più forte sopravvive per riprodursi a discapito del più debole. Questo è vero; ma allora che ne è del senso morale che ogni uomo porta dentro sé stesso? Un’altra teoria, la più recente, cerca di spiegarlo: essa afferma che la vera spinta evolutiva è data dalla collaborazione e la società è vista come una cosa buona, all’interno della quale l’uomo è costretto a cooperare e a non commettere il male: così i sentimenti e il senso del bene e del male altro non sono che informazioni già scritte nei circuiti neuronali del nostro cervello. È una bella batosta per i sostenitori dell’anima che muove il nostro corpo e che è la causa della nostra volontà.

Un altro grave errore lo commisi con il mio disprezzo verso il po-polo ebreo. Oggi, dopo i pogrom, dopo i forni crematori, dopo l’antisemitismo di Stato, mi chiedo come abbia potuto allora lasciar-mi prendere da quegli eccessi di passione contro gli ebrei. Certo in quell’epoca ai cristiani veniva insegnato che essi furono i carnefici

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Quattordicesima lettera

Bordeaux, 4 aprile 2013

Ho vissuto soltanto pochi anni di questa mia nuova esistenza, ep-pure mi sembra già di essere in quella fase in cui, raggiunta una certa età, la vita comincia a togliere invece che a dare. Dovrei essere felice perché la missione dei Fratelli ha avuto successo, ed il mondo sembra ormai avviato verso un radicale e positivo cambiamento, ma il mio cuore è colmo di tristezza. Tre Fratelli, tre miei amici, non ci sono più. I loro corpi riposano ora in un cimitero, sotto una povera croce, senza un nome e senza neanche una fotografia, ma soltanto con una data. Non ho neanche potuto assistere al loro funerale; nes-suno di noi ha potuto farlo. Certo, abbiamo trasmesso i loro ricordi, le sfere con la loro memoria sono ancora in nostro possesso e ormai anch’io sono perfettamente in grado di usare il trasmettitore per ma-novrare il loro ritorno. Quello che mi addolora è che ciò non potrà normalmente avvenire in nove mesi, ma in un tempo indefinito che potrebbe anche essere di molti anni, così come aveva affermato il dottor Krast; di questo si può esserne certi.

È passato più di un anno da quando tutto è incominciato, ma a ri-pensarci, tutto questo tempo mi pare soltanto un giorno.

“L’asteroide colpirà la terra tra un anno esatto. L’esatto calcolo della sua traiet-toria e della sua massa ha richiesto parecchie e preziose settimane e purtroppo i

Anche Dìdele mi pare che lo sia. Il loro atteggiamento mi sembra quello di persone che sentono di essere arrivate al gran finale. Que-sto mi preoccupa: sia che le cose vadano bene oppure male, che ne sarà di me quando tutto sarà finito? Quanto potrò (o dovrò) ancora vivere? Lo so, manca certamente ancora molto tempo, ma la mia preoccupazione, in fondo, è quella di perdere Dìdele. Questo ti farà sorridere, caro e sconosciuto lettore. Non so quanti giorni stanno ancora davanti a me, mi trovo di fronte a prossimi grandi eventi, continuo a filosofare su Dio e sull’anima, e poi, alla fine, devo ri-conoscere che, come un ragazzino, l’unica cosa di cui mi importa veramente è l’amore.

Mi consolerò e concluderò con il pensiero di un mio grande con-temporaneo del diciottesimo secolo, Benjamin Franklin, che ebbi l’onore di conoscere personalmente.

Quando vedo che niente si annulla e nemmeno una goccia d’acqua va distrutta, non posso sospettare l’annichilimento delle anime, né credere che Dio voglia sop-portare la distruzione giornaliera di menti già fatte, che adesso esistono, e darsi la continua pena di farne delle nuove. Così, trovandomi ad esistere nel mondo, credo che, in una forma o nell’altra, esisterò sempre. Non faccio obiezioni ad una nuova edizione di me stesso, sperando tuttavia che gli errori dell’ultima edizione possano essere corretti.

Res est solliciti plena timoris amor. L’amore è una cosa piena di ansioso timore (Ovidio).

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della morte e avevano improvvisamente cessato ogni ostilità. Nazio-ni democratiche e dittatoriali, grandi e piccole, ricche e povere, ora dialogavano alla pari. Ora che i grandi capitalisti ed i manager delle multinazionali avevano capito che anche per loro poteva non esserci via di scampo, avevano rinunciato ad anteporre prima di tutto il loro interesse personale ed erano addirittura smaniosi di contribuire alla causa comune. Nelle riunioni che si tenevano all’ONU i grandi della Terra si trovavano sempre e completamente d’accordo su tutto. Sembrava che un’unica volontà guidasse ormai le decisioni che venivano prese di volta in volta. Vi era una spiegazione a tutto ciò: questa volontà era ben ma-nipolata dallo stesso apparecchio che era stato sperimentato dal dot-tor Krast alcuni anni prima in Italia, al tempo del G8. Ora era stato perfezionato ed enormemente potenziato. Senza più penne, ma con molti e più potenti apparecchi direzionali, a buona distanza, un nu-trito numero di Fratelli controllava segretamente volontà e pensieri. Gli apparecchi che avevamo consegnato ai Fratelli nelle varie parti del mondo, invece, operando in sincronia con il segnale inviato dal pianeta da cui provenivano i miei amici, servivano a creare la falsa immagine dell’asteroide.

« Entro l’anno prossimo il piano dovrà necessariamente essere por-tato a termine. Dopo, a causa dell’influsso sui campi gravitazionali causati dall’esplosione della supernova, oltre al fatto di non riuscire più a mantenere l’immagine dell’asteroide, non saremo più in grado di comunicare con sicurezza e stabilità con il nostro pianeta » disse il dottor Krast. « Perché avete aspettato tutto questo tempo? » chiesi. « L’esplosione della Supernova è avvenuta seimilacinquecento anni fa. Era impossibile calcolare con precisione l’intensità e la durata dell’effetto. Sembra che i Maya abbiano fatto meglio di noi! » mi rispose alzando le sopracciglia con aria quasi divertita.

Gli scienziati avevano calcolato che sarebbe occorso lanciare nello spazio un consistente numero di testate nucleari per distruggere l’a-steroide; con un numero limitato di testate si sarebbe corso il rischio

dati forniti dai diversi centri di calcolo di tutto il mondo coincidono perfettamen-te. Rimane ancora il mistero su come quest’enorme corpo celeste abbia potuto passare inosservato per tutti questi anni, mentre strumenti sempre più grandi e perfezionati continuavano a scandagliare le profondità del cosmo. Guardavamo lontano e non ci accorgevamo quanto il pericolo fosse vicino. Ma non siamo qui riuniti per sollevare inutili e ulteriori polemiche. Per questo ci sarà tempo, se tem-po rimarrà ancora. Se infatti non ci impegneremo tutti in una strategia comune per porre rimedio a questo problema, le conseguenze dell’impatto dell’asteroide con la Terra saranno tali da distruggere la totalità della vita sul pianeta. Non possiamo permetterci divisioni tra noi; anche il più piccolo contributo non solo sarà necessario, ma potrà essere determinante. Perciò, per alzata di mano, vi chiedo di esprimere la vostra attiva adesione.”

La brevità di questo discorso, tenutosi nell’assemblea generale dell’O-NU il 12 dicembre 2011, da parte del Presidente degli Stati Uniti, alla presenza dei Capi di Stato di tutte le nazioni, evidenziava bene il clima di paura che si era venuto a creare in quei giorni. Le alzate di mano furono all’unanimità. La notizia che un asteroide stava per colpire la Terra aveva sconvolto il mondo. La sua velocità era molto bassa, ma la sua massa era notevole. Questo aveva permesso di cal-colarne con precisione la traiettoria ed il tempo dell’impatto. Come avesse potuto passare inosservato per tanto tempo, con i moderni mezzi di osservazione, restava un mistero. Ma non c’era tempo per discutere di questo: ora il problema era di riuscire ad evitare che colpisse la Terra, con conseguenze inimmaginabili per ogni forma di vita. Per lo più, nelle interviste, la gente si diceva fiduciosa del fatto che si sarebbe riusciti a trovare un rimedio al problema. Ma più che di fiducia si trattava in realtà di speranza; gli scienziati infatti non na-scondevano le enormi difficoltà che sarebbero sorte per risolverlo. Il fatto poi che l’impatto sarebbe avvenuto il 21 dicembre 2012, data in cui una oscura profezia dei Maya aveva annunciato la fine del mondo e l’inizio di una nuova era, dava a molti la certezza che tutto ciò avrebbe finito inevitabilmente con l’avverarsi ed aveva così contribuito a scatenare in tutto il mondo una grande agitazione. An-che i potenti della terra sentivano incombere su di loro la minaccia

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Si cominciò a preparare un nuovo lancio, in una disperata corsa con-tro il tempo. Tutti capivano che ne rimaneva pochissimo e che l’aste-roide, una volta colpito, sarebbe comunque stato pericolosamente troppo vicino alla Terra. C’erano pochissime probabilità di riuscita.

Mancavano solo quattro mesi. Poi, molto probabilmente, sarebbe stata la fine. Che senso aveva continuare a lavorare? Eppure tutti continuarono a farlo. Gli artigiani continuarono le loro attività, i liberi professionisti le loro operazioni. Le fabbriche continuavano a funzionare. I giornali continuavano ad uscire, le televisioni a tra-smettere. I trasporti a funzionare regolarmente. Lavorare serviva ad esorcizzare la paura della morte? Oppure, come quando si sa di dover morire, si cerca di negare la realtà fino all’ultimo? Poi le cose incominciarono a cambiare. Mentre gli scienziati continuavano a confermare, con sempre maggior precisione, traiettoria e momento dell’impatto, il sistema economico del mondo capitalista cominciava a sgretolarsi. Rapidamente il valore delle azioni, come quello delle obbligazioni, crollò. Nessuno più comprava e vendeva per specula-re, oppure investiva denaro a scadenza. Dopo soli quindici giorni le Borse di tutto il mondo avevano smesso di funzionare. Le banche furono prese d’assalto e in pochi giorni non ebbero più contante sufficiente a far fronte ai prelievi dei clien-ti. L’angoscia causata dal disastro imminente spingeva, irragione-volmente, a fare incetta di cibo e di medicinali. Le uniche cose non essenziali alla sopravvivenza che non cessarono di essere acquista-te, ma registrarono addirittura un considerevole aumento, furono i libri. La Bibbia fece la parte del leone. Rapidamente i negozi ed i grandi magazzini furono svuotati dei generi di prima necessità. Ma dopo questi primi momenti, quando nelle case i frigoriferi e gli armadi delle cucine erano ormai stracolmi, il panico tra la gente si spense quasi ovunque per lasciare lentamente posto, in tutto il mondo e ad ogni livello, a molti episodi di commovente solidarietà. Come su una zattera di naufraghi che va alla deriva, senza la spe-ranza di toccare mai terra, l’effetto provocato dalla consapevolezza dell’approssimarsi della fine ora affratellava gli uomini. L’economia basata sulla speculazione e sugli sprechi era repentinamente finita,

di spezzettarlo solamente in tanti frammenti, i quali, cadendo, avreb-bero avuto lo stesso deleterio effetto. Sulla Terra non mancavano certo testate nucleari, anche se erano pochi gli Stati che ne erano in possesso: solamente due, poi, erano forniti di vettori sufficien-temente potenti da riuscire a trasportarle in tempo utile ad una di-stanza adeguata: Stati Uniti e Russia. Le due superpotenze furono deputate a svolgere, in tempi ristrettissimi, la difficilissima impresa. Ognuna avrebbe lanciato in sincronia un certo numero di testate, adoperando i vettori destinati alle imprese spaziali. Gli occupanti della stazione spaziale internazionale avrebbero dovuto rassegnarsi a prolungare la loro permanenza in orbita. Lo sforzo richiese spese enormi. Tutti gli Stati furono chiamati a contribuire secondo le loro possibilità. Si dovettero inevitabilmente scambiare conoscenze tec-nologiche e preziose informazioni strategiche, anche quelle coperte dal più grande segreto. Nacque, giocoforza, il primo esempio di col-laborazione mondiale.

Per effettuare i lanci occorsero quattro mesi. I razzi raggiunsero l’a-steroide dopo altri quattro. Portavano con sé parecchie testate. Il chiarore dell’esplosione fu visibile ad occhio nudo dalla Terra. Nel cielo della notte un puntino luminoso, della dimensione e lucentezza di una stella, apparve all’improvviso e durò alcuni minuti. Tutto il mondo stava con il fiato sospeso. Un’ora dopo, quando le agenzie di stampa batterono la notizia che l’asteroide non solo non era stato distrutto, ma non aveva minimamente mutato la sua traiettoria, alla rabbia seguì rapidamente il panico. Si temettero disordini. In tutto il mondo se ne registrarono svariati casi; ma gli eserciti e le forze di polizia di ogni Stato riuscirono a mantenere l’ordine. Le reazio-ni incontrollate, come i tentativi di saccheggio, furono per lo più scarse e prontamente soffocate sul nascere. Si assistette, da subito, ad un vero e proprio risveglio religioso. Chiese, moschee e templi si riempirono fino all’inverosimile. Si aspettava il miracolo. Con il suo consueto cinismo il dottor Krast aveva commentato il fatto con una battuta: « Su un aereo che effettua un atterraggio di emergenza nel mezzo di una tempesta, non ci sono atei ».

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oggi ci troviamo di fronte ad una nuova situazione: le risorse che servono per questa crescita oggi si stanno esaurendo. Se non saremo in grado di limitare i nostri consumi oltrepasseremo le possibilità di sostentamento che questo pianeta ci offre. Questo non vuol dire che si dovrà smettere di cercare il benessere per ogni abitante della Terra, ma che dovremo farlo operando un cambiamento nel modo di intendere questo benessere. In tutti questi anni abbiamo promesso al Terzo mondo che un giorno avrebbe raggiunto il livello di vita del Primo Mondo: è stata una falsità. Se tutti consumassero come nel Primo Mondo da tempo si sarebbero esaurite le risorse del pianeta. Certamente i paesi più ricchi dovranno ridurre il loro tenore di vita. Ma questo non sarà necessariamente un dramma. Ad esempio, oggi in Europa il consumo pro capite è circa la metà rispetto agli Stati Uniti, eppure il livello di soddisfazione ed il tenore di vita non sono cer-tamente inferiori. Ci avvieremo perciò verso un nuovo modello di sviluppo, dove saranno prodotti solo i beni ed i servizi necessari e veramente utili, e dove sarà dato grande impulso alla ricerca, la quale sarà finanziata da tutti e di tutti dovrà essere patrimonio libero e gratuito. Le nuove invenzioni in grado di miglio-rare la qualità e la quantità di lavoro non dovranno più servire ad aumentare la produzione ma a diminuire gli orari di lavoro. Non dovrà più esserci la piaga della disoccupazione. Gli orari di lavoro verranno ridotti per legge fino all’assor-bimento dei disoccupati, e ciò di comune accordo per tutti gli Stati per evitare i problemi di concorrenza. Nella Costituzione di ogni Stato ci sarà scritto che non si potranno impiegare più energie di quelle che la natura rinnova continuamente. Ci avviamo verso la Decrescita sostenibile.

