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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
- R O M A –
RICORSO per
l’A.I.O.P. - ASSOCIAZIONE ITALIANA OSPEDALITA’ PRIVATA
(C.F. 80202430585) in persona del legale rappresentante p.t. prof. Gabriele
Pelissero, nonchè delle Case di Cura Villa Serena con sede in Cassino (FR)
C.so della Repubblica n. 204, C.F. 00250370608 in persona del legale
rappresentante p.t. Anna Panaccione, Casa di Cura Villa Silvana (gestita
dalla Soc. Villa Silvana SpA) con sede in Aprilia (LT) viale Europa n. 1/3
C.F. 05616331004 in persona del legale rappresentante p.t. Dott. Carlo
Cerulli, Villa Carla (gestita dalla Soc. Villa Carla srl) con sede in Aprilia
(LT), viale Italia (angolo V.le Europa), (C.F.: 06457601000) in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Carlo Cerulli; Casa di Cura Nuova Santa
Teresa (gestita dal Gruppo RO.RI srl), con sede in Roma, Via dei Valeri n.
1 C.F. 06526200586, in persona del Presidente c.d.a. dott. Fabio Angelucci,
Policlinico Italia s.r.l. con sede in Roma, Piazza del Campidano n. 6 C.F.
05600591001, in persona del vice presidente p.t. dott. Stefano Monamì; Casa
di Cura Villa Luana (gestita dalla GIFI s.r.l.) con sede in Poli (RM) Loc.
Valle Orlanda C.F. 01140510585, in persona del suo legale rappresentante p.t.
Dott.ssa Giuseppina Dore, I.N.I. Istituto Neurotraumatologico Italiano srl
con sede in Roma Via Torino n.122 C.F. 01618340580 in persona del legale
rappresentante p.t. sig.ra Nadia Proietti, Casa di Cura Villa Aurora S.p.A.,
con sede in Roma Via Mattia Battistini, 44 C.F. 01596310589, in persona del
legale rappresentante p.t. sig.ra Gaetana Zoppoli; Casa di Cura Città di
Aprilia s.r.l., con sede in Aprilia (RM) via delle Palme n. 25, C.F.
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00168290591, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alessandro Sirri;
Casa di Cura Salus srl con sede in Viterbo viale Trieste n. 97, C.F.
C.F.00169040565 in persona del legale rappresentante p.t. sig.ra Maria
Patrizia Battaglia, Casa di Cura Villa Pia Polispecialistica (gestita dalla
Panoramica srl) con sede legale in Roma, via B. Ramazzini n. 93 C.F.
01149020586 in persona del legale rappresentante p.t. Daniela Bottari; Casa
di Cura Nuova Clinica Annunziatella srl, con sede in Roma via Meropia n.
67 C.F. 05066941005 in persona del legale rappresentante p.t. prof. dott.
Dario Spallone; Casa di cura Madonna delle Grazie SpA con sede in
Velletri, V.le Salvo D’Acquisto n. 67, P.Iva 02155411008 in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Guido Ciranna; Casa di cura Casa del Sole
srl con sede in Formia (LT), via G. Paone n. 58, P. Iva 01298500594 in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Maurizio Costa; Casa di cura S.
Anna-Policlinico Città di Pomezia srl, con sede in Pomezia, Via del Mare n.
69/71, P. Iva 01998571002 in persona del legale rappresentante p.t. dott.
Emmanuel Miraglia; GIOMI SpA Casa di cura I.C.O.T. con sede in Roma,
Viale Carso n. 44, P. Iva 06619881003 in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Emmanuel Miraglia; Istituto Clinico Valle d’Aosta, con sede in
Saint Pierre (AO), Località Breyan n. 1, P. Iva 01082490077 in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; E.C.A.S. Spa,
con sede in Torino, Corso Vittorio Emanuele II n. 91, P. Iva 01737940013, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Fabio Marchi; Casa di cura
Cellini SpA con sede in Torino, Via Cellini n. 5, P. Iva 00510380017, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Fabio Marchi; Nuova Casa di
cura Città di Alessandria srl, con sede legale in Milano, Viale Lunigiana n.
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46, P. Iva 11494150151, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Paola
De Salvo; Casa di cura La Vialarda Spa con sede legale in Biella, Via
Ramella Germanin n. 26, P. Iva 00150000024, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Casa di cura Villa
Adriana srl, con sede legale in Torino, Piazza Guido Gozzano n. 1, P. Iva
03609890011, in persona del legale rappresentante p.t. comm. Pietro
Camerlengo; Casa di cura Villa Iris srl, con sede legale in Torino, Piazza
Guido Gozzano n. 1, P. Iva 03880520014, in persona del legale
rappresentante p.t. comm. Pietro Camerlengo; Casa di cura Villa Papa
Giovanni XXIII srl, con sede legale in Torino, Piazza Guido Gozzano n. 1,
P. Iva 00491660015, in persona del legale rappresentante p.t. comm. Pietro
Camerlengo; Casa di cura San Luca Spa, con sede legale in Precetto T.se
(TO), Strada della Vetta n. 3, P. Iva 01136930011, in persona le legale
rappresentante p.t. dr.ssa Maria Letizia Baracchi; Casa di cura Città di Bra
Spa, con sede legale in Bra, Via Montenero n. 1, P. Iva 01118370046, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Giacomo Brizio; Casa di cura San
Michele di Patria Sergio e C. Sas, con sede legale in Bra, Via San Michele
n. 2, P. Iva 00337570048, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Luca
Patria; Casa di cura Villa Patrizia srl, con sede legale in Allivellatori-
Piossasco (TO), Regione Giorda n. 6/8, P. Iva 01728640010, in persona del
legale rappresentante p.t. dr.ssa Patrizia Bruno; Casa di cura Maria Pia
Hospital srl, con sede legale in Torino, Strada Mongreno n. 180, P. Iva
01750610014, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Carlo Di
Giambattista; Casa di cura San Giorgio srl, con sede legale in Torino, Corso
Re Umberto I n 1, P. IVA 00915420012, in persona del legale rappresentante
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p.t. dott. Saverio Postiglione; Casa di cura Villa Igea srl, con sede legale in
Acqui Terme (AL), Strada Mirano n. 2, P. Iva 02270850064, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Emilio Rapetti; Casa di cura San Carlo di
Arona srl, con sede legale in Milano, Via Pontaccio n. 14, P. Iva
02031360155, in personale del legale rappresentante p.t. dr.ssa Bianca Rosa
Robbiati; Casa di cura Villa Ida Santa Croce srl, con sede legale in Lanzo
Torinese (TO), Via A. di Challant n. 23, P. Iva 04290680018, in persona del
legale rappresentante p.t. sig.ra Maria Assunta Togliatto; Policlinico di
Monza Casa di cura Privata Spa, con sede legale in Milano, Piazza Cinque
Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Massimo Antonino De Salvo; Casa di cura Santa Rita (Policlinico di
Monza Casa di cura Privata Spa) , con sede legale in Milano, Piazza
Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Istituto Clinico Salus
(Policlinico di Monza Casa di cura Privata Spa), con sede legale in Milano,
Piazza Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Clinica Eporediese
(Policlinico di Monza Casa di cura Privata Spa), con sede legale in Milano,
Piazza Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo; Clinica San
Gaudenzio (Policlinico di Monza Casa di cura Privata Spa), con sede
legale in Milano, Piazza Cinque Giornate n. 10, P. Iva 11514130159, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Massimo Antonino De Salvo;
Casa di cura Villa Bianca Spa, con sede legale in Trento, Via Piave n. 78, P.
Iva 00123990228, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Claudio
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Toller; Casa di cura Solatrix SpA, con sede legale in Rovereto (TN), Via
Bellini n. 11, P. Iva 00311150221, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Lorenzo Spiani; Casa di cura Bonvicini, con sede lagale in Bolzano,
Via Pacher n. 12, P. Iva 01745190213, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Paolo Bonvicini; Policlinico San Giorgio SpA, con sede legale in
Pordenone, Via A. Gemelli n. 10., P. Iva 00130860935, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Maurizio Sist; Casa di cura Pineta del Carso SpA,
con sede legale in Duino-Aurisina (TS), Viale Stazione n. 26, C.F.-P.Iva
00051070324, in persona del legale rappresentante prof. Lucio Ercolessi;
Policlinico Triestino SpA, con sede legale in Trieste, Via Bonaparte n. 4, P.
Iva 00139620322, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Guglielmo
Danelon; Casa di Cura Abano Terme Polispecialistica e Termale SpA, con
sede legale in Abano Terme (PD), Piazza C. Colombo n. 1, P. Iva
01735030684, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Nicola Petruzzi.
Casa di cura Parco dei Tigli sas, con sede in Villa di Teolo (PD), Via
Ponticello n. 1, P. Iva 02011180284, in persona del legale rappresentante p.t.
prof. Alessandro Borgherini; Centro Medico di Foniatria srl, con sede in
Padova, Via Bergamo n. 10, P. Iva 02143190284, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Donatella Croatto; Casa di cura Eretenia Spa, con
sede in Vicenza, Viale Eretenio n. 12, P. Iva 00444840243, in persona del
legale rappresentante p.t. Rag. Giuseppe Mioni; Casa di cura Villa
Margherita srl con sede legale in Arcugnano (VI), Via Costacolonna n. 6, P.
Iva 03272190244, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Cristiano
Nordera; Casa di cura S. Maria Maddalena SpA con sede legale in
Occhiobello (RO), Via Gorizia n. 2, P. Iva 00119690295, in persona del
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legale rappresentante p.t. dott. Vittorio Morello; Casa di cura Policlinico S.
Marco SpA, con sede in Mestre (VE), Via Canotto n. 70, P. Iva
00347320277, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alberto Graffitti;
Casa di cura Sileno e Anna Rizzola SpA, con sede in San Donà di Piave
(VE), Via Gorizia n. 1, P. Iva 00188280275, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Gaspare Gemma; Casa di cura Park Villa Napoleon
srl, con sede legale in Venezia, S. Marco 5189, P. Iva 00785670274, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Piero Bellussi; SOGEDIN Spa
con sede legale in Monastier di Treviso (TV), Via Giovanni XXIII n. 1, P. Iva
00404370264, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Massimo
Calvani; Casa di cura San Francesco SpA, con sede legale in Verona, Via
Monte Ortigara n. 21/B, C.F. 00420560237, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Lorena Corso; Centro Riabilitativo Veronese srl,
con sede in Verona Loc. Marzana, Piazza R. Lambranzi n. 1, P. Iva
02661770244, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Piergiuseppe
Perazzini; Casa di cura Villa Santa Chiara SpA, con sede in Quinto
Valpantena (VR), Via Monte Recammo n. 7, P. Iva 00417510237, in persona
del legale rappresentante p.t. dott. Ruggero Maggioni; Casa di cura Villa
Garda SpA, con sede in Garda (VR), Via Monte Baldo n. 89, C.F.-P.Iva
07101701006, in persona del legale rappresentante p.t. avv. Maria Laura
Garofalo; Casa di cura Villa Berica SpA, con sede in Vicenza, Via
Capparozzo n. 10, P. Iva 02933770246, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Mariano Garofalo; Casa di cura Città di Rovigo srl, con sede in
Rovigo, Via Sichirollo n. 30, C.F.-P. Iva 00116870296, in persona del legale
rappresentante p.t. prof. Vittorio Pederzoli; Casa di cura Madonna della
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Salute srl, con sede in Porto Viro (RO), Via Nicola Badaloni n. 25. C.F.-
P.Iva 00120720297, in persona del legale rappresentante p.t. prof. Vittorio
Pederzoli; Casa di cura Polispecialistica Dott. Pederzoli SpA, con sede in
Peschiera del Garda (VR), Via Monte Baldo n. 24, C.F.-P.Iva 00233020239,
in persona del legale rappresentante p.t. prof. Vittorio Pederzoli; Istituto
Codivilla Putti di Cortina SpA, con sede legale in Cortina d’Ampezzo (BL),
Via Codivilla Putti n. 1, P.Iva 00964280259, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Massimo Miraglia; Casa di cura Val Parma srl., con
sede in Langhirano (PR), Via XX Settembre n. 22, C.F.-P.Iva 00745280347,
in persona del legale rappresentante p.t. dott. Mario Cotti; Ospedali Riuniti
SpA, con sede in Bologna, Viale Ercolani n. 9, P.Iva 00689340370, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Guido Nigrisoli; Casa di cura
Maria Cecilia Hospital SpA, con sede in Cotignola (RA), Via Corriera n. 1,
P.Iva 00178460390, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Bruno
Biagi; Hospital Piccole Figlie srl, con sede in Parma, Via Po n. 1, P.Iva
002371460342, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giancarlo
Veronesi; Casa di cura Villa Azzurra Spa, con sede in Riolo Terme (RA),
P.Iva 00196750392, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Davide
Guerra; Casa di cura Villa Bellombra, con sede in Bologna, Via Bellombra
n. 24, P.Iva 00881330377, in persona del legale rappresentante p.t. rag.
Lorenzo Orta; Casa di cura Villa Maria Luigia con sede in Ponticelli Terme
(PR), Via Montepelato Nord n. 41,, P.Iva 00323020347, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Marco De Bernardis; Casa di cura Prof. Fogliani,
con sede in Modena, Via Lana n. 1, P Iva 00681310363, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Roberto Giusti; Casa di cura Villa Chiara Spa, con
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sede in Casalecchio di Reno (BO), P.Iva 00503971202, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Giovanna Costantini; Salus Hospital SpA, con sede
in Reggio Emilia, Via Ulderico Levi n. 7, C.F.-P.Iva 01431190352, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Valter Brunello; Casa di cura
Villa Igea Spa, con sede in Saliceta San Giuliano (MO), Via Stradella n. 73,
P.Iva 00418870366, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Giuliana
Ponzoni; Casa di cura Villa Baruzziana, con sede in Bologna, Via
Osservanza n. 19, P. Iva 01091760379, in persona del legale rappresentante
p.t. dr.ssa Giulia Neri; Casa di cura Piacenza SpA, con sede in Piacenza, Via
Morigi n. 41, P. Iva 00203950332, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Riccardo Gazzola; Casa di cura Privata S. Antonino srl, con sede in
Piacenza,Viale Malta n. 4, P. Iva 00250900339, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Riccardo Gazzola; San Giacomo Ospedale Privato
Accreditato di Medicina Fis. Riabilitativa, con sede in Ponte dell’Olio
(PC), via S. Bono n. 3, P.Iva 00211100334, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Gianpiero Melani; Casa di cura San Pier Damiano
Hospital , con sede in Faenza, Via Isonzo n. 10, C.F.-P. Iva 00198960398, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Simone Buda; Casa di cura Villa
Verde, con sede in Reggio Emilia, Viale Basso n. 1, P.Iva 00294320353, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Fabrizio Franzini; Casa di cura
Villalba srl., con sede in Bologna, Via di Roncrio n. 25, C.F. 00316340371,
in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alberto Di Perna; Casa di cura
Villa Salus Istituto Elioterapico Ortopedico srl, con sede in Viserbella di
Rimini (RN), Via Porto Palos n. 93, P.Iva 00391170404, in persona del
legale rappresentante p.t. dptt. Marco Vasini; Casa di cura Sol et Salus Spa,
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con sede in Torre Pedrera (RN), Via San Salvador n. 204, P.Iva
00432390409, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Marco Vasini;
Casa di cura Ai Colli srl, con sede in Bologna, Via S. Mamolo n. 158, P.Iva
00791900376, in persona del legale rappresentante p.t. ing. Roberto Ponti;
Casa di cura Villa Laura srl, con sede in Bologna, Via Emilia Levante n.
137, C.F.-P.Iva. 02378901207, in persona del legale rappresentante p.t. dott.
Walther Domenicani; Casa di cura Quisisana srl, con sede in Ferrara, Via
Cavour n. 128, C.F.-P.Iva 00205800386, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Giorgio Piacentini; Casa di cura Salus srl, con sede in Ferrara, Via
Arianuova n. 38, P. Iva 00257490384, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Gianluca Mantovani; Casa di cura Prof. Nobili Spa, con sede in
Castiglione dei Pepoli (BO), Via Fiera n. 25, P. Iva 00519601207, in persona
del legale rappresentante p.t. dott. Luigi Gallina; Casa di cura Villa Pineta
srl, con sede in Gaiato-Pavullo n/F. (MO), Via Gaiato n. 127, C.F.-P.Iva
00693420366, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Mariagrazia
Nobile; Ospedale Privato Santa Viola, con sede in Bologna, Via della
Ferriera n. 10, P. Iva 02208681201, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Averardo Orta; Casa di cura Villa Torri Hospital, con sede sociale in
Bologna, Viale Filopanti n. 12, P. Iva 02383150394, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Fausto Pellati; Casa di cura Villa Rosa, con sede
sociale in Modena, Via F.lli Rosselli n. 83, P. Iva 00500020367, in persona
del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria Paola Barbieri; Casa di cura Città
di Parma Spa, con sede in Parma, P.le Athos Maestri n. 5, P.Iva
00305320343, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Cesare Salvi;
Casa di cura Hesperia Hospital Spa, con sede in Modena, Via Arquà n.
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80/A, C.F.-P.Iva 01049620360, in persona del legale rappresentante p.t. avv.
