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Franco Laratta Edixioni Pubblisfera Riflessioni Libere l il potere l la politica l il futuro

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Riflessioni Libere si tratta di commenti e riflessioni scritte nel periodo 2001-2002 e, in alcuni casi, pubblicati da "Il Quotidiano della Calabria" e da altri giornali.

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Franco Laratta

Edixioni Pubblisfera

RiflessioniLiberel il potere

l la political il futuro

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Riflessioni Libere si tratta di commenti e riflessioni scritte nel periodo 2001-2002 e, in alcuni casi, pubblicati da “Il Quotidiano della Calabria” e da altri giornali.

Ringrazio Gabriele Morelli per i disegni

Stampato da Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (CS) in Aprile 2003

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Io proprio ioIntervista di Francesco di Napoli

Niente barba, occhiali all’ultima moda, maggiore cura nell’abbiglia-mento. E poi critichi Berlusconi! Ammetti che qualcosa del Cavaliere ti piace...Del Cavaliere mi piacerebbe solo vederlo in esilio a Pantelleria...

Come vanno i tuoi figli a scuola?La piccola Karen è brava e furbetta... Andrea è un giovanotto sveglio, intelligente, ma non va pazzo per lo studio. Per lui conta il look e il calcio. Milanista come me, anche antiberlusconiano per fortuna...

Siccome a qualsiasi ora del giorno e della notte sei sempre raggiungibile, mi dici se dormi? O è vero che hai fatto un “patto col Diavolo”?Al diavolo ho detto: tu mi lasci in pace, un giorno farò i conti con te. Ma lui deve sapere

che essendo io un cattolico convinto, sebbene liberale e rispettoso di tutte le altre fedi, i conti con lui non potrò che chiuderli a mio favore!

Laratta e gli amici di una vita. Da quanto non li vedi? E per favore non cominciare con la storia degli impegni!Vorrei vedere di più la mia famiglia e i miei amici. Ma la politica è fatta di rinunce e sacrifici. Lavoro dalle 8 alle 20. Tutti i giorni. Quando capita un pomeriggio libero lo dedico a chi voglio bene.

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Parliamo dei tempi di Radio Sila Tre. All’epoca ricordo che chi entrava nelle tue grazie poteva permettersi di tutto, mentre per gli altri...Radio Sila Tre è stata per me una splendida esperienza. All’epoca fu tra le prime d’Italia. Una sfida coraggiosa che abbiamo vinto grazie a tanti giovani. Molti di loro oggi sono impegnati nella politica, nel giornalismo, nel sindacato, nella società. Quella Radio fu una scuola di vita e di impegno sociale. E per me che ne sono stato il Direttore per dieci anni è una grande soddisfazione vedere quei dj e quei giornalisti occupare importanti posti di responsabilità.

Fino al ‘96 eri un semplice segretario cittadino di un piccolo partito che faceva fatica a respirare. Poi l’exploit alle comunali di San Giovanni in Fiore. Fortuna sfacciata o cos’altro?L’unico merito è stato quello di avere lanciato la formula del ‘tutti a casa’ e di avere messo in campo una squadra di 20 giovani che portarono al partito il 18% dei voti. Grazie ad Aldo Orlando, Vincenzo Gentile, Biagio Loria, Giovanni Belcastro, e poi a Salvatore Audia che conquistò il collegio provinciale dopo 25 anni… e tanti, tanti altri... tutti giovani, brillanti e capaci che lanciarono la politica del cambiamento.

Poi sei stato eletto Segretario Provinciale del PPI...Beh!, un giorno mi chiama Mimmo Bevacqua e mi dice: “Ti proponiamo alla Segreteria Provinciale del partito”. Io ho pensato: “Questo è pazzo!” Invece...grazie a Mimmo, a Francesco Attico, a Franco Madeo e a tanti altri vinsi il congresso e tutti i big del PPi erano contro di noi!

Una domanda seria, forse dolorosa per te: ti manca padre Antonio Pignanelli?Molto. Fu la guida della mia età più bella, quella dei dubbi e delle incertezze. E’ stato un frate cappuccino dinamico e coraggioso che mi ha “contagiato” molto. Lo abbiamo seguito in tante battaglie sociali, abbiamo vinto molte sfide e lui è stato per noi giovani tutti un punto di riferimento insostituibile.

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Ma è vero che organizzavi scherzi da brividi? Mi hanno detto che uno della tua ciurma si è travestito da alto prelato per una “visita pastorale” e poi hanno scoperto tutto perchè ha esagerato col vino. Naturalmente l’idea era tua...Ma come lo sai? Sì, confesso che è vero. Abbiamo organizzato la perfetta “visita pastorale” di un vescovo ad un villaggio di contadini in Sila. Uno scherzo incredibile con decine di persone coinvolte. E all’epoca ne abbiamo fatto di peggio. Meglio tacere!

Laratta e le donne. Qualcuno sosteneva che sono “un animale dai capelli lunghi e dalle idee corte”. Lo hai mai pensato delle tue colleghe della Giunta? Le donne sono l’altra faccia di un uomo. Spesso sono la parte più bella, più colta, più capace. Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna. In Giunta Provinciale ci sono alcune colleghe fantastiche: Clelia Badolato è un peperoncino che ne sa una più del diavolo; la Laudadio è colta e affascinante, la Console è sensibile e premurosa. E poi le donne del mio partito: Stella, Anna Maria e tante altre. Brave.

Laratta e gli uomini.Mi viene in mente una canzone molto bella di Mina: “Gli uomini sono fatti di briciole che l’orgoglio tiene sù”. Ho conosciuto uomini di grande valore, amici veri e leali. Ma anche uomini falsi e bugiardi. Anche alcuni colleghi in politica.

Laratta e la DC. Non eri molto amato dai Potenti di allora. Una volta ti hanno pure “trombato”!?A 20 anni venni eletto consigliere comunale della Dc al mio paese con 525 voti. Un trionfo. Poi divenni capogruppo consiliare. Dopo 5 anni fui il primo dei non eletti perchè non entrai nelle “quaterne” dei potenti di allora. Per me è stata una bellissima esperienza che mi ha formato e fatto crescere molto. I banchi di un consiglio comunale aiutano a capire la politica e la società: soprattutto a un giovane, soprattutto in un tempo in cui si fronteggiavano grandi partiti (DC e PCI) e il mondo era diviso in blocchi, il comunismo era alle porte, la

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politica era fatta da “cavalli di razza” che erano spesso anche uomini di altissimo livello. L’Italia democratica l’ha fatta la DC. Ma anche la Sinistra, i laici, il Sindacato. Ma la DC su tutti.

Laratta e l’amore. Ci hai messo tanto a conquistare Tua moglie...Sì. Lei era - ed è tutt’ora - una bellissima donna. Dovetti lottare diversi mesi per convincerla, ma aveva solo 14 anni! E io 18. Poi è stato grande amore e lo è tuttora. Senza una donna sensibile e attenta come lei non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto: giornalismo, politica ecc. ecc.Sto poco a casa, lascio a lei molte responsabilità della famiglia e il peso di avere due figli, eppure lei non me lo fa pesare. Non si interessa di politica, non si impiccia delle mie cose, mi lascia libero. Ha diretto per 15 anni un complesso alberghiero - il Dino’s Hotel - al quale io ho solo collaborato. Ed è stata una gestione di successo. Dopo la mia nomina ad assessore provinciale abbiamo lasciato l’attività, lei si è dedicata alla famiglia che non poteva rimanere ancora sola.Io sto spesso fuori ma la sento sempre vicina, attenta, sempre pronta e premurosa.Da questo punto di vista sono stato molto fortunato.

Laratta e la morte. Hai paura?Questa è un’epoca in cui nessuno parla più della morte. E’ un “male” esorcizzato, cancellato... perchè fa paura. Io non ne ho paura. Spero solo che quando busserà alla mia porta mi dia il tempo di chiedere “perdono” per gli errori fatti.

Laratta e il potere. Logora chi non ce l’ha o chi lo mantiene troppo a lungo? Vorrei dare il meglio di me stesso..... senza diventare pesante e ingombrante. La politica non si fa per tutta la vita. Dopo qualche anno bisogna lasciare il campo ad altri, favorire il rinnovamento, occuparsi d’altro.

Laratta a Laratta. E non dirmi che sono un “marzullo”!Laratta direbbe a Laratta: “Ogni tanto

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fermati... pensa a chi ti è vicino... fai una scaletta delle priorità... rinuncia alle cose inutili e banali che qualche volta ti costringono a perdere tempo”. Vorrei farlo davvero.

