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PROVINCIA DI PIACENZA Note d’ambiente Rapporto sulla qualità delle acque superficiali della Provincia di Piacenza marzo 2003 Cap 1 24-06-2003 11:02 Pagina 1 Alice Alice:Desktop Folder:lavori alice:libro acque arpa_prov:Cap 1.job:

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Page 1: Rapporto sulla qualità delle acque superficiali della …...3 Introduzione A tre anni dalla pubblicazione della “ Relazione sullo stato dell’Ambiente della provincia di Piacenza”,

PROVINCIADIPIACENZA

Note d’ambiente

Rapporto sulla qualitàdelle acque superficiali

della Provincia di Piacenza

marzo 2003

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presentazione

Dimezzare entro il 2015 il miliardo di persone che oggi nel mondo non hanno accesso all’acquapotabile: è l’obiettivo uscito dal vertice di Johannesburg per far fronte a questa emergenza divaste proporzioni umane, sociali, economiche ed ambientali.L’acqua come presupposto di vita e di sviluppo, a livello globale come locale. Anche per noi la tutela della risorsa acqua è compito prioritario: l’obiettivo è la buona qualitàe la garanzia di quantità, innanzi tutto per gli usi potabili e il mantenimento del minimodeflusso vitale dei corsi d’acqua, oltre che per gli usi agricoli ed industriali.Questo studio è parte del lavoro che l’Amministrazione Provinciale sta compiendo, con lacompetente consulenza di ARPA, per concorrere alla elaborazione del Piano Regionale diTutela delle acque, lo strumento guida per raggiungere gli obiettivi qualitativi e quantitativifissati dalle direttive europee e recepite nelle normative italiane. Uno strumento volto apotenziare tutti gli interventi necessari alla tutela, conservazione e risparmio dell’acqua, risorsainsostituibile e finita, oggi minacciata dall’inquinamento, dagli scarichi abusivi, dallosfruttamento e dallo spreco.Altre sono le attività in corso del Servizio Ambiente tese a questi obiettivi:• Autorizzazioni e controllo degli scarichi; monitoraggio per la verifica dello stato qualitativo e

quantitativo delle acque superficiali e sotterranee;• Gestione del Programma triennale regionale di tutela ambientale che vede notevoli contributi

finanziari ai Comuni per il risanamento delle reti acquedottistiche, del sistema fognario edepurativo, incentivando anche impianti pilota di fitodepurazione;

• Nuovi progetti di considerevole importanza per il Trebbia: il progetto “LIFE”; l’attivazione diun Tavolo di lavoro di analisi delle criticità dovute ai diversi usi dell’acqua del fiume, e diricerca delle soluzioni necessarie al mantenimento del minimo deflusso, vitale perl’ecosistema acquatico;

• Gestione del progetto AQUANET, recentemente finanziato dalla Unione Europea, che civede insieme a province europee ed italiane nello studio e nella prevenzionedell’inquinamento da nitrati;

• Educazione ambientale, in particolar modo il progetto sullo stato ecologico dei corpi idricisuperficiali in funzione della conservazione della biodiversità, arrivato al terzo anno conl’iniziativa “Adotta il tuo tratto di fiume”.

La complessità della gestione della risorsa acqua richiede azioni trasversali alle diverseattività: agricoltura, industria, usi civili; di conseguenza numerosi sono i soggetti chiamati incausa: categorie produttive, consorzi di bonifica, aziende di gestione del servizio idrico,cittadini, Comuni, agenzia d’ambito.Un obiettivo su cui far convergere azioni e finanziamenti: acqua pulita e per tutti, a garanziadella qualità della vita e dello sviluppo sostenibile del territorio piacentino – per noi e per lefuture generazioni.

L’Assessore Provinciale all’AmbienteAdriana Bertoni

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Introduzione

A tre anni dalla pubblicazione della “ Relazione sullo stato dell’Ambiente della provincia diPiacenza”, esce questo documento sulla qualità delle acque superficiali, che vuole aggiornarele informazioni relative alla matrice ACQUA, trattate nel 1999 nel primo report provinciale,curato da ARPA e Provincia di Piacenza, portare a sintesi i contenuti delle Relazioni sui pianimirati condotti su Trebbia, Boriacco, Cavo Fontana e Ongina, pubblicate da ARPA tra il 1997 eil 2003 e fornire soprattutto uno strumento di conoscenza a tutte i soggetti pubblici e privatiinteressati a vario titolo alla qualità fluviale.Il 2003 è l’anno mondiale dell’acqua, a testimonianza della grande attenzione, o meglio, delcrescente interesse verso una delle più importanti risorse naturali che rischia di essereseriamente compromessa.Un uso non sostenibile delle pratiche agricole e i numerosi fenomeni di inquinamento acutodovuti a smaltimenti abusivi di liquami zootecnici che accadono sempre più frequentementeimpongono una sempre più vigile attenzione ai bacini della nostra provincia.L’impegno di Arpa si concretizzerà oltre che in un'assidua e costante vigilanza sul territorioanche nel mantenimento/miglioramento della rete di controllo delle acque superficiali perseguire l’evoluzione temporale degli indici ambientali di classificazione, utili per un correttodimensionamento del Piano Regionale di Tutela delle Acque.La redazione di questa pubblicazione vuole essere un utile riferimento anche per questoimportante strumento di pianificazione territoriale.Il rapporto, improntato sullo schema del modello di analisi ambientale DPSIR (Determinanti,Pressioni, Stato, Impatto, Risposta), descrive nei sette capitoli che lo compongonol’inquadramento territoriale dei bacini idrografici, i fattori di pressione antropica che su di essigravitano, la situazione climatologica della provincia di Piacenza, lo stato della qualità delleacque superficiali, le criticità presenti negli ecosistemi ed infine gli interventi previsti.Il lavoro prodotto è frutto di una ampia e sinergica collaborazione di diversi operatori di Arpa edel Servizio Ambientale della Provincia di Piacenza che hanno permesso di redigere questapubblicazione. A loro va il mio ringraziamento.

Sandro FabbriA.R.P.A. Sezione di Piacenza

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COMITATO TECNICO E DI REDAZIONE

Adalgisa Torselli Servizio Ambiente, Amministrazione Provinciale di Piacenza

Leonardo BenedusiServizio Ambiente, Amministrazione Provinciale di Piacenza

Ettore NiccoliServizio Ambiente, Amministrazione Provinciale di Piacenza

Sara ZambelliServizio Ambiente, Amministrazione Provinciale di PiacenzaAndrea SilvottiServizio Ambiente, Amministrazione Provinciale di Piacenza

Paolo LegaProgrammazione territoriale urbanistica,Amministrazione Provinciale di Piacenza

Gianni GazzolaProgrammazione territoriale urbanistica,Amministrazione Provinciale di Piacenza

Paola AnaclerioServizio Agricoltura,Amministrazione Provinciale di Piacenza

Daniela MoraliServizio Agricoltura,Amministrazione Provinciale di Piacenza

Elisabetta RussoA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Sistemi Ambientali

Silvia CarmelliniA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Sistemi Ambientali

Giuseppe BiasiniA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Sistemi Ambientali

Franco ZinoniA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Meteorologico Regionale

Vittorio MarlettoA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Meteorologico Regionale

Cinzia AlessandriniA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Meteorologico Regionale

William PratizzoliA.R.P.A. Sezione Provinciale di Piacenza,Servizio Meteorologico Regionale

Il presente documento è stato realizzato anche graziealle attività di monitoraggio (effettuazione prelievi edanalisi) degli operatori di A.R.P.A. sotto elencati:

Servizio Territoriale Resp.: Dott. Ettore Sassi

Vittorino FrancaniLorella VillaniRoberto GuglielminiRoberto DodiLorella EtteriEnrica RoccaElena BozziniSelina GianibertiGiuliana PettegoliOlimpio RazzaAntonio GallelliMarco DebéAntonietta MorleoSimona GhettiTiziana BettassaFrancesco Curtoni

Dipartimento TecnicoResp.: Dott. Carlo Curtoni

Adriano FavaFiorella AchilliLia BarazzoniGiuseppe GallinariStefania AcerbiPatrizia AntoniazziKatia BaioBruno BardettiMarcello De Crema

Preziosa è stata la collaborazione di:

Corsi Luigi, Sergio Previ e Mario Sordi del ServizioTecnico Bacini Trebbia e Nure (già SPDS) perl’effettuazione delle misure di portata, nonché delConsorzio Bacini Piacentini di Levante per i dati forniti.

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IndicePresentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 2Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 3Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 7

ECOLOGIA FLUVIALE1 Il fiume come ecosistema: concetti di naturalità e ripristino ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 9

NORMATIVA2 Evoluzione della normativa in materia di acque: dalla legge Merli al D.Lgs. 152/99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 15

DETERMINANTI3 I bacini idrografici della provincia di Piacenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 193.1 Inquadramento territoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 193.2 Il clima nella provincia di Piacenza alla luce delle recenti conoscenze sui cambiamenti climatici . . . . . . . . . Pag. 243.2.1. La tendenza del clima a scala mondiale ed europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 243.2.2. Variazioni del clima nell’Italia del Nord . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 253.2.3. Le precipitazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 253.2.4 Le temperature . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 283.2.5 Il clima nella provincia di Piacenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 31

PRESSIONI4 Fattori di pressione antropica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 394.1 Sorgenti di inquinamento puntuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 394.1.1 Scarichi industriali recapitanti in corpo idrico superficiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 394.1.2 Scarichi di acque reflue urbane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 464.1.3 Contributo complessivo delle sorgenti puntuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 564.1.4 La fitodepurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 574.2 Sorgenti di inquinamento diffuse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 614.2.1 Spandimento di fanghi in agricoltura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 614.2.2. Spandimento di liquami zootecnici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 634.3 Aspetti quantitativi e derivazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 66

STATO5 La rete di monitoraggio regionale ai sensi del D.Lgs. 152/99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 715.1 Struttura della rete di rilevamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 715.1.1 Monitoraggio della qualità ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 735.1.2 La qualità chimico-microbiologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 735.1.3 La qualità biologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 765.1.4 Monitoraggio delle acque idonee alla vita dei pesci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 805.1.5 Balneazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 825.2 Archivio delle stazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 825.3 Risultati dei controlli 1999-2001 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 87

IMPATTO6 Effetti sugli ecosistemi fluviali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 1116.1 Sintesi delle criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 1116.2 Criticità dovute a prelievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 116

RISPOSTA7 Gli interventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 1197.1 Programma Stralcio Regionale per il Risanamento delle Acque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 1197.2 Il Piano di Tutela delle Acque . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 124

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 126

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 128

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vero e proprio salto di civiltà nel rapporto uomo-ac-qua: il risparmio e la tutela idrica, considerati untempo solo come risposta d’emergenza alla siccità,diventano ora oggetto di provvedimenti legislativisempre più precisi e stringenti, determinati anchedalla pressione del movimento d’opinione esercita-ta dalla cosiddetta società civile in ambiti come il re-cente summit di Johannesburg.

Premessa

Estratto da “Notizie sull’acqua” di Erri De Luca dalla rivista “Centocieli”:……..…………………………Chi la spreca verrà assetato.Chi la conserva verrà dissetato.…………………………………………Chi sporca l’acqua verrà sporcato.……………………………………………Giusta sarà la sorpresa di chi ascolterà la propria domanda, appena morto:Quant’acqua hai versato?Ognuno di noi sarà pesato a gocce.”.

Erri De Luca ha partecipato alla campagna di sensi-bilizzazione per l’uso razionale dell’acqua, promos-sa dal Centro Antartide di Bologna con artisti comeAltan, Sergio Staino, Roberto Roversi a testimo-nianza del fatto che il problema dell’acqua come ri-sorsa è sentito ormai diffusamente da tutta la so-cietà civile, e non è più relegato in ambiti tecnico-specialistici.

Che l’acqua sia una risorsa strategica lo conferma-no i molti osservatori che prevedono nel prossimofuturo lo scoppio di guerre per l’acqua. La previsio-ne è fondata sulla crescita dei paesi che vedono mi-nacciare la propria economia e la salute dei propricittadini dalla penuria d’acqua; il 40% del mondo, piùdi 2 miliardi di persone, non dispone di acqua pulitané di sistemi fognari. Contemporaneamente la do-manda d’acqua per usi industriali, agricoli e civili au-menta, con interventi tecnologici pesanti sui cicli na-turali; lo sviluppo della tecnologia nella nostra so-cietà non si è preoccupato della disponibilità d’ac-qua, un bene considerato gratuito e fruibile in quan-tità illimitata: non a caso per gli economisti classicil’acqua non rientrava tra i beni mercificabili poiché,essendo troppo abbondante, era priva di valore discambio.Solo da poco si sta prendendo coscienza della fini-tezza della risorsa e della necessità di operare un

Figura 1: Modello OCSE DPSIR.

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l’OCSE e basato sul concetto di causalità: le atti-vità antropiche esercitano pressioni sull’ambientee inducono modificazioni nella sua qualità e nellaquantità delle risorse naturali; la società rispondea tali modificazioni attraverso politiche ambienta-li, di economia generale e di settore che influen-zano nuovamente le pressioni.

E così “I bacini idrografici della provincia di Pia-cenza” sono analizzati come DETERMINANTI; “iFattori di pressione antropica” come PRESSIO-NI; i “ Risultati dei controlli 1999-2001 della retedi monitoraggio regionale ai sensi del D.Lgs.152/99” sono presentati come STATO; gli “Effettisugli ecosistemi fluviali – Criticità” come IMPAT-TO; e “Gli interventi” costituiscono le RISPOSTE.

Prima di entrare nel merito specifico di questa pub-blicazione, che intende fornire un quadro della qua-lità delle acque superficiali in ambito provinciale, sivogliono introdurre alcuni semplici concetti di ecolo-gia fluviale, per meglio comprendere la concezioneecosistemica di fiume, introdotta di recente anchedalla normativa tecnica di riferimento (cfr. D.Lgs152/99 e D.Lgs 258/00). L’attenzione si spostadall’acqua, che è solo uno degli elementi costi-tuenti il fiume, all’alveo bagnato e al territorio cir-costante, cioè all’intero ambiente fluviale.

