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DI REPUBBLICA DOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 NUMERO 548 Mondovisioni. Metti una Brooklin nel Maine La copertina. Ecofantasy, come cambia il clima letterario Straparlando. Mary de Rachewiltz, Ezra Pound mio padre ROMA S ALENDO DELLE SCALE STRETTE, avvitate a chiocciola co- me quelle che in una torre porterebbero a un campani- le, e attraversando visioni di armi del delitto e gabbie di ferro, si giunge alla porta di un ufficio e di seguito a quella di un piccolo magazzino in cui avanzando si scan- sano: una cassa di fucili, un dipinto contraffatto di Guttuso, un fal- done sulla cui costa è scritto “Passannante”, due rilevatori di umi- dità, un recipiente di latta per la colazione dei detenuti, un regi- stro degli impiegati di un bagno penale di fine Ottocento, e infine, poggiate sul pavimento, due scatole di cartone che portano l’inte- stazione, “Reperti P. P. Pasolini”. Siamo in uno dei magazzini del Museo criminologico di Roma, museo che espone prove ed elementi di casi giudiziari dal medioe- vo all’epoca moderna. E sono passati ormai quarant’anni dalla not- te fra l’1 e il 2 novembre del 1975 in cui Pier Paolo Pasolini fu ucciso sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE VALERIO MILLEFOGLIE Cult U MILI RESTI CREATURALI, RELITTI di una vita troncata all’improvviso: questo ci restituiscono le due scatole di cartone con gli oggetti appartenuti a Pasolini e tro- vati sul luogo del delitto. Compresse per il mal di te- sta, una confezione di preservativi, la raccolta punti di un benzinaio; due pettinini per ravviarsi i capelli in fretta, gli oc- chiali. L’ingenua vanteria (o forse la snobistica noncuranza) di te- nersi in macchina la statuetta di un premio minore; due libri appe- na usciti, un Nietzsche di Adelphi e l’antologia del Politecnico vitto- riniano curata da Forti e Pautasso, ri-editata da Rizzoli nel 1975. Una morte evidentemente di sorpresa, tutt’altro che “programma- ta” come qualcuno negli anni ha voluto sostenere. In entrambi i li- bri si parla di scuola, in un modo che non poteva non interessare Pa- solini (a giugno aveva smesso di pubblicare a puntate sul Mondo il trattatello pedagogico Gennariello, ma il piano dell’opera prevede- va altri capitoli e ci sarebbe senz’altro tornato sopra). >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE WALTER SITI Reperti P.P.P. I luoghi. Ágnes Heller, cosa mi ricorda la stazione di Budapest L’officina. La bella fatica di scrivere un libro con Grazia (Cherchi) Next. Meduse in brodo e salsa di termiti, ho assaggiato ciò che mangerete L’incontro. Sebastião Salgado: “Credo solo in Darwin” I suoi occhiali, un pettine sdentato la cartina dell’Italia, dieci Saridon, tre preservativi e il libro (Nietzsche) che non poté finire di sottolineare A quarant’anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini saranno esposti per la prima volta gli oggetti ritrovati quella notte sulla sua Alfa Romeo Gt GLI OCCHIALI DI PIER PAOLO PASOLINI © FOTO ALESSANDRO SERRANÒ Repubblica Nazionale 2015-09-13

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DIREPUBBLICADOMENICA 13 SETTEMBRE 2015NUMERO548

Mondovisioni.MettiunaBrooklinnelMaine

Lacopertina.Ecofantasy,comecambiailclimaletterarioStraparlando.MarydeRachewiltz,EzraPoundmiopadre

ROMA

SALENDO DELLE SCALE STRETTE, avvitate a chiocciola co-me quelle che in una torre porterebbero a un campani-le, e attraversando visioni di armi del delitto e gabbiedi ferro, si giunge alla porta di un ufficio e di seguito aquelladiun piccolomagazzinoin cuiavanzando siscan-

sano: una cassa di fucili, un dipinto contraffatto di Guttuso, un fal-done sulla cui costa è scritto “Passannante”, due rilevatori di umi-dità, un recipiente di latta per la colazione dei detenuti, un regi-stro degli impiegati di un bagno penale di fine Ottocento, e infine,poggiate sul pavimento, due scatole di cartone che portano l’inte-stazione, “Reperti P. P. Pasolini”.

Siamo in uno dei magazzini del Museo criminologico di Roma,museo che espone prove ed elementi di casi giudiziari dal medioe-voall’epoca moderna.E sonopassati ormai quarant’annidalla not-tefra l’1eil 2novembredel1975 incuiPier Paolo Pasolini fuuccisosulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

VA LER I O M I L L E FOGL I E

Cult

UMILI RESTI CREATURALI, RELITTI di una vita troncataall’improvviso: questo ci restituiscono le due scatoledi cartone con gli oggetti appartenuti a Pasolini e tro-vati sul luogo del delitto. Compresse per il mal di te-sta, una confezione di preservativi, la raccolta punti

di un benzinaio; due pettinini per ravviarsi i capelli in fretta, gli oc-chiali. L’ingenua vanteria (o forse la snobistica noncuranza) di te-nersi in macchina la statuetta di un premio minore; due libri appe-nausciti,unNietzschediAdelphi e l’antologiadelPolitecnicovitto-riniano curata da Forti e Pautasso, ri-editata da Rizzoli nel 1975.Unamorte evidentementedisorpresa,tutt’altroche“programma-ta” come qualcuno negli anni ha voluto sostenere. In entrambi i li-brisiparla discuola, inun modochenonpotevanoninteressarePa-solini (a giugno aveva smesso di pubblicare a puntate sulMondo iltrattatellopedagogicoGennariello,mailpianodell’operaprevede-va altri capitoli e ci sarebbe senz’altro tornato sopra).

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

WALTER S I T I

RepertiP.P.P.

I luoghi.ÁgnesHeller,cosamiricordalastazionediBudapestL’officina.LabellafaticadiscrivereunlibroconGrazia(Cherchi)Next.Meduseinbrodoesalsadi termiti,hoassaggiatociòchemangereteL’incontro.SebastiãoSalgado:“CredosoloinDarwin”

Isuoiocchiali,unpettinesdentatolacartinadell’Italia,dieciSaridon, trepreservativi

eil libro(Nietzsche)chenonpotéfiniredisottolineareAquarant’annidall’omicidiodiPierPaoloPasolini

sarannoespostiper laprimavoltaglioggetti ritrovatiquellanottesullasuaAlfaRomeoGt

GLIOCCHIALIDIPIERPAOLOPASOLINI©FOTOALESSANDROSERRANÒ

Repubblica Nazionale 2015-09-13

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 34LADOMENICA

InviaggioconPasolini

Lacopertina.RepertiP.P.P.

INSIEME AL CORPO RIMASERO A TERRA I SUOI VESTITI. Poco più in là, nell’Alfa Ro-meo GT 2000, gli effetti personali. Oggi è tutto in questi due scatoloni sigilla-ti dal nastro adesivo. Inviati al museo nel 1985 dal Tribunale dei minorennidiRoma, prelevatinel2010 daicarabinieridel Rispernuoviaccertamenti, so-no infine tornati qui nel gennaio 2015, data della richiesta di archiviazionedelcaso. I reperti (finora parzialmente visibili in un vecchio servizio delTg3enel librodiMarco TullioGiordana,Undelitto italiano)sarannoprobabilmen-te esposti a novembre, per la prima volta al pubblico, proprio in questo mu-seo. È il racconto degli ultimi giorni di vita di un uomo attraverso le sue carte.

In una busta di plastica trasparente troviamo Sull’avvenire delle nostrescuole, di Friedrich Nietzsche, Adelphi, 1975. Il volume presenta delle orec-chie alle pagine 13, 27, 29, 31, 33, 35, 37. Presumiamo che l’ultima pagina

lettasia la37, capitolo“Secondaconferenza”. Sulbordo èincisaunasottolineaturacon l’un-ghia, profonda, ripassata più volte, una sottolineatura invisibile, tattile, braille. Il passag-gio appuntato è il seguente: “L’individuo più giovane, che accompagnava il filosofo, avevapoco prima dovuto scusarsi, in modo lealmente confidenziale, di fronte al suo importantemaestro, spiegando i motivi per cui, preso dallo scoraggiamento, aveva abbandonato lasua precedente posizione di insegnante, e trascorreva sconsolato i suoi giorni in una solitu-dine scelta spontaneamente”. Ogni pagina riportante un’orecchia ha anche delle sottoli-neature, come a pag. 27: “Lo sfruttamento quasi sistematico di questi anni a opera delloStato,chevuoleallevarsi quantopossibileutili impiegati,eassicurarsi dellaloro incondizio-nataarrendevolezza”. Sono indizi.Ogni sottolineaturaè un’identificarsi. Il lettorePasolini,già insegnante Pasolini dalla fine degli anni Quaranta in Friuli e all’inizio degli anni Cin-quanta a Ciampino, aveva pubblicato sulCorrieredella Seradel 18 ottobre 1975 un artico-lo in cui lanciava “due modeste proposte per eliminare la criminalità”. Titolo: “Aboliamo latv e la scuola dell’obbligo”.