Velocemente: il film che adori?Tutti i film di Kiesloski. Soprattutto la trilogia “Film Bianco”, “Film Rosso”, “Film Blu”. E “Il Decalogo”. Sono fantastici.

Dei più recenti?“Il Miglio verde”. E “La vita è bella”.

Quale film ti ha fatto lasciare la sala durante la proiezione?Oddio! A Natale scorso i miei figli mi costringono ad andare al cinema con loro. Si proiettava “Vacanze sul Nilo”. Alla fine del primo tempo sono scappato via. Seguito da mio figlio Andrea. E la cosa mi ha fatto piacere. E poi mi ha deluso “Pinocchio” di Benigni: una noia mortale.

La musica. Per 15 anni hai curato le recensioni dei dischi di Mina per Gazzetta del Sud e per altre testate. Hai diretto una radio e una televisione privata. Ma tu cosa ascolti di solito?Mina prima di tutto: la sua voce è un incanto. Poi musica classica: tutto Verdi. Quindi i cantautori: De Andrè, Battisti e Battiato. Dei giovanissimi ho scoperto, grazie ai miei figli, Eminem e Tiziano Ferro. Il primo provocazione e non solo. Il secondo una bella voce, un po’ sopra le righe, ma interessante.

Letture preferite. So che leggi tutto di Kafka!Il guaio di chi legge Kafka è che poi non riesce ad apprezzare altro. Adoro “Il Processo”, “Il Castello” e tutti i racconti che avrò letto decine di volte. Leggo molto Pirandello. Dei moderni mi piace Baricco: “Oceano Mare”, “Novecento”, “Castelli di rabbia”. Non mi è piaciuto l’ultimo, “Senza sangue”, che ho letto solo a metà.

Stampa quotidiana e Tv. Per un giornalista è facile la scelta.Oggi c’è un livello mediocre nell’informazione e nello spettacolo. Pensiamo un po’ alla Tv attuale: è volgare, banale, sguaiata. I Tg sono

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inguardabili. Della televisione salvo soltanto Le Iene e Striscia. Ma non fa male guardare Ballarò, Tg2 Dossier e Report; mi divertono tanto Zelig, i programmi di Albanese e quelli dei fratelli Guzzanti. La domenica si può guardare al massimo Quelli che il calcio. La carta stampata va meglio: leggo Repubblica sin dal suo primo numero (Curzio Maltese, Michele Serra, Natalia Aspesi, Stefano Benni, Scalfari, Zucconi, Diamanti, Ezio Mauro), poi il Corriere della Sera (Biagi, Gian Antonio Stella). Leggo tutti i giornali locali, alcuni dei quali assai scadenti. Ma su tutto adoro, dico adoro, la Radio. L’ascolto sempre: la mattina appena sveglio, in auto, la notte prima di dormire.

Al volo gli uomini politici preferiti.De Gasperi, Moro, Zaccagnini, Scalfaro su tutti. Del PCI mi piacevano Berlinguer e Nilde Iotti, Pietro Ingrao. E poi statisti laici come Nenni, La Malfa, Pertini.

Chi ha fatto davvero storia del secolo scorso in Italia?Un grande papa: Paolo VI che è stato un vero riformatore ed un punto di riferimento per i cattolici democratici. In politica don Luigi Sturzo che fondò il Partito Popolare; per l’economia penso agli Agnelli; nel giornalismo Montanelli, Scalfari. E l’antesignano dei ‘pacifisti’ veri: Giorgio La Pira.

Della Margherita che dici? So che sei amico personale di Dario Franceschini e stimi Enrico Letta, conosci anche Rutelli e sei sempre stato vicino a Marini...La Margherita è una grande scommessa. Per i moderati del Centro-sinistra una grande occasione. Vorrei fosse più giovane e coraggiosa.

Come piace definirti in due parole?Un cattolico democratico. Del tutto convinto del valore del centro-sinistra in Italia.

L’ultimo libro letto?Mi ha colpito “Il silenzio dei vivi” di Elisa Sprinter, un racconto su Auschwitz.

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Il silenzio

Il silenzio è forse il dono più bello per quanti amano ragionare, discutere, lavorare senza eccessi. Il silenzio. Non so quanto sia stato notato, ma tutto attorno è chiasso, urla, grida. Non c’è

momento, nè posto o spazio della nostra vita quotidiana che non siano stati travolti dal rumore e dalla confusione. Ovunque impera una confusa enfasi e una forte tendenza all’eccesso. Ma cosa significa riscoprire il silenzio? Certamente non vuol dire stare muti, tacere, chiudersi in se stessi. Il silenzio è l’assenza del frastuono e del chiasso senza limiti. Ma il silenzio è anche imparare ad ascoltare gli altri senza interromperli; è porsi in condizione di comprensione per le idee e le convinzioni altrui; è mettere in discussione se stessi senza rinunciare a quello in cui veramente si crede. Il silenzio è il rifiuto della volgarità: in un Paese in cui anche chi ricopre alte cariche istituzionali fa ricorso ad espressioni triviali (“lascia perdere quei coglioni” ha detto qualche giorno fa in Parlamento un ministro riferendosi ad alcuni deputati!), niente è più gradito di un ritorno al rispetto, alla serenità del giudizio, alla moderazione.Gli ultimi decenni del secolo scorso sono stati caratterizzati dal rincorrere i sogni di una ricchezza immediata e facile, dalla velocità nel raggiungere gli obiettivi, dalla voglia di conquistare successo e denaro senza alcun condizionamento. Sul finire degli anni ’90 e con l’inizio del terzo millennio ci ritroviamo con pochi risultati in mano e tanti timori per il futuro.

Tutto è in discussione, perfino il futuro della civiltà occidentale non sembra così roseo.

Nel mondo avanzano miseria e povertà, la ricchezza del pianeta è appannaggio di poche persone. La cultura americana - che ha fortemente contagiato quella euopea - dell’eccesso, della corsa, del potere e della ricchezza non ha più una prospettiva. Fino a quando

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i tre quarti dell’umanità rimangono, poveri, segregati, ammalati e incolti, nel mondo non ci sarà pace. Vera pace, che vuol dire giustizia. In oriente il tempo scorre molto più lentamente di quanto non scorra nell’occidente industrializzato. L’orologio si muove adagio, sembra dare più tempo per le cose più semplici e più belle: pregare, dialogare, guardare e ammirare la natura. Da noi corre (tempus fugit), non dà tregua, cancella le pause.

Ogni aspetto della nostra vita quotidiana è condizionato dal tempo che fugge

e noi ad inseguirlosenza alcuna possibilità di raggiungerlo.

La fretta condiziona le nostre scelte, le falsa. In politica, nell’economia, nella società tutto è frutto del tempo che ha accelerato troppo i suoi passi. Da qui gli eccessi, il frastuono, il caos… la voglia di silenzio, di fare una pausa per riflettere, di ascoltare il passo lento di chi non ha più un lavoro, di chi non sa come curarsi. Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di cominciare la giornata passando per dieci minuti, solo dieci minuti, da una chiesa aperta, e vuota. Per riflettere, per capire. Prima di tutto noi stessi, la nostra ansia, le nostre paure.E quanto ci sarebbe bisogno di fermarsi, a leggere le pagine di un libro, ad ascoltare un po’ di musica, oppure uscire da casa, dopo cena, dopo avere spento quel dannato elettrodomestico che si chiama televisione e passeggiare per mezz’ora nel centro storico, tornare ad ammirare i palazzi e i monumenti, alzare gli occhi al cielo e scoprire che ci sono ancora le stelle. La luna. Sono cose forse rivoluzionarie? Sono cose semplici, delle quali abbiamo perso il gusto, ne disconosciamo perfino l’esistenza chiusi come siamo nelle nostre ansie quotidiane, distratti dalla fretta, rincorsi dal tempo che non ci dà tregua. Francesco d’Assisi ha cominciato una rivoluzione nella chiesa scoprendo la bellezza e la semplicità del Creato… “fratello sole e sorella luna…”. Noi, più semplicemente, abbiamo bisogno di scoprire la voce del silenzio.

