questo mondo non e il mio mondo. lo gnos

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ezio alBrile Extractum ex commentario - LAURENTIANUM 53 (2012) Fasc. 3 QUESTO MONDO NON è IL MIO MONDO. LO GNOSTICISMO TRA INEFFABILITÀ E RITUALITÀ

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Gnosticismo

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ezio alBrile

Extractum ex commentario - LAURENTIANUM 53 (2012) Fasc. 3

QUESTO MONDO NON è IL MIO MONDO. LO GNOSTICISMO TRA INEFFABILITÀ E RITUALITÀ

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Questo mondo non è il mio mondo. lo gnosticismo tra ineffabilità e ritualità

Ezio AlbrilE

Gli gnostici affermavano che l’unico modo di evitare un peccato era di commetterlo e così liberarsene»

(J. L. Borges, Abbozzo di autobiografia).

1. estraneità

L’universo culturale dell’antico gnosticismo è un complesso intersecarsi di insegnamenti misterici, mitologie e filosofie ellenistiche, un crocevia erudito il cui fine è dimostrare un unico assunto: la «discesa» e l’imprigionamento nel nostro mondo di un principio spirituale superiore, una scintilla luminosa che solo attraverso la vera «conoscenza» l’uomo può riconoscere e ritrovare in se stesso (vedi fig. 1). Il mito centrale dello gnosticismo è espressione di una «no-stalgia» delle origini, un desiderio precosmico dal quale si sviluppa una colpa anteriore, una lacerazione che porta alla creazione dell’uomo e del mondo, intesi entrambi quali carceri dell’Anima divina.

Le concezioni e le aspettative della gnosi sono ben rappresentate dai cin-quantadue trattati ritrovati in circostanze rocambolesche, fra i cocci di una gia-ra, nel 1945 presso Nag-Hammadi (l’antica Chenoboskion), nell’Alto Egitto. Tra i più interessanti è il terzo trattato dell’undicesimo codice1, un libro apo-calittico scritto da un certo 'Allogen»j = Allogeno, lo «Straniero», a beneficio del figlio Mšssoj. Sull’identità e sulle funzioni di questo secondo personaggio

1 NHC XI, 3, 45, 1-69, 20.

Laurentianum 53 (2012) 307-323

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sono state avanzate diverse ipotesi2. La prima propone l’etimologia dal greco Mšsoj cioè colui «che sta nel mezzo», fra il divino (il pl»rwma) e il mondo inferiore (il kšnwma). Mentre la più probabile sembra essere quella che ricon-duce il greco Mšssoj al biblico Mosè (MŠH), dove le due s rendono probabil-mente il suono della lettera ebraica shin (&). Tra le apocalissi menzionate dagli Gnostici di Plotino troviamo infatti una «Apocalisse di Meso (Mšssoj)» che potrebbe corrispondere all’«Apocalisse di Mosè», un apocrifo veterotestamen-tario molto diffuso in ambito giudeo-cristiano e gnostico3.

Allogeno è il nome dietro al quale si cela Seth, figlio di Adamo ed Eva4, il Salvatore della gnosi cosiddetta «sethiana»5: i suoi figli erano detti «Allogeni»6 ed egli era ritenuto autore di una serie di libri eponimi7. Allogeno trascrive la sua esperienza visionaria nel suo libro8, esortando il figlio a nasconderlo, af-finché anche i posteri possano partecipare alla salvezza: «Scrivi [le cose che] ti dirò... E lascerai questo Libro su di una montagna e invocherai il guardiano [dicendo]: “Vieni, o terribile (friktÒj)”»9. È chiara l’allusione ai custodi delle porte celesti che vegliano sul viaggio astrale dell’anima, ma non solo.

Il testo presenta la relazione fra il Redentore celeste Seth e le stele che ne comunicano la rivelazione, connessione ben nota nell’antichità per Hermes10,

2 H. M. JAckson, «The Seer Nikotheos and his lost Apocalypse in the light of Sethian Apocalypses from Nag Hammadi and the Apocalypse of Elchasai», in Novum Testamentum 32 (1990) 259 n. 15.

3 E. PrEuscHEn, «Die apokryphen gnostischen Adamschriften aus dem armenischen Übersetzt und Untersuch», in W. DiEHl Et Alii (Hrsg.), Festgruss B. Stade, Giessen 1900, 65 ss. Il testo esordisce con le parole: «Storia e vita di Adamo ed Eva, i primi uomini creati, quale fu rivelata da Dio al suo servo Mosè...». In realtà nel seguito non si fa più parola di Mosè: la cosa non deve sorprendere, poiché in gran parte della letteratura apocalittica sovente il rivelatore è citato unicamente all’inizio dell’opera quale auctoritas della rivelazione: per le problematiche del testo ed il suo inserimento storico e cronologico tra gli scritti del cosiddetto «ciclo adamico», cfr. l. rosso ubigli, «Introduzione», in Apocrifi dell’An-tico Testamento, a cura di P. SAccHi, II, Torino 1989, 381 ss.

4 F. grAF, s.v. «Allogenes», in DNP, I, Stuttgart-Weimar 1996, 529.5 EPiPH. Pan. haer. 40, 7, 2.6 Ibid. 40, 7, 5.7 Ibid. 39, 5, 1; 40, 2, 2.8 M. W. MEyEr, s.v. «Allogenes», in The Coptic Encyclopedia, I, New York-Toronto 1991, 105 a-b;

versione di J. D. turnEr-o. s. WintErMutE, in cH. W. HEDrick (ed.), Nag Hammadi Codices XI, XII, XIII (Nag Hammadi Studies, XXVIII), Leiden-New York-København-Köln 1990.

9 Allog. XI, 68, 16-23 (turnEr-WintErMutE, 238-239).10 Cfr. W. boussEt, «Die Beziehungen der ältesten jüdischen Sibylle zur chaldäischen Sibylle

und einige weitere Beobachtungen über den synkretistischen Charakter der spatjüdischen Literatur», in Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft 3 (1902) 44-48; A.-J. FEstugièrE, La révélation d’Hermes Trismegiste, I, Paris 1944, 319-324.