Nella medesima busta troviamo una copia de Il Politecnico, numero 36, settembre1946, rivista di cultura contemporanea diretta da Elio Vittorini. Riscontriamo un’orecchiaa pag. 376, all’articolo di Concetto Marchesi, “Nella scuola la nostra salvezza”, e un’altra apag. 140, “Viaggio fra gli esiliati di Roma”, di Giorgio Caproni. Assenti sottolineature, pro-viamo a immaginarle noi: “Roma è anche questo: un assassinio civile di migliaia di uomini,didonnee dibambini, nellebaracche delle borgate,dove lavitasispingetra glispurghie ladisperazione”; si descrivono gli operai che perso il lavoro “cominciarono per tirare avanti avendere pezzo per pezzo le loro poche suppellettili, finché non avendo più nulla da vende-re,perchéavevano vendutoperfinoil lettoei pagliericci, scoprironoche sipotevanovende-re i mattoni, e nacque appunto la fame di mattoni: e i mattoni furono tolti ovunque tornas-se comodo toglierli, per tramutarli in un pezzo di pane da dare ai figliuoli”.

Proseguiamo nell’apertura delle buste sigillate e troviamo una cartina autostradale Es-so datata 1968. Nove anni prima un’altra cartina aveva accompagnato Pasolini ne La lun-gastradadisabbia, reportagepubblicatoin trepuntatesulla rivistaSuccessoperracconta-re l’estate italiana. Il testo è oggi edito da Contrasto e leggendo alcuni passaggi ci sembrache la macchina non sia l’ultimo luogo da lui vissuto ma quello in cui più volte è rinato: “Ilcuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia Millecento e tutto il Suddavanti a me. L’avventura comincia”. Più avanti, scrive: “Freno leggermente, e sento sottoil mio piede come uno scoppio: s’è spezzato il freno: provo quello che provano coloro un atti-mo prima di morire, in simili casi. Ma per mia fortuna, lì la strada è abbastanza dritta e nontroppo indiscesa: riesco a inventare ilmodo per frenare. Sonofermo. Solo in mezzo alla not-te, sotto la luna che ormai tramonta dietro le boscaglie di mandorli e carrubi”.

Continuiamo a leggere, questa volta le etichette degli indumenti sperando possano direqualcosa oltre al nome delle marche: jeans Lois, made in Spain, camicia Missoni, stivalettiRossetti Moda e la dicitura all’interno di una stanghetta dei suoi famosi occhiali che, comeuna lapide da indossare, recita l’acronimo Rip. Un volumetto ben conservato dell’assicura-

<SEGUE DALLA COPERTINAVA LER I O M I L L E FOGL I E

Perquarant’anniglioggetti ritrovatisullasuaauto

lanotteincuivenneuccisosonostaticonservati

induescatoloniadisposizionedegli inquirenti

Alorononhannoraccontatogranché.Anoisì

GLIASSEGNI

CASSADIRISPARMIODIROMA,AGENZIAN. 15,IL LIBRETTODEGLIASSEGNIRITROVATOSULL’ALFAGT

ILSARIDON

UNACONFEZIONEDIPILLOLECONTRO ILMALDI TESTAE,SOPRA, IL FOGLIOCOMPLEMENTAREDELL’ACI

LACARTINA

ÈDELL’ITALIACENTRALELAMAPPASTRADALEDELLAESSO

ILLIBRO

“SULL’AVVENIREDELLENOSTRE

SCUOLE”,ÈDINIETZSCHE

(EDIZIONEADELPHIDEL1975)

L’ULTIMOLIBROSOTTOLINEATODAPASOLINI

IPROFILATTICI

CONFEZIONEDATRE,MARCA“777”

ILPREMIO

REPERTO9.19,LASTATUETTADELPREMIO“CITTÀDINETTUNO”

FOTOALESSANDROSERRANÒ

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 35

©RIPRODUZIONERISERVATA

zione, “Guida sicura”. Una raccolta bollini Mobil, “ogni 60 punti un premio tra quelli messiadisposizione dallastazione”,bollini raccoltisino a quellasera: tre. Una confezioneda diecidi compresse Saridon, “indicato contro i dolori di capo e di denti, nevralgie”, mancano duecompresse. Una confezione da tre di profilattici 777, scaduti l’11giugno 1979. La statuettadel premio “Città di Nettuno”. Un telegramma del 29 agosto 1975 del presidente dell’Ani-ca Carmine Cianfarani, “Pregola voler esprimere ai registi Damiani Fellini et Pasolini non-ché società produttrici mio vivo rincrescimento per sottrazione materiale lavorazione lorofilm costituente grave danno at cinematografia italiana”. A questo colleghiamo un estrat-to dall’ordinanza di archiviazione del Gip di Roma del 25 maggio 2015, “Nel corso dell’attodi indagineil Citti riferivadi aver appreso da unpescatore ormai deceduto che quellanottead Ostia c’erano quattro o cinque persone. Aggiungeva di aver appreso direttamente dalpoeta che quella sera aveva appuntamento con una persona che doveva consegnargli delmateriale.Tale ultima affermazionerimandavaallatesisecondocui l’omicidiopotevaesse-relegato aun’estorsione conseguenteal trafugamentodelle pizzedel filmSalòo le120gior-natediSodoma”. Il decretoconclude,“Tutte le indagini cheappaiono allostato ragionevol-mente possibili sono state svolte e non hanno avuto un esito suscettibile di proficuo svilup-po procedimentale, tanto sul punto dell’incontrovertibile accertamento circa la presenzadialtri soggetti oltre a Pelosial momentodell’omicidio sia per quanto attiene all’identifica-zionediulteriori soggetti coinvolti: larichiestadiarchiviazione delP.M.deve pertantoesse-re accolta”. Ed è stata accolta.

Sulfondodellasecondascatola, raggomitolatoin unabustadiplastica,c’è ilgolfapparte-nuto a uno dei soggetti ignoti, le maniche sono prive della forza delle braccia sconosciuteche lo indossarono.

Riponiamo indumenti e oggetti, di Pasolini e non. Chiudiamo le scatole, la porta del ma-gazzino. Rimarranno qui anche stanotte, finché neanche morte li separi.

Relitti

senza

unfinale

©RIPRODUZIONERISERVATA

LARIVISTA

L’ANTOLOGIADE“ILPOLITECNICO”CURATADAMARCOFORTI ESERGIOPAUTASSOERIEDITATADARIZZOLINEL1975

IRITAGLI

CRONACADIROMA,NOTIZIEDALL’INTERNOEDALL’ESTERO,FUMETTIEGIOCHI: ALCUNIRITAGLIDAUNQUOTIDIANODEL3SETTEMBRE1975

TRA I BRANI SCELTIdel“Politecnico”, oltreall’asciutto pezzo diCaproni sulle borgate cheavrà letto (o riletto) con

nostalgia, uno di Concetto Marchesiauspicava una scuola non specializzata,capace di “allargare l’orizzonte dellecose finite e sperimentate”: vicinoinsomma all’impostazionesemiologico-antropologica deltrattatello pasoliniano. Quanto allegiovanili conferenze nicciane (undialogo socratico che si svolge in unbosco), Pasolini sarà stato colpito dallapolemica contro i giornali che spingonoa una cultura funzionale al sistemaeconomico e mirano a uomini“correnti”, nel senso in cui si dice“moneta corrente”; Nietzsche se lapiglia col “nesso tra intelligenza epossesso” e con l’omologazione cherende “malvista ogni cultura solitaria”— ma esalta nell’apprendimentol’obbedienza e la disciplina, comePasolini in quel periodo.

In quell’auto a Ostia c’era un cervelloche lavorava a pieno ritmo e pensava alfuturo.

