quaderno del concorso "resy ceccatelli"

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1 CONCORSO NAZIONALE DI NARRATIVA INEDITA "RESY CECCATELLI" I EDIZIONE 2013 EVENTO REALIZZATO IN COLLABORAZIONE CON IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO PICCOLO QUADERNO ANTOLOGICO LIONS CLUB SANT’ANASTASIA - MONTE SOMMA

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Quaderno antologico del Concorso di Narrativa Inedita "Resy Ceccatelli"

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Page 1: Quaderno del Concorso "Resy Ceccatelli"

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CONCORSO NAZIONALE DI NARRATIVA INEDITA

"RESY CECCATELLI"

I EDIZIONE 2013

EVENTO REALIZZATO IN COLLABORAZIONE CON IL CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO

PICCOLO QUADERNO ANTOLOGICO

LIONS CLUB SANT’ANASTASIA - MONTE SOMMA

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Presentazione Scrivere un romanzo è difficile. Scrivere un racconto può risultare ancora più difficile. Il romanzo, o il racconto lungo, indipendentemente dal genere, è come un edificio che va ideato, progettato, montato nelle sue parti più o meno complesse, fino alla realizzazione completa; occorrono le fondamenta, i pilastri, i muri portanti, gli infissi, gli impianti di servizi e quant'altro possa servire al fine di rendere l'edificio compiuto e funzionale. La lingua, la sintassi, la grammatica, costituiscono le basi. I pilastri la storia o le storie concatenate, gli impianti e le rifiniture rappresentano le varianti, le "sottostorie", gli abbellimenti, insomma l'impronta dell'autore. E' difficile, dicevamo, perché alla base ci deve essere un'idea progetto. E poi occorre un tempo piuttosto lungo: non si è mai vista la stesura di un intero romanzo in poche ore! Scrivere un racconto, invece, dicevamo, può essere ancora più arduo. Il racconto non ha bisogno di particolari strumenti progettuali e di elementi portanti come le fondamenta e i pilastri. E' tutto il racconto che si mantiene da sé, per così dire. E' nello stesso tempo fondamenta, pilastri, tetto, impianti di servizi, è un tutt'uno. E' una storia "concentrata" in poche, pochissime, pagine, e deve avere naturalmente un inizio e una fine, deve avere un senso logico, un percorso breve ma compiuto. E deve avere un'intensità maggiore, rispetto al romanzo, proprio perché la storia si deve esaurire in breve tempo. Si potrebbe certo proseguire nella definizione di "racconto breve", ma non è certo questa la sede più adatta. L'idea di proporre un concorso di narrativa è nata nell'ambito del Lions Club Sant'Anastasia - Monte Somma e del Circolo Letterario Anastasiano, proprio per indagare in un momento particolare della nostra storia italiana, se ci fosse ancora la volontà, l'entusiasmo e la capacità di impostare e scrivere brevi testi di narrativa, imperniati su fatti realmente accaduti oppure totalmente inventati, ma che fossero dotati di una certa forza di penetrazione nel lettore, di convincimento, capaci di emozionare e di coinvolgere. Testi brevi ma intensi, completi e interessanti: proprio rispondenti a quanto detto prima. Ebbene, il nostro progetto è riuscito. In tanti hanno risposto, e sono giunti elaborati da tutte le regioni d'Italia (si vedano i dati del concorso più avanti). Gli argomenti trattati sono stati diversi e tutti attuali, dalle problematiche sociali e lavorative, alla tutela del paesaggio, dalla famiglia ai ricordi d'infanzia. Nel ringraziare tutti i partecipanti, indipendentemente dal risultato raggiunto, che è comunque eccellente, salvo pochissimi casi in cui il ricco contenuto del racconto è stato mortificato da un impianto lessico-grammaticale scadente, la giuria e gli organizzatori del concorso hanno voluto attribuire, oltre al primo premio intitolato a Resy Ceccatelli, anche altri premi a pari merito, individuando tra i migliori lavori pervenuti, quelli che più si avvicinavano alle seguenti tematiche di ampio respiro: "Dal Sud il rilancio del paese", "L'ambiente e il territorio", "La pace e la promozione sociale e civile". Arch. Giacomo Vitale, presidente anno sociale 2012-13 Lions Club Sant'Anastasia-Monte Somma. Poeta Giuseppe Vetromile, Circolo Letterario Anastasiano.