Il primo passo sarebbe stato quello di liberarsi delle enormi spese rappresentate dagli armamenti e dagli eserciti. Per poter realizzare ciò, senza rompere delicati equilibri di forze e senza il rischio che nel frattempo qualche Stato potesse approfittare della situazione, vennero programmate due fasi. Nella prima fase gli Stati Maggiori di tutti gli eserciti avrebbero iniziato con il fondersi in uno solo, con sede alle Nazioni Unite. Poi, a cominciare dagli ufficiali dei gradi più elevati fino ai soldati semplici, gli eserciti sarebbero dovuti gra-dualmente essere composti dai soldati di tutte le nazioni, ripartiti in egual numero. Questo avrebbe reso impossibile ogni azione offensi-va da parte di ogni Stato verso qualsiasi altro. All’inizio sarebbe stato un grande sforzo e un altrettanto grande

ma non ci fu la paralisi. Il mondo continuava a camminare, seppur in modo differente. L’agricoltura, la sanità, i trasporti, la cultura e l’informazione continuarono a funzionare dovunque, mentre molte merci, che in fondo erano sempre state inutili, smisero di essere comprate. Ci si accorse che il mondo poteva sopravvivere produ-cendo e consumando solamente i beni essenziali, e che l’egoismo non era l’unica molla che potesse farlo muovere. Alla fine del terzo mese il secondo lancio era pronto, ma nessuno si faceva illusioni sulla riuscita dell’operazione. Questa volta sarebbe stato effettuato allo scopo di deviare la traiettoria dall’asteroide. Colpirlo sarebbe stato controproducente: era troppo grande ed ormai troppo vicino. I frammenti avrebbero sicuramente colpito la Terra.

Fu a dir poco enorme la gioia che si diffuse in tutto il mondo, quan-do le agenzie di stampa e i telegiornali diedero la notizia: il lancio era avvenuto con successo. L’asteroide non era stato deviato: era sem-plicemente scomparso! Gli scienziati non sapevano spiegarsi come ciò fosse potuto accadere. Si fecero molte ipotesi; quella più plau-sibile fu che in realtà non si trattasse di un asteroide con una massa rocciosa, ma di un agglomerato di un gas di origine sconosciuta che aveva ingannato per tutto il tempo gli strumenti e che l’esplosione nucleare aveva dissolto. Mentre gli scienziati discutevano, nel mon-do il fatto fu interpretato quasi unanimemente come un miracolo.

Fu così che il 21 dicembre 2012 l’intenzione di realizzare grandi cambiamenti, solennemente annunciata dai potenti della Terra, i cui pensieri e volontà continuavano ad essere controllate dai Fratelli, fu accettata in tutto il mondo non solo senza riluttanza, ma con entu-siasmo. Un vento nuovo soffiava per il mondo. Dopo lo scampato pericolo ci si era resi conto di cosa era veramente importante. L’umanità aveva aperto gli occhi e si era resa conto che così non poteva continuare. Una solenne dichiarazione, contenuta in un do-cumento sottoscritto da quasi tutti i Capi di Stato, fu pronunciata in quel giorno: “Entro quattro decenni il mondo dovrà limitare i suoi consumi e i suoi abitanti dovranno adottare un nuovo stile di vita. Dopo sarà troppo tardi.” La crescita è stata la regola per tutte le civiltà, ma per la prima volta

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vendere il tuo diamante e comprarti molti panini, libri e biciclette, addirittura un’auto ».« È ovvio ».« Immagina poi che io sia in grado di fare la stessa cosa con ogni abitante della terra. Cosa succederebbe? ».Cominciai a pensare, ma il dottor Krast continuò senza aspettare la mia risposta:« Nel primo caso tutti avrebbero da mangiare, un libro da leggere, una bicicletta per andare a spasso. Nel secondo caso tutti avrebbero un diamante, con il quale, però, non potrebbero fare assolutamente nulla, dato che, con la quantità di diamanti presenti nel mondo, non troverebbero nessuno a cui venderlo ».« E questo cosa dimostra? ».« Dimostra che i soldi non si possono mangiare, che il ricco è tale solo perché esiste il povero, e che un panino, un libro e una bicicletta valgono più di un diamante: ti pare poco? » Ero ammirato. Queste ultime poche parole sintetizzavano concetti che avrebbero richiesto un intero libro per essere sviluppati. Furono le ultime che pronunciò. Improvvisamente la porta si spalancò e apparvero tre uomini armati di pistole munite di silenziatore. Uno di loro disse: « Pensavate che non fossimo in grado di trovarvi? Dovete essere degli ingenui per non sapere che i computer lasciano tracce che non si possono nascondere! ».Non sapevo chi fossero quegli uomini. Forse erano dei servizi se-greti. Oppure le e-mail che avevamo inviato per annunciare il nostro arrivo al laboratorio in Amazzonia, avevano permesso ai produttori del virus di rintracciarci. Lo stesso uomo che aveva parlato continuò: « Ed ora, con le buone o con le cattive ci direte chi siete e per chi lavorate! ».Ma i miei amici tacevano. L’uomo si avvicinò al dottor Krast e gli appoggiò la punta della pistola sulla fronte. Minisino e Krysts si scambiarono un impercettibile sguardo di intesa. Probabilmente avevano comunicato telepaticamente. All’improvviso si scagliarono contemporaneamente contro gli altri due e riuscirono ad avvinghiar-si a loro facendoli cadere in terra, mentre si udiva il sordo sibilo di due colpi di pistola. Il dottor Krast, appena si mosse, ebbe il cranio

costo da sopportare, ma ampiamente compensato dall’inevitabile riduzione degli armamenti e di personale che sarebbe rapidamente seguita, resa possibile dal fatto che ormai le due superpotenze come i più piccoli Stati non avrebbero più avuto la necessità di difendersi. Nella seconda fase gli eserciti nazionali sarebbero dovuti gradual-mente scomparire per lasciar posto alle sole forze di polizia e ad un unico, relativamente piccolo ed eterogeneo esercito mondiale, sotto il comando dell’ONU, sparso in vari luoghi strategici, con l’unico compito di intervenire nel caso in cui qualcuno avesse iniziato ad armarsi. Insomma, sarebbe stata aperta la strada ad un vero disarmo.

La scomparsa degli eserciti, e soprattutto delle industrie che pro-ducevano le armi, le quali davano lavoro a migliaia di persone, non fu interpretato negativamente; non solo ci si apprestava a disegnare un mondo in pace, ma si voleva disegnare un mondo senza sprechi e senza povertà. La gente già incominciava a scandalizzarsi che un bombardiere costasse quanto un ospedale. Innanzitutto, le enormi quantità di risorse che sarebbero state liberate avrebbero permesso di risolvere molti problemi e di riparare a molte ingiustizie sociali. Poi si sarebbe disegnata un’economia basata esclusivamente sul con-sumo di materie ed energie rinnovabili. Nella nuova economia non sarebbe bastato produrre qualcosa al solo scopo di creare posti di lavoro; questo modo di vedere apparteneva al passato, quando tutti erano ricchi di tanti beni inutili, ma poveri di tempo. Ora ogni bene o servizio prodotto dovevano essere utili alla comunità; bisogna-va produrre solamente le cose indispensabili. Bisognava lavorare di meno e lavorare tutti.

Il dottor Krast aveva reso bene l’idea di questo nuovo spirito che ora sembrava animare il mondo, nella conversazione che tenni assieme a lui mentre con Dìdele, Minisino e Krysts eravamo riuniti per festeg-giare, nella nostra villetta in Italia, nei pressi di Torino. « Se io ti regalassi un panino, un libro e una bicicletta, cosa succe-derebbe? ».« Potrei mangiare, leggere e andare a spasso » risposi. « Immagina poi che ti regali un diamante: da quel momento potresti

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parlando a voce alta in modo da essere udita all’interno dell’auto, disse che c’era stato un triplice omicidio e pronunciò ad alta voce il numero della targa, il modello ed il colore dell’auto, nonché l’indiriz-zo. L’occupante dell’auto preferì non rischiare. Mise in moto e partì in tutta fretta. Non ci avrebbero seguito. Avrebbero dovuto abban-donare l’auto al più presto, rimanendo a piedi. Noi prendemmo la nostra auto, e ci dirigemmo verso la Francia, il cui confine distava poco più di un’ora. Telefonammo ad Anavlis, che si trovava nella base di Bordeaux; l’avremmo raggiunta il giorno seguente.

Caro e sconosciuto lettore, da molto tempo mi sono abituato a non considerare più il corpo come la vera essenza della persona, ma solo come il mezzo che permette di interagire con il mondo attraverso i sensi e la mente. Non piansi perciò per il dottor Krast, Minisino e Krysts che per me vivevano ancora nei loro ricordi conservati nelle sfere. Mi addolorava solamente il fatto che quasi sicuramente non li avrei più rivisti. Ormai mi ero sinceramente affezionato a loro. Tu obietterai che il nostro vivere non è solamente fatto di ricordi, ma anche di sentimenti, sensazioni e volontà. Ed hai ragione. È pur vero che oggi la scienza afferma che tutto ciò è dovuto sol-tanto all’attività del cervello. Provi attrazione verso una persona? Questa persona ti è piaciuta dal primo momento che l’hai vista? Ti è piaciuto subito il suo odore, la voce, il colore degli occhi, la carna-gione e ne sei talmente attratto che trovi interessante tutto quel che dice e trovi belli persino i suoi difetti? Tutto ciò è dipeso dai neuroni del tuo cervello, i quali sono stati influenzati dal sofisticato intrico che lega il sistema ormonale, biochimico, neurologico. Qualcuno ti provoca e tu provi rabbia? La tua reazione può essere aggressiva o remissiva: questo dipende dall’equilibrio tra il tuo sistema simpatico e parasimpatico e dipenderà da quale dei due sistemi ha avuto il so-pravvento se tu reagirai o ingoierai l’offesa. Sei tentato di commet-tere una cattiva azione, ma ti astieni dal farlo? Quella che chiami coscienza non è altro che il frutto della selezione naturale, impresso in una precisa parte del tuo cervello, che ti spinge a mantenere lo spirito di collaborazione con gli altri appartenenti e che ti fa provare un senso di colpa ogni volta che commetti qualcosa

trapassato dal proiettile sparatogli a bruciapelo, ma nel frattempo Dìdele, con la sua consueta abilità di lottatrice, era riuscita a rag-giungere lo sparatore, a portarsi dietro di lui e, torcendogli il braccio dietro la schiena, a disarmarlo. Poi, facendosi scudo del suo corpo, gli puntò l’arma alla tempia, intimando agli altri due di buttare le pi-stole e di alzare le mani. I due obbedirono e posarono lentamente le armi a terra. Il dottor Krast era morto. Minisino e Krysts erano stesi bocconi a terra, coprendo il loro sangue, ma si muovevano ancora. Erano feriti gravemente. Dìdele li guardò un momento e poi disse: « Ci vediamo sulla Terra, ragazzi! ».Poi sparò due colpi che centrarono alla nuca ed uccisero i miei due compagni. Ero inorridito. « Dovevo farlo. Non avrebbero potuto essere curati in nessun ospe-dale; lo capisci anche tu, vero? Avremmo dovuto rispondere a trop-pe domande, alle cui risposte nessuno avrebbe mai creduto. Noi, piuttosto, dobbiamo sparire al più presto. Questa base è bruciata, ma in fondo la missione è compiuta, benché la presenza di questi signori confermi che i problemi non sono ancora del tutto risolti » disse Dìdele. Mentre Dìdele teneva i tre sotto la minaccia della pistola, legai loro le mani dietro alla schiena. Poi guardò dalla finestra. Fuori aspettava un’auto con a bordo un persona seduta al volante. Prendemmo solo una piccola valigia, mettendoci tutti i documenti d’identità, qualche indumento, le sfere ed il computer trasmettitore. « Che cosa volevi dire con “Ci rivedremo sulla Terra?” » chiesi a Dìdele. « Che ci rivedremo sul nostro pianeta, che noi chiamiamo Terra. Molto difficilmente torneremo qui. Il nostro compito è quasi esau-rito, e poi non sappiamo quanto tempo potrebbe occorrere per tra-sportare i corpi, vista l’influenza dell’esplosione della supernova » mi rispose. Uscimmo dalla casa e, preceduti dai tre aggressori legati e sotto la minaccia delle pistole, ci dirigemmo verso l’auto dove il complice, seduto al volante, ci osservava con aria stupita dietro i vetri. Facem-mo salire i tre uomini sull’auto. Poi Dìdele prese il cellulare, com-pose il numero della polizia, e, una volta entrata in comunicazione,

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noi sottoterra o dentro ad un loculo, come se tutto ciò fosse in qual-che modo un mezzo per mantenere una sorta di sopravvivenza. Ma quel corpo, o quel che ne resta, non è più il nostro caro. Non lo è più stato dall’istante in cui è morto. È solamente materia, materia inerte, la quale conserva la sua immagine, immagine che presto o tardi si dissolverà. Il corpo, quando siamo in vita, continuamente si dissolve e si rigenera, ed ora comprendo appieno le parole di Dìdele, quando diceva che morire vuol dire non rinascere. Per questo ora penso che i miei amici non siano là in quel cimitero, ma nella memoria delle sfere, e ancor più, voglio credere, nell’esistenza della loro anima.

Ho imparato anche molte cose che a prima vista potrebbero parere di poca importanza. Ad esempio di quanto il naturismo possa farci vivere meglio, liberandoci da una falsa concezione del corpo e della morale che abbiamo ereditato da secoli di cultura sessuofobica; per avere la conferma di quanto questa cultura considerasse il sesso ed il corpo come qualcosa di peccaminoso basta osservare in una qualsi-asi chiesa i dipinti e gli affreschi del passato dove sono ritratti i dan-nati ed i beati: i primi sono nudi; gli altri sempre avvolti in candide vesti. Non credo però, a dispetto di quanto viene scritto nelle riviste naturiste, che il naturismo migliori l’uomo. Nei posti naturisti in cui sono stato non ho trovato persone migliori né peggiori delle altre; ho trovato solo persone che si sentivano meglio vivendo nude, e che avevano capito quanto sia inutile, stupido e dannoso oltraggiare la sacralità del corpo coprendolo ad ogni costo anche quando non ve ne sia una necessità oggettiva. Ho imparato che gli organi della ri-produzione non sono una cosa di cui vergognarsi e da tenere nasco-sta, non sono le pudenda, ma sono nobili al pari delle altre parti del corpo che si devono esporre alla vista di tutti senza vergogna. Ho imparato che si può vivere completamente nudi in mezzo ai nudi, senza essere per questo continuamente attratti dal sesso, ma, al con-trario intrattenendo normali e addirittura migliori rapporti sociali.

A dividere il mio amore non ho ancora imparato. Forse si tratta sol-tanto di un’assurda gelosia, ma comincio a considerare Anavlis una rivale in amore e non soltanto un’amica con la quale la mia amata ed

che per il gruppo è riprovevole. A ciò rispondo che in ogni caso io posso scegliere di non legarmi a quella persona che mi attrae mol-tissimo, magari perché è una poco di buono o magari per non farne soffrire un’altra. Posso cercare di contenermi e di non reagire ad un’offesa perché, ragionando, capisco che potrei subire un danno fisico nel fare a pugni, oppure potrei avere delle conseguenze legali se io facessi del male al mio provocatore o semplicemente perché mi sento di essere superiore e quindi reprimo facilmente il mio sen-timento di rabbia. Ho occasione di rubare senza essere scoperto; ma non lo faccio perché ho deciso di vivere in un modo piuttosto che in un altro. Quindi sarà pur vero che tutte le nostre pulsioni sono già scritte nella nostra mente, e sono fortissime; ma in fondo è la ragione che deve influenzare le nostre scelte. Ho detto deve, ma avrei dovuto dire dovrebbe, visto che il mondo è sempre stato pieno e sempre lo sarà, di storie di amori sbagliati, di violenze stupide e gratuite e di azioni disoneste compiute da persone che sono sempre state oneste fino al momento in cui si è presentata l’opportunità di compierle senza essere scoperti. Insomma, se non possiamo essere sicuri riguardo l’origine dei sentimenti, possiamo essere certi dell’u-tilità della ragione.