Poi ci sono i rimandi al delitto: iltelegramma che allude al furto dellepizze di “Salò”, pizze che furono forsel’esca per attirarlo nella trappola. Ilmaglioncino di uno sconosciuto, unanello che Pelosi disse suo ma fusmentito. Ci sono i suoi jeans, lacanottiera e la camicia, pronti atrasformarsi nell’icona del poetaassassinato se non quasi in una sindoneomosessuale. La forza simbolica efuorviante di quei segni ci ha distratto alungo dalla cattiva conduzione delprocesso: indagini che ora non è piùpossibile fare sarebbero state possibiliquarant’anni fa. Già allora il sospettoche Pelosi non fosse solo apparve piùche fondato; testimonianze, baraccatiche avevano visto e udito. Ora è tardi, iRis non hanno trovato prove decisive;ma gli indizi restano molti, troppi —ritrattazioni, morti sospette (comel’incidente stradale che uccise nel 2010il testimone Olimpio Mazzocchi, mentrePelosi era alla guida), nuove risultanzesu Cefis e Mattei. Che Pasolini sia mortoperché alcuni magnaccia volevano“dargli una lezione”, o che avesse saputoqualcosa di compromettente, o chemagari solo avesse rivolto domandeimprudenti alle persone sbagliate, certola versione vulgata all’epoca (il giovanemarchettaro che si ribella a pratichesessuali non previste) non regge più.

Cosa sia accaduto a Ostia quella nottenon lo sapremo mai. Come finisce unavita dà sempre indicazioni sul senso diquella vita; l’archiviazione segna unadoppia sconfitta, della magistratura edella conoscenza. Ma viviamo immersiin un tempo disinteressato ai finali.

<SEGUE DALLA COPERTINAWALTER S I T I

DOMANI

INREPTVNEWS(ORE19.45,CANALE50DELDIGITALEE139DISKY)LOSCRITTOREVALERIOMILLEFOGLIECOMMENTAIREPERTI TROVATISULL’AUTODIPASOLINIQUARANTAANNIFA

ILTELEGRAMMA

ILPRESIDENTEDELL’ANICASIRAMMARICAPER ILFURTODELLEPIZZEDI “SALÒ”

ILPETTINE

MANCANOGLIULTIMIDENTINIAUNODEIDUEPETTINIRITROVATISULL’AUTODIPASOLINI

IBOLLINI

LARACCOLTAPUNTIDELLAESSO.PASOLINI AVEVA

SOLOTREBOLLINI

LOSCATOLONE

UNADELLEDUESCATOLEINCUISONOCONSERVATIIREPERTI.ACCANTO,TREFOTOTESSERA

ILTESSERINO

L’ISCRIZIONEALL’ALBODEIGIORNALISTI(DAL5OTTOBRE1954)

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 36LADOMENICA

Budapest

BUDAPEST

IPROFUGHI CONTINUANO AD ARRIVARE in Unghe-ria. Fuggono dalla distruzione, dalla fame, dal-la morte. La maggior parte di loro sono vittimedella guerra civile siriana, minacciati dall’Is,l’arcinemico dell’intero mondo civilizzato.Hanno viaggiato, spesso a piedi, per migliaia emigliaia di chilometri per arrivare ai nostriconfini. Sono stanchi, affamati, assetati. Arri-vanonell’Unione europeadalconfine unghere-se. Sono i benvenuti?

La maggioranza della gente, in ogni partedel mondo, tratta gli “stranieri”, le persone

che parlano un’altra lingua, venerano Dio in un altro modo,praticanousanzedifferenti,consospetto. Maodianogli stra-nieri, li rifiutano, cercano di liberarsi in fretta di loro solo sevengono incitati a farlo dai leader e dai governi, solo se ven-gono nutriti di pregiudizi, di ideologie pericolose. L’ho speri-mentato personalmente quand’ero bambina: a quei tempil’antisemitismo e il nazionalismo erano le principali armiideologiche che usava il governo ungherese per garantirsi ilconsenso a favore di una guerra micidiale e ingiusta.

Nelle ultime settimane lo spettro di questo passato conti-nua a ossessionarmi.

Il governo ungherese ha dato il via a una campagna diodio contro gli stranieri ancora prima che i profughi sirianiarrivasseroda noi. Inquel momentoarrivavano piccoli grup-pi di migranti dal Kosovo, ma ben presto hanno smesso. Giàallorailprimo ministro unghereseci mettevainguardiacon-trodi loro,attaccando manifestiper strada,spedendo volan-tinialle famiglie incui si chiedevacon tonidrammatici se vo-levamo che il governo spendesse soldi per gli stranieri o per ibambini ungheresi. In altre parole ha cominciato ad attizza-re l’odio contro lo straniero, accusato di togliere il pane dibocca al popolo ungherese.

La legge proibisce l’incitamento all’odio, ma evidente-mente il governo è immune dalla legge.

Quando i siriani e altri profughi hanno cominciato ad arri-vare sempre più numerosi, l’arsenale della propaganda è di-ventatoancorapiùviolento. Iprofughi eranosospettatidies-

sere potenziali terroristi, o di non essere proprio profughi,ma gente che voleva fare la bella vita a spese degli altri. Il ca-pogruppo di Fidesz (il partito al potere) in parlamento ha di-chiarato che non vuole che l’Unione europea diventi il Calif-fato europeo. Sono anche state messe in giro voci sul fattoche i profughi infetterebbero la popolazione ungherese conmalattiesconosciute(eiomi ricordodiquandogliebreiveni-vano accusati di avvelenare i pozzi).

Fra le migliaia e migliaia di spettatori che hanno visto intelevisionemigliaiadi profughicon i bambinipiccolichedor-mivano per strada di fronte alla stazione di Keleti, non pote-va essercene qualcuno che sentiva simpatia per loro? Il go-verno ha deciso di no, ha stabilito che nondevono essercene:le reti televisive pubbliche hanno istruzione di non mostra-re i bambini profughi.

Tutto quello che sta accadendo in Ungheria è una direttaconseguenza dell’incitamento all’odio. Il partito al potere èin competizione con l’altro partito di estrema destra, lo Job-bik, attualmente all’opposizione. Il bersaglio di questa com-petizione sono i “migranti”: è una gara a chi li odia di più, achi li rifiuta di più, a chi se ne sbarazza meglio. Tutti e due ipartiti solleticano gli istinti peggiori degli ungheresi, un po-polo sfortunato con una storia sfortunata, abituato a ubbidi-re agli ordini e rimasto ignorante in materie di diritti, di leg-gi,di libertà. In uno Stato-nazione, ilnazionalismoestremo èl’ideologia più utile per conquistare consenso. Entrambi ipartiti usano questo strumento come un’arma. Per il partito

al governo è solo un po’ più difficile, visto che l’Ungheria, infin dei conti, fa parte dell’Unione europea e riceve soldidall’Unione europea, e questo gli impedisce di esprimereapertamente il suo disprezzo per Bruxelles, come fa inveceJobbik.Viktor Orbán, ilpremier ungherese,ècostrettoa mo-strare un volto per l’Europa e un altro per gli elettori. Qui, acasa, accusa i leader dell’opposizione democratica di essere«amici dei migranti». E questa strategia di nuovo mi fa tor-nare in mente la mia infanzia: ricordo che quando il Partitosocialdemocratico votò «no» alle leggi antiebraiche venneaccusato di essere al soldo degli ebrei.

Il governo ungherese ha speso miliardi di fiorini per co-struirerecinzioni lungoilconfineconla Serbiaearrestareco-sì il flusso dei migranti. Ovviamente, come gli esperti aveva-nopreannunciato,questerecinzioninon hannofermato pro-prio nulla. Ma questo non importa: la recinzione è servita co-me arma ideologica per il Fidesz nella sua competizione conlo Jobbik per assicurarsi il consenso della popolazione xeno-foba. E questa acrobazia ideologica prosegue: adesso voglio-no far approvare dal parlamento una legge che impone diperseguire penalmente tutti coloro che taglieranno la recin-zione,etutti i cittadini cheospiteranno deimigrantinella lo-ro abitazione. Queste leggi (e qualcun’altra in preparazio-ne) non sono solo leggi contro gli immigrati: sono leggi chelimiteranno ulteriormente i diritti dei cittadini ungheresi.

Usando tutte le risorse e le energie per una xenofobia isti-tuzionalizzata, il governo ungherese in realtà non ha fattonulla per gestire la crisi. Chiunque entri nell’Unione euro-pea dev’essere registrato. Questo è giusto. È necessario sa-pere chi arriva nel nostro territorio. Ma mentre venivanoerette barriere inutili e manifesti giganti ci ammonivano anon condividere la nostra vita con gli stranieri, che in ognicaso usano l’Ungheria solo come stazione di transito, nessu-namisura venivaintrapresaperaccoglierlie inviarlidove vo-levano andare. Ci sono pochi alloggi, disorganizzati e inade-guati al numero. La registrazione è troppo lenta. Non vengo-no organizzati servizi di trasporto. Non ci sono interpreti: imigranti vengono bersagliati da testi in ungherese che noncapiscono. Non hanno idea di che cosa li aspetta. Se ricevonoaiuto, èsolo grazie a volontariche distribuisconoda mangia-

re e da bere. Queste persone stanno riscattando, per quantopossono, la reputazione degli ungheresi.