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Il senso del ridicolonell’Italia di Berlusconi

Saranno tanti i danni che Berlusconi, alla fine del suo impegno politico, avrà fatto all’Italia. Danni economici e sociali, danni alle istituzioni, al rapporto fra i partiti, al sistema-Paese nel

suo complesso che uscirà profondamente lacerato dalle scelte che Berlusconi e co. avranno fatto in questi anni. Quello che - comunque - sarà difficile da “perdonare” a Berlusconi è il senso del ridicolo in cui ha fatto scivolare le Istituzioni e la vita politica nazionale. Dalle gaffe fatte sul palcoscenico mondiale nella sua veste di Ministro degli Esteri, a quelle di Primo Ministro che davanti al Capo di un Governo straniero racconta la presunta storia del “tradimento” della propria moglie con il filosofo del centro-sinistra Massimo Cacciari. Ciliegina sulla torta, si è spinto a proporre la nomina di senatore a vita del re del quiz Mike Bongiorno, suggerendo così a un senatore calabrese in vena di notorietà a basso costo di proporre per il nostro Capo del Governo

il premio Nobel per la Pace!

Berlusconi esprime il peggio di una Italietta sguaiata e senza

alcuna cultura, carica di danari guadagnati senza troppi fronzoli e senza alcun rispetto della legge che

viene considerata come qualcosa di fastidioso da scavalcare o

ignorare.

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Berlusconi altro non è che l’altra faccia del Bossi in canottiera: spregiudicato e arrogante il primo, volgare e tracotante il secondo. Se Bossi le spara grosse su immigrati,vescovi e secessione, Berlusconi garantisce che il padano non è da prendere sul serio. Un gioco delle parti per esprimere insieme un Paese che non si offende più e ha perso il conto delle volgarità quotidiane che dai Palazzi del Potere vengono continuamente rovesciate su un Paese in crisi di identità. Il mondo di Berlusconi è un po’ quello di “Ok! il prezzo è giusto”, un mondo in cui tutto ha un prezzo e tutto è finzione. E’ la storia delle sue televisioni a bassa qualità, delle veline che si mostrano in continuazione, dei miliardi guadagnati e spesi senza ritegno.

Il Cavaliere è il simbolo di un ceto mediocredi vanitosi che punta tutto sull’ostentazionedella propria ricchezza accumulata durante

il far west economico degli anni ’80,epoca in cui tutto era possibile

e le regole non valevano più nulla.

Le Istituzioni di un Paese abituato ad altra severità istituzionale escono ferite dal passaggio di un uomo senza limiti qual è Berlusconi. E quali sono i vari Previti, Dell’ Utri, Miccichè, incapaci di accettare che lo Stato ha le sue regole, che le Istituzioni vanno difese e rispettate, che il Governo del Paese non è un casinò. Il Cavaliere, invece, sa che può ridere e scherzare di tutto e di tutti, non si preoccupa del cattivo gusto delle sue barzellette e non teme la mancanza di stile e galateo dei suoi atteggiamenti pubblici. Palazzo Chigi è come il Bar dello Sport alla domenica sera: fumo, birre e risate sguaiate. Ancor più gravi della mancanza di stile e di galateo sono la bugia e la menzogna elevate al rango di “comunicazione di Stato”. Ne è la prova il salotto di Bruno Vespa alla vigilia di quelle elezioni che

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consacrarono Berlusconi quale nuovo leader del Paese. Il famoso “Patto con gli Italiani”, quello delle autostrade a destra e manca, delle ferrovie, dei porti e degli aeroporti in ogni angolo del Paese, non è altro che il più riuscito dei trucchi del Cavaliere per convincere i telespettatori, un po’ come fa un buon piazzista davanti alla piccola folla della fiera di paese.Ma le finanziarie bugiarde di Tremonti, i famosi primi “100 giorni” di governo, il conflitto di interessi, il falso in bilancio, le rogatorie internazionali, il rientro dei capitali all’estero, la Legge Cirami presentati come strumenti per accrescere la democrazia del Paese altro non sono che la logica conseguenza della politica degli inganni inaugurata con il Patto per l’Italia.

Cos’è dunque l’Italia sognata,voluta e imposta da Berlusconi e soci?

Un’ Italia provincialotta, egoista e menefreghista, che ostenta ricchezza e

volgarità, che non sopporta le regole, detesta lo Stato, ignora le Istituzioni.

La Democrazia Cristiana ha gestito, con decisione e anche se con diversi errori, gli ultimi 50 anni del Paese. Lo ha fatto con lo stile freddo e distaccato di statisti del calibro di De Gasperi, Moro, Fanfani, insieme a laici illuminati come Einaudi, La Malfa, Nenni, Spadolini, che si misuravano con esponenti politici del calibro di Amendola, Berlinguer, Jotti.Il Paese ha potuto rinascere grazie all’impegno di uomini sempre severi, riservati, rigorosi, responsabili, adeguati al ruolo. Tutto quello che hanno dato al Paese questi personaggi, il patrimonio politico e culturale che hanno lasciato a noi moderni in eredità, è stato cancellato in pochi anni da uomini mediocri e arroganti della milanesità arruffona e grassa che ha preso il potere sotto le insegne di

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Forza Italia e della Lega. Uomini per molti versi inadeguati, maldestri, soprattutto ridicoli. Un ultimo esempio nelle cronache recenti. Andreotti viene condannato, in secondo grado, a 24 anni di carcere. L’ex leader DC commenta: “Ho ancora fiducia nella giustizia, anche se…”; il Capo dello Stato si dice “Turbato”; Il Capo del Governo invece la spara grossa: “La giustizia è impazzita”! Sta tutta in queste espressioni la differenza di stile e di porsi davanti alle Istituzioni fra i leader di ieri e quelli di oggi. Senza voler fare un confronto, assolutamente improponibile, fra una generazione ormai finita fatta di grandi uomini delle Istituzioni e quella dei capetti di periferia che oggi recitano nel teatrino della banalità politica. L’Italia odierna diventa sempre più come gli uomini che la governano: provincialotta e senza principi. E senza colpevoli.

La grande e furba operazione che sta compiendo la destra di Berlusconi è quella di far passare la tesi che nessuno è più colpevole. Se non lo è Andreotti,non lo sarà nemmeno Dell’Utri, né tantomeno Previti. E alla fine nemmeno Berlusconi.

Tutti innocenti, tutti “assolti”, anche quando i tribunali dovessero dimostrare il contrario. Perché “non si può processare la storia”! E questa magistratura ce ne mette di suo per non farsi rispettare, come insegna la vicenda degli arresti dei no-global e la condanna di Andreotti. L’alternativa a tanti guasti? Il centro-sinistra non l’ha ancora trovata.

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“Una Chiesa dal volto laico”

Ho ascoltato con grande interesse, da semplice cittadino e da cattolico, l’appassionata lettura che l’Arcivescovo Metropolita di Cosenza, mons. Giuseppe Agostino, ha fatto della sua

ultima lettera pastorale in apertura del convegno pastorale che si è tenuto all’Auditorium “Giovanni Paolo II” del Seminario cosentino di Rende. Una lettera molto bella, coraggiosa, profonda, dalla quale traspare l’ansia per le sorti del cristianesimo e la speranza di costruire una Chiesa nuova, viva, aperta. Una Chiesa “fuori dal tempio”, laica, che vive con realismo le angosce del nostro tempo e si esprime con gioia e speranza.Agostino raccoglie le inquietudini dei cristiani, traccia un cammino di rinnovamento e pone domande che hanno in sè una sola grande risposta: la ricerca di Dio.Al termine di un anno di analisi più o meno approfondite fatte dai minisinodi sparsi sul territorio e più o meno frequentati, appare evidente la necessità di avviare nuovi “itinerari di fede”, di rinnovare profondamente la catechesi. Un occhio particolare ai giovani “che bisogna incontrare dove si radunano, ascoltarli, impegnarli”. Ed ecco la necessità, sulla quale mons. Agostino insiste molto, della formazione dei laici, della loro preparazione e del costante aggiornamento. Nascerà quindi a Cosenza una scuola diocesana presieduta dallo stesso Arcivescovo.Determinato egli è apparso sulla necessità di una seria educazione alla liturgia “che non si deve ridurre ad aspetti estrinseci rituali”; ed è forte il richiamo alla liturgia domenicale che deve essere ben preparata. Mons. Agostino annuncia “dolce fermezza” nella purificazione della liturgia “superando ogni privatismo specie nelle celebrazioni delle messe e dei sacramenti del matrimonio, delle esequie ecc”. E finalmente chiede “silenzio”: profondi spazi di silenzio, che aiutano a pregare, ad ascoltarsi, a ritrovarsi. Chiarissimo il richiamo a liberare tutte le celebrazioni dal rapporto con il danaro.

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La lettera dell’Arcivescovo traccia quindi un percorso altamente significativo che

dovrà affrontare la Chiesa in una situazione di “nuovo paganesimo” che idolatrizza

il successo, l’affare; in un tempo di massificazione e di alienazione.

