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The Dark Lady La rivoluzione shakespeariana nei Sonetti alla Dama Bruna aguaplano Camilla Caporicci

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Camilla Caporicci (1984) è Dottore di Ricerca in Letterature Compara-te all’Università degli Studi di Perugia. Il suo principale àmbito di stu-dio è la poesia rinascimentale europea, con particolare riferimento alla produzione shakespeariana; si è occupata inoltre dell’opera di Eugenio Montale e di traduzione dall’inglese di testi letterari. Autrice di numero-si articoli pubblicati in prestigiose riviste e miscellanee italiane e inter-nazionali, ha svolto la sua attività di ricerca all’Università degli Studi di Perugia e al Warburg Institute di Londra.

Quando i Sonetti di Shakespeare videro la luce, nel 1609, la tradizio-ne petrarchista aveva già raggiunto il suo culmine in Inghilterra, co-ronando gli ultimi anni del regno di Elisabetta nel segno della lirica d’amore. Che Shakespeare guardi a tale produzione con una certa pun-gente ironia, e che ripetutamente ne rida nelle sue commedie, è cosa nota. Ma perché allora cimentarsi in prima persona nella stesura di un canzoniere? La risposta risiede nel carattere rivoluzionario dell’opera shakespeariana che, pur dialogando con la tradizione, reinventa radi-calmente la lirica amorosa giungendo a un risultato del tutto originale sia in campo poetico che filosofico. Una spinta innovativa, questa, che non si esercita però indistintamente lungo tutto l’arco del canzoniere: laddove infatti la sequenza dedicata al Fair Youth appare per certi versi ancora vicina al modello neoplatonico-petrarchista, la figura misteriosa e oscura della Dark Lady si pone invece in contrasto con il paradigma poetico tradizionale. La dama bruna di Shakespeare va così a incarnare il cuore di una riflessione profonda e travagliata che, lungi dall’esaurirsi in un rovesciamento esplicito e puntuale del modello in chiave parodica, conduce il poeta a un affondo nella verità filosofica della natura umana e del mondo e nella poesia che a tale verità deve dare voce. Una poesia che riconosce il suo stesso limite nel tentativo di perfezionare e cristal-lizzare in un ritratto eternamente immobile l’essenza tumultuosa della vita. E che proprio nella glorificazione di questa vita – in cui niente è tanto vile da non rilucere di divinità – trova il suo nuovo e più profondo valore.

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Camilla Caporicci

The Dark LadyLa rivoluzione shakespeariana

nei Sonetti alla Dama Bruna

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Proprietà letteraria riservata.

iSBn/ean: 978-8897738-39-8

Per questa edizione: copyright © 2013 by aguaplano—Officina del libro, Passi-gnano s.T. Tutti i diritti riservati. La riproduzione dell’opera è possibile nei limiti fissati nell’accordo del 18 dicembre 2000 fra S.i.a.e., a.i.e., S.n.S. e C.n.a., Con-fartigianato, C.a.S.a., Confcommercio, ora integrato dall’accordo del novembre 2005, per la riproduzione a pagamento, a uso personale, dei libri fino a un massi-mo del 15%, nell’ambito dell’art. 69, co. 4 legge cit.

www.aguaplano.eu / [email protected]

in copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, La deposizione di Cristo (1602-1604), olio su tela, 300 cm × 203 cm, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano (dettaglio). Fonte: wikimedia.org.

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Camilla CaporiCCi. The Dark Lady. La rivoluzione shakespeariana nei Sonetti alla Dama Bruna.

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Progetto editoriale: Camilla Caporicci, Raffaele Marciano.Coordinamento redazionale: Raffaele Marciano.Consulenza redazionale e indice dei nomi: Maria Vanessa Semeraro.

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Molte sono le persone senza l’aiuto delle quali questo studio non sarebbe stato possibile, o quanto meno non sarebbe stato lo stesso.

il primo ringraziamento va a chi ha creduto nel mio lavoro: a Stefa-no Jossa, alla cui generosità umana oltre che accademica devo molto; a Gilberto Sacerdoti, la cui intelligenza mi è stata di ispirazione e monito; a Luigi Blasucci, un grande maestro che ha voluto darmi fiducia, e con essa speranza; e soprattutto a Rosanna Camerlingo, che mi ha accompa-gnata lungo il cammino, e che con i suoi consigli mi ha sempre aiutata a vedere le cose con chiarezza, e a ritrovare la giusta via nei momenti di buio.

Un sincero ringraziamento va all’eccezionale staff del Warburg in-stitute, in cui ho passato uno dei periodi più stimolanti e piacevoli del-la mia vita accademica, e in particolare a Jill Kraye, François Quiviger, Guido Giglioni, alessandro Scafi, Jan Loop e Jonathan Rolls, per il loro aiuto, la loro gentilezza, e per avermi subito fatta sentire a casa. e un grazie speciale ai brillanti studiosi e sinceri amici che lì ho avuto la possi-bilità di conoscere, e che mi hanno reso, e ancora mi rendono, l’esistenza migliore: Grace allen, Shakeel ahmad, andrea asioli, Hussein Sarhan, Sarah Vanwelden, anna Corrias, John Foster, nicoletta Fazio, anna Pozzobon, Sietske Fransen, Philipp Schäfer, ada Bronowski, Michael Gordian, Marialuisa Parise, agata Paluch, e Laura Popoviciu.