Ora, sotto nuove identità, viviamo qui, nella base Bordeaux. Siamo in tre, io, Dìdele e Anavlis, con le quali divido tutto, ma proprio tutto, compreso il sesso. E questo mi urta. Ma non posso farci nul-la. Il sesso per loro non è la medesima cosa che è sempre stata per ogni essere umano; per loro è qualcosa di più, e gli amplessi, anche semplicemente con gli amici, servono unicamente per raggiungere quello stato d’estasi e di comunione dello spirito inimmaginabili per chi non li ha mai provati.

Da Dìdele ho imparato molte cose. Ho imparato a considerare la morte in modo diverso. Penso ai miei amici che non ci sono più, ai loro corpi senza vita. Quando muore qualcuno dei nostri cari pian-giamo dinnanzi al loro corpo senza vita. Gli diamo l’ultimo saluto, prima che la bara venga chiusa. Per molto tempo dinnanzi alla sua tomba lo immaginiamo davanti a

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Quindicesima lettera

Caro François,

non so se potrai mai perdonare il grande dolore che indubbiamente ti ho provoca-to. Ma ho dovuto farlo. Ho dovuto farlo perché da troppo tempo mi mancavano i miei amici, mi mancava la Terra, il mio pianeta. Ti chiedo perdono per la bre-vità di questo mio addio. Spesso ho letto nei tuoi pensieri. So che avresti voluto passare la tua vita con me. Che avresti voluto invecchiare insieme a me. Che avresti voluto un figlio. Sì, ti ho insegnato molte cose, ma una soltanto non avrei mai potuto insegnartela: invecchiare. Questa cosa avresti potuto insegnarmela tu. Non sono mai stata vecchia. Ho sempre vissuto, nei miei corpi, un’età relativa-mente giovane. Ora invecchierò, ma lo farò sul mio pianeta. Anche se la nostra missione non può dirsi completata, sono comunque soddisfatta. Quel che dovevo fare l’ho fatto; di più non sarebbe stato possibile, visto che le comunicazioni tra il mio pianeta ed il tuo stanno per interrompersi. Ti sarai chiesto perché, fra tutti, abbiamo scelto di far rivivere proprio te. Lo abbiamo fatto perché almeno un essere umano fosse testimone di quel che abbiamo cercato di realizzare per l’umanità; e questo essere umano doveva essere quello che nel suo pensiero più si avvicinava al nostro. L’Illuminismo, del quale tu sei stato uno dei più degni rap-presentanti, ben rappresenta quel pensiero. Certo, i ragionamenti e le conclusioni a cui eri arrivato nella tua prima vita potranno apparire antiquate in questi tempi moderni, in cui la morale e la scienza hanno compiuto notevoli progressi. Ma, più che il risultato, quel che conta è il modo di pensare, e il tuo è sempre stato guidato dalla ragione e dalla ricerca della virtù. Abbiamo pensato che il mondo d’oggi ne avesse più che mai bisogno.

io di tanto in tanto c’intratteniamo in qualche rapporto che trascen-de i normali limiti dell’amicizia. Mi piacerebbe poter condurre una vita normale con Dìdele. Mi pia-cerebbe avere un figlio con lei. Mi rendo conto di non avere pro-spettive. Data la situazione e le nostre identità che devono rimanere segrete, tutto questo è semplicemente impossibile. Ho chiesto a Dìdele quale sarà il nostro futuro; la sua risposta, come sempre, è stata molto vaga. Mi accontenterò allora di rimanere ac-canto a lei e sperare di riuscire a vedere questo mondo cambiare, ora che i Fratelli hanno il controllo delle menti di molti potenti della terra. Ho detto sperare, perché può darsi che tutto ciò non sia suf-ficiente. Troppo spesso il potere politico deve sottostare ai poteri dell’eco-nomia, dei militari, e, nei regimi democratici, dell’opinione pubbli-ca; insomma, i Fratelli potranno controllare molte volontà, ma non saranno in grado di controllarle tutte. Speriamo che i popoli so-stengano i loro governanti. Questo potrà avvenire solo se il popolo sarà ben istruito e sensibilizzato. Almeno nei regimi democratici, il popolo è sovrano. Ma se è ignorante che sovrano è?

Verae amicitiae sempiternae sunt. Le vere amicizie sono eterne.

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Sedicesima lettera

Torino, 15 settembre 2062, Festa della Strada.

Quanti anni sono passati da quando, rientrando a casa, trovai la let-tera ai piedi del letto, dove i corpi di Dìdele e Anavlis giacevano senza vita! Se non la stringessi ora tra le mie mani crederei di aver vissuto un sogno. I miei amici, come li chiamavo allora, non sono più qui da molto tempo. Ora sono sulla loro Terra. Nel corso delle centinaia di anni in cui è durata la loro missione, avranno conosciuto chissà quante persone. Chissà se penseranno a me, qualche volta. Penso a tutte le volte che si sono tolti la vita, per viverne un’altra. Ora lo farò anch’io, ma voglio terminare qui. Sì, ho deciso. Nella mia prima esistenza arrivai, con i consueti acciacchi, ma con la mente lucida, ad una più che rispettabile età. Ora di anni ne ho molti di meno rispetto ad allora, il fisico è in condizioni discrete, ma la mente è irrimediabilmente compromessa. La malattia che mi è stata diagnosticata non lascia scampo. Un tumore al cervello mi lascia al massimo sei mesi di vita. Ho deciso perciò di porre ora fine ai miei giorni; non diventerò un malato terminale. Le ingiurie del tempo e della malattia non oltraggeranno questo corpo e questa mente. Se esiste un aldilà finalmente potrò conoscerlo. Se invece non esiste altra vita dopo di questa, non potrò rammaricarmene, come diceva Dìdele. Non sarà che un eterno sonno senza sogni. Se raggiungerò il Creatore di tutti i mondi gli sarò grato per la vita, o meglio le vite, che ho vissuto. Sono sicuro che non si offenderà a causa del mio

Facendoti rivivere abbiamo voluto dare all’umanità l’occasione di possederlo in una nuova forma, più attuale ed efficace. Ora sei uno scrittore affermato; con lo stesso spirito di due secoli fa, ma con le conoscenze d’oggi, hai divulgato lo stesso spirito e la stessa filosofia.

È rimasto il trasmettitore. Con esso, se lo vorrai, avrai la possibilità di raggiun-gerci sul nostro mondo. Lì potrai beneficiare di tutte le vite che vorrai. Ma dovrai farlo subito, e potrebbe essere un viaggio senza ritorno. Come ben sai presto le distorsioni spazio–temporali dell’esplosione della supernova non permetteranno più la regolare trasmissione dei corpi dal mio pianeta a questo. Non saresti sicuro di arrivare nella data prestabilita, ed in caso di discordanza temporale finiresti in un universo parallelo, dal quale sarebbe molto difficile tornare. Se deciderai di raggiungermi, inoltre, sappi che il rapporto tra noi due non potrà essere uguale a quello che è stato qui. La nostra concezione dell’amore, come avrai capito, non è la stessa degli abitanti di questa Terra.

Ti devo chiedere ancora perdono per una cosa. Per aver manipolato la tua vo-lontà, o meglio per averne inibito una parte. Infatti, se non hai mai provato il desiderio di visitare il mio pianeta, era perché ogni volta che lo desideravi o facevi domande su di esso prontamente facevamo scemare in te la curiosità. Lo abbiamo fatto non tanto per il timore che tu lo scegliessi al posto del tuo, ma perché volevamo che il tuo interesse ed il tuo impegno fossero interamente rivolti all’umanità. Solo i tuoi sentimenti non sono stati manipolati; per questo so che il tuo amore è stato sincero. Anch’io ti ho voluto bene, ma il mio modo di voler bene, se pur sincero come il tuo, è stato e sempre sarà diverso. Per noi l’amore è qualcosa di differente, e il farlo con molti non vuol dire dividerlo, ma moltiplicar-lo. Non pretendo che tu capisca, so che per un umano ciò è inconcepibile; ti chiedo semplicemente di accettarlo. Per il momento ti dico addio, François. Chissà se mai ci rivedremo. So che non piangerai la nostra morte. Noi non siamo i due corpi che vedi sul letto. Io e Anavlis abbiamo trasferito i nostri ricordi nelle sfere e li abbiamo già trasmessi; ora siamo già viaggio verso la Terra. La nostra Terra. Addio. Dìdele

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insieme per migliaia di anni e voleva prendersi una brevissima va-canza, di una ventina d’anni soltanto, e godersi un po’ la vita senza di lui e i suoi rimbrotti. E poi si sentiva in qualche modo responsabile dell’azienda di cui era proprietaria. Alla sua partenza me l’avrebbe lasciata, se avessi voluto. Le avrebbe fatto piacere, nel frattempo, se fossi rimasto accanto a lei. Le sarei stato utile dandole una mano nella conduzione degli affari, ma soprattutto, e questo me lo disse senza mezzi termini e senza minimamente scomporsi, io ero l’unica persona a portata di mano con cui fare l’amore in quel modo in cui solo la sua razza era capace, senza dover rivelare la sua vera identità con un terrestre qualsiasi. La cosa non mi dispiacque. Lei era ancora una bella donna, e, come ebbi modo di constatare in seguito, par-ticolarmente dolce ed affascinante. Ero solo al mondo, non avevo un solo parente, e lei in un certo qual senso lo era; infatti, come diceva Dìdele, anch’io ero un alieno. Oltretutto anche a me mancava già quel modo di fare all’amore, che non era semplicemente sesso, ma estasi. Sapevo che il dottor Krast un giorno sarebbe venuto a saperlo, ma sapevo anche che per lui, come per tutta la sua gente, la gelosia era un sentimento totalmente sconosciuto. Non avrebbe comunque potuto trattenersi molto su questo pianeta. I Fratelli ci avevano comunicato che l’influenza del campo gravitazio-nale causato dall’esplosione della supernova si andava sempre più in-tensificando. Secondo i loro calcoli, per i prossimi venti o trenta anni l’effetto sarebbe stato solamente quello di causare una progressiva di-latazione della durata delle trasmissioni; oltre questo limite l’influsso sarebbe cresciuto al punto di distorcere lo spazio-tempo, causando paradossi temporali che avrebbero fatto giungere il viaggiatore in un universo parallelo. Ma io non l’avrei seguita, né allora né dopo. Avevo riflettuto molto sulla questione. Innanzi tutto, ero sempre innamorato di Dìdele, ma avevo capito, dal modo in cui mi aveva lasciato, che non sarebbe mai stata mia per sempre. Era già triste l’idea di trascorrere una vita senza di lei, figuriamoci il trascorrerne chissà quante. E poi il viaggio sareb-be stato quasi certamente senza ritorno, ed io ero troppo curioso di vedere come sarebbe andata a finire qui. Forse questo pianeta avrebbe avuto ancora bisogno di me, e, per quanto modesto, ero pronto a dare

gesto. Sì, lo so, la Chiesa afferma che la vita è un dono di Dio, e quindi è un peccato togliersela. Su questo non sono mai stato d’ac-cordo. Un dono… in primo luogo un dono presuppone l’esistenza di chi dona e di chi riceve; finché la vita non è stata donata, colui che dovrebbe riceverla non esiste ancora. Non si può fare un dono a chi non c’è. In secondo luogo un dono può non essere accettato da chi lo riceve; mi pare che nessuno abbia mai potuto scegliere se nascere oppure no. In terzo luogo, anche volendo ignorare i primi due, perché dovrei offendere il Creatore se ad un certo punto decido di rinunciare al suo dono perché è diventato per me causa di soffe-renza? Ti offenderesti se buttassi via le scarpe che tanto tempo fa mi hai regalato perché ora si son rotte e non si possono più riparare? Ora mi fanno male: si sono bucate le suole e spuntano i chiodi che mi trafiggono le piante dei piedi. Se per questo tu ti sentissi offeso non peccheresti forse di superbia? E noi osiamo assegnare a Dio un siffatto comportamento! Non è questo attribuire a Dio la peggiore delle qualità umane? E poi Dio è così grande che sarebbe impossibi-le per me, misero uomo, farlo sentire offeso in alcun modo. Al pari della mia, quante vite sono diventate come delle scarpe or-mai logore e insopportabili! Mi chiedo ancora in quanti casi estremi la volontà ostinata di vivere non sia semplicemente paura di morire.

Caro e sconosciuto lettore, son passati tanti anni dall’ultima volta che ti ho scritto. Per me sei stato dapprima un personaggio del futu-ro, poi del presente; ora lo sei del passato. Lasciami immaginare che solo ora tu sia giunto dal passato, come successe a me tanto tempo fa, e lascia che ti racconti questa mia ultima vita, la quale, se non è stata infelice, non ha potuto dirsi neppure felice; è stata semplice-mente serena.

Personalmente non mi è accaduto nulla di singolare, se non il fatto di aver visto il mondo cambiare enormemente nell’arco di pochi decenni. Dopo la morte, o meglio la partenza di Dìdele ed Anavlis, mi stabilii casa di Arual, la moglie del Dottor Krast. Essa non aveva voluto seguirlo subito: diceva che lo avrebbe fatto soltanto quando sarebbe diventata un po’ più vecchia, che c’era tempo; erano stati

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Si preferisce semplicemente telefonare anziché videochiamare quando ci si trova nell’intimità della propria casa e magari si è spettinati o vestiti in modo poco presentabile, oppure quando si è addirittura seduti sul WC… L’ologramma è utilizzato anche nei nuovi computer. Video e tastiera sono scomparsi. Rimane soltanto un parallelepipedo che proietta verso l’alto le immagini olografiche sulle quali si può interagire con l’uso di un dito anziché del consueto mouse; all’occorrenza, si può far proiettare sul piano davanti a sé la tradizionale tastiera, che si ma-novra allo stesso modo. Si sono notevolmente sviluppati i comandi vocali; il computer è in grado di scrivere sotto semplice dettatura, di accendersi e di spegnersi pronunciando una parola, di eseguire molti ordini seguendo semplicemente la nostra voce. Anche gli elettrodo-mestici eseguono i comandi verbali, ma purtroppo le lavastoviglie devono continuare ad essere riempite e svuotate a mano, così come le lavatrici. L’unico vero progresso è il robot pulitore, pronipote dei primi dischi che cominciavano a circolare nei primi anni del secolo. Questo congegno, che appare come un cilindro montato su cingoli e dal quale si dipartono numerose braccia meccaniche, è in grado di tenere puliti e lavati i pavimenti, nonché di spolverare i mobili rimuovendo con delicatezza le suppellettili. Guardiamo il frigorifero. All’esterno una tabella luminosa contiene molti indicatori, tra cui quelli della quantità e della varietà dei cibi in esso contenuti, della loro scadenza e l’indicazione di quelli che stanno per esaurirsi. Diciamo apri e lo sportello si dischiude da solo. È molto comodo quando si hanno le mani occupate. Al suo interno molti cibi racchiusi in appositi contenitori. Nessuno avvolto nel cel-lophane o nella carta. Questi ultimi non si usano più. Si va a fare la spesa con la borsa che si porta da casa, assieme ai contenitori per i cibi. Se tu entrassi in supermercato di oggi non troveresti più le mer-ci avvolte in inutili e costosi imballaggi. Tutto, dal detersivo al latte, dal bagnoschiuma all’insalata russa, viene venduto sciolto. Ormai tutti sono abituati a portarsi gli appositi contenitori da casa. Se ci si è dimenticati di portarli, a caro prezzo ce li fornirà il super-mercato; in compenso la prossima volta potranno essere restituiti e rimborsati.

il mio contributo. Ero disposto a rimanere, pur sapendo che in questo modo le mie esistenze terrene sarebbero terminate. In fondo, come diceva il dottor Krast, una vita è abbastanza. Rimasi perciò a vedere il mondo cambiare.