L’approccio all’argomento è impostato alla meto-dologia DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato,Impatto, Risposta), proposto dall’ EEA (AgenziaEuropea Ambiente) come estensione del modelloPSR (Pressioni, Stato, Risposte) sviluppato dal-

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Il fiume come

ecosistema:Concetti di naturalità e ripristino ambientale

CAPITOLO 1

i l sistema fluviale costituisce la sintesi estrema dellacomplessità di diversi tipi di interazioni: da un puntodi vista normativo, viene concepito come elemento

centrale (corpo idrico recettore) del contesto ambientalecostituito dall’intero bacino idrografico, comprendentetutti gli elementi socio-economici di rilevanza ambientalecome gli insediamenti civili e industriali produttori di sca-richi, i sistemi di depurazione, le rete idrica naturale e ar-tificiale.Da un punto di vista gestionale, l’integrazione fra i di-versi soggetti coinvolti a seconda delle specifiche com-petenze e responsabilità è indispensabile per garantirela qualità dell’acqua, intesa come l’insieme di corpi idri-ci naturali, sistemi di depurazione, integrati a scala dibacino. Ma è a livello ecosistemico che si realizza ilmassimo grado di integrazione tra tutti i componenti diun tipico ecosistema idrico di acqua dolce. Il funziona-mento di un ecosistema idrico va però inquadrato nelpiù vasto “ciclo dell’acqua”, attraverso cui l’acqua pro-veniente dalle precipitazioni meteoriche in parte si infil-tra nel terreno, in parte ruscella in superficie, in parteviene assorbita dalla vegetazione e torna all’atmosferaper evapotraspirazione superficiale. La quota che per-cola in profondità raggiunge una falda acquifera, quindiun fiume (o un lago) oppure il mare stesso. La quotache percola in profondità alimenta il processo di ricari-ca della falda che, oltre ad assicurare la riserva idricautilizzata poi per i diversi usi (potabile, irriguo, industria-le), mantiene stabile la portata dei corsi d’acqua, realiz-

zando così quell’integrazione di cui si diceva sopra.A sua volta, la capacità di ricarica di una falda è stretta-mente legata alle caratteristiche di naturalità del luogo incui avviene: pendenza, tipo di suolo, precipitazioni, climae, soprattutto, copertura vegetale. I terreni vegetati (fore-ste, prati, campi agricoli) presentano ottime capacità di ri-carica (15% di infiltrazione in falda e 25% di infiltrazionesuperficiale), contenuti fenomeni di ruscellamento (10%)ed abbondante evapotraspirazione (40%); al contrario, learee urbanizzate, caratterizzate da elevati strati di imper-meabilizzazione (cemento e asfalto) presentano pessimecapacità di ricarica: infiltrazione in falda, 5%; infiltrazionesuperficiale, 10%; evapotraspirazione, 30%; scorrimentosuperficiale, 55% (dati ENEA, 2000).Si cerca qui di seguito di fornire alcuni elementi utili allacomprensione di concetti che appartengono alla sferadell’ecologia, disciplina che studia le interazioni recipro-che tra ambiente e organismi viventi; tra questi, ovvia-mente, quello di ecosistema, un ambiente fisico in cui vi-ve una comunità costituita da popolazioni di diverse spe-cie animali e vegetali: un ecosistema è quindi un sistemacomposto da esseri viventi (componenti biotiche), am-biente in cui vivono (componenti abiotiche) e interazionireciproche.Il sistema-fiume è costituito dall’acqua, l’alveo, le sponde,le zone umide perifluviali (“wetlands”). Modellato dagliagenti atmosferici ed in base alle caratteristiche litologi-che delle zone attraversate, ogni corso d’acqua presentauna notevole diversità strutturale che conferisce a cia-

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di piena invadono in assenza di argini la cosiddetta go-lena, parte di alveo o di piana alluvionale interna all’argi-ne, solitamente asciutta e vegetata, destinata ad acco-gliere le acque di piena.Degli altri costituenti fluviali (sponde e zone umide) si diràdopo. E’ interessante invece ora analizzare gli elementiche influenzano il regime idrologico e la morfologia del-l’ambiente (componenti abiotiche). Nei corsi d’acqua na-turali la corrente è continuamente variabile sia nel tem-po, sia nello spazio: si producono così irregolarità morfo-logiche stabili che si automantengono. Per definizione, ilfiume erode a monte e sedimenta a valle, con una dimi-nuzione della granulometria in direzione monte-valle(massi-ciottoli-ghiaia-sabbia-limo); l’erosione produce unmovimento di materiale solido dalle zone di massima cor-rente (parte esterna delle curve e strettoie) che modellalongitudinalmente il fiume formando meandri, le cui an-se, in un susseguirsi di curvature, costituiscono le areeideali per la differenziazione degli habitat. La deposizio-ne di materiale solido interessa in genere il centro-alveoe la parte interna delle curve: l’aumento della deposizio-ne di materiale aumenta la riserva d’acqua nei materas-si alluvionali, conoidi, con funzione di riserva della faldaidropotabile. L’innalzamento dell’alveo poi (alveo pensilerispetto alle sponde e al piano campagna) ha una fun-zione di riduzione della franosità dei versanti, anche senei corsi d’acqua arginati, in caso di rottura dell’argine, laportata di piena si riversa nella piana alluvionale, crean-do inondazioni devastanti.Il modellamento del fiume crea elementi morfologici dielevata importanza come le buche, ottimo ricovero e so-sta per l’ittiofauna, essenziali per la sopravvivenza deipesci nei periodi di magra, i raschi, zone elevate dell’al-veo caratterizzate da abbondante disponibilità di cibo, in-dispensabili anche per garantire una buona ossigenazio-ne dell’acqua. Le zone di transizione tra buche e raschicostituiscono invece un eccellente habitat per la deposi-zione delle uova dei pesci. La presenza di ricoveri e ripariin alveo (grossi massi, rami incastrati sul fondo, spondesottoescavate, radici arboree sommerse), è essenzialeper garantire il popolamento ittico: proprio per il partico-lare comportamento territoriale, ogni individuo trascorrela maggior parte del suo tempo in un habitat-rifugio cir-coscritto, che occupa e difende dagli intrusi.La velocità della corrente influenza il flusso, che può es-

scun fiume una propria “personalità”. Fra gli elementi abiotici costitutivi del fiume ricordiamoche l’alveo (fig. 1.1) può essere:• bagnato, quando in una sua porzione è presentel’acqua;• di magra, quando la porzione bagnata resta tale anchein condizioni di magra (vedi sotto); si trova all’interno delletto ordinario, soprattutto nei fiumi a regime irregolare; èsinuoso e spesso si divide in diversi bracci;•di morbida, quando la porzione bagnata è occupatanelle condizioni di morbida alta (vedi sotto); la frequenzadelle sommersioni, la loro durata e l’azione delle correntidi piena sulla vegetazione e sui ciottoli (abrasione, roto-lamento) determinano condizioni sfavorevoli allo sviluppoarbustivo. Nei periodi asciutti viene colonizzato, soprat-tutto nella fascia più esterna, dalle erbacee pioniere digreto; normalmente l’alveo di morbida non corrispondeall’alveo bagnato nelle condizioni di morbida ordinaria;• di piena, quando la porzione di letto fluviale è occupa-ta nelle condizioni di piena (vedi sotto);• di piena eccezionale, quando la porzione del letto flu-viale è occupata nelle condizioni idrologiche episodichedi piena eccezionale (vedi sotto).Per “magra” naturale si intende una condizione di acquebasse quando la scarsità idrica è dovuta ad eventi sta-gionali naturali; per “morbida” si intende una condizionedi portata ordinaria: morbida alta (giorni successivi allapiena); morbida media (stato ordinario); morbida bas-sa (periodo precedente alla magra). In regime idraulico di“piena” , il corso d’acqua supera determinati livelli idro-metrici (acque alte); in caso di “piena eccezionale” (con-dizioni idrologiche episodiche) si ha massimo trasporto li-quido con frequenza anche più che centenaria. Le acque

Figura 1.1: Sezione trasversale: definizioni di alveo (da I.F.F. – AN-PA, 2000, modificato)

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per l’insediamento di specifiche strutture trofiche.Il fiume costituito da acque lotiche (ambienti di acquedolci correnti caratterizzate da alta velocità come sor-genti, corsi d’acqua, estuari, a differenza delle acque len-tiche o ferme come paludi, stagni, laghi), è formato dauna serie di ecosistemi che si modificano nella direzionedella corrente e che sono determinati dalle condizioniambientali. In ecologia si parla, in questo caso, di suc-cessione di ecosistemi che sfumano gradualmente l’unonell’altro e sono interconnessi con gli ecosistemi circo-stanti, in una variazione sorgente-foce di parametrimorfologici, idrodinamici, fisici, chimici e biologici (il “con-tinuum” fluviale, fig. 1.3): la struttura e le funzioni delle co-munità biologiche ivi esistenti sono strettamente dipen-denti dalle condizioni geomorfologiche ed idrauliche delsistema fiume.Il fiume è un tipico sistema aperto, cioè, termodinamica-mente parlando, scambia materia e energia con l’ester-no. L’energia entra come radiazione solare e la materiaorganica come materiale carbonioso e azotato, sotto for-ma particellata fine o disciolta; la prevalenza di una for-ma o dell’altra è legata alle caratteristiche morfologiche,vegetazionali, all’idrologia e alle attività della comunità di

sere laminare o turbolento: i fattori che lo determinanosono la pendenza, l’allargamento della sezione, presen-za di elementi vegetali (es. canneto), massi, ciottoli. Laturbolenza è in genere accompagnata da maggiore tor-bidità dell’acqua ma, in corrispondenza di rapide e ca-scate, anche da maggiore ossigenazione; la trasparen-za consente un maggiore irraggiamento e quindi aumen-ta la fotosintesi.Fra le componenti biotiche quella vegetale riveste gran-de importanza nell’economia funzionale del sistema. Lacopertura vegetale si dispone sia trasversalmente, sialongitudinalmente rispetto all’asta fluviale. Nel primo ca-so, immaginando di sezionare trasversalmente il fiumeda centro alveo a sponda (fig. 1.1), i popolamenti vege-tali si presentano in quest’ordine: vegetazione acquaticao idrofila (phitoplancton, periphyton, e macrofite acquati-che), formazioni erbacee di greto, formazioni arbustiveed infine formazioni arboree. La componente acquaticariveste un ruolo importante non solo quale produttore pri-mario, ma anche nella creazione di diversi microhabitatche possono ospitare fauna diversificata a seconda del-le specie vegetali. Le formazioni erbacee di greto si svi-luppano nell’alveo di morbida, esternamente ad esso,nell’alveo di piena si rinvengono le formazioni arbustiveriparie (saliceti arbustivi) e successivamente le formazio-ni arboree (ontani, salici arborei e pioppi).Le formazioni vegetali riparie oltre a creare habitat digrande valore naturalistico, hanno un ruolo fondamenta-le nella funzionalità ecologica del fiume, influenzandoneil microclima, riducendone l’erosione delle rive e, in casodi piena, trattenendo il sedimento e la sostanza organica;dopo le piene impedisce il rapido deflusso delle acque,mantenendo a lungo umide ampie porzioni di suolo. Lefasce riparie svolgono anche importanti processi di accu-mulo e rimozione dei nutrienti: la copertura vegetale as-sume funzioni tampone tanto più efficaci quanto più lacopertura è sviluppata.La stretta interdipendenza delle varie componenti bioti-che e abiotiche fra loro è stata evidenziata dalle relazio-ni funzionali finora descritte: si è visto come dalla sor-gente alla foce variano la portata, la turbolenza, le tipolo-gie di sedimenti, il chimismo, gli scambi con le falde, lesuperfici di alveo bagnate e il battente d’acqua; a loro vol-ta i tipi di sedimento, la turbolenza, il regime termico, laqualità dell’acqua, costituiscono condizioni essenziali

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Figura 1.2: Spiralizzazione dei nutrienti

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essere rappresentato da una spirale che si snoda nelladirezione della corrente: i processi infatti non si chiudonoladdove si sono innescati, ma è come se i cicli venisse-ro “stirati” lungo la direzione della corrente (spiralizzazio-ne dei nutrienti, figura 1.2). La forma delle spire eviden-zia non solo la velocità di ciclizzazione, ma anche la ca-pacità di ritenzione e decomposizione da parte del siste-ma e quindi la possibilità di un determinato nutriente diessere utilizzato più volte ma in ambienti diversi. Nei cor-si d’acqua lotici i frammenti vegetali possono essere tra-sportati anche molto lontano, ma spesso vengono se-questrati in fondo all’alveo, intrappolati tra i massi, sotto iciottoli, tra le radici della vegetazione riparia. La ritenzio-ne avviene anche dove si verifica una riduzione localedella velocità della corrente, come nelle buche profonde,a valle di un salto (ristagno/rigurgito) e nei tratti con pen-denza ridotta. La teoria del continuum fluviale mostra la transizione delsistema fluviale secondo un gradiente longitudinale, dacondizioni eterotrofiche ad autotrofiche e quindi nuova-mente eterotrofiche.Come si vede nella figura 1.3, nel tratto montano dei cor-si d’acqua, dove la dimensione dell’alveo è contenuta, lavegetazione riparia è rigogliosa e l’ombreggiamento ele-vato, i processi fotosintetici sono ridotti (con scarso svi-luppo di alghe) e abbondante risulta il detrito organico,costituito da foglie e rami: il metabolismo fluviale è etero-trofo, sostenuto da apporti organici di provenienza terre-stre e la struttura della comunità è dominata dai “tritura-tori” e dai “collettori”. Procedendo verso valle si riduce lasuperficie ombreggiata, aumenta la fotosintesi e il meta-bolismo diventa autotrofo, sostenuto prevalentementedal particolato fine prodotto nei rami montani; aumenta-no inoltre gli organismi “pascolatori” rispetto ai “triturato-ri”. Procedendo ulteriormente, l’ombreggiamento divie-ne trascurabile, ma la fotosintesi è limitata dalla torbi-dità delle acque; il metabolismo torna eterotrofo, anco-ra a carico dell’abbondante detrito organico dei tratti su-periori e dominano gli organismi “collettori”. Il sistema-fiume risponde alla variazione stagionale con processiomeostatici di raffinata complessità, basati su un’eleva-ta diversità biologica: differenti metabolismi alimentari,supportati da specie diverse assicurano la sopravviven-za del sistema, utilizzando ora il detrito vegetale ora labiomassa, costituendo connessioni funzionali tra produ-

organismi che la utilizzano demolendola. La catena ali-mentare che quindi vi si instaura, si basa su processi dibiodegradazione, alcuni dei quali a carico di batteri spe-cializzati nel riciclaggio dei nutrienti (azoto e fosforo). Lesostanze inquinanti, che entrano con le nutritive nel si-stema, sono soggette a pochi meccanismi naturali di bio-degradazione e vengono accumulate all’interno della ca-tena alimentare (bioaccumulo delle sostanze eco-persi-stenti).Le peculiari caratteristiche di un ecosistema in condizio-ni naturali (trasparenza, qualità dell’acqua, tipo di flora edi fauna) sono il risultato di un lungo processo di trasfor-mazione in cui fattori abiotici e biotici si sono influenzatireciprocamente.Dal punto di vista trofico, all’interno del continuum fluvia-le, è possibile isolare zone relativamente omogenee.In queste zone il processo di sedimentazione-trasporto-ciclizzazione della materia organica consiste nell’assun-zione dei nutrienti dal comparto acqua da parte dei com-ponenti del biota acquatico e la successiva metabolizza-zione e trasporto attraverso la catena alimentare; può

Figura 1.3: River Continuum Concept (da Vannote et al., 1980, mo-dificato).