Un enorme grazie lo devo ai miei colleghi di dottorato, Valeria Ma-stroianni, Cristiano Ragni, Jelena Reinhardt, anna Mario, Marco Buca-ioni, Luca Pipitone, Valentina Bricchi, Roberto Contu, agatino Vecchio, Matteo Pascoletti e Sandra Lupetti, insieme ai quali sono cresciuta come studiosa e come persona, e a cui auguro ogni fortuna.

e, infine, grazie alla mia famiglia. a mio padre che mi ha permesso di fare quello che ho fatto, e che con la sua passione ha ispirato la mia; a mia madre che con il suo caotico amore mi ha riempito la vita; alle mie sorelle, che sono speciali, ognuna a modo suo. e a Francesco, che è la mia forza, e la mia pace.

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Prefazione

Quando i Sonetti di Shakespeare videro la luce, nel 1609, il modello petrarchesco aveva già subìto gli effetti del tempo e dell’abuso. era stato, ed era ancora, il genere letterario più prestigioso e ambizioso, e per più di un

secolo aveva costituito l’oggetto del desiderio di ogni poeta eu-ropeo. Scrivere un sonetto era segno di appartenenza sociale, di abilità e creatività linguistiche fuori del comune, testimonianza di controllo sul proprio mondo interiore, e quindi di capacità di stare al mondo. Per chi non apparteneva per nascita all’aristocra-zia, era un mezzo per entrare nel cerchio esclusivo e fortemente competitivo della corte, e trovarvi un impiego di rilievo. Scrivere un canzoniere avrebbe assicurato quella fama che Petrarca, a cui si ispiravano gli autori della lirica cinquecentesca, aveva cercato e ottenuto, come mostrava la fortuna che le sue Rime avevano avuto in tutta europa. Significava partecipare alla nascita di una lingua nazionale, come era avvenuto all’italiano di Petrarca. Qua-le significato allora poteva avere scrivere un Canzoniere e non dare poi l’autorizzazione – o comunque non apporre la propria firma – alla sua pubblicazione? È quello che successe ai Sonetti di Shakespeare. eppure, al tempo della loro pubblicazione per iniziativa dello stampatore Thomas Thorpe, Shakespeare era già una figura pubblica, ammirata e amata; la sua fama già salda-mente radicata sia nel mondo del teatro, sia presso il pubblico più esigente della corte, a giudicare dall’alto numero di edizioni dei due poemetti Venus and Adonis e The Rape of Lucrece, scrit-ti tra il 1593 e 1594, firmati e dedicati al conte di Southampton. Dei suoi sonetti, inoltre, si era già sentito parlare quando Francis

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Mere, nel suo Palladis Tamia del 1598, li aveva menzionati rife-rendosi a essi come “sugared Sonnets among his private frien-ds”. i sonetti dunque circolavano ed erano apprezzati dagli amici più vicini a Shakespeare. Perché allora non consolidare la fama e renderla duratura, come avevano tentato di fare i tanti poeti che negli anni novanta riempivano le stamperie di Londra imitando Astrophel and Stella, il primo canzoniere inglese, che aveva assi-curato a Philip Sidney, a sua imperitura memoria dopo la morte in battaglia nelle Fiandre, il glorioso titolo di “Petrarca inglese”?

i principali indiziati attraverso cui spiegare questa prima ano-malia furono naturalmente i dedicatari interni dei Sonetti: il fair youth e la dark lady. i Sonetti non indicavano il nome dell’ama-ta, com’era invece di norma nei canzonieri dell’epoca: nessuna Diana, o Stella, o elisabetta, ma amati anonimi, un ragazzo bello e biondo e una dama bruna. era questo l’ostacolo che aveva fatto inciampare l’autorizzazione alla pubblicazione dei Sonetti. Le di-chiarazioni d’amore indirizzate a un giovane uomo, e il desiderio sessuale per una donna di dubbia moralità, ponevano infatti ine-vitabilmente la questione tanto della loro identità quanto delle inclinazioni sessuali del poeta. e proprio l’imbarazzo che pote-vano suscitare le espressioni d’amore e desiderio di Shakespea-re per la coppia eterodossa aveva probabilmente reso impervia la via della pubblicazione, e il riconoscimento pubblico da parte dell’autore. a confermare la riluttanza a collegare i Sonetti alla vita privata di Shakespeare, stava poi quell’enigmatica dedica a un certo W.H., posta sul frontespizio del volume, che infittiva il mistero assecondando le ipotesi di legami riservati o sconvenien-ti del poeta con giovani uomini aristocratici.

Ora, il libro di Camilla Caporicci sposta l’oggetto della ricer-ca dall’identità dell’eretica coppia di amati al valore profondo di essi, espresso nel colore che il poeta attribuisce loro. Dall’opposi-zione youth/lady all’opposizione fair/dark. Questo non significa che il contrasto uomo/donna non abbia un ruolo nell’architet-tura del canzoniere shakespeariano, ma esso passa in secondo piano, relativizzato e inghiottito all’interno della dicotomia lumi-noso/oscuro che ne organizza più profondi significati simbolici.