Caos. A volte i profughi riescono a comprare dei bigliettiferroviari per la Germania facendo ore di fila, ma dopo che lihanno comprati viene proibito loro di salire sui treni. Il piùdelle volte la stazione ferroviaria viene chiusa ai migranti,cherestanolì, inattesa.Ma succedeanche checoncedano lo-rodisaliresuuntreno,come ieri.Salgonoabordoconbigliet-ti validi per Monaco di Baviera. Poi il treno viene fermato an-cora in Ungheria e ai migranti (passeggeri come gli altri!)viene ordinato di scendere. Il governo accusa i migranti diquesto caos.

L’odio continua a diffondersi. E nessuno dovrebbe gioca-re con lo strumento dell’odio. È pericoloso. Lo sappiamo peresperienza diretta.

Èvero chel’Isavrebbegià potutoesseredistrutto,se le na-zioni civilizzate fossero pronte al sacrificio. Non lo sono. Lebombe non distruggeranno l’Is. E i rifugiati continuerannoquindi ad arrivare. L’Europa, il continente responsabile didue guerre mondiali, di distruzioni di massa, di tutte le cata-strofi del Ventesimo secolo, il continente che si porta dietromeritatamentelasua cattivacoscienza,devetrovareunmo-do per gestire la situazione. Senza odio, con comprensione,saggezza e solidarietà. L’Ungheria dà il cattivo esempio. Iospero che gli altri non lo seguano.

(TraduzionediFabioGalimberti)

Ultima

ÁGNES HEL LER

“Dabambinaanoiebreiciaccusavanodiavvelenareipozzi.Ci ripensoora, inquestigiornigovernatidall’odio”Il J’accusedella filosofaunghereseÁgnesHeller

L’AUTRICENATAABUDAPESTNEL1929,SCAMPATAALLASHOAH,

ALLIEVADIGYÖRGYLUKÁCS,ÁGNESHELLERÈCONSIDERATA

LAFILOSOFAPIÙ IMPORTANTEDELLACOSIDDETTA

“SCUOLADIBUDAPEST”.SABATO19SETTEMBRE,

NELL’AMBITODIPORDENONELEGGE

INPROGRAMMADAL16AL20,LAHELLERPRESENTERÀ

CON ILCURATORERICCARDOMAZZEO, ILVOLUME“LABELLEZZA (NON)SALVERÀILMONDO”,DIALOGOADUE

VOCICONZYGMUNTBAUMAN(ILMARGINEEDIZIONI).

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INGERMANIADALLASTAZIONEKELETIDIBUDAPEST

Iluoghi.Keletirailwaystation

©RIPRODUZIONERISERVATA

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 37

FOTO©MAURICIOLIMA/THENEWYORKTIMES/CONTRASTO

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 38LADOMENICA

Grazia

ÈSTATAUNAPROTAGONISTAdellaculturaita-liana, ha diretto riviste importanti e sco-perto talenti, ma il suo nome è come som-merso, scivolato in un limbo nascosto do-ve sono finiti tanti suoi simili. Di GraziaCherchi non si parla più, ma sarebbe ipo-crita chiedersi il perché. Se ne potrebbetracciare il profilo per contrari, alla ma-niera dei futuristi. Prendere il circo eque-strecontemporaneo —l’editoriadiplasti-ca, il narcisismo parossistico, l’intellet-tuale imbonitore, gli autori «uguali come

i tortellini fatti in casa» — capovolgere il tutto e forse cominciare acapire che tipo era. «Intelligenza del cuore». «Integrità morale».«L’editing come esercizio degli affetti». «La ricerca di alleanze de-stinate a creare le frontiere del valore». «Il sospetto per il successofacile». Bastano poche parole, a lei dedicate dagli scrittori dell’offi-cina Cherchi, per essere catapultati in un’altra civiltà.

A condurci in questo viaggio, nel ventennale della morte, è unaffettuoso e partecipe racconto della trentenne Michela Monferri-ni che si è messa all’ascolto della Cherchi e della sua strana gente.Un collage di voci e frammenti irregolari che restituiscono la irre-golarità di questa «romantica donna emiliana» estranea al suotempo. Dell’attuale egemonia del marketing aveva cominciato adavvertire le avvisaglie negli anni Ottanta, con la trasformazionedei «funzionari editoriali in procuratori di calcio». Ma eccentrica loera stata anche vent’anni prima, quando neolaureata incontra aMilano Piergiorgio Bellocchio, anche lui di Piacenza, e insiemedecidono di dar vita aiQuaderni Piacentini. Una rivista fatta atavola, durante il pranzo. Prima solo lei e Bellocchio, che vi in-vestì l’eredità paterna (il resto andò a Pugni in tascadel fra-tello Marco). Poi divennero in tre con Goffredo Fofi, che pub-blicò suiQuaderni l’inchiesta sulla Fiat rifiutata da Einaudi.“Essere seri senza essere noiosi”, il motto della rivista chefustigava anche con eccesso di severità “l’imbestiamentocollettivo” minacciato dal progresso neocapitalistico e dal-lanascente industria culturale. Sei anni dopo sarebbearri-vato il Sessantotto che la rivista in parte anticipò. Tutti og-gi la ricordanoper larubrica “Librida leggereelibri da nonleggere”. Nella lista dei libri da non leggere finirono pureMoravia, Eco e Pasolini, tra scandali e zuffe. Ma ben prestogiunsero in redazione le lettere rabbiose di chi si sentivaescluso: non solo dai libri da leggere ma anche da quelli danon leggere. Segno che bisognava smettere.

Lo spirito del gruppo in una didascalia (corretta). Una fo-to di una stagione successiva la ritrae vezzosa, la testa incli-nata sulla spalla di Fofi, Bellocchio sorridente accanto.«Complicità e amore», annota Lalla Romano, sua grandeamica. «Complicità e tenerezza», corregge lei. Un fatto diprecisione.

L’editing fu l’altra sua grande passione, esercitata con gu-sto e sentimento. Lavorava sul testo per sottrazione e conumiltà, proponendo le sue correzioni a matita. A casa sua so-no passati giovani e meno giovani. Benni, Baricco, Maggiani.E ancora Carlotto, Petrignani, Sereni, Onofri. E poi i giornalistiDeaglioe Lerner, Pivetta eRiotta, EnricoFranceschini. Dei suoiautori curava l’editing non solo del lavoro ma anche della vita.Nesorvegliavail patrimonio lessicalemaancheleprovviste in fri-gorifero. Tifava per la felicità nelle storie d’amore, anche se forsedella sua felicità s’è curata poco. E di scrittori come Volponi si do-mandava: chissà com’era con gli amici. «Il lavoro degli affetti là do-vesi muovel’intelligenzadelmondo»,sintetizzaAlbertoRollo,edi-tor che le fu vicino. Una bella faccia dai lineamenti decisi, in foto-grafia spesso diventa una silhouette scura, un profilo d’ombra.Comparire doveva sembrarle una volgarità. Figuriamoci compari-re oggi. «Attenzione a fingere di essere felici», una delle ultime co-se che ha scritto.

Cherchi

Dai“Quadernipiacentini”al lavorocongliesordienti(control’egemoniadelmarketing)

Ilmestiere

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dell’editor

S IMONETTA F I OR I

L’officina.Daleggere

Repubblica Nazionale 2015-09-13

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LAVORARE CON GRAZIAera un continuo confronto sulibri, film, avvenimenti, persone. Eravamo tutti edue mattinieri e ricordo con particolare nostalgia letelefonate dell’alba, quasi quotidiane, per anni, in

cui ci si “aggiornava” e confrontava su tutto. Poi c’erano iviaggi, tutti e tre insieme sulla macchina di Giorgio(Piergiorgio Bellocchio, ndr), nelle varie città dove c’eranocollaboratori preziosi (di “Quaderni Piacentini”, ndr) chespesso incontravamo a pranzo (con invidia di PerryAnderson, direttore della “New Left Review” che ci invidiavaquesto “fare la rivista” in modo conviviale). Grazia era il puntofermo di tutti questi legami.

Aveva un’attenzione a volte quasi eccessiva. Diciamo cheio, più eclettico e onnivoro, le servivo come segnalatore difilm, autori, persone di cui lei diventava spesso amica econfidente quanto me (ad esempio la Morante), e lei miricompensava regalandomi camicie, trovandomi lavori elavoretti (fu lei a introdurmi a Garzanti quando la Feltrinelli sisbarazzò malamente di molti collaboratori). Era moltoesigente, nei rapporti più intimi, anche troppo. La sua venaera quella del ritratto ironico, del racconto breve consottofondo malinconico; una sorta di Dorothy Parker italiana.