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stema fiume abbiamo sopra menzionato le zone riparie ele zone umide perifluviali. Negli ambienti naturali le zoneriparie costituiscono zone di transizione tra ambiente ac-quatico e terrestre; si estendono in un’ampia fascia eco-tonale che svolge importanti funzioni di protezione dellerive, grazie agli apparati radicali delle specie arboree edarbustive, di incremento della biodiversità e soprattutto dicorridoio ecologico: le fascie riparie attraversano e con-nettono il territorio, costituendo il sistema di spostamen-to per la fauna vertebrata ed invertebrata.La morfologia del fiume dipende anche dagli interventioperati dall’uomo; non solo l’inquinamento delle acque,ma anche gli interventi di regimazione idraulica per il con-trollo delle piene possono portare alla “banalizzazione”della morfologia fluviale, con conseguente impoverimen-to degli ambienti naturali. Le attività antropiche, alteran-do lo stato trofico, i cicli dei nutrienti e le caratteristichechimico-fisiche dell’acqua, influenzano le caratteristichedei popolamenti vegetali e animali; l’antropizzazione delterritorio spinta fino al margine del corso d’acqua riduce icorridoi ecologici e talvolta determina la totale scompar-sa delle formazioni riparie. La cementificazione modifical’idrologia del bacino, aumentando il fenomeno di scorri-mento superficiale: diminuiscono i fenomeni di evapotra-spirazione e infiltrazione superficiale/profonda da partedelle acque di pioggia. Tipico effetto è il loro aumento involume e velocità e quindi l’aumento delle portate e del-le sostanze inquinanti trasportate dalle acque di scorri-mento. Infine, gli ambienti acquatici marginali, elementi con-sueti del paesaggio fluviale padano, costituiscono un im-portante serbatoio di biodiversità, luogo di riproduzione,rifugio e ambiente ricco di cibo per la fauna ittica e l’avi-fauna, sono caratterizzati da vegetazione acquatica rigo-gliosa, fauna ricca e diversificata, cicli stagionali moltoaccentuati con produzione primaverile-estiva, senescen-za e decomposizione alla fine dell’estate. Si tratta di zo-ne umide temporanee o di corpi d’acqua permanenti lar-gamente influenzati dal regime idraulico, in particolaredagli effetti di esondazione. L’elevata diversità biologicache generalmente vi si ritrova è compromessa dall’ec-cessiva regimazione dell’alveo fluviale e dall’estendersied intensificarsi di azioni di disturbo antropico. La pecu-liarità delle zone umide dipende dalla presenza di una la-ma d’acqua, anche di esigua profondità, che permane

zione e decomposizione, ciclo dei nutrienti, successio-ne delle biocenosi.In questo processo le componenti abiotiche e biotichedel sistema intervengono reagendo alle sollecitazioniesterne operando meccanismi omeostatici individuali oa livello di popolazioni intere.Il complesso delle attività trofiche che si svolge in uncorso d’acqua ha la funzione di riportare l’ambiente allastato di efficienza metabolica caratteristico per quella ti-pologia fluviale e può essere sintetizzato con il terminedi “potere depurante”.Il potere autodepurante di un corso d’acqua si basa su4 sistemi di depurazione naturali legati in una catenatrofica:1. il periphiton, una sorta di biofilm che ricopre tutti i tipidi substrato immerso costituito da microrganismi comebatteri, funghi, microalghe, amebe, ecc.; essi demolisco-no la sostanza organica di origine naturale (foglie, escre-menti e spoglie animali) e di origine antropica (liquami fo-gnari);2. i macroinvertebrati si nutrono di periphiton; accelera-no e regolano il processo autodepurativo grazie alla ric-chezza delle loro specializzazioni funzionali con cui rie-scono ad utilizzare tutte le forme di risorse alimentari di-sponibili (i “trituratori”, ad esempio, sminuzzando i detritiorganici grossolani, ne agevolano l’attacco da parte deibatteri);3. i vertebrati acquatici e terrestri (pesci, anfibi, rettili,uccelli, mammiferi) si nutrono dei macroinvertebrati ac-quatici e forniscono un ulteriore contributo alla rimozionedella sostanza organica.L’efficienza dei tre precedenti sistemi è condizionata in-fine dall’integrità dell’ambiente circostante ed in partico-lare dalla 4. vegetazione riparia, che, oltre a fornire cibo e habitatai microrganismi, ai macroinvertebrati e ai vertebrati, co-stituisce un sistema-filtro meccanico e biologico: intercet-ta le acque di scorrimento superficiali provenienti da zo-ne agricole, rallentandole e favorendo la sedimentazionedel carico solido, contribuendo in questo modo alla chia-rificazione delle acque; abbatte i nutrienti (azoto e fosfo-ro, responsabili dell’eutrofizzazione), assimilandoli neivegetali o trasformandoli in sostanze non inquinanti nelgià descritto processo di spiralizzazione dei nutrienti.Fra le componenti citate come caratteristiche dell’ecosi-

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lenta degradazione della lignina e della cellulosa puòaumentare la stabilità del sedimento attraverso la for-mazione di aggregati refrattari di detrito e microrganismiche portano ad un temporaneo accumulo dei nutrienti.Qui di seguito si riportano alcuni esempi di ecosistemi-fiume, localizzati presso le stazioni di campionamentodella rete di monitoraggio (vedi cap. 5), che rappresen-tano situazioni diverse di naturalità fluviale: le due sta-zioni sul fiume Trebbia mostrano chiaramente la diffe-renza fra il tratto montano (Valsigiara) e la zona della fo-ce di un corso d’acqua “pregiato” come il Trebbia, tipicotorrente appenninico; il fiume Po a Castel San Giovan-ni, tratto potamale ad elevato stato di antropizzazione;il torrente Tidone, in secca invernale, situazione ricor-rente soprattutto nei torrenti della zona ovest della pro-vincia, come il torrente Luretta, il Rio Boriacco, ed altriminori che non vengono più monitorati.

per un periodo di tempo sufficientemente lungo da con-sentire la formazione di un suolo saturo d’acqua e di unsedimento, con crescita di idrofite galleggianti o emer-genti. E’ nel sistema acqua-sedimento che si instaura-no le comunità vegetali, responsabili dell’abbattimentodei nutrienti disciolti, con marcato andamento stagiona-le. Nella fase di crescita (in primavera) la vegetazioneacquatica svolge un ruolo attivo nella rimozione dei nu-trienti. Nella fase successiva (durante l’estate) preval-gono processi di decomposizione e di accumulo di de-trito organico: la più intensa attività dei microrganismieterotrofi determina l’instaurarsi di condizioni anaerobi-che. La fase estiva si caratterizza per una notevole in-cidenza dei processi di denitrificazione e di solfatoridu-zione. Una peculiarità di questi ambienti è tuttavia co-stituita dal notevole accumulo di materiali ligno-cellulo-sici particolarmente resistenti all’attacco microbico. La

Figura 1.4: Trebbia, stazione di Valsigiara Figura 1.6: Po, stazione di Castel San Giovanni

Figura 1.5: Trebbia, stazione di Piacenza (foce in Po) Figura 1.7: Tidone, stazione di Pontetidone (foce in Po)

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Page 15: Rapporto sulla qualità delle acque superficiali della …...3 Introduzione A tre anni dalla pubblicazione della “ Relazione sullo stato dell’Ambiente della provincia di Piacenza”,

l e prime leggi organiche dello Stato italiano, ema-

nate subito dopo l’unificazione politica (1865 e

1884), affermavano il principio della demanialità di

fiumi e torrenti e stabilivano l’istituto della concessione

temporanea. Nel periodo a cavallo della I guerra mon-

diale (1916-1920) una serie di regi decreti introducono

importanti innovazioni:

• accentramento di tutte le competenze presso il Mini-

stero dei Lavori Pubblici;

• l’istituzione del Consiglio Superiore delle Acque;

• l’istituzione dei Tribunali delle Acque;

• l’estensione dell’obbligo di iscrizione negli elenchi

acque pubbliche;

• la definitiva abolizione delle concessioni perpetue;

• una più precisa regolamentazione dei procedimenti

di concessione.

Nel 1933 viene emanato il R.D. n°1775, Testo Unico

sulle acque e impianti elettrici, per buona parte ancora

in vigore, che, tra l’altro, tratta le concessioni come gua-

dagno per lo stato.

A questi provvedimenti ha fatto seguito una stasi legi-

slativa fino al 1976, anno di approvazione della Legge

Merli n° 319 del 10/05/76 sulla difesa delle acque dal-

l’inquinamento. La Legge Merli stabiliva un’unica di-

sciplina degli scarichi in tutto il territorio nazionale,

senza tenere in debita considerazione la specificità

del sito, né l’impatto ambientale dello scarico sullo

stesso: nulla veniva detto sulle potenzialità e sull’uso

del recettore, inoltre non indicava quali fossero gli

obiettivi di qualità da rispettare.

Ciò nonostante, la Legge 319/76, integrata e modifica-

ta dalla Legge 650/79, ha introdotto i presupposti per

un livello di protezione ambientale omogeneo su tutto il

territorio nazionale. L’ordinamento legislativo distingue

nettamente gli scarichi degli insediamenti produttivi re-

capitanti in acque superficiali da quelli recapitanti in

pubblica fognatura, servita o non servita da impianto di

depurazione finale, e dagli scarichi della pubblica fo-

gnatura recapitanti in acque superficiali. Questa impo-

stazione ha incentivato la crescita di sistemi integrati di

depurazione delle acque, che si sono fondati sull’unifi-

cazione di scarichi civili e industriali, per dar vita ad im-

pianti di trattamento misti. Nella gestione di questi im-

pianti ha avuto un ruolo crescente la pubblica ammini-

strazione, spesso da sola, a volte in associazione con

privati.

Accanto alla normativa sopraccitata, vigeva un altro

pacchetto di leggi, D.P.R. 515/82 (acque superficiali

destinate alla potabilizzazione), D.P.R. 470/82 (balnea-

zione), D.Lgs. 130/92 (acque idonee alla vita dei pe-

sci), D.Lgs. 131/92 (acque idonee alla vita dei mollu-

schi), D.Lgs. 132/92 e D.Lgs. 133/92 (sostanze perico-

lose), di recepimento di Direttive Europee, che aveva-

no come oggetto la regolamentazione delle caratteri-

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Evoluzione della normativa

in materia di acquedalla Legge Merli al D. Lgs. 152/99

........................CAPITOLO 2

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que reflue urbane e 91/676/CEE relativa alla protezio-

ne delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati

provenienti da fonti agricole.

Il decreto ricomprende, precisandone i termini, le pre-

scrizioni delle direttive “Vita pesci “ (78/659/CEE),

“Molluschi” (91/492/CEE), “Acque destinate alla pota-

bilizzazione” (75/449/CEE), “Balneazione”

(76/160/CEE) e “Sostanze pericolose” (76/464/CEE,

82/491/CEE e 84/156/CEE sul mercurio, 83/513/CEE

sul cadmio, 84/491/CEE sull’ esaclorocicloesano,

86/280/CEE, ecc.) già recepite con appositi decreti. Si

ammoderna l’intera normativa di settore, e si introdu-

cono 3 fondamentali innovazioni:

• la tutela integrata degli aspetti quantitativi e quali-

tativi nell’ambito di ciascun bacino idrografico;

• l’individuazione di obiettivi di qualità ambientale cui

far riferimento per la definizione dei limiti allo scari-

co e la predisposizione di misure ed interventi di ri-

sanamento;

• l’impostazione di un adeguato sistema di monito-

raggio e di classificazione dei corpi idrici come ba-

se per l’attività di pianificazione e risanamento (ne-

gli anni precedenti all’entrata in vigore del D. Lgs.

152/99 il monitoraggio in Italia è stato effettuato a

“macchia di leopardo”).

Il D.Lgs. 152/99 sposta l’attenzione dallo scarico al-

l’ambiente che lo riceve, modulando quantità e qualità

degli scarichi in relazione alle capacità autodepurative

del corpo idrico recettore; si prefigge di mantenere la

capacità naturale di rigenerazione dei corpi idrici, ne-

cessaria a sostenere comunità animali e vegetali am-

pie e ben diversificate, senza compromettere l’utilizzo

della risorsa nei confronti delle aspettative e dei diritti

delle generazioni future (sviluppo sostenibile).

Il decreto definisce la disciplina generale per la tutela

delle acque superficiali, marine e sotterranee con i se-

guenti obiettivi da perseguire:

• prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risa-

namento dei corpi idrici inquinati;

• migliorare lo stato delle acque e proteggere quelle

destinate a particolari usi;

• utilizzare le risorse idriche in maniera sostenibile e

stiche qualitative delle acque in funzione al loro utiliz-

zo. Nel 1989 viene emanata la Legge 183 sulla difesa

del suolo, che ha come scopo, tra l’altro, di assicurare

il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione

del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo

economico e sociale.

Essa individua nel bacino idrografico l’unità ecosiste-

mica di riferimento e nel piano di bacino lo strumento

conoscitivo, normativo, tecnico-operativo mediante il

quale sono pianificate e programmate le azioni e le

norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla dife-

sa, alla valorizzazione del suolo e al diretto utilizzo

delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e

ambientali del territorio interessato.

Nel 1994 viene emanata la Legge n° 36, più nota co-

me Legge “Galli” dal nome del parlamentare che ne è

stato il relatore, che introduce il principio secondo cui

tutte le acque sono pubbliche; ciascuna di esse è es-

senziale ai fini della conservazione di un integro patri-

monio ambientale e costituisce una risorsa salvaguar-

data e utilizzata secondo criteri di solidarietà.

La gestione dei servizi delle risorse idriche viene affi-

data al servizio idrico integrato (captazione, adduzio-

ne e distribuzione delle acque potabili; fognature; ac-

que di depurazione). Individua il bilancio idrico come

equilibrio tra fabbisogno, consumo e disponibilità e re-

gola il prelievo in armonia con il D. M. V., deflusso mi-

nimo vitale.

La Legge 15/03/97 (“Bassanini”) prevede maggiori attri-

buzioni a Regioni ed Enti locali, ripartendo funzioni e

competenze tra organi di governo centrali e periferici, in

ossequio ai principi del decentramento amministrativo.

Il D. Lgs. 112/98 distingue tra competenze dello Stato

e competenze delle Regioni e autonomie locali sulla

gestione dei beni del demanio idrico (art. 86), nonché

i principali compiti di tutela dall’inquinamento e di go-

verno delle acque (artt. 81 e 89).

A 23 anni dalla emanazione della Legge “Merli, avvie-

ne la riforma realizzata con il D. Lgs. 152/99, modifi-

cato successivamente dal D. Lgs. 258/2000.

Con il D. Lgs. 152/99 si recepiscono le direttive euro-

pee 91/271/CEE concernente il trattamento delle ac-

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La competenza del rilascio delle autorizzazioni agli

scarichi industriali (anche assimilati) che non recapita-

no in reti fognarie viene affidata alle Province alle qua-

li viene delegato anche il compito di autorizzare gli

scarichi di acque reflue urbane (reti fognarie), mentre

l’autorizzazione agli scarichi in rete fognaria è di com-

petenza del Comune.