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il verso scandalo del Canzoniere, ipotizza Camilla Caporicci, non sta nella scelta dell’oggetto amato – sia esso un bel giovane ari-stocratico o una dama scura dai costumi non proprio limpidi – ma nei significati tanto poetici quanto propriamente filosofici che in essi si esprimono, sboccianti da una visione del tutto rivoluzio-naria della natura umana e del mondo. Significati veicolati an-che attraverso l’uso eversivo che Shakespeare fa della dicotomia bianco/nero, luminoso/scuro, rispettivamente attribuiti al bene e al male dalla tradizione neoplatonico-cristiana. Per dimostrare questa tesi la Caporicci affronta un’analisi ravvicinata dei Sonet-ti, còlti nel loro rapportarsi con la lirica inglese ed europea. Dalle angeliche amate della poesia provenzale alle perfette e pure for-me delle sfuggenti dame petrarchiste della lirica francese e ingle-se del sedicesimo secolo, che preparano l’irrompere della rivolu-zionaria dark lady dei Sonetti – il cuore del libro. Oggetto di una coinvolgente relazione sessuale, il corpo scuro e imperfetto della dark lady non solo contrasta cromaticamente quello perfetto e luminoso del bel giovane aristocratico – su cui grava una censura preventiva che lo accomuna alle altezzose dame petrarchiste –, ma anche l’ideale neoplatonico che esso incarna. Ragionando approfonditamente sulla retorica dei sonetti, la Caporicci ci con-duce così a rivedere l’intero Canzoniere in termini di una rifles-sione seria, se non drammatica, sulla filosofia neoplatonica che sottende la poesia di Petrarca, e che muove poi verso la ricerca di un nuovo modello conoscitivo, al centro del quale è una dama bruna. non più gradino splendente ed evanescente dell’ascesa del poeta/amante verso i cieli, non più sublime ideale di una ve-rità divina che associa bello e buono in un’identità immobile di chiaro stampo mistico, la dark lady di Shakespeare incarna il co-lore umbratile di una nuova verità che, come la natura terrena, è mobile, imprevedibile, instabile contenitore di contrari. Una nuova verità cui corrisponde una altrettanto nuova gnoseologia: all’itinerario conoscitivo previsto per il poeta petrarchista, che impone la negazione dei sensi e del corpo, i sonetti dedicati alla dark lady oppongono infatti una conoscenza sempre imperfetta, frammentaria, disordinata, che include i sensi e spinge il corpo

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dell’amante a immergersi in essa. assistiamo così al passaggio da un desiderio frustrato per un ideale meraviglioso, ma mai rag-giunto, a una relazione sessuale pienamente appagata che, nel prendere il posto del primo, assurge a piena dignità d’amore.

L’indagine accurata e brillante sulle radici filosofiche e lingui-stiche dei Sonetti che la Caporicci ricostruisce giustifica piena-mente ciò che Jonathan Bate definisce la “reinvenzione radicale della lirica d’amore quale nessun altro poeta a lui coevo aveva rag-giunto”. i Sonetti, sostiene l’autrice, sono tuttavia il momento più alto e concentrato di una riflessione di carattere filosofico, antro-pologico e gnoseologico che attraversa l’intero corpus dell’ope-ra shakespeariana. Da Titus Andronicus a Love’s Labour’s Lost, da Antony and Cleopatra a Romeo and Juliet, da Othello a The Merchant of Venice, Shakespeare utilizza il contrasto tra bianco e nero, radicato nella religione cristiana e nella filosofia neopla-tonica, ribaltandone la tradizionale gerarchia simbolica. Un tale ribaltamento, tuttavia, non è esclusivo della visione shakespea-riana. Un’incursione nel rivoluzionario chiaroscuro caravaggesco e nella filosofia naturale dell’eretico Giordano Bruno mostra in-fatti quanto il rovesciamento della più significativa simbologia cristiana fosse “il carattere di una nuova ‘sensibilità’, vibrante nelle menti più all’avanguardia del sedicesimo secolo”. Oggetto dell’arte di Caravaggio e della filosofia di Bruno è una luce, o una verità, non più cercata nel mondo disincarnato dei cieli ma nel-la realtà umbratile della terra. Una nuova concezione del cosmo e della natura umana che annulla ogni divisione gerarchica tra alto e basso, tra corpo e anima, tra parti vili e parti nobili. Simil-mente, nell’opera di Shakespeare l’opposizione bianco/nero è al servizio di una costante contrapposizione tra la natura cristiana – sia essa l’ascetica natura neoplatonica o la natura invasa dal peccato di agostino –, rappresentata come sterile o tragica, e una “grande natura creatrice” che contiene al suo interno il proprio principio generativo. La propria luce.

Scopriamo allora, nella conclusione di questo lungo e ragio-nato itinerario, che la vitalità e l’irrefrenabile energia universal-mente riconosciuta a tutta l’opera di Shakespeare, finisce per

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straripare e superare l’arte stessa dell’autore che la esprime. L’arte di Shakespeare, ci convince la Caporicci, riconosce il suo stesso limite nel tentativo di fermare la vita in un ritratto eterno e immobile, uscendo sconfitta dalla sua sfida con la grande natura creatrice. non è né la “seconda natura”, né il “picciolo mondo” con cui Sidney e Tasso giustificavano le loro opere. essa si scopre invece ancella di una natura il cui potere non sarà mai in grado di usurpare. ed è proprio in questo riconoscimento della superiori-tà della vita sull’arte, e nella glorificazione di questa vita – in cui niente è tanto vile da non meritare di esistere –, che sta il segreto per comprendere la longevità e l’universalità dell’opera immor-tale di Shakespeare.