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I dati del Concorso

A questa prima edizione del Concorso hanno partecipato 170 Autori, con altrettanti elaborati, provenienti da tutte le regioni d'Italia e anche dall'estero. In particolare: dal Piemonte 7 partecipazioni; dalla Lombardia 19; dalla Liguria 6; dal Veneto 15; dal Friuli 5; dal Trentino 2; dall'Emilia Romagna 14; dalla Toscana 9; dalle Marche 6; dall'Umbria 3; dal Lazio 20; dalla Campania 29; dall'Abruzzo e Molise 6; dalla Basilicata 4; dalla Puglia 6; dalla Calabria 3; dalla Sicilia 12; dalla Sardegna 3; dal Canada 1.

La composizione della Giuria: Anna Bruno, scrittrice, poetessa e critico; Flavia Balsamo, scrittrice e critico; arch. Giacomo Vitale, presidente Lions Club Sant'Anastasia Monte Somma anno sociale 2012 - 2013; Giuseppe Vetromile, poeta, pres. Circolo Letterario Anastasiano. Coordinatore e Segretario del Concorso: Giuseppe Vetromile.

I risultati Dopo attenta analisi dei 170 elaborati giunti in segreteria, tutti regolarmente registrati, la Giuria ha così deliberato:

o 1° premio "Resy Ceccatelli", consistente in una Targa personalizzata e diploma con motivazione, assegnato al racconto "Latte", di Ornella Fiorentini, di Ravenna.

Seguono tre Premi Speciali pari merito, consistenti in una Targa personalizzata e diploma con motivazione:

o Premio Speciale "Dal Sud il rilancio del paese": assegnato al racconto "La casa rossa", di Manfredo Di Biasio, di Fondi (Lt).

o Premio Speciale "Ambiente e Territorio": assegnato al racconto "Per grazia ricevuta", di

Nicoletta Fazio, di Lanciano (Ch).

o Premio Speciale "Pace e promozione sociale": assegnato al racconto "L'amore non muore mai", di Rita Muscardin, di Savona.

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La Giuria ha infine deciso di attribuire una segnalazione di merito con diploma ai seguenti Autori:

o Patrizia Cozzolino, di Napoli, per il racconto "Morgex". o Canessa Cristiana, di Marano (Na), per il racconto "Nel silenzio". o Jessica Pompili, di Gorgonzola (Mi), per il racconto "La nuova compagna". o Adolfo Silveto, di Boscotrecase (Na), per il racconto "Il reperto. o Rosa Speranza, di Napoli, per il racconto "La vicina".

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I racconti premiati (stralci)