Il decreto inoltre riporta le “aree particolari richiedenti

misure di prevenzione dall’inquinamento e di risana-

mento”, e cioè:

• le aree sensibili (es. acque dolci esposte al feno-

meno dell’eutrofizzazione; acque dolci destinate ad

uso potabile aventi concentrazioni di nitrati mag-

giore di 50 mg/l);

• le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola;

• le zone vulnerabili da prodotti fitosanitari;

• altre zone vulnerabili (es. alla desertificazione);

• le aree di salvaguardia (zone di tutela assoluta, di

rispetto e di protezione a seconda della distanza ri-

spetto al punto di captazione) per le acque desti-

nate al consumo umano.

In ambito comunitario la normativa in materia di tutela

delle acque fa riferimento alla Water Framework Di-

rective 2000/60/CE, che dovrà essere recepita dagli

Stati Membri entro il 2003, i cui obiettivi sono:

• evitare l’ulteriore degrado e migliorare lo stato de-

gli ecosistemi acquatici e terrestri collegati;

• garantire la disponibilità futura delle risorse e gli usi

prioritari: consumo umano e usi produttivi attraver-

so un utilizzo idrico sostenibile;

• migliorare l’ambiente acquatico attraverso l’arresto

o la riduzione degli scarichi, emissioni e perdite di

sostanze prioritarie;

• ridurre i rischi di inondazioni e siccità.

L’attuazione della direttiva comporta un processo di

condivisione degli elementi tecnico-scientifici di appli-

cazione da parte degli Stati Membri di non facile com-

pimento.

A tal fine sono stati costituiti dei gruppi di lavoro di cui

fanno parte esperti di ciascun Stato membro, con il

compito di elaborare linee guida e metodi operativi per

l’implementazione della Direttiva: l’Italia è leader nello

durevole, con priorità per quelle potabili;

• mantenere la capacità naturale di autodepurazione

dei corpi idrici e la capacità di sostenere comunità

animali e vegetali diversificate; a tal fine disciplina

i limiti allo scarico, il sistema infrastrutturale (fo-

gnature, depuratori), la definizione delle zone vul-

nerabili, delle aree sensibili e definisce per i corpi

idrici obiettivi di qualità ambientale e per specifica

destinazione (produzione di acqua potabile, bal-

neazione, vita dei pesci, vita dei molluschi).

Gli obiettivi e lo stato di qualità ambientale vengono

definiti in base al monitoraggio e alla classificazione

del corpo idrico, che verranno descritti dettagliata-

mente al capitolo 5 di questo volume.

Le attività di monitoraggio e classificazione sono arti-

colate in due fasi: una fase conoscitiva iniziale (24 me-

si) e una fase a regime che deve verificare il raggiun-

gimento/mantenimento dell’obiettivo di qualità am-

bientale di “buono” al 2016.

Il raggiungimento di questi obiettivi è affidato ad una

molteplicità di strumenti, tra cui il Piano di Tutela delle

Acque; esso si configura come piano stralcio di setto-

re relativamente al Piano Generale di Bacino e deve

essere adottato dalle Regioni entro dicembre 2003. Il

processo di elaborazione è già iniziato in un tavolo co-

mune, coordinato dalla Regione ed a cui partecipano

Autorità di Bacino, Province, ARPA. La definizione del

Piano di Tutela richiede la preventiva elaborazione e

la realizzazione di programmi mirati alla conoscenza

dello stato qualitativo e quantitativo dei corpi idrici e

all’acquisizione delle necessarie informazioni sulle ca-

ratteristiche fisiche, naturali e socio-economiche dei

bacini per valutare le pressioni e gli impatti da essi su-

biti. Anche il sistema dei controlli cambia ed è orienta-

to sulla qualità del corpo idrico recettore: le Regioni

possono stabilire limiti diversificati in funzione del cor-

po recettore e vengono introdotti nuovi criteri di con-

trollo, variando sia il numero sia il tipo di parametri di

indagine, oltre che le modalità di campionamento.

Nella disciplina degli scarichi viene data una definizio-

ne univoca di scarico, nonché di “acque reflue dome-

stiche” , “industriali” e “urbane”.

17

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fico, che consiste in “ un’ area di terra e mare costituita

da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive

acque sotterranee e costiere”. Per ciascun distretto cia-

scun Paese Membro predispone un piano di gestione

del bacino idrografico che dovrà essere adottato entro

9 anni dall’emanazione della direttiva.

Lo stato ecologico viene qui definito come: “l’espressio-

ne della qualità della struttura e del funzionamento de-

gli ecosistemi acquatici associati alle acque superficia-

li”. Tra gli elementi qualitativi utili per la classificazione

dei corsi d’acqua superficiali sono riportati quelli “idro-

morfologici a sostegno degli elementi biologici”: regime

idrologico, continuità fluviale, condizioni morfologiche

dell’alveo, struttura della zona ripariale, per attuare una

“sorveglianza ecologica degli ambienti” e mantenere la

funzionalità degli ecosistemi intesi come complessa re-

te di interazioni tra componenti abiotiche e biotiche.

sviluppo di linee guida sul monitoraggio. E’ da sottoli-

neare, inoltre, che la strategia comune di attuazione

della WFD comporta anche la necessità di condividere

le informazioni tra Stati e Commissione Europea e di

coinvolgere e far crescere la consapevolezza dell’opi-

nione pubblica sulle questioni riguardanti le politiche

della risorsa idrica.

In Italia, l’emanazione del D.Lgs. 152/99 e le attività av-

viate per la sua applicazione si sono svolte parallela-

mente all’elaborazione della direttiva quadro e, in qual-

che modo, ne hanno anticipato le disposizioni e le pre-

scrizioni. Mantenendo la stessa base concettuale e per-

seguendo gli stessi obiettivi ambientali, il lavoro svolto

ai sensi del D.Lgs. 152/99 costituisce, quindi, un pre-

supposto importante per il suo recepimento.

La direttiva comunitaria individua come principale unità

per la gestione dei bacini idrografici il Distretto Idrogra-

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da un punto di vista geografico i bacini idrograficidella Provincia di Piacenza sono, a partire daOvest: il Bardonezza, il Lora-Carogna, il Tidone, il

Loggia, il Vescovo, il Raganella, il Trebbia, il Rifiuto, ilNure, il Chiavenna, il Cavo Fontana e l’Arda-Ongina; loStirone ed in parte l’Arda-Ongina segnano in alcuni trattiil confine con la Provincia di Parma.Il confine idrografico dell’area supera quello amministra-tivo della Provincia, ed è rappresentato, oltre che dal Poa nord, dallo spartiacque appenninico a sud, dal bacinodel Torrente Bardonezza a ovest e dal bacino delTorrente Stirone ad est (figura 3.2). I principali corsi d’ac-qua che scorrono all’interno dei bacini sono il Tidone, ilTrebbia con il suo affluente Aveto, il Nure, il Riglio, ilChero, il Chiavenna, l’Arda, l’Ongina. I corsi d’acqua si-tuati a est del Nure sono caratterizzati dall’assenza di unvero bacino montano, avendo origine nella porzione col-linare della Provincia. Nell’inquadramento del reticolo idrografico provinciale èopportuno suddividere il territorio in due settori, posti ri-spettivamente a nord e a sud della congiungente “Diga diMolato” - Bobbio - Farini d’Olmo - Casali di Morfasso. A nord di tale linea i corsi d’acqua raggiungono il Po conandamento SW - NE, mantenendosi pressoché parallelitra di loro e ortogonali all’asse appenninico. Il TorrenteTidone (a Mottaziana), il Torrente Luretta (a Rivarossa)ed il Fiume Trebbia (a Rivergaro) sono però caratterizza-ti da una brusca deviazione di percorso, con rotazione insenso antiorario e passaggio dalla direzione NE alla N. Tali deviazioni sono state probabilmente favorite da re-

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I baciniidrografici

della provincia di Piacenza

3.1 Inquadramento territoriale

.....................

centi movimenti tettonici del substrato, che hanno eserci-tato un’azione di richiamo sui corsi d’acqua verso le areedi relativo abbassamento.Il fiume Trebbia riprende, poi, l’andamento NE a valle diQuartazzola, forse anche a causa di interventi antropici. In diversi tratti di pianura i corpi idrici superficiali scorro-no lungo dossi sopraelevati di qualche metro rispetto al-la campagna circostante, prodotti dalla deposizione dimateriali alluvionali a seguito delle numerose esondazio-ni che si sono verificate nel corso dei secoli, prima che icorsi d’acqua venissero arginati artificialmente.Per quanto riguarda il settore collinare e di montagna, asud della linea sopra menzionata, la direzione di deflus-so SW - NE appare meno regolare, con frequenti diva-gazioni verso NW. Questo si verifica perché in queste zo-ne l’andamento dei corsi d’acqua è influenzato, oltre chedalla pendenza, da fattori litologici (diversi gradi di ero-dibilità, aggiramenti di rocce più resistenti ecc.) e struttu-rali (giacitura degli strati, presenza di linee di faglia, sol-levamenti differenziali, ecc.). In queste zone il reticolo idrografico è in fase di “ringio-vanimento”, ossia di ripresa dell’attività erosiva. Ciò è dovuto sia a fattori antropici, quali l’intensa attivitàestrattiva esercitata negli alvei fluviali nel corso degli an-ni e le opere di rimboschimento effettuate lungo i versan-ti vallivi, sia all’innalzamento cui è sottoposta la catenaappenninica, che determina l’aumento di pendenza equindi di capacità erosiva da parte dei corsi d’acqua. Questo fenomeno comporta in alcuni casi la riattivazionedi frane quiescenti e l’innesco di nuovi fenomeni franosi

CAPITOLO 3

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a causa del progressivo scalzamento della base deiversanti.Qui di seguito vengono descritti sommariamente i prin-cipali bacini idrografici e si rimanda ai cap. 5 – Rete diMonitoraggio, e 6 – Effetti sugli ecosistemi fluviali perun’analisi dettagliata delle componenti più caratteriz-zanti.

Bacino del Torrente BardonezzaIl bacino del Bardonezza è il più occidentale dellaRegione Emilia Romagna, ha un’estensione di 43,7Km2 e gravita per 2/3 nel territorio di competenza dellaprovincia di Pavia. Solamente due Comuni piacentini insistono, infatti, suquesto bacino: il Comune di Castel San Giovanni e il

Comune di Ziano Piacentino, gli altri (Arena Po,Bosnasco, Montù Beccaria, Rovescala, San Damiano eSanta Maria della Versa) ricadono in provincia di Pavia. Il bacino è costituito dall’unico torrente Bardonezza, chesi estende per una lunghezza di 21,6 Km.

Bacino del Carona-BoriaccoIl bacino, noto anche con la denominazione “Pianura traBardonezza e Tidone”, ha un’estensione di 34,4 Km2 ecomprende il torrente Boriacco, che si forma per con-fluenza del Rio Carona con il Rio Lora e dopo un cam-mino di circa 3 Km confluisce nel fiume Po, con unaportata media annuale alla foce di 0,147 m3 / sec.Il Rio Lora ha uno sviluppo di 6,9 Km ed un bacino im-brifero di 7 km2, mentre il Rio Carona si sviluppa per cir-

Figura 3.1: principali bacini che interessano la provincia di Piacenza.

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ca 15 Km ed un bacino imbrifero di 26,6 Km2 .Il bacino comprende anche il Rio Grande, canale artifi-ciale ad uso irriguo e drenante, derivato dal torrenteTidone, che nel primo tratto del suo corso assume ladenominazione di Rio Macinatoio e confluisce nelBoriacco a valle di Castel San Giovanni come RioMolinatoio, il Rio Canello, piccolo canale, quasi total-mente intubato, che confluisce nel Carona, a valle diBorgonovo e il Rio Cane che vi confluisce all’altezza diCastel San Giovanni.

Bacino del Torrente TidoneIl bacino del Torrente Tidone ha un’estensione di 353,4Km2, dei quali circa 82 ricadono in territorio extra pro-vinciale. Il Torrente Tidone nasce dal Monte Penice(1000 m s.l.m.), in provincia di Pavia; dopo un inizialeandamento sud-nord compie un’ansa e assume dire-zione nord-est finchè entra in provincia di Piacenza inlocalità Fabbiano, dopo circa 13 Km. All’altezza di Trebecco è interrotto da uno sbarramentoartificiale che dà origine all’invaso del Molato, quindiabbandona la zona collinare proseguendo con anda-mento a meandri fino a Veratto, in comune di Sarmato;confluisce infine nel Po dopo un percorso in provincia diPiacenza di 32 chilometri.I suoi affluenti principali sono i torrenti Tidoncello,Chiarone e Luretta in sponda destra, il torrenteMorcione in sponda sinistra.

Bacino del fiume TrebbiaAmministrativamente il bacino del fiume Trebbia, vastocirca 1085 km2, è ripartito tra il territorio piacentino(716,2 km2), la provincia di Genova e quella di Pavia(totale extraregionale 369,3 km2). Nasce sull’AppenninoLigure, dalle pendici del monte Prela (1406 m) eLavagnola (1118 m) in comune di Torriglia (Genova) econfluisce nel Po, a ovest di Piacenza, dopo un percor-so di circa 116 Km, poco a ovest di Piacenza. Dopo cir-ca 15 km di percorso tortuoso, con marcate caratteristi-che torrentizie, riceve dalla sinistra due ricchi affluentiprovenienti dai versanti del monte Antola: il Brugneto eil Cassingheno. Poco più a valle riceve in destra oro-grafica il Pescia, dalla zona di Fontanigorda e fra gli abi-tati di Gorreto e Brugneto il Terenzone e il Dorbera chesegnano l’ingresso del Trebbia in Provincia di Piacenza.

In questo tratto vi confluiscono il Boreca, che è il terzoaffluente come estensione di bacino dopo l’Aveto e ilPerino e il secondo come portata dopo l’Aveto; quindil’Avagnone, entrambi affluenti di sinistra.Poco a monte di Marsaglia riceve l’Aveto, lungo circa 30Km che ne raddoppia la portata a causa dell’alta piovo-sità del suo bacino, che ha superficie pari a 257 Km2

circa. La piovosità in questo tratto è influenzata dal fat-to che si tratta di zona di transizione tra il clima conti-nentale della Pianura Padana e quello tirrenico sub-lito-raneo della Liguria: le precipitazioni variano da 700mm/anno in pianura a 2000 mm/anno in montagna,quantitativi che inseriscono la Val Trebbia tra le zonepiù piovose dell’intero territorio nazionale. A valle di Marsaglia i contributi significativi si limitano alCuriasca di S. Michele, in località S. Salvatore, alBobbio proveniente dal Monte Penice, presso Bobbio,al Fosso degli Aregli (o Arelli) a Barberino ed al Perino. Il tratto montano, che si sviluppa per circa 95 Km dallasorgente fino a Rivergaro, presenta un alveo profonda-mente incassato nel substrato roccioso, con morfologiacaratterizzata da meandri incastrati in roccia, con cur-vatura generalmente elevata. Il tratto di pianura scorrein un’ampia conoide con alveo tipicamente ramificato fi-no alla confluenza in Po, con ampie aree golenali e no-tevoli depositi alluvionali. Il bacino di alimentazione, sot-teso dalla sezione di Rivergaro, misura circa 938 Km2.