Rosanna Camerlingo

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Introduzione

“Una pratica comune in molti resoconti della sto-ria della ricezione dei Sonetti di Shakespeare è quella di lamentarsi, spesso in tono di comica disperazione, della schiacciante quantità di cri-

tica, della montagna di saggi, tesi, capitoli, libri, poesie, drammi, e romanzi dedicati a queste poesie estremamente problematiche – una montagna che ogni recensore deve cercare di scalare”1. Con queste poco incoraggianti parole James Schiffer apre il suo saggio introduttivo al volume Shakespeare’s Sonnets. Critical Essays da lui curato, offrendo al lettore un’idea della sconfinata vastità della produzione critica ruotante intorno a questo testo estremamente complesso. Problematici sono stati davvero i so-netti di Shakespeare e continuano a esserlo, nonostante quattro-cento anni di critica accanita li abbiano percorsi in lungo e in lar-go, osservati attraverso un’infinità di approcci diversi, spaziando da quello biografico, avviato sostanzialmente dalle edizioni tar-do settecentesche di Malone, a quello antibiografico, di sapore formalista, di George Wyndham; dal New Criticism di Thomas empson al New Historicism di Stephen Greenblatt; dagli studi di matrice socio-psicologica, declinati nelle loro diverse sfumature a seconda della preminenza accordata all’aspetto sessuale – come nei lavori di eve Sedgwick e Joseph Pequigney – o socio-razzia-le – in Margreta de Grazia e Kim Hall –, a quelli in chiave poli-tico-sociale di Marotti e Kernan; dall’approccio psicoanalitico di

1. J. Schiffer, “Reading new Life into Shakespeare’s Sonnets. a Survey of Criticism”, in Shakespeare’s Sonnets. Critical Essays, a cura di James Schiffer, London, Garland, 2000, p. 3.

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Joel Fineman fino a quello più propriamente estetico di Helen Vendler. e potremmo continuare ancora per molto. Tentare di dare risposte a tutti gli interrogativi ancora aperti è impresa che esula dall’intenzione del presente lavoro. Ciò che questo studio si propone invece è una lettura di taglio almeno in parte comparati-stico che, basandosi da un lato su un confronto dell’opera shake-speariana con i principali modelli – non soltanto propriamente poetici, ma anche filosofici e teologici – del panorama rinasci-mentale, e dall’altro su una close reading dei Sonnets nella loro dimensione individuale ma soprattutto nel loro costituirsi come canzoniere, intende portare pienamente alla luce l’aspetto più profondamente rivoluzionario di quest’opera, che ruota intorno alla figura straordinaria della Dark Lady. Una figura cui la critica non ha prestato, ci sembra, la dovuta attenzione, liquidandola per lo più come espressione di una vena misogina presente nella poesia del periodo, o come esempio di mera inversione parodica del canone petrarchista, negandole in ogni caso un valore che è invece, noi crediamo, non soltanto indipendente rispetto a quello espresso nella prima sezione del canzoniere, ma anche non meno profondo.

Pubblicato (forse senza autorizzazione dell’autore) nel 1609 dall’editore Thomas Thorpe, il canzoniere di Shakespeare giunge al culmine di una ricchissima tradizione di sonettistica d’amore, che aveva raggiunto il suo apice in inghilterra negli anni novanta del Cinquecento. Una tradizione con cui il poeta necessariamente si confronta, per giungere però a un risultato radicalmente ori-ginale e rivoluzionario, sia in campo propriamente poetico che filosofico. non vi è infatti in questi sonetti paradigma estetico, filosofico o teologico che non sia contemplato criticamente; non vi è idea ricevuta che non sia attivamente investigata, rielabo-rata, e in qualche modo superata. Ma questa spinta innovativa non si esercita indistintamente lungo tutto l’arco del canzonie-re. Delle due sezioni in cui l’opera è divisa, la prima, dedicata al Fair Youth, si presenta infatti vicina, sebbene in modo affatto a-problematico, al modello cortigiano di stampo neoplatonico-petrarchista dominante nella produzione lirica europea, e in

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particolare elisabettiana, inserendosi così senza soluzione di continuità nella tradizione ereditata. La seconda sequenza inve-ce, dedicata alla Dark Lady, si pone come frontale negazione di tale paradigma poetico. Un contrasto che non si esaurisce però in un rovesciamento esplicito e puntuale del modello in chiave parodica, ma che genera invece una riflessione profonda e trava-gliata, che conduce il poeta a un affondo nella verità filosofica e ontologica della natura umana e del mondo, e conseguentemente nell’arte che a tale verità deve dare voce.

La prima parte di questo studio, intitolata The Lady, è dedica-ta principalmente all’analisi delle caratteristiche specifiche della Dark Lady, portata avanti attraverso un confronto contrastivo di natura schiettamente comparatistica con le dame della sonetti-stica tradizionale (italiana, francese e inglese) e con i presupposti teorici e filosofici soggiacenti a questa lirica, espressi principal-mente nella trattatistica d’amore quattro-cinquecentesca, al fine di dimostrare il carattere assolutamente originale ed eversivo della creazione shakespeariana.