Latte

Sa di latte di mamma: tiepido, denso e opaco. Quasi dolce, latte buono di tetta. Ce ne vuole subito per il piccolo capriolo o morirà sotto la pioggia, che continua a scrosciare dal cielo greve di nubi e dai fianchi aspri della montagna. Accadrà l’irreparabile se la madre non torna ad allattare la femminuccia. Minuta, trema di freddo, appena sgusciata fuori dal sacco, che giace al suo fianco. Inerte, ancora umido, ma destinato a seccarsi come fieno striato di sangue. Diventerà inutile anche se ha nutrito un cucciolo, anche se è stato il rifugio sicuro per tanto tempo. L’ha protetto dal mondo ostile, fatto a misura degli uomini prepotenti, quelli insensibili all’amore per gli animali. Alcuni godono stupidamente a maltrattarli, altri li usano come cavie, altri ancora li cacciano di frodo. E a lei, che ancora non conosce la malvagità dei miei simili, che cosa accadrà? Non deve finire in una trappola perché è rimasta senza madre. Dove sarà andata? Forse ha trovato riparo lassù, tra i faggi abbarbicati alla montagna. È fuggita per il temporale. Il fragore dei tuoni l’ha spaventata altrimenti non avrebbe abbandonato la piccola appena partorita. Qui, nel bosco scuro, la primavera è arrivata solo da qualche giorno. Avara di sole, è invece prodiga di tempesta. Non si cura né degli uomini e né degli animali, paga di sbocciare in bellezza solo quando vorrà. L’aria gelida sa di torba, di terra dilavata dagli scrosci di pioggia. I sassi bianchi del greto sono scomposti dalla furia del ruscello. Chi è riuscito ad adagiarvi una barchetta di carta gialla? L’acqua è torbida e increspata dalla corrente. Impavida, la vela stracciata la sfida. É uno spicchio di sole che porterà la coraggiosa barchetta a valle. I primi tepori non hanno ancora sciolto la neve. Ne è rimasta tanta in cima alla montagna, ai bordi del bosco e laggiù in paese. Dio mio, la bestiola ha sgranato gli occhi… D’onice, brillano di lacrime. Piange in silenzio. Senza belare, sembra già rassegnata alla solitudine dell’altopiano. Non ho mai visto un animale piangere prima d’ora. La piccola ha un’anima. Immagino che sia di cristallo. La mia invece è opaca. Mi duole, s’incrina come il vetro. Esploderà in una miriade di cocci, irti frammenti di bottiglia se lei dovesse chiudere quegli occhi luminosi per sempre. Non lo sopporterei. Mi sento inutile, sono a mani nude. Non ho una coperta. Non ho il sano latte di tetta. Non ho inventiva. A quarant’anni, non ho neanche un figlio. Ho dunque tanti limiti perché sono un uomo? Mi sento fragile, disilluso. Vago da un masso all’altro della montagna, che un tempo amavo tanto, in cerca della verità. Di quale colpa mi sono macchiato per meritare l’inquietudine? É una condanna senza appello, una spina conficcata nel petto. Se fosse di rosa, nutrirei la lieve speranza che Maria apparisse al mio capezzale per toglierla con le sue mani delicate. Di notte, la invoco prima di sprofondare nel solito sonno nero, orfano di sogni. Quella spina invece dev’essere robusta come l’aculeo di un istrice cocciuto perché non si sposta e il mio dolore di vivere non si attenua. Maria non è la Madonna, anche se ne porta il nome. Era la mia compagna. Se ne andò di casa un anno fa senza che ne comprendessi bene il motivo. Incompatibilità… Edoardo, cerca di ragionare. Non fare il bambino. Non ostacolarmi: mi sono stancata di te. Devo pensare alla mia carriera di musicista. Non ti sembra un motivo sufficiente?, disse, già sulla soglia. Teneva la valigia con la mano sinistra. Nella destra, come se temesse che gliela potessi strappare per vendicarmi, stringeva la custodia del flauto. Dolce Maria, dai capelli color miele, sai che mi manca il tuo respiro? Sul cuscino, accanto al mio… nel buio della voragine in cui sono precipitato. Peccai d’ignavia e me ne pento. Ti lasciai scomparire