Maria Laura Garofalo; Casa di cura Santa Rita Hospital srl, con sede in
Montecatini Terme (PT), Via D. Manin n. 29, P. Iva 01662140472, in persona
del legale rappresentante p.t. dott. Vincenzo De Luca; Maria Beatrice
Hospital (Presidio Villa Maria Beatrice) srl, con sede in Firenze, Via
Manzoni n. 12, P. Iva 01171680489, in persona del legale rappresentante p.t.
dr.ssa Maura Cocchi; Maria Beatrice Hospital srl (Presidio Villa Maria
Teresa Hospital - Via della Cernia, 18) con sede legale in Firenze, Via
Manzoni n. 12, P. Iva 01171680489, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Vincenzo De Luca; Istituto Reumatologico Munari srl, con sede
sociale in Firenze, Viale Mazzini n. 38, P. Iva 06275460480, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Michelangelo De Faveri Tron; Casa di cura
Villa Fiorita srl, con sede legale in Prato (FI), Via Cantagallo n. 56, P. Iva
00336980974, in persona del legale rappresentante dott. Giovanni Del
Vecchio; Istituto Fiorentino di Cura e Assistenza I.F.C.A. SpA, con sede
legale in Firenze, Via del Pergolino n. 4/6, P. Iva 01300810486, in persona
del legale rappresentante p.t. dott. Francesco Matera; Centro Oncologico
Fiorentino Casa di cura Villanova srl, con sede legale in Sesto Fiorentino
(FI), Via A. Ragionieri n. 101, P. Iva 00932450489, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Maurizio De Scalzi; Casa di cura Poggio Sereno srl,
con sede legale in Firenze, Via B. da Maiano n. 14, P. Iva 01252290489, in
persona del legale rappresentante p.t. dr. Leonardo Morichi; Casa di cura
Villa dei Pini srl., con sede legale in Firenze, Via Ugo Foscolo n. 78, P. Iva
03446580486, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Franco
Cammarata; Casa di cura Frate Sole srl, con sede legale in Figline Valdarno
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(FI), Via San Romolo n. 109, P. Iva 03897620484, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Maria Anna Brilli; Casa di cura Leonardo srl, Con
sede legale in Vinci (FI), Via P. Grocco n. 136, C:F.- P. Iva 01062010481, in
persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Dina Scali; Centro
Riabilitazione Terranova Bracciolini Spa, con sede legale in Terranova
Bracciolini (AR), Via Dante, P. Iva 01625140510, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Anna Paola Santaroni; Casa di cura Valdisieve sas
di Forni Luciana, con sede legale in Pelago (FI), Via Forlivese n. 122, C.F.
00639790484, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Luciana Forni;
Assisi Project Spa (Casa di cura San Giuseppe Hospital- Arezzo) con sede
legale in Roma, Via F. Corridoni n. 23, C.F.-P. Iva 08531211004, in persona
del legale rappresentante p.t. dott. Paolo Rosati; Centro Chirurgico Toscano
srl, con sede legale in Arezzo, Via dei Lecci n. 22, P.Iva 01952970513, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Stefano Tenti; Casa di cura
Rugani srl, con sede legale in Monteriggioni Siena, SS 222 Chiantigiana
loc. Colombaio, P.Iva 01243020524, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Alessandro Callai; Casa di cura Ville di Nozzano srl, con sede legale in
Nozzano S. Pietro (LU), Via Bordogna n. 144/154, P.Iva 00391100468, in
persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria Baroni; Casa di cura Villa
Fiorita srl, con sede legale in Perugia, Via XX Settembre n. 55, P.Iva
00494160542, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Anna Maria
D’Agosto; Casa di cura Liotti, con sede legale in Perugia, Via S. Siepi n. 11,
P.Iva 01678940543, in persona del legale rappresentante p.t. Sig. Giuseppe
Liotti; Casa di cura Porta Sole srl, con sede legale in Perugia, P.zza B.
Michelotti n. 4, P.Iva 00455310540, in persona del legale rappresentante p.t.
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dr.ssa Maria Rita Cucchia Mantovani; Casa di cura Villa Aurora SpA, con
sede legale in Foligno (PG), Via Arno n. 2, P. Iva 00201490547, in persona
del legale rappresentante p.t. dott. Alfredo Vedovati; Casa di cura Villa San
Marco srl, con sede legale in Ascoli Piceno, Via 3 Ottobre n. 11, P. Iva
00210190443, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Antonio Romani;
Casa di cura RI.TA. srl (Casa di cura Villa Verde), con sede legale in
Fermo (AP), P.le Kennedy n. 2. P. Iva 00220340442, in persona del legale
rappresentante p.t. Avv. Maurizio Natali; Labor Spa Casa di cura Villa
Igea, con sede legale in Ancona, Via Maggini n. 200, C.F.-P.Iva
00204460422, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Roberto La
Rocca; Sanatrix srl Casa di cura Villa dei Pini, con sede legale in
Civitanova Marche (MC), Viale dei Pini n. 31, P. Iva 01490070438, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Antonio Aprile; Istituto di
Riabilitazione Santo Stefano srl, con sede legale in Porto Potenza Picena
(MC), Via Aprutina n. 194, C.F.-P.Iva 01148190547, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Lorenzo Buldrini; Salus srl Casa di cura Villa
Serena, con sede legale in Jesi (AN), Via di Colle Onorato n. 2, P. Iva
00156780421, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Abu Eiden Abdul
Rhaman; Casa di cura Stella Maris srl, con sede legale in S. Benedetto del
Tronto (AP), Via A. Murri n. 1, P.Iva 00220370449, in persona del legale
rappresentante p.t. prof. Carmine De Nicola; Casa di cura Villa Silvia srl,
con sede legale in Roma, Via Quirini Majorana n. 203, P. Iva 04590111003,
in persona del legale rappresentante p.t. dott. Vincenzo Aliotta; Casa di cura
Villa Anna SpA, con sede legale in San Benedetto del Tronto (AP), Via
Toscana n. 159, P. Iva 00219170446, in persona del legale rappresentante p.t.
13
avv. Simone Ferraioli; Casa di cura Dott. Marchetti srl, con sede legale in
Macerata, Via Ariani n. 9, C.F.-P.Iva 00154640437, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Giuseppe Marchetti; Casa di cura Pierangeli –
Synergo srl, con sede legale in Pescara, Piazza Pierangeli n. 1, C.F.-P.Iva
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Casa di cura Spatocco-Synergo srl, con sede legale in Chieti, Viale
Amendola n. 93, C.F.-P.Iva 00062520689 , in persona del legale
rappresentante p.t. dr. Luigi Pierangeli; Casa di cura Villa Serena del Dott.
Leonardo Petruzzi srl, con sede legale in Città Sant’Angelo (PE), Via
Leonardo Petruzzi n. 42, P.Iva 01220790685, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Concetta Petruzzi; Casa di cura Nova Salus srl,
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persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Lucia Di Lorenzo; Casa di cura
Villa Maria srl con sede legale in Campobasso, Via P. di Piemonte n. 4,
C.F.-P. Iva 00158120709, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa
Maria Anna Sabelli; I.N.M. Neuromed, con sede legale in Pozzilli (IS), Via
Atinense n. 18, P. Iva 00068310945, in persona del legale rappresentante p.t.
prof. Erberto Melaragno; Casa di cura S. Michele srl, con sede legale in
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14
L. Volpicella n. 493, P. Iva 00766800635, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Lucia Elvira Bonaccorsi; Casa di cura Villa dei
Fiori srl, con sede legale in Mugnano di Napoli (NA), Corso Italia n. 110,
P.Iva 01246851212, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Gabriele Di
Meo; Ospedale Internazionale –Casa di cura srl, con sede legale in Napoli,
Via Tasso n. 38. C.F.-P.Iva 03507900631, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Gabriele Di Meo; Casa di cura Villa delle Querce
Spa, con sede legale in Napoli, Via Battistello Caracciolo n. 48, P.Iva
00224000637, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Clara Ugliano;
Clinica Santa Patrizia – Gestione Villa delle Querce Spa, con sede legale
in Napoli, Via Battistello Caracciolo n. 48, P. Iva 00274000637, in persona
del legale rappresentante p.t. dr.ssa Clara Ugliano; Casa di cura S. Maria La
bruna-Gestione Villa delle Querce Spa, con sede legale in Napoli, Via
Battistello Caracciolo n. 48, P. Iva 00224000637, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Clara Ugliano; Casa di cura Nostra Signora di
Lourdes Spa, con sede legale in Massa di Somma (NA), Via To, Boccarusso
n. 1, P. Iva 00745010637, in persona del legale rappresentante p.t. dott.
Maurizio Boiano; Casa di cura Tortorella SpA, con sede legale in Salerno,
Via Nicola Aversano n. 1, C.F. 00741790653, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Giuseppe Tortorella; Casa di cura Pineta Grande
srl, con sede legale in Napoli, Via Pergolesi n. 1/B, P. Iva 07045161218, in
persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Anna Maria Ferriello; Casa di
cura Villa Bianca SpA, con sede legale in Napoli, Via Bernardino Cavallino
n. 102, P. Iva 03946200635, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa
Anna Maria Ferriello; Consulting & Service srl – Gestione Casa di cura
15
Andrea Grimaldi, con sede legale in San Giorgio a Cremano (NA), Via
Marconi n. 3, C.F.-P.Iva 05354731217, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Alessandro Salzano; Casa di Cura Santa Maria del Pozzo, con
sede legale in Somma Vesuviana (NA), Via Somigliano n. 40, P. IVA
03040121216, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Vittoria
Montone; Alma Mater SpA Casa di cura Villa Camaldoli, con sede legale
in Napoli, Via Antonio Cinque n. 93/95, P. Iva 00290740638, in persona del
legale rappresentante p.t. dr.ssa Vittoria Montone; Casa di Salute S. Lucia
srl, con sede legale in S. Giuseppe Vesuviano (NA), Via Aielli s.n.c., P. Iva
01243511217, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Alessandro
Miranda; Casa di cura Clinica Sanatrix SpA, con sede legale in Napoli, Via
San Domenico n. 31, P.Iva 00739710630, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Alfredo Ponticelli; Casa di cura Villa Esther SpA, con sede legale
in Avellino, Via Due Principati n. 169, C.F. 00139739642, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Paolo Frojo; Minerva Spa Casa di cura S.
Maria della Salute, con sede legale in S.Maria C.V. (CE), Via Avezzana n.
53/55, P.Iva 00310550611, in persona del legale rappresentante p.t. dott,
Gianfranco Tornatore; Clinica Sant’Anna srl, con sede legale in Caserta, Via
Roma n. 124, P. Iva 00738370634, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Gianfranco Tornatore; RERIF srl Casa di cura Villa delle Magnolie,
con sede legale in Caserta, Corso Trieste n. 166, P.Iva 0046066016, in
persona del legale rappresentante p.t. avv. Antonio Chiummariello; Athena
Spa Casa di cura Villa dei Pini , con sede legale in Piedimonte Matese (CE),
Via Matese n. 42, P. IVA00266020619, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Pasqualino Simonelli; Casa di cura Villa Fiorita SpA, con sede
16
legale in Capua (CE) Via Nazionale Appia Km. 199, Località Camerelle, P.
Iva 00258770619, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Angela
Sibillo; Casa di cura Villa Cinzia srl, con sede legale in Caserta, Via
Tanucci n. 91, P. Iva 06013610636, in persona del legale rappresentante p.t.
dr.ssa Teresa Mimina Izzo; Casa di cura Villa Ortensia del Centro medico
Cales srl, con sede legale in Calvi Risorta (CE), Via Bizzarri-P.co Mimina,
P.Iva 01405880616, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Teresa
Mimina Izzo; Casa di cura Montevergine SpA, con sede legale in
Mercogliano (AV), Via M. Calzoni, P.Iva 00110550647, in persona del legale
rappresentante p.t. avv. Paola Belfiore; Clinica Stabia SpA, con sede legale
in Castellammare di Stabia (NA), Viale Europa n. 77, C.F. 01321840637 –
P.Iva 01256431212, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Antonio
Quartuccio; Hermitage Capodimonte SpA, con sede legale in Napoli, Via
Cupa delle Tozzole n. 2, P. IVA 01032490631, in persona del legale
rappresentante p.t. prof. Vincenzo Bonavita; Clinica Padre Pio srl, con sede
legale in Napoli, Via Pergolesi n. 18, P. Iva 05484941215, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Maurizio Falco; Casa di cura Villa Fiorita
SpA, con sede legale in Aversa (CE), Via F. Saporito n. 24, P:IVA
00306340613, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Maurizio Falco;
Clinic Center SpA, con sede legale in Napoli, Viale Maria Bakunin n. 171,
C.F. e P.Iva 00234520617, in persona del legale rappresentante p.t. dott.
Amedeo Giurazza; Alba Clinica S. Paolo srl, con sede legale in Aversa
(CE), Via Mancone n. 60, P.Iva 00234520617, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Mario Masi; Casa di cura Privata Salus SpA, con
sede legale in Napoli, Via Toledo n. 265, P.Iva 06553100634, in persona del
17
legale rappresentante p.t. dott. Ottavio Coriglioni; Casa di cura Santa Maria
SpA, con sede legale in Bari, Via De Ferrariis n. 18/D, C.F.-P.Iva
00597760727, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Elena Galluccio;
Casa di cura D’Amore srl, con sede legale in Taranto, Viale Magna Grecia
n. 62, P.Iva 02417170731, in persona del legale rappresentante p.t. avv.
Alberto Dimitri; Casa di cura San Camillo srl, con sede legale in Taranto,
Via Masaccio n. 12, P.Iva 00273480731, in persona del legale rappresentante
p.t. avv. Carlo Pietro Fiorino; Casa di cura Città di Lecce Hospital srl, con
sede legale in Lugo (RA), Piazza Trisi n. 16, C.F.-P.Iva 01367410394, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Giuseppe Straziota; Casa di cura
Villa Verde - Prof. G. Verrienti srl, con sede legale in Lecce, Via
Monteroni n. 222, P.Iva 01983380757, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Santo Monteduro; Casa di cura Salus srl, con sede legale in
Brindisi, Via Appia n. 366, C.F.-P.Iva 00184100741, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Costanzo Mardighian; Medicol srl, con sede legale in
Lugo (RA), Corso Garibaldi n. 11, C.F.-P.Iva 02986500722, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Vito Luigi Benedetto;Casa di cura Casa
Bianca srl, con sede legale in Cassano delle Murge (BA), Via Vittorio
Emanuele II n. 2, P.Iva 03571520729, in persona del legale rappresentante p.t.
dotto. Gianni Belletti; Casa di cura Anthea Hospital srl, con sede legale in
Bari, Via Camillo Rosalba n. 35/37, P.Iva 03811090723, in persona del legale
rappresentante p.t. dott. Gianni Belletti; Radiologica Salus srl, con sede
legale in Brindisi, Via Appia n. 366, C.F.-P.Iva 01480350741, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Costanzo Mardighian; RM 2000 Centro di
Diagnostica Clinica srl, con sede legale in Bari, Via Cementano n. 63, P. Iva
18
04468360724, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giovanni
D’Alessandro; Ricerche Radiologiche srl, con sede legale in Molfetta (BA)
Via P.L. da Palestrina n. 1, P.Iva 04407140724, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Pia Maggialetti; Casa di cura Villa Michelino, con
sede legale in Lamezia Terme (CZ), Via Duca d’Aosta n. 164, C.F.-P.Iva
01473410791, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Angela Giulia
Roperto; Casa di cura Villa dei Gerani Gestione srl, con sede legale in
Vibo Valentia, Via Domenico Savio n. 10, P.Iva 00964090898, in persona del
legale rappresentante p.t. dott. Cesare Curatola; GIOMI Spa – Istituto
Ortopedico Franco Faggiana, con sede legale in Roma, Viale Carso n. 44,
P.Iva 06619881003, in persona del legale rappresentante p.t. dptt. Emmanuel
Miraglia; GIOMI SpA Istituto Ortopedico Franco Scalabrino, con sede
legale in Roma, Viale Carso n. 44, P.Iva 06619881003, in persona del legale
rappresentante p.t. dptt. Emmanuel Miraglia; Casa di cura Cappellani
GIOMI SpA, con sede legale in Roma, Viale Carso n. 44, P.Iva
11060571004, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Emmanuel
Miraglia; Serena SpA Casa di cura con sede legale in Palermo, Viale
Regione Siciliana n. 1470, P.Iva 00611390824, in persona del legale
rappresentante p.t. Sig.ra Adele Panciera; Casa di cura Villa Margherita srl,
con sede legale in Palermo, Via Marchese di Villabianca n. 6, P.Iva
02533080822, in persona del legale rappresentante p.t. avv. Vito Sabbino;
Casa di cura Torina SpA, con sede legale in Palermo, Via Francesco
Spalletta n. 18, P. Iva 00734750821, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Giuseppe Torina; Casa di cura Candela SpA, con sede legale in
Palermo, Via V. Villareale n. 54, C.F.-P.Iva 00118410828, in persona del
19
legale rappresentante p.t. dr.ssa Barbara Cittadini; Casa di cura Cosentino
Hospital, con sede legale in Palerm, Viale Regione Siciliana n. 1571, P.Iva
05954410824, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Aldo Panci;
Nuova Casa di cura Demma srl, con sede legale in Palermo, Viale Regina
Margherita n. 5, P.Iva 05112210827, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. James Cucinella; Casa di cura La Maddalena SpA, con sede legale in
Palermo, Via San Lorenzo Colli n. 312/d, P. IVA 04413030828, in persona
del legale rappresentante p.t. prof. Cav. Guido Filosto; Casa di cura
Macchiarella SpA, con sede legale in Palermo, Viale Regina Margherita n.
25, P.Iva 00301520821, in persona del legale rappresentante p.t. dr. Salvatore
Macchiarella; Casa di cura Noto Pasqualino srl, con sede legale in Palermo,
Via Dante n. 330, P.Iva 00712600824, in persona del legale rappresentante
p.t. dott. Giovanni Gagliardo di Carpinello; Casa di cura D’Anna srl, con
sede legale in Palermo, Via Altofonte n. 81, P.Iva 00300230828, in persona
del legale rappresentante p.t. Sig.ra Maria Antonietta D’Anna; Casa di cura
Latteri srl, con sede legale in Palermo, Via Filippo Cordova n. 62/64, P. Iva
02410470823. in persona del legale rappresentante p.t. dott. Pietro Nicoletti;
Casa di cura Igea srl, con sede legale in Partitico (PA), Via Roma n. 193, P.