I Fratelli rimasti continuavano a controllare le menti dei potenti del-la Terra, e mano a mano riuscivano ad allargare questo controllo su un numero sempre maggiore di persone. Capi militari, grossi mana-ger a capo di grandi e importanti multinazionali e soprattutto grandi firme del giornalismo ora non si opponevano più alle decisioni co-raggiose e decisamente rivoluzionarie che venivano prese ai vertici del potere. Caro e sconosciuto lettore dei primi anni del terzo millennio, – mi piace immaginarti così – se tu vivessi oggi rimarresti sbalordito dai cambiamenti che si sono prodotti. Per quelli che all’inizio trovai io ci vollero due secoli; per quelli che troveresti tu, se fossi qui oggi, sono bastati solo cinquanta anni. La Storia ha continuato ad accelerare il suo corso. Non ci sono state grandi invenzioni o grandi conquiste dello spazio, per la verità, ma notevoli cambiamenti della società e delle condizioni di vita dell’umanità. Questo è stato il vero progres-so. Vieni con me, ti accompagnerò con questa mia ultima lettera in una breve visita a questo nuovo mondo.

Ci troviamo in un condominio di oggi. Entriamo in un appartamen-to e cerchiamo il televisore. È molto cambiato. Il vecchio apparec-chio rettangolare con lo schermo luminoso è scomparso. Soprav-vive soltanto più nei musei. Al suo posto ora troviamo una parete bianca che serve da sfondo alle animazioni olografiche proiettate da quattro minuscoli proiettori piazzati negli angoli del soffitto. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di vero, di essere all’in-terno della scena. La qualità delle immagini è molto buona, ma per valorizzarla appieno occorre ancora il buio. Ma è solo questione di qualche anno e non occorrerà più spegnere la luce per avere l’impressione di trovarsi davanti ad un’immagine che sembrerà reale. Questa tecnologia è disponibile anche sul telefono, ma spesso non viene utilizzata.

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di carta, ma in realtà non è che una superficie bianca sulla quale, ma-novrando appositi comandi, appaiono le pagine scritte. È un libro elettronico, un e-book come si diceva nell’italiano già imbastardito dei primi anni del secolo, in cui i primi modelli fecero la loro appari-zione. Oltre al fatto di poter fungere da telefono ed essere un dispo-sitivo continuamente collegato ad internet, in quest’unico libro può essere contenuta una biblioteca di almeno trentamila volumi, e in qualsiasi momento, all’occorrenza, se ne può acquistare uno a poco prezzo semplicemente consultando un catalogo e scaricandolo da internet. Tante persone della generazione precedente erano qualche modo affezionate al libro in qualità di oggetto. Le persone più raffi-nate trovavano molto piacevole leggere un prezioso libro di qualche edizione di lusso tenendolo delicatamente tra le mani; ne apprezza-vano la rilegatura, i caratteri di stampa, talvolta gradivano lo stesso odore della carta. E poi i libri arredavano le pareti della casa. Ma tutto questo rappresentava un enorme spreco di carta che al gior-no d’oggi, in cui le persone leggono molto, non ci si potrebbe più permettere. Tutti possiedono, ad un prezzo irrisorio, una biblioteca virtuale di migliaia di volumi, e, se non possono compiacersi della vista delle pareti di casa arredate dai libri, si consolano pensando che con il risparmio della carta si salvaguarda l’ambiente, che occorre meno lavoro per tutti per produrlo e distribuirlo e che in fondo un libro, più che per il materiale di cui è fatto, vale per il suo contenuto. Allo stesso modo giornali, riviste, periodici, pubblicazioni e tutto quello che si vendeva nelle edicole vengono comodamente scarica-ti dal computer, ad un prezzo irrisorio, da un’edicola virtuale, con grande risparmio di lavoro e di risorse. I muri esterni della casa, come quelli di tutti gli altri edifici, sono ri-coperti da un…prato verticale. Erbe speciali e piante selezionate in modo da non avere radici molto lunghe ed invasive ricoprono uno speciale composto di tre centimetri di spessore il quale funge da iso-lante termico, rendendo l’abitazione più calda in inverno e più fresca in estate. In più conferiscono un aspetto più vivace alla città e pro-fumano e ossigenano l’aria. In primavera, al tempo delle fioriture, per le strade si assiste ad un’incredibile ed incantevole mescolanza di colori e di profumi.

Gli imballaggi sono fortemente tassati e arrivano a costare più del prodotto stesso. Raramente troveremo frutta o verdura che arrivano da molto lontano; c’è solo quella di stagione, la quale è prodotta in località molto prossime alla città e in alcuni casi proviene dai mer-catini in cui si vendono i prodotti in eccesso coltivati per diletto negli orti urbani, i quali tappezzano la periferia della città. La carne non proviene dagli allevamenti. È coltivata in laboratorio, quindi non occorre uccidere animali per procurarsi la loro carne. Si ottiene con l’immersione di mioblasti arricchiti di proteine in una cultura di cellule animali. L’energia occorsa per produrla proviene dal sole e, considerando l’intero ciclo produttivo, è dieci volte inferiore a quella occorrente a produrla con gli allevamenti tradizionali. Non si è dovuta sprecare l’enorme quantità della preziosa acqua occorrente a produrre il mangime per gli animali. In più si è smesso di far indi-rettamente assumere alla gente un sacco di antibiotici che venivano somministrati agli animali e che cominciavano ormai a perdere la loro efficacia dato che in questo modo si selezionavano batteri sem-pre più resistenti. Si è sviluppata tra la gente una forte coscienza animalista; quasi più nessuno oggi gradisce la carne di animale ucciso. Di quest’ultimo tipo di carne, per la verità, se ne consuma ancora, ma a caro prezzo, solo da pochi patiti e solo di animali che sono stati forzatamente ab-battuti nei luoghi in cui era necessario ristabilire l’equilibrio naturale. È scomparsa la bottiglia di plastica dell’acqua minerale. L’acqua del rubinetto è buonissima dal punto di vista della qualità; per quanto riguarda il sapore e l’eventuale aggiunta di anidride carbonica qui, come in ogni casa, c’è un apparecchio che provvede a filtrarla ed eventualmente a renderla frizzante. Così sulle strade non ci sono più le centinaia di autocarri che ogni giorno, inquinando e bruciando risorse, percorrono migliaia di chi-lometri per portare l’acqua da bere da un posto all’altro. Invano cer-chiamo qualche scaffale con dei libri. Di libri, in tutta la casa, ne troviamo solo tre, uno per ogni componente della famiglia. Dalla forma ci appaiono come un libro vero, ma in realtà sono solo un’i-mitazione. Ne apriamo uno. Dietro la copertina troviamo quello che sembra un normale foglio

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Ha un’autonomia di quattrocento chilometri. Introduciamo la no-stra tessera magnetica personale, la quale, oltre a servire come carta di credito per ogni tipo di pagamento, funge anche da documento di identità e da patente. Se la patente non è valida o se si è commes-sa qualche infrazione che ne ha determinato la sospensione, l’auto non parte. Una volta introdotta la tessera un dispositivo elettronico analizza l’alito del conducente per determinare il tasso alcolico pre-sente nel sangue. A seconda del valore riscontrato l’auto ridurrà in proporzione la velocità massima consentita dai limiti di velocità. Un bicchiere di vino è già sufficiente a dimezzarla. Se poi il tasso alco-lico supera una determinata soglia una voce ci prega di cambiare il conducente dell’auto o di riprovare dopo un certo tempo. Con le automobili di oggi è praticamente impossibile avere un incidente. Sulle strade in media vi sono, ogni anno, appena cinquanta morti ogni cento milioni di persone. In un paese come l’Italia o la Francia vuol dire circa due al mese, e questo, all’opinione pubblica, pare ancora troppo. In ogni Paese del mondo si festeggia il primo giorno in cui non vi è stato alcun morto sulle strade. In particolare in Italia questo avvenimento risale a quindici anni fa, ed oggi ne è la appunto ricorrenza: la Festa della Strada. Le automobili di oggi non sono progettate per la velocità, ma per il risparmio, il comfort e la sicurezza. Sono dotate di un sensore che non permette all’auto di avvicinarsi a quella che la precede oltre la distanza di sicurezza; in più frenano automaticamente in caso di ostacoli che si presentino improvvisamente lungo la strada. Tutte quante sono dotate di navigatore, a cui per poter partire, occor-re indicare la destinazione. Questo navigatore risponde ai comandi vocali e ci avverte se durante il tragitto sono presenti degli ostacoli, consigliandoci un itinerario alternativo per evitare un’inutile attesa in coda. Inoltre l’automobile rallenta automaticamente in presenza del cartello stradale che indica il limite di velocità grazie ad un segna-latore elettronico posto sul cartello stesso. Questi limiti non sono fissi, ma variano a seconda delle condizioni del traffico. Così come non è possibile procedere oltre una certa velocità in caso di nebbia, in caso di traffico intenso un sistema computerizzato di controllo rallenta la velocità dei veicoli, evitando così il formarsi di ingorghi,

Il tetto è interamente coperto di quelle che sembrano tegole ma che in realtà sono dei pannelli solari ad alta efficienza. Non è solamente da essi che proviene tutta l’energia: grazie ad una vernice trasparente che ricopre i vetri, la luce del sole viene concentrata e convogliata verso piccole celle solari sistemate nelle cornici delle finestre; la casa produce così, oltre all’energia che le occorre, altra energia che viene immessa nella rete pubblica. Il riscaldamento è assicurato da piccole centrali che servono ogni quartiere. Ve ne sono di diversi tipi. Alcu-ne generano calore dai biogas, altre dall’energia geotermica: grazie ad una sonda verticale a circuito chiuso viene pompata nel sottosuo-lo acqua che risale alla temperatura di 35-40 gradi. Altre, sfruttando i pannelli solari, producono idrogeno, mediante l’elettrolisi dell’acqua. L’idrogeno, immagazzinato in un serbatoio, viene usato come normale gas per il riscaldamento o per cucina-re, per produrre nuovamente elettricità, per l’illuminazione e per alimentare le apparecchiature di casa. In ogni quartiere è presente una biopiscina. Ha un impianto di movimentazione dell’acqua simile a quello delle vecchie piscine, ma depura l’acqua con piante speciali e la mantiene ossigenata grazie a piccole cascate artificiali. Aria pu-lita, traffico scorrevole, energia verde, zero sprechi. Questo è quello che caratterizza la metropoli odierna. Quella che abbiamo visto era una vecchia casa al centro della città, costruita all’inizio del seco-lo, opportunamente riconvertita con le tecnologie per il risparmio energetico. Ora dirigiamoci verso una di recente costruzione. Si tro-va un un’altra nuovissima città, la quale dista da questa poco più di cinquanta chilometri. Usciamo in strada. La prima cosa che notiamo è il gran numero di biciclette. Sono alli-neate lungo ogni strada in lunghe rastrelliere. Sono libere e gratuite. Sono talmente tante che a nessuno passerebbe per la mente di ru-barne una. Non saprebbe che farsene, dato che non si troverebbe nessuno a cui venderla, essendocene così tante a disposizione. Ma a noi serve un’auto. Ne prendiamo una tra quelle incolonnate nelle tante stazioni di ricarica poste nelle strade di fronte agli ingressi di ogni edificio. Come la maggior parte delle auto che circolano nelle città è a due posti, ha un motore elettrico ed in più è interamente ricoperta di pannelli solari.

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Volgiamo ora lo sguardo verso il mare. All’orizzonte si intravedono appena: sono le isole energetiche. Esagoni galleggianti di 250 metri per lato, capaci di produrre 250 megawatt di corrente elettrica, quan-ta ne assorbe una piccola città. L’energia è ottenuta da un sistema di specchi che concentrano i raggi del sole verso la centrale termica posta al centro. Su ogni lato sono poste le pale eoliche che sfruttano il vento. E sotto l’isola un sistema di pompe aspira acqua fredda dal-le profondità marine ed acqua calda dalla superficie, usandole per un ciclo di evaporazione e condensazione che aziona speciali turbine, producendo elettricità e consentendo anche di ottenere acqua dolce. Con la corrente prodotta si ottiene idrogeno, trasportato a terra allo stato liquido. Il sistema è modulabile. Unendo da quattro a otto isole si può ottenere la stessa quantità di energia che produceva una cen-trale nucleare di dimensioni medie agli inizi del secolo. Le vecchie centrali nucleari sono ormai scomparse. Ma fanno ancora sentire il loro effetto. Si è pagato molto e ancora si sta pagando per lo stoc-caggio sicuro delle scorte. Naturalmente sono scomparse anche le centrali a petrolio e a carbone. Passiamo per un piccolo paese posto in riva al mare. Il piccolo porto turistico non è più riparato da due moli; al loro posto vi sono innu-merevoli file di boe galleggianti, che sfruttano l’energia delle onde marine, grazie ad una dinamo posta al loro interno. Esse svolgono principalmente la funzione di frangiflutti. Sono in grado di riparare il porto assorbendo la forza di ondate alte fino a quindici metri. Inoltre, dato che sono ancorate al fondo con dei cavi, evitano di deviare le correnti marine che in molti casi insabbiano i porti ed ero-dono le spiagge. Più al largo, dove le onde sono più alte e regolari, si trovano i serpenti di mare, formati da una lunga sequenza di cilin-dri articolati che nascondono pistoni che convertono l’energia delle onde in elettricità. Ancora più in là, se potessimo vedere il fondo del mare, potremmo scorgervi, saldamente ancorate, delle turbine azionate dalle correnti marine. Proseguiamo il nostro cammino. La zona che ora attraversiamo è particolarmente arida. È il luogo ideale per la torre solare. Questa torre è un enorme camino per la produzione di energia eolica. È situata al centro di un’enorme serra circolare di quattro chilometri

e sulle autostrade, in caso di ostacoli distanti anche molti chilometri, evita alle auto di correre inutilmente per poi trovarsi imbottigliati in lunghe code. Quasi tutti usufruiscono di queste auto pubbliche; pochi ne possiedono una personale ed i più neanche la vorrebbero. I servizi pubblici, inoltre, sono ancora più rapidi ed economici. Bus automatici alimentati a biodisel e ad elettricità, si muovono senza conducente seguendo segnali magnetici disseminati lungo corsie dedicate e controllate da un sistema computerizzato che regola le frequenze delle corse e il traffico. Così ai lati delle strade troviamo pochissime auto parcheggiate. Sono finiti i tempi in cui per muoversi e recarsi al lavoro si era prati-camente costretti a possederne una, la quale costava, da sola, alme-no un quarto dello stipendio, e che veniva adoperata in media per meno di un’ora al giorno e quasi sempre nei momenti di traffico più intenso. Con questo sistema la velocità media del trasporto urbano, sia pubblico che privato, rispetto ai primi anni del secolo, è più che quadruplicata. Per le lunghe distanze c’è il treno a levitazione ma-gnetica; può trasportare quattordicimila persone ad una velocità di duecentocinquanta chilometri orari. All’illuminazione delle strade e dei grandi edifici molto affollati come le stazioni e i grandi magazzini provvedono anche i marciapie-di energetici. Il passaggio dei pedoni fa muovere una serie di bloc-chi sotterranei, che slittano producendo energia come una dinamo. Usciamo dalla vecchia città. Durante il tragitto ammiriamo i nuovi giganti dell’energia verde. Le energie rinnovabili non sono più cosa da poveri sognatori, ma sono ormai passati alla scala industriale. Gigantesche installazioni si ergo-no all’orizzonte. Nella campagna una grande centrale fotovoltaica composta da centinaia di migliaia di pannelli solari copre un’area di decine di ettari. Vi sono anche centrali termiche, in cui il sole tra-sforma un fluido in vapore il quale aziona delle turbine, grazie a cen-tinaia di specchi che concentrano i raggi solari alla sommità di una torre alta centoventi metri. In lontananza, sulle montagne, centinaia di generatori eolici sfruttano l’energia del vento. Ve ne sono an-che nelle zone pianeggianti. Alcuni sono enormi: torri alte come dei palazzi di quaranta piani, hanno centocinquanta metri di diametro.