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dalla mia vita senza proferire parola. Ferito nell’orgoglio, preferii tacere invece di confessarti il mio enorme disappunto per la tua decisione forse affrettata. Solo ora, davanti al piccolo capriolo, inerme quanto me, mi rendo conto di amarti con immutata dedizione. Non ti ho mai tradita, anche se ne ho avuto l’occasione. Perché avrei dovuto farlo? Le altre donne mi apparivano scipite come una minestra senza sale al tuo confronto. “E ora che ne sarà di noi due, piccola? Io annaspo come un naufrago alla deriva, tu paventi l’inizio del primo giorno di vita. Mi osservi con l’aria innocente degli umili, di coloro che sono i prediletti da Dio. Non mi giudichi un fallito, mi basta per esserti debitore. Vorrei che tu crescessi agile e forte, ma non ho cibo neppure per me.” Me ne sono andato dalla baita molto prima dell’alba, insofferente del tanfo di calzini sudati dei miei compagni. I tre russavano pacifici, sdraiati sui letti a castello. Da quella escursione sull’altopiano nessuno di loro si aspettava l’avventura, paghi di bere vino, di giocare a scacchi, di saziarsi con formaggio e polenta. Solo io ho sfidato la sorte, ho cercato l’insolito camminando senza meta nel bosco. Il sentiero, segnalato in rosso sulla cartina, si biforca. Se avessi proseguito a destra, sarei arrivato in paese dopo un’ora di marcia, ma non mi andava d’incontrare dei montanari intabarrati. Le facce sconosciute si assomigliano tutte. In Cadore, sembrano scolpite nella roccia. Di proposito sono andato in direzione contraria al senso comune. Mi sono addentrato nel bosco oltre il percorso conosciuto. Ho preso a sinistra, forse consapevole che avrei trovato il cucciolo ai piedi del larice, seminascosto da una felce. “Non posso accarezzarti, anche se mi fai pena. Sei fradicia di pioggia fin nel midollo. No, non posso accarezzarti. Se lo facessi, t’impregneresti dell’odore d’infelicità umana che mi contraddistingue. Mi si è appiccicato addosso come un francobollo che non si stacca. So di foglie cadute, calpestate per strada. Se tua madre tornasse, annusandoti, non ti riconoscerebbe come sua. Non devo cedere al desiderio egoista di stringerti tra le braccia, di ripararti goffamente dal freddo perché mi sento solo. Appoggi il muso rossiccio sull’erba stecchita dall’inverno. Ti fori con uno stelo. Ritrai la testa tenera con l’espressione di chi è stato tradito, ma poi torni a guardarti attorno speranzosa. Sento che ti fidi di me. Mi avvicino alle tue gracili zampette storte che non hanno ancora la forza di sorreggerti. C’è poca luce. Il cielo ne sarà parco anche a mezzogiorno, oggi. Tenti di camminare sulla terra nera. Cadi, poi ti rialzi. Coraggio… ci riuscirai. Sei quasi nuda nell’ostia di pelo maculato dei cuccioli, in balia di uno stelo ostinato. Almeno io ho addosso la giacca, il cappello di feltro, la sciarpa pesante. Porto gli scarponi con cui mi sono arrampicato fin quassù. Sono provvisto di una buona torcia. Se, per errore, cadessi in un burrone, i miei compagni mi ritroverebbero ben vestito. Racconterebbero come mi hanno visto per l’ultima volta. Se invece tu fossi risucchiata dalle fauci di un lupo, non rimarrebbe di te neppure il ricordo. Un animale nasce senza nome. Con il passare del tempo, io stesso forse mi convincerei di non essermi mai accorto di un piccolo capriolo in montagna. Affogherei la noia nel vino rosso, mi sbrodolerei il mento di sugo ai funghi. Ti chiedo di resistere. Vorrei che tu ti chiamassi Verbena perché è un fiore dai colori vividi. Sai che la vita può essere bella per quelli che non demordono? Resistiamo dunque, nonostante le difficoltà. Basta volerlo. Non mollare, stringi i denti come ho fatto io. Se te ne vai altrove, rapita dal vento sferzante della montagna, non vedrai il cielo limpido, non udrai cinguettare i pettirossi, non fremerai d’amore per le tremule stelle. Non lasciarmi solo anche tu, Verbena.” A dire il vero, mia madre non mi abbandonò. Mi tenne con sé nella casa di due stanze e cucina. Fu mio padre che se ne andò quando avevo sei anni. Ci lasciò in un mare di guai, anzi di debiti, perché alzava il gomito all’osteria. Si giocava a carte lo stipendio. Rimanevano gli spiccioli, bastavano