Bacino del Torrente NureIl Nure ha origine dal Monte Nero-Monte Maggiorascasull’Appennino Ligure, a circa 1800 m s.l.m., al confinecon la provincia di Genova: si sviluppa con il tipicoorientamento SW-NE e confluisce nel Po a est diPiacenza, nei pressi di Roncaglia, dopo aver percorsocirca 75 Km, di cui 43 nella parte montana del bacino. Il bacino misura complessivamente 466,6 Km2. Dallasorgente sino a Ferriere scorre in un alveo inciso in unavalle stretta e con versanti molto acclivi, con un percor-so di circa 10 km: qui riceve il Grondana, provenientedai versanti compresi tra i monti Carevolo, Aserei eAlbareto. Proseguendo nel suo corso la valle tendegradualmente ad allargarsi e a Bosconure riceve ilLardana e il Lavaiana. Nel restante tratto fino alla focesi hanno solo affluenti minori (Lobbia, Restano, GroppoDucale).

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poco articolato e per gran parte artificiale nel tratto dipianura, formato da un complesso reticolo di canali aduso irriguo per le aree agricole dei comuni di Vernasca,Castell’Arquato, Alseno, Fiorenzuola, Besenzone eVillanova sull’ Arda.

Bacino del Rio RifiutoIl bacino del Rifiuto si estende per 16,8 km2, ed è deli-mitato fisicamente a Nord dal Fiume Po, ad Est Sud-Estdal bacino del Torrente Nure, ed infine ad Ovest Sud-Ovest dal bacino del Fiume Trebbia. Si tratta di una porzione di territorio isolata idrologica-mente a sud attraverso un sistema di canali di bonificache provvedono alla cattura dei deflussi, alla loro regi-mazione e al loro scarico. Il comune di Piacenza è l’u-nico che insiste su questo territorio, da cui la denomi-nazione di bacino “Città di Piacenza”. Date le modifica-zioni avvenute nel tempo sul suo territorio di competen-za, non viene più considerato “bacino” ai sensi delD.Lgs. 152/99; tuttavia per completezza di informazio-ne, in questo volume sarà menzionato per presentare idati relativi al monitoraggio pregresso.

Bacino del Cavo FontanaIl bacino del Cavo Fontana si estende per 157 km2 disuperficie localizzata a ridosso del fiume Po, tra i tor-renti Chiavenna e Arda, drenata da un complesso reti-colo di canali artificiali ad uso irriguo per le aree agrico-le dei comuni della bassa pianura orientale(Castelvetro, Monticelli d’Ongina, Villanova sull’Arda, S.Pietro in Cerro, Cortemaggiore e Fiorenzuola d’Arda). IlCavo Fontana, corpo idrico artificiale, ha origine dallaconfluenza di due sistemi di canalizzazioni:- il sistema del Cavo Fontana Alta e Bassa, che racco-glie le acque dei canali Scolo la Valle, Fosso Budello,Rio Mezzano, Canale della Sforzesca, Canale di S.Protaso, Scolo Ravacolla, Cavo Manzi, Cavo LaFontana, Cavo Acquanegra; - il sistema del Cavo La Morta che raccoglie il contribu-to dello scolo Gambina.

Fiume PoLa sponda destra del fiume Po segna il confine fraEmilia e Lombardia nel tratto compreso nel territoriodella provincia di Piacenza. Il Po è influenzato dalle ca-

Vista la forma stretta e allungata del bacino, il reticolosecondario è tutto di dimensioni relativamente contenu-te, sviluppato attorno all’asta principale, con sottobacinisottesi dell’ordine dei 20-40 Km2.

Bacino del Torrente ChiavennaHa origine dal monte Taverne (806 m s.l.m.) e conflui-sce nel Po all’altezza di Caorso; il bacino di alimenta-zione è compreso per la maggior parte nella zona colli-nare della provincia.Nel tratto di pianura riceve in sponda sinistra il Chero aRoveleto e il Riglio, nel quale confluisce il Vezzeno, amonte di Caorso; i bacini dei due tributari sono di di-mensioni simili (poco meno di 50 Km2), maggiori diquello del Chiavenna (32 Km2 circa). La superficie to-tale del bacino misura 360,1 km2.Il reticolo idrografico secondario, poco articolato, è svi-luppato prevalentemente nella parte di pianura, con an-damento preferenziale parallelo alle tre aste principali.

Bacino del Torrente ArdaIl bacino del Torrente Arda ha una superficie complessi-va di 300 km2 e confina a Nord con il Fiume Po, ad Este a Sud con il bacino del Taro, a Sud-Ovest con il baci-no del Nure e ad Ovest con il bacino del Chiavenna. Ilreticolo idrografico del bacino è composto da due siste-mi distinti, rispettivamente l’Arda e l’Ongina. La con-fluenza dell’Ongina in Arda avviene poco prima della fo-ce ed è il risultato di un intervento artificiale. All’interno degli argini del Po, all’altezza di PolesineParmense, è ancora presente il precedente alveodell’Ongina, (“Ongina Vecchia”), che confluisce diretta-mente nel Po circa tre chilometri a valle della foce deltorrente Arda. Quest’ultimo nasce sul monte Menegosa(1356 m s.l.m.), ha un percorso con direzione SW-NE;presso Mignano è interrotto da uno sbarramento artifi-ciale che dà origine all’omonimo lago, ad uso essen-zialmente irriguo, con capacità di invaso di 15 milioni dim3. Il bacino idrografico dell’Ongina, di forma stretta eallungata, sottende un’area di 152 Km2 che si sviluppadalla zona montana del Comune di Vernasca fino allabassa pianura del Fiume Po, compresa tra i torrentiStirone ed Arda. L’Ongina ha una parte collinare decisamente più mo-desta rispetto all’Arda, con un reticolo idrografico molto

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ratteristiche dei suoi affluenti, sostanzialmente di due ti-pi: di origine alpina-glaciale e appenninica. La prima ècaratterizzata da regime fluviale con apporto idrico re-golato, dato dallo scioglimento delle nevi, con picco dideflusso estivo; la seconda da regime torrentizio, ali-mentato tipicamente dal flusso superficiale e sotterra-neo prodotto dalle precipitazioni, accompagnato da no-tevole trasporto solido, con minimo stagionale in estate,spesso con siccità assoluta.

Il Po raccoglie nel suo percorso da ovest verso est tuttigli affluenti piacentini di destra costituiti da corsi d’ac-qua appenninici; i tratti montani di questi torrenti cedo-no grandi quantità d’acqua all’acquifero sotterraneo incorrispondenza del margine della pianura alluvionale,caratterizzata da elevata permeabilità con effetto dre-nante. Nel tratto piacentino l’asta fluviale ha una con-notazione prevalentemente artificiale, per le opere di di-fesa e di sistemazione idraulica.

Figura 3.2: Ambito territoriale del bacino del Po.

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3.2 Il clima nella provincia di Piacenza alla luce delle recenti conoscenze sui cambiamenti climatici

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sino a 0,8 °C in media nel XX secolo. Tale tendenza nonè stata omogenea su tutto il periodo ma, al contrario,sembra essersi verificato un netto aumento sino al 1940,poi una flessione sino al 1970, ed infine un nuovo drasti-co aumento dagli anni ’70 ad oggi. In particolare, duran-te il decennio 1981-1990, il riscaldamento è stato moltoelevato, con aumenti variabili tra 0,25 e 0,5 °C rispetto al-la media di lungo periodo, particolarmente alle medie edalte latitudini. A differenza della temperatura, dove la ten-denza è molto netta, per la precipitazione la media su tut-ta l’Europa non manifesta un trend molto evidente, spe-cialmente a partire dal 1950. La variabilità inter-annualesembra essere calata nella seconda parte del periodo.La precipitazione annua è aumentata dalla metà del XIXsecolo (dopo l’evento di siccità del 1940), con valori benal di sopra della media. Il maggior contributo al trend po-sitivo si ha nella stagione invernale, ed in parte in quellaprimaverile. La stagione estiva mostra invece una lievediminuzione nell’arco degli ultimi 130 anni (Bradley et al.,1987). Le precipitazioni annuali in questo secolo mostra-no un generale aumento dalle Alpi sino alle regioni scan-dinave, con aumenti variabili tra il 10% e il 50%. Nell’areageografica che si estende dal Mediterraneo sino allaRussia “europea”, le precipitazioni sono calate in modosensibile, sino al 20% (Piervitali et. al., 1998). I cambia-menti globali del campo termico hanno un’enorme in-fluenza sulla struttura e sull’evoluzione della circolazioneatmosferica. A loro volta, le modifiche dei flussi di circo-lazione generale inducono spostamenti nei percorsi del-le perturbazioni cicloniche e delle correnti a getto polaree sub-tropicale, che tracciano le rotte preferenziali delleperturbazioni extra-tropicali (cicloni ed anticicloni dellemedie e alte latitudini). Questi fenomeni interessano, adesempio, il bacino del Mediterraneo, caratterizzandone iltempo meteorologico al suolo. Il clima locale, che è l’ulti-mo anello di questa catena di complesse interazioni, vie-ne quindi sostanzialmente modificato. Lo studio di que-

3.2.1 La tendenza del clima a scala mondiale ed europea1

E’ ormai divenuto evidente che il clima del nostro piane-ta sta cambiando con una velocità che sembra cresceredi anno in anno e che non ha precedenti nel passato; leemissioni antropiche di gas clima-alteranti (o gas serra)sembrano essere la principale causa di questo cambia-mento (Intergovermental Panel of Climate Change,2001). In effetti il terzo rapporto del Gruppo di Lavoro suicambiamenti climatici (WG1 dell’IPCC, 2001), giunge al-le seguenti conclusioni:

• alla scala globale la temperatura media dell’aria ècresciuta di circa 1 grado centigrado dal 1860 ad og-gi, e il riscaldamento del XX secolo è probabilmente ilpiù alto degli ultimi 10 secoli. Gli anni ‘90 e il 1998 so-no stati rispettivamente il decennio e l’anno più caldi.L’incremento medio globale della temperatura dell’a-ria dal 1990 al 2100 è stimato fra 1,5 e 6 °C, e questosarebbe un evento che non ha precedenti negli ultimidiecimila anni;

• le precipitazioni decennali sono aumentate tra lo 0,5e l’1% durante il XX secolo soprattutto alle medie edalte latitudini dei continenti dell’Emisfero Nord, ed èaltrettanto evidente un aumento delle piogge nellearee tropicali, al contrario delle zone sub-tropicali(10°-30° N), dove le precipitazioni sembrano esseredrasticamente diminuite (-0,3%);

• il livello medio dei mari è cresciuto fra i 10 e i 20 cmnel corso del XX secolo, probabilmente a causa del-l’espansione termica delle acque dei mari e dello scio-glimento dei ghiacci. Questo evento non ha prece-denti negli ultimi tremila anni.

Passando dalla scala globale all’analisi di quanto sta ac-cadendo sul continente europeo, emerge che, pur condifferenze talvolta anche elevate, la maggior parte dellearee europee ha mostrato degli aumenti di temperatura

1 - Questo paragrafo e il successivo sono tratti con adattamenti da “Carlo Cacciamani, Marco Lazzeri, Andrea Selvini, Rodica Tomozeiu, AmbraZuccherelli, 2001. Evidenza di cambiamenti climatici sul Nord Italia. Parte 1: Analisi delle temperature e delle precipitazioni. Quaderno TecnicoARPA-SMR n° 02/2001”.

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contribuisce all’insorgere di queste manifestazioni me-teorologiche.I dati utilizzati nel presente studio a scala padana sonostati estratti dall’archivio di messaggi sinottici (messaggiSYNOP) ricevuti dall’Ufficio Generale di Meteorologiadell’Aeronautica Militare, relativi a precipitazione e tem-peratura dell’aria, rilevate in 30 stazioni sinottiche situatenel nord dell’Italia per il periodo 1960-1999. I bollettiniSYNOP sono messaggi meteorologici compilati e ripor-tano, ad ore prestabilite a livello internazionale (0, 3, 6, 9,12, 15, 18, e 21 GMT) temperatura, copertura nuvolosa,visibilità, pressione, precipitazione, tempo presente, ecc.Il clima di riferimento è stato calcolato come media tem-porale dei dati per il periodo 1960-1990 (come stabilitoda WMO, Climate Normals, CLINO, nota tecnica 847);successivamente è stata analizzata l’anomalia climaticadell’ultimo decennio da quello di riferimento. La precipita-zione mensile è ottenuta sommando tutti i dati giornalie-ri: dal dato mensile si sono ricavati i valori stagionali equelli annuali.

3.2.3 Le precipitazioniLe precipitazioni massime si osservano nelle aree mon-tuose (Alpi centro-occidentali, orientali e Appennino) convalori che vanno dai 1100 mm/anno ai 1300 mm/anno,mentre la pianura è caratterizzata da una piovosità deci-samente inferiore che, in particolare nel Polesine, scen-de fino a valori medi intorno a 600 mm/anno. E’ evidentecome la distribuzione della precipitazione alpina sia go-vernata dall’orografia (figura 3.3). Essa è responsabiledell’ascesa delle masse d’aria lungo i pendii, favorendo ifenomeni di condensazione e successiva precipitazione.L’influenza dell’orografia sulla quantità di precipitazione èparticolarmente evidente sull’area vicino ai laghi dellaPianura Padana occidentale (Lago Maggiore, Como eTicino) e in Friuli; un altro massimo è evidentenell’Appennino tosco-emiliano, in prossimità del crinaletra le province di Piacenza, Parma, La Spezia e MassaCarrara. Quantità di precipitazioni inferiori si riscontranonella Pianura Padana. Un’altra zona poco piovosa è ilsud del Piemonte, in prossimità dell’Appennino ligure.Infatti questa parte di pianura è protetta dai rilievi, inoltreil sollevamento forzato da parte dell’Appennino ligure del-

ste modifiche può essere fatto indagando la variabilità dialcuni indicatori climatici quali la temperatura dell’aria vi-cino al suolo, la precipitazione (quantità ed intensità), ilnumero delle giornate di sole e di cielo nuvoloso o co-perto, il numero dei giorni con foschia, nebbia, neve e co-sì via. Sicuramente la conoscenza di questi aspetti delclima locale è quella che più interessa sia il cittadino co-mune, sia gli amministratori pubblici, anche a livello lo-cale. Viste le ricadute sulle attività umane, sulla salute esull’ambiente che un clima diverso dall’attuale potrà ave-re, è necessario considerare il fattore “clima” come unodei più importanti nella catena delle decisioni. Una mag-giore conoscenza delle caratteristiche del clima locale,dei suoi cambiamenti nel recente passato (50-100 anni)e la definizione di scenari climatici futuri diventano per-tanto elementi di conoscenza e di approfondimento indi-spensabili per il bene della comunità.