La sezione si apre con un breve excursus sulla figura dell’ama-ta dalla lirica provenzale alla sonettistica inglese del periodo eli-sabettiano, tendente a sottolinearne quelle caratteristiche costi-tutive e costanti che rimangono in linea di massima inalterate fino all’avvento di Shakespeare. Si evidenzia così il costituirsi di un’immagine femminile che il confluire di petrarchismo, cri-stianesimo e neoplatonismo contribuisce a rendere figura onto-logicamente perfetta quanto lontana dall’autenticità dell’essere umano. alla luce di quest’excursus, la figura della Dark Lady si rivela essere una dirompente novità in riferimento a tutti gli aspetti presi in considerazione. all’analisi appronfondita dei so-netti alla Dark Lady, volta all’individuazione dei punti di discon-tinuità rispetto alle costanti del paradigma poetico e filosofico pe-trarchista, si affianca poi uno studio della figura del Fair Youth, condotto in modo puntualmente contrastivo rispetto all’indagine primaria. Uno studio che ci permette di mostrare come nei so-netti a lui dedicati il poeta si mantenga invece all’interno di un

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modello di poesia cortigiana sostanzialmente tradizionale, la cui inadeguatezza all’espressione profonda e autentica del messag-gio poetico è però testimoniata dall’emergere di “micro-spie”, elementi contraddittori poi riassorbiti all’interno del sistema.

Si evidenzia così il passaggio dalla sublimata e idealizzata bel-lezza della dama petrarchista al corpo “reale”, materico e imper-fetto della Dark Lady e, conseguentemente, il passaggio da un amore impersonale di tipo neoplatonico per la Bellezza intesa in senso assoluto e archetipico, a un desiderio umano, più autenti-co, per la persona nella sua singolarità. Contraddicendo uno dei dettami fondamentali della poetica petrarchista, vediamo inoltre come il desiderio sessuale divenga per la prima volta parte della natura dell’oggetto amato, e come ciò origini un concetto nuovo di pietà, diversa da quella di matrice petrarchista che Shakespe-are critica, e intesa invece come autentica com-passione, fondata sulla consapevolezza della condivisione di una natura egualmen-te “debole”. Si affronta poi l’affondo del poeta nell’oscurità del-la lussuria, del desiderio carnale che, contravvenendo di nuovo a uno dei capisaldi normativi tanto della poetica petrarchista quanto della trattatistica d’amore coeva, ci si presenta finalmen-te appagato. Una consumazione selvaggia ed estrema che non può però essere negata, ma che va invece accettata come parte dell’essere umano, e anzi rivendicata. attraverso un’arte sottile il poeta chiama infatti in causa la tradizionale dicotomia tra ani-ma e corpo, bene e male, amore celeste e amore volgare, per poi svelarcene l’inconsistenza nel confondersi dei due elementi in una totalità che è l’uomo autentico, il mondo terreno. non solo: il principio del piacere si erge addirittura a metro di giudizio dell’amore, divenendo ragione sufficiente alla definizione della passione amorosa in quanto tale. Un’opposizione, quella tra la sensualità spiccatamente erotica della Dark Lady e la presunta castità del Fair Youth, che trova conferma nel poemetto Venus and Adonis.

Dopo aver analizzato la specificità del canzoniere shakespe-ariano rispetto ai modelli europei, e in particolare la rivoluzio-naria alterità della Dark Lady rispetto alle dame della lirica

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petrarchista, si è voluto poi approfondire la visione dell’uomo veicolata attraverso i sonetti. Con l’intento di chiarire il para-digma antropologico in cui Shakespeare si muove, considerato in relazione al più ampio dibattito intorno alla natura dell’uomo che ha luogo nel Rinascimento, ci si è rivolti dunque a tre ope-re fondamentali della drammaturgia shakespeariana: Hamlet, Measure for Measure e Julius Caesar. in esse si assiste all’emer-gere di un’antropologia che si definisce in opposizione tanto a quella ottimistica di matrice neoplatonica, quanto a quella pes-simistica di stampo puritano, entrambe basate su un paradigma dicotomico che ha al suo centro la negazione dell’aspetto ma-teriale e corporeo dell’essere. La visione dell’uomo proposta da Shakespeare risulta infatti fondata sulla rivendicazione del valo-re del corpo e degli istinti a esso legati, percepiti come elementi non soltanto necessari ma anche positivi, secondo una linea di pensiero che lo accomuna a certi aspetti della riflessione sull’uo-mo di Machiavelli. Quest’antropologia emergente dalle opere drammatiche prese in esame trova poi la sua conferma nei Son-nets, e in particolare nei componimenti 94 e 121, in cui la prete-sa puritana di una perfezione raggiungibile tramite l’annienta-mento degli aspetti irrazionali e corporei dell’uomo, soprattutto nella loro declinazione sensuale, viene riconosciuta fallace, sia perché inattuabile sia perché sbagliata in principio. Una veri-tà, questa, legata al trionfo di un nuovo concetto ontologico di uomo, che emerge nel canzoniere attraverso modalità diverse: velatamente nella sezione dedicata al Fair Youth, esplicitamente nei sonetti alla Dark Lady.