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appena a comperare il latte. Ricordo che guardavo quel liquido bianco con rispetto. Se mia madre me ne allungava un bicchiere, lo centellinavo, lo assaporavo come se fosse stato un nettare prelibato. A scuola mi prendevano in giro perché avevo un buco nella scarpa sinistra. Quando suonava la campanella, scattavo in piedi. Mi abbottonavo il cappotto zoppo. Avevo fretta di andarmene perché si sarebbero divertiti a farmi arrabbiare. Arrivavo a casa trafelato, la cartella di traverso sulle spalle. Trovavo mia madre china sulla macchina da cucire. Non alzava neanche il viso, sciupato dalle ore di veglia, per salutarmi. Faceva la camiciaia. Cuciva e cuciva fino a tarda notte per le famiglie buone, come diceva lei, per quelle in cui nessuno si gioca lo stipendio a carte. Un suono sinistro squarcia il silenzio del bosco… Lassù nel faggeto! È lo sparo di un bracconiere. “Verbena, Dio non voglia che sia stata abbattuta tua madre… perché quell’uomo verrà a cercarti. Sa che il cucciolo non può essere lontano. Ti porterà in qualche capanna di fortuna, nascosta tra i massi. Ti incatenerà le zampe, ti alleverà a urla obbligandoti a trangugiare del latte freddo, stantio, quello che riuscirà a portare in bisaccia da qualche paese vicino. Quando sarai abbastanza grande per la stagione degli amori, si compiacerà di se stesso. Ti venderà a un macellaio accondiscendente, uno che non bada alla provenienza della carne pregiata. Non ho molto tempo per decidere il da farsi. Maria? Piccola Verbena, lei ti porterebbe subito a casa. Ti preparerebbe un giaciglio di fieno sprimacciato in un angolo riparato del giardino. Forse sotto la tettoia, dove ripongo gli attrezzi da lavoro e i sacchi delle sementi.” Il fruscio di rami spezzati da passi frettolosi, il respiro affannoso inquietano la cincia grigia che spicca il volo dal larice. Nascondo Verbena sotto la mia sciarpa di lana. Avanzo di un passo verso il cespuglio. Intravedo la canna del fucile, il volto barbuto, il naso adunco del bracconiere. Gli punto addosso la luce cruda della torcia. “Chi è là?” intimo con voce stentorea. L’uomo robusto indietreggia maldestro. L’ho colto alla sprovvista. Non si aspettava d’incontrare anima viva sotto la pioggia. “Chi è là? Hai le mani ancora sporche di sangue?” chiedo più forte. Mi sento quasi invincibile, anche se non ho un fucile. Il bracconiere tace. Si china. Sparisce camminando cauto verso il sentiero. Risale sulla pietraia. Un sasso rotola con un tintinnio sordo. M’inginocchio tremante, sollevo piano la sciarpa. Gli occhi d’onice di Verbena sono lucenti di lacrime. Avvicina il muso alle mie dita intirizzite. Implora amore. L’accarezzo, l’avvolgo a dovere nella sciarpa, che sa di me. La sollevo per deporla nel mio largo cappello di feltro. La pioggia è diminuita. La cincia grigia torna sul ramo del larice. Cammino veloce verso la baita mentre il lucore del giorno appare a Oriente. Le note sommesse del flauto di Maria mi pervadono il cuore. Se ben ricordo, ci dev’essere ancora del latte fresco nella madia di noce. Edoardo…, basta intiepidirlo, direbbe Maria. Ornella Fiorentini, Ravenna 1° Premio

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Motivazione E' questo un racconto di congiunzione: una congiunzione profonda, quasi atavica, tra l'umano e la natura, tra il sentimento e l'istinto primordiale di sopravvivenza, tra il selvaggio e la razionalità. Siamo in alta montagna, in un ambiente lontano dalla civiltà e dal progresso, dove la natura è sovrana; eppure, anche qui c'è l'uomo, pronto a devastare, a deturpare, a sconvolgere gli equilibri. Il protagonista lo sa, poiché emerge da una situazione familiare non facile, si trova solo, a contatto diretto con quella natura. Deve assolutamente proteggere il cucciolo di capriolo con gli occhi d'onice che brillano di pianto. Si immedesima in quella piccola creatura indifesa, forse è lui stesso che chiede al mondo pietà e amore. "Latte" è un racconto commovente che fa meditare; i toni sommessi, le nostalgie, i chiaroscuri invernali, incidono profondamente nell'animo del lettore. La casa rossa