Iva 00635720824, in persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Emilia
Pirolisi; Casa di cura Maria Eleonora Hospital, con sede legale in Palermo,
Viale Regione Siciliana n. 1571, P. Iva 03790910826, in persona del legale
rappresentante p.t. dptt. Stefano Mantenga; Casa di cura Triolo Zancla SpA,
con sede legale in Palermo, Piazza Fonderia n. 23, P. Iva 03599540824, in
persona del legale rappresentante p.t. dott. Luigi Triolo; Casa di cura Basile-
Tigano srl, con sede legale in Siracusa, Via Necropoli Grotticelle n. 17/A, P.
20
Iva 01207900893, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Maria
Baccio; Casa di cura Carmide srl, con sede legale in Catania, Via Feudo
Grande n. 13, P. Iva 03381600877, in persona del legale rappresentante p.t.
Sig.ra Sara Majorana; Istituto Oncologico del Mediterraneo SpA, con sede
legale in Viagrande (CT), Via Penninazzo n. 7, P. Iva 02744310877, in
persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Sara Majorana; Casa di cura
Musumeci-Gecas srl, con sede legale in Catania, Corso Italia n. 127, P. Iva
03381600877, in persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Sara Majorana;
Centro Clinico e Diagnostico G.B. Morgagni srl (Presidio di Catania) con
sede legale in Catania, Via del Bosco n. 105, P. Iva 00248620874, in persona
del legale rappresentante p.t. Prof. Sergio Castorina; Centro Clinico e
Diagnostico G.B. Morgagni (Presidio Centro Cuore Morgagni di Pedara),
con sede legale in Catania, Via del Bosco n. 105, P. Iva 002486220874, in
persona del legale rappresentante p.t. Prof. Sergio Castorina; Casa di cura Di
Stefano Velona srl, con sede legale in Catania, Via S. Euplio n. 162, P. Iva
04547010878, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Nunzio Di
Stefano Velina; Centro Catanese di Medicina e Chirurgia Casa di cura
SpA, con sede legale in Catania, Via Battello n. 48, P. Iva 00496120874, in
persona del legale rappresentante p.t. prof. Daniele Virgillito; Casa di cura
Valsalva srl, con sede legale in Catania, Via Antoniotto Usodimare ang. Via
Galero n. 109, P.Iva 01275220893, in persona del legale rappresentante p.t.
dr.ssa Maria Baccio; Casa di cura Humanitas Centro Catanese di
Oncologia SpA, con sede legale in Catania, Via V.E.Da Bormida n. 64, P.Iva
00288060874, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giuseppe
Sciacca; Casa di cura Madonna del Rosario srl, con sede legale in Catania,
21
Via Bronte n. 44, P.Iva 00560610875, in persona del legale rappresentante p.t.
dr.ssa Valentina Indelicato; Casa di cura Lanteri Villa Fiorita SpA, con
sede legale in Catania, Via Regina Bianca n. 75, P. Iva 02463900874, in
persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Vittoria Lanteri; Casa di cura S.
Rita srl, con sede legale in Catania, Via Dottor Consoli n. 49, P. Iva
01135780870, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Santa Mascali;
Casa di cura S. Camillo, con sede legale in San Giorgio a Cremano (NA),
P.Iva 00191770833, in persona del legale rappresentante p.t. Padre Mario
Allegro; Casa di cura Carmona srl, con sede legale in Messina, Viale
Principe Umberto n. 75/G, P. Iva 01428290892, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Caterina Facciolà; Casa di cura Villa Salus di A.
Barresi & C. sas, con sede legale in Messina, Viale Regina Margherita n.
15/b, P.Iva 01379750837, in persona del legale rappresentante p.t. prof. Avv.
Antonio Barresi; Casa di cura Villa Igea srl, con sede legale in Messina, Via
Consolare Valeria n. 47, P.Iva 00184760833, in persona del legale
rappresentante p.t. dr.ssa Anna Maria Fugali; COT Cure Ortopediche
Traumatologiche Spa, con sede legale in Messina, Via Ducezio n. 1, P.Iva
00184810836, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Marco Ferlazzo;
Casa di cura Villa dei Gerani Dr. A. Ricevuto srl, con sede legale in Casa
Santa-Erice (TP), Via A. Manzoni n. 83, P.Iva 00253750814, in personale del
legale rappresentante p.t. Sig. Paolo Ricevuto; Casa di cura Sant’Anna srl,
con sede legale in Erice (TP), Via Sant’Anna n. 34, P.Iva 01726680810, in
persona del legale rappresentante p.t. dr. Maria Baccio; Casa di cura
Morana srl, con sede legale in Marsala (TP), Contrada Dara, P.Iva
01466200811, in persona del legale rappresentante p.t. Sig.ra Angela
22
D’Antoni; Skema Iniziative Sanitarie srl-Casa di cura Regina Pacis, con
sede legale in San Cataldo (CL), Via P.pe Lanza di Scalea n. 3/5, P.Iva
00195960851, in persona del legale rappresentante p.t. dr.ssa Angela Maria
Torregrossa; Clinica del Mediterraneo-Gestione MEDI.SAN. srl, con sede
legale in Vittoria (RG), Via Lamarmora n. 218, P.Iva 01219210885, in
persona del legale rappresentante p.t. Sig. Giorgio Ferrito; Casa di Salute I.
Attardi SpA, con sede legale in Santo Stefano Quisquina (AG), Via
Nazionale n. 6, P.Iva 00213650849, in persona del legale rappresentante p.t.
dott. Antonino Giannone; SIA Casa di cura S.Anna SpA, con sede legale in
Agrigento, Via Porta Aurea, P.Iva 00137210845, in persona del legale
rappresentante p.t. rag. Vincenzo Ragusa; Istituto Ortopedico Villa Salus
Innocenzo Galatioto srl, con sede legale in Augusta (SR), PS Augusta-
Brucoli n. 507/a, P.Iva 01552710897, in persona del legale rappresentante p.t.
dr.ssa Monica Ierna; Casa di cura Villa Mauritius-Arcobaleno srl, con sede
legale in Siracusa, Via Francofone n. 5, P.Iva 009843110896, in persona del
legale rappresentante p.t. Sig. Antonio Tigano; Casa di cura Santa Lucia
GLEF srl, con sede legale in Siracusa, Via Lombardia n. 1, P.Iva
00882610892, in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giuseppe
Giardina Papa; Casa di cura Nuova Clinica Villa Rizzo, con sede legale in
Siracusa, Via S. Agati n. 3, P.Iva 00958650897, in persona del legale
rappresentante p.t. rag. Giuseppe Liuzza; Casa di cura Villa Azzurra srl,
con sede legale in Siracusa, Traversa Belvedere di Scala Greca n. 24, C.F.-
P.Iva 00904300894, in persona del legale rappresentante p.t. Sig. Dario Meli;
tutte elettivamente domiciliate in Roma, Via Orazio n° 3, presso lo Studio del
prof. avv. Vito Bellini, (C.F.: BLL VTI 34E31 H729Y - Pec:
23
[email protected] ) che le rappresenta e difende in giudizio, unitamente agli
avvocati Enzo Paolini del foro di Cosenza (C.F.: PLNNZE57R02D086E –
Pec: [email protected]), Giustino Ciampoli del foro di Milano
(C.F.: CMPGTN47H21C632J – Pec
[email protected]) e Bruno Ricciardelli del foro
di Napoli (C.F.: RCCBRN56B25F839P Pec:
[email protected]) giuste deleghe in calce al presente
atto,
- Ricorrenti -
C O N T R O
- il MINISTERO DELLA SALUTE in persona del Ministro pro-tempore,
- il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del
Ministro pro-tempore, domiciliati entrambi per la carica presso l’Avvocatura
Generale dello Stato, in Roma, Via dei Portoghesi n.12,
- Resistente –
PER L’ANNULLAMENTO
previa sospensiva, del Decreto del Ministero della Salute 18 ottobre 2012,
pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2013 (doc. n. 1), avente
ad oggetto la “Remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per
acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e
di assistenza specialistica ambulatoriale”, nonché di tutti gli atti precedenti,
successivi e comunque connessi, ed in particolare dell’Allegato 3, che
costituisce parte integrante del provvedimento, e della Relazione Tecnica del
Dipartimento della Programmazione e dell’Ordinamento del S.S.N. –
Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, pur non allegata al
Decreto Ministeriale pubblicato ma allegata alla prima Bozza di Decreto.
24
PREMESSA
Va rassegnata una breve premessa, non usuale nei ricorsi giurisdizionali, ma
indispensabile in questo caso per delineare lo sfondo di politica sanitaria nel
quale si inquadra una azione amministrativa che strumentalizza la (entro certi
limiti) riconosciuta discrezionalità del pubblico funzionario, e piega il diritto
potestativo della P.A. al perseguimento dell’interesse pubblico, verso un fine
solo apparentemente collettivo (quello al contenimento della spesa) ma che in
realtà risulta essere solo un pretesto – lesivo degli interessi dei singoli –
opposto all’incapacità di conseguire il bene comune mediante le azioni
proprie (contenimento degli sprechi, incentivi alla competitività e premi per la
qualità, economia scalari ecc. ecc.).
I ricorrenti sono ben consapevoli dell’orientamento costituzionale secondo il
quale quello alla assistenza sanitaria non sarebbe un diritto assoluto ed
incomprimibile quanto piuttosto condizionato dalla limitatezza delle risorse
destinate al suo soddisfacimento.
Tuttavia ritengono escluso dalle intenzioni degli autori di tale intervento
interpretativo che un siffatto condizionamento, una simile compressione del
diritto del cittadino possa giungere sino alla estrema conseguenza del
ripristino del monopolio statale in termini di servizio sanitario.
Se così non è – e non è – allora occorre tener presente, nell’azione
amministrativa che qui si esprime con il decreto impugnato - da un lato che il
cittadino paziente ha diritto alla erogazione in modi, termini e tempi adeguati,
dei cosiddetti LEA (cioè delle prestazioni sanitarie comprese nei Livelli
Essenziali di Assistenza, finanziate dalla fiscalità generale) e dall’altro che le
strutture private, - le quali ai sensi delle normative vigenti e dei principi
25
costituzionali in tema di libera impresa, forniscono prestazioni sanitarie sulla
base della libera scelta dei cittadini – debbano essere remunerate in maniera
sufficiente e dignitosa. E che ciò debba essere assicurato dalla P.A. in quanto
beneficiaria del prelievo fiscale finalizzato, in quota parte, a garantire
l’assistenza sanitaria.
Se si dovesse affermare il contrario – e cioè che si possa derogare ai LEA
oppure che le prestazioni in essi compresi possano essere remunerate
sottocosto – dovremmo concludere che nel nostro Paese si è introdotta una
sorta di monopolio mascherato da mercato regolato; e che invece è un
mercato iniquo nel quale lo Stato, oltre ad essere direttamente erogatore del
servizio attraverso i propri ospedali, nello stesso tempo stabilisce le tariffe, i
budget, i controlli ed i tempi di pagamento dei propri concorrenti, cioè gli
ospedali privati.
E quando lo fa – come nel caso – senza alcuna dimostrazione della correttezza
e dell’equità del proprio operato e del modo con cui ha gestito il proprio
meritato potere, tracima nell’illegittimità inammissibile in uno Stato di diritto.
Donde il presente ricorso volto a censurare ed a porre rimedio ad un siffatto
arbitrio.
E’ pacifico il principio secondo cui le Regioni nell’ambito del S.S.N. sono
impegnate ad assicurare l’erogazione delle prestazioni sanitarie da parte di
strutture private in regime di accreditamento (e cioè in forma diretta) a fronte
di tariffe corrispondenti, adeguate cioè ai costi effettivi.
Di tale principio si è fatto carico in particolare l’art. 8 sexies D.Lgs. n. 502/92
e successive modificazioni ed integrazioni che ha fissato un rapporto diretto
tra prestazioni e tariffe predeterminate e cioè le tariffe da corrispondere alle
26
strutture accreditate “sulla base di standard organizzativi e di costi unitari
predefiniti dei fattori produttivi” (co. 3). Il successivo co. 5 ha tracciato il
procedimento per l’adozione del relativo decreto ministeriale per individuare i
sistemi di classificazione, “che definiscono l’unità di prestazione o di servizio
da remunerare” e per determinare “le tariffe massime da corrispondere alle
strutture accreditate, in base ai costi di standard di produzione e di quote
standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di
strutture accreditate”.
Il principio stesso (nel senso cioè della corrispettività tra costi e tariffe) ha
trovato conforme applicazione davanti al TAR Lazio, Sez. 3°, (sent. n. 33374
dell’11.11.2010) che, alla luce anche dell’indirizzo del Consiglio di Stato (n.
1205 del 2.3.2010), ha avvertito “la necessità che le tariffe vengano fissate
sulla base del costo standard di produzione e dei costi generali in quota
percentuale rispetto ai costi standard di produzione, a loro volta da stabilire
sulla base di criteri assai dettagliati delle relative componenti”. Nello stesso
senso è la sent. n. 12623/07 (sempre) di codesto Tribunale, il quale è poi
tornato ulteriormente sulla stessa questione con sent. n. 12982/2007,
confermata dalla già su citata sent. Consiglio di Stato 1205/2010. Sentenza
quest’ultima che, nell’annotare (come testé si ricordava) che le tariffe
debbono essere stabilite in base a criteri “assai dettagliati”, ha aggiunto che:
“la determinazione delle singole tariffe deve essere confortata dall’esame di
un campione significativo di strutture pubbliche e private, così da consentire
la verifica dell’indefettibile connessione logico-motivazionale tra
l’accertamento dei costi e la misura delle tariffe”.
A chiarimento e completamento di tale principio si è nel corso del tempo
27
consolidata una giurisprudenza (pur sempre di codesto Tribunale), confermata
pur anche dal Consiglio di Stato (circa i criteri per la determinazione delle
tariffe in questione), “secondo cui, in materia tariffaria, la motivazione dei
provvedimenti deve necessariamente consistere in una connessione logica tra
l’accertamento dei costi e la misura delle tariffe (Cons. Stato, IV, n. 1839/01)
avuto riguardo al costo standard di produzione per prestazione calcolato
sulla base dei costi rilevati presso un campione di soggetti erogatori pubblici
e privati”.
Il citato art. 8 sexies più recentemente è stato oggetto di modificazioni in virtù
dell’art. 15, co.l5, 16 e 17, D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito nella legge 7
agosto 2012, n. 135 nel senso che: “In deroga alla procedura prevista
dall’articolo 8-sexies, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre (1992, n.
502), e successive modificazioni, in materia di remunerazione delle strutture
che erogano assistenza ospedaliera ed ambulatoriale a carico del servizio
sanitario nazionale, il Ministro della Salute, di concerto con il ministro
dell’Economia e delle finanze, (sentita la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, con proprio decreto, entro il 15 settembre 2012), determina le tariffe
massime che le regioni e le province autonome possono corrispondere alle
strutture accreditate, di cui all’articolo 8 – quater del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sulla base dei dati di costo
disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali, tenuto
conto dell’esigenza di recuperare, anche tramite la determinazione tariffaria,
margini di inappropriatezza ancora esistenti a livello locale e nazionale”.
Praticamente la sopravvenuta norma di legge ha innovato il percorso
28
procedurale nella subiecta materia assumendo, come base per la
determinazione delle tariffe massime in sede nazionale, i “dati di costo
disponibili e, ove ritenuti congrui e adeguati, dei tariffari regionali”. Ciò in
luogo della precedente ed articolata previsione del comma 5 del citato art. 8
sexies che invece ha sin qui affidato il compito in questione essenzialmente ai
sistemi di classificazione “che definiscono l’unità di prestazione e di servizio
da remunerare” e alla determinazione delle tariffe massime “in base ai costi
standard di produzione e di quote standard di costi generali, calcolati su un
campione rappresentativo di strutture accreditate”.
Insomma l’innovazione introdotta ha inteso valorizzare sostanzialmente i dati
disponibili...dei tariffari regionali: dati quindi che spettava poi al decreto di
attuazione elaborare con riguardo alle realtà acquisite attraverso i tariffari
regionali e, dunque, renderli visibili e dettagliati stante che, ragionevolmente,
l’esigenza motivazionale resta nella sua logica un cardine dell’ordinamento e
rende attuale l’indirizzo giurisprudenziale di cui si è fatta già menzione.
E’ invece accaduto che il predetto decreto, adottato il 18.12.2012 (e
pubblicato il successivo 28 gennaio) si è limitato a riprodurre
pedissequamente il testo della legge, ritenendo così esaurito ogni incombente
motivazionale ed istruttorio per la determinazione delle tariffe massime in
ordine alle diverse branche di assistenza, di cui agli allegati 1, 2, 3 al decreto
stesso.
Pertanto, quello che la legge ha indicato come criterio generale per stabilire le
tariffe massime da corrispondere per le singole prestazioni sanitarie con
riguardo ai dati già disponibili, derivabili dagli sperimentati precedenti
acquisiti, presupponeva poi che in sede attuativa l’applicazione di tale criterio
29
fosse confortato e avvalorato da un campione rappresentativo idoneo a dare
contezza significativa che, anche se mutuata dai “dati disponibili”, fosse
comunque in grado di supplire, pur se sul piano empirico, alla verifica
“dell’indefettibile connessione logica – motivazionale tra accertamento dei
costi e la misura delle tariffe”.
Nulla di tutto questo traspare dall’adottato decreto che, avendo esaurito la sua
ragione attraverso la riproduzione testuale del criterio di legge senza la
conforme applicazione, ha finito con il concepire indicazioni tariffarie prive
di ogni supporto valutativo convincente, tanto che il fine del risparmio è
prevalso sui canoni elementari alla base del sottostante procedimento.