LAVORAMMO INSIEMEa un mio libro, “Ilcoraggio del pettirosso”. Arrivavacon pacchi di fogli pieni di foglietti enote, e puntualmente litigavamo

perché io per principio accettavo cinquecorrezioni ogni dieci proposte, non di più.Eravamo due brutti caratteri messi assieme,ma lei era la mia terza zia, la zia che mimancava, la zia che aveva studiato — vengoda una famiglia di contadini, sono stato ilprimo a laurearmi. Ho esordito tardi, avevoquarantatré anni, non mi lasciavo dire danessuno cosa potevo o non potevo fare,neanche nella scrittura, ma il mio stile è natograzie a lei e al suo lavoro sul mio libro. Io sonoun aggettivatore scatenato: per ognisostantivo mettevo sempre tre aggettivi, e leichiedeva di toglierne due, ma io ne toglievosoltanto uno. È nato così, il mio stile, e forsecon il senno di poi avrei fatto bene adaccettare tutti i suoi consigli, ma in fondo no,in fondo è meglio così, perché così nei mieilibri ci siamo dentro tutti e due.

Lei era bizzosa, ma aveva quell’autorità equell’autorevolezza che oggi non ha piùnessuno, come nessuno ha la sua disciplina, lasua coerenza, i principi, una forza di lavoroinimmaginabile che non la faceva staccaremai, che la faceva pensare solo al dovereanche se veniva pagata una miseria. Gliintellettuali di quella generazione venivanodalla guerra, dall’irreparabile, e avevanosentito il dovere morale di cambiare le cose, dimostrare l’irreparabile come riparabile. Lei aun testo chiedeva questo: non voleva imporreil suo pensiero, ma voleva ritrovarvi applicatala sua idea di coerenza, voleva coerenzatrasformata in scrittura; voleva che il testogiungesse alla migliore e massima rifiniturapossibile, che fosse — come si dice — a “regolad’arte”.

Era una vera intellettuale come non ce nesono più, con una disciplina da miliziapopolare, ma poi leziosa nell’uso di unaparrucca sfolgorante negli ultimi tempi dellamalattia.

GOFFREDO FOF I

Cinquecorrezioni,nondipiù

IN GENERALE CREDO AMASSE le scritture “irregolari”, nonl’accademia, non il seriale. Ma leggeva anche quello chenon amava, perché come critico era severo, siinformava, studiava. Il suo consiglio era sempre quello di

riscrivere, di non fermarsi alle prime stesure. Se da tempo ioritorno anche cinquanta volte su una pagina è perché sento lavoce di Grazia che mi dice: siamo sicuri che non possiamo faremeglio? È qualcosa che più che nei libri resta nel cuore, è laspinta a non arrendersi mai allo scontato. Credo che GoffredoFofi abbia molto della cultura, della passione (e delcaratteraccio) di Grazia. Quanto a me, io lei la ritrovo in tuttele mie donne coraggiose. In Pantera, per esempio, o in Lisa.

C’eraunpuntofermotraPiacenzaeilmondo

CONGOFFREDOFOFIEPIERGIORGIOBELLOCCHIOAMILANO,1988

Avent’annidallascomparsainunlibroapiùvoci il ricordoaffettuosodei“suoi”autori

ILLIBRO

“GRAZIACHERCHI”DIMICHELAMONFERRINI,DACUISONOTRATTIIBRANIDEGLISCRITTORIPUBBLICATIQUIAFIANCO,CONLEFOTOGRAFIEDI VINCENZOCOTTINELLI,È IN LIBRERIAPERALI&NOEDITRICE (126PAGINE,12EURO,ACQUISTABILEANCHESUWWW.ALIENOEDITRICE.NET)

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CREDO MI ABBIA INSEGNATO,più che altro, un certomodo di stare al mondo. Il “come” si scriveva erauna conseguenza. E poi il coraggio, direi. Miricordo che dopo “Castelli di rabbia” le dissi che

volevo fare, come secondo libro, un libro di mare, ma proprioun libro di mare come quelli che si facevano una volta,avventura, naufragi, pirati. Le raccontai la trama. Era un po’imbarazzante, perché ero un quasi esordiente e mi gettavo afare un libro alla Conrad, alla Melville, insomma era comegirare un western dopo che lo avevano fatto tutti i grandiamericani e in più Sergio Leone. C’era qualcosa che potevasembrare stupidamente ambizioso. Ma lei mi disse:fregatene, se è quello il libro che vuoi fare, fallo. E allora io hoscritto “Oceano mare”.

Sicurochenonsai faredimeglio?

ALESSANDRO BAR I CCO

GRAZIACHERCHICONALESSANDROBARICCOANAPOLI, 1994

Epoihoscritto“Oceanomare”

CONSTEFANOBENNIAMILANO,1993

STE FANO BENN I

MAUR I Z I O MAGG I AN I

DISEGNODITULLIOPERICOLI

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GRAZIACHERCHICONMAURIZIOMAGGIANIAMILANO,1995.TUTTELEFOTOCOURTESYVINCENZOCOTTINELLI

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 40LADOMENICA

Hoassaggiato

ON SONO NOSTRADAMUS néunbiotecnologo ali-mentared’avanguardia,ese èvero chelavo-ro con il senso del gusto non posso certo diredi essere un giornalista di moda. Sostanzial-mente io viaggio mangio e scrivo, in ordinesparso e in disordine geografico. Ed è grazieaquestemietre caratteristichechepossodi-re di aver visto — di più: di aver assaggiato— il cibo del futuro.

Come ho fatto a capire cosa mangerannosempre più abitanti della Terra tra trenta oquarant’anni? Invece di entrare in qualchefantascientifico laboratorio di manzo hi-te-ch sono semplicemente andato a caccia dialimenti che già da qualche millennio si tro-vano sulle tavole di alcune popolazioni delpianeta. E poi mi sono fatto qualche piccolocalcolo: se oggi siamo circa sette miliardi,nel 2050 — prevedono i demografi — sare-mo nove. Nove miliardi di bocche da sfama-re. Hamburger e patatine non basterannopiù. O meglio, le patate potranno essere dipiù e sempre più varie perché davvero adat-tabili alle condizioni più impervie di coltiva-zione, ma la carne — su questo tutti gliesperti concordano — dovrà essere ridotta

drasticamente. L’allevamento industriale èautolesionista nei confronti del pianeta: pernutrire bovini, suini e ovini in modo intensi-vo si sfrutta più del 75 per cento della super-ficie agricola mondiale e l’80 per centodell’acquadolce. Assurdo. Allora come muo-versi?

Io mi sono messo in viaggio. Prima tappala geofagia: per esempio il terrigno gelatoall’argilla dello chef peruviano Virgilio Mar-tinez, versione colta e raffinata di una tradi-zione — quella di mangiare la propria terra— antichissima presso alcuni popoli in Cen-trafrica, Africa orientale (in Kenya le donneincinta mangiano calce bianca per assume-

re sali minerali) e in Oceania (l’argilla umi-da“dulong”pressoalcunepopolazioniabori-geneaustraliane). Masenzaandarecosì lon-tano esiste anche il boschivo distillatodi ter-ra della campagna modenese di MassimoBotturao la salmastra “zuppa” di sassi mari-ni di Gennaro Esposito, chef della PenisolaSorrentina.

Secondatappa,dalla terraall’aria: nell’at-tualissimo mondo dell’entomofagia (il nu-trirsi d’insetti) sono piuttosto felice di averassaggiato dall’apicultore urbano MauroVecal’incredibileborsamelariadell’ape, va-le a dire la sacca intestinale trasparente do-ve l’insetto più operoso del mondo deposita

il nettare e lo trasforma in miele a contattocon le secrezioni salivari. Ciascuna ape, inquesto zainetto a membrana, può contene-re fino a due milligrammi di miele che dan-no vita a una spettacolare bomba di dolcegusto che esplode in bocca. In questo sensoanche il balut, nelle Filippine, offre spuntihardcore d’assaggio primordiale: è un em-brione d’anatra o di gallina fecondato, chedopo diciotto giorni di covata viene sottrat-to all’ignara femmina per essere bollito eservito. È come mangiare un uovo che sa dipollo e offre nutrimento quasi come una bi-stecca di ottimo manzo al costo di circa 20centesimi di euro. Unica controindicazione:

Tratrent’anni l’umanità

nonpotràpiùpermettersi

dimangiarehamburger

Ecosìuno“scrittore-gourmet”

èandatoingiroper ilmondo

acacciadiprodottinaturali

Dalle termitiafricane

allacortecciadibetulla

eccoperché,assicura,

nonmoriremodi fame

(mailgustononsempre

ciguadagna)

CARLO SP I NE L L I

N

Argilla,medusaeembrioned’anatra

Next.Lamoscanelpiatto

ILCONFRONTO

ALPOSTODIUNABISTECCA

DIMANZOPOTREMONUTRIRCI

CONEMBRIONID’ANATRA;

UNACIOTOLADIARGILLA

ROSSAHALOSTESSOVALORE

NUTRITIVODIUNPIATTO

DICECIBOLLITI,MENTRE

LEMEDUSE (ESSICCATE,

SOTTOSALEO INBRODO)

APPORTANOUGUALICALORIE

DIUNAPORZIONE

DIBIETALESSATA

Repubblica Nazionale 2015-09-13

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 41

non è piacevole sentire lo scricchiolio dellecartilagini sotto la mandibola.