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"Ridatemi l'infanzia mia selvaggia. Voglio riandare alla fonte, rompere un fiasco sopra i sassi bianchi e ritornare tardi a casa mia col volto indifferente." Alcune ville sorgono sui terreni dove trionfavano gli orti, in cui coglievo i nidi di gazza, sui sentieri erbosi delle mie rincorse spensierate a piedi nudi. Le guardo con un certo fastidio quando il desiderio mi spinge a rivedere la casa rossa in cui crebbi, subito dopo di esse, occultata dalla loro invasione. Ora essa è abitata dal vento e dai capricci delle stagioni che si susseguono inesorabilmente. Per raggiungerla non vi è più la breve strada diritta che la congiungeva all'Appia, ma bisogna fare un lungo giro, attraversare una plaga che mi appare sempre estranea, malgrado la torni a percorrere più di una volta l'anno. La casa in parte conserva il suo rosso pallido di casa colonica, macchiata largamente nelle zone in cui l'umidità si è estesa, per l'incuria dovuta all'abbandono. Davanti è lo spiazzo in terra battuta, su cui non si adagia più l'ombra del noce. L'antica strada maestra prosegue verso l'interno, attraversando fondi da tempo abbandonati. E' ovunque il segno del disamore verso la terra. ... Oggi mi ritrovo a frugare nella nebbia che ha sepolto quel tempo. E non so capacitarmi che tutto sia avvenuto, e che anche per me che allora ero un bambino si avvicina l'ora del silenzio. E' qui che rivedo i miei intenti all'opera che ha consumato la loro vita. E' qui che mi sembra di risentire chi mi chiamava dal fondo dei campi, perché portassi un fiasco d'acqua fresca. Allora mi pesava correre alla fonte, oggi vi tornerei tante volte da prosciugare tutta l'acqua in essa esistente, soltanto per un filo di voce che ripeta il mio nome, che mi richieda dell'acqua. Ma è così che tutto dilegua, e ciò che è stato resta nell'anima, verde anche nell'aridità della sera umana. ... L'imbrunire mi coglie sullo spiazzo, tradito a tratti dalle erbacce, su cui mi ero soffermato quasi senza rendermene conto. Già qualche nottola svola intorno alla casa, si perde altrove. Richiudo lo scrigno coi volti e le voci di ieri, e ripercorro il sentiero sinuoso che mi riconduce all'Appia, al paese. Manfredo Di Biasio, Fondi (Lt) Premio Speciale "Dal Sud il rilancio del paese" Motivazione "Ridatemi l'infanzia mia selvaggia. Voglio riandare alla fonte, rompere un fiasco sopra i sassi bianchi e ritornare tardi a casa mia col volto indifferente..." E' questo l'incipit emblematico del racconto, intitolato "La casa rossa", che ha meritato uno dei premi speciali della Giuria. Un tuffo nel passato, vissuto con una certa vena di nostalgia, per la consapevolezza di aver vissuto tempi migliori, più genuini e più veri, quando tutto, ambiente e persone, natura e costruzioni, era più semplice ma anche più autentico. E' la descrizione di un ritorno alla "vecchia casa rossa" paterna, che nutrì i sogni e le gioie di un ragazzo che ora, purtroppo, non ha più la possibilità di ripetere

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quelle corse nei prati, di riascoltare quelle antiche voci, di risentire i profumi e gli aromi casalinghi, di andare di nuovo a prendere l'acqua nel pozzo. Il flusso narrativo è pacato, quasi solenne, e il lettore è piacevolmente ed emozionalmente coinvolto. Il racconto tende a valorizzare il passato e la memoria storica, fondamentali per una giusta e significativa costruzione di vita futura. Per grazia ricevuta ... Non l'aveva mai vista così da vicino. Gli occhi buoni e misericordiosi della Madonna del Ponte non si staccavano dai suoi e sembravano trasmettergli comprensione e, più di tutto, perdono. Appariva come una fanciulla di una semplicità disarmante, dalla carnagione scura e dall'espressione del volto dolcissima. In braccio teneva il suo Figliolo, un Gesù paffutello e vivace. Quasi stonava il drappeggio dorato delle vesti, in mezzo a tale candore. Gianni non sostenne più quello sguardo di mamma, che dava e invocava amore. Cadde in ginocchio davanti alla statua che aveva aiutato a trafugare. Le gambe gli tremavano, il senso di colpa lo soffocava e lo dilaniava ormai da giorni. "Madonna mia, che ho fatto... che ho fatto!... Aiutami!...", implorò. "Che uomo sono, cosa sono diventato!...", e si coprì il volto con le mani, mani che conoscevano il lavoro, la fatica, i sacrifici. Nonno Gianni aveva lavorato per una vita come capocantiere e si era occupato anche dei lavori di rifacimento della Cattedrale, dopo il terremoto dell'Ottantaquattro. Poi negli ultimi anni erano arrivati i problemi, i dispiaceri, le preoccupazioni: la morte di sua moglie, i figli disoccupati, e, la cosa più tremenda, la malattia di Rita. Servivano soldi - e molti! - per curarla in maniera adeguata e la sua pensione era a malapena sufficiente per tirare avanti. Un giorno, tramite un conoscente, si era lasciato avvicinare daun tipo che di pulito non aveva proprio niente. La proposta era più che allettante e lui avrebbe dovuto solo indicare alla banda il passaggio segreto e "ospitare", nei giorni immediatamente successivi, il simulacro. Non appena le acque fossero state più calme, la Madonna sarebbe volata in Russia, da un ricchissimo collezionista senza scrupoli. Si alzò, guardò nuovamente la Madonna e si sentì un po' meno sporco, un po' meno colpevole. Iniziava ora per lui una lunga notte. ... Mesi dopo, don Arturo, vicino alla statua, trovò un mazzo di bellissime rose con un bigliettino: "Per grazia ricevuta. G.". Non seppe mai il valore che aveva quel pezzettino di carta e, soprattutto, che la grazia fosse stata fatta ad una bambina ricciolina che amava le favole raccontate dal nonno. Rita era in America a curarsi, grazie all'aiuto di una Onlus e di tanti benefattori, ma per Gianni non c'era dubbio che la Madonna del Ponte, in una sera d'estate, avesse posato i suoi occhi misericordiosi sulla sua famiglia. Nicoletta Fazio, Lanciano (Ch) Premio Speciale "Ambiente e territorio"