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alloggi per il personale che ci lavora, ai laboratori per la produzio-ne della carne ottenuta dalla coltivazione delle cellule animali, all’al-levamento degli animali che forniscono il latte. Diversi piani sono adibiti a frutteto; l’ambiente chiuso li protegge da insetti ed animali dannosi senza bisogno di usare pesticidi. Inoltre la torre produce anche acqua potabile che si ottiene dalla condensazione del vapo-re acqueo generato dalla traspirazione delle piante. La diffusione di queste torri si è resa necessaria poiché le terre coltivabili, con l’aumento della popolazione, hanno cominciato ad esaurirsi. La loro diffusione permette anche di recuperare i boschi, che normalmente vengono sacrificati alle coltivazioni, con il risultato di contribuire al raffreddamento del clima, che è iniziato ormai da una decina d’an-ni. Non esistono quasi più i brevetti. La ricerca gestita dai privati è pressoché scomparsa. Vi è un unico ente mondiale di ricerca scientifica, finanziato da tutti gli Stati del mondo, che opera nei vari centri sparsi in tutto il pia-neta. In questo modo si spende meno: si è rivelata più conveniente un’unica ricerca attuata con molti mezzi, che tante piccole ricerche con pochi mezzi. E tutti possono beneficiare dei risultati senza do-ver sostenere i costi dei brevetti. Allo stesso modo vi è un’unica grande agenzia spaziale. La stazione spaziale orbitante è enorme; è diventata una piccola città sospesa nel cielo. È abitata da centinaia di astronauti di tutte le Nazioni. La si può vedere a occhio nudo come un puntino bianco neanche tanto piccolo, nelle notti particolarmen-te chiare e senza luna.

La realizzazione di tutte queste grandi opere, al suo inizio, ha rilan-ciato l’economia e l’occupazione in tutto il mondo; è stato possibile pagarla soprattutto grazie all’enorme quantità di risorse provenienti dallo smantellamento degli eserciti. Le menti dei capi delle Nazioni sono state continuamente influenzate dai Fratelli; in questo modo non ci sono state più guerre. Ovviamente non si sono potuti con-trollare i piccoli gruppi armati, ma l’esercito dell’ONU è intervenuto prontamente e in forze in ogni zona del mondo non appena un fo-colaio di guerra si è manifestato. L’ultima grande guerra venne combattuta nel Medio Oriente, per la

di diametro, all’interno della quale, tra l’altro, si producono ortaggi. All’interno l’aria si riscalda e si dirige verso il camino, creando una veloce corrente ascensionale che fa girare ben trenta turbine eoliche. Al fabbisogno di acqua della serra provvede una vicina torre spremi nebbia. Alta duecento metri, sembra un’enorme vite con la punta rivolta verso il cielo. È costituita da reti di rame ricoperte di plastica tese su una struttura portante. Sfrutta l’umidità dell’aria di mare, catturando le goccioline di vapore acqueo e facendole scivolare fino a terra dove vengono raccolte in appositi serbatoi. Molta energia proviene anche da dove una volta arrivava il petrolio: il golfo Persico. Sul mare centinaia di isolotti artificiali sono intera-mente ricoperti di pannelli solari. Proviene anche dal deserto del Sa-hara, in cui da centinaia di milioni di pannelli solari partono ottomila chilometri di cavi elettrici che raggiungono gli Stati Uniti d’Africa. Abbiamo finalmente raggiunto la nostra città. Da venti anni ormai più della metà della popolazione mondiale vive nelle città. Dall’inizio del secolo, dopo la grande trasformazione, si sono creati molti nuovi agglomerati urbani. Una città-tipo abitata da decine di migliaia di persone è costituita da altissime torri a cer-chi concentrici che lasciano scoperte numerose terrazze dalle quali si affaccia una fitta vegetazione che raccoglie l’acqua piovana. Gli spazi vuoti tra un piano e l’altro agevolano la circolazione dell’aria e il passaggio della luce. Esse sfruttano un lago, per lo più artificiale, come riserva d’acqua e sono autosufficienti dal punto di vista ener-getico, producendo energia rigorosamente rinnovabile. In esse sono presenti uffici, spazi culturali, appartamenti, tutti collegati da spazi comuni nei quali ci si può muovere solamente a piedi. I campi coltivati e le fattorie non sono più al di fuori di queste città, ma al loro interno. Sono nelle fattorie multipiano. Ognuna nutre cinquantamila persone. Alte duecento metri, ripartite su trenta piani, hanno una base di cento metri di diametro. Hanno molti vantaggi: produzioni a ciclo continuo, nessun rischio di perdere il raccolto per il maltempo o i parassiti, minori costi energetici e di trasporto dei prodotti. L’elettricità è fornita alla torre da un enorme pannello solare e da vari generatori eolici posti sulla cima. I vari piani sono adibiti allo stoccaggio dei semi e dei raccolti, agli

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da carne. Il petrolio sarebbe comunque finito prima di poter essere completamente sostituito dalle fonti alternative, ma grazie al model-lo della decrescita sostenibile, che giocoforza tutto il mondo ha do-vuto adottare, oggi la società ha raggiunto una profonda e radicale trasformazione, sia materiale che culturale. Oggi non si producono più beni di consumo costruiti per durare poco, allo scopo di costringere i consumatori ad acquistarne di più. Il fatto che questo meccanismo in passato procurasse lavoro ed oc-cupazione è visto oggi come una curiosa aberrazione del pensiero delle generazioni precedenti. Anche il più sprovveduto oggi sa che produrre – e consumare – un bene futile e destinato a durare poco non è una reale creazione di ricchezza, ma, al contrario, un impove-rimento: dell’ambiente, delle risorse energetiche, nonché del tempo, dato che per produrlo bisogna lavorare. Oggi tutti i beni di consumo sono costruiti per durare; per questo non si trova più merce di scarsa qualità. Dato il limitato numero di varietà per lo stesso prodotto è pressoché scomparsa la pubblicità, la quale, più che un servizio di informazione, per il consumatore aveva sempre rappresentato un costo ed un vero e proprio condizionamento psicologico. Le uni-che forme di pubblicità ammesse sono le sponsorizzazioni. Tutto questo ha fatto sì che una volta terminato il lavoro necessario alla costruzione delle grandi opere, in tutto il mondo fosse necessario lavorare sempre meno. Grazie al basso costo dell’energia proveniente dalle fonti rinnova-bili, nonché alla qualità e quantità della produzione che le moderne macchine ed i robot sono in grado di realizzare, oggi si è arrivati a lavorare in media quattro ore al giorno per quattro giorni alla set-timana. Il lavoro serve per produrre solamente le cose realmente necessarie alla vita materiale, ed è svolto in prevalenza dalle mac-chine, mentre quello umano serve ad assicurare importanti servizi come cultura e sanità. Lo Stato è diventato un grande imprenditore. È finito il sistema degli appalti, fonte di corruzione politica e di ar-ricchimenti illeciti. In quei pochi appalti che rimangono, le aziende appaltatrici devono fornire solide garanzie finanziarie, poiché se vi è il benché minimo ritardo nella consegna del lavoro o questo non viene terminato come stabilito si devono pagare forti penali: si può

liberazione di quelle martoriate terre dalle bande armate dei signori della guerra, degli integralisti pseudo-religiosi e dei trafficanti d’op-pio. Quasi l’intero esercito dell’ONU, formato da più di un milione di uomini, riuscì ad occupare l’intera area ed in soli tre mesi ad an-nientare un nemico molto debole e diviso, il quale, grazie ai cospicui aiuti economici agli abitanti, da tempo non godeva più dell’appog-gio popolare. La stessa cosa accadde in Israele e in Palestina, senza bisogno di sparare un solo colpo. Grazie all’influenza dei Fratelli, gli estremisti israeliani, così come quelli palestinesi, non godevano più dell’appog-gio dei loro governi. Gli aiuti economici e gli investimenti fatti in Palestina per i nuovi impianti ecologici per la produzione di energia pulita fecero il resto. I due Stati ora convivono tranquillamente e addirittura hanno la stessa moneta, la quale è comune a tutti i paesi di quell’area. L’energia che viene oggi prodotta con i nuovi mezzi è sufficiente ad un mondo abitato da nove miliardi di persone. Il sole irraggia sulla Terra in un’ora una quantità di energia pari a quella che tutta la terra consuma in un anno. Praticamente inesauribile. Ma tutto questo non è stata una ragione per produrre più cose. Il primo articolo scritto nelle Costituzioni degli Stati di tutto il mondo dice che non si può consumare più di quanto la natura non possa ricostituire. La ricchezza in passato era intesa come un accumulo di merci; ora lo è di servizi. La crescita demografica mondiale si è arrestata; il benessere, inteso come libertà dai bisogni essenziali, è diffuso in tutto il mondo, e questo è stato il più efficace mezzo di regolazione delle nascite. Certo, se il mondo avesse continuato a svilupparsi nel modo in cui aveva incominciato dall’inizio dell’era industriale, con un’economia dei consumi che bruciava sempre maggiori risorse naturali ed ener-gie non rinnovabili, in un sistema che creava più bisogni di quanti ne soddisfacesse, chissà cosa sarebbe successo. Di sicuro oggi non saremmo e staremmo così. Al ritmo di consumi sempre crescenti non sarebbero bastate le ma-terie prime come il rame, il legno per costruire, né l’acqua occor-rente per produrre l’enorme quantità di foraggio necessario all’al-levamento intensivo di quei mostri che erano diventati gli animali

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no restarci come tutti gli altri nel normale orario. Non osservando queste ed altre severe regole che disciplinano il lavoro parlamentare, un deputato può essere licenziato per giusta causa, nel giro di una settimana, da un’apposita commissione formata da un giudice e da una giuria formata da comuni cittadini estratti a sorte, come in un normale processo. Il parlamentare licenziato non viene sostituito, ed il suo partito rimane con un deputato in meno. Vi è la totale incompatibilità con qualsiasi altra carica sia pubblica che privata. Insomma, i deputati sono dei professionisti che posso-no svolgere solo l’attività di deputato, e questo fa sì che i lavori par-lamentari procedano speditamente. Questo ha garantito la massima cura dei partiti nell’accogliere nelle proprie liste solamente persone che credono veramente nella politica e che prendono questa attività non come un normale lavoro o come un’occasione per arricchirsi, ma come una missione. È infatti molto duro riuscire a sostenere questo tipo di lavoro per tutti i cinque anni della legislatura. Così oggi, a differenza di quello che accadeva agli inizi del secolo, il nu-mero dei parlamentari non è più costituito per metà da imprenditori e manager che ricoprono la carica solo per il loro tornaconto e che continuano tranquillamente a svolgere la loro attività privata. Sono altrettanto rapidi i lavori della giustizia. Grazie al grande nu-mero di lavoratori dello Stato disponibili non ci sono più arretrati burocratici da sistemare nelle cancellerie dei tribunali e così sia la giustizia penale che quella civile opera in tempi che all’inizio del secolo sarebbero parsi fantascienza. Naturalmente tutto ciò è anche merito delle nuove norme che hanno snellito i processi. Tra le nuove norme introdotte da tutti i Paesi c’è quella a tutela della presunzione di innocenza dell’imputato. Oggi chi viene arrestato, ed è incensura-to, non viene messo in prigione con quella che all’inizio del secolo era definita eufemisticamente custodia cautelare. Se si dichiara inno-cente, in attesa del processo soggiorna in speciali strutture, che sono simili a grandi alberghi di lusso, dotati di ogni comfort, dalle quali naturalmente non può uscire né comunicare con l’esterno, ma che comunque non sono neanche lontanamente paragonabili al carcere. In caso di condanna, però, il tempo passato in queste strutture non viene scalato dalla pena, e chi viene riconosciuto colpevole dopo il

arrivare fino alla confisca dei beni dell’azienda e di quelli personali degli amministratori. È in questo modo che lo Stato è diventato proprietario di molte aziende. Non ci sono più i sussidi di disoccupazione, perché non esiste più la disoccupazione. Chi si trova senza lavoro non corre più il rischio di ritrovarsi sul lastrico. Tutti i cittadini, sia uomini che donne, al raggiungimento della maggiore età, dopo aver prestato per sei mesi il servizio civile obbligatorio che ha sostituito il vecchio servizio mi-litare, hanno diritto, nell’attesa di trovare un’occupazione migliore, ad essere assunti dallo Stato, il quale li impiega nei lavori più svaria-ti e nei servizi che fornisce, che vanno dalla pavimentazione delle strade al servizio negli ospedali. Certamente questi lavori non sono tra i più qualificati, per lo più sono di pura e semplice manovalanza; l’orario è più lungo di due ore rispetto a quello degli altri lavoratori e lo stipendio è decisamente più basso. Per questo motivo queste persone sono alla costante ricerca di un’occupazione migliore. Chi non è dipendente dello Stato è soggetto ogni anno ad un controllo nel corso del quale deve dimostrare in che modo si mantiene: un enorme vantaggio per la riscossione delle tasse e la repressione del lavoro nero, nonché per il controllo della criminalità, la quale viene così privata della sua manovalanza, che da sempre è cresciuta grazie alla povertà. Stenterai a crederci, ma il lavoro più duro, anche se molto ben retribuito, è quello del parlamentare. Sono lontani i tempi in cui era fonte di incredibili privilegi. Oggi essere eletto e sedere in Parlamento vuol dire lavorare cinque giorni la settimana, dalle otto del mattino alle sei di sera, senza poter uscire dall’aula; condizione questa simile a quella di un lavoratore dell’inizio del secolo. Non si possono introdurre telefoni privati né computer. Non sono per-messe telefonate private; ogni conversazione telefonica in arrivo e in partenza viene registrata e tenuta a pubblica disposizione. In caso di assenza per malattia, un diverso medico estratto a sorte ogni giorno controlla l’effettivo stato di salute del malato. I giorni di ferie sono solamente quindici all’anno. Solo il Capo del Governo ed i ministri godono di una certa libertà. Ma si tratta pur sempre di una libertà vigilata, poiché quando non sono fuori del Parlamento per qualche incarico istituzionale, devo-

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teatro allo sport, dal suonare musica insieme o più semplicemente alle passeggiate. È il giorno della riflessione e della spiritualità per chi comunque ama la solitudine. Nella mia prima vita avevo scritto che per poter veramente disprezzare il denaro bisogna prima posse-derlo. Certamente è molto difficile vivere in miseria ed essere felici, ma è anche vero che oltre una certa soglia di ricchezza non vi è au-tomaticamente la felicità. Modificherei così il vecchio detto il denaro non dà la felicità con il denaro può anche dare la felicità. Pur non essendo ricchi, tutti godono di una buona sicurezza sociale ed economica. Culturalmente non si esalta più la competizione, ma la solidarietà. L’educazione incomincia dalla scuola e continua sul lavoro, dove non viene premiata l’eccellenza, ma la collaborazione. L’eroe celebrato oggi è quello che non agisce per se stesso met-tendosi in luce, ma lavora modestamente per il gruppo secondo le proprie capacità. “Ad ognuno secondo i propri bisogni, da ognuno secondo le proprie possibilità”. Questo antico motto comunista è quello che meglio sembra oggi definire la società di oggi. Certamente si premia ancora l’eccellenza. La ricerca di essa, come la voglia di emergere, naturale in ogni individuo, non è ostacolata. I migliori meritano un trattamento migliore. I più intelligenti devono guidare gli altri. La competizione seleziona i migliori, a vantaggio di tutti. Ma se uno su mille ce la fa, come diceva una vecchia canzone della fine del ventesimo secolo, è importante che gli altri novecentonovantanove abbiano di che vivere degna-mente. La fine delle ideologie non ha significato la fine delle idee. È questo il comunismo misto al capitalismo cui accennava Dìdele? Una piccola curiosità: non ci sono più posti naturisti. Semplicemente per il mo-tivo che non ce n’è più bisogno. Si incominciò quarant’anni fa con il riservare su ogni spiaggia, per legge, uno spazio appartato dove, chi lo desiderava, poteva spogliarsi completamente. Presto ci si accorse che questo non solo era tollerato dalla maggior parte della gente, ma addirittura conquistava nuovi proseliti. Questi spazi si allargarono sempre più, tanto che oggi si è arrivati al punto che sulle spiagge gli spazi appartati sono riservati a quei pochi tessili intransigenti, i quali non sopportano di dover posare il loro

carcere dovrà pagare il conto; non in denaro, ma, in tanti giorni di la-voro socialmente utile quanti quelli passati nella struttura. Questo fa sì che chi ha commesso un reato e sa che data l’evidenza delle prove verrà certamente punito, preferisca andare direttamente in carcere, patteggiando la pena e risparmiando così alla giustizia tempi lunghi e spese. Lo stesso concetto di pena è molto cambiato. I detenuti pas-sano il loro tempo lavorando obbligatoriamente otto ore al giorno. Ricevono un regolare stipendio, il quale può essere decurtato fino alla metà per rimborsare l’eventuale danno che hanno causato con il loro reato. Questa si è rivelata la migliore soluzione per il reale recupero sociale dei detenuti. La giustizia è certamente migliorata, nel suo complesso, in questi ultimi decenni. È più giusta. Un piccolo esempio: le multe sono proporzionate al reddito. Infatti, la stessa cifra uguale per tutti da pagare da parte di chi commette un’infrazio-ne, è palesemente un’ingiustizia. La multa non è un rimborso spese, ma una pena; la stessa cifra può essere un’enormità per il povero ed un’inezia per il ricco. Oggi si lavora fino all’età di settanta anni, poiché l’aspettativa di vita è arrivata a novantacinque. Ma il fatto di lavorare così a lungo sembra non spiacere quasi a nessuno. La gente oggi ha un’enormità di tempo libero, dato che la maggior parte del lavoro viene svolto dalle macchine e dai computer. Tutti i giorni sono lavorativi; si lavora a rotazione quattro giorni su sette, in turni di quattro ore distribuiti per lo più dalle otto del mattino alle otto di sera. In questo modo, si garantisce un razionale sfruttamento degli impianti industriali ed il funzionamento dei servizi per tutto l’arco della giornata e i giorni della settimana. Rispetto agli inizi del secolo è enormemente aumentato il numero delle persone che legge libri o che impara per diletto a suonare uno strumento musicale. Nonostante questo, ormai in tutto il mondo, vi è un giorno della settimana in cui, a parte i quattro telegiornali, non vengono trasmessi i programmi televisivi. Questo giorno varia da luogo a luogo. Nella maggior parte del mondo è la domenica, nei paesi a maggioranza musulmana il venerdì, il sabato nel piccolo stato di Israele. È il giorno della socialità, per chi nel tempo libero esce di casa allo scopo di ritrovarsi insieme nelle più svariate attività, che vanno dal

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Diciasettesima lettera

Briançon, 15 marzo 2055

Sono disteso sul mio letto. Il veleno sta cominciando ad agire. Sono stordito. Il respiro si fa sempre più faticoso e debole. Mi rendo con-to che si sta approssimando la fine. Poi il pensiero della morte. Della mia morte. Sto morendo! All’improvviso la paura. Ho paura. No, non voglio morire! Perché l’ho fatto? La paura mi dà forza. La forza di alzarmi, di prendere la sfera, di appoggiarmela sulla fronte. Non mi importa dove finirò, non voglio morire! Lo stordimento si fa più intenso mentre la sfera registra i miei ricordi.

Devo essere riuscito a fare in tempo ad appoggiarla sul computer e a trasmettere i dati, altrimenti non potrei trovarmi qui.

Poi apro gli occhi e vedo l’azzurro del cielo. Sento il rumore delle onde del mare che si infrangono sulla riva. Sono supino. Mi alzo in piedi. Sono completamente nudo. Mi guardo intorno. Riconosco il luogo: sono a Le Porge. Ma il tratto di arenile è enormemente più ristretto rispetto alle altre volte. Il livello del mare sembra essersi alzato. Continuo a guardarmi intorno. In lontananza scorgo altre due persone nude. Mi sembrano un uomo e una donna. Odo voci di bambini. Mi volto. Due bambini si rincorrono giocando e assieme ad un uomo ed una donna vengono nella mia direzione. Come la pri-ma volta, penso ancora. No, non è come la prima volta. Non sono

sguardo sui dei corpi nudi e possono così sbizzarrirsi a fare il bagno vestiti come più li aggrada, anche in abito da sera, all’occorrenza.

Vorrei potermi dilungare ancora nella descrizione di molte cose, che vanno dall’abolizione del celibato per i preti cattolici alle adozioni degli orfani a sorteggio affinché tutti abbiano le stesse possibilità; dai progressi della medicina che si sta sempre più evolvendo verso la cura delle malattie mediante la genetica alle visite mediche di pre-venzione gratuite ed obbligatorie per tutti, le quali hanno diminu-ito drasticamente il numero di molte malattie; dallo sviluppo delle nanotecnologie alla produzione delle bioplastiche. Ma non c’è più tempo. Da qualche anno Arual è già tornata sulla sua Terra. Io non la seguirò. Ho preso la mia decisione. Sento che le forze stanno in-cominciando ad abbandonarmi. Lentamente il veleno sta iniziando a fare il suo effetto. Già un piacevole torpore mi pervade. Ho già riversato tutte le mie lettere nel computer. Le ho inviate per posta elettronica al Fratello che sta nel monastero di Ganden. Anche per lui si sta approssimando la fine; spero che tra le riflessioni contenute in questi miei scritti possa trovare qualcosa che lo conforti e, se non la conferma della sua fede nella metempsicosi, almeno quella dell’e-sistenza dell’anima.

Cosa mi resta dopo tutto questo tempo? Mi trovo in possesso di quattro o cinque verità, sbarazzato di un centinaio di errori e carico di un migliaio di dubbi. A questo è servito vivere nuove vite? Non ce la faccio più a scrivere. Devo abbandonarti qui, caro e sconosciuto lettore. Chissà se tutto quello che ho scritto ti servirà mai a qualcosa o servirà a qualcuno.

Tra non molto mi troverò di fronte all’eternità. Oppure di fronte al nulla.

Addio.

Dubium sapientiae initium.Il dubbio è l’inizio della sapienza

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« Comunque questo posto ora è destinato agli immigrati. Questi sono musulmani. Avete avuto un bel coraggio a mettervi nudi sulla loro spiaggia. Basta poco a farli incazzare » disse ancora l’altro. « Avete? Chi erano gli altri? » chiesi io. « Vuoi dire che non li conoscevi? Chissà se è vero. Forse vuoi copri-re i tuoi amici. Ma non preoccuparti. Anche se sono riusciti a scap-pare li prendiamo lo stesso. Qualche giorno al fresco ti farà tornare la memoria ».In quel momento udii una voce che ben conoscevo. Non con le orecchie. Ma dentro la mia mente. Era Dìdele che mi diceva:« Non preoccuparti François, ci sono io qui vicino a te ». Pensai di essere uscito di senno. « No, non sei pazzo. Possiamo parlarci anche senza vederci » prose-guì la voce. Pensai ancora che non ero in grado di parlare in questo modo. « Puoi farlo anche tu. È sufficiente immaginare di trovarti di fronte a me e di parlarmi » continuò l’amata voce. Mi sforzai di farlo e dissi: « Dove sei? ».« Sono qui vicino. Io e il dottor Krast siamo arrivati insieme a te. Sul-la spiaggia non sono riusciti a catturarci. Siamo qui per aiutarti, ma non possiamo agire subito. Devi avere pazienza. Molta pazienza. ».« Cosa devo fare? ».« Nulla. Quando ti interrogheranno fingi di aver perso la memoria. Vedrai che in un modo o nell’altro riusciremo a tirarti fuori ».« Ma perché ora riesco a sentirti? ».« Il tuo corpo è stato clonato con un cervello simile al nostro. Ora anche tu possiedi poteri telepatici, anche se devi ancora imparare ad usarli. Un’altra cosa: pensa alle lettere che hai scritto…».La voce sembrò interrompersi improvvisamente. Cosa era succes-so? Nella mia mente cercavo di visualizzare l’immagine di Dìdele, ma per quanto nitido mi apparisse il suo volto, ora non riuscivo più ad udire la sua voce. Presto mi convinsi che quello che mi era ac-caduto non fosse reale. Il desiderio di rivedere Dìdele, la paura per quello che sarebbe potuto succedermi, non ultimo lo stordimento causato dalle botte che avevo preso, avevano certamente contribuito a farmi sembrare vero quello che altro non era che l’opera della mia

nudi. Sono completamente vestiti, la donna ha una lunga gonna che arriva fino ai piedi e addirittura porta un velo. Quando mi vede si ferma, richiama i bambini, torna indietro. L’uomo ha incominciato a gridare, agita il braccio con fare minaccioso. Parla una lingua in-comprensibile. Si è avvicinato. Continua a gridare. Ha cominciato a strattonarmi. Mi prende a schiaffi. Mi riparo come posso. Scappo nella direzione in cui è andata la donna. Altri uomini mi vengono incontro e mi sbarrano la strada. Una parte di essi corre verso le due persone che avevo scorto in lontananza. Corro a più non posso, ma mi raggiungono, sono su di me. Calci, pugni, cado a terra.

Questi i primi e confusi ricordi della mia ultima vita.

Le persone che mi avevano malmenato mi costrinsero a rimanere a terra fino a che qualcuno non mi buttò addosso una coperta. Dopo di che mi fecero rialzare e mi spinsero verso il boschetto di pini marittimi che delimitavano la spiaggia. Dopo averlo attraversato, ri-conobbi a stento quello che era stato il sito naturista di Le Porge. Acqua stagnante sul fondo di una grande buca che una volta era stata la piscina; più in là rimanevano solo alcuni pali arrugginiti che delimitavano quelli che erano stati i campi da tennis ora interamente invasi dalle erbacce. Era popolato da molta gente, ma nessuno sem-brava certo trovarsi lì per il proprio diletto. Le strade erano alquanto rovinate e in alcuni tratti invase dai rovi. Dai panni stesi al di fuori delle casette di legno ormai in rovina si intuiva facilmente come queste fossero abitate da povera gente e non certo da ricchi turisti in vacanza. Dall’abbigliamento delle persone, poi, sembrava di tro-varsi in un paese del medio oriente. Dopo circa mezz’ora arrivarono due gendarmi. Mi ammanettarono, mi fecero salire sull’auto e mi portarono al posto di polizia. Durante il viaggio li sentii parlare in francese. Chiesi loro dove ci trovavamo. Mi risposero ed ebbi così la conferma di trovarmi a Le Porge. Chiesi loro che ne era stato del posto naturista. « Naturista? Cosa vuol dire? » disse uno dei due gendarmi. « Qui una volta stavano tutti nudi, mio nonno se lo ricorda ancora » intervenne l’altro.

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andate diversamente. In questo universo forse non c’erano mai stati i Fratelli; forse Dìdele, il dottor Krast, Minisino, Krysts e Arual non erano mai esistiti. Oppure c’erano stati, ma avevano fallito nel loro intento. Mi piaceva pensare al fatto che Dìdele ed il dottor Krast mi avessero veramente seguito. Ma non riuscii più a udirne la voce, tan-to meno a vederli in qualche modo. Perciò mi convinsi sempre più che tutto fosse accaduto unicamente a causa della mia suggestione.

Il periodo trascorso in carcere non fu certamente piacevole. Ma si potevano leggere libri e si poteva parlare con gli altri. Ebbi così modo di conoscere, seppur sommariamente, quello che era successo negli ultimi decenni nel mondo che stava fuori.

La notizia più agghiacciante che appresi, anche se in fondo non mi stupì affatto, fu questa: all’inizio degli anni venti di questo secolo, un virus di origine sconosciuta proveniente dal Brasile scatenò un’e-pidemia che rapidamente si diffuse per tutto il pianeta prima che si fosse trovato il vaccino che ne arrestasse la diffusione. A questo si aggiunse la sempre maggiore inefficacia degli antibiotici, l’abuso dei quali, nell’allevamento degli animali e nelle cure mediche, nel cor-so degli anni aveva selezionato ceppi di virus sempre più resistenti, facendo ricomparire malattie ed epidemie che erano scomparse da molti anni. La popolazione mondiale si era così ridotta a cinque miliardi; le vittime erano state in maggior parte tra le popolazioni più povere dell’Asia e dell’Africa. Il mondo si era ripreso, ma il suo centro non era più l’Occidente. I nuovi padroni ora erano Cina e India. L’eco-nomia mondiale gravitava attorno a questi due paesi. Avevano da tempo colonizzato l’Africa, traendone ricchezze naturali e materie prime. L’economia del vecchio Occidente rivestiva ancora una certa importanza, ma ricopriva comunque un ruolo sempre più margina-le. Dall’inizio del secolo gli Stati Uniti d’America, che erano sempre stati il gendarme del mondo, avevano dovuto gradualmente abban-donare questo ruolo, dato che non potevano più permettersi le folli spese militari che ne avevano da sempre assicurato la supremazia. Si erano notevolmente impoveriti, assieme all’Europa, a causa della

disperata immaginazione. Decisi comunque di seguire il consiglio della voce. Non avevo altra scelta. Durante l’interrogatorio recitai la parte dello smemorato. Ciò per cui ero stato denunciato, atti osceni, in fondo era poca cosa; ma non avevo documenti con me e non dichiaravo il mio nome. Per questo la mia posizione si aggravò ed il normale fermo di polizia si tramutò in arresto per immigrazione clandestina. Il processo si concluse con la condanna ad un anno. Visto che affermavo di non ricordare la mia identità, al termine del-la pena avrei dovuto essere internato in un ospedale psichiatrico e restarci fino a quando non fossi stato dichiarato non più socialmente pericoloso.