Terza tappa, il mare. Mai sentito parlaredi lattume? I siciliani probabilmente sì, lì èmeglio conosciuto come figatello lo spermadel tonno e della ricciola ormai ufficialmen-te ammesso nella lista dei prodotti agroali-mentari tradizionali italiani: gusto pescio-so, intenso e glutammico, sembra un foiegras marino ma brandizzatoYouporn (e rin-graziovivamente lochef marchigianoMore-no Cedroni per avermelo fatto conoscere).

Tornando con i piedi per terra, vediamodiandareacaccia di frutti. Il primoin assolu-to è il “miracle fruit”, la bacca rossa africana

Synsepalum dulcificum, documentata nel1725 dal Chevalier des Marchais: un fruttodavvero miracoloso perché trasforma il gu-sto in bocca, modificando l’amaro e l’asproin dolce grazie alla glicoproteina miracolinache attua questo incantesimo organoletticotanto caro ai diabetici, visto che non vienemetabolizzata con l’azione dell’insulina. Sa-rà il dolcificante del futuro? La “mano diBuddha” (citrus sarcodactylus) è` invecesenz’altro l’agrume più strano del pianeta:sembra effettivamente una mano, ma forseancheunapiccola piovragiallaconisuoiten-tacoli, è il tipo di cedro più profumato cheesista, molto particolare nella fragranza de-

gli aromi nella marmellata, candito o comecondimento nelle salse e nelle zuppe orien-tali. Se ne utilizza soltanto la scorza perchénonc’è népolpanésucco. Il “limonecaviale”(citrus australasica) ha invece un internoche assomiglia a una sorta di caviale vegeta-le. Ne esistono diversi secondo il colore dellapolpa: verde, rosa, rosso, bianco o giallo. Igourmet mettono un po’ di queste pallineagrumate nello spumante, per fare scena oper rimarcare l’acidità di un vino.

E dagli agrumeti ai boschi. La foragerVa-leria Mosca mi ha preparato dei meraviglio-si biscotti alla corteccia interna di betulla enocciole per la festa di compleanno di mia fi-

glia. Mentre lo chef trentino Peter Brunelun giorno, in Val di Fassa, mi ha staccato daun abete della resina essiccata: «Con questaresina prova a mantecare il risotto, vedraiche sorpresa!» E così fu: sapori nuovi e resi-nosi in un classico piatto all’italiana. Lo chefCarlo Cracco mi ha invece fatto assaggiarela sua famosa “Pasta e Mastica”, rigatoni aldente con una crema alla resina greca e fun-ghi porcini crudi. Infine, nel ventaglio delleipotesi, c’è posto anche per un po’ di canni-balismo. Niente di violento, ma mangiare laplacenta dopo aver dato alla luce un bambi-no è già la nuova moda fra alcune vip ameri-cane. Lo confesso, ho tentato anch’io, maaiutatodapiccoli fondamentali suggerimen-ti del cuoco tristellato Enrico Crippa.

Insomma, questo potrebbe essere il me-nù che nel 2050 ci fornirà Madre Natura. E ifast food con beverone ipervitaminico? E lepilloline blu al sapore di brontosauro rico-struito geneticamente? Non credo che l’u-manità andrà in quella direzione, e vi dicoanche il perché: perché dal 10 agosto scorsoScott Kelly e i suoi colleghi astronauti, sullaStazione orbitante, hanno cominciato a nu-trirsi di verdure. Cresciute nello Spazio.

ilcibodelfuturoMachesaporeavràilmenùdel2050?

LAVITAMEDIADIUNATERMITEÈDICIRCA10ANNI,MA ILREELAREGINA(RIPRODUTTORIPRIMARI)POSSONOVIVEREANCHEFINOA50ANNI. LAREGINAPUÒDEPORREFINOA30MILAUOVAALGIORNO,10MILIONI INUNANNOE100MILIONIDURANTETUTTALASUAVITA

©RIPRODUZIONERISERVATA

L’AUTORE

CARLOSPINELLI, ALIAS“DOCTORGOURMETA”,HASCRITTO“BISTECCHEDI FORMICAEALTRESTORIEGASTRONOMICHE -VIAGGIOTRA ICIBI PIÙASSURDIDELMONDO”(BALDINI&CASTOLDI,228PAGINE, 15EURO)CHESARÀ INLIBRERIADAGIOVEDÌ17SETTEMBRE

Repubblica Nazionale 2015-09-13

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 42LADOMENICA

Sapori.Locali

L I C I A GRANEL LO

“IL MARE, ilvento, ilsole, laspiaggia,la campa-gna, con isuoi ulive-ti e con isuoivigne-ti,chearri-va fino aqui… che

cos’è, mi chiedo, il segreto della Sicilia, dellasua estrema bellezza, del suo incanto miste-rioso e onnipresente?”. La domanda abita in-quieta le pagine diVino al vinodi Mario Sol-dati. Una riga appena, ed ecco la risposta:“Non c’è alcun dubbio: questo segreto è lospazio, la grandiosità...”. Impossibile darglitorto: con le vigne sdraiate sulla sabbia o ab-barbicate alle falde del vulcano, le escursionitermiche che infuocano gli acini per poi rag-gelarli, i terreni pencolanti tra limo, argilla ecalcare, dove prosperano macchia mediter-ranea e vegetazione subtropicale, la Siciliasrotola il suo tappeto di vigne per molti deitrecentochilometri che separano Marsala daMessina e i quasi duecento esistenti tra Mi-lazzo e Isola delle Correnti.

Per questo, non esiste in Italia vendem-mia altrettanto lunga, articolata e varia. Sicomincia con i primi grappoli di Chardonnayraccolti a metà luglio, per arrivare ai podero-si acini rossi del tardivo Nerello Mascalese,che si godranno il sole in pianta fino a finemese e oltre, con cesoie e vendemmiatricisenzariposo finoaiprimissimi brivididi fred-do. Potere della biodiversità, tradotta inun’incredibilevarietàdi produzioni,daibian-chi più freschi e asciutti ai rossi profondi ecarnali, fino ai grandi vini da meditazione.Una condizione specialissima, che le grandicantine — da Zonin (Feudo Principi di Bute-ra) a Firriato — hanno imparato a sfruttare,acquistando a più riprese piccole porzioni dicampagna già vitate, o pronte a diventarloper esigenze di mercato, da un versanteall’altro. Non è certo la tradizione a manca-re, se è vero che un gruppo di archeobotanicista lavorando per recuperare i vitigni dellazona tra Aci Trezza e Piazza Armerina, Cata-nia, dove Omero colloca la dimora di Polife-mo, poderoso bevitore di vini locali. Una ri-cerca intrigante, a corollario dell’enorme la-voro fatto per sdoganare una terra troppo alungo considerata la Cenerentola dei mosti,capace solo di rimpolpare le produzioni delnord povere di gradazione grazie ai suoigrappoli gonfi di zucchero e sole.

Il primo passo è stato annullare l’handi-cap delle alte temperature che trasformanogli acini in marmellata, grazie alle vendem-mie notturne e ai vani-raccolta refrigerati.Migliorateletecnologie,sonostati individua-ti i vitigni in cui investire, ed è esplosa la pro-duzione di vini da uve internazionali, conChardonnay e Merlot a farla da padroni. Maprimache le produzioni seriali trasformasse-ro la Sicilia nella California del Mediterra-neo, i piccoli produttori hanno rialzato la te-sta,rivendicando l’orgoglio deivitigni autoc-toni: così, l’Etna è diventato il nuovo Eldora-do vinicolo, mentre alcune grandi cantinehanno cominciato a inseguire senza troppafortuna Franciacorta e Trentino sul terrenodegli spumanti.

Se avete qualche giorno da spendere, rag-giungete la Sicilia e provate l’ebbrezza dellavendemmia sul mare. Poi, sedetevi al CaffèSicilia,aunpassodallacattedralediNoto, ca-sa di uno dei più geniali pasticceri del mon-do, Corrado Assenza, e ordinate una fetta ditorta di fichi caramellati. Vi arriverà con unbicchiere di Marsala Vecchio Samperi di DeBartoli. Inebriatevi della magìa del tramon-to barocco e brindate all’autunno.