Quanto tutto ciò sia vero, e sia fonte dei vizi che saranno in appresso
articolati, può essere confrontato con le seguenti conclusioni dello stesso
decreto de quo:
a) il richiamo ai criteri dell’art. 8 sexies, co. 5 che, seppure derogati per le
tariffe massime, continuerebbero ad essere utilizzati “dalle Regioni in sede di
adozione dei propri tariffari”. Conclusione apparentemente lineare ma che
presupponeva, come presuppone, una qualche correlazione costruttiva delle
tariffe massime in relazione alle realtà calcolate di mercato, affiorando, in
caso contrario, risultanze ontologicamente inconciliabili tra tariffe ministeriali
e tariffe regionali in quanto frutto rispettivamente di criteri deduttivi derivanti
da dati disponibili non meglio identificati rispetto invece ai criteri tangibili
derivanti da detto art. 8 sexies;
b) Il richiamo alla istituzione di un gruppo di lavoro “che ha attivato linee di
studio e di approfondimento, anche con rilevazioni campionarie,
relativamente a dati e valutazioni utili alla definizione delle tariffe”. Ma di
30
quelle rilevazioni non vi è alcuna traccia e questo può spiegare come lo
schema del decreto stesso non abbia conseguito il parere favorevole da parte
della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome.
Il decreto si conclude determinando (come previsto dall’art. 1, co. 1 del
relativo dispositivo) le tariffe massime per l’assistenza ospedaliera per acuti,
di assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e di
assistenza specialistica ambulatoriale “valide dalla data di entrata in vigore
del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2014”, aggiungendo al
successivo co. 2 che il decreto stesso “individua altresì, i criteri generali in
base alle quali le Regioni adottano il proprio sistema tariffario articolando
(come precisa il successivo art. 4, co. 2) le tariffe, per classi di erogatori”.
In definitiva, sul piano strettamente formale, rileva l’enunciazione di principi
che tuttavia – come vedremo in appresso – non sono confortati dalla loro
concreta applicazione in termini soprattutto motivazionali e istruttori.
Dalla lettura del decreto scaturisce infatti l’impressione di un atto finalizzato
al risultato (quello di fissare le tariffe massime) senza tuttavia dare un qualche
supporto di contezza circa la connessione logica tra accertamento dei costi e
la corrispondente misura delle tariffe: il tutto risulta peraltro aggravato dalla
precarietà temporale (ovvero fragilità) del decreto nel suo complesso.
Ed invero, mentre il concepimento del decreto stesso era ancora in fieri, il
citato art. 15, comma 15 e segg. L. 135/2012 è stato integrato dal comma 17
bis (introdotto dall’art. 2 bis D.L. 13.9.2012 n. 158 convertito nella L. n. 189
dell’8.11.2012) che ha istituito una commissione “per l’aggiornamento delle
tariffe determinate ai sensi del comma 15”, che dovrà essere costituita “entro
15 giorni dalla di entrata in vigore della legge di conversione del presente
31
decreto” (23.11.2012) per confrontarsi con le Associazioni di categoria (e
quindi entro il 22.1.2013). Con il conseguente impegno del competente
Ministero di adottare il provvedimento per l’aggiornamento delle tariffe nei
successivi 30 giorni (e quindi entro il 21.2.2013).
Cosicché, mentre le tariffe massime (allegate al decreto de quo) dovrebbero
valere fino al 31.12.2014, l’aggiornamento delle stesse dovrebbe (avrebbe
dovuto) avvenire entro il predetto termine (pur se non perentorio) del
21.2.2013 e, questa volta, previo il confronto con le Associazioni di categoria.
Il che getta ulteriori ombre sul decreto stesso e sulla correlata ragione causale
se non altro per essere contestualmente funzionalizzato a fornire la base per i
tariffari regionali e nel contempo la base per il programmato e ravvicinato
aggiornamento: base dunque le cui risultanze tariffarie, nell’uno e nell’altro
caso, sono destinate a costituire un riferimento essenziale non sorretto da dati
di costo (“congrui e adeguati”) secondo l’obiettivo istituzionale del decreto
stesso. Ragione per l’annullamento, previa sospensiva, del decreto
ministeriale de quo, concepito nella manifesta genericità ed approssimazione
e privilegiando cioè un modus procedendi in contrasto al principio
recentemente ribadito dallo stesso Consiglio di Stato (sent. n. 740
dell’11.2.2013 secondo cui: “la pubblica amministrazione, se in relazione alla
scarsità delle risorse disponibili è libera di non acquistare o ridurre
numericamente l’acquisto di servizi, non può tuttavia acquistare prestazioni
ad una cifra che non copre le spese e non consente utili all’impresa
erogatrice”.
Da qui il presente ricorso delle strutture interessate e direttamente lese dal
provvedimento impugnato nonché dell’Associazione di categoria AIOP che,
32
secondo il proprio Statuto, interpreta e rappresenta gli interessi dei propri
associati per la corretta applicazione dei principi ispiratori della normativa in
materia sanitaria e ciò per i seguenti motivi.
*
Tutte le strutture associate e quelle indicate in epigrafe svolgono attività
sanitaria in base al regime di accreditamento previsto dal Decreto Legislativo
n. 502 del 30 dicembre 1992, e successive modificazioni, ovverosia operano
per conto del Servizio Sanitario Nazionale erogando prestazioni di ricovero
ospedaliero e di specialistica ambulatoriale agli utenti-assistiti che si
presentano muniti di impegnativa del medico curante.
Le relative tariffe, collegate alle prestazioni a carico del Servizio Sanitario
Nazionale, sono normativamente determinate.
Appare utile, quindi preliminarmente ripercorrere sistematicamente l’iter
normativo della materia a livello nazionale, nonché l’incidenza
giurisprudenziale sull’argomento.
a) Percorso normativo nazionale della determinazione delle Tariffe in materia
di prestazioni specialistiche di laboratorio.
Il primo provvedimento che ha definito le tariffe delle prestazioni di patologia
clinica è stato il D.M. Sanità del 7 novembre 1991, che ha fissato dette tariffe
in applicazione dell’art. 5, Legge 407/1990, in base al quale veniva
demandata al Ministero della Sanità la revisione del Nomenclatore tariffario
delle prestazioni specialistiche erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale.
E’ successivamente intervenuto in materia il D.Lgs. n. 502/1992 che, all’art.
8, sesto comma, affidava al Ministro della Sanità il compito di individuare i
criteri per la determinazione delle tariffe, sentita la Federazione Nazionale
33
degli Ordini dei Medici e degli altri Ordini competenti, e d’intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province
Autonome.
In attuazione del richiamato art. 8, veniva emanato, in data 15 aprile 1994, un
decreto del Ministero della Sanità, che all’art. 3 stabiliva appunto i criteri da
seguire per la determinazione delle tariffe, enunciando in sostanza la necessità
di correlare la tariffa al costo standard di produzione “calcolato sulla base dei
costi rilevati presso un campione di soggetti erogatori, pubblici e privati,
operanti rispettivamente nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale del
territorio regionale e provinciale, preventivamente individuato secondo criteri
di efficienza ed efficacia”.
Il principio sopra enunciato è stato successivamente recepito nella normativa
nazionale, atteso che il D.Lgs. 229/1999 ha abrogato l’art. 8 del D.Lgs.
502/1992, introducendo l’art. 8 sexies, che appunto ha ripreso e consacrato il
concetto di correlazione tra tariffa e costo di produzione.
Si giunge, dunque, al decreto 22 luglio 1996 (c.d. “Decreto Bindi”) che
applicando i criteri determinati dal decreto del 1994, disciplinava le
prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, individuando le relative
tariffe.
Il citato Decreto Bindi, incredibilmente ancora oggi in qualche modo
utilizzato, è stato annullato, in quanto illegittimo, dal Consiglio di Stato, con
la sentenza n. 1839 del 29 marzo 2001, ponendo a tale decisione alcune
motivazioni su cui ci si soffermerà in seguito.
Successivamente, è intervenuta la Legge Finanziaria 2005 (Legge n.
311/2004), che all’art. 1, comma 170°, attribuisce al Ministero della Salute, in
34
concerto con il Ministero dell’Economia e sentita la Conferenza permanente
tra Stato, Regioni e Province Autonome, il compito di determinare le tariffe
massime per la remunerazione delle prestazioni e delle funzioni assistenziali,
puntualizzando che gli importi tariffari, fissati dalle singole Regioni superiori
alle tariffe massime così determinate, sarebbero rimasti a carico dei bilanci
regionali.
Le tariffe avrebbero dovuto, inoltre, subire una ricognizione ed un
aggiornamento biennale, a far data dal 31 dicembre 2005, seguendo le
medesime modalità ed i medesimi criteri individuati dalla normativa di
riferimento.
In realtà, la prima parte del comma 170 non ha mai avuto esecuzione, non
essendo stato mai emanato alcun decreto di determinazione delle tariffe
massime, mentre si è data esecuzione alla seconda fase del dettato normativo
con la promulgazione del Decreto Salute 12 settembre 2006, titolato
“Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la
remunerazione delle prestazioni sanitarie”.
Dunque, il Decreto 2006 ha provveduto solamente ad aggiornare le tariffe,
come peraltro si evince, per quanto di interesse, dall’art. 3 del Decreto
medesimo, che recita: ”1. In attesa dell'emanazione del nuovo Nomenclatore
tariffario delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale: a) le
tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni di assistenza
specialistica ambulatoriale a carico del Servizio Sanitario Nazionale sono
quelle individuate dal decreto del Ministro della Sanità del 22 luglio 1996
«Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell'ambito del
Servizio Sanitario Nazionale e relative tariffe». b) Sono inoltre a carico del
35
Servizio Sanitario Nazionale, nella misura stabilita dal presente comma,
lettera a), le tariffe individuate da ciascuna Regione con proprio
provvedimento e vigenti al 31 dicembre 2004 per le prestazioni di assistenza
specialistica ambulatoriale che si configurano come mere modifiche
descrittive di prestazioni già elencate nel citato decreto e in queste ultime
comprese, modifiche delle unità di misura della prestazione originariamente
prevista dal citato decreto. (…) 2. Resta a carico del bilancio regionale la
remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale
contenute nei nomenclatori tariffari regionali non comprese nelle prestazioni
di cui al comma 1, lettere a), b) e c) del presente articolo. 3. A partire dalla
data di entrata in vigore del presente decreto, gli importi tariffari stabiliti con
provvedimenti regionali e superiori alle tariffe massime di cui al comma 1 del
presente articolo, restano a carico dei bilanci regionali per la parte eccedente
le tariffe di cui ai medesimi commi (…)”.
Appare ictu oculi come il Decreto de quo non abbia che ripreso e nuovamente
applicato le tariffe determinate nel precedente Decreto Bindi del 1996,
illegittimo ed annullato, come detto, dal Consiglio di Stato.
Ed infatti, codesto stesso T.A.R. del Lazio, con le sentenze n. 12623/2007,
12977/2007 e 12978/2007 annullava il Decreto del 2006, ed anche il
Consiglio di Stato, Quinta Sezione, con la recentissima sentenza n. 3733
del 14 giugno 2010, confermava l’illegittimità del Decreto, per i motivi che si
analizzeranno in seguito.
Successivamente la materia veniva novellata dall’art. 79, comma 1-quinques,
del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in Legge 6 agosto 2008 n. 133, che
modificava l’art. 8-sexies, comma 5, del D.Lgs. n. 502/1992, nel modo che
36
segue: “Il Ministro della sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari
regionali, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (omissis), con apposito
decreto individua i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di
prestazione o di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da
corrispondere alle strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei principi
di efficienza e di economicità nell'uso delle risorse, anche in via alternativa,
di: a) costi standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture
preventivamente selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e
qualità dell'assistenza come risultanti dai dati in possesso del Sistema
informativo sanitario; b) costi standard delle prestazioni già disponibili presso
le regioni e le province autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di
remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle regioni e nelle
province autonome. (omissis). A decorrere dalla data di entrata in vigore della
presente disposizione e' abrogato il decreto del Ministro della Sanità 15 aprile
1994, recante “Determinazione dei criteri generali per la fissazione delle
tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed
ospedaliera», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1994”.
Si giunge, a questo punto, al D.L. 6 luglio 2012 n. 95 (in applicazione del
quale è stato emanato il D.M. qui gravato), recante "Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”,
convertito in L. 7 agosto 2012 n. 135 (c.d. spending review), il cui art. 15:
a) al comma 13 lett. c) prevede l’avvio, da parte delle Regioni, di un percorso
di rideterminazione in riduzione degli standard strutturali e quantitativi
relativi all’assistenza ospedaliera;
37
b) al comma 13 lett. g) aggiunge all’art. 8-sexies del D.Lgs. n. 502/92 e smi il
comma 1-bis in virtù del quale “Il valore complessivo della remunerazione
delle funzioni non può in ogni caso superare il 30 per cento del limite di
remunerazione assegnato”.
c) al comma 15 dispone che “in deroga alla procedura prevista” dall’articolo
8-sexies, comma 5, del D.Lgs. n. 502/92 (norma non abrogata, quindi, ma
solo derogata e limitatamente all’iter procedimentale) “in materia di
remunerazione delle strutture che erogano assistenza ospedaliera ed
ambulatoriale a carico del servizio sanitario nazionale, il Ministro della
salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, entro il 15 settembre
2012, determina le tariffe massime che le regioni e le province autonome
possono corrispondere alle strutture accreditate, di cui all’articolo 8-quater
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni,
sulla base dei dati di costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei
tariffari regionali, tenuto conto dell’esigenza di recuperare, anche tramite la
determinazione tariffaria, margini di inappropriatezza ancora esistenti a
livello locale e nazionale”;
d) al comma 16 precisa che “Le tariffe massime di cui al comma 15, valide
dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro previsto dal medesimo
comma 15, fino alla data del 31 dicembre 2014, costituiscono riferimento per
la valutazione della congruità delle risorse a carico del Servizio Sanitario
Nazionale, quali principi di coordinamento della finanza pubblica”;
38
e) al comma 17 ammette che le singole Regioni possano fissare importi
tariffari superiori alle tariffe massime di cui al comma 15, chiarendo tuttavia
che in tali casi le maggiorazioni “restano a carico dei bilanci regionali”;
f) al comma 17-bis (introdotto dall'art. 2-bis, comma 1, del D.L. 13 settembre
2012 n. 158 a seguito della conversione in Legge 8 novembre 2012 n. 189)
prevede l’istituzione (rimessa a successivo decreto del Ministro della Salute)
di una Commissione per la formulazione di proposte finalizzate
all'aggiornamento delle tariffe determinate ai sensi del comma 15;
g) al comma 18 abroga le disposizioni contenute nel primo, secondo, terzo,
quarto periodo del già richiamato art. 1, comma 170, della L. n. 311/04.
b) Evoluzione giurisprudenziale ed incidenza delle pronunce sulla
determinazione delle tariffe.
Giova, a questo punto, delineare il panorama giurisprudenziale in materia, che
ha contribuito ad individuare le violazioni perpetrate e reiterate, di cui,
tuttavia, questo Ministero sembra non aver tenuto conto.
Come già evidenziato, la prima pronuncia fondamentale è stata la sentenza del
Consiglio di Stato n. 1839 del 29 marzo 2001, che ha correttamente chiarito i
profili di illegittimità e contrarietà alle norme regolatrici in ordine ai criteri di
determinazione delle tariffe.
Appare opportuno, anche ai fini della questione che ci occupa, riportarne
alcuni passaggi: “Osserva il Collegio che, in via generale, trova applicazione
il principio esplicitato nell’art. 3 del predetto D.M. 15 aprile 1994, secondo
cui, in materia tariffaria, la motivazione dei provvedimenti deve
necessariamente consistere in una connessione logica tra l'accertamento
dei costi e la misura delle tariffe.
39
Lo stesso Ministero, nella circolare del 1° aprile 1997, precisa all’allegato A
“Metodologia adottata per la determinazione delle tariffe”, che la
determinazione “è stata eseguita coerentemente con i criteri generali per la
fissazione delle tariffe delle prestazioni dettati dal decreto ministeriale 15
aprile 1994…”. L’affermazione è smentita dagli atti procedimentali, stante la
scarsa rappresentatività del campione scelto dal Ministero, per essere
stati i dati rilevati solo nelle strutture pubbliche in due realtà regionali
(Toscana ed Emilia Romagna), con esclusione di un campione sulle
strutture private. (….). In primo luogo, non è in contestazione la circostanza
che il Ministero della Sanità, per l’impianto della proposta di decreto
ministeriale, in ordine ai costi di produzione, abbia utilizzato un campione
rilevato nelle sole strutture pubbliche di due Regioni, cioè dell'Emilia-
Romagna e della Toscana.
Di per sé tale rilievo acquista decisivo significato, in considerazione delle
profonde diversità tra realtà regionali, senza contare l’assenza di
un’indagine sui costi nell’ambito delle strutture private, componente
essenziale nel sistema sanitario nazionale.
Inoltre, il parere del Consiglio Superiore di Sanità di data 13 marzo 1996 dà
atto che la bozza del nuovo nomenclatore è stata inoltrata alle società ed
associazioni medico - scientifiche maggiormente rappresentative, che hanno
formulato osservazioni; nel merito, approva la predetta bozza, senza far
cenno, neppure sintetico e/o per relationem, alla natura delle osservazioni e,
quindi, alle ragioni ritenute idonee a superare le osservazioni stesse.
Assumono, altresì, rilievo le risultanze emerse, nella “Posizione delle regioni
in sede di gruppo tecnico della Segreteria della Conferenza permanente tra lo
40
Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano”, sullo schema
di decreto ministeriale, in data 11 giugno 1996 (….).
In definitiva, il procedimento seguito non soddisfa il criterio di base, per cui
la determinazione delle singole tariffe deve risultare da un campione
significativo di strutture pubbliche e private, così da poter verificare quella
connessione logica necessaria tra l'accertamento dei costi e la misura delle
tariffe. Né una tale verifica può prescindere dai dati di mercato, per essere
sostituita da accordi tra Stato e Regioni, che non trovano fondamento in un
sistematico e compiuto esame di valori tratti dalle diverse realtà pubbliche e
private”.
Dunque, i Giudici di Palazzo Spada hanno rilevato fondamentalmente un
difetto di motivazione, una violazione delle norme preposte
all’individuazione dei criteri per la determinazione delle tariffe, ed una
mancata aderenza alle realtà economiche cui detto tariffario sarebbe
stato applicato, sancendo definitivamente ed irrimediabilmente l’illegittimità
del Decreto Bindi del 1996.
Successivamente, come detto, lungi dall’applicare pedissequamente i criteri di
cui al D.M. 1994 e la modalità di cui alla Finanziaria 2005 (L. 311/2004, art.
1, comma 170°), il Ministero della Salute emanava il D.M. 2006, oggetto di
impugnativa da parte della maggioranza delle strutture private accreditate.
Codesto Tribunale Amministrativo, con le già citate sentenze n. 12623/2007,
12977/2007 e 12978/2007, annullava il D.M. del 2006, sulla scorta di
interessanti ed incontrovertibili motivazioni.
Anche in questo caso appare opportuno citare alcuni brani di una di tali
pronunce (n. 12623/2007): “Non è seriamente dubitabile della lesività
41
dell’atto impugnato, anche se in esso si prevede che le Regioni possono
fissare tariffe più elevate di quelle a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
A prescindere infatti dalla circostanza di fatto, verificabile col secondo dei
ricorsi in epigrafe, che la Regione Lazio in particolare non si è avvalsa di
tale facoltà, che comportava comunque la necessità di finanziare col proprio
bilancio tali aumenti di tariffe, appare evidente come i parametri tariffari
stabiliti dall’Amministrazione statale costituiscano un punto fermo ed un
orientamento preciso per le Regioni, mentre possibili (solo teoricamente)
tariffe massime più elevate costituiscono nella fattispecie una mera
eventualità; costituiscono altresì un chiaro condizionamento del
comportamento regionale in quanto a tariffe più elevate
corrisponderebbe una minore necessità di adottare provvedimenti con
onere a carico delle Regioni stesse”.
Ed ancora: “Il decreto qui impugnato richiama e rende ora applicabili le
tariffe determinate con un decreto ministeriale che risulta annullato in
sede giurisdizionale dal Consiglio di Stato con sentenza della sez. IV 29
marzo 2001 n. 1839; a prescindere dalla questione, peraltro poco
comprensibile, posta dalla difesa dell’Amministrazione sulla possibilità di
far rivivere solo le tariffe e non il decreto in quanto caducato, il Collegio
rileva come il principale difetto istruttorio derivi dal fatto che l’atto
impugnato non dà minimamente conto di tale questione; che l’abbia
ignorata perché non a conoscenza dell’annullamento giurisdizionale,
ovvero perché riteneva comunque possibile, nonostante l’annullamento,
far rivivere dette tariffe, appare comunque evidente il difetto di
istruttoria e di motivazione del provvedimento sotto tale profilo.
42
(Omissis) Peraltro la necessità (logica) di fissare le tariffe massime tenendo
conto dei costi di produzione standard e delle quote standard dei costi
generali, risulta ora recepito in norma di legge chiara, quale l’art. 8 sexies
comma 5 del D.Lgs. n. 502/92, introdotto dall’art. 8 comma 4 del D.Lgs.
229/99.
Sinteticamente il principio si trova anche nell’art. 1 comma 170 della legge
finanziaria 30 dicembre 2004 n. 311.
Ora, che l’Amministrazione non abbia seguito i suddetti criteri e non abbia
quindi effettuato una analitica istruttoria sui costi di produzione, prima di
determinare le tariffe massime da remunerare tramite Servizio Sanitario
Nazionale, lo dimostra sia la circostanza che non è stato prodotto in giudizio
nessun atto istruttorio di tal genere, sia soprattutto il fatto che il
provvedimento richiama puramente e semplicemente un atto di dieci anni
prima, la cui istruttoria, ammesso che potesse considerarsi allora adeguata
(“in disparte” la circostanza che detto atto è stato annullato dal Giudice
Amministrativo proprio per difetto istruttorio), avrebbe sicuramente avuto
necessità di un aggiornamento di verifica per valutare la congruità dei costi
di dieci anni prima (basterebbe al riguardo richiamare il “fatto notorio” del
cambiamento valutario che ha comportato un significativo aumento
generalizzato dei costi)”.
Le citate sentenze di codesto T.A.R. Lazio hanno trovato una recentissima
conferma nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3733/2010 del 14 giugno
2010.
Lo stesso Consiglio di Stato è ritornato sulla questione “tariffe” con una
recentissima pronuncia (n. 740/2013, Sezione Terza), nella quale, a
43
prescindere dall’oggetto specifico del ricorso, vengono individuati importanti
e non sopiti principi, che andiamo ad evidenziare.
I Giudici Amministrativi evidenziano come” la Pubblica Amministrazione, se
in relazione alla scarsità delle risorse disponibili è libera di non acquistare o
ridurre numericamente l’acquisto di servizi, non può tuttavia acquistare
prestazioni ad una cifra che non copre le spese e non consente utili
all’impresa erogatrice.
Pertanto non può procedere ad approssimazioni nella determinazione dei
costi del personale a fronte di disposizioni normative che impongono
all’impresa, con pesanti sanzioni anche di carattere penale, di erogare al
personale retribuzioni sulla base di parametri prefissati ed inderogabili
derivanti dalla contrattazione collettiva.
Ed ancora:”se è vero poi che gli atti impugnati sono stati adottati in
attuazione di precisi vincoli di bilancio ed in particolare sono volti a
rispettare la normativa speciale sul rientro dai disavanzi dettata dalle ultime
leggi finanziarie, cionondimeno non è esclusa la necessità di trovare un
giusto equilibrio tra le varie esigenze fondamentali che rifluiscono nella
materia: la pretesa degli assistiti a prestazioni sanitarie adeguate con la
connessa salvaguardia del diritto di primaria rilevanza alla salute, il
mantenimento degli equilibri finanziari che comunque non possono contare
su risorse illimitate, ma anche gli interessi degli operatori privati che
rispondono a logiche imprenditoriali meritevoli di tutela e l’efficienza
delle strutture pubbliche e private operanti in materia”.
L’excursus sopra delineato mostra senza tema di smentita come sino ad oggi
non sia stata compiutamente applicata la vigente normativa in tema di
44
determinazione del-le tariffe, applicabili alle prestazioni specialistiche, ed in
particolare alle prestazioni di patologia clinica.
c) Il provvedimento impugnato
In aderenza, almeno formale, del dettato normativo sopra indicato, collegato
al citato D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in L. 7 agosto 2012 n. 135 (c.d.
spending review), il Ministero della Salute ha emesso il Decreto oggi
impugnato, con il quale si:
- determinano, con efficacia fino al 31 dicembre 2014, le tariffe massime che
le Regioni e le Province Autonome possono corrispondere alle strutture
accreditate di cui all’art. 8-quater del D.Lgs. n. 502/92 e smi, tra le quali
rientrano anche le odierne ricorrenti;
- precisa che tali tariffe massime, nelle more di una organica revisione dei
LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) si riferiscono alle sole prestazioni ed
alle tariffe oggetto del precedente D.M. Sanità 22 luglio 1996;
- chiarisce che, “nelle more della disponibilità degli esiti di ulteriori studi sui
costi delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale”, obiettivo
del decreto è “limitare l'aggiornamento delle tariffe ministeriali a
quelle prestazioni per le quali si dispone di informazioni sui costi,
utilizzando a tal fine anche gli esiti dell'analisi della variabilità
tariffaria interregionale” ai sensi dell’art. 8-sexies, comma 5, lett. b) e c), del
D.Lgs. n. 502/92 e smi.
- fissano con l’Allegato 3 (richiamato dall’art. 3 come parte integrante del
decreto) le tariffe massime relative alle prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale a carico del S.S.N.;
45
- dichiara di “assorbire nell’aggiornamento tariffario delle prestazioni di
specialistica ambulatoriale” di cui all’Allegato 3 “il valore dello sconto
attualmente vigente nel settore privato” in virtù dell'art. 1, comma 796, lett.
o), della L. n. 296/2006 (sconto pari al 20% degli importi indicati dal D.M. 22
luglio 1996 per le prestazioni di diagnostica di laboratorio ed al 2% degli
importi ivi indicati per le restanti prestazioni specialistiche).
Il provvedimento de quo, di estrema gravità per gli interessi di tutte le
strutture ricorrenti, sull’intero territorio nazionale, supportate anche dalle
rispettive Associazioni di categoria, regionali e nazionale, ci ha condotto,
ancora una volta, a proporre la presente impugnativa, per i seguenti
* * *
M O T I V I D I D I R I T T O
A) IN RELAZIONE ALLE TARIFFE PER LE PRESTAZIONI DI
SPECIALISTICA AMBULATORIALE
1) Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Contraddittorietà.
I precedenti giurisprudenziali, anticipati nella premessa, restano illuminanti
per verificare se il decreto impugnato contenga conclusioni sorrette dall’
“indefettibile connessione logico-motivazionale tra l’accertamento e la misura
delle tariffe”: conclusioni cioè a cui si sarebbe dovuti pervenire attraverso
“criteri dettagliati”.
Ebbene anche una lettura superficiale del decreto stesso non lascia dubbi sulla
carenza di dati e concreti elementi di giudizio alla base delle determinate
tariffe che debbono essere assunte dalle Regioni come livelli massimi.
Al riguardo sarà utile preliminarmente evidenziare come la sopravvenuta
normativa (ex art. 15, co. 15 e segg.) abbia inciso sulla precedente disciplina
46
“in deroga alla procedura prevista dall’art. 8 sexies, co. 5” lasciando quindi
inalterati gli aspetti sostanziali riconducibili al rapporto costi-tariffe.
Di ciò assume contezza lo stesso decreto richiamando il predetto art. 8 sexies
“che stabilisce che il decreto di determinazione delle tariffe massime, da
corrispondere alle strutture accreditate in base ai costi standard di produzione
e di quote standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo
di strutture accreditate”.
Senonchè la lettura del decreto non sembra dare altrettanta contezza per la
conseguente e reale applicazione.: l’impressione che anzi affiora dal contesto
del decreto stesso è che i principi indicati dall’art. 8 sexies valgono nei
confronti delle Regioni per i propri tariffari ma non già per le tariffe azionali,
cui le Regioni stesse debbono attenersi: impressione confermata dallo stesso
decreto allorchè è detto espressamente che i criteri dell’art. 8 sexies “per la
determinazione delle tariffe massime nazionali, devono essere utilizzati dalle
Regioni in sede di adozione dei propri tariffari .... attraverso il riconoscimento
di livelli tariffari inferiori ai massimi nazionali...”.
Il che lascia ritenere – come testè si diceva - che i criteri per la corrispondenza
costi-tariffe valgono solo per le Regioni che tuttavia debbono sottostare a
livelli massimi i quali sono stati determinati senza una connessione logica e
motivazionale.
Ed infatti quel che rileva è la preoccupazione (per alcuni aspetti condivisibile)
di riferire “la congruità delle risorse....alla necessità del rispetto dei parametri
di programmazione nazionale” ma quando si tratta di passare al rapporto
costi-tariffe nulla è detto come le tariffe massime siano state concepite: con la
conseguenza che il tutto si è svolto nell’assoluta genericità senza un rapporto
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concreto di rilevazione pur se attraverso campioni rappresentativi.
2) Illegittimità derivata per illegittimità del D.M. 22 luglio 1996 e del
D.M. 12 settembre 2006, che hanno subito l’annullamento per violazione
dell’art. 8 sexies, comma 5°, del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 -
Violazione dell’art. 1, comma 170°, della legge 30 dicembre 2004 n. 311 -
Violazione degli artt. 3, 7, 8, 9, 10 e 21 quinquies della legge n. 241/90.
Non possiamo esimerci dal reiterare il vizio del presente provvedimento per
illegittimità derivata, conseguente all’annullamento del D.M. 22 luglio 1996
ed all’annullamento del D.M. 12 settembre 2006.
Sebbene, come si vedrà, il Decreto in oggetto è affetto da molteplici e
macroscopici vizi che lo rendono irrimediabilmente inapplicabile, e
meritevole di annullamento, oltre che di immediata sospensione, per un
approccio sistematico alla vicenda appare opportuno, preliminarmente,
affrontare questo primo vizio, che è in ogni caso strettamente collegato al
nucleo fondamentale della patologia del Decreto, ovvero l’assoluta carenza di
istruttoria e motivazione.
La portata lesiva del provvedimento ministeriale si individua, per un verso
nella circostanza di aver posto quale atto presupposto l’annullato D.M.
1996, con ciò assimilando i profili di illegittimità già individuati da codesto
Tribunale Amministrativo, e dai Giudici del Consiglio di Stato, in relazione al
D.M. 1996 prima e 2006 poi, ulteriormente aggravati da ulteriori elementi di
censura, che si analizzeranno, come detto, nel corso del presente atto.
Il D.M., infatti, nelle premesse, dispone specificatamente che “nelle more di
una revisione dei L.E.A. l’aggiornamento (perché di aggiornamento si tratta
e non certo di un nuovo nomenclatore tariffario), con particolare riguardo alla
48
specialistica, può riguardare esclusivamente le prestazioni e le tariffe
riportate nel D.M. 22 luglio 1996.
Di nuovo appare, incredibilmente, il Decreto Bindi, assurto ormai ad unico
baluardo immodificabile della scena sanitaria nazionale.
A distanza di circa dodici anni, un provvedimento, più volte annullato dalla
Giustizia Amministrativa, viene nuovamente posto alla base del Decreto
Ministeriale di aggiornamento, in pericoloso e non contestualizzato ribasso,
delle tariffe per le prestazioni sanitarie.
2a) In ordine all’illegittimità derivata per illegittimità del D.M. 22 luglio
1996 e del D.M. 12 settembre 2006
Emerge con cristallina evidenza come tale profilo di censura sia pienamente
rinvenibile nel provvedimento impugnato, che, come detto, dichiara di
aggiornare le tariffe “Bindi”.
Orbene, come più volte ribadito, il citato D.M. 1996 è stato annullato per
chiarissime violazioni di legge e carenze motivazionali ed istruttorie, che
pertanto non possono che riflettersi sul Decreto Ministeriale 18 ottobre
2012.
Come si è detto, e come è stato sottolineato dal Consiglio di Stato nella
sentenza n. 1839/2001, il principale motivo che ha condotto all’annullamento
del D.M. 1996 è stata la mancanza di una connessione logica tra
l'accertamento dei costi e la misura delle tariffe, criterio chiaramente
espresso nel D.M. 15 aprile 1994, provvedimento richiamato dal D.M. 1996
medesimo.
Il primo errore in cui incorse il Ministero, allora ma con riflessi anche
sull’attuale provvedimento, è stata la scarsa rappresentatività del campione
49
scelto, essendo stati rilevati soltanto i dati presso le strutture pubbliche in due
realtà regionali (Toscana ed Emilia Romagna), con esclusione di un campione
sulle strutture private.
Secondo i Giudici del Consiglio di Stato, come già evidenziato, “tale rilievo
acquista decisivo significato, in considerazione delle profonde diversità tra
realtà regionali, senza contare l’assenza di un’indagine sui costi
nell’ambito delle strutture private, componente essenziale nel sistema
sanitario nazionale”.
Inoltre, appare palese il difetto di istruttoria, atteso che in quel frangente tanto
il parere del Consiglio Superiore di Sanità del 13 marzo 1996, quanto la
posizione assunta dal Gruppo Tecnico della Segreteria della Conferenza
permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e
Bolzano, non risultano essere state prese in minima considerazione.
Vi è da sottolineare come nel documento redatto da tale ultimo gruppo
tecnico, co-me già evidenziato, si afferma che “le tariffe per le prestazioni
specialistiche ambulatoriali sono economicamente sottostimate. Infatti, le
tariffe proposte, sulla scorta dei costi di produzione puntualmente rilevati in
alcune Regioni, non appaiono per niente remunerative.…Le Regioni
ribadiscono che la scelta di determinazioni tariffarie sottostimate, a
motivo esclusivo di esigenze circoscritte e contingenti di Governo della
spesa, non potrà che incidere negativamente sulla qualità dell’assistenza
dovuta ai cittadini.…”.
“In definitiva, il procedimento seguito non soddisfa il criterio di base, per cui
la determinazione delle singole tariffe deve risultare da un campione
significativo di strutture pubbliche e private, così da poter verificare quella
50
connessione logica necessaria tra l'accertamento dei costi e la misura delle
tariffe. Né una tale verifica può prescindere dai dati di mercato, per essere
sostituita da accordi tra Stato e Regioni, che non trovano fondamento in un
sistematico e compiuto esame di valori tratti dalle diverse realtà pubbliche e
private”: questa è stata la chiosa del Consiglio di Stato, che non può che
trovare assoluta condivisione.
Ponendo come parametro il D.M. 1996, dunque, il Decreto oggi
impugnato risulta palesemente viziato per illegittimità derivata, non solo
in quanto detto D.M. non esiste più nel mondo giuridico, ma altresì in quanto
fa proprie tutte le violazioni cui è incorso il Ministero nella determinazione
delle tariffe.
Aggiornare oggi tariffe considerate, in più occasioni e con definitive
pronunce, illegittime (le tariffe stesse, dunque, e non solo l’impianto del
Decreto Bindi), non trova alcun conforto, come si specificherà, neppure
nell’esigenza di contenimento delineata con la spendig review.
Se le tariffe del 1996 non trovavano rispondenza con l’andamento dei
costi dell’epoca, non si può pensare che le tariffe introdotte con il Decreto
Ministeriale in oggetto, che abbattono di oltre il 30% le tariffe del 1996,
siano minimamente collegate alla reale incidenza dei costi attuali.