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Motivazione Un fatto di cronaca apparentemente increscioso, il trafugamento della statua della Madonna in una chiesa, offre lo spunto per imbastire e narrare una storia delicata e alla fine commovente, che racchiude in sé anche una forte carica morale. A rubare la statua, veneratissima dal popolo, è stata una persona che il parroco conosce molto bene, ma questi pur sospettandolo non sporge denuncia. La seconda parte del racconto, molto intensa, vede alfine la restituzione della preziosa statua, conclusione di un lungo e sofferto percorso di pentimento da parte del ladro: un nonno che aveva bisogno di denaro per curare la sua nipotina. Rimettendo la statua al suo posto, il nonno rinuncerà a quel denaro sporco, ma alla fine la nipotina si salva ugualmente, grazie all'aiuto di benefattori. L'autrice di questo vibrante racconto, utilizzando diversi interessanti moduli narrativi, dalla cronaca giornalistica al diario introspettivo, riabilita il gesto insano del povero nonno, suggerendoci che c'è sempre un'altra opportunità, un'altra via d'uscita, oltre ad eventuali e apparentemente indispensabili attraversamenti nefasti ed illegali. L'amore non muore mai Herat, 18 gennaio 2011 Carissimo amore mio, ho appena ascoltato la tua voce al telefono, mi sembrava di averti accanto e allora, per qualche istante, ho chiuso gli occhi e ti ho rivista in quel freddo mattino d’inverno all’aeroporto mentre mi salutavi dietro al vetro appannato della sala d’attesa. Mi sorridevi, ma i tuoi occhi colorati d’azzurro e di cielo a stento trattenevano le lacrime, come un fiume in piena che scorre impetuoso lungo argini sempre più deboli. Ti stringevi nel tuo cappotto quasi a cercare il calore di un abbraccio, le mie braccia che ti stringevano forte fino a pochi istanti prima. Mentre passavo il check in e mi avviavo all’imbarco, mi sono voltato a guardarti finché non sei scomparsa dalla mia vista; so che avresti voluto corrermi incontro per non lasciarmi andare più via, ma non te lo saresti mai perdonato e così stavi lì in punta di piedi, esile come un fiore delicato piegato dal vento. Abbiamo deciso insieme, come sempre, ma è stata la decisione più sofferta per me, per noi. a simili scelte è qualcosa che ti nasce dentro, difficile da spiegare e forse ancora di più da comprendere, ma ti appartiene e tu gli appartieni e così non puoi più farne a meno, lo segui ovunque ti porta, anche in una terra così aspra e lontana dal mio mondo, da te. Tu hai accettato, ti è costato molto, ma il tuo amore per me ha vinto la paura ed è riuscito a portarti oltre e per questo adesso io ti sento ancora più vicina. ...