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mediatore fra gli uomini e l’aldilà. Lo schema è costante: un Salvatore scrive i propri insegnamenti su delle stele, su una pietra o altro materiale e li nasconde nel deserto, su montagne inaccessibili o in caverne; giunge poi una figura di rilievo della storia religiosa, scopre lo scritto, lo decifra e lo fa conoscere ad altri iniziati, recando, con la conoscenza, la salvezza.

Seth è la «generazione vivente»11, il seme benedetto in cui è racchiusa la «gnosi di vita»12. Oltrepassando la caducità del divenire, attraverso le ère co-smiche si comunica, inalterato, lo «Spirito profetico» racchiuso nella genera-zione degli eletti, la potenza spirituale che da Adamo si comunica all’«altra stirpe», quella di Seth. L’Allogeno, lo «Straniero», è l’esito gnostico del man-daico nukraya13, e allude allo spšrma ›teron menzionato nei Settanta14 per de-signare la progenie di Seth15; è lo anōdag dei testi manichei in medio-persiano. «Straniera» è la Vita ipercosmica, trascendente, «straniero» è il messaggero, l’inviato, l’Apostolo di Luce, il freštag rōšn dei testi manichei, che giunge nel mondo della maculazione, cioè nel nostro mondo, per liberare le scintille di Luce ivi intrappolate.

«Straniera» è anche l’Anima, precipitata in questo universo cangiante, re-gno della molteplicità. Pur consapevole che la sua patria non è il mondo, l’Ani-ma è incline, come per inerzia, ad adagiarsi in esso, invasa come da un senso di torpore che la rende incapace di rispondere al richiamo del Regno della Luce16. Con le sue sole forze essa non può sperare di liberarsi senza l’aiuto di un liberatore, di un Inviato che la sottragga agli influssi del mondo e la risvegli alla vera Vita17.

L’«Inviato» è «Straniero», estraneo a questa modalità di esistenza, ma allo stesso tempo «esiliato» dal mondo luminoso. Ciò significa che esistono due alterità dell’Inviato – il Salvatore gnostico –, la prima verso il mondo divino,

11 Melch. IX, 27, 7-10 (trad. B. A. PEArson in ID., [ed.], Nag Hammadi Codices IX and X [Nag Ham-madi Studies XV], Leiden 1981, 82-83).

12 Apoc. Adam. V, 69, 19-24; 75, 22-76, 7; anche Zostr. VIII, 1, 5-2, 14; 129, 16-130, 9.13 E. s. DroWEr-r. MAcucH, A Mandaic Dictionary, Oxford 1963, 293 b.14 Gen. 4, 25 = J. W. WEvErs (ed.), Genesis (Septuaginta, Vol. I), Göttingen 1974, 101.15 g. A. g. strouMsA, Another Seed. Studies in Gnostic Mythology, (Nag Hammadi Studies, XXIV),

Leiden 1984, 17 ss.16 H. JonAs, Gnosi e spirito tardoantico, trad. e cur. C. BonAlDi, Milano 2010 (ed. or. Göttingen

19884-19934) 160 ss.; ID., Lo gnosticismo, trad. it. M. RiccAti Di CEvA, Torino 19952, 85.17 ID., Gnosi e spirito tardoantico, 181 ss.; ID., Lo gnosticismo, 92.

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il pl»rwma da cui si è separato, la seconda verso il mondo dominato dalla Heimarmenē fatale e dagli Arconti malefici18.

Secondo Porfirio19, il libro apocalittico 'Allogen»j era uno dei testi sacri venerati dagli Gnōstikoi «amici» di Plotino20. Questi e altri scritti erano parte di una gnosi siro-mesopotamica le cui tracce sono evidenti nella Roma imperiale. La conferma è sempre Porfirio, che intitola proprio «Contro gli Gnostici» il trattato di Enneadi II, 9 (33), in cui Plotino polemizza contro questi presunti discepoli o «amici»21. Essi appartenevano ad una cerchia esoterica attestata in Alessandria, Cartagine, Roma e altrove. In origine questi «settari» (a„retiko…) – come li chiama Porfirio22 – erano espressione di una gnosi al crocevia di spe-culazioni giudeo-iraniche e «filosofia antica» (palai¦ filosof…a): tra i loro scritti sono da annoverare perduti e misteriosi testi «di Alessandro di Libia, di Filocomo, di Demostrato di Lidia», nonché le già menzionate «Apocalissi di Zoroastro, di Zostriano, di Nicoteo, di Allogeno, di Meso (Mšssoj)»23. Una serie di opere che sembrano avere affinità con i più famosi trattati «sethiani» di Nag-Hammadi24, quali l’Apokryphon Johannis, l’Hypostasis Archonton, Mar-sane o le Tre Stele di Seth25.

Fra i presunti «amici» di Plotino menzionati da Porfirio c’è anche un certo Aquilino. Questi è probabilmente l’Aquilino di cui parla Porfirio nella «Vita dei sofisti» di Eunapio di Sardi (ca. 345-420 d.C.), indicato come discepolo

18 ID., Gnosi e spirito tardoantico, 142 ss.; ID., Lo gnosticismo, 69 ss.19 Vit. Plot. 16 (in Plotino, Enneadi, trad. e cur. G. FAggin, Milano 19923, 24-25).20 I testimonia aramaici della presunta «Apocalisse di Allogeno» sono raccolti da H.-cH. PuEcH,

«Fragments retrouvés de l’“Apocalypse d’Allogène”», in Annuaire de l’Institut de Philologie et d’Hi-stoire Orientales et Slaves 4 (1936) (= Mélanges Franz Cumont) 935-962, poi ripreso in H.-cH. PuEcH, Sulle tracce della Gnosi, (Il Ramo d’Oro, 12), trad. it. F. ZAMbon, Milano 1985, 293-321.

21 G. FAggin, 286 ss.; per la letteratura critica a riguardo, cfr. cH. ElsAs, Neuplatonische und gnost-ische Weltablehnung in der Schule Plotins, (RGVV, 34), Berlin-New York 1975, 5 ss.