Dunque, appare di tutta evidenza che le stesse morbosità che affliggevano il
Decreto Bindi rivivano nel provvedimento oggi impugnato.
2b) In ordine alla violazione dell’art. 8 sexies, comma 5°, del D.Lgs. 30 di-
cembre 1992 n. 502 - Violazione dell’art. 1, comma 170°, della legge 30
dicembre 2004 n. 311 - Violazione del principio di buona fede e
dell’affidamento
51
Pur avendo, si ritiene esaustivamente, delineato i profili di illegittimità
derivata, collegata all’applicazione dell’annullato D.M. 1996, giova
individuare la normativa che, in quanto violata dall’atto presupposto, travolge
anche l’atto impugnato.
L’art. 8 sexies, comma 5°, del D.Lgs. n. 502/1992 dispone: ”Il Ministro della
Sanità, sentita l'Agenzia per i servizi sanitari regionali, d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
Autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 120, comma 1°, lettera
g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, con apposito decreto
individua i sistemi di classificazione che definiscono l'unità di prestazione o
di servizio da remunerare e determina le tariffe massime da corrispondere
alle strutture accreditate, in base ai costi standard di produ-zione e di quote
standard di costi generali, calcolati su un campione rappresentativo di
strutture accreditate, tenuto conto, nel rispetto dei princìpi di efficienza e di
economicità nell’uso delle risorse, anche in via alternativa, di: a) costi
standard delle prestazioni calcolati in riferimento a strutture preventivamente
selezionate secondo criteri di efficienza, appropriatezza e qualità
dell’assistenza come risultanti dai dati in possesso del Sistema informativo
sanitario; b) costi standard delle prestazioni già dispo-nibili presso le
Regioni e le Province Autonome; c) tariffari regionali e differenti modalità di
remunerazione delle funzioni assistenziali attuate nelle Regioni e nelle Pro-
vince Autonome”.
Il predetto art. 8-sexies, comma 5, del D. Lgs. n. 502/92 rimane assolutamente
vigente e vincolante per il Ministero anche in sede di predisposizione del
nuovo tariffario di cui all’art. 15, comma 15, del D.L. n. 95/2012 (c.d.
52
spending review).
In tal senso, è sufficiente analizzare due univoci rilievi testuali:
a) il comma 15 cit. obbligava ed obbliga il Ministero della Salute ad
incentrare l’istruttoria, testualmente, “sulla base dei dati di costo disponibili
e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali”, riproponendo
quindi, quale parametro-base, la necessaria correlazione tra tariffa e costo
ex art. 8-sexies, comma 5, cit.;
b) il comma 5 dell’art. 8-sexies risulta derogato unicamente su piano della
procedura di determinazione delle tariffe (cfr. l’incipit del comma 15: “In
deroga alla procedura prevista (…)”), ma non per quanto concerne i criteri
sostanziali preposti alla loro redazione (cfr. lett. a), b) e c) dell’art. 8-sexies,
comma 5 cit.), proprio in quanto funzionali a contenere la discrezionalità
dell’Amministrazione e ad evitare la sua traduzione in mero arbitrio.
Inoltre le previsioni dell’art. 8-sexies 5° comma risultano specificamente
richiamate non solo dalle premesse del D.M. 18 ottobre 2012, ma anche
dall’art. 1, comma 2, del medesimo e dall’art. 4 che, nel dettare i “Criteri
generali per l’adozione dei tariffari regionali”, al comma 1° obbliga le
Regioni a ricorrere, “anche in via alternativa, ai medesimi criteri individuati
per la determinazione delle tariffe massime nazionali, di cui alle lettere a),
b) e c) dell’articolo 8 sexies, comma 5, primo periodo, del decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni”.
Il richiamo ai criteri dell’art. 8-sexies, 5° comma quali parametri per le
determinazioni regionali si rivela, peraltro, contraddittorio, finendo il
Ministero per imporre alle Regioni il rispetto di un criterio che esso per primo
ha derogato e violato.
53
Pertanto, appare del tutto evidente la perdurante vigenza e vincolatività dei
criteri in questione per il Ministero della Salute, che viceversa sono stati,
ancora una volta disattesi, in totale spregio dei principi legislativi e
giurisprudenziali.
Il Decreto infatti, nonostante tutti i richiami effettuati ed in palese
contraddizione con essi, appare invalidato da una grave incompletezza della
fase istruttoria sia per quanto riguarda le tariffe aggiornate (analisi di
laboratorio) sia per quelle non aggiornate (tutte le altre).
Si manifesta il più volte illustrato difetto di istruttoria e di motivazione, di
seguito illustrato, correttamente rilevato dalla Giustizia Amministrativa per
quanto riguarda i pregressi tentativi di un aggiornamento delle tariffe e
assolutamente riproposti con il provvedimento che ci occupa.
3) Violazione dell’art. 15, commi 15 e 17-bis, del d.l. n. 95/2012, dell’art.
2-bis del d.l. n. 158/2012 e dell’all. 1 della l. n. 189/2012 - Eccesso di
potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente eccesso di potere
per difetto di motivazione ed istruttoria, nonché per carenza dei
presupposti, travisamento dei fatti, illogicità - Violazione del principio di
buona fede e dell’affidamento.
Con la conversione del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 il Legge il Legislatore ha
ritenuto di dover inserire un comma ulteriore all’art. 15 più volte citato,
ovvero l’art. 17 bis, introdotto con il Decreto Sanità (D.L. 158/2012,
convertito in Legge 189/2012) all’art. 2 bis) e non presente nel Decreto
Legge.
54
In tale articolo 17 bis si prevedeva l’istituzione di una “commissione per la
formulazione di proposte, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, per
l'aggiornamento delle tariffe determinate ai sensi del comma 15”.
La commissione doveva essere composta da rappresentanti del Ministero
della Salute, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Conferenza
delle Regioni e delle Province autonome ed aveva appunto il compito, a
seguito di un confronto con le Associazioni maggiormente rappresentative a
livello nazionale dei soggetti titolari di strutture private accreditate, di
provvedere ad un aggiornamento delle tariffe, entro sessanta giorni dalla data
dell'insediamento.
Entro i successivi trenta giorni il Ministro della salute, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato – Regioni,
doveva provvede all'eventuale aggiornamento delle predette tariffe" (art. 2-bis
cit., comma 1).
La commissione avrebbe dovuto insediarsi entro 15 giorni dall’entrata in
vigore della Legge, avvenuta in data 11 novembre 2012.
Ora, appare evidente che tale previsione (e dunque tale commissione) sia stata
introdotta, a correttivo dello “scivolone” avutosi con il D.L. 95/2012, sia per
ristabilire il principio di necessario confronto con le Associazioni di categoria
(concetto presente anche nelle pregresse normative quali la Legge 311/2005)
sia per consentire un’adeguata istruttoria per la determinazione delle tariffe, in
aderenza con il dettato normativo ed i principi giurisprudenziali ormai
consolidati.
55
Tuttavia, sembra che il Ministero abbia del tutto “dimenticato” tale
previsione, introducendo il provvedimento di “aggiornamento” delle tariffe
senza che la commissione si sia neppure insediata.
A dimostrazione di quanto sia verosimigliante tale dimenticanza, è sufficiente
considerare quanto si legge nell’art. 1, 1° comma, del D.M., ove si afferma
che il decreto viene emanato “in applicazione dell’articolo 15, commi 15, 16,
17 e 18, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni,
in legge 7 agosto 2012, n. 135”, senza citare né il Decreto Sanità (D.L. n.
158/2012) né la Legge di conversione n. 189/2012, né tantomeno il
fondamentale nuovo comma 17-bis dell’art. 15 introdotto tramite l’art. 2-bis
anzidetto.
Appare perciò chiaro che il D.M. qui impugnato avrebbe dovuto dare
attuazione ai criteri procedurali e di contraddittorio dettati dal precitato art. 2-
bis del D.L. n. 158/2012, riportati nell’art. 17 bis del D.L. 95/2012, atteso che
il provvedimento si è occupato proprio di “aggiornamento” delle tariffe (non
trattandosi della formulazione di un nuovo Nomenclatore).
Si precisa che anche con riguardo alla tempistica relativa all’emanazione del
provvedimento, si sarebbe potuta e dovuta rispettare detta procedura.
Come detto, la Legge n. 189/2012 (che ha convertito il Decreto Sanità,
contenente l’introduzione della commissione all’art. 2 bis, trasfuso nell’art. 17
bis sopra citato) è entrata in vigore l’11 novembre 2012: il Ministero aveva
modo di nominare la commissione, che avrebbe svolto e concluso i propri
lavori entro la fine di dicembre 2012, ben un mese prima della pubblicazione
del Decreto Ministeriale oggi impugnato.
56
Il provvedimento che ci occupa, dunque, appare il palese violazione del
dettato normativo sopra citato.
4) Violazione dell’art. 15, comma 15, del D.L. n. 95/2012 e dell’art. 8-
sexies, comma 5, D.Lgs. n. 502/1992 e smi. Violazione dell’art. 41 e
dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in
particolare eccesso di potere, carenza di istruttoria, carenza di
motivazione, ingiustizia manifesta.
Le osservazioni sino ad ora dispiegate appaiono prodromiche alla rilevazione
del più grave tra i vizi di cui è affetto il provvedimento che ci occupa, ovvero
la violazione dei principi, più volte denunciati dalla Giurisprudenza
Amministrativa, collegati alla definizione delle tariffe.
In particolare, la determinazione delle tariffe non tiene in alcun conto delle
necessaria correlazione tra l’accertamento dei costi e la misura delle
tariffe: in sostanza, applicando le tariffe così come determinate non potrà
esserci neppure la copertura dei costi sostenuti dalle strutture.
Questo è accaduto perché non è stata svolta un’adeguata istruttoria (di
cui non vi è traccia alcuna nel provvedimento) secondo i criteri imposti
dall’art. 8 sexies del D. Lgs. n. 502/1992, come già sottolineato ancora
valido e vigente per ciò che concerne i principi ed i criteri applicabili.
Abbiamo già rimarcato nelle premesse del presente atto come la deroga
contenuta nella spending review sia collegata solamente all’aspetto
procedurale dell’art. 8 sexies citato, ciò comportando che la necessità di
correlazione tra tariffa e costo, peraltro riproposta in più punti del
provvedimento che ci occupa, non possa in alcun modo essere derogata.
57
E’ di intuitiva evidenza che tale parametro non potrebbe essere trasgredito,
neppure nel nome di un risparmio di spesa, atteso che prescindere da tale
correlazione comporterebbe l’impossibilità per l’imprenditore di sostenere e
proseguire la propria attività.
Né può affermarsi che la locuzione “sulla base dei costi disponibili”
costituisca un’esimente per il Ministero a svolgere un’adeguata istruttoria, in
grado di supportare le decisioni adottate.
In primo luogo, tali dati di costo disponibili dovevano essere correlati alle
tariffe applicate dalle singole regioni (l’art. 15 recita appunto che la base di
determinazione delle tariffe doveva prevedere la ricognizione dei “dati di
costo disponibili e, ove ritenuti congrui ed adeguati, dei tariffari regionali”).
Spettava dunque al Ministero operare una congrua istruttoria, motivando in tal
modo il provvedimento in maniera adeguata, che tenesse conto di tutti i dati
disponibili, estrapolandoli, dunque, anche dai vigenti tariffari regionali.
In secondo luogo, sembra che il Ministero non abbia affatto tenuto conto dei
dati a disposizione.
Sulla materia, infatti, esistono moltissime relazioni di stime di cui poteva
disporre il Dipartimento ministeriale preposto alla definizione tecnica delle
tariffe, fornite non solo da soggetti di alta competenza tecnica incaricati dalle
Associazioni di categoria, ma altresì da istituzioni universitarie di alta
levatura, come ad esempio l’Università Bocconi.
Di contro, non emerge in alcuna parte del Decreto l’applicazione reale di tali
stime.
58
In tal senso, disponiamo solamente di una Relazione tecnica (cfr. doc. n. 2,
peraltro impugnata con il presente ricorso) che è stata divulgata unitamente
alla prima bozza di Decreto.
Analizzando tale Relazione emergono alcuni sconcertanti elementi.
a) non vi è traccia di un accertamento del costo standard di produzione ed
organizzativo per singola Regione (tenuto conto dei fattori di produzione
nelle singole realtà regionali); né del costo standard generale a livello
nazionale, che nel D.M. non risulta ai enunciato.
In realtà, la metodologia impiegata per determinare il tariffario non appare
basata, come previsto dalla legge, sulla rilevazione dei costi, bensì sui
consumi prestazionali certi, rilevati dai flussi regionali e raggruppati per
totali, secondo la classificazione delle prestazioni vigente nella Regione
Emilia-Romagna (cfr doc. n. 2 Relazione tecnica, par.2, lett. b).
Le risorse messe a disposizione per l’assistenza sono state poi ripartite su detti
dati per trovare un’adeguata copertura finanziaria stravolgendo il metodo
prescritto dalla legge, posto che la tariffa deve essere correlata al costo, e
non ai consumi.
b) sempre osservando la Relazione (che comunque, si badi bene, non è
richiamata neppure per relationem nel Decreto impugnato), si evince che
sono stati presi a base del provvedimento i dati di costo di quattro Regioni
(Umbria, Toscana, Piemonte e Veneto), che, oltre a costituire realtà
assolutamente sottodimensionate rispetto ad altre Regioni, con riguardo alla
presenza di erogatori accreditati, rappresentano solamente una parte del
territorio nazionale, comunque estremamente circoscritta.
59
Inoltre, il sistema di accreditamento posto in essere in tali Regioni è
assolutamente differente rispetto alle Regioni del Centro-Sud e, perlopiù, si
riversa su strutture di dimensioni medio-alte (c.d. megacentri) che non
corrispondono alle altre realtà regionali.
Lo dimostra la circostanza che il presente ricorso è stato proposto da
moltissime strutture, di medie dimensioni, anche del Piemonte e del Veneto.
Peraltro, a conforto delle risultanze ottenute, nella Relazione de quo viene
citato lo studio condotto dall’Università Bocconi, reso disponibile dalla
Regione Veneto, tuttavia tali dati sono stati recepiti in maniera del tutto
distorta, come dimostra l’Elaborato, svolto dal Gruppo di Lavoro Anisap
Veneto, che si deposita (doc. n. 3).
L’elaborato in questione si fonda proprio sui risultati dello studio che la
Regione Veneto ha affidato alla struttura CERGAS/BOCCONI, validato da
un Comitato Tecnico Scientifico permanente e fondato su un campione
idoneo di strutture.
Detto Elaborato riprende i dati CERGAS e, correttamente, li rivaluta (i dati di
costo erano riferiti al 2008) in base all’indice FOI(nt) del 2012.
Le prestazioni sono state divise in gruppi di branche, ovvero Fisiokinesi,
Diagnostica per immagini e Laboratorio, al fine di verificare, per ciascuna
branca, l’impatto economico del nuovo tariffario.
Per la Fisiokinesi, è emerso che il ricavo medio per la tariffa 1996
(comprensiva dello sconto imposto dalla Legge n. 296/2006) era pari a 7,12
Euro, il ricavo medio con la nuova tariffa sarebbe di 7,26 Euro, il costo
medio, rilevato in base ai dati disponibili (anche per il Ministero) è pari a
12,81 Euro.
60
Per tale branca, dunque, l’elaborato precisa che “l’aggregato delle strutture di
questa branca otterrebbe un modesto incremento di ricavo; i valori di costo,
senza imputare le componenti relative ai tributi, agli oneri finanziari e
senza riconoscere alcuna remunerazione, sono notevolmente superiori ai
valori di ricavo”.
Per la Diagnostica per immagini la situazione è peggiore: il ricavo medio
per prestazione di cui alla tariffa precedente comprensiva di sconto era pari a
63,04 Euro; il ricavo medio ottenibile con la nuova tariffa sarebbe di 54,81
Euro, il costo medio attuale è di 82,13 Euro.
Il tecnico conclude per tale branca: “con il nuovo tariffario l’aggregato delle
strutture otterrebbe un sensibile decremento di ricavo; i valori di costo,
senza imputare le componenti relative ai tributi, agli oneri finanziari e senza
riconoscere alcuna remunerazione, sono molto discosti dai valori di ricavo”.
Per le prestazioni di Laboratorio, il ricavo medio per prestazione di cui alla
tariffa precedente comprensiva di sconto era pari a 3,23 Euro; il ricavo medio
ottenibile con la nuova tariffa sarebbe di 3,69 Euro, il costo medio attuale è
di 4,72 Euro.
Anche per le prestazioni di Laboratorio il tecnico conclude per un valore di
costo “sensibilmente superiore rispetto ai valori di ricavo”.
Inoltre, viene precisato che “in presenza di organizzazioni basate su scale
dimensionali differenti rispetto a quelle del campione (cioè realtà con
dimensione media più contenuta rispetto al Veneto, come certamente
riscontrabile in molte altre Regioni), ci si possono attendere costi anche
notevolmente più alti rispetto a quanto riportato in tabella”.
61
Occorre a questo punto svolgere una precisazione, che si ritiene fondamentale
per non essere tratti in inganno dai numeri.
Nell’Elaborato che stiamo analizzando, dalla pag. 15, sono illustrate, a mezzo
di tabelle, le differenze tra vecchie e nuove tariffe, e la percentuale di rapporto
tra i costi e ricavi.
Ora, a prescindere dalla già evidenziata circostanza che, per tutte le branche, è
stato verificato che i costi non sono coperti dalle tariffe, dalle tabelle
sembrerebbe emergere, in generale, un aumento delle tariffe rispetto alle
precedenti, anche per effetto dell’assorbimento dello sconto ex Legge
296/2006.
Tale situazione non può e non deve trarre in inganno.