3.2.2 Variazioni del clima nell’Italia del Nord

Dal punto di vista meteoclimatico la nostra è un’area trale più interessanti del pianeta. La particolare strutturageo-morfologica, caratteristica della regione, è respon-sabile della genesi di una vastissima varietà di fenomenimeteorologici a mesoscala (100-500 km) che danno luo-go ad anomalie termiche e precipitazioni talvolta anchemolto intense. Questi fenomeni sono spesso generatidall’interazione tra il flusso a scala sinottica e la com-plessa orografia (catena alpina, appenninica e delle Alpidinariche) che caratterizza tale parte del globo terrestre.Tra i fenomeni più noti, generati da tali interazioni, vannoricordate la ciclogenesi sul golfo ligure (Buzzi e Tibaldi,1978), e le complesse modificazioni e i ritardi subiti dallesuperfici frontali (in genere fronti freddi) dopo il passag-gio della catena alpina da NW a SE. Un altro fenomeno,che avviene su scale spaziali più ridotte, è lo sviluppodella convezione profonda e dell’attività temporalescache ne deriva (soprattutto in estate), con spesso asso-ciati fenomeni grandinigeni e, meno frequentemente,trombe d’aria (Cacciamani et al., 1995). La peculiare po-sizione della catena alpina, che si trova in mezzo a tregrandi aree climaticamente differenti (l’Oceano Atlantico,il bacino del Mediterraneo ed il continente Europeo),

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Figura 3.3: Precipitazione media annua nel periodo 1960-1999 (mm/anno).

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cui è più frequente la formazione di cicloni per la confi-gurazione dell’arco alpino, per la posizione sottovento delMar Ligure rispetto alle correnti atlantiche nord-occiden-tali, per il contrasto termico tra la massa d’aria prove-niente dai settori settentrionali ed il Mediterraneo, soprat-tutto in autunno. Quando l’area depressionaria si spostaverso est nell’area padano-adriatica, le precipitazioni siintensificano sull’Appennino e sulle aree pianeggianti vi-cine e possono risultare anche piuttosto abbondanti. Lepiogge sono caratterizzate da un andamento bimodalecon massimi in primavera e in autunno, con valori chevanno da 80 a 100 mm/mese. Nel caso dell’area padanacentrale il massimo di precipitazione si ha in Ottobre (105mm), mentre per l’area padana occidentale si ha inMaggio (circa 120 mm). Per l’area padana centrale gli ul-timi tre sono stati anni poco piovosi; tuttavia non si puòparlare di una tendenza negativa; l’area padana occi-dentale ha un andamento temporale molto simile a quel-lo dell’area padana centrale, anche se l’ultimo anno inquesta zona si mantiene nella media. La Tabella 3.1 rias-sume il comportamento degli ultimi dieci anni delle varie

le masse d’aria non determina apprezzabili precipitazionia causa della sua modesta elevazione. La particolareconformazione della Pianura Padana influenza la distri-buzione delle precipitazioni: l’arco alpino rappresenta unostacolo imponente per le correnti atmosferiche prove-nienti da sud che vengono convogliate, attraverso il MarAdriatico, verso il nord dell’Italia. Nel passaggio sul marele masse d’aria, relativamente calde, aumentano il lorocontenuto di umidità; tali correnti tendono in genere a se-pararsi in due rami: uno percorre la Pianura Padana in di-rezione nord-ovest e l’altro verso nord-est passa attra-verso le Alpi Carniche e Giulie. Il moto ascendente indot-to dall’orografia determina il raffreddamento delle massed’aria fino alla condensazione del vapore acqueo in essecontenuto. L’intensità massima delle precipitazioni sulNord Italia avviene quando si ha un minimo depressio-nario al suolo, nei pressi del Golfo di Genova o dell’alto-medio Tirreno. Le precipitazioni in queste situazioni sonoparticolarmente abbondanti nelle vicinanze dei versantimeridionali alpini e nella zona appenninica a ridosso del-la Liguria. Il Golfo di Genova, infatti, è una delle zone in

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vità temporalesca); le altre aree, invece, hanno unastruttura di tipo “bimodale” con i massimi centrati sui me-si primaverili ed autunnali. Le precipitazioni invernali eprimaverili di tutte le aree sono diminuite negli ultimi 10anni, mentre le precipitazioni estive sono aumentate so-lo sull’area alpina. Le precipitazioni autunnali sono au-mentate ovunque tranne che nell’area adriatica in cuisono lievemente diminuite. Il valore medio annuale èdiminuito su tutte le aree tranne che in quella tirrenica

aree nelle diverse stagioni rispetto al periodo climatico diriferimento 1960-1990. Si osserva che le precipitazioniinvernali e primaverili hanno subito una diminuzione intutte le aree considerate: l’area tirrenica è quella che hasubito la maggior flessione invernale, l’area padana oc-cidentale, invece, è quella che presenta la maggiore di-minuzione primaverile; i valori autunnali, invece, sonotutti positivi, tranne quello relativo all’area adriatica. Il va-lore medio annuale delle precipitazioni è diminuito negliultimi dieci anni in tutte le aree, tranne in quella tirrenicain cui si è mantenuto pressoché costante. Per verificarela significatività di un eventuale trend è stato utilizzato iltest statistico di Mann-Kendall al livello di confidenza del95% (Sneyers, 1975). Analizzando i cicli annuali dellestazioni a disposizione si è osservata la presenza di areeclimatologicamente omogenee (area alpina, padana oc-cidentale, padana centrale, adriatica e tirrenica) ognunadelle quali è caratterizzata da una diversa distribuzionedelle precipitazioni nel corso dell’anno (figura 3.4): l’areaalpina presenta un unico massimo di precipitazione incorrispondenza dei mesi estivi (associato, quindi, all’atti-

StagioneArea Inverno Primavera Estate Autunno Tutto

l’anno

Alpina -8.7 -12 5.2 11.8 -2.9

Adriatica -17.6 -11.8 -13.3 -0.9 -10.9

Tirrenica -20.7 -9.1 -7.5 38.3 0.2

Padana c. -17.9 -18.7 -13.1 16.9 -8.2

Padana oc. -11.0 -29.9 -8.2 13.6 -8.6

Totale -15.7 -17.9 -10.4 16.1 -7.0

Tabella 3.1: Scarti in mm tra le precipitazioni medie del periodo1990-1999 e quelle del periodo 1960-1990. In nerettogli scarti negativi.

Figura 3.4: Mappe del coefficiente del trend di precipitazione annuale e stagionale e sua significatività (i valori in colore sono statistica-mente significativi)

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circolazione valle-monte (brezza di valle) durante il gior-no e monte-valle (brezza di monte) durante la notte, do-vuti al riscaldamento solare diurno e al raffreddamentoradiativo notturno degli strati atmosferici vicini alla super-ficie. Nei mesi primaverili la zona più calda rimane quel-la tirrenica rispetto a quella adriatica, relativamente piùfredda per la superficie marina rispetto alla terraferma. Inestate il campo delle temperature massime presentamassimi lungo la fascia centrale della Pianura Padana; ivalori più bassi si hanno invece lungo la costa adriatica ein Liguria, perché nel periodo estivo la temperatura me-dia superficiale dell’acqua del mare è inferiore alle tem-perature massime che si hanno sulla terraferma. In au-tunno i valori massimi più elevati si hanno in Toscana,mentre quelli più bassi si hanno nella zona delle Prealpipiemontesi; i valori più bassi si riscontrano in prossimitàdelle Alpi, particolarmente in Piemonte.In tutte le quattro stagioni, i valori minimi più alti sono lo-calizzati nei dintorni delle zone costiere a causa, comedetto in precedenza, della presenza del mare; Luglio eGennaio risultano i mesi rispettivamente più caldi e piùfreddi per la maggior parte delle stazioni. Dal 1988 in poi i valori medi annui si mantengono supe-riori alla media del trentennio di riferimento. Le tempera-ture invernali sono tutte superiori alla media dall’inizio de-gli anni novanta in poi, in particolare le minime superanola media anche di oltre 2 °C. In estate le temperature ri-mangono sopra la media dal 1985 in poi, in particolare leminime degli ultimi due anni sono state superiori anche dioltre 2 °C. Le temperature autunnali, invece, non pre-sentano una tendenza all’aumento. I valori minimi si pre-sentano leggermente al di sopra del valor medio di riferi-mento dal 1990 in poi.

in cui è circa costante. L’analisi del trend ha evidenziatovalori significativamente negativi nella stagione invernalesu gran parte delle stazioni dell’area tirrenica e di quellaadriatica. Il mese di Novembre, invece, presenta valorisignificativamente negativi sull’area adriatica, sulla pada-na centrale e su gran parte di quella alpina.

3.2.4 Le temperature

La temperatura media annuale è mostrata in figura 3.5,dove i valori raffigurati sono quelli medi nei quarant’anniconsiderati (1960-1999), relativi alle stazioni al di sottodei 500 m. La temperatura massima su tutto il territorioconsiderato ha valori piuttosto uniformi e va da 16 °C a21 °C. La temperatura minima ha un’escursione più am-pia compresa tra 4.5 °C e 13.5 °C.L’analisi del ciclo stagionale delle temperature massimee minime mostra che nei mesi di Gennaio, Novembre eDicembre, le temperature massime assumono i valori piùbassi nella parte centrale della Pianura Padana; questoè dovuto in parte alla nebbia che riduce la quantità di ra-diazione solare. Le aree costiere, invece, registrano tem-perature più elevate perché, nella stagione fredda, latemperatura media superficiale dell’acqua del mare è diqualche grado superiore alla corrispondente temperaturadell’aria sulla terra e le coste non sono interessate dal fe-nomeno della nebbia. I valori dell’area tirrenica sono piùelevati per la maggior profondità del Mar Tirreno rispettoall’Adriatico. Le temperature minime più basse si osser-vano invece nelle zone limitrofe alle catene montuose,determinate anche dalla discesa di aria fredda nelle orenotturne dalle vallate alpine e appenniniche che si affac-ciano sulla Val Padana. Sui singoli pendii si instaura una

Tabella 3.2 Anomalia (°C) delle temperature massime (a sinistra) e minime (a destra) calcolate tra le medie del periodo 1990-1999 e del periodo di riferimento 1960-1990.

StagioneArea Inv. Prim. Estate Aut. Anno Inv. Prim. Estate Aut. Anno

Alpina 1.1 1 0.8 -0.6 0.6 0.9 0.8 1.2 0.4 0.8

Adriatica 1.2 0.9 1.6 0.5 1.1 1.1 0.6 1.3 1 1

Tirrenica 0.8 0.8 1 -0.1 0.6 0.5 0.5 1.1 0.7 0.7

Padana c. 1.5 1.3 1.2 0.3 1.1 1 0.7 1.2 0.8 0.9

Padana occ. 1.4 1.4 0.7 -0.3 0.8 1.4 1 1.1 0.5 1

Totale 1.2 1 1 0.1 0.8 0.9 0.6 1.1 0.8 0.9

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Figura 3.5: Mappe delle temperature medie annuali massime (in alto) e minime (in basso).

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cativamente positivi, con valori che vanno dai+0.02 °C/anno di Ravenna ai +0.06 °C/anno di Bolzano.Le stagioni che influenzano maggiormente questa ten-denza sono l’inverno e l’estate. Altri studi, realizzati suserie temporali più lunghe, hanno portato allo stesso ri-sultato (Maugeri et al., 1998). Anche nel caso delle tem-perature si sono osservate delle aree climatologicamen-te omogenee differenziate principalmente dalla maggioreo minore continentalità, in altre parole, dalla lontananza odalla vicinanza dal mare. Le temperature massime sonoaumentate su tutte le aree in inverno, primavera ed esta-te; in autunno hanno subito, invece, una flessione nell’a-rea alpina, tirrenica e padana occidentale. Il valore medioannuale è aumentato ovunque. Per quanto riguarda letemperature minime tutti i valori sono positivi in ogni areaed in ogni stagione. L’analisi del trend ha evidenziato va-lori significativamente positivi in inverno ed estate sia perle temperature massime che per quelle minime, sullamaggior parte delle stazioni.I mesi che maggiormente influenzano queste tendenzesono Dicembre, Gennaio, Luglio e Agosto.

L’area padana centrale presenta valori superiori allamedia solo dal 1992 in poi, quella occidentale dal 1989in poi. Le temperature estive si mantengono al di sopradella media per tutti gli anni novanta, quelle invernali so-lo negli ultimi cinque anni, mentre quelle primaverili equelle autunnali non presentano particolari caratteristi-che. Le temperature massime medie annuali sono au-mentate ovunque nel periodo 1990-1999, in particolarmodo sull’area adriatica e sulla padana centrale. L’unicastagione che presenta valori negativi sull’area alpina, sul-la tirrenica e sulla padana occidentale è l’autunno.Le temperature minime presentano sempre valori piùelevati: in particolare quelle estive hanno subito l’incre-mento maggiore su tutte le aree considerate.Anche per la temperatura come per le precipitazioni èstato usato il test di Mann-Kendall per verificare la signi-ficatività di un eventuale trend, che ha evidenziato comela temperatura massima annuale sia significativamentepositiva (+ 0.01 °C/anno di Pisa; + 0.05 °C/anno di PassoRolle e Bergamo). Anche i trend annuali delle temperatu-re minime (figura 3.6) sono per la maggior parte signifi-

Figura 3.6: Mappe del coefficiente del trend annuale e stagionale delle temperature minime e la sua significatività (i valori in colore sonostatisticamente significativi)

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cia di Genova dove si registrano valori di temperaturamedia annua inferiori ai 9 °C; l’interpolazione linearedella temperatura con la quota fornisce stime di valoriancora inferiori sino a scendere sotto gli 8 °C alle quo-te più elevate. Tra le serie di dati utilizzate nel presente studio si è ap-profondita l’analisi sull’andamento delle temperaturemedie mensili per la stazione di Bacedasco (130 ms.l.m.). Nel periodo considerato (dal 1990 al 2001) si sono cal-colati i valori medi mensili delle Temperature Massime,Medie e Minime (figura 3.8). I mesi più freddi risultano essere gennaio e febbraio incui le temperature minime medie sono rispettivamentedi –0.6 e –0.5 °C mentre le temperature massime me-die si attestano a 6.5 e 9.3 °C. Il mese più caldo nel periodo considerato risulta essereluglio con una temperatura massima media di 29.9 °C;segue agosto con 29.7 °C; i valori più alti delle tempe-rature minime medie mensili, si riscontrano nel mese diagosto con 17.4 °C, che risultano essere superiori alletemperature minime medie di giugno.