Il libro

Esce in questi giorni “Di vignain vigna” (TizianoGaia, EDT

editore), che racconta quarantaitinerari dal Trentino alla Sicilia:cantine, ristoranti, alberghi,agriturismi, spa e duecento

bottiglie imperdibili da gustarein loco, insieme ai loro produttori

L’appuntamento/1

Si apre il prossimo fine settimanaaMontefalco, Perugia, Enologica

2015: incontri, degustazioniemenù a tema sul SagrantinoDocg. Davedere laMadonna

dellaCintola di BenozzoGozzoli,restaurata grazie all’impegnodei soci del Consorzio di Tutela

L’appuntamento/2

Finoa domani sera aMilano,alMuseo della Scienza e dellaTecnica“LeonardodaVinci”,la quarta edizione di BottiglieAperte: degustazioni di vecchieannate dei vini di cento cantineitaliane riconosciute per prestigio

e legame col territorio

DAMARSALAAMESSINA,DAMILAZZOALL’ETNA,

LACENERENTOLADEIMOSTI

ÈDIVENTATAILNUOVOELDORADOGRAZIEALLAVARIETÀ

DIVITIGNIEALFERMENTO

DEISUOIVIGNAIOLI.ECCONEALCUNI

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InSicilia.Seilvinorinunciaaigradi

Repubblica Nazionale 2015-09-13

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 43

©RIPRODUZIONERISERVATA

EtnaDocNerelloMascalese2011Enò-trioI vignetidiNunzio,StefanyeDésiréePuglisisi estendonosul versantenorddel vulcano,firmandounrossodaagricolturabiologica,lunghissimoespeziato.Daarrosti

44

Da18euro Da21euro

Noà2012CantineCusumanoNerod’Avola,MerloteCabernetSauvignonper il classico,supersicilianodell’aziendadiPartinico (Palermo)vigorosoespeziato,daabbinare con ipiattidiselvaggina

Da35euro

DonAntonio2009,CantinaMorganteBell’esempiodiviticoltura familiaresullecollinediAgrigento.Un rosso,Nerod’Avola inpurezza,dai riflessi rubino,corposoepersistente.Con il pettodipiccionespadellato

grandi

CarricanteVignadiMilo2012, IVigneriArrivada vignearrampicatesulle faldedell’Etnaa900metri,l’EtnabiancoSuperioreprodotto inarmoniacon lanatura, sapidoeampio.Sorseggiarecon le linguineai ricci dimare

MacomesaràvelodiròaSanMartino

piccoli

ALL’ARCANGELOGabriele, cheruppe le scatole al PadreEterno per il pezzettino diParadiso caduto nel centro

del Mediterraneo, lamentandosi dellamancanza di equità col resto del mondo,Dio disse: non ti preoccupare, lo riempiodi siciliani e io sono siciliano…

La Sicilia è un continente viticolomeraviglioso. La vendemmia dura oltretre mesi, da fine luglio sulle coste sud aiprimi di novembre sull’Etna. Possiedecentinaia di cultivar autoctone e benaccoglie quelle internazionali. Lamorfologia dei terreni è la più varia e iricercatori hanno annunciato lascoperta di venticinque varietà di uvereliquie, destinate ad ampliare il nostropanorama enologico. Viviamo in unparadiso vinicolo, forse quello a cuifaceva cenno l’Arcangelo Gabriele...L’Etna, per esempio. Con la sua energia,i suoi vini unici, il fermento dei suoivignaioli, produttori come Benanti,Franchetti, Foti, capaci di ridare lustroal centro vitivinicolo siciliano di duesecoli fa. L’ultimo progetto, nato nellaTenuta Regaleali per volere dei mieifigli, è SOStain: vogliamo lasciare a chiverrà dopo di noi un terreno più fertile,un’aria più pulita, un’azienda noninquinante e con una lunga possibilitàdi vita.

Nelparadisodell’arcangeloGabriele

Grillo2013BarracoFermentazionespontaneaesolforosaaiminimi terminiper ilbiancodaisentoridi albicoccamaturaprodottonellacampagnadiMarsala,perfettoper igamberirossi crudi

EBBENE SÌ, vendemmiamo dal10 agosto, e a fine ottobreabbiamo finito. Perscaramanzia, come sarà il

vino lo dirò a San Martino, quandocominceremo a spillarlo dalle botti. Èstata un’estate “tres comfortable” per lepiante: temperature medie senza picchida forno e umidità alta. È andata un po’peggio a noi uomini del Sud: alletemperature alte siamo abituati, ma aquesta umidità da Centro Europafrancamente no. Pazienza, ho soffertomeno vedendo gioire le viti!

La novità di quest’anno riguarda ilsesso in vigna, una “sexy story” andata abuon fine... Grazie al progetto SOStain,portato avanti con gli amici Tasca, latignoletta, che malgrado il nome quasisuadente è un dannosissimo insetto perle viti, ci ha detto addio. Merito deiferomoni, naturali e ingannatori, chefanno sparire l’odor di femmina,obbligando l’astuto maschio a cercarealtrove. L’altra novità è il vino: otto annidi lavori sul vigneto, tre anni disperimentazione in cantina efinalmente si comincia a far mosto di“Mamertino” a Capo Milazzo, estremoNord della Sicilia. Lo beveva già GiulioCesare, inrociamo le dita e speriamo dinon essere da meno.

Da50euro

Iproduttori

DucaEnrico2009,DucadiSalaparutaDiciottomesi inbottidi rovere franceseregalanomorbidezzaecomplessitàalNerod’Avoladellastorica cantinapalermitana,perfettoper la costatadibuegrasso

Da25euro

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LUC I O TASCA D ’ A LMER I T A

Da18euro

Da10euro

CUPIDORACCOGLIEL’UVA,FRAMMENTODIPAVIMENTODACARTAGINE,TUNISIA.ILMOSAICOÈCONSERVATOALLOUVRE/BRIDGEMAN

D I EGO PLANETA

Santannella2013MandrarossaDal vignetopiùgranded’Europa—lacooperativaSettesolicontaseimila ettarieduemilasoci—l’uvaggiodi FianoeCheninBlancdaabbinareai fruttidimarecrudi

BenRyé2008DonnafugataEdizione limitata—seimilabottiglie—asottolineareil valoredella spremutadiZibibbodiPantelleria,patrimonioUnesco.Intrigantecon formaggierborinatiepiccanti

Da68euro

Repubblica Nazionale 2015-09-13

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la RepubblicaDOMENICA 13 SETTEMBRE 2015 44LADOMENICA

PARIGI

LA STORIA SI RIPETE. Per questo sembra che Sebastião Salgado abbiagiàraccontato tutto. Nelle fotografie di Incammino, il suo libro sul-le migrazioni uscito quindici anni fa, sembra infatti di vedere i di-sperati di oggi in fuga da fame e guerre. «Iniziai a lavorarci all’ini-zio degli anni Novanta» racconta il fotografo più famoso del mon-

do.Sembra fatto ieri. Le lunghe file dei profughi, i bambini stretti sottouna co-perta, l’assalto ai treni, il cibo diviso tra migliaia. Non ha voglia di ripartire perseguire il nuovo esodo? «Non in questo momento. Non fotografo più l’attuali-tà. La velocità non mi interessa. Sono uno che sta».

Seduto a un tavolo laboratorio e archivio della sua agenzia parigina, pianointerrato, Salgado parla lentamente. È un uomo calmo. In realtà non è chiarose lo sia, ma di certo sa sembrare mite. Un vero condottiero non è mai marzia-le, scriveva Lao Tse cinquecento anni prima di Cristo. Salgado, uomo di paceche ha raccontato tutte le guerre, da anni è partito per la più difficile: quellaper salvare il pianeta. La svolta è stataGenesis, più di trenta viaggi in otto an-ni, duecentoquarantacinque fotografie, una mostra gigantesca che dal 2013ancora gira il mondo (fino al 30 è al Forte di Bard, sulle montagne della Vald’Aosta). E dove passa lo cambia. La magia del suo bianco e nero. La compas-sione con la quale Salgado accarezza uomini, piante, animali. Il sentimento —sempre controllato, mai freddo — che accompagna l’enorme coda di una bale-na un momento prima che sparisca inmare. Il rispetto con il quale fotografatribù lontanissime e sconosciute da questa parte di mondo. Sembra davve-ro chequegli uomini e quelle donne confacce dipinte, piumein testa esco-

delle nelle labbra gli abbiano spalancato le porte delle lorocapanne di paglia, degli igloo, dei tepee. E con esse la lorovita. «Per vivere con quei popoli devi avere tempo. Devisapere aspettare, e rispettare il loro territorrio. Devimangiare quello che mangiano, dormire dove dormo-no». Salgado ha sempre fatto così. Perdersi nei suoi pa-norami, assimilarsi alla vita dell’umanità che fotogra-fava. Sarebbe diventato un albero, se avesse potuto.Nonnehafattiricrescere duemilioninellospaziobrul-lo che era diventata la terra di famiglia? Dopo il genoci-dio del Ruanda era distrutto. Lélia lo riportò in Brasile, al-le radici. Lì hanno fondato l’Istituto Terra e trasformato unaparte della valle del Rio Doce — i 750 ettari della “fazenda” disuo padre — in un parco nazionale. Lo ha raccontato qualche

mese fa, presentando l’uscita italiana diAltre americhe, in assoluto il suo pri-mo libro fotografico (edito come tutti da Contrasto) pubblicato in Francia nel1986 e da noi soltanto quest’anno. E lo racconta inDallamia terra alla terra,appunti autobiografici usciti nel 2014.