22 Vit. Plot. 16, 1 (G. FAggin, 24-25).23 Vit. Plot. 16, 4-7.24 M. tArDiEu, «Les livres mis sous le nom de Seth et le Séthiens de l’hérésiologie», in M. krAusE

(ed.), Gnosis and Gnosticism. Papers Read at the Seventh International Conference on Patristic Stud-ies (Oxford, Sept. 8th-13th 1975), (Nag Hammadi Studies, VIII), Leiden 1977, 204 ss.; H.-M. scHEnkE, «Das sethianische System nach Nag-Hammadi-Handschriften», in P. nAgEl (Hrsg.), Studia Coptica Berlin 1974, 65 ss.; J. D. turnEr, «Typologies of the Sethian Gnostic Treatises from Nag Hammadi», in l. PAincHAuD-A. PAsquiEr (eds.), Les textes de Nag Hammadi et le problème de leur classification. Actes du Colloque tenu à Québec du 15 au 19 Septembre 1993, Québec (Canada)-Louvain-Paris 1995, 170-173.

25 turnEr-WintErMutE, 182-183.

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diretto di Plotino26. La notizia è rilevante, perché avvicina sempre più questi «settari» alla cerchia degli assidui frequentatori della scuola del grande filoso-fo. Figura di rilievo, carismatica, di questi Gnōstikoi, Aquilino è sicuramente l’autore di un un «Commentario sui numeri» a coloritura gnostica di cui parla Giovanni Lido27 nel suo De mensibus.

Nell’apocalisse di Allogeno i «perfetti», i tele…oi, dimorano nel Noàj28: è la dimensione pleromatica, scaturigine della «triplice potenza eonica», in cui il visionario viene illuminato dallo splendore della gnîsij eterna29. Allogeno riceve la rivelazione da un’entità celeste30, Iouēl, cioè Iao-ēl = «il Dio Iao»: 'Iaè, vocalizzazione del tetragramma sacro YHWH31, cioè del nome del Dio dell’Antico Testamento, un personaggio di tutto rilievo nella mitologia e co-smogonia gnostiche32. Iouēl, «colei che è al di sopra di ogni splendore»33, ha reso Allogeno partecipe dei misteri divini; nessuno prima di lui ha percepito la «grande potenza» che il Padre del Tutto infonde negli eletti, la stessa forza che permette di discernere le cose divine, «sconosciute alle moltitudini», e quindi di fuggire, di salvarsi da questa modalità di esistenza.

La triplice potenza esiste veramente e per descriverla si utilizza un lessico nepolatonico entro il quale la gerarchia del reale è scandita in tre livelli. Il pri-mo, ipsissimo, chiamato Essente (pet<oop = tÕ Ôn), Essenza (oÙs…a) oppure Esistenza (Ûparxij). Quest’ultimo termine, riferito alla suprema realtà divina, è usato da Proclo34 per definire l’assoluta trascendenza dell’Uno come non-essere, cioè come Ûparxij sovraessenziale35. Seguono la Vita (wN_X = zo») o

26 Vit. Soph., IV, 2, 1 (= EunAPii, Vitae Sophistarum, ed. G. GiAngrAnDE, Roma, 1956, p. 9, 4-5; trad. A. R. SoDAno in PorFirio, Vangelo di un pagano, Milano 1993, 249).

27 De mens. IV, 76 (= ioAnnis lyDi, Liber de mensibus, ed. R. WünscH, Stuttgart 1898 [repr. 1967], 128, 12-17); JAckson, «The Seer Nikotheos», 255.

28 Allog. XI, 45, 6-9 (turnEr-WintErMutE, 192-193).29 Allog. XI, 45, 13-17.30 Entità presente anche in Zostr. VIII, 125, 14-15 nelle sembianze di «gloria virginale maschile».31 D. E. AunE, s.v. «Iao», in RAC, 17, Stuttgart 1994, 1-2; M. PHilonEnko, «Une intaille magique au

nom de Iao», in Semitica 30 (1980) 57-60 + pl. III/a.32 AunE, «Iao», 9 ss; J. MicHl, s.v. «Engel V (Katalog der Engelnamen)», in RAC, V, Stuttgart 1962, 216.33 Allog. XI, 50, 19-20 ss. (turnEr-WintErMutE, 202-203).34 turnEr-WintErMutE, 189.35 v. nAPoli, 'Epškeina toà ̃ nÒj. Il principio totalmente ineffabile tra dialettica ed esegesi in Dama-

scio (Symbolon, 33), Catania-Palermo 2008, 325 ss.; c. stEEl, «“Uparxij chez Proclus», in F. roMAno - D. P. tAorMinA (cur.), Hyparxis e hypostasis nel Neoplatonismo. Atti del I Colloquio Internazionale del Centro di Ricerca sul Neoplatonismo (Università degli Studi di Catania, 1-3 ottobre 1992), Firenze 1994, 79-100; cfr. anche cH. guérArD, «L’hyparxis de l’Âme et la Fleur de l’Intellect dans la mysta-

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Vitalità (M_n_TwP'X) e infine la Conoscenza (M_n_Teime), Intellezione (no»thj < nÒhsij) oppure Beatitudine (mak£rioj < makar…a)36. A questi gradi di realtà si contrappone il primo pensiero divino, l’eone Barbelo, colei che «possiede gli schemi e le forme di ciò che esiste realmente»37 e corregge le imperfezioni della natura38.

Sin dalle prime battute, il trattato è caratterizzato da uno strano miscuglio di metafisica neoplatonica (monistica) e pragmatismo gnostico (dualistico). Quasi a celare, attraverso una complessa e spesso confusa ontologia neoplatonica, una realtà primaria che si rivela secondo modi e forme molto più familiari e «corporei». Circostanza che ricorre spesso nel pensiero rituale degli antichi teurghi39. L’acquisizione del potere luminoso implica un’inevitabile «affini-tà elettiva»: immerso, circondato dalla Luce, Allogeno contempla il Bene, tÕ ¢gaqÒn, che è in lui e si trasforma, «diventa Dio»40. Il conseguimento celestiale è sancito dall’entità celeste Iouēl: «... tu hai conosciuto il Bene che è in te...»41, dice, intimandogli poi di tacere ai molti il «grande mistero», accessibile solo a chi è affine alla «Triplice potenza eonica»42.

Allogeno ha conosciuto la divinità trascendente, poiché essa si è rivelata nel divenire nella forma «aionica» di passato, presente e futuro43. Dio è diventato Tempo, si è reso visibile attraverso la realtà fenomenica.