Nella Diagnostica per immagini, ad esempio, le variazioni al “rialzo” sono
state previste per le prestazioni di scarso consumo, ovvero le meno frequenti,
mentre un sensibile abbattimento si è verificato per la Risonanza Magnetica
più utilizzata (del cuore, della mammella, della colonna, dell’addome), le cui
tariffe sono diminuite circa del 25% a fronte di costi elevati assolutamente
non coperti dalla tariffa della prestazione (pag. 20 dell’Elaborato).
Stessa sorte alla prestazioni di Laboratorio, branca che, come si vede dalle
tabelle (da pag. 22, colonna d) vede la maggiore incongruenza tra costi e
ricavi, gli apparenti aumenti riguardano le prestazioni più infrequenti, con
invarianza o diminuzione delle tariffe legate alle prestazioni maggiormente
richieste dagli utenti.
Alla luce delle risultante di tale elaborato possiamo trarre le seguenti
conclusioni:
62
- i dati di costo a disposizione del Ministero (che per sua stessa ammissione
sono stati utilizzati per la determinazione delle tariffe – dati CERGAS)
utilizzati secondo i corretti parametri e senza falsare i risultati, portano a
conclusioni del tutto diverse da quelle enunciate nel Decreto oggi impugnato;
- il Ministero ha utilizzato uno “specchietto per le allodole”, apparentemente
aumentando alcune tariffe (sempre e comunque non correlate ai costi) che
tuttavia non incidono sulle attività delle strutture, mentre sono state diminuite
le tariffe delle prestazioni largamente richieste;
- l’assorbimento dello sconto di cui alla Legge n. 296/2006 non ha apportato
alcuna invarianza dell’impatto economico sulle strutture.
c) ancora con riguardo alla Relazione allegata alla bozza di Decreto (cfr. doc.
n. 2) si osserva come nella stessa si svolga un confronto tariffario tra più
Regioni mediante una griglia, in cui sono inserite le tariffe di tali Regioni.
Tale metodica appare tuttavia, del tutto inappropriata alla luce del
rilevante precedente cautelare di codesto Ecc.mo Collegio, concernente il
decreto del Commissario ad acta per la sanità laziale n. 45 del 31 maggio
2010 avente ad oggetto “Revisione Tariffe per prestazioni specialistiche –
Laboratorio analisi”.
Con tale decreto erano state ridotte le tariffe di alcune prestazioni degli esami
ormonali e, per giungere a tale riduzione, il Commissario aveva operato un
confronto tariffario (c.d. “benchmarking” con le regioni virtuose) tra la
Regione Lazio e le Regioni Lombardia, Emilia Romagna ed Umbria,
stabilendo di fissare le tariffe in questione rapportandole alla media delle
Regioni ora detta Lombardia.
63
Con ordinanza n. 3267 del 15 luglio 2010 la Sezione Terza Quater di codesto
TAR ha sospeso il provvedimento commissariale così motivando:
“Considerato che il ricorso appare fondato, alla luce dei numerosi precedenti
giurisprudenziali su analoga fattispecie (cfr. ad es. T.A.R. Lazio, Sezione
Terza Quater n. 12623/07; Consiglio di Stato Sezione Quinta, n. 1205/10,
3893/10, 3894/10), essendo stato precisato nelle suddette sentenze che
l’istruttoria per la determinazione delle tariffe deve essere effettuata sulla
base di un campione significativo di strutture pubbliche e private al fine di
verificare i costi standard di produzione ed i costi generali, onde riscontrare
la connessione logica necessaria tra l’accertamento dei costi e la misura
delle tariffe”.
L’orientamento assunto dal Collegio in sede cautelare è inequivocabile:
l’istruttoria non può semplicemente fondarsi su un confronto con le tariffe di
altre Regioni, occorrendo un’indagine attendibile e completa dei dati di costo,
circostanza che, anche nel caso che ci occupa, non è avvenuta.
d) Sotto un ulteriore prospettiva, la Relazione tecnica enuncia con tutta
franchezza (par. 2, lett. a e b) l’assoluta parzialità dei metodi di analisi dei
dati resi disponibili dalla Regioni, in considerazione della estrema
variabilità tariffaria regionale.
Variabilità che, oltre ad essere espressamente dichiarata dalla Relazione,
viene nella stessa analizzata nelle cause e ricollegata a fattori quali le scelte
regionali di politica sanitaria, gli esiti di negoziazioni con professionisti ed
Erogatori, le scelte collegate all’allocazione delle risorse delle singole
Regioni.
64
Il Ministero, dunque, è costretto a riconoscere come le logiche di revisione
tariffaria seguite a livello regionale “non siano strettamente ed unicamente
correlate ad analisi dei costi”: premessa, questa, che inficia ob origine
l’intera istruttoria operata, in quanto ammette l’inesistenza di un dato
essenziale ed immancabile imposto dalla legge come base della
rideterminazione tariffaria, ovvero il costo reale della prestazione.
Eppure, come già sottolineato, il Ministero aveva a disposizione
numerosissime stime ed elaborati, non solo provenienti dalle Regioni (che
peraltro, come si dirà, hanno manifestato il proprio diniego all’applicazione
del Decreto), ma anche dalla Associazioni di categoria.
Sempre il Centro Studi e Ricerche Anisap Veneto, avvalendosi dei medesimi
dati rilevati dal Cergas/Bocconi, ha esaminato le prestazioni di FKT,
radiologia e laboratorio di analisi, concludendone che “nelle tre branche
prese in esame, sia a livello aggregato, sia per linea produttiva il nuovo
nomenclatore introduce una tariffa che non arriva alla copertura dei puri
costi di produzione, effettivi e misurati nelle strutture pubbliche e private
del Veneto, e riportati a prezzi attuali” (doc. n. 4, pag 15).
Come già sopra evidenziato, nell'allegata elaborazione dati effettuata dalla
FederAnisap nazionale (cfr doc. n. 3) in relazione alle singole branche della
specialistica ambulatoriale (individuate per 'gruppo' e per 'linea' di
appartenenza prestazionale) viene descritta l'incidenza dei costi (colonna d)
sulle prestazioni così come tariffate nel 1996, sia al lordo (colonna a) che al
netto (colonna b) dello sconto previsto dalla Legge finanziaria 2007 (L.
296/2006), e così come tariffate dal D.M. qui impugnato (colonna c).
65
Vengono inoltre illustrati gli scarti rispetto alle tre possibilità considerate,
ossia: rispetto al tariffario 1996 (confronto colonna c - a), rispetto al tariffario
2006 scontato (colonna c - b) e rispetto al nuovo D.M. 2013 (confronto
colonna c - d).
Emerge con chiarezza come una larghissima parte delle prestazioni presenta,
nel gravato Decreto, una tariffazione che non copre addirittura i costi, e
dunque non garantisce neanche un minimo di remunerazione: la tabella
mostra anzi una differenza tra tariffa 2013 e costi che in molti casi appare
sensibilmente negativa, risultando il costo enormemente superiore alla
remunerazione (si vedano le numerose differenze percentuali nelle colonne c
e d, indicate con il segno negativo).
Tale circostanza dimostra senza tema di smentita che l'analisi dei costi è del
tutto carente, con evidente incomprensibilità dei criteri con cui è stata
condotta la presunta istruttoria ministeriale.
Non possiamo, a questo proposito, che richiamare nuovamente la già citata
sentenza dei Giudici di Palazzo Spada n. 740/2013, citata per brevi tratti)
secondo cui, si ribadisce, l’Amministrazione non può pretendere di acquistare
prestazioni ad una cifra che non copre le spese e non consente utili
all’impresa erogatrice.
Dunque, costi quali il personale (contrattualizzato con parametri
legislativi intoccabili), il modello organizzativo adottato (la grandezza
della struttura e la sua capacità prestazionale), l’inflazione, il costo dei
materiali (si pensi ad esempio ai reagenti per le analisi di laboratorio), i
costi fissi (utenze, locazione, manutenzione ecc.) non sono stati
considerati e non sono coperti dalle tariffe imposte dal Ministero.
66
Occorre sottolineare che l’esigenza di nuove tariffe, profondamente sentita
dagli operatori del settore, nasce proprio dal mancato adeguamento delle
“vecchie” tariffe ai costi attuali della vita.
Esemplificando, il laboratorio di analisi, per il quale l'unico tariffario
vigente è quello del 7 novembre 1991, l'indice ISTAT di rivalutazione
monetaria (periodo 1991-2012) è pari al 71,70% (tale percentuale si ricava da
un semplice calcolo effettuato sul sito ISTAT http://rivaluta.istat.it/Rivaluta/).
Dunque, le prestazioni di laboratorio, oltre ad una diminuzione nominale di
circa il 40% del nuovo tariffario rispetto al D.M. '91 si aggiunge quella dovuta
all'inflazione del 71,70%, per un totale dell'83% in termini reali (su cui
incide notevolmente anche l’ingresso dell’Italia nel “sistema euro”, a partire
dal 2001.
La Risonanza Magnetica ha subito, in virtù delle nuove tariffe fissate dal
Ministero, una decurtazione del 25%, cui si aggiunge quella dovuta
all'inflazione del 40,50%, per un totale del 55,38% in termini reali.
Le altre branche, come la fisioterapia o la radiologia, formalmente non hanno
subito variazioni, ma il nuovo tariffario è, anche in questo ambito, viziato da
palese difetto di istruttoria: è vero che le tariffe rimangono invariate ai livelli
1996, ma appare palese la mancata rilevazione del forte aumento dei costi
nell'ultimo ventennio, analogamente a quanto sopra si è esposto.
Pertanto, il fatto stesso che le tariffe siano state semplicemente confermate,
dimostra l’assenza di qualsiasi rilevazione dei costi al contrario di quanto
dichiarato.
Si aggiunga che anche su queste prestazioni ha inciso l'indice ISTAT di
rivalutazione monetaria (1996-2012), come già detto pari al 40,50%.
67
Anche per questo secondo motivo, come sopra delineato, il provvedimento in
oggetto deve essere annullato.
5) Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni di
cui all’art. 120, comma 2, Cost. - Eccesso di potere in tutte le sue figure
sintomatiche.
Come già anticipato nel corso del presente atto, la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano, nella seduta del 26 settembre.2012 (Rep. Atti n. 175/CSR), ha
espresso parere negativo in ordine allo schema di decreto, atteso il mancato
accoglimento degli emendamenti proposti in sede tecnica.
A tal proposito, occorre sottolineare come l’obbligatorietà del parere della
Conferenza è un dato pacifico, stante il disposto letterale dell’art. 15 D.L. n.
95/2012 (“(…) sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (…)”) e la norma
generale dettata dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 281/1997.
Di contro, alcun cenno all’opportunità di superare il diniego espresso dalla
Conferenza Stato – Regioni è stato operato nel Decreto Ministeriale.
È noto che i pareri, i quali si configurano formalmente quali atti della
Conferenza, consistono sostanzialmente nelle posizioni espresse dalle Regioni
sugli oggetti in discussione, acquisite dal Presidente della Conferenza e
valutate dall’organo statale competente all’adozione dell’atto finale.
Tuttavia, nella sostanza il potere consultivo riconosciuto alle Regioni
consente alle medesime di negoziare l’atto sottoposto a parere, in modo tale
da renderlo sufficientemente condiviso ed ottenere un esito favorevole, nella
fase istruttoria congiunta Stato-Regioni, anteriore alla seduta della
68
Conferenza, soprattutto con riguardo alle materie pacificamente rientranti
nella competenza legislativa concorrente Stato-Regioni come nella specie è la
“tutela della salute” ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.
Pertanto l’acquisizione del parere si configura come fase procedimentale
superabile dal soggetto (lo Stato), cui spetta in prevalenza la responsabilità
della decisione finale, solo a determinate condizioni:
a) In primo luogo, sulla base del principio di leale collaborazione fra Stato e
Regioni sancito dall’art. art. 120 Cost., comma 2, si deve ricercare il più
possibile il consenso delle parti; cosa che nella specie non è avvenuta, atteso
che i rilievi tecnici avanzati dalla Conferenza sono stati riproposti in sede
ministeriale senza alcuna delibazione, contraddittorio con le Regioni né
motivazione di sorta.
b) In secondo luogo, in caso di mancata adesione da parte della Conferenza,
sussiste l’obbligo di fornire una congrua motivazione che dimostri la
correttezza e ragionevolezza della conclusione del procedimento, fornendo le
circostanze che hanno reso impossibile la convergenza con la controparte e
delle ragioni che rendono indispensabile l’adozione unilaterale dell’atto.
Anche sotto questo aspetto il D.M. impugnato si presenta gravemente carente.
Nella situazione peculiare, il consenso della Conferenza non doveva essere
necessariamente conseguito al fine di rendere valido il D.M. tariffario
conclusivo del procedimento, ma, data la rilevanza costituzionale degli
interessi in gioco (artt. 32, 41 e 120 Cost.), il Ministero avrebbe dovuto
quantomeno motivare le ragioni di inosservanza del parere.
In tal senso si è espresso ineccepibilmente codesto Ecc.mo TAR Lazio, Sez.
III-Quater, nella sentenza 12623/07 già citata, la quale aveva già censurato il
69
tariffario del 2006 (D.M. Salute 12.9.2006) in quanto “il provvedimento
impugnato non reca alcuna motivazione per superare il parere contrario
della Conferenza Stato-Regioni”, risultando “evidente la necessità comunque
di motivare, seppure sinteticamente, sulle ragioni che hanno condotto
l’amministrazione agente a disattendere il parere di un così importante
organo”.
Nella medesima ottica si rinviene la sentenza n. 3733/2010 del Consiglio di
Stato, Sezione Quinta, per la quale “Ulteriore sintomo della carenza
istruttoria è l’assenza di qualsivoglia motivazione idonea a sorpassare il pur
non vincolante parere contrario reso dalla Conferenza Stato-Regioni con
riguardo ai profili di opportunità”.
* * *
IN RELAZIONE ALLE TARIFFE PER LE PRESTAZIONI DI
RICOVERO OSPEDALIERO
6) violazione e falsa applicazione del Dm 15/4/1994 e dell’art. 8 sexies del
d.lgs. 502/1992 e s.m. e i. nonché dell’art. 15 d.l. 95/2012- difetto di
istruttoria-violazione della l.241/1990- vizio del procedimento- carenza di
motivazione- travisamento del fatto- illogicità manifesta-
contraddittorietà intrinseca- contraddittorietà col parere della
conferenza Stato-Regioni.
L’impugnato Decreto - in disparte tutti i vizi di carattere procedurale -
manifesta evidente l’assenza di una adeguata istruttoria finalizzata
all’aggiornamento dei costi e finisce col travolgere quegli stessi criteri, che
vengono dettati proprio dal Ministero nella relazione tecnica dell’impugnato
70
decreto, laddove si dice, espressamente, che le tariffe devono esser fissate
sulla base del costo standard di produzione nonché dei costi generali, in quota
percentuale rispetto ai costi standard di produzione.
In buona sostanza – quale che sia la normativa applicabile alla fattispecie, e
cioè il DM 15/4/1994 che, almeno fino al luglio del 2008, era vigente, ovvero
il nuovo testo dell’ art. 8 sexies del D.lgs. 502/1992 e finanche il testo dell’
art.15 del D.L. 95/2012 - appare assolutamente evidente che l’istruttoria
procedimentale non può mai prescindere dai costi rilevati della prestazione,
nel senso che il costo della prestazione è ciò che determina o contribuisce a
determinare il valore tariffario.
Come già detto il Consiglio di Stato ha ribadito che la remunerazione di una
prestazione sanitaria che non contenga anche un minimo utile di esercizio è
una remunerazione che soffre di un vulnus istruttorio che non necessita di
ulteriori dimostrazioni (C. St. n. 740/2013). In particolare la decisione del
massimo consesso di Giustizia Amministrativa così affronta il problema del
costo delle prestazioni - soprattutto in riferimento al problema del costo del
personale -: “Ed invero la pubblica amministrazione, se in relazione alla
scarsità delle risorse disponibili è libera di non acquistare o ridurre
numericamente l’acquisto di servizi, non può tuttavia acquistare prestazioni
ad una cifra che non copre le spese e non consente utili all’impresa
erogatrice. Pertanto non può procedere ad approssimazioni nella
determinazione dei costi del personale a fronte di disposizioni normative che
impongono all’impresa, con pesanti sanzioni anche di carattere penale, di
erogare al personale retribuzioni sulla base di parametri prefissati e
inderogabili derivanti dalla contrattazione collettiva. Con l’effetto che la base
71
di calcolo per l’aggiornamento tariffario con riferimento ai costi del
personale ha una sua rigidità non derogabile e non rientra nel potere
discrezionale dell’amministrazione.
Se è vero poi che gli atti impugnati sono stati adottati in attuazione di precisi
vincoli di bilancio ed in particolare sono volti a rispettare la normativa
speciale sul rientro dai disavanzi dettata dalle ultime leggi finanziarie,
cionondimeno non è esclusa la necessità di trovare un giusto equilibrio tra le
varie esigenze fondamentali che rifluiscono nella materia: la pretesa degli
assistiti a prestazioni sanitarie adeguate con la connessa salvaguardia del
diritto di primaria rilevanza alla salute, il mantenimento degli equilibri
finanziari che comunque non possono contare su risorse illimitate, ma anche
gli interessi degli operatori privati che rispondono a logiche imprenditoriali
meritevoli di tutela e l'efficienza delle strutture pubbliche e private operanti
in materia”.
Questi sono i principi dai quali prendere le mosse: nella specie il Decreto
impugnato contiene alcune indicazioni descrittive del modus operandi, ma in
realtà non affronta mai specificamente il problema del COSTO DELLA
PRESTAZIONE, che costituisce il vero dato ineliminabile dal quale partire
per poter costruire un valore tariffario credibile.
Nelle pagine del decreto impugnato che descrivono il metodo di lavoro
applicato emerge la preoccupazione principale, se non esclusiva, degli autori
del tariffario impugnato, e cioè la SOSTENIBILITA’ FINANZIARIA del
provvedimento e la NEUTRALITA’ DELL’IMPATTO FINANZIARIO
DELLE NUOVE TARIFFE OSPEDALIERE: è assolutamente chiaro che le
valutazioni epidemiologiche e quelle che attengono alla buona organizzazione
72
sanitaria del paese sono state del tutto fagocitate dall’obiettivo primario del
costo zero, con una palese inversione dei dati logici e fattuali che devono
sorreggere i provvedimenti amministrativi.
La verità è che anche la RATIO della c.d. spending review (o revisione della
spesa per i non anglofili) è quella dell’ eliminazione degli sprechi e delle
inefficienze e non certo quella dell’ indebita compressione delle prestazioni
rese (o, meglio ancora, dell’ indebito e illogico abbattimento del controvalore
economico delle prestazioni stesse).
Il decreto impugnato ha interposto una sorta di cortina fumogena alla
chiarezza, nel senso che ha esposto una sorta di spiegazione delle scelte
eseguite del tutto incomprensibili per gli utenti e per i destinatari dell’atto: in
contrapposizione a questo modello poco commendevole di istruttoria
procedimentale (che utilizza e dispiega un linguaggio da mandarini del tutto
inintelleggibile per gli estranei alla casta) i ricorrenti – ispirati da quel
principio di RAGIONEVOLEZZA che sempre dovrebbe presiedere
all’esercizio della funzione amministrativa - hanno analizzato partitamente le
tariffe di alcuni drg (per le prestazioni per acuti) e quelle delle MDC (per le
prestazioni riabilitative), nonché quelle della lungodegenza, per verificare la
ragionevolezza e la compatibilità economica delle tariffe medesime.
In capite libri va debitamente osservato che la Conferenza permanente
Stato/Regioni/Province Autonome – nelle sedute del 25 luglio 2012 e 26
settembre 2012 - aveva espresso pareri negativi circa la bozza del decreto ad
essa sottoposto, mettendo in rilievo – tra l’ altro - proprio la distanza esistente
tra le tariffe proposte ( oggi approvate) e quelle in vigore in alcune regioni d’
Italia; rispetto a questo parere negativo il decreto impugnato non spende
73
alcune motivazione, anche solo al fine di criticarlo.
Passando al dettaglio delle valutazioni - e segnalando come la critica specifica
abbia carattere paradigmatico e a campione, non essendo plausibile esaminare
tutti i DRG tariffati - alcuni DRG di chirurgia generale e ginecologica
(specificamente quelli recanti i nn. 191, 257, 258, 260, 353, 354, 357, 372,
373, 390, 540) presentano scostamenti tra valori tariffari approvati e costi
reali della prestazione che vanno dal 18% al 56%, nel senso che la
sommatoria dei costi diretti e indiretti della prestazione denota valori di costo
che esorbitano rispetto a quelli tariffari del decreto impugnato nella misura
percentuale appena indicata.
Parimenti, per quel che concerne alcuni DRG che riguardano l’impianto e la
revisione di devices cardiologici (in particolare i DRG 117, 118, 515, 535,
536, 551 e 552) spesso il solo costo dei materiali appare pari o di poco minore
rispetto alla tariffa, mentre gli altri costi di produzione conducono a costi
della prestazione del tutto esorbitanti rispetto alla tariffa .
Ancora - con riferimento ad alcune procedure di CARDIOLOGIA
INVASIVA - le tariffe approvate appaiono chiaramente inferiori ai costi
documentati di esecuzione della prestazione, mentre la tariffa relativa al DRG
556 (che mostra un andamento decorosamente superiore ai costi) si riferisce
in realtà ad una prestazione di rara esecuzione perché relativa all’impianto di
stent non medicato.
I ricorrenti hanno lasciato per ultimo (ma non in ordine di importanza) la
questione del costo del lavoro, che è rilevante in tutti i settori, ma che assurge
ad aspetto primario in quelle prestazioni (come quelle RIABILITATIVE e
quelle LUNGODEGENZIALI) nelle quali il fattore umano è assolutamente
74
prevalente.
Proprio in riferimento alle prestazioni di RIABILITAZIONE valgono le
osservazioni che verranno sviluppate dopo la seguente considerazione di
carattere generale: il profilo funzionale di un provvedimento amministrativo
risiede nello scopo di interesse pubblico concretamente perseguito, mentre la
motivazione di un atto amministrativo è un meccanismo attraverso il quale il
destinatario riesce ad avere contezza della determinazione assunta
dall’Amministrazione procedente.
Nella fattispecie, attraverso l’analisi dell’atto impugnato, non si riesce a
prendere contezza delle argomentazioni che hanno ispirato la PA.
Di fatto siamo in presenza di una motivazione tautologica.
La sola circostanza che le tariffe sono quasi immutate da circa 19 anni è
sintomo di palese illogicità.
Al riguardo occorre ricordare che le modalità di determinazione dei costi
tariffari sono tarate sui costi di produzione: il costo del personale direttamente
impiegato, il costo dei materiali consumati, il costo delle apparecchiature
utilizzate; i costi generali, invece, sono costituiti dal costo dei fattori di
produzione attribuiti all’unità produttiva ma non direttamente utilizzati nella
singola prestazione.
In tal senso la norma legislativa dell’art. 1 co. 173 L. 311/2004, non modifica
sensibilmente queste premesse, posto che pone dei vincoli alle ipotesi di
crescita dei costi di produzione – con esclusione di quelli per il personale cui
si applica la specifica normativa di settore – ma tali vincoli fissa in una
percentuale del 2% annuo rispetto ai dati revisionali indicati nel bilancio
dell’anno precedente, a decorrere dall’anno 2005, mentre, per ciò che riguarda
75
il costo del personale, si distacca dal vincolo predetto e si riferisce
direttamente al costo del personale derivante dai contratti.
Occorre precisare che con il D.L. 112/2008, convertito dalla Legge 133/08, il
D.M. 15/04/1994 è stato abrogato con decorrenza 21/08/2008; ciò significa
che, per il passato, il D.M. continua ad avere vigore; non di meno i criteri che
il Decreto Legge pone non sono così differenti rispetto all’art. 3 citato, per cui
tutte le norme indirizzate all’adeguamento del sistema tariffario pongono
delle coordinate al sistema di determinazione delle tariffe che sono di facile
attivazione.
Quanto sopra significa evidentemente che il Ministero – per ciò che concerne
l’aumento di tutti i costi differenti da quello del personale – deve valutare
concretamente gli incrementi intervenuti fino all’anno 2005 e, dall’anno 2005
in poi, limitare al 2% annuo l’incremento anche se lo stesso sia stato superiore
a questa percentuale.
Il costo del personale invece – i cui aumenti sono agevolmente determinabili
in base ai CCNL – interviene a modificare il costo di produzione e, quindi, la
tariffa, senza il vincolo del 2% di cui al precedente capoverso.
Se il Ministero avesse rispettato queste logiche premesse, avrebbe potuto
agevolmente rilevare che dall’anno 1994 – per ciò che concerne gli
incrementi del costo del personale – sono intervenuti ben sei contratti di
lavoro nazionali che hanno prodotto un incremento del costo del lavoro nel
periodo considerato di circa il 50%; in più, un ulteriore aumento di costo si è
verificato per effetto della riqualificazione obbligatoria riguardante il
personale ausiliario socio – sanitario che, ai sensi del CCNL valevole per il
periodo 1.1.1994 – 31.12.1997, era tenuto a conseguire il titolo di Operatore
76
Tecnico addetto all’Assistenza (OTA) ottenendo il passaggio dal 3° al 4°
livello contrattuale.
Ancora, con specifico riferimento al settore della riabilitazione, le linee guida
nazionali sulla riabilitazione (in G.U. n. 124 del 30.5.1998) hanno stabilito
notevoli aumenti di personale nelle strutture riabilitative per migliorare
l’offerta assistenziale.
Per quanto concerne i costi differenti da quelli del personale sarebbe stato
sufficiente verificare che, almeno fino all’anno 2005, l’aumento dei costi
delle materie prime è stato superiore al 18%.
Nulla di tutto quanto detto fin qui è stato recepito nell’impugnato decreto
attraverso il quale, invece, per alcune voci di spesa, sono stati previsti tagli in
luogo di incrementi.
È il caso, in riabilitazione, della modifica dei cosiddetti ‘Valori Soglia’ che
rappresentano il limite numerico delle giornate di degenza oltre il quale la
tariffa esposta dovrà essere decurtata nella misura del 40%.
Nel decreto impugnato, rispetto alle precedenti tariffe, tali valori soglia
risultano fortemente ridotti, tranne che nel caso della Categoria Diagnostica
(MDC) n° 1 il cui limite invece risulta invariato (60gg), mentre, per le
prestazioni ospedaliere di Lungodegenza, a fronte di un incremento tariffario
dell’11,68%, la percentuale di decurtazione tariffaria dopo il valore soglia- già
presente nell’ attuale sistema- si incrementa addirittura del 10%.
Lo stesso Decreto stabilisce una riduzione base pari al 20% per le tariffe di
ricovero diurno, rispetto a quelle riferite al ricovero ordinario e, per la prima
volta, anche accanto alla tariffa (già decurtata) del ricovero diurno, l’elenco
dei Valori Soglia e la medesima ulteriore decurtazione del 40% per la tariffa
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da applicare oltre il limite di giorni indicato.
In realtà un’istruttoria procedimentale corretta non potrebbe che prendere le
mosse dai dati di costo concretamente verificabili nel periodo dal 95 ad oggi)
tenendo conto:
1. dell’incremento di spesa derivante dall’aumento del costo del lavoro (per
incrementi contrattuali ovvero per incremento del numero degli addetti e/o
loro riqualificazione);
2. dell’incremento di spesa derivante dall’aumento del costo della vita
(inflazione);
Ebbene, in considerazione dell’aumento dei costi e delle relative incidenze
rispetto alla struttura globale dei costi di produzione, il potere di acquisto
espresso dal prezzo fissato si deprime nella misura del 44,19%.
Dunque, al fine di restituire l’originario potere d’acquisto alle tariffe delle
prestazioni di riabilitazione ospedaliera, è necessario incrementare l’attuale
tariffa prevista di una percentuale pari al 50,17% secondo lo schema
dettagliatamente riportato a p. 14 nella perizia allegata.
In ordine, invece, al calcolo relativo alla rivalutazione della tariffa relativa
alle prestazioni di lungodegenza, con la successione di ben sei CCNL, oltre
all’incremento del numero globale del personale almeno nella misura del
6,5%, il potere di acquisto espresso dal prezzo fissato si deprime nella
misura del 47,56%.
Dunque, al fine di restituire l’originario potere d’acquisto alle tariffe delle
prestazioni di lungodegenza ospedaliera, è necessario incrementare l’attuale
tariffa prevista di una percentuale pari al 47,56%. Alla fine, dunque, se il
Ministero avesse adeguatamente valutato l’incremento dei costi di produzione
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dell’assistenza riabilitativa - e tra questi massime l’incremento del costo del
personale – non avrebbe potuto fare a meno di aggiornare in aumento la
tariffa per le prestazioni riabilitative, che, viceversa, ha mantenuto
inspiegabilmente immutata rispetto all’anno 1994.
Ma, in disparte l’evidente illogicità e illegittimità del risultato finale, nel
procedimento che ha condotto alla determinazione delle tariffe in materia
riabilitativa, si rileva, all’immediato, una totale carenza di istruttoria
procedimentale.
Anzi, nello stesso decreto impugnato manca ogni riferimento alla presenza di
un organo consultivo che abbia esaminato le problematiche in questione e ai
risultati eventuali cui tale organo consultivo fosse pervenuto, quasi che le
tariffe approvate dal Ministro per la Salute non fossero il risultato di
un’attività istruttoria precedente alla determinazione autoritativa, ma invece la
germinazione spontanea del tutto scollegata alla realtà fattuale.
* * *
ISTANZA DI SOSPENSIVA
Premesso
- che dall’esposizione delle premesse risulta con tutta evidenza l’illegittimità
dei provvedimenti impugnati, onde si profila senza tema di smentita il fumus
boni iuris;
- che con riguardo al periculum in mora, si evidenzia come il Decreto
Ministeriale in questione effettui un’operazione che opera un’insostenibile
compressione degli interessi delle strutture private, che rischiano di non
sopravvivere alla manovra posta in essere, la quale, inoltre, potrebbe
cagionare una dequalificazione delle prestazioni rese, a discapito dei cittadini;
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- che il mancato contemperamento e comparazione tra costi di produzione e
determinazione delle tariffe, comporterebbe un ingente abbattimento del
fatturato delle strutture, pari, nominalmente, ad oltre un 30%;
- che l’equiparazione acritica delle tariffe che si pretende di applicare tra le
varie Regioni (solo quattro, e quelle con le tariffe più basse), non scaturisce
da alcuna reale ed analitica metodologia comparativa, che tenga conto delle
profonde differenze intercorrenti tra tali Regioni;
- che alcune Regioni, in particolare, sino alla stesura del presente ricorso, la
Calabria e l’Abruzzo, hanno già recepito il tariffario ministeriale, con
applicazione già dal mese di marzo, e pertanto, nel caso di attesa della
decisione del merito, le strutture ubicate in tali Regioni stanno già subendo gli
effetti di un provvedimento gravemente illegittimo e lesivo, per i motivi
dispiegati nel ricorso che precede;
- che inoltre le strutture, in assenza di sospensiva, dovrebbero applicare le
nuove tariffe sino alla decisione di merito e, ove si giungesse ad una decisione
favorevole nel merito, l’importo delle tariffe che le strutture hanno perso non
verrebbe, ovviamente, richiesto ai cittadini, ma verrebbe richiesto al Ministero
sotto forma di apposita azione di risarcimento dei danni, con evidente
aggravio di spese per lo Stato e sovraccarico delle cause pendenti presso i
Tribunali;
- che quanto sopra delineato costituisce una ragione di opportunità, in quanto
la sospensiva, ove disposta, non comporta, allo stato, alcun onere aggiuntivo
per la spesa sanitaria, atteso che le strutture sono comunque vincolate nella
produzione dai budget loro assegnati, validi a prescindere dal costo tariffario
delle prestazioni;
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- che inoltre, come già evidenziato nel ricorso che precede, il tariffario così
pubblicato potrebbe subire delle anche sostanziali modifiche a seguito delle
decisioni della Commissione istituita ai sensi dell’art. 15, comma 17 bis del
D.L. 95/2012, come convertito in Legge n. 135/2012;
- che tale Commissione, ai sensi di legge, avrebbe dovuto essere insediata
prima dell’emanazione dell’aggiornamento tariffario, mentre invece, per
volontà ministeriale, è stata nominata solo nei primi giorni del mese di
febbraio (ciò integrando un vizio di legittimità già evidenziato nel ricorso che
precede);
- che quindi appare evidente che la sospensiva del Decreto Ministeriale si
riveli estremamente opportuna, ai fini del riesame del provvedimento alla luce
delle risultanze della Commissione;
- che l'esposizione, che precede, dei motivi di diritto attesta la fragilità del
provvedimento impugnato laddove soprattutto "i dati di costo disponibili ....
dei tariffari regionali", assunti dalla legge come canone di riferimento, non
sono stati seguiti da criteri dettagliati, capaci di assicurare la necessaria
connessione logica e motivazionale tra accertamento dei costi e la misura
delle tariffe: esigenza questa che, come pure già ricordato, è stata ribadita di
recente dal Consiglio di Stato;
- che sul piano del danno nei presupposti di legge, i motivi della relativa e
reclamata sospensione dell'efficacia si rinvengono non tanto nella
conseguente inapplicabilità delle tariffe per le singole prestazioni quanto
nell'obiettivo di evitare che le tariffe stesse costituiscano la base per
l'aggiornamento previsto dal comma 17 bis introdotto dall'art. 2 bis L. n.
189/2012;
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- che la ragione dell’istanza cautelare rileva anche sotto un profilo temporale e
cioè: le tariffe approvate con il decreto de quo sono destinate a valere fino al
31.12.2014 nel corso del quale periodo, dunque, sono finalizzate ad assicurare
la base di cui testé si diceva, con tutte le comprensibili conseguenze degli
effetti deformanti che sono all'origine della loro determinazione;
- che il fondamento dell’istanza in questione sta proprio negli effetti che
inevitabilmente si verificherebbero nel predetto e circoscritto arco temporale
determinando pagamenti non congrui ed inadeguati rispetto ai costi delle
corrispondenti prestazioni sanitarie rese ma soprattutto compromettendo il
percorso del programmato aggiornamento: operazione che altrettanto
inevitabilmente verrebbe a svolgersi con riguardo alle risultanze tariffarie, qui
contestate e considerate "massime" dalla legge, che -- giova ribadire -- sono
state concepite senza supporto di riscontro del naturale corollario, secondo cui
ad una prestazione resa deve corrispondere la tariffa adeguata stante che,
come ancora evidenziato dal Consiglio di Stato nella recente sent. n.
74012013, la P. A. non "può acquistare prestazioni ad una cifra che non
copre le spese e non consente utili all'impresa erogatrice".
Tutto ciò premesso, si
P.Q.M.
voglia codesto Ecc.mo T.A.R. del Lazio disporre la sospensione dell’efficacia
dei provvedimenti impugnati, sussistendone tutti i presupposti.
*
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, tutte le strutture indicate in
epigrafe, come sopra rappresentate e difese, ed elettivamente domiciliate,
rassegnano le seguenti
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CONCLUSIONI
Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Amministrativo adito, ogni contraria istanza
disattesa e reietta, previa sospensiva, annullare i provvedimenti impugnati,
come indicati in epigrafe, per tutti i motivi dedotti nelle premesse.
I ricorrenti chiedono di essere sentiti in Camera di Consiglio.
Comunque con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.
Il valore della causa è indeterminabile.
Salvis Iuribus
Roma, 26 marzo 2013
Prof. Avv. Vito BELLINI
Avv. Enzo PAOLINI
Avv. Bruno RICCIARDELLI
Avv. Giustino CIAMPOLI