La Chiesa, in questo conteso, deve essere “segno”, segno del diverso, del valore di ogni uomo, dell’ Amore di Dio. E Agostino parla chiaramente di evitare di ‘conformarsi al mondo’, di essere liberi da ogni connivenza con un tipo di politica clientelare, lobbistica, feudale. E a lui non deve essere sfuggito quanto nella Chiesa di oggi ci sia una notevole connivenza con il potere che affascina e concede. Per contrapporsi a questo egli indica una via: “soffrire nel non contare”. Una via silenziosa ma incidente per redimere la storia. E il grido di Agostino libera la Chiesa da quelle pesanti catene che le impediscono di essere luce vera e viva in un mondo che è soffocato dal buio. Dal vuoto. Dal nulla.Mi ha colpito la chiarezza, il coraggio, ma anche la grande umiltà, con cui il Vescovo Agostino analizza lo stato della crisi della Chiesa e del cristianesimo in questo frangente storico per poi tracciare il cammino dei cristiani “veri”, “liberi”, che saranno fermento all’interno delle realtà terrene, “lievitando la politica, la cultura, l’economia”.

“La Chiesa, quindi, non può essere più il luogo del sacro, dirimpettaia ad un mondo profano, compagna della e per la storia”.

Coraggio e provocazione in un Vescovo che vede il cristiano non più arroccato, “ma sentinella all’aperto, anche nella notte della storia, per

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essere richiamo, braccia aperte per accogliere, cuore non giudice ma silenziosamente ed operativamente speranzoso”. Ecco le parole più belle che Agostino ripete e invoca: silenzio, speranza, amore, libertà, povertà.

La Chiesa dell’Arcivescovo di Cosenza è una Chiesa capace di essere ‘laica’: che significa

che è aperta, non integralista, capace di amare tutti, di dare spazio alle passioni.

Una Chiesa che deve parlare anche se sa di non essere ascoltata perché non è più “la” voce, ma “una” voce. E torna l’insegnamento del Concilio, troppo facilmente archiviato: nessuno può essere costretto a credere. La Chiesa che, quindi, ascolta tutti, che scopre nuove vie per l’evangelizzazione, che non impone ma propone.Ed è bella la conclusione della lettera di Agostino quando domanda e pretende gioia: “vi chiedo molta gioia, la perfetta letizia biblica”. E poi egli invoca sorrisi, tenerezza, impegno sincero con un cuore sereno e grande, carico di gioia.L’Arcivescovo di Cosenza sembra non avere dubbi: davanti ad un mondo che si inoltra sempre più nel buio delle guerre, della disperazione, delle grandi ingiustizie, occorre cambiare la Chiesa, rinnovando l’impegno dei cristiani che sono chiamati a lavorare con gioia e nel silenzio, facendosi testimoni della verità.

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Il partito della condivisione

Non c’è alcun dubbio che il centro-sinistra si trovi davanti ad un bivio: rinnovarsi oppure morire. Il fatto che l’Ulivo rimanga ancora una sommatoria di partiti e di classi dirigenti, non

prospetta niente di buono nella grande battaglia per sconfiggere la destra in Calabria e nel resto del Paese. I passi che sta movendo il centro-sinistra sono ancora deboli, l’immagine non brilla, la capacità di riconquistare il consenso perduto è tutta da verificare. Il nuovo Ulivo deve ancora nascere. Nel momento in cui i partiti non trovano la forza di superare lo choc provocato dal berlusconismo all’intero sistema della rappresentanza democratica, c’è bisogno di una vera sfida per sconfiggere il disinteresse generale verso tutto quello che dice e fa la classe politica. Compresa quella di centro-sinistra.

E allora si pone a noi tutti una scelta coraggiosa: aprire veramente le porte dei

partiti (anche se di essi rimane poco) e far entrare tutti coloro che hanno voglia di partecipare. Al di là delle tessere e degli

incarichi, è giunto il momento di consentire a tutti la partecipazione alle scelte, ai

programmi, ai progetti. E alle designazioni.

Insomma è il momento della condivisione, il momento di condividere le decisioni con iscritti, eletti e simpatizzanti. E’ necessario spiegare i processi, fare scelte che siano accettate, riuscire a fare della partecipazione il momento forte di qualsiasi processo di decisione.

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E’ il momento di una nuova primavera della politica dopo la triste e lunga stagione dell’incertezza che dura da un decennio.Il centro-sinistra deve capire che non è più il tempo né il momento di chiudersi, di restringere la partecipazione, di giocare agli equilibri fatti a tavolino o, peggio ancora, calati dall’alto ad una base che non è più disponibile ad accettare le scelte a scatola chiusa.Nei giorni scorsi ho comunicato la messa in rete di un mio sito web. La cosa, destinata ad aprire una “finestra” di dialogo con tanti amici sparsi su un vasto territorio, è stata vista come l’annuncio di una mia “discesa in campo” in vista delle elezioni per la presidenza della Provincia (della cui cosa sembra che nessuno voglia parlare!). Credo che ogni giusta aspirazione debba essere oggetto di discussione e di confronto. E quindi di condivisione. Dico questo per entrare nell’argomento della scelta dei candidati, a qualsiasi livello. E per dire subito come la penso: nessuno può immaginare di fare scelte e di imporle alla base dei partiti e soprattutto alla base elettorale. Sarebbe un suicidio per il centro-sinistra. Le candidature devono essere condivise, discusse, accettate. Nessuno può imporre niente a nessuno. Così come è fuori da ogni logica immaginare di fare le scelte nell’ottica dell’appartenenza, inseguendo un equilibrio fra Province, Regioni e Parlamento, distribuendo le designazioni all’interno della coalizione rispettando esclusivamente le quote elettorali dei singoli partiti. Mi sembrano cose del tutto prive di buon senso in un momento tanto delicato della vita politica.E torna il tema delle

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primarie. Argomento che si affaccia ad ogni scadenza elettorale da almeno un decennio, per poi essere gentilmente messo in soffitta con la solita scusa che le primarie non si possono organizzare mancando una legge che le disciplini. E’ vero, non siamo negli Stati Uniti. Ma una cosa è certa: con le primarie o con un sondaggio, con una consultazione vasta oppure affidandosi ad un comitato formato da “saggi”, eletti, simpatizzanti e cittadini impegnati... l’importante è che i candidati ottengano il consenso e la condivisione da parte di una vasta platea di elettori. Se manca il consenso e la condivisione non c’è, si ritirano i candidati e si passa ad altre proposte.E’ importante che il centro-sinistra si renda conto che non ci sono più soltanto i partiti che possano decidere nel chiuso di una stanza; oggi c’è tutto un mondo nuovo che ci guarda con interesse, ma anche con sospetto. Questo è un mondo fatto da movimenti, associazioni, gruppi di pacifisti laici e cattolici, cittadini impegnati in senso ampio. Un mondo che non può essere lasciato ai margini, non può non partecipare e condividere. Ben sapendo che chi è destinato ad assumersi impegno di governo dovrà farlo senza condizionamenti e al solo scopo di promuovere lo sviluppo, il lavoro, la promozione umana, sociale e culturale dei cittadini, secondo un programma chiaro che deve essere sottoposto agli elettori. Al governo dei Comuni, delle Province e della Regione non possono però non partecipare le diverse componenti sociali che si riconoscono in un progetto politico fortemente alternativo: immagino un disoccupato accanto ad un intellettuale, un imprenditore a fianco di un giovane e di un esperto, il docente con il professionista, tutti insieme nel governo delle amministrazioni accanto agli uomini indicati dai partiti. Uomini, donne, giovani per dare vita ai governi del centro-sinistra che siano alternativi a quelli fallimentari del centro-destra. I partiti devono recuperare immediatamente un importante ruolo guida, progettando e programmando la crescita e lo sviluppo. Devono però farlo e parteciparlo: la vera sfida è la condivisione. Dei progetti, dei programmi, delle candidature. Idee chiare, progetti concreti, uomini forti e determinati per lanciare la sfida del cambiamento. Solo così torneremo a vincere.

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Il potere nell’epoca

dell’incertezzaIl Capitalismo

Con il crollo del sistema comunista alla fine degli anni ’80, siamo tutti scivolati nella convinzione che il capitalismo fosse l’unico sistema possibile. Le discussioni sulla terza via sono sembrate improvvisamente vecchie. Le alternative al capitalismo inutilizzabili. Il capitalismo è dunque diventato il sistema unico, trionfante e definitivo nella concezione e nella gestione dell’economia, nella democrazia, nella elaborazione dei progetti sociali. Con il crollo delle Torri Gemelle a New York ci siamo resi improvvisamente conto che probabilmente il capitalismo fosse giunto al capolinea.

Il futuro

Viviamo in un’epoca in cui il futuro non c’è più. È tutto presente, attuale.

Quindi momentaneo. La politica è divenuta tutto uno spot continuo: la necessità di un titolo di un giornale è più importante di un

progetto, di un’idea e di una proposta.

Si vive per passare nel Tg, per lanciare uno slogan, per colpire l’immaginazione.

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Perché non c’è più il futuro?Perché la tecnologia rende in pochi mesi tutto vecchio e superato. L’orizzonte di un investimento non supera che l’arco di pochi mesi.La politica soffre questa accelerazione continua: Berlusconi cerca il consenso immediato con la sua politica-spettacolo che non ha una base e nemmeno una prospettiva credibile. Anche il centro-sinistra vive questa sindrome di dilatazione del presente, come se ogni giorno, ogni mese, debba accadere qualcosa. Per cui viviamo tutti nell’emergenza, nell’incapacità di progettare nel tempo, di proporre e costruire una classe dirigente capace.

Innovazione e investimenti

L’Italia ha un forte bisogno di investimenti in ricerca, istruzione: esattamente il contrario di quello che si fa oggi con la Finanziaria che taglia in questi campi. Il Paese arretra, incapace di muoversi e agire. Siamo ultimi in tutte le graduatorie. La Calabria vive uno dei momenti peggiori della sua storia moderna, con le casse piene di fondi comunitari e la totale incapacità di investire nello sviluppo, nell’economia, nella produzione. L’attività legislativa è debole e

incapace di dare frutti.Non vogliamo assistere passivamente al declino del nostro Paese. Dopo l’11 settembre il processo (che badate bene era già cominciato)

ha accelerato. Il governo italiano ha dimostrato di non avere la minima consapevolezza dell’urgenza

di intervenire per fermare il declino della nostra competitività. Oggi il declino della nostra economia, il crollo dei consumi, il costo della vita altissimo nonostante quello che dice l’Istat, la forte sfiducia che alberga nei giovani e nelle famiglie… trasforma il declino in tracollo. E la guerra peggiora la situazione.Tutto questo mentre si aggredisce il Paese

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sin dalle sue fondamenta: la devolution che spacca l’unità dell’Italia, la giustizia minacciata, gli immigrati che invece di divenire ricchezza si trasformano in merce in scadenza: sfruttati e rimandati a casa, le Istituzioni assalite e calpestate.

I cattolici e la politica

I cattolici oggi fanno politica divisi nei diversi schieramenti. Ed è giusto che sia così. Non crediamo possibile la ricostituzione di un nuovo partito dei cattolici. La DC ha fatto grande l’Italia, un Paese distrutto dal fascismo e dalla guerra, ma oggi è improponibile in questo contesto, con questa legge elettorale che porta alla divisione netta tra i due poli. Pur tuttavia abbiamo battaglie in comune che dobbiamo portare avanti, insieme.Temi come la difesa della vita, la famiglia, la libertà, la pace, l’unità del Paese, la scuola, il sud del Paese, non possono che vederci insieme.Soprattutto adesso che anche la gerarchia cattolica ripensa al sostegno che aveva dato a Silvio Berlusconi, guardando con simpatia alla sua ascesa al potere e sostenendolo elettoralmente (del resto questo è confermato dalla difficile vita elettorale dei partiti di centro dei due schieramenti: lo stesso PPI che pure era il più forte soffriva di questo, ma anche il CCD e il CDU che hanno raccolto consensi limitati). Oggi la Chiesa guarda con distacco alla storia dei partiti che solo a parole si sono dichiarati di ispirazione cristiana e cattolica. L’abissale distanza tra la diplomazia vaticana e quella italiana sul tema della guerra ne è l’ulteriore prova.

Il potere

Noi abbiamo un’idea diversa del potere che oggi prevale nel mondo: in Italia come negli Stati Uniti il potere è arrogante e prepotente.

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Siamo per un poterecapace di coinvolgere e ascoltare.

Non basta vincere, occorre convincere.

È il potere che vince con una parte (quindi un progetto, un programma, una classe dirigente), ma poi tenta in ogni modo di rappresentare tutti, senza spaccare il Paese, senza urlare e dividere. Il potere che fa del dialogo con le parti sociali, il sindacato, l’opposizione, il proprio costante riferimento.Non si tratta di potere debole. In America si parla di soft-power, il potere dolce. Non è quindi un potere che non decide, che si perde nell’eterna mediazione, nel galleggiamento sull’esistente. Non può esistere il potere senza la forza di un’idea, di un progetto politico, di una leadership. Anche se non ci appartiene la cultura del Capo, del leader maximo, del padre-padrone di un partito o peggio ancora di un Paese. Il motto di una classe dirigente moderna e moderata, potrebbe essere: ascoltare e poi decidere. Ascoltare perché senza l’ascolto e il confronto si producono decisioni che sanno di imposizioni.Abbiamo bisogno di svegliare le passioni, di accendere gli entusiasmi, di tornare a sognare. Di andare oltre la politica del giorno per giorno, del potere che urla per nascondere i propri limiti e le proprie incapacità.

C’è bisogno di costruire una societànuova, migliore e diversa.

Ricostruire le motivazioni. Ecco quello che possiamo fare insieme i cattolici e i moderati in politica. La destra berlusconiana è il partito del presente. Di un presente che non conosce il proprio futuro. Noi dobbiamo immaginare e costruire il futuro, dobbiamo essere il motore di una società diversa e migliore. E la Margherita nasce per questo: forza moderna, aperta, riformista, capace di dare speranza ad un Paese stanco, deluso, sfiduciato.

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Se il centro-sinistranon trova il coraggio

E’ lento il centro-sinistra. Lento nel ritrovare la forza e l’orgoglio di essere una grande alleanza. Un insieme di uomini forti, liberi, coraggiosi, riformatori. Un insieme di forze moderne che sanno

dare fiducia e speranza ad un Paese e ad una Regione fortemente provati, spaventati e senza futuro. Il centro-sinistra ha al suo interno le migliori energie, la sintesi di storie e tradizioni culturali e politiche che farebbero invidia a chiunque. Eppur non si muove…! L’alleanza fa fatica, si divide ogni giorno, manifesta in continuazione una crisi che è di ricchezza, di abbondanza di uomini, idee, progetti. Siamo una famiglia grande che non sa di essere una.. grande famiglia!

Il problema c’è, nel centro-sinistra. Ed è un problema non di poco conto: la paura di vincere, il timore di non poter gestire

una fase post-elettorale che avrà certamente bisogno di scelte forti e coraggiose.

E così passa il tempo a litigare (ma su cosa?), a dividersi ( ma perché?) a parlare di leadership (ancora?). In Italia il problema è ben più grave che non nelle singole realtà locali. Il Paese comincia ad essere stanco di un leader che mente in continuazione, di una classe dirigente inadeguata, di una maggioranza che è molto più a pezzi di quello che in realtà non appaia ( il muro fra Lega e UDC, le liti nelle correnti di AN, l’evanescenza di Forza Italia). Eppure il centro-sinistra non ne sa approfittare: se la CGIL o Moretti e Cofferati riempiono le piazze diventa un problema! Subito parte la corsa alla delegittimazione dei dirigenti dei partiti storici della Sinistra (D’Alema, Fassino…).Nel

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frattempo i partiti guardano con preoccupazione al successo dei girotondi e ai grandi cortei no-global come se questi non possano rappresentare una forza in più alla vittoria del centro-sinistra. La guerra tutta interna alla sinistra produce una corsa alla dissacrazione

degli eventi e alla demonizzazione dei personaggi. In tutto il centro-sinistra è forte l’ incapacità a creare solidarietà mentre vince

la testarda determinazione a distruggere le novità e le idee. Si aspetta un leader che porti alla vittoria e non si pensa al fatto che il centro-sinistra non ha bisogno di un “padrone”, di un “capo”. Ma di un uomo capace di essere sintesi

di mille idee e che sappia aggregare nel governare. Con lui una squadra di amministratori capaci e di intellettuali aperti. L’unica vittoria possibile è quella che si ottiene con l’unità delle forze sociali, politiche e culturali che oggi sono all’opposizione: facile a

dirlo, difficile a realizzarlo. Ma è indispensabile provarci, provarci senza arrendersi mai. Il centro-sinistra è l’unica alleanza che porta nel proprio seno la forza della storia del Paese, la

prospettiva del cambiamento, la possibilità della solidarietà. Cattolici, laici, ambientalisti, progressisti

stanno insieme nel centro-sinistra per dare un futuro nuovo al Paese. A tale forza di ‘liberazione’ devono partecipare anche le “piazze” con la loro carica di passione, le energie fresche e spontanee del mondo della cultura, i giovani, il sindacato, la tradizione

socialista. Solo stando insieme, con programmi chiari di crescita e progresso, potremmo battere una destra destabilizzante che ha messo in crisi il Paese. Lo stesso discorso vale per la Calabria. Il Centro-sinistra deve

far dimenticare le peggiori esperienze del passato e la litigiosità interna. Più coraggio, dunque, nel superare i metodi vecchi e nell’eliminare l’autoreferenzialità di troppi partiti per dare vita a un’alleanza fresca, libera, moderna nella quale si ritrovino le migliori energie del centro-sinistra. Nessuno escluso.