La seconda parte di questo studio, intitolata The Darkness, è dedicata al carattere principe e più immediatamente distintivo della dama di Shakespeare, ovvero la sua “oscurità”, e si incentra sulla rivoluzionarietà dell’uso cromatico e luministico shakespe-ariano, analizzato attraverso un approccio che tocca l’interdisci-plinarità nel riferimento particolare all’opera pittorica di Cara-vaggio e a quella filosofica di Giordano Bruno. Questa sezione si apre, più della precedente, allo studio di altre opere shakespea-riane oltre ai sonetti, al fine di tracciare un quadro complessivo

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dell’eversivo luminismo del poeta nelle sue implicazioni esteti-che e filosofiche, in cui andare a situare la dicotomia fondante del canzoniere (Fair Youth vs Dark Lady).

Dopo aver definito un quadro generale del valore tradizional-mente assegnato alle diverse cromie, approfondendo in partico-lare l’uso del luminismo e dell’opposizione cromatica nel pensie-ro cristiano e nella filosofia neoplatonica, e dopo aver dimostrato come la dicotomia ontologica di bene e male alla base del para-digma rinascimentale dominante venga immancabilmente rap-presentata dall’opposizione netta del bianco e del nero, ci si è spinti a osservare il carattere di una nuova “sensibilità”, vibrante nelle menti più all’avanguardia del sedicesimo secolo. Una sen-sibilità che implica un’innovativa concezione del reale e della na-tura umana, e che la esprime anche attraverso un particolare uso del luminismo e del cromatismo. L’idea di un universo e di un uomo non più gerarchicamente divisi in parti nobili e parti vili viene infatti espressa da Giordano Bruno attraverso l’immagine di una luce non più distaccata dalla materia, ma che invece vi si mescola e vi splende dall’interno. Un concetto simile a quel-lo espresso, in termini pittorici, nelle opere di Caravaggio, il cui tenebrismo presenta un uso eversivo della luce e del buio consi-stente in una mistione spaziale di tenebre e luce non gerarchica-mente orientata.

Senza voler affermare una derivazione diretta dell’uso cro-matico shakespeariano dal contatto con le opere di Bruno o di Caravaggio, ma intendendo invece mostrare come il legame sog-giacente a un pensiero per certi versi affine si manifesti attraver-so forme espressive consonanti, siamo passati poi ad analizzare le modalità attraverso le quali questo nuovo uso dei colori agi-sce in tre opere shakespeariane che portano in scena figure di uomini neri: aron in Titus Andronicus, il principe del Marocco in The Merchant of Venice e Othello nell’omonima tragedia. Ci si addentra così in un universo cromatico che appare anticipare molti dei caratteri propri delle figure delle dame brune, e soprat-tutto della Dark Lady. La particolare sensibilità di Shakespeare per il gioco di luce e ombra, bianco e nero, tende infatti già in

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19Introduzione

queste opere a esprimersi in un uso ambiguo della luce e delle cromie, volto a evidenziare da una parte l’inconsistenza della di-cotomia bicroma tradizionale, e dall’altra un’ancora sotterranea rivendicazione di alcuni degli elementi che il nero tradizional-mente simboleggiava e, in particolare, del desiderio sessuale.

abbiamo poi proseguito, affondando sempre più nel cuore di questa darkness, con l’analisi delle dame brune. Dopo aver brevemente illustrato come nella sonettistica tradizionale il cro-matismo canonico della dama sia espressione di tutti quei valori cristiano-neoplatonici che nella luce e nel colore bianco indi-viduavano l’apice della scala gerarchica dell’essere, scopriamo come, sempre attraverso un uso ambiguo del cromatismo e del luminismo, Shakespeare intenda esprimere ben altro attraverso le sue dame brune. La Rosaline di Love’s Labour’s Lost, geneti-camente legata alla Dark Lady, si fa centro di un raffinatissimo linguaggio paradossale in cui la celebrazione della darkness della donna, fondata su uno scontro ossimorico di luce e tenebra, si rivela essere esatta controparte della rivoluzione gnoseologica cui si assiste nell’opera. L’analisi di Cleopatra è incentrata invece sul carattere di estrema sensualità espresso attraverso l’alterità cromatica della regina egiziana: un potere erotico che la accomu-na prepotentemente alla Dark Lady dei sonetti e che, di nuovo, abbatte le dicotomie tra parti alte e parti basse dell’essere umano e dell’universo tutto.

infine, si è cercato di mostrare come tutte le sfumature ever-sive veicolate attraverso il gioco cromatico trovino nella Dark Lady un punto di convergenza e di massima espressione. Tutte le caratteristiche rivoluzionarie proprie della dama dei Sonnets sono infatti significate da Shakespeare anche in termini cro-matici, laddove la caratterizzazione luministica del Fair Youth risponde invece ancora al modello tradizionale, se pure con l’emergere, anche in questo contesto, di elementi ambigui ten-denti a marcare l’inadeguatezza del sistema. il gioco cromatico contrastivo che si instaura nel canzoniere si rivela così elemen-to non accessorio ma sostanziale della struttura dell’opera e dei suoi più profondi significati, contribuendo a veicolare il cuore di

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20 The Dark Lady

un nuovo paradigma all’interno del quale ogni gerarchia sembra infrangersi in un vitale e continuo scontro di forze contrarie e parimenti potenti.