Adesso che ha da poco superato i settanta anni mangia e si muove, però, inmaniera diversa. Ha sponsor generosi. Ora arriva in elicottero. Non beve più ilsangue di renna «che ha lo stesso sapore del tuo quando ti ferisci in bocca». Eche quella volta in Siberia lo salvò: «Avevo una paralisi facciale destra. Avevopreso un virus non so dove e dovevo tenermela, quella faccia storta. Non sape-vo come curarmi. Per nutrirci uccidevamo una renna al giorno, e per giorni homangiato interiora e bevuto sangue caldo. La paralisi scomparve». Sui dannicollaterali di un mestiere romantico all’apparenza, ma ben poco nella sostan-za, non si sofferma. Non parla del fegato distrutto da malattie tropicali («pos-so bere alcol soltanto una sera a settimana»), della malaria, le amebe, le epati-ti e la bilharziosi («la più terribile»). Non parla di sé, il soggetto non lo interes-sa. Non vuole neanche essere definito artista. «Secondo me l’arte è quella cheracconta la grande storia dell’umanità. In una mostra d’arte africana si trova-no oggetti della vita quotidiana e di lavoro — lance, ciotole, sculture votive,brocche, otri — diventati dopo secoli opere d’arte. Quando furono fabbricatinessuno pensava che sarebbero finiti in una mostra o in un museo. Se tra cin-quant’anni le mie fotografie serviranno a ricostruire la storia, se faranno par-te di una eredità culturale, allora forse mi definiranno artista. Ma io non saròpiù su questa terra. È sempre imbarazzante per me quando definiscono operad’arte una mia fotografia. Lo trovo pretenzioso».

Nella biografia di Salgado non c’è traccia di genio e sregolatezza. Nasce inuna famiglia di produttori di caffè, in una fattoria ad Aimorés, stato di MinasGerais, nell’immensa valle del Rio Doce. Nasce come Sebastião Ribeiro Salga-do: Sebastiano Ruscello Salato. Ma il rio della fattoria è dolce, contrasta con ilsuo nome e con i suoi desideri. Non sa ancora, quel ragazzino di campagna,che — tra il 2002 e il 2015 — seguirà tutta la filiera del caffè in dieci paesi pro-duttori per arrivare a un libro e a una mostra (resi possibili dalla Illy:Profumodisogno, fino al27 settembre alla Fondazione Bevilacqua LaMasa a Venezia efino al31 ottobre all’Expo diMilano). È il 1959, Salgado ha quindici anni e vuo-le andarsene. Si traferisce a Vitòria, finisce il liceo e si iscrive a Scienze econo-miche. Ma nel ‘64 il colpo di stato di Castelo Branco instaura un regime milita-re che durerà fino all’85. Nel ‘64, a vent’anni, Salgado conosce Lélia Wanickchene ha diciassette. Sarà l’unico grandeamore della suavita. La sposatre an-nidopo e nel ‘69, invece di entrare inclandestinità o in prigione perattività co-muniste, si esiliano a Parigi dove tutt’ora vivono. Lélia si laurea in architettu-ra, lui finisce gli studi di economia. Nascono i due figli: Juliano (regista conWim Wenders de Il saledella terrauscito l’anno scorso) che lo ha reso nonno, eRodrigo affetto da sindrome di Down: «mi ha rivelato un’altra dimensioneumana e costringendomi a guardare il mondo in un altro modo ha cambiato ilmio modo di fotografare». Negli anni Settanta, quando già lavora a Parigi co-me economista per l’Organizzazione internazionale del caffé, Salgado inizia ausarelamacchinafotograficacheLélia hacomprato per isuoi studidiarchitet-tura. Non la lascerà più. Passerà dalla Sygma a Gamma, fino alla Magnum, pri-

ma di fondare nel ‘94 Amazonas Images, la sua agenzia sul Canal Saint-Mar-tin, davanti alla Senna, altro fiume dolce. Qui è il regno di Lélia, curatrice di li-bri e mostre sempre all’ombra del mito, ma anche in gran parte sua creatrice.Lui invece quando è a Parigi è come un leone in gabbia. E adesso che è appenatornatodall’Indonesia— «pervacanza»,dice,maunocome luinonvain vacan-

za — e sta ripartendo per Sao Paolo, lavora a un libro sul petrolio che usciràl’annoprossimo. Leihafotografato tutto ilmondo: lasuaAmerica Lati-na, ma anche l’Africa, e la capacità dell’uomo a sopravvivere a tutto;ci ha mostrato la terra come un inferno, ma anche come il giardinodell’Eden; e ha incontrato missionari straordinari, come il suo amicoGabicho in Ecuador, che hanno dato l’intera vita a quelle popolazioni:nel suo lavoro è mai mosso da un sentimento religioso? «Assoluta-mente no. Mio padre era massone e detestava i preti. Mia madre era

esoterica, di una religione indiana. Ho fatto il liceo dai salesiani:loro mi detestavano eio detestavoloro. Seho cantatonel coroèperché avevo una bella voce. Dai salesiani ho avuto un’ottimaformazione, ma neanche quando ero in Ruanda Dio mi è mai

passatoper la testa.Lì hosmesso dicredere nell’Uomo,quin-dinell’immagine di Dio.Fuuna delusionebrutale. Sono cer-

to che spariremo come sono spariti i dinosauri, specie benpiù resistente della nostra. Questo per dirle che no, noncredoin Dio,macredonell’evoluzione.Credochesia l’evo-luzione a stabilire un ordine generale delle cose. Accettoal cento per cento la teoria di Darwin, e cioè che la stessaspecie si sia evoluta in un ecosistema differente, che tuttiveniamo dalla stessa cellula ma da posti diversi. Uno dei

miracoli dell’evoluzione è la frutta. Il cocco, la noce del Bra-sile ha nutrito e cresciuto generazioni di esseri umani. Tut-

to è lì dentro: cade dall’albero, resta a terra per giorni, la apried è ancora fresca. Questi per me sono i miracoli».

SONOCERTOCHESPARIREMOCOMESONOSPARITI IDINOSAURI,SPECIEBENPIÙRESISTENTEDELLANOSTRA.SOLOL’EVOLUZIONEÈINGRADODISTABILIREUNORDINEGENERALEDITUTTELECOSE

Difficile far parlare di sé il più celebre tra i fotografi, ancor più va-

no esaltarne il coraggio. Qualche piccolo aneddoto però nel suo

atelier parigino siamo riusciti a carpirglielo: ad esempio che una

volta in Siberia si curò da una paralisi facciale bevendo sangue di

renna (“ha lo stesso sapore del nostro”), o che il suo fegato è di-

strutto dalle malattie tropicali (“posso bere alcol solo una volta a

settimana”). Quanto al suo lavoro non ne vuole sapere di essere

definito artista: “Lo trovo pre-

tenzioso”. Solo sull’esistenza di

Dio si lascia andare: “Non ci cre-

do. E ho smesso anche di crede-

re nell’uomo. Per me il miracolo

è una noce di cocco”

MIOFIGLIORODRIGOHALASINDROMEDIDOWN.GRAZIEALUIHOSCOPERTOUN’ALTRADIMENSIONEUMANA.COSTRINGENDOMIAGUARDAREILMONDOINUNALTROMODO,MIHAANCHEOBBLIGATOACAMBIAREILMIOMODODILAVORARE

‘‘

Sebastião

©RIPRODUZIONERISERVATA

NONFOTOGRAFOPIÙL’ATTUALITÀ.

LAVELOCITÀNONMI INTERESSASONOUNOCHESTA.

PERRITRARRELEPERSONE

CHEVIVONOINTRIBÙLONTANEDALLA

NOSTRACIVILTÀDEVISAPERASPETTARE.

ERISPETTARE

LAURA PUTT I

Salgado

‘‘

‘‘

L’incontro.Maestri

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