C’è un passaggio molto interessante che racconta questa trasformazione.Barbelo, «Primo pensiero» (œnnoia) del Padre, è tutt’uno con la Triplice

potenza e con l’«Esistenza non-essenziale» (M_N +xupar3is Nna tousia)44. Nella metafisica procliana, la Ûparxij è intesa nella duplice accezione di non-essere e di tutto ciò che realmente sussiste in un qualsivoglia modo45. In tal senso, nell’orizzonte della Ûparxij si inscrivono tutte le possibili modalità di

gogie de Proclus», in J. PéPin-H. D. sAFFrEy (éds.), Proclus lecteur et interprète des anciens. Actes du colloque international du CNRS, Paris (2-4 octobre 1985), Paris 1987, 335-349.

36 turnEr-WintErMutE, 179.37 Allog. XI, 51, 14-16 (turnEr-WintErMutE, 204-205).38 Allog. XI, 51, 28-32.39 Cfr. H. lEWy, Chaldaean Oracles and Theurgy. Mysticism Magic and Platonism in the Later Ro-

man Empire, Nouv. éd. par M. TArDiEu, Paris 19783, 151 ss.40 Allog. XI, 52, 7-12 (turnEr-WintErMutE, 206-207); cfr. il parallelo con Corpus hermeticum XII,

19, ed. I. rAMElli, Milano 2005, 350-351.41 Allog. XI, 52, 16 (turnEr-WintErMutE, 206-207).42 Allog. XI, 52, 18-33.43 Allog. XI, 45, 19-21 (turnEr-WintErMutE, 192-193).44 Allog. XI, 53, 27-31 (turnEr-WintErMutE, 208-209).45 nAPoli, 'Epškeina toà ˜nÒj, 326; stEEl, «“Uparxij chez Proclus», 85-95.

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esistenza entro le quali è configurata la realtà. La sequenza del testo gnostico ricorda da vicino un passo del primo libro del Commentario sul Parmenide di Proclo: in esso si prospetta una classificazione tripartita dei tipi di «esistenza», di Ûparxij, stabilendo che Ûparxij è essenza (oÙs…a), generazione (gšnesij), oppure non è essenza né generazione (oÜte oÙs…a oÜte gšnesij)46. La nozione di Ûparxij è quindi più estesa della nozione di essenza (oÙs…a). Infatti vi sono diversi ordini di esistenza «non-essenziali». Tra di essi Allogeno ricorda quello in cui la potenza si manifesta in una ™nšrgeia, una forza attiva, sommersa nella quiete di un rumore silenzioso: ZZA ZZA ZZA, un suono impercettibile che dà forma all’invisibile, concretizzando l’ineffabilità dell’Uno nella reboante mol-teplicità del cosmo (ebol XiT'N ouenergia esxoR'''K Mmos auw eskw Nrws

eas+ Nouxroou N+xe je zza zza zza)47. L’ineffabilità del divino si mate-rializza – pericolosamente, diremmo – in una frequenza sonora, in un fruscio che la rende in qualche modo «visibile», misurabile. Il testo, nelle linee attigue, è molto corrotto, ma dalla lettura delle frasi successive48 comprendiamo come il suono sia stato il preludio al manifestarsi di una serie di entità «eoniche» mediatrici fra il divino e il mondo.

L’oscillazione fra la trascendenza dell’Uno e la concretezza sonora e cor-porea del molteplice, «arcontico» e contaminato, è un tratto fondante dell’on-tologia gnostica. Se con Dio non si può comunicare se non apofaticamente, negandolo, con l’Arconte malefico, facitore del mondo, conversare è possibile. E il suono diventa il primo strumento di comunicazione. Ciò spiega la funzione del suono, della vibrazione demiurgica, nella percezione della creazione.

Secondo uno strano gnostico, un arabo chiamato Monoimo49, l’¥nqrwpoj è il tutto ingenerato, immortale, eterno, completato da un uἱÕj ¥nqrwpoj a lui simile. Entrambi sono effigiati da una lettera greca, lo iota, quell’«unico» che è al medesimo tempo suono, lettera, numero, e cela in sé, allo stato germinale, la poliedricità del divenire. Lo iota è il modello, la scaturigine del movimen-to vibratorio della materia fisica: dal punto di vista spazio-temporale esso si propaga attorno al suo punto di origine in modo isotropo, cioè mediante onde concentriche, producendo un vortice elicoidale che si sviluppa in tutte le dire-zioni dello spazio.

46 nAPoli, 'Epškeina toà ˜nÒj, 326.47 Allog. XI, 53, 33-37 (turnEr-WintErMutE, 208-209).48 A partire da Allog. XI, 54, 10 ss. (turnEr-WintErMutE, 210-211).49 HiPP. Ref. VIII, 12-15; altri ragguagli in c. colPE, s.v. «Gnosis II (Gnostizismus)», in RAC, XI,

Stuttgart 1981, 617-618.

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Il movimento oscillatorio, vibrazionale, di cui il suono fisico è l’elemento percepibile, diventa una rappresentazione spaziale del tempo50. Affinché il tem-po possa essere percepito fisicamente e fenomenicamente, deve essere infatti considerato in relazione allo spazio. Il risultato di questa combinazione è il movimento: ciò equivale a considerare il movimento come una rappresentazio-ne spaziale del tempo. Questa «coagulazione» del tempo, ottenuta attraverso il suono primordiale, porta al formarsi del cosmo, che nella mentalità gno-stica è inteso quale mondo-prigione dove sono rinchiuse le Anime luminose dei tšleioi. Inoltre, il suono entrerà a far parte di quelle tecniche meditative ed estatiche che alcune conventicole di eletti gnostici metteranno in atto per svincolarsi dai lacci della materia e ritornare il più velocemente possibile nel mondo pleromatico51. Alterazioni a carattere psico-nervoso sono infatti sem pre connesse con le modificazioni prolungate del ritmo respiratorio e con la ripeti-zione continuata di un suono, di una parola o di una breve formula di preghiera. Interventi volontari di questo tipo su ritmi biologici che per loro natura sono automatici, favoriscono nei praticanti stati alterati di coscienza che possono andare da forme ipnotiche a visioni plastiche e allucinatorie. Si comprende perciò che un fatto del genere non è di per sé peculiare dello gnosticismo, ma si inscrive in un più ampio con testo estatico e religioso52.

2. salvezze

Una delle più interessanti e suggestive testimonianze del sistema manicheo è contenuta nel nono capitolo di un’importante opera eresiologica islamica, il Kitāb al-Fihrist di Ibn al-Nadīm. Una sequenza ci interessa da vicino53, quella dedicata ai tempi delle origini, in cui il diabolico Arconte al-Ñind–d instilla il

50 Cfr. r. guénon, «Le condizioni dell’esistenza corporea», in Rivista di Studi Tradizionali 35 (1971) 92-96.

51 Per una rassegna di queste tecniche, cfr. F. MicHElini tocci, «Simboli di trasformazione cabali-stici ed alchemici nell’Eš meñar‡f con un excursus sul “libertinismo” gnostico», in Annali dell’Istituto Orientale di Napoli N. S. 31 (1981) 78 ss.

52 F. MicHElini tocci, «Dottrine “ermetiche” tra gli Ebrei in Italia fino al Cinquecento», in Italia Ju-daica. Atti del I Convegno internazionale, (Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Pubblicazioni degli Archivi di Stato – Saggi, 2), Roma 1983, 293.

53 Fihrist 60, 7-61, 13 (= g. FlügEl, Mani, seine Lehre und seine Schriften, Leipzig 1862); cfr. J. c. rEEvEs, «Manichaica Aramaica? Adam and the Magical Deliverance of Seth», in Journal of the Ameri-can Oriental Society 119 (1999) 433.

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desiderio nella coppia primordiale, insegnando, sillabando sottovoce ad Eva le parole magiche affinché s’infatui di Adamo.

Per rendersi più seducente, Eva si adorna con ghirlande e corone di fiori. Adamo, folle di desiderio, si unisce a lei generando Seth, un bimbo raggiante luce. La cosa manda su tutte le furie l’Arconte. Colmo d’invidia, in un fiotto di rabbia sbotta verso Eva: «Il pargolo non è uno di noi, è uno Straniero». Si ripropone la tematica del Salvatore gnostico Seth, estraneo al mondo e ai suoi inganni. Per questo, seguendo i dettami dell’Arconte al-Ñind–d, Eva tenta di sopprimerlo, ma viene fermata all’ultimo momento da Adamo. «Lo nutrirò di latte e di frutti», egli dice prendendo il bimbo e portandolo via con sé.

Ma al-Ñind–d scatena i suoi Arconti alla ricerca dell’infante. Per far sì che venga allo scoperto, i demoni lo privano del cibo uccidendo il bestiame da latte e distruggendo le piante da frutto. Alla vista di questo sterminio, Adamo prende il piccolo Seth e lo pone al centro di tre cerchi magici, sui quali recita tre distinte invocazioni: sul primo pronunzia il nome del Re dei Giardini di Luce (cioè il Padre della Grandezza = Zurwān), sul secondo il nome dell’Uomo primigenio e sul terzo quello dello Spirito Vivente. Tre personaggi che corri-spondono ai tre principali momenti o «creazioni» in cui è organizzato il sistema cosmologico manicheo: i «tre grandi giorni», i tre momenti cruciali della sal-vazione della luce di cui parla un testo medio-persiano che ha un parallelo nel cap. 39 dei Kephalaia manichei in copto54.

L’episodio narrato da al-Nadīm non ha precedenti biblici55 e si ritrova con leggere varianti in due testi manichei in medio-persiano editi anni orso-no da Werner Sundermann56. Il secondo di questi, il più esplicito, racconta di Gēhmurd, l’equivalente medio-persiano di Adamo, che, dopo aver deposto a terra il piccolo Seth, «disegnò sette linee intorno a lui»57, recitando i «nomi dei Viventi e dei Santi». L’Adamo iranico sottrae il pargolo Seth all’attacco demo-nico58 circondandolo con una serie di sette cerchi magici, un numero planetario entro il quale si esprime una tecnica apotropaica che avrà molta fortuna nei secoli a venire.

54 E. ProvAsi, «Testi medio-iranici III», in gH. gnoli (cur.), Il manicheismo, III. Il mito e la dottrina. Testi manichei dell’Asia centrale e della Cina, Milano 2008, 172.

55 J. c. rEEvEs, «Manichaica Aramaica?», 434.56 M 4500 verso col. II, 3-6; M 5566 + M 4501 recto col. I = W. sunDErMAnn, Mittelpersische und

parthische kosmogonische und Parabeltexte der Manichäer, mit einigen Bemerkungen zu Motiven der Parabeltexte von Friedmar Geissler, Berlin 1973, 70-73.

57 Trad. c. g. cErEti, «Testi medio-iranici I», in gH. gnoli (cur.), Il manicheismo, III, 172.58 J. c. rEEvEs, «Manichaica Aramaica?», 436-437.

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316 Ezio Albrile

La propensione a rappresentare la realtà infestata da Arconti, demoni ge-losi creatori del mondo, è il tratto fondante dell’antico gnosticismo. È degli gnostici cosiddetti «Ofiti», «Adoratori di serpenti» (probabile traduzione greca dell’ebraico Naï…š–m, Naasseni), un famoso cosmogramma (vedi fig. 2) che il pagano Celso credeva cristiano, ma che Origene non si stancava di denunciare come gnostico59. Un diagramma configurato in «dieci cerchi separati gli uni dagli altri, ma conchiusi entro un altro cerchio, ritenuto l’Anima del mondo e chiamato Leviathan»60. Il Leviathan, che nel Diagramma è chiamato anche Behmèn = Behemoth, è il Serpente di Isaia 27, 1, immaginato dagli Ofiti in fattezze di OÙrobÒroj, il Serpente o il dr£kwn avvolto su se stesso, eternato nell’atto di inghiottire e divorare la propria coda61. Al suo interno, come in un utero, stanno i mondi planetari governati dagli Arconti, dal più oscuro al più perfetto; oltre le sue spire sta un tetr£gwnoj, un «rettangolo» che simboleg-gia il Paradiso62; più sopra un «cerchio infuocato» con su disegnata una spada fiammeggiante, a custodia dell’Albero della Conoscenza e della Vita63.