L’ultima parte di questo lavoro, intitolata Natura dell’Arte e Natura Oltre l’Arte, è volta a indagare la questione dell’“one-stà” del linguaggio poetico e del rapporto tra arte e natura quale emerge nei sonetti shakespeariani, nel tentativo di definire, in conclusione, la ragion d’essere artistica delle due sezioni tanto diverse del canzoniere. Si è tentato così, per quanto possibile, di penetrare all’interno del meccanismo creativo del poeta, evi-denziando le modalità attraverso le quali egli manifesta la sua consapevolezza dell’almeno parziale inadeguatezza del modello poetico tradizionale – cui pure non rinuncia drasticamente nella prima sezione del canzoniere – a veicolare la sua più profonda riflessione artistica e filosofica.

Ci si è spinti dunque a esplorare l’intreccio tra aspetto este-tico e valore etico della scrittura, ovvero il problema posto dal linguaggio della poesia petrarchista nel momento in cui vi si ri-conosce l’implicito atto di disonestà compiuto nel creare figure idealizzate, “falsificate” rispetto all’autenticità naturale. La simi-litudine, cardine retorico del linguaggio petrarchista, viene così chiamata in causa e si rivela, anche attraverso uno sguardo tra-sversale al motivo del gioiello nelle opere shakespeariane, ele-mento di disturbo nella poesia dedicata al Fair Youth, in cui il programma poetico esplicitamente espresso nel sonetto 21, inte-so a rifiutare il processo di metaforizzazione in sé e in particolare le ricche similitudini canoniche del petrarchismo, si vede tradito dal resto della scrittura poetica. Proprio in ragione dello scarto che si apre tra realtà e finzione letteraria, la prima sezione dei Sonnets è vista così caricarsi di un discorso metapoetico che, in modo simile a quanto avveniva negli altrettanto raffinati canzo-nieri di Sidney e Spenser, sottolinea, evidenziandone l’aspetto in qualche modo cerimoniale, l’artificiosità del processo creati-vo e, conseguentemente, dell’oggetto che ne è frutto. Un oggetto splendido, ideale proprio in quanto creazione esclusiva di un’arte che si erge immensa nella pretesa di sostituire, e anzi migliorare,

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21Introduzione

l’opera della natura, perfezionandola e sublimandola, “distillan-done” l’essenza, e donandole quell’eternità che il processo natu-rale le nega. Un’arte di cui il sonetto 126, l’ultimo dedicato al Fair Youth, sembra però anticipare la resa.

il programma poetico espresso da Shakespeare nel sonetto 21, ma poi tradito nei fatti nelle liriche al Fair Youth, trionfa invece nei sonetti alla Dark Lady, che nella caparbietà materica della sua autenticità appare opporsi alla falsificazione intrinseca nel processo di metaforizzazione petrarchista. il potere “distillante” dell’arte si scontra con la forza di un essere che affonda le radici della sua esistenza oltre i confini della poesia, e perde. L’arte è vi-sta così rinunciare, come già in The Winter’s Tale, alla sua poten-za demiurgica per farsi riflesso autentico della natura attraverso un linguaggio che torna a aderire all’oggetto significato; alla for-za di un impulso che scioglie l’architettura immobile della prima sequenza in un flusso in cui lo scontro vivifico dei contrari si fa manifesto nel significato e nel significante poetico. ed è proprio attraverso questa adesione al carattere autentico dell’esistenza, sia in senso artistico che filosofico, che questa poesia rivoluzio-naria trova il suo nuovo e più profondo valore.

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Indice

Prefazione di Rosanna Camerlingo 7

Introduzione 13

Parte primathe lady

capitolo primo

L’“Angelica Forma”. Dalla Lirica Provenzaleai Canzonieri Elisabettiani 29

i.1. Dalla dama di Provenza a Laura, p. 29; i.2. Petrarchismo e platonismo. La dama della lirica petrarchista italiana, p. 36; i.3. L’amata della lirica rinascimentale francese, p. 49; i.4. La Lady del sonetto inglese. Da Wyatt agli elisabettiani, p. 57.

capitolo secondo

La Dark Lady. Infrangendo le Regole 75ii.1. Dall’angelica forma all’umano corpo, p. 83; ii.2. Dall’amore per la Bellezza all’amore per la persona, p. 87; ii.3. Dall’assoluta purezza all’umana debolezza, p. 93; ii.4. Dalla superiorità alla pa-rità. Un nuovo concetto di pietà, p. 98.

capitolo terzo

“Lust in Action”. Il Dissidio Ricomposto 115iii.1. La “rabbia venerea”, p. 115; iii.2. “A love not blind”. Abban-donando il “fero desio” , p. 118; iii.3. “Lust in action”. L’abisso spa-lancato, p. 125; iii.4. La sterilità di Narciso, p. 142; iii.5. Giovane inumano, umana dea. Venus and adonis, p. 148.

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capitolo quarto

“I Am That I Am”. La Natura dell’Uomo 155 iV.1. “Too too solid flesh”. L’ossessione di Amleto, p. 159; iV.2. “A vice that most I do abhor”. Measure for Measure, p. 168; iV.3. “You wrong me, Brutus”. La negazione dello stoicismo e del puritanesi-mo in Julius Caesar e nel sonetto 94, p. 177; iV.4. “I am that I am”, p. 182; iV.5. L’uomo: qualcosa di ricco e strano, p. 190.