Caro e sconosciuto lettore, avrai capito anche tu che nella mia pre-cedente vita la paura di morire alla fine aveva preso il sopravvento. Mi vergogno un po’ per questo. Ma nello stesso tempo mi sento in qualche modo giustificato. È sempre difficile affrontare la morte. Anche soltanto con le parole. Forse si può argomentare un po’ su di essa con chi è giovane, tanto sembra sempre così lontana… Nell’età matura le cose incominciano a cambiare; le persone care cominciano a lasciarci, e andando avanti, come in una colonna di soldati che in una battaglia del diciottesimo secolo avanza ordina-tamente sotto il fuoco nemico, le persone intorno a te cominciano a cadere sempre più frequentemente mentre la morte continua ad aggiustare il tiro. Ogni volta speri che il prossimo colpo non sia de-stinato a te. Nei discorsi si ostenta perciò una sorta di rassegnazione, una specie di illuminata saggezza sull’ineluttabilità della nostra sorte, mentre in cuor nostro pensiamo che il nostro momento in fondo è ancora lontano. Si evita poi assolutamente di parlare della morte con le persone an-ziane. Non è solo una questione di buon gusto, il non voler parlare di corda in casa dell’impiccato: quello che ci spaventa è l’evidenza dell’ineluttabilità della morte, del tempo che è un predatore che pri-ma o poi ci prenderà. Avevo disperatamente cercato di sopravvivere, trasferendo i miei ricordi nella sfera. Ci ero riuscito appena in tempo, ma, come mi era stato preannunciato, il ritorno era avvenuto in un universo parallelo. E in questo universo le cose evidentemente erano

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comunque molto elevati per il pianeta. E molto elevati rimanevano anche l’inquinamento e i danni all’ambiente. Così il vero problema che attanaglia il mondo, oggi, è un altro: il cli-ma. Il clima era sempre stata una scomoda verità che comportava la necessità di un costoso cambiamento delle tecnologie. Ma si preferì obbedire alle leggi del mercato anziché a quelle del buon senso. Ne-gli anni venti il pianeta si trovava ad un bivio. Negli ultimi due secoli le emissioni di anidride carbonica erano aumentate in maniera espo-nenziale: tutto questo sembrava normale, una scelta obbligata. Era il costo del benessere. Ma i politici, che avrebbero dovuto ragionare su una prospettiva di tempo molto lunga, preferirono non spingersi mai oltre gli interessi che riguardavano lo spazio di una legislatura. L’economia del petrolio, che sembrava inesorabilmente avviata ver-so la sua fine, ebbe un inaspettato sussulto di vita. Grazie al riscaldamento globale l’Oceano Artico rimase libero dai ghiacci per sei mesi all’anno; venne aperto il mitico passaggio a nord-ovest. Ciò determinò un incremento della produzione del pe-trolio; costava meno trasportarlo ed in più si aprirono ulteriori spazi per nuove trivellazioni. Le tecnologie alternative per la produzione di energia rinnovabili e pulite, grazie alla Cina e all’India, si erano no-tevolmente sviluppate, ma non in maniera sufficiente da soppiantare il petrolio; non erano economicamente vantaggiose e in ogni caso da sole non avrebbero mai potuto sostenere un’economia consumista. Così nel mondo il novanta per cento dell’energia era prodotta da combustibili fossili.

Questo determinò l’innalzamento di un grado della temperatura media del pianeta. L’Inghilterra fu favorita. Grazie al nuovo clima si trovò in una posizione favorevole. Vennero introdotte molte nuove colture; incominciò addirittura la produzione della vite. Furono favoriti anche i paesi che stavano ai piedi delle Alpi. Nella pianura padana cominciò a svilupparsi la coltivazione dell’olivo. Ma furono gli unici benefici. Uragani sempre più potenti cominciarono ad abbattersi sull’oceano Atlantico meridionale. Una grande siccità negli Stati Uniti provocò una grave crisi nel mercato mondiale del grano e dalla carne.

scomparsa della classe media, la quale era sempre stata l’ossatura dell’economia del benessere. Tutti e due avevano dovuto sottostare alle leggi del mercato, che il potere politico non era mai riuscito a controllare, e per le quali il progresso e la crescita economica dipen-devano sempre più da quanta manodopera si riusciva ad eliminare. Come i medici del mio tempo, che uccidevano letteralmente i loro pazienti quando, per ignoranza, continuavano a praticare salassi quando in realtà ci sarebbe stato bisogno di una trasfusione di san-gue, i guru dell’economia avevano continuato a puntare sulla com-petitività e sulla riduzione del costo del lavoro con i licenziamenti e il precariato, pensando in tal modo di far ripartire l’economia. Ma l’impoverimento della popolazione e il sempre crescente numero dei disoccupati annullavano ogni beneficio, poiché in questo modo diminuivano sempre più anche i consumatori, e quindi la domanda, innescando così un circolo vizioso. Nonostante l’evidenza si conti-nuò a salassare. Il tutto era iniziato già dagli anni dieci, quando, in seguito ad una gravissima crisi finanziaria, i governi dell’Occidente imposero misure drastiche per la riduzione del loro debito pubbli-co. Forse sarebbe stato il caso di accordarsi per mantenerlo ancora così alto per un po’, se non addirittura di alzarlo ulteriormente, per distribuire reddito e creare domanda, dando in tal modo linfa vitale a un’economia dissanguata. Si sarebbero dovuti tassare i grandi pa-trimoni, imporre delle regole più severe per limitare la speculazione finanziaria: ma si continuò a tagliare servizi e a licenziare. Era l’inizio del declino dell’Occidente. Presto l’Europa e l’America divennero due continenti le cui condi-zioni degli abitanti assomigliavano a quelle di un paese sudameri-cano del ventesimo secolo: pochi ricchi, anzi ricchissimi e tantissi-mi poveri, senza alcuna prospettiva per il futuro. Nonostante tutto ciò erano ancora sotto la pressione dell’immigrazione da parte dei Paesi più poveri, e nello stesso tempo erano costretti a subire una continua fuga dei cervelli verso l’Oriente. In quel periodo, parlare di decrescita, equivaleva a pronunciare una bestemmia. L’economia, per i pochi Paesi ricchi, aveva continuato a basarsi sulla crescita. La ridu-zione della popolazione mondiale aveva permesso di ridurre note-volmente il fabbisogno di materie prime, ma i consumi erano rimasti

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il Paese con cui commerciava. Ma tutti ebbero qualcosa da perdere.

Ormai i luoghi fertili rimasti sono nel nord del mondo. I luoghi più vivibili sono diventati i Paesi scandinavi. I Paesi ricchi sono diventati delle fortezze assediate dalle popolazioni più povere del pianeta, da cui proviene la manodopera a bassissimo prezzo che coltiva i campi e svolge i lavori più umili. A questi Paesi va la produzione di servizi e la finanza mondiale; a quelli poveri le fabbriche inquinanti per le produzioni che più degradano l’ambiente. La generazione che all’inizio del millennio era giovane, e che ora è invecchiata, è sempre vissuta in una relativa povertà, dovuta alla pre-carietà del lavoro; si appresta ora a vivere una vecchiaia ancora più povera, dato che l’ammontare medio delle pensioni, per quei pochi che sono riusciti ad averne una, nel corso degli anni si è progressiva-mente ridotto. I ricchi hanno continuato ad essere sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Generazione vissuta senza ideali e senza speranze. Quale differenza con quella precedente! Non ha mai conosciuto né mai conoscerà i lussi come quelli di avere un posto di lavoro fisso ed una pensione dignitosa.

Oggi la temperatura media si è alzata ancora di un grado, innescan-do così un circolo vizioso che più nessuno sembra in grado arresta-re. Per tutta l’estate l’artico è privo di ghiaccio. Sulle Alpi non nevi-ca più. La siccità flagella tutti i paesi del mediterraneo meridionale. Ogni anno in Europa ci sono almeno trentamila morti a causa del caldo. La foresta pluviale amazzonica si sta seccando. Ciò favorisce gli incendi che distruggono sempre più alberi i quali producono la metà dell’acqua necessaria alle precipitazioni. La perdita in questo modo di una consistente parte di foresta plu-viale determina il rilascio di centinaia di migliaia di tonnellate di ani-dride carbonica, causando un ulteriore aumento della temperatura. Di tutto ciò sono stati responsabili tutti. Dopo Kyoto, nel lontano 1997 ci si era impegnati a ridurre le emissioni di anidride carbonica del cinque per cento. Nel 2012 invece erano aumentate. Nel 2009 a Copenhagen si propose di ridurle del cinquanta percento entro il 2050. Così non è avvenuto.

Disordini simili a quelli innescati dall’aumento della povertà che all’inizio del secolo avevano rovesciato alcuni regimi dittatoriali dell’Africa settentrionale cominciarono a manifestarsi in molte par-ti del mondo. Si chiedeva maggior benessere, e maggior benessere voleva dire maggior sviluppo. Questo fece passare in secondo piano il problema del clima. La gente era tranquillizzata dal fatto che, in-contestabilmente, la Terra aveva già vissuto numerosi cambiamenti climatici. E la terra e la vita, bene o male, erano ancora lì. Questo indubbia-mente era vero, ma ci si scordava di considerare il fatto che questi cambiamenti erano avvenuti in migliaia, se non in milioni di anni. Ora invece avvenivano in pochi decenni e molte specie animali e vegetali non ce la facevano ad evolversi e ad adeguarsi di pari passo.

Un vento di democrazia sembrava incominciare a spirare per il mon-do, dopo che le sollevazioni popolari in Cina, sulla scia di quello che era avvenuto anni prima nel nord dell’Africa, avevano costretto le autorità a concedere molta più libertà e riforme. Ma la libertà e la democrazia ormai erano diventati argomenti di importanza secon-daria. Un fatto molto grave era accaduto: la temperatura media del pianeta si era alzata di un altro grado. Scomparvero i ghiacci della Groenlandia. Gli orsi polari si estinsero. Vi furono grandi migrazio-ni di insetti che causarono gravi problemi alle coltivazioni. Lo sfaldamento dei sistemi naturali presenti negli oceani per l’assor-bimento dell’anidride carbonica innalzò sempre più il livello di aci-dità dell’acqua. Molte specie di coralli e di creature vegetali marine scomparvero. A causa dello scioglimento dei ghiacci vi fu un innal-zamento del livello del mare. Questo fu il punto di non ritorno. Mol-te isole coralline scomparvero e le città costiere di tutto il mondo cominciarono ad essere invase dall’acqua. La rapida desertificazione di molti luoghi della terra minacciava di innescare flussi migratori di proporzioni inimmaginabili.Cominciarono a crearsi in tutto il mondo enormi tensioni per la spartizione delle risorse. Ci furono pericolose tensioni internazio-nali tra Cina, India e Stati Uniti. La guerra fu evitata, grazie alla globalizzazione: nessuno aveva interesse ad aprire le ostilità contro

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Caro e sconosciuto lettore, dovrei essere contento di essere final-mente libero, ma in fondo non lo sono. Non so dove andare. Sono solo, in questo triste mondo. Aver udito Dìdele è stata solo una suggestione. Sono stato proiettato in un universo parallelo dal quale probabilmente non potrò più uscire e questo mondo non mi pare certo il migliore dei mondi possibili. Dovrò cavarmela da solo e non so se ci riuscirò; padroneggio agevolmente tre lingue, oltre al greco antico ed il latino, ho una discreta cultura classica e scientifica e so scrivere, ma in questo momento me ne è passata la voglia. La cosa che mi dispiace in questa situazione è il fatto di aver perso le mie lettere. Ci avrei volentieri aggiunto questa che sto terminando di scrivere. Fisicamente sono giovane, ma nello spirito mi sento già vecchio; cosa potrà mai riservarmi la vita in un mondo come questo? E so-prattutto: cosa farò senza Dìdele ed i miei amici?

Senilis iuventa praematurae mortis signum (Plinio).Esser vecchi da giovani è indizio di morte prematura.

Già allora né la Cina né gli Stati Uniti vollero fare il primo passo. Anche se il livello medio di vita in tutto il mondo si è abbassato e la produzione mondiale è drasticamente scesa, nessuno sa se mai si sarà in grado di arrestare il meccanismo che provoca il riscalda-mento globale. Sembra che la temperatura sia destinata a salire di un grado nei prossimi quindici anni. Se così sarà si arriverà a più di quattro gradi rispetto all’inizio del secolo. Gli oceani si solleveranno sommergendo i delta dei grandi fiumi nei quali vive un miliardo di persone. Il Bangladesh verrà spazzato via, l’Egitto sarà inondato, Venezia sommersa. In compenso il Canada diventerà una delle zone più fertili del pianeta. E se la temperatura salisse ulteriormente di un grado le falde acquifere alimentati dal-le nevi degli ultimi ghiacciai rimasti sull’Himalaya e sulle Ande si prosciugherebbero, e gli abitanti delle più grandi città del mondo sarebbero costrette a emigrare, causando ancora milioni e milioni di profughi. Sarebbe la fine della vita negli oceani, e probabilmente anche sulla terra.

Da un anno mi trovo nel manicomio di Briançon. È stato ricava-to da una vecchia caserma di fanteria, da tempo dismessa, che si trovava al centro della città. L’edificio è fatiscente, le camere sono quasi prive di arredi. In inverno sono poco riscaldate, spesso sono fredde. Il vitto lascia molto a desiderare. Ma di questi tempi non si può chiedere di meglio. Lo Stato non può spendere molto per i cittadini normali, figuriamoci per i matti. Ma è pur sempre meglio del carcere. Qui godo di una relativa libertà di movimento, seppur nella ristretta area del manicomio. Da subito ho guadagnato la fidu-cia dell’unico medico e dei pochi infermieri, con i quali intrattengo rapporti cordiali e mi dilungo spesso in piacevoli conversazioni. Si stupiscono del fatto che io sia ritenuto pazzo; credo che in fondo abbiano capito che la perdita di memoria che lamento in realtà non sia altro che una scusa per nascondere qualcos’altro. Oggi mi han-no comunicato che, dato che manifestamente ho dimostrato di non essere pericoloso, sono stato giudicato guarito. Presto, al massimo tra un mese, dallo Stato Francese mi saranno forniti i documenti per una nuova identità e potrò finalmente uscire da qui.

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La disponibilità di manodopera non mancava. La povertà era dif-fusa, e si trovavano facilmente molti disperati come me disposti a svolgere un lavoro duro per guadagnare anche solo un tozzo di pane. Ricordo ancora il senso di desolazione che provai quando vidi nuovamente il colle del Monginevro. Qui ero stato diverse volte e sempre in questo luogo avevo imparato a sciare. I boschi che lo cir-condavano erano scomparsi e sulle pendici dei monti, in lontananza, si intravedevano tanti puntini scuri. Erano i ceppi degli alberi che erano stati tagliati. In mezzo ai puntini si intravedevano ancora i pali arrugginiti che tanti anni prima avevano sorretto i fili degli impianti di risalita, i quali, data la mancanza di neve dovuta al riscaldamento del clima, avevano da molto tempo chiuso i battenti. Il confine con l’Italia, sorvegliato da guardie armate, era marcato da una doppia fila di reticolati che correvano da un versante all’altro del colle sbarran-do la strada. L’unione dell’Europa si era ridotta a tre Stati: Germania, Francia e Inghilterra. Era quel che restava del sogno di una unione che all’ini-zio di questo secolo aveva infiammato gli animi, miseramente fallita perché tenuta insieme soltanto da interessi economici e non da veri ideali di fratellanza tra i popoli. La notte alloggiavamo in vecchie case molto malandate che una volta erano state le case per le vacan-ze. Io abitavo, assieme ad altri tre piantatori, in quel che restava di un condominio costruito nella seconda metà del ventesimo secolo. Nonostante ci fossero altre case meno vecchie e più confortevoli, eravamo costretti a rimanere in quelle come questa, perché erano tra le poche dotate di una canna fumaria. C’erano elettricità ed acqua corrente, ma mancava il riscaldamento. A duemila metri di altezza le notti erano gelide anche in estate ed il caminetto e la stufa rappre-sentavano l’unico rimedio al freddo notturno. Sull’entrata si vedeva ancora il cartello sbiadito che riportava il nome alla casa: Les melezes, i larici. Una sera, mentre con i miei compagni di lavoro ero seduto accanto al fuoco, udii nella mia mente la voce di Dìdele che diceva: « François, dove sei? ».« Sono qui! » risposi ad alta voce. I miei compagni mi guardarono stupiti. Udii nuovamente la voce che

Diciottesima lettera

Monginevro, 20 aprile 2055

Circa un mese fa, essendo stato riconosciuto non socialmente pericoloso, venni dimesso dal manicomio di Briançon. Oltre che a fornirmi un’identità lo Stato mi offrì un’opportunità di lavoro. Dato che non sapevo dove andare e non possedevo denaro, non potei fare altro che accettare. Il lavoro non era dei più leggeri. Consisteva nel piantare degli alberi. Il luogo dove si svolgeva questa attività era in montagna, sul colle del Monginevro, al confine con l’Italia. Negli anni precedenti le montagne che circondavano questa splendida conca erano state disboscate e totalmente depredate degli alberi che le ricoprivano. Le conseguenze non si fecero attendere: frane e smottamenti causati dalle piogge invernali, le quali avevano reso quasi impraticabili le strade e minacciato i centri abitati. Ora si cercava di correre ai ripari, ma il lavoro era imponente. Tutto veniva svolto con pochi mezzi. Ci si incamminava la mattina con una pala, un piccone e, dato che si veniva pagati in base al numero degli alberi che venivano piantati, ci si caricava di quanti più si riusciva a portarne. Il tutto assieme a un po’ d’acqua e qualcosa da mangiare nello zaino. Si saliva a piedi, talvolta anche per più di due ore, fino al punto in cui si sarebbero scavate le buche nelle quali sarebbero stati messi a dimora gli albe-relli. Si eseguiva il lavoro, poi si scendeva nuovamente al colle e, chi ce la faceva, ripeteva la stessa operazione nel pomeriggio.

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sato una vita intera senza di lei, ed ora tutto mi pareva come prima. « Perché mi avete seguito nel ritorno? » chiesi. « Quando sulla nostra Terra sono giunti i tuoi ricordi, li abbiamo esaminati, ed abbiamo visto che avresti voluto vivere un’altra vita. Ma, a causa dell’esplosione della supernova, non sapevamo se il tuo nuovo corpo sarebbe giunto correttamente sulla tua Terra e non ce la siamo sentita di lasciarti solo. E vedo che abbiamo fatto bene. In questo universo parallelo questo schifo di mondo pare proprio de-stinato a finire molto presto. Non abbiamo molto tempo: dobbiamo tornare indietro al più presto ».« E come faremo? È possibile ritornare nell’universo da cui sono arrivato? » chiesi ancora. « Sì, la strada dell’andata è la stessa del ritorno. È ancora possibi-le far viaggiare i nostri ricordi verso il mio pianeta nell’universo in cui eravamo, ma ci resta pochissimo tempo e dovremo disporre di sufficiente energia per la corretta trasmissione dei dati. Dovremo anche trasmetterli dal medesimo posto in cui siamo arrivati, a Le Porge. Il campo gravitazionale è in continuo mutamento e anche un solo giorno di ritardo potrebbe essere determinante a precluderci un corretto rientro. Ho già pronte tre sfere e un trasmettitore » disse il dottor Krast. « Ora dobbiamo andare. Fra tre giorni saremo di ritorno. A propo-sito, hai riscritto le tue lettere? » disse Dìdele.« No. E come avrei potuto fare? Di certo non potevo ricordamele per filo e per segno. E poi, a quale scopo? Erano cose che scrivevo in momenti particolari, in particolari stati d’animo » risposi. E aggiunsi: « Ci siamo rivisti dopo una vita e già te ne vai un’altra volta? » « Non avere fretta, François. È solo questione di tre giorni: abbiamo già trovato la fonte di energia per la trasmissione dei dati; dobbiamo solo attrezzarci per riuscire a sfruttarla. Per quanto riguarda le lette-re, ti ricordi quel che ti dissi allora, durante la prima comunicazione telepatica? Pensa alle tue lettere! ».« Sì, mi ricordo. Ma non avevo capito il senso della frase. Cosa in-tendevi? ».« Intendevo esattamente quel che ho detto e che ti dico ancora:

ripeteva la domanda. Allora mi sforzai di rispondere mentalmente: « Sono qui ».« Qui dove? ».« Al Monginevro ».« Anche noi siamo al Monginevro. In quale casa? ».« In quella chiamata Les melezes, sul versante nord. « Tra poco saremo da te ».Credevo di essere impazzito. Forse lo sconforto, la stanchezza o chissà cosa mi stavano giocando nuovamente un brutto tiro. Eppu-re la voce nella mia mente mi era parsa reale, come la prima volta. Continuavo ad essere assorto in questi pensieri quando udii bussare. Ebbi un tonfo al cuore. Mi precipitai alla porta e quando l’aprii li vidi. La vidi. Era lei, la mia Dìdele, e dietro di lei il Dottor Krast. Rimanemmo a guardarci per qualche secondo, poi ci gettammo l’u-no tra le braccia dell’altro. « Allora è vero, eravate voi quel giorno sulla spiaggia di Le Porge! » esclamai. « Sì, ma abbiamo dovuto fuggire per non essere presi. Poi ci siamo nascosti e siamo riusciti a rubare dei vestiti che erano stesi ad asciu-gare. Quando sono riuscita a mettermi in contatto telepatico con te, ti stavano portando via e ad un certo punto eri troppo lontano ed il contatto si è interrotto. Non potevamo seguirti, tanto meno cercarti. Eravamo inseguiti e dovevamo fuggire per evitare di essere catturati. Avevamo bisogno di denaro per mangiare e per trovare un posto dove ripararci. Così abbiamo dovuto rubare, anche più di una volta e cambiare continuamente di posto, fino a che, dopo un bel po’ di tempo, il dottor Krast è finalmente riuscito a procurarsi il materiale necessario per fabbricare l’occorrente per entrare nei vari sistemi informatici. Così siamo riusciti ad ottenere prima una nuova identi-tà, poi bancomat e carte di credito, e ci siamo messi alla tua ricerca. Sempre penetrando nei sistemi informatici dello Stato siamo venuti a conoscenza del fatto che avevi scontato un anno di carcere e che eri poi stato rinchiuso in un manicomio. I manicomi non sono molti e dopo averne visitati un paio siamo arrivati a quello di Briançon; lì ci han detto dove potevamo trovarti ».Quant’era bello rivederla, ed ancor più udire la sua voce. Avevo pas-

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miei libri come è già stato nel corso della mia prima vita. Certamente queste lettere non riuscirebbero mai da sole a cambiare questo mon-do, ma se riusciranno a cambiare qualcosa in te, caro e sconosciuto lettore, saranno già state utili per qualcosa. Infatti non basta soltanto fare ciò in cui si crede, senza preoccuparsi di convincere gli altri. Io che cosa ho fatto? Di sicuro, a costo di averti tediato, mi sono sfor-zato di farti riflettere su molti ed importanti argomenti. E su questi argomenti sentiti comunque obbligato a riflettere, se non vuoi assomigliare a quel signore che diceva: “Alcuni credono che il Cardinale Mazarino sia morto, altri credono che sia vivo. Io non credo né l’una né l’altra cosa”.

Mi restano solo domande a cui non so rispondere. La più grande è quella che si fece Severino Boezio: Se Dio esiste da dove viene il male del mondo? E se non esiste da dove viene il bene? E poi: cos’è la vita? Qual è il senso dell’esistenza? L’uomo è solamente il prodotto casuale dell’evoluzione della specie? Perché siamo così potenzialmente intelligenti se le nostre intelligenze secondo l’evo-luzione in fondo servono soltanto a fabbricare archi e frecce? Noi non siamo soltanto i nostri ricordi: la nostra vita è fatta soprattutto di sensazioni, sentimenti, passioni, gioie e dolori: proveremo tutto questo anche nell’aldilà? I ricordi si fissano nell’anima oltre che nel cervello? E allora l’anima cos’è? Un data-base per l’aldilà? Se perdo la memoria non sono più me stesso? Un folle sarà un folle anche nell’aldilà? Un bambino nato morto e perciò senza ricordi, come sarà nell’aldilà? È l’anima che fa muovere i corpi? Perché quando osserviamo le leggi della natura che regolano gli esseri viventi, an-dando indietro troviamo sempre nuove leggi e mai il Legislatore? E se non vi è alcun Legislatore da dove proveniva dunque la forza che generò questo enorme universo?

Di una sola cosa sono certo: fra tutte le vite che ho vissuto, in quest’ultima, come nella prima, c’è stata l’unica cosa sicuramente utile che sono riuscito a fare: ho piantato degli alberi.

Ora metterò ancora un po’ di legna nella stufa e poi mi butterò sul

chiudi gli occhi e pensa alle tue lettere ».Chiusi gli occhi. Pensai alla prima lettera. Come per incanto la vidi materializzarsi nella mia mente, foglio per foglio, riga per riga, parola per parola. Pensai alla seconda, poi alla terza. Accadde la stessa cosa. « Com’è possibile? » chiesi stupito « Semplicemente, nella tua clona-zione, le lettere sono state fissate nei ricordi del tuo cervello. Sapevo che ci tenevi molto e credevo che comunque ti avrebbe fatto piacere riaverle, visto che non era possibile trasmetterle insieme al corpo » e continuò: « Approfitta di questi tre giorni per riscriverle. Abbiamo bisogno di questo tempo per caricare la sfera ed il computer per la trasmissione dei dati alla nostra Terra. Abbiamo dovuto aspettare di ritrovarti per farlo; date le limitate risorse di cui abbiamo potuto disporre, la sfera ed il computer non sono ricaricabili. Non siamo riusciti a fare di meglio. Immagazzineranno energia solo per la tra-smissione delle nostre memorie. Poi saranno inservibili ».« Un po’ come una vecchia pila usa e getta » disse il dottor Krast. « E come farete a caricarli? » gli chiesi. Il dottor Krast sorrise. E poi rispose sornione e sibillino: « In questo caso non si potrà stare quieti. Servirà molta tensione ».

Caro e sconosciuto lettore, mi piacerebbe riprendere con te il di-scorso molte volte interrotto, ma non posso dilungarmi ancora per molto a scriverti quello che è successo. Sono troppo stanco. Ho fini-to di riscrivere tutte le mie lettere, ricopiandole direttamente dall’im-magine che si formava nella mia mente, rubando in questo modo molto sonno agli occhi. Ci aggiungerò, assieme a quella che scrissi il mese scorso, quest’ultima che sto terminando di scrivere. Non so perché l’ho fatto. Lasciando questo mondo non potrò certamente portarmele dietro; forse perché è consolante per ogni uomo, sapen-do di dover partire per sempre, lasciare agli altri qualcosa di sé. Sì, voglio lasciarle come testimonianza del mio passaggio su questo povero pianeta. Chissà se mai potranno servire a qualcuno e spin-gerlo a riflettere su come le cose potrebbero andare, se mai si sarà ancora in tempo per cambiare le cose. Grazie ai miei ricordi im-pressi in un nuovo corpo potrò vivere altre vite. Questa sarà la mia sopravvivenza. Per me. Ma per gli altri sarà nelle idee contenute nei

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Epilogo

Aveva vissuto per più di un anno nel manicomio di Briançon, dopo averne scontato un altro in carcere per atti osceni e immigrazione clandestina. Aveva sempre asserito di non ricordare il proprio nome e probabilmente questo corrispondeva a verità. Il suo era un palese caso di schizofrenia, con sdoppiamento della personalità. Qualche volta asseriva di essere un grande filosofo del passato. Era comun-que una persona molto istruita. Parlava diverse lingue, padroneggia-va anche il latino ed il greco antico. Le persone colte che avevano avuto occasione di parlare con lui si erano subito rese conto di avere a che fare con un uomo dotato di una cultura e un’intelligenza non comuni. Asseriva di essere anche uno scrittore, ma né durante la permanenza in carcere, né durante quella in manicomio, si ebbe mai notizia di qualche suo scritto. Dimesso dal manicomio aveva accettato il duro lavoro manuale presso il Dipartimento Forestale delle Alte Alpi, impegnato nel rim-boschimento nella zona del Monginevro. Incredibilmente, negli ul-timi tre giorni di vita, sembra che fosse riuscito a scrivere un intero romanzo di fantascienza, il cui manoscritto venne ritrovato nella sua abitazione, accanto al suo cadavere.

A causa del malfunzionamento di una stufa a legna, la morte, cau-sata da avvelenamento da monossido di carbonio, l’aveva colto nel sonno assieme a due compagni di lavoro. Nell’appartamento vi era un apparecchio che dava l’allarme in caso di rilevamento di questo

letto. Sono esausto. Dìdele ed il dottor Krast saranno qui domani pomeriggio. Mi porteranno via con loro. Mi riporteranno indietro. O avanti?

Legere enim et non intellegere neglegere est.Leggere e non capire è come non leggere.

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gas tossico, il quale era alimentato sia da rete elettrica che da batte-ria; ma non aveva funzionato per una tragica fatalità: la batteria era ormai fuori uso e la corrente elettrica era mancata per tre ore a causa di un black-out dovuto ad un enorme ed improvviso assorbimento di energia la cui causa non si riuscì mai a stabilire. Nessuno lo pianse, nessuno reclamò il suo corpo. All’obitorio si presentarono un uomo e una donna che asserivano di essere alla ricerca di un loro congiunto scomparso da tempo, chiedendo di ve-dere i tre corpi. Vennero accontentati. La donna, che probabilmen-te era molto impressionabile, alla vista di una delle salme accusò un malore. L’infermiere l’accompagnò fuori, per somministrarle un medicinale. Rientrò dopo qualche istante. L’uomo asserì poi di non aver riconosciuto nessuno. Dopo aver ringraziato, i due se ne anda-rono. L’infermiere tornò nella sala per richiudere il cadavere nella cella frigorifera. Mentre si apprestava a ricoprirlo con il lenzuolo, gli sembrò di scorgere un particolare che non aveva notato prima: sulla fronte del morto vi era un piccolo segno scuro, di una bruciatura a forma di croce.