Celso racconta di aver avuto fra le mani libri di magia, posseduti da attempati Gnōstikoi che egli crede cristiani, contenenti formule, incantesimi e «nomi bar-bari di demoni»64 utili ad oltrepassare le frontiere arcontiche, confini per l’Anima di luce che vuole ritornare nello splendore paterno65. Nel Diagramma, oltre le sfere degli Arconti sono tracciati infatti altri cerchi, a rappresentare i mondi pa-radisiaci ('Ag£ph e Zw»; Gnîsij e SÚnesij) e gli spazi ipercosmici del Figlio e del Padre66. Per liberarsi, l’Anima dapprima deve superare la fragmÕj kak…aj,

59 H. lEisEgAng, Die Gnosis, (Kröners Taschenausgabe, Band 32), Leipzig 1924, 169, che nella terza edizione del suo lavoro (Freiburg 1941) rivede parzialmente lo schema (p. 170, n. 3) seguendo tH. HoPFnEr, «Das Diagramm der Ophiten», in Charisteria Alois Rzach zum achtzigsten Geburstag dargebracht, Reinchenberg 1930, 86-98; due nuove interpretazioni sono quelle di A. J. WElburn, «Re-constructing the Ophite Diagram», in Novum Testamentum 23 (1981) 261-273 e b. WittE, Das Ophi-tendiagramm nach Origenes’ Contra Celsum VI 22-38 Altenberge 1993, in partic. pp. 142-143.

60 or. Contr. Cels. 6, 25; cfr. A. J. WElburn, «Reconstructing», 277 n. 43.61 k. PrEisEnDAnz, «Aus der Geschichte des Uroboros», in F. HErrMAnn-W. trEutlEin (Hrsg.),

Brauch und Sinnbild. Eugen Fehrle zum 60. Geburtstag, Kalsruhe-Heidelberg 1940, 194-209; cfr. H. J. sHEPPArD, «The Ouroboros and the Unity of Matter in Alchemy», in Ambix 10 (1962) 83-96; g. luck (cur.), Arcana Mundi. Magia e occulto nel mondo greco e romano, II: Divinazione, astrologia, alchi-mia, Milano 1999, 258-259; 372.

62 Secondo la ricostruzione di H. lEisEgAng, Die Gnosis, 169.63 or. Contr. Cels. 6, 33.64 Ibid. 6, 40.65 Ibid. 6, 39.66 Ibid. 6, 38; A. J. WElburn, «Reconstructing», 281, fig. 2; 283, fig. 3 .

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la «barriera del male» eretta da Ialdabaōth, il primo67 e ultimo Arconte nelle cui fattezze «leonine» (leontoeid»j)68 si può riconoscere il «Tempo»69, A„èn o CrÒ-noj, inteso quale KrÒnoj, Saturno, l’ultimo pianeta. Non a caso Saturno appare associato dagli Gnostici al Dio ebraico YHWH, ritenuto il capo degli Arconti perché il settimo giorno, il Šabbat o Sabato, era a lui consacrato (cfr. Gen. 2, 3; Lev. 23,16)70.

Parallelamente alla lista di nomi «arcontici», il Diagramma ofitico presenta un’altra lista di nomi «arcangelici» associati sempre ai pianeti, dei quali i primi quattro, Michele, Suriele71, Rafaele e Gabriele, corrispondono ai quattro ani-mali simbolici del Ïayyōt ha-qodeš, i quattro «viventi» (Leone, Toro, Aquila, Uomo) della visione di Ezechiele (Ez. 1, 14-15) ripresa in Apocalisse 4, 1 ss., dove i ventiquattro vecchi indiademati e i quattro «viventi», zùa, celebrano l’intronizzazione dell’Agnus Dei. A loro volta le quattro creature sono lega-te alle quadruplicità astrologiche, cioè ai Segni fissi, i quattro segni zodiacali (Toro – Leone – Scorpione – Acquario) in cui si trova il Sole nella maggior espansione di ciascuna stagione. Se nel cosmogramma zodiacale si uniscono con una linea il Toro (segno di terra) al segno opposto dello Scorpione (segno d’acqua) e con un’altra linea si congiungono il segno del Leone (segno di fuo-co) con il suo opposto, il segno dell’Acquario (segno d’aria), si ottiene infatti la cosiddetta «Croce fissa» formata dai quattro elementi72.

Il primo cielo, la Luna, e il settimo, Saturno, appartengono allo stesso Arcon-te, Ialdabaōth, primo e ultimo. Il mese sinodico, lunare, ha una durata di 29 giorni e mezzo. Non a caso Saturno completa la sua rivoluzione nei segni zodiacali in

67 Ibid. 6, 27; ir. Adv.haer. I, 30, 10.68 u. biAncHi, «Protogonos. Aspetti dell’idea di Dio nelle religioni esoteriche dell’antichità», in

Studi e Materiali di Storia delle Religioni 28 (1957) 127-128.69 Cfr. D. W. boussEt, «Der Gott Aion», in Religionsgeschichtliche Studien. Aufsätze zur Religion-

sgeschichte des hellenistischen Zeitalters, Hrsg. A. F. VErHEulE, Leiden 1979, 192-230; M. J. vEr-MAsErEn, «A Magical Time God», in J. r. HinnElls (ed.), Mithraic Studies, I, Manchester 1975, 451 ss.; g. zuntz, «Aion Plutonios», in Hermes 116 (1988) 291-303; G. zuntz, A„èn. Gott des Römerreiches, Heidelberg 1989; G. zuntz, A„èn im Römerreich: die archäologischen Zeugnisse, Heidelberg 1991; l. FoucHEr, «Aiôn, le Temps absolu», in Latomus 55 (1996) 5-30; c. tAvEllA, «Aion e l’iconografia bizantina dei mesi», in Patavium 4 (1996) 111-139; importante materiale iconografico è raccolto da D. lEvi, «Aion», in Hesperia 13 (1944) 269-314; l. Musso, s.v. «Aion», in Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale, Supp. II/1, Roma 1994, 134 b-142 a; e M. lE glAy, s.v. «Aion», in LIMC, I/1, Zürich-München 1981, 399-411; I/2, 404-405.

70 A. J. WElburn, «Reconstructing», 265.71 Il testo conosce una variante significativa in OÙri»l = Uriele, cfr. PG 11, col. 1340, n. 18.72 A. J. WElburn, «Reconstructing», p. 266.