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E’ tardi qui, è una notte buia e fredda, sono stanco, ma l’adrenalina tiene svegli, è meglio del caffè in certi casi. In lontananza vedo poche luci ed anche questo cielo sconosciuto sembra avaro di stelle, ma cosa importa, sei tu la mia stella, il mio raggio di sole. A volte ci si sente intrappolati in mezzo a queste montagne, è una terra arida e brulla e tutto sembra esserci ostile: il nemico qui lo aspetti ovunque, ascolti ogni rumore per svelarne la presenza, soprattutto di notte quando l’oscurità avvolge ogni cosa e ci si sente ancora più indifesi. Ma anche il giorno è pieno di insidie, nascoste magari dietro ad un sorriso o ad un’uniforme che credi amica. Sai, qui non ci sono regole, non per i Talebani, sono dei fanatici e costituiscono il pericolo maggiore, non perché siano dei grandi guerrieri, ma perché sono invisibili, si nascondono ovunque ed il loro unico obiettivo è distruggere il nemico che per loro siamo noi occidentali e tutto quello che rappresentiamo. Sono imbevuti della loro assurda ideologia e di un fanatismo religioso esasperato, si sentono padroni e cacciatori nella loro terra e noi siamo prede che attraversano un ambiente avverso e sconosciuto. ... Pioveva forte, la pioggia battente sferzava i vetri come le lacrime che scivolavano sul viso, mentre lo sguardo scrutava quel cielo lontano per cercare ancora qualche debole traccia di una presenza. Pensava che le sarebbe bastato molto poco, solo un segno mio Dio, qualcosa a cui aggrapparsi per non precipitare in quell’abisso di disperazione che, improvvisamente, come una voragine che squarcia la terra, le si era spalancato innanzi. Sara si strinse nello scialle di lana quasi a cercare quell’abbraccio, ma faceva molto freddo, fuori e dentro di lei e nel silenzio irreale della sua stanza gridava quel dolore che le toglieva il respiro. Stringeva sul cuore la lettera, le ultime parole del suo Giacomo piene di tenerezza e di amore per lei, adesso suonavano come un addio, un commiato nell’attesa di un nuovo incontro, ma non più qui, non su questa terra. Eppure ancora lo sentiva accanto a lei, percepiva la sua presenza mentre fissava la sua foto sorridente: sì, ne era certa, lui era lì, in un modo diverso ma c’era, glielo aveva promesso che avrebbe abitato per sempre nel suo cuore e così lei avrebbe ancora potuto ascoltare la sua voce. Sara per un attimo sorrise e poi, dolcemente, passò la sua mano sul grembo dove custodiva il dono più grande che il suo Giacomo le aveva lasciato, una vita pronta a sbocciare per regalare ancora la speranza nella certezza che l’amore non muore mai. Rita Muscardin, Savona Premio Speciale "Pace e promozione sociale" Motivazione Numerosi sono stati i testi pervenuti che in qualche modo trattavano il delicato tema della pace e degli equilibri internazionali, della salvaguardia delle democrazie in quei paesi, lontani ed anche vicini, in cui vengono calpestati i primari e fondamentali diritti dell'uomo. Ma il presente racconto, "L'amore non muore mai", della scrittrice ligure Rita Muscardin, ha particolarmente colpito per l'intensità della storia, una storia personale che lascia intravedere il dramma più generale e complesso di una realtà afghana, nella quale i nostri militari sono eroicamente immersi, e sono tra i principali artefici del meritorio mantenimento della pace e dell'ordine sociale e territoriale: con grandi sacrifici e abnegazioni, ma anche con tanto entusiasmo. Il racconto, che è una lunga ed appassionata lettera di un militare italiano impegnato in Afghanistan, scorre fluido e coinvolge il lettore emotivamente.

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Comitato d'Onore

o Prof. Aldo Masullo, Referente del Progetto Operativo Area Cultura e Culture Lions Club

International Distretto 108YA o Prof. Don Lino D'Onofrio, Vicario Generale della Diocesi di Nola o Dott. Gianfranco Sava, Governatore Lions Club International Distretto 108YA o Prof. Ermanno Bocchini, Past Dir.Int.Lions Club International - Rappr. Lions Club

International c/o Consiglio d'Europa o Dott. Luigi Buffardi, Primo Vicegovernatore Lions Club International Distretto 108YA

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