Parte secondathe darkness

capitolo primo

Il Bianco e il Nero. Luminismo e Cromatismonell’Universo Dicotomico 197

i.1. “And God separated the light from the darkenes”. Alle origini della dicotomia, p. 197; i.2. “Odi maxime omnium tenebras”. La gerarchia della luce nel neoplatonismo, p. 202; i.3. Un mondo in bianco e nero, p. 207.

capitolo secondo

Luce nell’Oscurità. Bruno e Caravaggio 211ii.1. “La luce che è nell’opacità della materia, cioè quella in quan-to splende nelle tenebre”. Giordano Bruno, p. 212; ii.2. “Con vee-menza di chiaro e d’oscuro”. Il tenebrismo di Caravaggio, p. 216; ii.3. “Yeeld Night, then, to the light, / As Blacknesse hath to Beautie”. Luce e tenebra sulla scena inglese, p. 227.

capitolo terzo

“A Tawny Moor All In White”. Gli Amanti Neri 231iii.1. “Is black so base a hue?”. Titus andronicus, p. 235; iii.2. “The beast with two backs”. Othello, p. 241; iii.3. “The shadowed livery of the burnished sun”. The Merchant of Venice, p. 246.

capitolo quarto

“Nere ma Belle”. Le Dame Brune 255iV.1. “Lampe of vertue, sun-bright, ever shyning”. La divina cro-mia della dama petrarchista, p. 255; iV.2. “Light in darkness lies”.

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Il paradosso di Rosaline, p. 263; iV.3. “With Phoebus’ amorous pin-ches black”. Cleopatra, p. 277.

capitolo quinto

“Beauty Herself Is Black”. La Dark Lady 295V.1. “Therefore my mistress’ eyes are raven black”, p. 296; V.2. Fairness e Darkness. Gli intrecci cromatici dei Sonnets, p. 306.

Riflessioni conclusivenatura dell’arte e natura oltre l’arte

capitolo primo

“A Couplement Of Proud Compare”.La Similitudine nei Sonetti al Fair Youth 335

capitolo secondo

“The Perfect Ceremony Of Love’s Rite”. Poesia e Metapoesia 349

capitolo terzo

“Coral Is Far More Red Than Her Lips’ Red”.L’Onestà della Scrittura nei Sonetti alla Dark Lady 359

capitolo quarto

“Such Virtue Hath My Pen”. La Celebrazione dell’Arte Creatrice 365

capitolo quinto

The Dark Lady. La Natura oltre l’Arte 375

*

Bibliografia 383

Indice dei nomi 409

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«C'è un cuneo nel cuore,E non si osa levarlo

Perché si teme il getto del sangue.»

(C. reBora, Canti anonimi: Sacchi a terra per gli occhi, l'intera poesia)

Chiuso in redazione in un pomeriggio di inverno del 2013.Stampato da Grafiche VD in Città di Castello,

nel mese di dicembre 2013, per conto di Aguaplano.

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Cam

illa Caporicci

The Dark LadyLa rivoluzione shakespeariana

nei Sonetti alla Dama Bruna

aguaplano

Camilla Caporicci

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isbn/ean

euro 20,00

9 788897 738398

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Camilla Caporicci (1984) è Dottore di Ricerca in Letterature Compara-te all’Università degli Studi di Perugia. Il suo principale àmbito di stu-dio è la poesia rinascimentale europea, con particolare riferimento alla produzione shakespeariana; si è occupata inoltre dell’opera di Eugenio Montale e di traduzione dall’inglese di testi letterari. Autrice di numero-si articoli pubblicati in prestigiose riviste e miscellanee italiane e inter-nazionali, ha svolto la sua attività di ricerca all’Università degli Studi di Perugia e al Warburg Institute di Londra.

Quando i Sonetti di Shakespeare videro la luce, nel 1609, la tradizio-ne petrarchista aveva già raggiunto il suo culmine in Inghilterra, co-ronando gli ultimi anni del regno di Elisabetta nel segno della lirica d’amore. Che Shakespeare guardi a tale produzione con una certa pun-gente ironia, e che ripetutamente ne rida nelle sue commedie, è cosa nota. Ma perché allora cimentarsi in prima persona nella stesura di un canzoniere? La risposta risiede nel carattere rivoluzionario dell’opera shakespeariana che, pur dialogando con la tradizione, reinventa radi-calmente la lirica amorosa giungendo a un risultato del tutto originale sia in campo poetico che filosofico. Una spinta innovativa, questa, che non si esercita però indistintamente lungo tutto l’arco del canzoniere: laddove infatti la sequenza dedicata al Fair Youth appare per certi versi ancora vicina al modello neoplatonico-petrarchista, la figura misteriosa e oscura della Dark Lady si pone invece in contrasto con il paradigma poetico tradizionale. La dama bruna di Shakespeare va così a incarnare il cuore di una riflessione profonda e travagliata che, lungi dall’esaurirsi in un rovesciamento esplicito e puntuale del modello in chiave parodica, conduce il poeta a un affondo nella verità filosofica della natura umana e del mondo e nella poesia che a tale verità deve dare voce. Una poesia che riconosce il suo stesso limite nel tentativo di perfezionare e cristal-lizzare in un ritratto eternamente immobile l’essenza tumultuosa della vita. E che proprio nella glorificazione di questa vita – in cui niente è tanto vile da non rilucere di divinità – trova il suo nuovo e più profondo valore.