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318 Ezio Albrile

un periodo di 29 anni e mezzo73. Secondo la pratica astrologica, Saturno è lo «sposo della Luna», poiché ritenuto opposto ad essa. Di fatto, i reciproci domicili (solstiziali), cioè la Luna in Cancro e Saturno in Capricorno, sono opposti.

L’Anima luminosa deve oltrepassare le porte degli Arconti «eternamente si-gillate», dichiarando la propria purezza a Ialdabaōth – chiamato «sovrano soli-tario» (basileÝj monÒtropoj) e «vincolo di oblio» (desmÕj ¢bley…aj) – quindi sussurra una formula rituale che si chiude con l’affermazione di averne varcato la soglia e di potersi aggirare libera nel suo regno74. Ialdabaōth è rintracciabile in altri scritti gnostici75: è l’Arconte metà fuoco e metà oscurità, divoratore e dal volto leonino della Pistis Sophia (I, 31); è il mostruoso transessuale dalle fattezze di drago e dal volto di leone, superbo nella sua fittizia unicità, che troviamo nell’Apokryphon Johannis76. Un orrendo zoomorfismo trasmigrato nell’immaginario dei manichei: il Fihrist menziona infatti un demone della tenebra con testa di leone, corpo di drago, ali di uccello, coda di pesce e piedi di rettile77. Tra le etimologie del nome, la più attendibile sembra quella rintrac-ciata da A. J. Matter, il primo a proporre per IaldabaŸth il significato di «Figlio del Caos»78, corretto da G. Scholem in «Padre del Caos»79.

3. ritualità

Nel Diagramma seguono altre formule, rivolte agli altri Arconti, ma quello che preme rilevare è la natura originaria del rituale. Chi studia i fenomeni ma-gici, anche solo per diletto, è abituato ad aver a che fare con riti e invocazioni celebrati all’interno di cerchi magici: il cerchio magico «protegge» il mago da-gli influssi evocati, ma allo stesso tempo lo confina in uno spazio limitato. Una situazione affine si presenta nella novella di Nikolaj Gogol’ (1809-1852) Il Vij, dove il cerchio magico imprigiona il mago-filosofo, morto di paura, mentre le mura circolari della chiesa imprigionano gli spiriti malefici evocati.

73 Ibid., 265.74 or. Contr. Cels. 6, 31.75 U. biAncHi, «Protogonos», 127, n. 2.76 Apocr. Joh. II, 24, 12 e passim.77 Cfr. J. DucHEsnE-guillEMin, «Ahriman et le dieu suprême dans les Mystères de Mithra», in Numen

2 (1955) 191; E. AlbrilE, «Yaldabaoth e Ahriman: l’idea del tempo demiurgico tra gnosi e manichei-smo», in I Quaderni di Avallon 34 (1995) 47-58.

78 A. J. MAttEr, Histoire critique du Gnosticisme, II, Paris 1828, 198.79 g. g. scHolEM, «Jaldabaoth Reconsidered», in Mélanges d’Histoire des Religions offerts à H.-Ch.

Puech, Paris 1974, 410 ss.

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319Questo mondo non è il mio mondo. Lo gnosticismo tra ineffabilità e ritualità

In passato mi ero soffermato sulla cosiddetta «Sfera magica» di Atene80. Anche in questo caso una serie di cerchi, intersecantesi a formare una sorta di cosmogramma, indirizzava l’interpretazione verso un ambito cultuale gno-stico, unito all’idea della liberazione dell’Anima luminosa attraverso formule magiche e riti teurgici81. Tutti questi materiali, più o meno inconsapevolmente, trasmigreranno nella magia medievale. Un importante documento a riguardo è stato reso noto qualche decennio fa da Richard Kieckhefer. Si tratta di un manoscritto proveniente dalla Biblioteca Statale Bavarese di Monaco82, il CLM 849. Esso appare come una miscellanea di incantesimi, esorcismi e altre formu-le magiche. Merita attenzione non tanto per la sua importanza (non potrebbe infatti mai competere con manuali di magia medievali come il Picatrix), ma piuttosto per quel che rappresenta. È un raro esempio risalente al XV secolo, forse il migliore tra quelli sopravvisuti, di un genere un tempo fiorente: il ma-nuale di magia esplicitamente demoniaca, «goetica» o negromantica.

Le tecniche di negromanzia, in questo manuale, sono spesso complesse, ma si riducono ad alcuni elementi principali: l’uso di cerchi magici, unito a evocazioni e sacrifici. I cerchi magici possono essere tracciati sul terreno con una spada o un coltello, o altrimenti inscritti in un frammento di pergamena o di un panno. A volte sono semplici forme geometriche con alcune parole o caratteri incisi attorno alla circonferenza. Più spesso, tuttavia, sono complessi, con iscrizioni e simboli di vario tipo, posizioni per vari oggetti magici e un posto destinato al «maestro», cioè al mago, il negromante. Il cerchio è il princi-pale strumento visivo delle tecniche negromantiche: è all’interno di esso che il mago evoca gli spiriti (spesso di natura astrale)83, ordinando loro di apparire e di eseguire qualche atto, «protetto» all’interno del diametro magico84.

80 Nel 1866, durante gli scavi nel «Teatro di Dioniso» ad Atene, fu rinvenuta una sfera di marmo bianco del diametro di 20 cm. e 91 di circonferenza, ricoperta di iscrizioni, disegni e figure in tenue rilievo. Successivamente il reperto trovò posto nel Museo Epigrafico di Atene (Sala 4, n° 1044), luogo dove qualche decennio più tardi fu oggetto di studio da parte del grande Armand Delatte («Études sur la Magie Grecque: I. Sphère magique du Musée d’Athènes», in Bullettin de Correspondance Hellénique 37 [1913] 247-278 + pl. II-III).

81 E. AlbrilE, «La posterità di Iao», in Antonianum 76 (2001) 521-549.82 r. kiEckHEFEr, «La negromanzia nell’ambito clericale nel tardo Medioevo», in A. PArAvicini

bAgliAni- A.vAucHEz (cur.), Poteri carismatici e informali: chiesa e società medievali, Palermo 1992, 210-223.