3.2.5 Il clima nella provincia di Piacenza

La particolare posizione geografica della provincia, po-sta a ridosso della catena appenninica occidentale, di-stante dalle influenze climatiche dell’Adriatico ma pros-sima al golfo ligure (che come già precedentemente de-scritto è un’area fondamentale nella definizione del cli-ma di tutto il Nord Italia), richiede una analisi particola-re dell’andamento dei parametri ambientali e climatici.L’influenza della catena appenninica diviene fondamen-tale nella definizione dell’andamento meteorologico,sia nell’azione di rallentamento e riduzione degli effettiprodotti dalle correnti perturbate atlantiche provenientida Ovest (con conseguenti e frequenti fenomeni diFöhen) sia viceversa nel bloccare il percorso di siste-mi nuvolosi provenienti da est ed amplificare di conse-guenza l’entità delle precipitazioni.Venti di Föhen appenninico non sono infrequenti epossono produrre aumenti di temperatura tali da modi-ficare la normale distribuzione regionale dei valori; a se-guito di questi fenomeni le Temperature MassimeAssolute del periodo di fine inverno (più frequentemen-te Febbraio e Marzo), possono raggiungere i valori piùelevati di tutta la regione proprio sui territori della pro-vincia di Piacenza. Il clima della Provincia è caratterizzato da temperatureminime invernali tra le più basse della regione e da tem-perature massime estive che, seppur elevate, risultanoinferiori ai valori massimi registrati nelle aree centrali,probabilmente in relazione alla più attiva ventilazionegenerata dalla relativa maggior vicinanza ai rilievi ap-penninici.

TemperaturaLa temperatura media della provincia è influenzata dal-l’orografia del territorio: l’elaborazione statistica del suoandamento in relazione alla quota (interpolazione linea-re) ha permesso di evidenziare una tendenza alla dimi-nuzione della temperatura media annua in relazione al-la quota pari a 0,37 °C ogni 100 m; i valori medi annuiin pianura (figura 3.7) si attestano intorno ai 12-13 °C,con punte inferiori nella zona di Villanova d’Arda (in cuisi ha un valore medio annuo di 11.2 °C). Le zone più fredde sono poste al confine con la provin-

Figura 3.7: Mappa delle temperature medie annue della provincia diPiacenza.

– 13,5

– 13

– 12,5

– 12

– 11,5

– 11

– 10,5

– 10

– 9.5

– 9

– 8.5

– 8

– 7.5

– 7

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vano nelle zone montane (figura 3.10), in particolare alconfine con la Liguria e con la provincia di Parma. In que-ste zone i valori annui di precipitazione rilevati sono com-presi tra 1450 e 1900 mm di pioggia (1448.3 mm di pre-cipitazione media annua nella stazione di Boschi d’Avetoe 1904.9 mm di precipitazione media annua nella stazio-ne di Selva). La precipitazione assoluta più alta risultaessere a Selva con 2138 mm registrata nell’anno 2000.I valori di precipitazione media annua nelle zone di pe-decollina e di pianura sono compresi tra 650 e 766 mm;652.7 mm nella stazione di Mortizza (45 m s.l.m.) e 770.2

Dalla stessa serie di dati sono stati estratti i valori estre-mi del periodo (figura 3.9) e, curiosamente, la tempera-tura minima assoluta e la temperatura massima assolutadel periodo sono state registrate nello stesso anno, ri-spettivamente il giorno 07/02/1991 con –16 °C e12/7/1991 con 36.5 °C.

PrecipitazioniIn provincia di Piacenza l’andamento delle precipitazioniannuali con la quota segue un gradiente positivo di circa90 mm ogni 100 m. Le precipitazioni massime si osser-

Figura 3.9: Temperature estreme mensili nella stazione diBacedasco (1990-2001).

Figura 3.10: Mappa delle precipitazioni medie annue in provincia diPiacenza (1990-2001).

2300

2200

2100

2000

1900

1800

1700

1600

1500

1400

1300

1200

1100

1000

900

800

700

600

Figura 3.8: Temperature medie mensili nella stazione di Bacedasco(1990-2001).

Figura 3.11: Precipitazione media mensile a Boschi d’Aveto (1990-2000).

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Mediamente molto piovosi risultano anche essere set-tembre e novembre.L’andamento bimodale generalmente rilevato nella pia-nura padana viene confermato in tutte le tre stazioni ana-lizzate in cui il secondo picco di precipitazione si registranel mese di aprile. I minimi di precipitazione media annuasi registrano in febbraio ed in luglio.

Evapotraspirazione potenziale (Etp)Nello studio del bilancio idroclimatico è necessario sti-mare la quantità di acqua che si allontana dal terreno perevaporazione. A questo scopo viene comunemente uti-lizzato un indice che stima il consumo globale di acquaper evaporazione superficiale e per traspirazione dallepiante (si considera convenzionalmente un terreno rico-perto di vegetazione bassa ed omogenea). Questo indi-ce prende il nome di evapotraspirazione potenziale(Etp). Nella distribuzione dell’evapotraspirazione totalemedia annua, calcolata in base alle temperature minimee massime si nota un gradiente negativo simile a quellodella temperatura. L’elaborazione matematica ha restitui-to un fattore di diminuzione dell’Etp in relazione alla quo-ta pari a 42 mm ogni 100 m. I dati calcolati evidenzianoin pianura (figura 3.14) i valori maggiori di Etp totale me-dia annua a seguito delle alte temperature registrate.

mm nella stazione di Bacedasco (130 m s.l.m.). Dallamappa in figura 3.10 si rileva che la zona di Villanovad’Arda, vicino al confine con il parmense, mostra un va-lore di precipitazione più alto rispetto alla media della pia-nura circostante. Considerando l’effetto della quota si sti-mano valori di precipitazione compresi tra 2100 e 2300mm nelle cime più alte del crinale appenninico.Per alcune stazioni si è approfondito lo studio climatolo-gico analizzando la pluviometria media mensile nel pe-riodo considerato. Il mese mediamente più piovoso risul-ta essere ottobre con valori superiori a 100 mm in pianu-ra (stazioni di Carmiano e Case Basse – figure 3.12 e3.13) e superiori a 280 mm in montagna (287 mm aBoschi D’Aveto – figura 3.11).

Figura 3.12: Precipitazione media mensile a Carmiano (1991-2001).

Figura 3.13: Precipitazione media mensile a Case Basse(1990-2001).

Figura 3.14: Evapotraspirazione potenziale annua (mm) in provinciadi Piacenza.

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Figura 3.15: Bilancio idroclimatico annuale (mm) in provincia diPiacenza.

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nor piovosità è associata un’elevata Etp dovuta alletemperature massime più elevate, mentre l’inverso siverifica sui rilievi. L’estremo inferiore si posiziona nellazona di Villanova sull’Arda (pianura orientale) in cui il bi-lancio è deficitario per oltre 400 mm annuali. Il surplusidrico più rilevante si posiziona invece sui crinali appen-

I valori sono compresi tra 800-1200 mm; 894.9 mm cal-colati sui dati della stazione di Corano (215 m s.l.m.) e1161.5 mm calcolati sui dati della stazione di Villanovad’Arda (40 m s.l.m.). Salendo in quota i valori diminuiscono e si stabilizzanotra gli 850 e i 750 mm. Valori ancora inferiori sono calco-lati per le zone di crinale.

Bilancio IdroclimaticoLo studio del bilancio idroclimatico, che consiste nelladifferenza tra i volumi di acqua in entrata (precipitazio-ni) e quelli in uscita (evapotraspirazione), permette di ri-cavare primarie informazioni sulla complessa interazio-ni acqua-terreno; situazioni di bilancio idrico negativosignificano generali condizioni di deficit con relativa ca-renza idrica per le colture, mentre valori positivi indica-no condizioni di surplus idrico con apporti di acqua alterreno che superano le uscite per evapotraspirazione:in queste situazioni l’eccesso di acqua si allontana dalterreno dando origine a fenomeni più o meno intensi dipercolazione e ruscellamento. L’elaborazione ricavata dai dati di precipitazione e diEtp rispecchia dunque l’andamento già descritto perqueste due grandezze: da notare (figura 3.15) l’elevatadispersione di valori che il bilancio assume nelle diver-se zone della provincia piacentina; nella pianura alla mi-

Figura 3.16: Bilancio idroclimatico stagionale per la stazione di Bacedasco.

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Figura 3.18: Andamento temporale delle temperature annue per la stazione di Bacedasco.

Figura 3.17: Bilancio idroclimatico stagionale per la stazione di Case Basse.

ninici con valori anche superiori a 1900 mm annuali.Nelle aree pedecollinari e di media pianura il bilancioidroclimatico si distribuisce su valori intermedi, ma sem-pre negativi, compresi tra –100 e –400 mm. Una inda-gine più approfondita sull’andamento del Bilancio idro-climatico stagionale in pianura nel periodo considerato

(vedi figure 3.16, 3.17) permette di osservare la variabi-lità dei valori del deficit estivo (compresi tra 200 e 500mm), i valori maggiori di surplus idrico si raggiungono inautunno-inverno con valori fino a 400 mm, ma non so-no infrequenti soprattutto nella stagione invernale casi sibilancio in pareggio o leggermente negativo.

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In relazione ai dati di temperatura relativi a quest’ultimaserie è necessario considerare le possibili variazioni mi-croclimatiche subite dal sito in cui si sono effettuate le mi-sure, che negli anni è stato inglobato nel tessuto urbanodella città di Piacenza.

A scopo puramente indicativo si riportano i grafici del-l’andamento dei valori di temperatura e precipitazione didue stazioni relativi a serie di dati dal 1990 (Bacedasco,figure 3.18 e 3.21) e dal 1951 o 1961 (S.LazzaroAlberoni, figure 3.19, 3.20 e 3.22).

36

Figura 3.19: Andamento della temperatura massima media annualea S. Lazzaro Alberoni - Piacenza (1961-2000).

Figura 3.20: Andamento della temperatura minima media annuale aS. Lazzaro Alberoni - Piacenza (1961-2000).

Figura 3.21: Andamento delle precipitazioni annuali nella stazione di Bacedasco (1990-2001).

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valori medi dei diversi anni disponibili. Quindi le sommatorie annue di precipitazioni medie at-tese e le temperature medie annue attese sono statemesse in correlazione con la quota, attraverso la re-gressione lineare semplice con un valore di R2 associa-to come indicatore della bontà della regressione.Utilizzando la formula “Previsione” di Microsoft Excelsono stati ottenuti i valori attesi di precipitazione e tem-peratura, calcolati secondo una tendenza lineare basa-ta sui valori esistenti di quota e dati osservati; calcolan-do gli scarti tra dato osservato e dato atteso si comple-tano le informazioni necessarie per produrre le mappedei grafici inseriti in questa relazione. Le mappe sono prodotte con il programma “Surfer 7”utilizzando il DEM (Digital Elevation Model) dell’Emilia-Romagna con risoluzione 1000 m e creando un griglia-to con i dati elaborati nelle precedenti operazioni; im-portando il grigliato in Surfer è possibile visualizzare levariazioni di dati, specifiche per le varie quote.I dati di evapotraspirazione potenziale (Etp) sono stati ot-tenuti applicando la formula di Hargreaves (che stimal’Etp facendo uso della temperatura massima e minimagiornaliera, della latitudine del sito e del giorno dell’anno).I dati del bilancio idrico climatico non sono stati calcola-

Fonte dei dati ProvincialiI dati utilizzati provengono dalle stazioni della rete delServizio Meteorologico Regionale, dalle stazioni mec-caniche appartenenti alla Provincia di Piacenza e dallestazioni del Servizio Idrografico Nazionale, relativamen-te ai dati di precipitazioni e temperatura media, minimae massima per le serie storiche disponibili.La metodologia seguita per analizzare le temperature èstata quella di attuare elaborazioni con Microsoft Excel.I dati sono stati inseriti in fogli di lavoro e rielaborati at-traverso tabelle pivot, al fine di ottenere per ogni sta-zione una media annua dei valori e un conteggio deglistessi; quando il conteggio risultava essere inferiore ai300 valori annui, il dato non è stato considerato comeattendibile e quindi è stato scartato.Per le precipitazioni si è seguito lo stesso metodo, mainvece di considerare valori medi annuali, che non han-no significato climatologico, si è considerata la somma-toria annua.Grazie alla disponibilità dei dati riepilogativi annualiper il periodo 1990-2002, a seconda della presenza omeno degli stessi nelle varie stazioni, è stato possibi-le effettuare la correlazione dei vari dati con la quotadella stazione che li ha registrati, ottenendo una me-dia annua relativa ad ogni quota, costruita mediando i

37

Figura 3.22: Andamento delle precipitazioni annuali nella stazione di S.Lazzaro Alberoni - Piacenza (1951-2000).

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nella mappa del BIC sono state calcolate le differenzedelle sommatorie medie annuali di precipitazione e eva-potraspirazione nelle stazioni che erano coincidenti.

ti, la mappa è stata ottenuta con Surfer 7 facendo la dif-ferenza dei dati del grid di precipitazione con i dati delgrid di evapotraspirazione; per mostrare alcuni valori

38

Località codice quota (m)

Utmx Utmy P T E B

Albareto 33067 270 532480 980935 x x x x

Bacedasco 33051 130 572980 966030 x x x x

Bobbio 33002 275 528493 956445 x

Boschi d’Aveto 33001 630 533700 936700 x x

Campremoldo di Sopra

20027 81 541790 983730 x

Carmiano 33052 287 548680 967583 x x

Carmiano 33052 287 548680 967583 x x

Case Basse 33053 140 531441 986530 x x x x

Corano 33056 215 533753 979518 x x x x

Fiorenzuola 33058 80 570673 975657 x

Gariga 33059 90 553743 981541 x

Montalbo 33060 357 529571 980026 x x x x

Monterosso 33061 290 571450 966901 x x x x

Monticelli 33062 45 575441 993241 x

Mortizza 33069 45 558513 990321 x x x x

Passo Cisa 16124 1039 574286 920518 x x x x

Paderna 33063 80 562466 978111 x x

Prato Ottesola 33064 212 563262 964593 x x x x

Sarmato 33065 70 540823 991120 x x x x

Selva 33003 1150 538500 937200 x x

Soarza 33070 37 581414 988768 x x

Teruzzi 33004 1000 554000 949600 x x

Verano 33066 196 532492 978559 x x x x

Vigolo Marchese 33068 158 565916 969053 x x x x

Villanova d’Arda 20001 40 579300 986630 x

Tabella 3.3 Stazioni utilizzate con l’indicazione del loro impiego per ilcalcolo delle diverse grandezze (P precipitazioni, Ttemperature, E etp, B bilancio)

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4.1.1 Scarichi industriali in corpo idricosuperficiale

il Decreto Legislativo 11 Maggio1999, n° 152 (suc-cessivamente modificato ed integrato dal DecretoLegislativo 18 Agosto 2000, n° 258), ha introdotto

nuove disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquina-mento e sul corretto trattamento delle acque reflue; inparticolare, per “acque reflue industriali” si devono in-tendere, secondo la definizione fornita dallo stesso De-creto, “le acque reflue scaricate da edifici ed installa-zioni in cui si svolgono attività commerciali o di produ-zione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche edalle acque meteoriche di dilavamento”.Questo comporta che non tutti gli insediamenti produtti-vi diano origine, necessariamente, ad acque reflue in-dustriali in quanto esistono aziende che, per il tipo di la-vorazioni effettuate, generano unicamente scarichi di ti-po domestico (es. un deposito merci produce, in viateorica, scarichi provenienti esclusivamente dai serviziigienici).Come già detto nel cap. 2, dal maggio 1999, alle Pro-vince, è stata attribuita l’attività inerente il rilascio delleautorizzazioni ed il controllo per questo tipo di scarichiche confluiscono in corpo idrico superficiale (sino aquella data tale competenza autorizzatoria era stata af-fidata ai Comuni).Dal 1999 al 2002 la Provincia ha autorizzato, nel rispet-to della nuova normativa di settore, circa 140 scarichi diacque reflue industriali in corpo idrico superficiale per i

quali ha, altresì, predisposto un catasto informatizzatoche permette di conoscere e mantenere aggiornati i da-ti relativi alla caratterizzazione quali-quantitativa delloscarico, al tipo di trattamento applicato, nonché alla si-tuazione amministrativa.Ogni scarico industriale è stato opportunamente georefe-renziato così da consentire, tra l’altro, la rappresentazio-ne della loro distribuzione sul territorio provinciale così co-me riportata in figura 4.1 che, data la scala, non consen-te sempre la distinzione fra i punti di scarico più vicini.