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La crisi della politica;il fallimento dei partiti

negli Enti Locali

Sta accadendo qualcosa nei Comuni della Calabria (ma la cosa si ripete in gran parte delle Regioni meridionali). Più specificatamente sta accadendo qualcosa di negativo in molti

Comuni della nostra Provincia; Comuni in cui la politica è stata messa in un angolo per far posto alla sbrigativa gestione del potere da parte di gruppi che non avvertono alcun rossore. Un tempo nei Comuni si formavano le classi dirigenti dei partiti; dagli Enti Locali il passo era obbligato verso la Regione ed il Parlamento nazionale.

I migliori uomini politici calabresisi sono formati nei comuni, garantendo a

tanti piccoli e grandi centri del cosentino di progredire e di svilupparsi.

Don Luigi Nicoletti si formò nelle battaglie politiche dei primi decenni del secolo scorso a San Giovanni in Fiore nel primo Partito Popolare Italiano. Venne poi eletto consigliere provinciale, nominato assessore, quindi segretario provinciale della DC nel dopoguerra. Mancini amò così tanto la sua Cosenza da lavorare sempre per il suo decollo e per poi finire la sua straordinaria carriera politica, e la sua stessa esistenza, da sindaco della città capoluogo. I Principe sono legati strettamente alla storia moderna di Rende e sono stati gli artefici del suo decollo sociale ed economico che li ha poi consacrati a massimi

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vertici regionali e quindi al Governo del Paese. Pierino Buffone ha vissuto per Rogliano e da qui, con grande umiltà, ha attraversato la storia della DC ed ha raggiunto diversi incarichi ministeriali. Altri uomini politici (che qui non posso citare per ragioni di spazio) hanno dato ai loro Comuni d’origine tutto il loro impegno personale e politico e da questi hanno ricevuto grandi consensi elettorali.Negli ultimi anni i Comuni hanno smesso di formare i leaders politici di domani, mentre nel resto d’Italia i sindaci sono divenuti figure di primissimo piano (Rutelli e Bassolino su tutti). Reggio Calabria ha scoperto di avere un grande uomo come Falcomotà quale sindaco. Cosenza ha riscoperto Mancini per la sua rinascita.Da qualche tempo gli Enti Locali hanno fatto registrare grande

confusione nella gestione ordinaria e, nonostante l’elezione diretta dei sindaci che ha rappresentato la più importante

riforma elettorale, una sostanziale instabilità politica che spesso è sfociata in crisi profonde e perfino nello scioglimento dei

consigli comunali.Se per un attimo si fotografa la situazione attuale nella Provincia di Cosenza si scopre che in questo momento

sono circa trenta i Comuni in piena crisi o in una situazione di totale paralisi amministrativa. Citiamo gli esempi più eclatanti: la città di Paola è stata lasciata nel caos e nella confusione, mentre Cassano Jonio è allo sbando, Castrolibero è stata commissariata ad un solo anno dalle ultime elezioni. Forse solo per un puro caso gran parte dei Comuni in crisi sono amministrati

dal centro-destra. Probabilmente perché la Casa delle Libertà ha un

leader nazionale forte mentre a livello locale non ha

ancora dirigenti e amministratori con un minimo di cultura politica.

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In Calabria la crisi dei Comuni è aggravata dall’assoluta latitanza della Regione che vive in pieno degrado politico e non è in grado di impegnare le ingenti risorse finanziare comunitarie che da sole potrebbe assicurare alle comunità maggiore sviluppo e alle imprese di crescere e assumere.L’invenzione delle Comunità Montane non ha aiutato la formazione di una nuova classe dirigente che, fattasi sul campo, si proponesse a un livello superiore. Se si eccettuano un paio di casi, il resto delle Comunità Montane del cosentino è da anni in crisi di identità, in alcuni casi sono stati sciolti gli organismi statutari, altre sono senza un governo da molti mesi. Basti pensare alla Comunità Montana del Savuto, a quella di Verbicaro, a quella Silana dove il centro-sinistra caccia la Margherita e tira avanti senza grandi risultati, a quelle in cui si annuncia da tempo il ricambio del presidente e il rinnovo della giunta. In molti casi le giunte si alternano ogni sei mesi per garantire un posto di potere a turno a tutti i consiglieri! Da qui la convinzione del fallimento di questi enti che, nati per favorire lo sviluppo delle aree interne, hanno finito per promuovere le sagre dell’angurie sulle spiagge. Fatte salve un paio di Comunità Montane ben gestite, tutte le altre registrano un clamoroso fallimento. Il problema, comunque, non è solo calabrese.

In questo contesto di confusione e di crisi politico-amministrativa a livello

territoriale, emerge la stabilità e il buon risultato della Provincia di Cosenza.Qui il centro-sinistra riesce da due

legislature a fare quello che non sa fare altrove: andare d’accordo per governare con

impegno e serietà.

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Sarà anche per la disponibilità dei gruppi consiliari, ma questo si ottiene soprattutto per l’autorevolezza e la stima di cui gode il Presidente Acri che tiene insieme un’alleanza formata da tanti partiti, permettendo all’ Ente di raggiungere risultati notevoli. Ne è la prova il buon gradimento elettorale certificato da Eurispes che in un’indagine recente assegna alla Provincia di Cosenza quasi il 60% di soddisfazione fra gli intervistati ( la Provincia supera anche il Comune capoluogo, stacca di molto lo Stato centrale e la Regione Calabria che è l’ultima per gradimento e fiducia nei cittadini).Quello che è accaduto al Comune di Cosenza prima, durante e dopo le elezioni amministrative rappresenta una forte crisi del centro-sinistra in città: in questo caso riesce a perdere anche quando vince con un ottimo risultato elettorale. Il coinvolgimento dei partiti del centro-sinistra nel governo della città capoluogo rimane un punto fermo se si vuole costruire un’alleanza forte e credibile in vista delle prossime scadenze elettorali.La crisi degli Enti Locali porterà senza dubbio al progressivo scioglimento dei partiti che si trasformeranno velocemente in semplici cartelli elettorali. Il centro-destra stravince a livello nazionale trascinato da un leader che è poi il padre-padrone dell’alleanza, perde però nei Comuni dove non è in grado di tenere insieme la propria maggioranza; il centro-sinistra che pure è molto ben radicato sul territorio, non riesce a gestire i quadri dei partiti che appaiono sempre più disancorati dai vertici provinciali e regionali.In questa confusione politica generale, diventa difficile far emergere dal basso una nuova e ben determinata classe dirigente che prenda in mano gli organismi decisionali dei vari partiti e si proietti quindi ai livelli più alti delle istituzioni. Il rischio è notevole: senza un ricambio rapido e convincente, i vertici dei partiti e gli uomini che sono da anni nelle Istituzioni si convinceranno di non avere eredi validi e capaci. Da qui la convinzione di essere insostituibili diventa certezza. In queste condizioni, visto anche il disinteresse della cosiddetta società civile, il rinnovamento sarà più difficile e la crisi dei partiti si farà ancora più acuta. Il fossato tra la classe politica e la società reale rischia di allargarsi irrimediabilmente.

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Sogni e utopia

In un momento in cui la politica è in piena confusione, mentre i partiti si avvitano su se stessi e le Istituzioni appaiono come paralizzate, ho ascoltato con piacere l’intervento che il presidente

del consiglio provinciale, on. Francesco Principe, ha pronunciato nel corso di un vertice della maggioranza che governa la Provincia di Cosenza. Il presidente Principe ha parlato di utopia; ha invitato tutti a riscoprire il gusto di pensare in grande e di affrontare i temi sociali e culturali con un taglio diverso, con la voglia e il gusto di ‘sognare’. Il discorso, lungo e sentito, di Francesco Principe mi ha fatto pensare molto. In effetti ha invitato a non immaginare che i cittadini amministrati vogliano sapere da noi politici soltanto come e quando verrà riparata una strada, come si farà funzionare uno sportello pubblico o si sosterrà un’associazione di volontariato.

La gente torna ad avere voglia della ‘grande’ politica, dell’ impegno, dell’ ideale.

Principe sembra invitare chi fa politica oggi a smetterla di inseguire solo le piccole cose, di dare risposte minime e di pensare al quotidiano. L’intervento di Principe è, dunque, un invito a “volare alto”. Cosa che noi politici non facciamo più da quando sono crollati i miti e le illusioni del dopo-guerra, da quando è finito “l’impegno” degli anni ’60 e ’70, da quando la politica, dagli anni ’80 in poi, si è trasformata nel carrierismo e nell’affarismo che ha sepolto le ideologie e l’impegno. I partiti hanno dimostrato tutti i loro limiti quando si sono trasformati in veri e propri centri di potere: la DC non è morta sotto i colpi del pool di Mani Pulite, è morta quando ha perduto il contatto con la società ed ha finito per “occupare” lo Stato non potendo contare sulla democratica alternanza nella gestione del potere e si è preoccupata soltanto di questo. Tutto questo per 45 anni consecutivi. Quello che

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è nato dalla fine dei partiti della prima Repubblica è, probabilmente, quanto di peggio ci si poteva aspettare. Un’azienda si è trasformata in partito e ha conquistato il governo del Paese. Nessuno sa se questo sedicente partito abbia un programma, un progetto, una prospettiva: si tratta di un partito che potrebbe essere contestualmente di destra, di centro e di sinistra! E del resto questa cosa il suo laeder l’ha pure affermata pubblicamente. I partiti storici hanno prodotto altre formazioni politiche, per certi versi del tutto diverse dal “partito-madre”. PPI, CCD, CDU, Rinnovamento, Democratici, Udeur non hanno mai avuto le caratteristiche fondamentali della vecchia DC. Tantomeno la Margherita che è la migliore ‘invenzione’ post-dc, ma non ha ancora ‘un’anima’ sebbene abbia un progetto. Dal Pci sono nati altri partiti: PDS - DS - Rifondazione, Comunisti Italiani e via dicendo. Cose diverse e spesso in contrasto fra loro: un po’ a sinistra, un po’ a centro, massimalisti e riformisti, antiamericani. Dal PSI è nata una gran confusione che ha anche portato, unico caso al mondo, ad un partito che si chiama neo-PSI ma sta a destra! Con la fine dei grandi partiti la politica è diventata altra cosa. Tutto è un gridare senza limite, i confini della decenza sono stati superati di molto, le Istituzioni sono state mortificate, la stessa Carta Costituzionale è ogni giorno aggredita, perfino l’unità del Paese è messa in discussione. Il risultato è la politica che si occupa delle piccole cose, per giunta senza risolvere, che illude e confonde, che promette invano un nuovo miracolo italiano, che si occupa di operazioni piuttosto squallide. A destra, come a sinistra, è il fallimento della cosiddetta Seconda Repubblica che ha creato confusione e sbandamento negli italiani che pure avevano sostenuto e desiderato un reale cambiamento e uno svecchiamento della vecchia classe dirigente, degli antichi partiti nati agli inizi del secolo. A questo punto l’ utopia di Principe ci sta tutta. E ci sta all’interno di un discorso nuovo, che scomponga e ricomponga l’attuale contesto politico, che recuperi il primato della politica - ma non la supremazia dei politici - che dia segnali convincenti di una nuova realtà, fatta di sogni e utopie, speranze e ideali. A patto che questo non significhi sfuggire alla realtà quotidiana, alle emergenze sociali, alla gestione del momento. Andare oltre, dunque. Volare alto. Ritornare a fare Politica.

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La triste fine della Regione

Alla fine della legislatura in corso saranno passati ben 10 anni di governi di Centro-destra alla Regione Calabria. Fatta salva la breve esperienza della Giunta Meduri (che produsse un documento

di programmazione – il POR Calabria - che venne considerato uno strumento di straordinaria importanza per lo sviluppo della nostra terra), le due ultime legislature sono state sempre appannaggio dei partiti della Casa delle libertà.Nelle due legislature le giunte sono state tantissime: le ultime tre di Chiaravalloti (ma sembra certo che non si fermi qui!), prima ancora un paio di Nisticò, poi Caligiuri.Non c’è bisogno di aspettare la fine della legislatura in corso per definire ‘sciagurata’ l’esperienza del Centro-destra in Calabria. I fallimenti portano il nome e il cognome del tradimento del POR Calabria, dell’enorme buco nella Sanità, del mancato trasferimento delle funzioni alle Province (approvata la legge, mancano i regolamenti), della gestione miope e clientelare di tutte le competenze della Giunta regionale. E per finirla subito: l’inadeguatezza dei Presidenti a guidare le diverse giunte regionali, Chiaravalloti su tutti; lo sfascio istituzionale che si consuma nelle sedute dei consigli regionali durante le quali si sfiora lo scontro fisico; il pessimo rapporto tra esecutivo e consiglieri; l’attività legislativa di scarso valore.

Al di là dell’elencazione dei fallimenti, quello che conta è che il Centro-destra non abbia saputo inventare e realizzare una vera

politica alternativa,

non riuscendo a dare ai calabresi la sensazione che si voltasse pagina e si realizzassero gli impegni programmatici grazie ai quali Chiaravalloti (come Berlusconi a Roma) ha ingannato gli elettori carpendone la fiducia.

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Nelle politiche del lavoro, ad esempio, si è andati avanti nel puro e semplice assistenzialismo. Nessuna novità per il mondo delle imprese, per i lavoratori altamente qualificati, per l’industria e l’artigianato. Nel campo economico ci si sarebbe aspettato, e così doveva essere, una profonda rivoluzione che desse la spinta ad una economia di mercato capace di guidare lo sviluppo e dare vita ad una nuova stagione occupazionale. Così pure per tutti gli altri settori in cui l’immobilismo giace sovrano e nessuna idea è stata concretizzata.Nella pratica, la Regione di Centro-destra fallisce miseramente perché non riesce a immettere nel circuito economico e produttivo gli ingenti finanziamenti di Agenda 2000 che da soli basterebbero a fare della Calabria una nuova terra di sviluppo e di crescita. Il POR è stato tradito nella quantità e nella qualità degli interventi, mentre l’economia soffoca a causa dell’alto costo del denaro, del lavoro sommerso, dell’estorsione che impazza, della capacità di governo che manca alla destra a tutti i livelli. Non c’è stata una “cultura” di destra che significasse alternativa nella gestione del potere. In realtà la Calabria in dieci anni ha fatto un brutto passo indietro: nella sostanza, nello stile, nella qualità. Ci siamo ritrovati governati da giunte di incapaci, presiedute da uomini del tutto inadatti al ruolo, gestite da amministratori litigiosi, spinti da un clientelismo sfrenato e accecati dalla sete di potere. Il risultato: la Calabria arretra da tutti i punti di vista, l’economia è ferma, l’occupazione torna a scendere, la sanità è allo sbando, tutti gli altri settori (dal turismo all’agricoltura, dai lavori pubblici alla pubblica istruzione e via dicendo) non esistono. Cosa fare a questo punto. La soluzione ideale sarebbe quella di sciogliere il consiglio regionale e ridare la parola ai calabresi. Ma questo non lo consentiranno i consiglieri regionali. Allora è il momento che il centro-sinistra la smetta di litigare al suo interno, si ritrovi unito nella sua ricca diversità, ritrovi la forza e la voglia di dare una “spallata” alla giunta regionale e al suo inetto presidente. Subito dopo si attrezzi per una proposta di governo con un progetto di svolta, un programma delle emergenze, un’idea di sviluppo che utilizzi tutti i fondi comunitari. Quindi l’indicazione del Presidente e della squadra di governo. Utilizziamo tutti i mezzi, anche la piazza, ma soprattutto le proposte, per dare ai calabresi una possibilità in più per salvare la Calabria.

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Un sogno chiamato Mina

Pronto? Buongiorno, cerco Franco Laratta” E’ una donna al telefono. Mi trovo fuori e quindi le dicono di richiamare. Lei, comunque, non vuol lasciare

il nome. Riprova più tardi. Stessa scena. La signora richiama anche un terza e quarta volta. Inultilmente. Poi un pò si secca: “Senta, dica che ha chiamato Mina Mazzini e che non lo trovo mai. Lui però sa dove cercarmi”. Sembrava uno scherzo. Mina, proprio lei, che mi vuole! Daccordo, ho un amore per la grande interprete che dura da sempre; conosco bene il figlio Massimiliano con il quale sono molto amico da anni. Ma da qui a ricevere una sua telefonata ne corre. Eppure quel giorno di quattro anni fa era proprio lei al telefono. Ne ho la conferma chiamando alla sua casa discografica di Lugano: “Sì, la signora cerca proprio lei, gliela passo”. Attimi di panico e poi una conversazione semplice che non voglio riportare. Rimane forte il ricordo di una voce giovanissima, e di un “arrivederci a Lugano” che ogni tanto mi sembra di risentire.Mina si nasconde da oltre 20 anni. Io la scopriì nel 1974, grazie ad una sua canzone suonata ad un juke-box. Frequentavo il primo anno della Ragioneria, ed allora andavano forti i Rolling Stones (ricordo la splendida “Angie”) e tanti gruppi stranieri. Cominciai lentamente l’esplorazione del pianeta Mina. Comprai subito i suoi dischi: il primo era “Frutta e verdura”, il 33 giri che conteneva “E poi”, la canzone che ascoltai dal juke-box. Poi venne “Amanti di Valore”, quindi a ritroso gli altri dischi. Ogni anno l’attesa per il suo nuovo lavoro e la ricerca delle sue foto, di articoli che parlassero di lei e della sua vita. In

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quel periodo apparve in televisione con Milleluci. Sarebbe stata la sua ultima volta in Tv, dopo 15 anni di straordinarie trasmissioni del sabato sera, preludio della grande fuga dal mondo dello spettacolo. Nel 1978 tenne il suo ultimo grande concerto dal vivo, alla Bussola di Viareggio. Io, appena diciottenne, non potei andare. Titoli entusiastici su tutti i giornali, grande trionfo e pubblico in delirio per quelle serate in Versilia. Poi l’addio per sempre alle scene, nonostante la popolarità in aumento ed il crescente apprezzamento della critica per le sue interpretazioni sempre più di altissimo livello. Proprio in quel periodo apriva a San Giovanni in Fiore una radio libera. Si chiamava Radio Sila Tre ed era diretta da me. Mina aveva sempre un grande rilievo nella programmazione musicale della radio, tanto che finì per essere scoperta ed apprezzata da tanti giovani dj. Anche il pubblico, abituato ad altro genere di musica, imparò a conoscere le canzoni più belle di Mina. Ricordo in particolare un Album straordinario, “Attila”, che trionfò in radio per mesi. Del resto è tutt’ora uno dei lavori più riusciti di Mina. In quel 33 giri debuttava quale autore Massimiliano Pani, il 16enne figlio della cantante, che scrisse per l’occasione due brani molto belli: “Sensazioni” e “Il vento”. A Radio Sila Tre furono le due canzoni più richieste e trasmesse per tanti mesi. In tutte le radio italiane “Attila” fu un successo. Il giovane Massimiliano, però, venne curiosamente maltrattato da un certa impietosa e stupida critica. Io, invece, gli scrissi per dimostrargli il mio apprezzamento e per incoraggiarlo a continuare perchè ne aveva la stoffa e tutte le qualità. Mi rispose rigraziandomi e da allora cominciò un lungo ed intenso rapporto epistolare. Pani apprezzava i miei suggerimenti e le mie indicazioni. Ma ci scrivevamo di tutto e lui si è subito dimostrato molto maturo e particolarmente intelligente ed attento. Dopo un paio di anni ci incontrammo a Milano, poi in seguito in Svizzera, dove lui vive con la mamma, a Roma e in altre città. Entrò presto nello staff degli stretti collaboratori di Mina, continuando a scrivere e rivelandosi ben presto un ottimo arrangiatore. Poi incise per conto suo (ma, sebbene bravo, non fu molto fortunato), debuttò in Tv quale conduttore facendosi subito notare per il suo stile e la sua eleganza nel parlare. Non gli feci mai mancare i miei giudizi e i miei

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incoraggiamenti tutte le volte che faceva qualcosa come Massimiliano Pani, non già quale figlio d’arte. Nacque una bella amicizia che dura tutt’ora e alla quale Massimiliano mi ha detto di tenere molto. Il giovane e capace figlio di Mina deve avere parlato più volte alla madre del nostro rapporto. Ed una volta in particolare, dopo un nostro incontro a Roma dove siamo andati con mia moglie e mio figlio a prenderlo all’aeroporto per poi stare insieme per alcune ore, Mina mi ha fatto quella inattesa e graditissima telefonata.Altre volte l’ho sentita mentre cercavo Massimiliano, ed una volta lei ha voluto parlare con mio figlio Andrea, all’epoca di 8 anni, il quale desiderava da tempo di parlarle, evidentemente ed involontariamente plagiato dal papà, ma che apprezza molto le canzoni dell’ ex Tigre di Cremona. Andrea, che aveva sentito il Cd “Napoli” del 1996, voleva sapere da Mina come faceva a cantare così bene in napoletano. Lei glielo ha spiegato ed ha anche risposto a tutte le sue domande!Mina, del resto, è sempre stata con me molto affettuosa: quando da ragazzino le scrivevo - e sarà successo tante volte- mi faceva avere autografi e posters. Qualche volta anche alcuni suoi dischi.Negli ultimi anni Mina è, dal punto di vista musicale, molto cambiata. Legatissima alla famiglia, lontana anni luce dal mondo delle spettacolo, ha saputo cambiare e superare i tempi e le mode. Grazie a Massimiliano Pani, che produce i dischi della mamma e dirige la casa discografica di Lugano circondandosi di musicisti giovani e capaci, Mina si è riscoperta una inteprete più nuova e attenta alle esigenze del pubblico, ma mai disponibile a fare ciò che non le piace o non la convince. Al termine di quella sua telefonata ci siamo dati appuntamento in Svizzera. Io le chiesi di venire in Sila per ammirare le bellezze naturali della nostra montagna. Lei mi ha risposto che non gradisce compiere viaggi così lunghi. Dopo quella conversazione sono andato davvero a Lugano. Avevo appuntamento con Massimiliano e, devo dire, temevo(!) di trovare anche Mina. Dentro di me è la cosa che desidero di più, ma nello stesso tempo ne sono anche spaventato. Quel giorno lei non c’era ed io sono stato a lungo nella Pdu con Pani a seguire la preparazione di un disco. A tarda sera ho ripreso il treno da Lugano per Milano, accompagnato alla stazione da Massimiliano.

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Avrei voluto sì incontrarla di persona, ma sono anche convinto che i sogni non dovrebbero mai realizzarsi. Perchè sarebbero diversi dalla nostra immaginazione e dai nostri desideri. Mina è, per me, un sogno lungo una vita. La trovo in macchina tutte le volte che viaggio; ha fatto da colonna sonora di tutti i momenti più belli della mia vita; mi ha portato per mano da ragazzino fino alle soglie della maturità. L’ ho ascoltata quando ero triste e volevo scacciare la malinconia. Lei, con la sua splendida voce, mi segue ogni giorno, in sottofondo e in primo piano, con la stessa puntualità del tempo che scorre veloce e supera ogni evento. Perchè Mina è cultura, passione, poesia! Mina ha segnato la storia degli ultimi 40 anni in Italia: il suo volto, le sue canzoni, le sue vicende personali, hanno caratterizzato gli eventi, le mode, gli avvenimenti di un Paese che è cresciuto e cambiato. Insieme a lei. Per me è stata un momento di evasione e di passione: quasi come un’amica sincera e riservata che ti segue sempre senza chiedere mai, pretendendo però massima fedeltà. Alcune sere fa ascoltavo un brano di Mina a casa mentre i miei bambini giocavano. La piccolina, Karen di due anni, si divertiva a canticchiare. Le ho chiesto: “Sai chi canta questa canzone?”. Non poteva ovviamente saperlo. Le ho detto: “é Mina”. E lei, candida: “Papà, Mina chi è”? Già, Mina chi è? Karen avrà tempo, se lo vuole, di scoprirlo. Non è che sia molto importante per la sua vita, ma saprà che lo è stata per quella del suo papà.Grazie, Mina!

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