83 R. kiEckHEFEr, «La negromanzia», 217.84 Ibid., 211-212.

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320 Ezio Albrile

Ci si è spesso interrogati su quale fosse la commitenza di questi manuali. Sia nella leggenda che di fronte alla legge, erano soprattutto gli appartenenti al clero a essere accusati di negromanzia. I sacerdoti infatti, se da un lato pre-dicavano l’ineffabile bontà divina, nel mescolarsi a pratiche negromantiche tentavano paradossalmente di reificarla. Una contraddizione che ricorda quella strana oscillazione semantica rilevata nel testo dell’Allogeno gnostico, dove speculazioni sull’ineffabilità dell’essere si mescolano a fruscii divini, suoni che rivelano l’inconoscibilità degli eoni.

Come ha sottolineato il Kieckhefer, parlare dei negromanti come ecclesiastici significa essere inevitabilmente imprecisi85. Uno degli ordini minori era quello de-gli esorcisti, che nella cerimonia di ordinazione ricevevano un libro sull’esorcismo come simbolo della loro funzione teoretica. Chi era ordinato poteva non effettuare mai un vero esorcismo nella propria vita, ma se si fosse allontanato dalla retta via avrebbe potuto avere occasione di comandare i demoni. Gli studenti delle universi-tà medievali erano inseriti negli ordini minori come procedura abituale e potevano diventare con tutta probabilità una buona committenza per i libri di negromanzia: un luogo comune nella letteratura tardo-medievale, confluito anche nel Faust, è quello del giovane negromante che si pente successivamente, nel corso della vita. A parte gli studenti, vi era un indotto ecclesiastico, specialmente preti sottoccupati, cappellani, noti per avere tempo a disposizione e impiegarlo in pratiche non sempre edificanti, come la negromanzia. Anche i monaci potevano collocarsi in questo sottobosco clericale e, non ultimi, i frati. Secoli più tardi, agli inizi del Seicento, i gesuiti crearono nel collegio di Dillingen, in Baviera, una sorta di scuola di specia-lizzazione in magia86. È noto infatti l’interesse della Compagnia di Gesù per le arti magiche, specialmente dopo la solenne bolla di Sisto V, Coeli et terrae creator, del gennaio 1586, «contro coloro che esercitano l’arte dell’astrologia giudiciaria e qualunque altra sorta di divinazioni, sortilegi, strigarie, incanti»87.

A Dillingen si sperimentavano quindi esorcismi, evocazioni, incantamenti tesi a controbilanciare e neutralizzare il potere nefasto della magia demonica. Va da sé che i confini fra lecito e illecito dovevano essere molto labili e che la contaminazione magica poteva certamente propagarsi anche tra gli stessi

85 Ibid., 217-218.86 l. tHornDikE, A History of Magic and Experimental Science, VII: The Seventeenth Century, New

York 1958, 339-340.87 r. rigHi, «Intercedente mora. Martin Delrio e la fascinatio», in M. Hinz-r. rigHi-D. zArDin (cur.),

I Gesuiti e la Ratio Studiorum, Roma 2004, 251 n. 1.

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inquisitori. Ne dà conto padre Martín Delrio (1551-1608), il «funesto Delrio»88, che nelle sue Disquisitiones magicae compulsa a fini dogmatici uno sterminato materiale magico, consueto per i negromanti del tempo.

Il cardine della letteratura demonologica è per lo zelante gesuita la capacità di affascinare, la fascinatio, la forma di magia più semplice e più esiziale89. È la base del patto diabolico, i cui effetti sono certi, solidi, realissimi. Delrio edulcora l’argomento del patto diabolico trascrivendolo in lingua philosophica di tradizione scolastica, lo sistema dandogli una fonda zione «ontologica». Ri-prendendo l’ambiguità e il dubbio che mescola metafisica a magia prohibita90.

Altra direzione imbocca la coeva filosofia di Giordano Bruno, anch’essa interessata alla fascinatio e alla manipolazione del divenire. Bruno, negli ultimi scritti «magi ci», riprende e amplifica la dialettica fra visibile e invisibile, tra noetico e corporeo, presente nei testi gnostici, trasformandola in una via per l’acquisizione di potere mondano91. Tutto avviene per interferenze costanti: la fascinatio crea un intreccio di «vincoli» che unisco no in quanto separano92. È la dilatazione del desiderio, l’appetito mai soddisfatto, l’eros mai appagato, poi-ché – dice Bruno – il godimento comporta la dissoluzione del «vincolo»93. Per esercitare il controllo sugli altri, in primo luogo è necessario essere al sicuro da ogni forma di controllo ad opera di altri94.

Il mago di Bruno deve evitare scrupolosamente di lasciarsi sedurre e per fare questo deve estirpare da sé ogni residuo di eros; al medesimo tempo, però, deve nutrire nel suo universo fantasmatico passioni straordinariamente violen-te, a patto che esse siano sterili e che nei loro confronti egli dia prova di di-stacco, poiché non possiede altro mezzo per affascinare che alimentare in se stesso ciò che vuole produrre nella sua vittima. Il segreto del sapere è quindi lo stesso dell’operare: un’occasione di fascinatio in bilico, come nell’Allogeno gnostico, tra la sterile impalpabilità del mondo noetico e la concreta rumorosità della ™nšrgeia divina.

88 Così lo chiama il Manzoni nel cap. 32 dei Promessi sposi, cfr. R. rigHi, «Intercedente mora», 252.89 Ibid., 266-267.90 Di questo ho dato conto in E. AlbrilE, «Teurghi senza Dio. La creazione è un vuoto in cui esiste-

re», in Angelicum 87 (2010) 691-707.91 Cfr. i. P. couliAno, Eros e magia nel Rinascimento. La congiunzione astrologica del 1484, (La

Cultura, 46), trad. it. G. ErnEsti, Milano 1987 (ed. or. Paris 1984) 143 ss.; iD., «La magie de Giordano Bruno», in Studi e Materiali di Storia delle Religioni 49 (1983) 279-301.

92 R. rigHi, «Intercedente mora», 276-277.93 i. P. couliAno, Eros e magia, 157-161.94 Ibid., 149.

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322 Maria Antonietta Spinosa

Fig. 1: Ricostruzione del sistema gnostico valentiniano (PG 7, 435).

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323“Per viam pulchritudinis”: l’itinerario metafisico di Virgilio Melchiorre

Fig. 2: Il Diagramma degli Ofiti nella ricostruzione di H. LEisEgAng, (Die Gnosis, Lei-pzig 1924, 169).