39

Fig. 4.1 distribuzione degli scarichi di acque reflue industriali incorpo idrico superficiale autorizzati

Fattori dipressione

antropica

4.1 Sorgenti di inquinamento puntuali

...................CAPITOLO 4

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totale e fosforo totale. Per quanto riguarda il calcolo delcarico di BOD5 generato si sono utilizzati, ove disponi-

bili, i dati contenuti nei certificati di analisi relativi al re-fluo; in assenza di tali informazioni, per la stima dei ca-richi si è proceduto applicando una procedura ampia-mente riconosciuta a livello scientifico, consistente nel-l’utilizzazione di opportuni coefficienti numerici (checonsentono di convertire il numero di “addetti “in “abi-tanti equivalenti”, cui corrisponde un determinato ap-porto giornaliero di inquinanti). I coefficienti utilizzati sono quelli proposti dall’Istituto diRicerca sulle Acque (IRSA) del CNR così come rielabo-rati, per determinare gli apporti unitari di inquinante, daARPA - Ingegneria Ambientale e dal Servizio Ambientedella Provincia di Piacenza in funzione di specifiche co-noscenze acquisite per alcune tipologie di scarico. Pervalutare il carico inquinante di BOD5 sversato, si sono

utilizzati i dati relativi ai campionamenti agli scarichi ove

Gli scarichi risultano addensati nella zona di pianura do-ve è presente una buona dotazione infrastrutturale chefavorisce l’insediamento di attività produttive. Ad ogni scarico è stato attribuito un codice (coerentecon il sistema di codifica Regionale) corrispondente aquello del sottobacino in cui lo stesso è presente, cosìda consentire il calcolo del carico inquinante (sia “ge-nerato” dall’attività produttiva, sia “sversato” nell’am-biente esterno all’insediamento dopo trattamento depu-rativo) prodotto dai medesimi scarichi che gravano suun preciso tratto dell’asta fluviale. Sulla base dei dati disponibili al 31/10/2002 si è, quindi,effettuata una prima valutazione quali – quantitativa de-gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti, unica-mente, in corpo idrico superficiale. A tal fine si è proceduto a calcolare il carico inquinantegenerato e sversato limitatamente ai principali parame-tri: BOD5 (Biological Oxigen Demand a 5 giorni), azoto

CategoriaBOD5 generato

stimato [kg/anno]

BOD5 sversato [kg/anno]

Ntot generato [kg/anno]

Ntot sversato [kg/anno

Ptot generato [kg/anno]

Ptot sversato [kg/anno]

01 Agricoltura, caccia e relativi servizi 365.000 531 - - - -

05 Pesca, piscicoltura e servizi connessi 15 15 2 2 1 1

14 Altre industrie estrattive 26.928 13.622 2.693 2.127 898 557

15 Industrie alimentari e delle bevande 10.407.620 82.640 75.609 45.652 10.587 7.415

17 Industrie tessili 4.277 3.626 317 215 79 16

26 Prodotti da lavorazione minerali non metalliferi 8.594 939 901 721 180 144

27 Produzione di metalli e loro leghe 1.188 776 990 818 10 8

28 Fabbricazione e lavorazione di prodotti in metallo 4.066 2.647 1.830 1.529 102 82

29 Macchine ed apparecchi meccanici 1.637 308 164 130 55 11

33 Apparecchi medicali di precisione, strumenti ottici 1.560 31 - - - -

34 Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi 743 111 44 35 15 3

35 Altri mezzi di trasporto 4.039 344 238 143 79 56

36 Mobili; altre industrie manifatturiere 6.240 312 364 218 5 4

45 Costruzioni 280 44 28 14 9 3

50 Commercio, manutenzione, riparazione autoveicoli 163 63 16 13 5 2

51 Commercio all’ingrosso, intermediari del commercio 258 8 26 11 9 2

52 Commercio al dettaglio escluso autoveicoli 99 18 124 99 41 33

60 Trasporti terrestri; trasporti mediante condotte 61 21 6 5 2 1

74 Altre attività professionali ed imporenditoriali 994 149 99 79 33 7

R Dilavamenti e raffreddamenti 1.838 1.406 156 135 52 36

Totale complessivo 10.835.598 107.612 83.605 51.949 12.161 8.379

Tab. 4.1 Carichi inquinanti suddivisi per tipologia produttiva

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provenienti dal settore vitivinicolo di cui, ad oggi, non siconosce il reale contributo in termini di carichi organicieffettivamente sversati nei corpi idrici superficiali.Ove possibile le aziende, infatti, si sono allacciate allapubblica fognatura oppure, nel caso di unità produttivedi piccola e media dimensione, hanno optato per la ge-stione degli scarichi alla stregua di rifiuti, mediante lostoccaggio in vasche a tenuta con successivo conferi-mento a ditte autorizzate allo smaltimento. Esiste, tuttavia, un certo numero di aziende (es. vitivini-cole) alle quali risulta momentaneamente preclusa (pereffetto delle nuove disposizioni normative introdotte dalD.Lgs. 152/1999) la possibilità di continuare la diffusapratica dello spandimento dei reflui sul suolo e che,

disponibili i certificati di analisi, mentre, dove questi nonsono risultati reperibili, si è proceduto in via teorica ri-ducendo, per ciascun insediamento, il valore del caricogenerato in funzione del massimo rendimento depurati-vo raggiungibile con il sistema di trattamento presente.È doveroso segnalare che la valutazione teorica riguar-da sostanzialmente le aziende con scarichi quantitati-vamente poco rilevanti rispetto al totale, dal momentoche per quelle del comparto agroalimentare (caseifici,salumifici, industrie conserviere) che, come si evincedalla tabella 4.1, sono quelle maggiormente idroesigen-ti e diffuse sul territorio provinciale, si dispone di unabuona conoscenza diretta delle caratteristiche dei reflui. Un breve commento deve essere fatto per gli scarichi

COMUNE BOD5 generato

[kg/anno] BOD5 sversato

[kg/anno] N tot generato

[kg/anno] N tot sversato

[kg/anno] P tot generato

[kg/anno] P tot sversato

[kg/anno]

Alseno* 4 1 0 0 0 0

Besenzone 9.526 476 324 194 43 30

Bettola 859 78 636 382 85 59

Borgonovo Val Tidone 12.937 217 1.284 815 186 135

Cadeo 569.754 858 5.064 3.082 706 475

Caorso 1.258 677 126 102 42 14

Carpaneto Piacentino 13.422 3.878 2.427 1.483 549 345

Castell’Arquato* 1.320.008 1.766 3.763 2.258 502 351

Castelsangiovanni 53.526 536 4.818 2.902 851 588

Castelvetro Piacentino 189.307 708 1.049 654 165 119

Cortemaggiore 48.087 711 1.365 820 140 97

Fiorenzuola d’Arda 526.226 2.246 2.948 1.765 399 275

Gragnano Trebbiense 701.025 8.898 13.040 7.824 1.791 1.253

Gropparello 4.039 344 238 143 79 56

Monticelli d’Ongina 6.364 2.096 645 529 166 138

Nibbiano Val Tidone 23.457 1.122 4.127 2.705 431 304

Piacenza 20.297 13.829 1.694 1.340 373 306

Pianello Val Tidone 356 53 36 29 12 2

Piozzano 365 - 329 - 44 -

Podenzano 6.522.841 49.841 23.721 14.707 3.037 2.143

Pontenure 318.815 2.564 6.743 4.099 993 692

Rivergaro 9.516 1.427 952 647 317 63

Rottofreno 7.129 4.991 713 606 238 202

S. Pietro in Cerro 13.860 75 330 198 44 31

San Giorgio Piacentino 192.012 4.433 3.046 1.828 406 285

Sarmato 247.601 5.663 3.202 2.245 430 323

Villanova sull’Arda 23.008 122 987 592 132 92

totale 10.835.598 107.612 83.605 51.949 12.161 8.379

*stabilimento in Comune di Alseno con scarico in Comune di Castell’Arquato

Tab. 4.2 Carichi inquinanti aggregati per comune

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Fig. 4.3 BOD5 sversato [kg/anno] suddiviso per comune.Fig. 4.2 BOD5 potenzialmente sversabile [kg/anno] suddivisoper comune.

quindi, dovranno convogliare i loro scarichi in corsi d’ac-qua superficiali: anche in questo caso i dati relativi allecaratteristiche quali-quantitative dei reflui saranno ac-quisite in sede autorizzatoria.In tabella 4.2 sono riportati i carichi inquinanti generatie quelli sversati suddivisi per i comuni interessati dascarichi industriali in corpo idrico.Benché la loro aggregazione basata sui confini ammini-strativi non sia significativa rispetto all’effettivo apportoinquinante afferente ai diversi bacini idrografici (che in-teressano sempre il territorio di più comuni), si ritiene co-munque utile riportare tale informazione al fine di facili-tare i confronti tra le varie realtà locali e con altre fonti in-quinanti (quali lo spandimento, per uso agricolo, dei li-quami zootecnici e dei fanghi di depurazione), normal-mente analizzate secondo tale tipo di aggregazione. Co-me si può notare, osservando il totale provinciale, gli im-

pianti di depurazione risultano adeguati per la rimozionedel carico organico generato dagli impianti industriali,garantendo una resa complessiva superiore al 90%.Inoltre, a conferma di quanto sopra precisato, il maggio-re carico organico generato (pari al 60% del totale pro-vinciale) che si riscontra nel comune di Podenzano, se-de di alcune aziende attive nel settore agroalimentare,viene notevolmente abbattuto ad un valore che rispettoal totale provinciale sversato risulta pari al 46%. Una rappresentazione grafica dei dati riassunti nella ta-bella 4.2 è riportata nelle figure 4.2 e 4.3 che si riporta-no, a titolo di esempio, per il solo inquinante BOD5.

Per quanto riguarda la distribuzione dei carichi sui baci-ni dei principali corsi d’acqua della provincia, i dati pun-tuali sono stati aggregati e riportati nella tabella 4.3, laquale mostra che il Torrente Nure (nel cui bacino ricadeil comune di Podenzano) è gravato dal maggior carico

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Corso d’acqua principale

BOD5 generato [kg/anno]

BOD5 sversato [kg/anno]

N tot generato [kg/anno]

N tot sversato [kg/anno]

P tot generato [kg/anno]

P tot sversato [kg/anno]

Rio Lora Carogna 5.049 176 2.556 1.535 343 241

Rio Carona Boriacco 55.501 473 3.294 2.021 651 460

Rio Cornaiola (Corniolo) 253.049 5.697 3.407 2.368 458 342

Torrente Tidone 24.178 1.176 4.491 2.734 487 306

Rio Loggia 694.005 8.734 12.780 7.668 1.704 1.193

Rio Vescovo 7.020 164 259 156 86 60

Rio Raganella 1 1 0 0 0 0

Fiume Trebbia 611.101 32.709 16.145 10.581 2.360 1.559

Torrente Nure 6.074.810 33.964 16.131 9.644 2.148 1.496

Torrente Chiavenna 985.009 10.613 12.531 7.642 2.068 1.386

Cavo Fontana 207.854 971 1.965 1.277 312 230

Torrente Arda 1.905.964 5.200 8.838 5.301 1.142 794

Fiume Po 12.058 7.732 1.206 1.022 402 312

Totale 10.835.598 107.612 83.605 51.949 12.161 8.379

Tab. 4.3 Carichi inquinanti suddivisi per i bacini sottesi dai corsi d’acqua principali

43

organico potenziale (60% del BOD5 generato) che, co-

me detto sopra, risulta fortemente abbattuto grazie adefficaci impianti di depurazione. Ai fini di una maggiorconoscenza degli scarichi sul territorio, è sicuramentepiù interessante esaminare la situazione a livello più lo-cale, ad esempio valutando i carichi inquinanti insisten-ti su porzioni dei bacini sopra evidenziati.In figura 4.4, 4.5, 4.6, 4.7, 4.8 e 4.9 i dati puntuali, op-portunamente aggregati, vengono riportati a scala disottobacini: questo permette di visualizzare con unmaggiore dettaglio la distribuzione dei carichi degli in-quinanti considerati (BOD5, azoto totale e fosforo tota-

le) sulle diverse porzioni di territorio, e quindi anche dibacino idrografico, in funzione dell’effettiva presenza discarichi.Il confronto tra le figure rappresentanti il carico genera-to e quello sversato, avendo utilizzato lo stesso range di

valori, testimonia il buon livello di depurazione raggiun-to dagli scarichi industriali, soprattutto per quanto ri-guarda lo scarico del BOD5.

Le stesse informazioni possono essere georappresen-tate riferendo la stima dei carichi inquinanti direttamen-te all’asta fluviale in cui recapitano gli scarichi (anzichéalla superficie del sottobacino idrografico): la linea trac-ciata ha uno spessore direttamente proporzionale al ca-rico che grava sui vari tratti del corso d’acqua. A titolo esemplificativo, quindi, in fig. 4.10 e 4.11, si ri-portano rispettivamente i carichi di BOD5 generati e

quelli scaricati nei corpi idrici. Anche in questo caso si è fissata la medesima scala dirappresentazione sia per i carichi inquinanti generati,sia per quelli effettivamente scaricati per evidenziare ilbuon livello di depurazione degli scarichi di origine in-dustriale.

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Fig. 4.6 Ntot generato [kg/anno] potenzialmente sversabile suddivi-so per sottobacino

Fig. 4.7 Ntot sversato [kg/anno] suddiviso per sottobacino

Fig. 4.4 BOD5 generato [kg/anno] potenzialmente scaricabile persottobacino

Fig. 4.5 BOD5 sversato [kg/anno] suddiviso per sottobacino

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Fig. 4.9 Ptot sversato [kg/anno] suddiviso per sottobacinoFig. 4.8 Ptot generato [kg/anno] potenzialmente sversabile suddivi-so per sottobacino

Fig. 4.11 BOD5 sversato [kg/anno] nei corpi idrici superficialiFig. 4.10 BOD5 generato [Kg/anno] potenzialmente sversabile percorpi idrici superficiali

Capitolo4 24-06-2003 11:53 Pagina 45 Alice Alice:Desktop Folder:lavori alice:libro acque arpa_prov:Cap4.job: