raccolta di testi di giuseppe spina x malastrada.film

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__________malastrada.film___________________________documenti_________________ (testo scritto per il catalogo di INVIDEO 2009) Malastrada.film __ Basic Input-Output System La malastrada.film è un centro autonomo di creazione e diffusione di cinema di ricerca. Partendo dal concetto di produzione dal basso ha dato vita e applicato una pratica cinematografica che si vuole povera, aperta, apolide, soggettiva. Base Se riconsiderassimo radicalmente la posizione dell'uomo nel mondo, abbandonando l'attuale-medievale antropocentrismo, e la conseguente morphé estetica, e riuscissimo a concepire modi e idee con prospettive concettuali e percettive davvero differenti, perfino le cosiddette catastrofi naturali, come i terremoti o i maremoti, non sarebbero altro che enormi e meravigliose espressioni della natura per le quali restare felicemente colpiti, meravigliati da quell'unica grande potenza non composta da potenti. Se riuscissimo a riconoscere e ad abbattere quel kentron prospettico, e a renderci conto dell'effettiva finitezza dell'uomo, spogliandoci da tutte le sovrastrutture culturali che totalmente ci circondano, che non sono altro che gerarchie di forze artificiali e dunque non date e non obbligatorie per la vita di ogni essere, potremmo finalmente giungere alla costruzione di un sistema semplice e basilare di gestione delle attività di scambio. Condizione certo utopica e accecante se sovrapposta alla moltitudine, ma di comprovata e semplice adattabilità individuale. In questa base occorre muoversi (mai partire/arrivare), dandosi certamente la possibilità costante di continuare a mutare le (proprie) sovrastrutture – con la “terribile” finalità (mai detta) d'una distruzione totale. Solidamente e senza dubbi sul da farsi/essere .. .. Centrale in tutto ciò diviene l'elementare, mai com-preso, principio nietzscheano per cui la soggettività universale non è antropomorfica ma cosmica, è questa la concezione mancante oggi alla moltitudine, e ai tanti che ne fanno parte (minoranze comprese), una vera e propria soggettività cosmica. E allora, mi dico, la mia scelta è unica, precisa, non può essere l'altra/o. In-Out-In-Out-In_Out_ La ricerca e l'organizzazione di eventi per la sua diffusione, sono tra i filoni d'azione principali della malastrada.film. Da circa due anni indaghiamo nei coni d'ombra della cultura italiana (e non solo) scovando un numero davvero enorme di “botteghe” in cui “piccoli esseri” senza pretese masturbatorie danno vita a dei movimenti d'immagine e soggettivi, vanno cercando-si, danno vita ad esperimenti/espressioni uniche, di grande valore artistico e, nella maggior parte dei casi, d'estrema solitudine. Il cinema si fa in casa, oggi più che mai, vive in un magnifico isolamento. L'”alto-basso-budget” è roba d'altri tempi, non ci si pone più il problema, il film si fa con un computer, con materiale d'archivio, con un foglio di carta, una penna, qualche colore. Dunque si reinventa da zero, e ognuno gestisce i propri numeri, da zero a infinito, dando atto al proprio atto. Non ci sono limiti, le sovrastrutture si riducono, giungono a dipendere-solo-da ogni-essere. Ed è qui e per questo che occorre diffondere e far conoscere le svariate pratiche, per fortificarne la soggettività. Step System Step _1: stiamo sudando su tre lunghi e su altri svariati metraggi. In questa fase trattiamo digitalmente e non - archivi VHS, file in download, super8, 8mm degradata, stampa analogica del video, generazioni di suoni/rumori, sovrimmaginifiche, ultra-macro, impulsi-video, registrazioni stenopeiche, etc. _2: abbiamo editato il primo box a tiratura limitata con un'antologia di canecapovolto, 10 anni di lavori in 3DVD+book in doppia lingua.

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Raccolta di testi di Giuseppe Spina x malastrada.film

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Page 1: Raccolta di testi di Giuseppe Spina x malastrada.film

__________malastrada.film___________________________documenti_________________

(testo scritto per il catalogo di INVIDEO 2009)

Malastrada.film __ Basic Input-Output System

La malastrada.film è un centro autonomo di creazione e diffusione di cinema di ricerca. Partendo dal concetto di produzione dal basso ha dato vita e applicato una pratica cinematografica che si vuole povera, aperta, apolide, soggettiva.

BaseSe riconsiderassimo radicalmente la posizione dell'uomo nel mondo, abbandonando l'attuale-medievale antropocentrismo, e la conseguente morphé estetica, e riuscissimo a concepire modi e idee con prospettive concettuali e percettive davvero differenti, perfino le cosiddette catastrofi naturali, come i terremoti o i maremoti, non sarebbero altro che enormi e meravigliose espressioni della natura per le quali restare felicemente colpiti, meravigliati da quell'unica grande potenza non composta da potenti. Se riuscissimo a riconoscere e ad abbattere quel kentron prospettico, e a renderci conto dell'effettiva finitezza dell'uomo, spogliandoci da tutte le sovrastrutture culturali che totalmente ci circondano, che non sono altro che gerarchie di forze artificiali e dunque non date e non obbligatorie per la vita di ogni essere, potremmo finalmente giungere alla costruzione di un sistema semplice e basilare di gestione delle attività di scambio. Condizione certo utopica e accecante se sovrapposta alla moltitudine, ma di comprovata e semplice adattabilità individuale. In questa base occorre muoversi (mai partire/arrivare), dandosi certamente la possibilità costante di continuare a mutare le (proprie) sovrastrutture – con la “terribile” finalità (mai detta) d'una distruzione totale. Solidamente e senza dubbi sul da farsi/essere .. .. Centrale in tutto ciò diviene l'elementare, mai com-preso, principio nietzscheano per cui la soggettività universale non è antropomorfica ma cosmica, è questa la concezione mancante oggi alla moltitudine, e ai tanti che ne fanno parte (minoranze comprese), una vera e propria soggettività cosmica. E allora, mi dico, la mia scelta è unica, precisa, non può essere l'altra/o.

In-Out-In-Out-In_Out_La ricerca e l'organizzazione di eventi per la sua diffusione, sono tra i filoni d'azione principali della malastrada.film. Da circa due anni indaghiamo nei coni d'ombra della cultura italiana (e non solo) scovando un numero davvero enorme di “botteghe” in cui “piccoli esseri” senza pretese masturbatorie danno vita a dei movimenti d'immagine e soggettivi, vanno cercando-si, danno vita ad esperimenti/espressioni uniche, di grande valore artistico e, nella maggior parte dei casi, d'estrema solitudine. Il cinema si fa in casa, oggi più che mai, vive in un magnifico isolamento. L'”alto-basso-budget” è roba d'altri tempi, non ci si pone più il problema, il film si fa con un computer, con materiale d'archivio, con un foglio di carta, una penna, qualche colore. Dunque si reinventa da zero, e ognuno gestisce i propri numeri, da zero a infinito, dando atto al proprio atto. Non ci sono limiti, le sovrastrutture si riducono, giungono a dipendere-solo-da ogni-essere. Ed è qui e per questo che occorre diffondere e far conoscere le svariate pratiche, per fortificarne la soggettività.

Step System Step

_1: stiamo sudando su tre lunghi e su altri svariati metraggi. In questa fase trattiamo digitalmente e non - archivi VHS, file in download, super8, 8mm degradata, stampa analogica del video, generazioni di suoni/rumori, sovrimmaginifiche, ultra-macro, impulsi-video, registrazioni stenopeiche, etc.

_2: abbiamo editato il primo box a tiratura limitata con un'antologia di canecapovolto, 10 anni di lavori in 3DVD+book in doppia lingua.

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_3: lavoriamo all'edizione di una collana di cinema d'animazione italiano a passo-uno, titolo: “a passo d'uomo”. Siamo alla ricerca di un festival, di un centro, di uno spazio che possa accogliere l'enorme congrega composta da 40 animatori che segnano uno dei modi più avanzati al mondo di far cinema, nell'ignara italietta contemporanea.

_4: continua lo sviluppo della piattaforma internazionale Cinemautonome, evoluzione del sistema di produzione dal basso, che al momento coinvolge sei cineasti e cinque progetti di ricerca.

_n: per tutto il resto, e c'è tanto ancora, occorre visitare il sito o braccarci realmente/virtualmente agli indirizzi indicati.

Imprinting-Cs_Mat (città-Stato_un mito antropologico televisivo)

Decine di VHS trafugate a un'emittente locale sono l'inizio della ricerca sulla rappresentazione delle dinamiche, delle storie, dei segreti, delle forme e delle viscere di un grande sistema sociale, situato in una precisa zona geografica. Una città, fattasi Stato concettuale, universale, di legge propria, potere e povertà. Tra il 1990 e il 1994. Da allora, a oggi e prima di allora.

A invideo presentiamo la prima formula filmica di città-Stato costituita dalla fusione in un corpo unico delle forme, autonome, create sino a questo momento. Un “test” che va visto come opera a sé.

E’ passato un anno dall’inizio del lavoro di studio, analisi e montaggio del materiale di archivio per la creazione del nostro mito antropologico televisivo. La ricerca ha condotto a una lunga catalogazione delle forme. I processi condotti ed esplorati sino a questo momento si sono occupati di una precisa ricognizione del materiale in nostro possesso, lavorando a una manipolazione a più direzioni. In questo contesto il video è stato strisciato al vetrino, come si farebbe in un laboratorio di analisi su un campione di sangue. Ne sono nate diverse serie, ognuna legata ad un determinato modo di lavorazione e assemblaggio delle immagini. Anticipazioni, Elementi e Frammenti le forme video, e poi Protocolli, Quaderni, Tavole, in testo e immagini: l’ossatura del mito. Un insieme complesso di dati, scoperte e riflessioni che pongono come centrale, tra le altre, anche la questione del “comunicare la ricerca”. Stiamo dunque procedendo sperimentando varie commistioni, dall'uso del web al supporto materiale, l’impaginazione di volumi di ricerca, l’ottimizzazione dei supporti di diffusione, lo studio delle possibilità installative, la ridefinizione e l’impostazione degli spazi di presentazione, supponendo che la costituzione di una mitologia contemporanea non possa non tener conto dell’insieme organico/sistematico di ognuno di questi aspetti. Nella pagina accanto due Protocolli, composizioni visive estratte dai volumi di ricerca di prossima pubblicazione.

malastrada.film settembre2009

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MIAMISOLOSEMITRADISCI

tabolae4/sfiguransme

tabolae7/giorgionapolitano

L

sorgenti complete:http://www.malastradailm.com/documenti/L_ordine_iniziatico.pdfhttp://www.cinemautonome.org/images/stories/videos/Cittastato/protocolli/rectoratecommoncouncil- irstrevision.pdf

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Bio(ritmo) della malastrada.film

testo presentato per il catalogo del “mille occhi film festival” di Trieste (edizione 2008) in occasione della proiezione di Même Pére Même Mére e della presentazione del nuovo progetto di produzione autonoma.

Attraversamente.concept.house, Belpasso (CT), 6agosto08

Avvicinarsi a occhi chiusi, per sentire, solo per ascoltare coi sensi. Aprirli per un attimo e subito dopo sbarrarli ancora, per mille volte, più. Ogni battito un colpo d'occhi, d'ali, di cuori, di mani, ogni colpo un'azione, in un momento, distinto, dall'altro. Separato dallo sguardo/colpo dell'altro. E così ci si indirizza verso qualcosa di indescrivibile ma che nell'ostinazione dirompente si nutre di coerenza, passa attraverso più paesi lasciandosi alle spalle il concetto stesso di nazione e della sua (non mia) identità, per riscattare come unica identificazione possibile quella col colpo, col momento. Da ciò passa Même Pére Même Mére (MPMM), in cui esperienza è ricezione di se stessi, azione e poi momento e poi colpo. Da qui, passa, da questo luogo che sono io che mi ridò, per me.Tutto ciò implica una pulsione che si contraddistingue, tanto nel riconoscimento irrazionale quanto nel caso di un incontro, questo, che dovrebbe sempre essere uno scontro, generativo, dialettico. E che dovrebbe scatenare serie di collegamenti a cascata e incontrare luoghi/persone incrociandone l'essere. Il luogo è l'individuo, l'individuo è il film, girato in qualsiasi luogo che diviene soltanto nel momento in cui è l'individuo stesso a divenire. La riconsiderazione dell'immaginario, la distruzione del concetto stesso di una sua universalità, che si da sempre per data, senza filtro alcuno. Risignificare l'immaginario partendo dalla base concettuale dell'uomo/luogo vuol dire ristrutturare il linguaggio, la narrazione e tutti gli elementi filmici. Vuol dire colpire il livello percettivo smuovendolo differentemente, riferendosi sempre a quello che si è.L'esperienza di MPMM si ri-ferma a voi e da voi riparte, sotto altre forme. Un lungo giro si è aperto nel momento in cui il film ha preso vita, un giro che ci ha portato a contatto con spazi di visione estremamente eterogenei in cui il film è stato considerato per quello che è: un flusso (dis)continuo di sensazioni, di emozioni che trascendono tanto dall'occhio quanto dall'orecchio. Diversi individui/luoghi ci hanno accompagnato, sostenuto e hanno condiviso quest'esperienza, che sbatte fuori da ogni sovrastruttura culturale-istituzionale un altro dei tanti film altrimenti detti “improponibili” (che ancora oggi non riusciamo, né vogliamo, catalogare in un genere preciso), tutto ciò con lo

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stesso rapporto pulsionale di cui noi stessi viviamo. Dunque. L'individuo è il film, l'ognuno, e in quanto tale si arricchisce e muore degli elementi esterni. I colpi d'ala si accelerano, tendono al blocco e riprendono veloci, ed è cosi che si fanno più forti, coscienti di come/cosa accade intorno. Coscienza soggettiva ovviamente, unica presa.Arriviamo così a voi, a distanza di un anno, con una sempre più precisa via da percorrere (di cui comunque non sappiamo e non sapremo) fatta di forze aggiunte, di immaginari altri, nella ricerca di una diversificazione-unificazione di pensieri e di rare strutture dal fascino inesplorato. Sincretismi. Attraverso la messa a concetto di un lavoro di diffusione che ci sta permettendo di creare un vero e proprio quadro altrimenti non conosciuto. Incroci di cineasti dalle forti caratteristiche individuali.Arriviamo, attraverso tutto, a voi e da questo momento - mai evento - ricaviamo uno slancio, ripartenza, un nuovo progetto che altro non è che il continuo di ciò che lo ha preceduto e il suo sviluppo. Se da una parte la diffusione ci mette in contatto con altri cineasti, singoli, sperduti nella provincia o incastrati negli “interstizi di nessuno” di grandi città, dall'altra il nostro metodo di produzione ci permette di raggiungere un numero elevato di persone, ovunque, grazie alle quali possiamo portare avanti la nostra ricerca. Da questo momento, si diceva, il passo ulteriore della malastrada.film è quello di divenire partecipi alla creazione di opere altre, “d'altri”, oltre che nostre.

Presentazione di una progettualità filmica autonoma

Creare/produrre autonomamente non coincide con la conosciuta pratica dell'auto-produrre, non siamo noi a produrre ma la gente che crede nei nostri progetti. È la gente a essere autonoma, noi dal canto nostro ri-mettiamo il metodo, sviluppando una serie enorme di connessioni tra individui che si riconoscono non conoscendosi e dai quali dipendiamo, per scambio. Raggiungere la possibilità di avvicinare al nostro progetto migliaia di persone prima ancora che il/i film prendano vita, questo è l'elemento di partenza, il fondamento che genera il nostro cinema che è povero. Creare una piattaforma per un'azione tendente a capovolgere l'apparato seriale di produzione, annientandolo così nelle sue basi strutturali. Il nostro terzo progetto è la produzione, mediante la collettivizzazione d'un unico gesto culturale, di tre film che saranno realizzati da altrettanti differenti gruppi. La malastrada.film, Silvia Maglioni & Graeme Thomson “cineasti apolidi che al momento abitano a Parigi”, il Don Quixote di Torino. Estendere la produzione ad altre realtà cinematografiche che abbiamo riconosciuto come incidenti alla nostra, significa dare la possibilità ad altra gente che come noi si spinge verso un atto di creazione preciso, di portare a compimento il proprio lavoro. Significa condividere le possibilità per un fine ultimo che per noi è comune: la realizzazione di tre opere cinematografiche alle quali teniamo particolarmente e per le quali abbiamo l'impellente bisogno che esistano, per fame.

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Tre progetti differenti dunque, che hanno dalla loro, tra l'altro, il fatto d'essere la manifestazione del contemporaneo dividendo il tempo, il pensiero e la sua storia, la geografia, allo stesso diverso modo. La ricerca della via di ritorno nella storia di un uomo dal Senegal al Vietnam (L'home propose...dieu dispose), la ripresa/ripersa delle lezioni dispositivi di Deleuze nel bosco di Vincennes (les Facs of Life), un mito antropologico televisivo tutto ancora da immaginare (malastrada.film).

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Il testo che segue è un saggio scritto da Roberto Silvestri per la rivista quadrimestrale Close-up (Numero 23 “Forme della vita politica del cinema contemporaneo. Da Tangentopoli al Partito Democratico e alle elezioni 2008”). A cura di Giovanni Spagnoletti e Roy Menarini, e pubblicato nel luglio 2008.

MARGINALITA' POLITICHE NEL CINEMA ITALIANO

di Roberto Silvestri

Il problema è che nel nostro paese non c'è mai stato un tribunale della riconciliazione. Nessuno ha

riesaminato attentamente ciò che è successo nel decennio 1968- 1978. Finché non si rianalizza chi ha

aggredito chi, finché non si scopriranno mandanti, moventi ed esecutori delle stragi (micro e macro)

che ci hanno deformato l'anima istigando la parte più sensibile e ingenua al delirio della lotta armata di

autodifesa, nessun cinema politico sarà credibile. Nessuna democrazia. Nessuna sinistra. Dunque.

Brutto- medio il nostro cinema medio. Quello che si vede, quello che si pensa attorno a un set e quello

che si gira. E' sotto alimentato, oltretutto, se si pensa a quel che percepiamo (pochissimo) di ciò che si

fa e si osserva nel mondo.

Mancano accessi seri, catodici o universitari o I. C. A. Style, intesa come quella sala londinese

dedicata all'arte contemporanea (non di solo cinema vive il cinema, ma di pittura, di scultura, di danza,

di architettura, di musica, di lotte...) e sistema di circolazione per la Gran Bretagna di ciò che si

produce o che si è realizzato di indimenticabile nella storia.

Il cinema italiano è umiliato, a monte della produzione. E maltrattato, a valle. Ma non reagisce come

dovrebbe. Anche quello covato all'interno, oltre che all'esterno, del movimento raccolto dal vitalismo

dei “Cento autori e più”. Trattino questi loro film di liceali sperduti, o di duce o di camorra o di

Andreotti, nasconderanno abilmente lo sfruttamento dei precari in sala montaggio o la morte “bianca”

di un cascatore sul set. Il verdetto finale lo esprimerà poi il mercato mondiale. È arretrato nel design,

esterno e interno. Conformazioni morali mainstream, ideali corporativi o spirito comunitario celibe

producono forme chiuse, introverse, provinciali, disancorate da ogni progetto di consumo attivo:

fossero repellenti, insostenibili, almeno, queste loro forme, sarebbero vive, frutto di soggettività

desiderante.

Ci sono pochi ragazzi e ragazze che fanno, in Italia, immagini libere, di ricerca e che ipotizzano un

possibile cinema o televisione, dal basso e di lotta. A scuola insegnano conformismo e obbligano a

tenere conto dell'audience come di un dio. Chiedete agli studenti di Scienze della Comunicazione di

Roma, oggi, che non c'è più Abruzzese, cosa sia stata la Beat Generation.

Così non saranno in tanti coloro che si autofinanziano. La maggior parte accetta la trafila della

questua, il giochino di adeguare i propri progetti alla sensibilità dei 4 o 5 che in Italia, dalle poltrone

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Rai, Mediaset, Luce...decidono cosa si può concepire e vedere e sognare nel paese. Si sforzano di

rendersi compatibili alle esigenze delle televisioni generaliste nazionali e con i committenti pubblicitari,

e di coinvolgere i pochi produttori ammessi alla cupola che tutto muove, pronti a qualunque

compromesso. Qualche quasi Lang o Fuller spunta poi lo stesso fuori, nonostante l'opera di

repressione il muro eretto contro ogni idea forza originale e extrasciovinista. Ci penserà allora la

distribuzione e l'esercizio (embedded) a rendere pressoché inutile la performance eccentrica di Pippo

Delbono, Raffaello Sanzio, Mario Martone, Ascanio Celestini, per ricordare solo i cineasti capaci

invece di ancorarle, le loro forme, a una certa solidità internazionale corporea o scenica...

I clan dei catanesi di Cane Capovolto e Malastrada, invece, sembrano tra le pochissime unità

produttive che più hanno studiato e incorporato il “progetto Grifi”. Ovvero quello di mettere in

discussione la miseria immateriale della vita contemporanea materiale e spirituale, di rivoluzionare i

modi di produzione del cinema industriale vigente e di essere consapevoli e all'altezza della ricerca

estetica e etica più avanzata al mondo.

Altri filmmaker se ne sono andati fuori dal paese (e non solo a far documentari, sciacquando altrove i

panni sporchi nazionali). Imitando ciò che ha fatto Bertolucci nei decenni successivi al '68, che, da noi,

fu il più lungo e perseguitato del mondo. Infatti.

Credo che bisognerebbe chiedere non più ai critici cinematografici (sempre meno autorevoli, visto che

sono stati trascinati da Marzullo sempre più “fuori orario”...) ma ai parenti delle vittime di terrorismo

cosa ne pensino, ammesso che esista, del “cinema politico italiano” di oggi. Cioè del rapporto tra

storia e immaginario, del ruolo dei cineasti nella fabbricazione di immagini grondanti pensiero critico e

dunque di opere “aperte” alla conoscenza problematica dei fatti che ci riguardano. Ci siamo battuti,

noi europei, per ottenere protezionismo, “sicurezza” e sovvenzioni, ovvero tanti “cinema di stato”

messi in grado di confrontarsi con la invincibile valanga commerciale Usa: i nostri film sono

sovvenzionati, a stragrande maggioranza, dai ministeri. Dunque ci può essere spazio per immagini

che non siano parole d'ordine subliminalmente (o meno) imposte e consentite dalle istituzioni, visto il

così alto tasso di suggestionabilità (“il cinema, l'arma più forte”) di questo mass medium? Il mercato,

nel cinema, è impreziosito invece proprio dai dettagli antisistemici, dalle pulsioni e dai desideri di

evasione, utopia, cambiamento. Ma come fare un film, mettiamo, sulle Brigate Rosse, che non sia la

recita da oratorio delle veline di polizia, se perfino la maglietta dei Clash da noi è considerata una

“prova flagrante di un delitto”?

Anzi, probabilmente, tra poco, saranno i soli, i parenti delle vittime del terrorismo, a potersi

pronunciare su qualsiasi argomento controverso senza temere strepiti e linciaggi mediatici da parte

della “triade immateriale” (Canale 5, Retequattro, Italia 1) che governa il nostro sistema simbolico via

etere utilizzando da anni il metodo wahabita dei loro cugini fondamentalisti: censurare tutto,

anestetizzare tutto,inventare (proibendo tutto il resto) non solo ciò di cui si debba discutere, ma le

poche variabili consentite dall'argomentazione.

Ma allora ha ragione il presidente Napolitano, studioso serio dei teoremi Calogeri. Dopo la

“privatizzazione” della giustizia (sappiamo come è ormai composto il vertice istituzionale “votato

democraticamente” del paese), delle carceri (nel senso che dentro, nella cella, sei privato di tutto,

dello spazio di movimento, per esempio, sarebbe un'eresia nel sistema carcerario statunitense non

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potersi muovere), dei delitti (le indagini sono ormai condotte da Porta a porta o dai magistrati come se

già fossero anticipatamente ospiti di Vespa) e dunque delle pene (visto che chi le sconta, alla faccia di

Cesare Beccaria, sarà perennemente “privato” del diritto di tornare cittadino avente identico diritto

degli altri). E allora tanto vale privatizzare anche la “critica del giudizio”, lasciare che il principio di

verità storica sia affidato alla moviola o al moviolone emozionale, dunque alla vendetta di chi è stato

colpito davvero, non retoricamente, dal fatto criminoso, e possibilmente si faccia giustizia da sé. Il fan,

l'ultrà, il familiare.

Mi piacerebbe anzi che fosse proprio dalla decana dei parenti delle vittime di terrorismo, la vedova di

Pinelli, che si ricominciasse a scrivere del cinema politico italiano e della sua miseria originaria. A

partire dalla sua famosa intervista (riprese di Pier Paolo Pasolini), concessa a poche ore

dall'assassinio del marito avvenuto negli stabili del commissariato di polizia di Milano:

mi hanno avvertito della morte di mio marito alcuni giornalisti. Ho chiamato la Questura e chiesto del

commissario Calabresi. Me lo hanno passato e gli ho detto: <<non so davvero cosa è successo, ma

almeno avvertire la famiglia della morte di mio marito, me lo deve raccontare un cronista dell'

<<Unità>>?>>. <<Sa, signora- mi ha risposto- con tutto quello che abbiamo da fare...>>.

(dal frammento di un cinegiornale di Pasolini riutilizzato nel film Antonio Ruju, vita di un anarchico

sardo di Roberto Nanni, 2001)

Non è un caso che, se dobbiamo cercare una linea rossa plausibile di cinema non riconciliato,

dobbiamo osservare il lavoro e il lavorio di altri parenti donne delle “vittime”, del patriarcato per

esempio (pensiamo a tutta l'opera di Annabella Miscuglio e al censurato, non a caso, A.a.a. Cercasi o

al folgorante doc obliquo di Alina Marazzi: la scultura interiore dell'Italia che sarebbe andata alla

guerriglia di resistenza del '68 è tutta contenuta in Un'ora sola ti vorrei, 2002). C'è poco altro di

interessante che non sia stato relegato nelle segrete più buie della censura.

Il giorno in cui ricominceremo a parlare di cinema politico italiano non “di supporto” a poteri forti, sarà

quando un candidato presidenziale, che suscita strepiti e polemiche per aver accettato soldi da un ex

“terrorista”, potrà restare un candidato credibile, autorevole e egemone, come è successo nei mesi

scorsi negli Stati Uniti a Barack Obama. Il cui amico William Ayers, ex membro dei Weathermen, oggi

professore di Educazione all'università dell'Illinois, e supporter della sua campagna elettorale, e

soprattutto finanziatore di una campagna contro la povertà a Chicago tra il 1999 e il 2002, ha

commentato, sull'onda dello scandalo, ma senza suscitare ulteriori strepiti: <<Bombe? Si, ne abbiamo

messe parecchie tra il 1970 e il 1974. ma non tante quanto avremmo dovuto>>. Erano una dozzina di

bombe “pacifiste”, o meglio di guerra per la pace. Erano infatti quelle piazzate per far saltare in aria

sedi militari e politiche (vuote, senza alcuna persona dentro) responsabili dei bombardamenti micidiali

(e clandestini, mai votati dal congresso) che sterminarono per cinque anni i cambogiani, creando poi il

nefasto cortocircuito Pol Pot. Ma la prima volta che piazzando bombe un paio di militanti Weathermen

morirono, l'organizzazione fu sciolta. Ma chi racconta la storia tenendo conto di tutte le opzioni

indispensabili per capire e discuterne. Nessuno in Italia. Per questo abbiamo il peggiore cinema del

mondo.

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ilmanifesto del 29settembre contiene un articolo di Roberto Silvestri. In occasione del “1000(o)cchi Festival Internazionale del Cinema e delle Arti” di Trieste e della proiezione dell’ImpulsovideoXVI – La linea persa di Addis Abeba

Gli altri 500 occhi a Trieste piangono per Thomas Sankara

20 anni fa veniva uccisa la speranza dell'Africa. Ma oggi i giovani cineasti italiani combattenti si ispirano più al capitano «libero e fiero» che all'Europa paternalista e pietista. «Milleocchi» di Trieste chiude con la consegna del premio Anno Uno a Paulo Rocha

Roberto Silvestri, Trieste

Ci sono festival e festival. Quelli sciovinisti e quelli internazionalisti. Quelli agonistici e i meno militaristi. Quelli che i giornali inventano. E quelli che i media ignorano. Questo per esempio anche se in campo, sotto il segno del «cinema di Sankara», c'è un undici tutto campioni, del passato e del presente: Schroeder, Makaveiev, Dreyer; Grifi, Paulo Rocha, Baratier; Reynal e la banda Zanzibar, De Seta, il Malastrada, Questi, Tortolina), che scava come una vecchia talpa, sostiene e immagina un «nuovo cinema» e espande energie che altrove sprecano.Noi siamo, un po' solitari a livello di critica nazionale, a Trieste dove oggi si conclude Milleocchi, premiando con l' «Anno uno» il regista Paulo Rocha, che disintegrò l'imperialismo lusitano crudelmente immaginato da Salazar e Caetano prima che scoccasse la sua ora; tappa di un giro d'Italia sotterraneo, incrocio tra rete di incontri (Pesaro, Potenza, Bellaria, Batik se non dimentica Challouf, Lucca, Tek, Procida, Invideo, la Torino di Turigliatto-Vallan...) e sostanze lisergiche che mettono il cinema, e la sua energia sovversiva, al primo posto. Che trova insomma particolarmente bello tutto ciò che gli altri trovano brutto, perché tocca «le profondità confuse della vita». E che rifiuta i confini nazionali, ricordandoci, con Brecht, che «realismo non è mai solo questione di forme». Rita Renoir e Rita Cadillac, come abbiamo visto nelle ricognizioni Baratier, escluse.Per capire meglio la cosa c'è stato un incontro, giovedì, con le riviste di cinema slovene. Nika Bohinc ci ha parlato di Ekran, (2,92 euro) bimestrale graficamente «à la page» che tira mille copie, alla Film Comment, ed è finanziato dalla Cineteca di Lubiana, e Jurji Meden di Kino, che coordina: un tomo severo senza foto di 400 pagine (15 euro), autoprodotto, con Warren Oates omaggiato in controcopertina, 100 pagine sull'ultimo Klopcic e molto spazio su Heremias di Lav Diaz. Chiedo: a quando una rivista o un festival con cervello o presenze di tutte le ex jugoslavie riunite? Mi rispondono: ci saranno due o tre persone in tutte l'ex Jugoslavia che tollererebbero la cosa....Già. I due festival sloveni Pola e Isola sono proprio oltreconfine (turbolento, con isolati isterismi secessionisti o revanscisti). Ma il primo è un festival ufficiale che smista i film di finzione di là e quelli documentaristici di qua, vuol mettere ordine nel caos, e in fila per tre film e cineasti, meglio poi se uno in testa all'altro e in cima chi è il più glamour (e ha sudato una vita solo per mettersi sotto i piedi tutti gli altri).Il secondo è orizzontale, si preoccupa dei film, sperimenta, fa ricerca, cultura, politica e polemica radicale. Assomiglia ai Tre Mondi di Nantes e sconfina in Austria e, in Italia, da Sergio Grmek Germani. A Pola ci si mette qualche metro dietro, al riparo delle istituzioni.A Isola un po' più avanti. Magari sarà qui che si farà qualcosa di travolgente e di

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«neojugoslavo», in un paese dove i croati fingono di non saper più parlare serbo (e viceversa). Insomma a Trieste si è parlato anche di Slovenia, ma non con lo spirito Alpe Adria, bensì per arrivare a Lav Diaz. Un grande festival è come un'astronave, si sposta a velocità della luce, lì dove avvengono incanti. E così abbiamo scoperto un bel gruppo di cineasti aggressivi come programma minimo, il Malastrada Film, catanesi volanti che oggi hanno sede a Marsiglia, nell'ex laboratorio di Gianni Toti. E che, come molti altri colleghi vagabondi Usa, si disinteressano sempre più di festival e riviste patinate mentre come troppo pochi colleghi europei ignorano burocrati Rai, «la filiera d'oro», sponsor e sovvenzioni pubbliche. Si autofinanziano e autodistribuiscono. E mercoledì, nella giornata dedicata all'altra Africa possibile e a Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso che in 4 anni di esperimenti ('83-'87) tirò fuori il meglio dell'Africa e degli africani (e anche un cinema rude e coraggioso, non più obbligato a orientalismi e esotismi neocoloniali), due Malastrada, Alessandro Gagliardo e Giuseppe Spina (già autori di un film mozzafiato su Giuseppe Fava) hanno presentato il loro progetto di lungometraggio su Sankara, Meme père meme mère, e il folgorante corto La linea persa di Addis Abeba. Il discorso all'Oua del luglio '87 sul debito accumulato e che l'Africa compatta non deve pagare all'Occidente, diventa, nella rielaborazione elettronica, ora carezza virtuale, ora vibrazione emozionale raddoppiata, sua e del forum, ora straziante elogio funebre. Quel consesso, rapito dall'oratore più spiritoso, convincente e charmant dell'intera storia rivoluzionaria, sta infatti decidendo di far tacere l'africano più libero e degno di rispetto mai salito al potere. E lui lo sa.

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Bio(logia) della malastrada.filmtesto presentato per il “1000(o)cchi Festival Internazionale del Cinema e delle Arti” di Trieste

malastrada.film, Marsiglia, 11settembre07

La possibilità di avere uno sguardo differente, sguardo senza occhi. Sguardo che si apre dentro di noi, in un mondo interiore e che, attraverso le nostre pratiche, la nostra sensibilità, il nostro lavoro, si incammina verso una direzione sconosciuta. Le strade che si percorrono sono inesplorate, il cammino di gruppo o individuale si confonde, si prendono vie senza segnali, si va avanti per intuito, per istinto. Per la strada solitaria, sconosciuta. Guardare il mondo interiore vuol dire viverlo, dunque crearlo, mutando il modo stesso di dare e la possibilità di sentire, di avere. Cambiare quindi la concezione del bisogno, non accettare le cose per date ma scoprirle, scoprirne di nuove. Dedicarsi, designarsi al cinema come alla vita, al reale, al sogno. Partendo dal bisogno primario di abbattere la sacralità del concetto stesso di cinema: nella teoria, come nella pratica cinematografica, nei metodi di creazione, di diffusione (ma allo stesso tempo nel vivere, nel dormire, come nel mangiare o nel defecare). Cambiare il termine cinema non in modo oggettivo, perché il cinema non è, né sarà mai, qualcosa di oggettivo: l'universale è ciò che sta dentro di noi, direbbero i buddisti, ma noi, che non siamo buddisti, ci limitiamo ad affermarne la soggettività. La soggettività del cinema come mezzo collettivo, come mezzo individuale, come strumento di vita, come metodo di conoscenza di se ancora prima che del mondo. Questo modo di sentire è per noi possibile se accostato a due pratiche che riteniamo fondamentali che ci permettono di andare avanti nella strada scelta: il dinamismo e la riconsiderazione del bisogno. Muoversi vuol dire incontrare scambiare, vedere, capire, conoscere. Aggirarsi tra i vicoli delle città o nelle insenature infinite di internet, per superare il sistema istituzionale o per sentire/filmare qualcosa. Essere fuori, sentirsi ospiti sempre, stancarsi dei luoghi, sfuggirne, mancare alla reperibilità, alla residenza, essere spinti verso un continuo passaggio. Per far questo (o forse grazie a questo) occorre riconsiderare il bisogno stesso di un luogo, come di qualsiasi forma d'appartenenza, il bisogno di avere le tasche piene (e la testa svuotata); riconsiderare il bisogno stesso di essere riconosciuti come questo o quello.A queste considerazioni, nel divenire quotidiano delle considerazioni, arriva oggi la malastrada.film. Siamo convinti che occorre riformulare un linguaggio critico e teorico del cinema e della cinematografia, che possa uscire dai canoni delle “riviste specializzate”, dalle loro forme pubblicitarie sempre velate dal fantasma dell'informazione.Occorre riorganizzare il concetto di produzione, estrapolarlo dall'ambito industriale, per dare invece rilievo ad una fase che preferiamo considerare di creazione, pur restando nell'ambito di un cinema capitalista che non può ancora svincolarsi dal denaro e dal prodotto, ma che, come si diceva prima, può riconsiderarne il valore. Ricercare linguaggi differenti, allontanarsi dallo sperimentalismo (anch'esso divenuto un genere come gli altri, ormai dentro le accademie, dentro i festival). Predisporre lo spettatore verso un'analisi critica, storica, politica. Abbandonare termini, linguaggi, concezioni e considerazioni vecchie, legate a forme di certo importanti, ma solo se collocate a periodi storici ormai per forza di cose superati.Ciò perché questa materia necessita di pratiche altre che siano legate ai tempi in cui viviamo, alle società, al modo in cui l'uomo oggi vive, si relaziona con l'altro, con se

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stesso.È un percorso lungo che seguiamo in tutte le sue fasi, dalla creazione alla diffusione come dalla fruizione alla ricezione, un percorso in cui i tempi, gli spazi, le visioni e la pratica si fondono in un cinema totalizzante che ci tiene/teniamo in vita.Su Même père même mère, ultimo lavoro (in corso) della malastrada.filmMême père même mère rappresenta il nostro secondo esperimento sulla strada delle produzioni dal basso. Il secondo film in meno di un anno che prende luce, si forma, si crea, grazie alla coproduzione di centinaia di persone (463) che hanno coperto le quote necessarie (760 da 10 € ciascuna) per la realizzazione del film, un film collettivo, di tre cineasti: Alessandro Gagliardo, Julie Ramaioli, Giuseppe Spina. Un fatto di per sè, che ci spinge a sostenere con forza che quella intrapresa è una pratica che può essere messa a sistema e rappresentare una strada per cineasti di ogni tipo che intendono restare fuori dal sistema istituzionale dei finanziamenti e dalle interminabili attese e prostrazioni che ne derivano. Concepire dal basso un film significa per noi, estendere il concetto stesso della produzione ad una pratica di vita che trova nella gente, nelle persone una forza costante, un carico di energie e disponibilità che permettono al film, e dunque anche a noi, di crescere, muoverci e creare.Il viaggio in Burkina Faso, ha significato anche questo, conoscere e scambiare con decine e decine di persone differenti ciò che si possiede: da una parte la nostra curiosità visionaria, dall'altra la possibilità di un letto, di un piatto di riso, di storie, di vissuti, delle volte di silenzi. Ci siamo ritrovati catapultati in una società in preda ad ogni tipo di contraddizione, una società forzatamente occidentalizzata, che si inerpica quotidianamente tra difficoltà di ogni genere. Il nostro non sarà un lavoro di sensibilizzazione ne, tanto meno, di informazione, non siamo giornalisti, non lo riteniamo un nostro compito. È piuttosto una continua relazione tra il nostro essere e quello che nel bene e nel male ci ha circondato, toccato. Un film di viaggio dunque: spirituale, politico, onirico.

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Lettera al MilanoFF. Verso la Scatola Magica.

testo contenuto nell’Impulso-videoXIV, video-lettera realizzata in occasione dell'invito alla Borsa Democratica del Cinema - Milano Film Festival.

malastrada.film, Marsiglia, 6settembre2007

Essere esattamente dove si è, poggiare i piedi per terra e avere coscienza del gesto. Essere consapevoli che non esiste storia universale e che facciamo parte di un divenire che muta in continuazione. Quei “tipi di divenire” che per Deleuze sono orientamenti, direzioni, entrate e uscite; che non si conformano mai a un modello. Allora affermiamo che esiste anche un “divenire cinema”, che non coincide necessariamente con i festival, con le riviste specializzate, con la critica, con la stessa storia del cinema. Un “divenire cineasti” che non si ferma dentro una sala di proiezione ma va oltre, alla ricerca di uno sguardo più interessato, più profondo, che possa accettare i differenti orientamenti. Possiamo addirittura affermare che esiste un “divenire visionari” e che ogni passo è il passo di un gigante che potrà essere silenzioso, o pesante, impercettibile, o che potrà semplicemente presentarsi con una piccola visione “invisibile”, una lettera, come questa. Il fondamento sta per noi nella coscienza presa, nella certezza del nostro essere.Bisogna creare delle realtà, attivare dei meccanismi, delle concatenazioni che passino per la letteratura, la grafica, la fotografia, il suono, il video: che passino attraverso la vita stessa; e che riconoscano l’essere “altro”, la sua posizione sociale, e vadano oltre il modello prestabilito, preconfezionato, oltre il ruolo delle istituzioni e delle loro miserie: per trovare nella gente, in chi fa al di fuori del sistema. Sistema che crolla tutto sotto parole inutili.Dunque il dibattito lo creiamo, qui e ora, a nostro piacimento, facendo della verità uno strumento utile di volta in volta, modificabile come lo è qualsiasi manifestazione del reale, eliminando quella falsa onestà in cui è caduto anche l’onesto.Le sale cinematografiche stanno crollando, sono già industrie dismesse, immensi garage alla rovina, finché il capo capitale non le ricostituisce in qualche altra forma di intrattenimento. L’industria guadagna qualche decina di miliardi in meno, anno per anno, anno per anno, anno per anno, mantenendo la stessa narrativa, la stessa corruzione culturale e oggi distribuisce su schermi sempre più piccoli, Ipod, videofonini e simili, su cui storpia lo sguardo e la mente della gente. Per frantumare in parti sempre più piccole e ancora di più la collettivizzazione dell'immaginario prodotto.Ma non c’è d’aver pena anzi, brindiamo di continuo a questo grande, lento, inesorabile declino. Non c'è d'aver paura, stappiamo le nostre telecamere e brindiamo all’essere, a noi visionari e alle nostre visioni, alle immagini che sono noi.Coloro che da sempre parlano di crisi del cinema, come i cattolici parlano di crisi della morale, o i politici di crisi della politica, soffrono per questa lenta agonia, formano movimenti, squadre di “centoautori”, come mercenari ritrovati in un’identica guerra, senza accorgersi che al di là di quel sistema in cui regna la corruzione esistono infinite strade. Ma per ogni strada da intraprendere non vi è libertà di scelta, vi è semmai una scelta fondamentale, l’unica.Lo stesso sistema-cinema francese è in continua fibrillazione, le istituzioni finanziano, i festival predominano, e se non ci stai dentro non esisti. Non vincono le opere in Francia; in Francia vince il potere individuale, il potere di chi si arrampica sull'altro.

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Abbiamo accettato l’invito al MFF, nell’instabilità dei nostri proclami del momento, tra un “si fottano i festival” e un “lo diremo a tutti”, e non ha alcuna importanza se nella sala che ci ospita ci saranno 5 persone, perché questa lettera, questo documento, è già storia ed è parte integrante delle nostre produzioni. Abbiamo quindi letto e riletto il sito, chiesto un rimborso spese che non è arrivato, perché viviamo insieme ai nostri film e distaccarsene è per noi un costo enorme, sempre è comunque non previsto. Costo in denaro, fatica, tempo. Fiamma si è occupata di portarci qui, e per questo la ringraziamo, ci ha risposto che questo è un festival indipendente e che non ci sono soldi. Sull’indipendenza del MFF nutriamo dei dubbi. Riteniamo che si debba dare la giusta importanza alle parole e che la concezione di “indipendente”, in cui non ci riconosciamo, dovrebbe essere eliminata tout court. Non riusciamo a comprendere il perché un festival ci invita a parlare di produzione senza richiedere copia dei nostri film, come se passasse differenza. Si parla di “un movimento di pensiero che produce critica, idee e avvenimenti, che pensa e agisce per operare un vero cambiamento”, si parla di Esterni [Esterni è il nome del gruppo di Milano che organizza il festival], e allora che si resti davvero esterni, all’industria, alla politica, alle istituzioni, al linguaggio e alle forme date. Esterni al concetto stesso di appartenenza, sarà più facile incontrarsi..

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Intervista di Pietro Bellorini (kinoglaz01) alla malastrada.film (maggio'07)

. Quando e perchè nasce Malastrada?

La malastrada.film nasce nel gennaio del 2005, in un albergo di Rotterdam, in cui eravamo stati ospitati per la proiezione del nostro primo cortometraggio. Nasce dall'esigenza, se vuoi molto comune per chi fa un primo lavoro impegnativo in completa indipendenza, di aiutare altra gente alla realizzazione dei propri film e guadagnare qualcosa per girare i nostri..Poi le priorità sono un pò cambiate, oggi i nostri lavori sono di varia natura, cerchiamo di sperimentare davvero a basso budget (che a volte può voler dire anche 2€ per una minidv), da film molto intimi e personali a film-inchiesta (anche corti), alla motion-graphic. Crediamo in un cinema povero.

. In che modo secondo voi il digitale sta cambiando il cinema?

Questa è una domanda che a primo impatto potrebbe avere delle risposte scontate. La velocità di produzione, l'abbattimento dei costi, ovviamente hanno cambiato la cose. Ma non è forse vero che questa velocità, questi costi, sono cambiati già da più di 20 anni? Forse non si possono considerare "seri" i video girati nelle stesse condizioni in Hi8 negli anni 1980? Fino al 2000 nella filmografia di Godard - per citare il più citato, ma ce ne sarebbero centinaia - i lavori in video non erano menzionati, gli stessi Cahiers du Cinéma - dopo l’interesse dei primi periodi - non pubblicarono articoli sul video. Solo quando si è arrivati a capire le potenzialità di distribuzione del dvd il digitale fu preso sul serio, i Cahiers cominciarono a pubblicare, i festival ad invitare.Noi crediamo che la rivoluzione del film, inteso come opera finita, non sia iniziata col digitale, ma molto prima, e che non ci sia niente di nuovo in questo mezzo da questi punti di vista. La massificazione/democratizzazione del fare immagini è solo apparente, ed è arrivata a noi e ha preso piede solo per fini commerciali imposti dal capitalismo. Bisogna sempre tenere presente questo aspetto. E allora riteniamo che il modo in cui l'avvento del digitale può davvero cambiare il cinema, come sistema, mira proprio all'aspetto produttivo e distributivo. E non ci riferiamo ai cambiamenti a cui abbiamo assistito tutti fino ad oggi ma a quelli che verranno.C'è una grossa reticenza, anche tra i ragazzi, nello sperimentare nuove forme di produzione (è con questo rispondo alla tua domanda successiva che, essendo scritta, posso anticipare..). Si è ancora legati alle istituzioni, a tempi di attesa lunghissimi, a sottomissioni, all’utilizzo di linguaggi che non portano niente. Ma cosa me ne faccio della velocità del digitale in queste condizioni? E allo stesso modo: a cosa mi serve il digitale se devo parlare un linguaggio vecchio di decenni? Negli anni 1980 si sperimentava di più con i mezzi più economici, oggi col digitale si perde la concezione, tutti vogliono fare cinema ma la maggior parte restano comodamente legati ai vecchi schemi. Produrre dal basso per noi significa proprio superare i limiti imposti dalle istituzioni. Siamo noi a dettare le regole e i tempi, siamo noi a scegliere i partner che possono aiutarci, siamo noi a creare e a portare avanti un sistema verticale che va dalla produzione alla distribuzione, seguendo

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ogni fase di creazione. Ma la cosa più bella è che queste barriere le superiamo con e grazie alla gente. Molta gente ci sta aiutando, amici ma anche sconosciuti che non solo coproducono i nostri film ma ci aiutano anche a diffonderli entrando effettivamente a far parte della malastrada. Grazie alle produzioni dal basso la gente può creare e diffondere la propria cultura. Niente è imposto dall’alto, tutto si sviluppa su un unico piano e quindi non c’è nessuno scarto economico e culturale, non c’è un rapporto capitalistico con la gente. Crediamo che ci siano dei motivi molto profondi sul perché proprio in Italia si stia sviluppando oggi un sistema del genere.

. Come si fa a diventare coproduttori dei vostri lavori?

Basta andare nei siti www.malastradafilm.com - www.produzionidalbasso.com e si trova tutto.

. Come pensate di distribuirli?

Abbiamo dei contratti di diffusione in italia e anche all'estero. Ma quello a cui stiamo lavorando è piuttosto una vera e propria rete di piccole sale, cinecircoli, librerie in cui proiettare, parlare, diffondere i dvd. Crediamo che la gente abbia voglia di fruire in modo diverso, stiamo mettendo su un catalogo di film sconosciuti in Italia ma di grande valore, e presto cominceremo a stampare e a diffondere. Siamo convinti che le cose stanno già cambiando e che tra qualche lustro tutte le grosse sale saranno delle vecchie industrie dismesse (in cui magari si potrà girare qualcosa di interessante). Per quel periodo si prevedono grandi cose, grandi cambiamenti..noi speriamo di esserci e di dare il nostro contributo.

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La Mano Visibiledi GiuseppeSpina

Bisogna sostituire all’occhio la sensibilità. Mentre scrivo non guardo la tastiera del mio computer. La conosco. Mentre muovo la mia handicam non devo per forza guardare l’lcd, non ne ho bisogno, so che mi sto muovendo, so che sto parlando, interagendo con qualcuno/cosa. So di avere la camera in mano e so come funziona1: la bellezza (vista) o il contenuto (sentito) non hanno più importanza (a meno che si parli di Piavoli – altra storia). L’occhio è già stato “violentato” e ora tristemente si prostituisce su navi dirette verso nuovimondi (a ovest con Crialese - a est con Amelio). L’occhio è invecchiato e putrido, è tempo di bambini. E i bambini, si sa, sono portati ai giochi sinestetici, più adatti a lasciarsi spazi e ad attivare i sensi simultaneamente. Quando si cresce poi, dal momento in cui si inizia a seguire la pratica del “pensiero verbale” questa capacità lentamente sfuma e muore. Alcuni magari se la portano dietro fino a tarda età, senza darle molto peso, altri invece ne fanno un pilastro della propria vita, del proprio lavoro. Quanto detto non è ascrivibile all’atto di coscienza ma a ciò che sta dietro ad essa, a una pratica inconscia che si manifesta in ogni istante della nostra vita e che bisogna imparare a cogliere (costruire e ridare). Per farlo bisogna svincolarsi dalla morsa culturale/sociale: per la cultura, per la società. Per farlo occorre prendere una handycam e cercare di fare/dare delle riprese non di quello che vediamo, ma di ciò che abbiamo dentro, che sentiamo, delle nostre angosce, delle ansie, dei sentimenti per le cose che più ci colpiscono, delle relazioni interno/esterno. Rifondare la Visione. Non si guarda con gli occhi. Rifondare i sensi.

L’oggetto: “L’avvenire del cinema, come quello della pittura, dipende dagli interessi che darà agli oggetti, ai frammenti di questi oggetti, o alle invenzioni puramente fantastiche ed immaginative. L’errore della pittura è il modello, l’errore del cinema è il soggetto. Liberato da questo peso negativo, il cinema può diventare il gigantesco microscopio delle cose mai viste e mai sentite”2.

E il simbolo: essenziale per spiegare le esperienze umane, così importante per le “rappresentazioni che servono da guida al comportamento futuro”3.

L’universale: se svincolo l’oggetto/significante dal suo significato e imparo a percepirlo “come nuovo” giungerò con facilità a una risimbolizzazione, avrò fondato un nuovo simbolo, avrò rinnovato la rappresentazione modificando quindi, come si diceva, il comportamento futuro. Devo quindi sentire per la prima volta, svincolarmi dai significati sociali dati per scoprire e arrivare all’universale, abbandonare la “tranquillizzante rete di simboli”4. Ma non è forse vero che gli “universali” vanno cercati nei livelli profondi? Non accade questo anche in musica?5. Mentre ascoltiamo/facciamo della musica (il bello e il brutto continuano a non aver alcuna importanza) nelle sue infinite combinazioni, non risimbolizziamo continuamente?

Sentire per la prima volta. Abbandonare l’occhio-centrismo.

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Perché quindi non riportare questa pratica quantomeno nell’atto poietico della creazione cinematografica? Per far ciò bisogna, come prima cosa, abbandonare l’idea di cinema come linguaggio, cioè riconoscere e abbattere quelle unità segniche che abbiamo scolpite dentro e che ci portano meccanicamente alla fabbricazione semantica (e seriale) di una frase, distruggere l’occhio e i suoi atti di costruzione prestabiliti (ad es. quella prospettica, ma anche l’uso – più propriamente cinematografico - della profondità di campo). Il secondo passo consiste nello svincolarsi dal soggetto inquadrato, andare oltre o entrarci dentro, dare all’inquadratura una vita che vada oltre la prigione del quadro e calarvisi in profondità, far diventare l’atto stesso di ripresa un puro fenomeno pre-soggettivo6. Il terzo passo (già in parte presente nei primi due): abbandonare TUTTE le leggi del mercato! Far venire fuori la Mano Visibile, contrapposta a quella “mano invisibile” che può oggi rimandare in senso lato e ironico alla prassi del cinema commerciale e che secondo la settecentesca metafora di Adam Smith regolava le leggi del mercato.

1 Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un saggio di Rosalind Krauss "Quando vengono meno le parole" - When Words Fail - la quale riportava nel suo scritto un'affermazione di Moholy-Nagy che ricordo più o meno così: l'illetterato del futuro non sarà quello che non saprà leggere ma quello che non saprà fotografare. Questa frase sta alla base del discorso che segue in quanto si ritiene che l’atto poietico di costruzione dell’immagine, tanto quanto quello estesico, debba includere già a livello inconscio un “saper scrivere”. Si veda: R. Krauss, Teoria e storia della fotografia, Mondadori, 1996.

2 Da un saggio di Fernand Leger del 1925, in P. Bertetto, Il cinema d’avanguardia 1910-1930, Venezia, Marsilio, 1983.

3 A. Bandura, Social Learning Theory, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, N.J. 1977.

4 S. Zizek, Credere, Meltemi, 2006. (Anche per quanto riguarda il rapporto reale/realtà).

5 La musica durante il novecento si è spinta artisticamente più avanti del cinema, grazie alla giusta valorizzazione delle esperienze sperimentali, ma “esperimenti scientifici” (come li chiamava Stan Brakhage) paragonabili sono molto rari nella storia del cinema. Come fa notare Marsciani la musica è un linguaggio non propriamente scomponibile in unità segniche, di conseguenza nella struttura semantica musicale la “modalità simbolica” costituisce la modalità primaria di significazione, pertanto la musica riesce a mantenere un grado notevole di astrattezza. Vedi anche: C. Cano, La musica nel cinema. Musica, immagine, racconto, Roma, Gremese, 2002.

6 Per comprendere meglio il concetto di “puro fenomeno pre-soggettivo” bisogna rifarsi direttamente al suo grande autore e al discorso sul profilo di Madeleine stagliato sul “rosso fuoco” della parete del ristorante in Vertigo. Per questo si veda: S. Zizek, Dello sguardo e altri oggetti. Saggi su cinema e psicanalisi, Pasian di Prato (Udine), Campanotto, Territori delle Idee, 2004.

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L'immagine sospesadi GiuseppeSpina

malastrada.film, Milano, 15apr2007

La sospensione del tempo. Per una lettera, per una foto, per ogni forma di rappresentazione della sensazione, dell'emozione, dei sentimenti: dall'interiore, dall'esteriore. Il ricordo stesso, ciò che ci resta del mondo filtrato attraverso i nostri occhi, è una forma di sospensione del tempo. E dell'immagine. Immagine ricreata nella nostra memoria in un gioco di forme imprecisate, non ripresentata o ridata al mondo, ma segreta, nascosta in noi. Dunque una duplice forma di sospensione: interna ed esterna. Al centro di questi due universi si colloca tutta una serie di segni che appartengono al passato, di cui non sappiamo per conoscenza diretta; risulta allora impossibile decifrarne fino in fondo il significato originario legato ad un reale che è stato e che, una volta superato, è irraggiungibile al di fuori di noi stessi. Quindi impossibile da ricostruire. Ma questi segni possono ancora darsi e ridarsi perché carichi di un lavoro che si lega ad un ricordo non mio o tuo ma al ricordo proprio di un mondo congelato. Grazie a questa carica i segni sospesi si svincolano dal concetto di rappresentazione e si concedono in forma pura e fragile. Il trasporto che ci spinge a ritrovare, riprovare, ridare queste immagini è spesso qualcosa di incontrollato; siamo in balia di una forza che da una parte ci conduce verso l'interiore in quanto, rapportandoci con questi segni, ripieghiamo in noi; dall'altra verso l'esteriore in quanto siamo cineasti, vittime/colpevoli di una pratica precisa che ci costringe a donare o a buttar via. Vuoi per guarire, vuoi per vedere.