programma scientifico 9 ottobre 2010 - sivae.it · problematiche specifiche nel recupero del...

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ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010 1 PROGRAMMA SCIENTIFICO 9 OTTOBRE 2010 8.30 Registrazione dei partecipanti e verifica presenze 9.25 Saluto ai partecipanti del Presidente, presentazione del/i relatore/i 09.30-10.05 Otite media e interna nel coniglio Massimo D’Acierno 10.15-10.40 Esoftalmo nel coniglio Giuseppe Visigalli 10.40 Pausa 11.15-11.50 Immunologia nei rettili Marco di Giuseppe 11.50-12.25 Un caso di ileo in una iguana rinoceronte Simone Agostini 12.25 Pausa Pranzo 14.00-14.35 Gestione dei lori e lorichetti Fabio Pelicella 14.35-15.10 Gestione in cattività dei gechi Tommaso Giorgi 15.10-15.45 Il paziente che collabora: addestramento degli animali esotici alle principali manualità cliniche Sara Mainardi 15.45 Pausa 16.15-16.50 Risoluzione chirurgica in un caso di distocia in un falco di harris Tommaso Collarile 16.50- 17.25 Problematiche specifiche nel recupero del rondone Renato Ceccherelli 17.25-18.00 I Galliformi come pet Tamara Vela Gil 18.00 Discussione e termine della giornata

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    ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010  

  

PROGRAMMA SCIENTIFICO 9 OTTOBRE 2010

8.30 Registrazione dei partecipanti e verifica presenze 9.25 Saluto ai partecipanti del Presidente, presentazione del/i relatore/i

09.30-10.05 Otite media e interna nel coniglio

Massimo D’Acierno

10.15-10.40 Esoftalmo nel coniglio

Giuseppe Visigalli

10.40

Pausa

11.15-11.50 Immunologia nei rettili

Marco di Giuseppe

11.50-12.25 Un caso di ileo in una iguana rinoceronte

Simone Agostini

12.25

Pausa Pranzo

14.00-14.35 Gestione dei lori e lorichetti

Fabio Pelicella

14.35-15.10 Gestione in cattività dei gechi

Tommaso Giorgi

15.10-15.45

Il paziente che collabora: addestramento degli animali esotici alle principali manualità cliniche

Sara Mainardi

15.45

Pausa

16.15-16.50

Risoluzione chirurgica in un caso di distocia in un falco di harris

Tommaso Collarile

16.50- 17.25 Problematiche specifiche nel recupero del rondone

Renato Ceccherelli

17.25-18.00 I Galliformi come pet

Tamara Vela Gil

18.00 Discussione e termine della giornata

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                                                                                                                  ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010 

 

SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

PROGRAMMA SCIENTIFICO

DOMENICA 10 OTTOBRE 2010

09.00-09.35

Diagnosi e trattamento di una insolita forma neurologica in un furetto

Valeria Del Duca

09.35-10.10

Nuove metodologie diagnostiche nel campo dei volatili ornamentali

Dania Bilato

10.10-10.45 Un caso di micobatteriosi in un furetto

Carlo Paoletti

10.45

Pausa

11.15-11.50 Approccio al topo e al ratto come animale da compagnia

Cristiano Papeschi

11.50-12.25 Patologie gestionali e riproduttive del cincillà

Daniele Petrini

12.25

Test di valutazione dell’apprendimento e discussione finale

12.40

Consegna degli attestati di partecipazione e termine dell’evento

OBIETTIVI  Lo sviluppo della medicina veterinaria continua ad una velocità talmente elevata che è complesso anche per gli specialisti riuscire ad essere aggiornati su ogni argomento.  Il programma di questa giornata vuole offrire ai partecipanti la possibilità di ricevere informazioni estremamente recenti, sia da un punto di vista terapeutico che diagnostico     

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    ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010  

                  

 PRIMO GIORNO 

 SABATO 9 OTTOBRE 2010 

                     

 

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                                                                                                                  ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010 

 

SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

OTITE MEDIA E INTERNA NEL CONIGLIO  Massimo D’Acierno, DVM1  1  Clinica  Veterinaria  Turro,  via  Rovetta  8,  Milano [email protected]  CENNI DI ANATOMIA DELL’ORECCHIO MEDIO E INTERNO DEL CONIGLIO  L’orecchio  medio  è  situato  tra  l’orecchio esterno e quello  interno ed è  rappresentato dalla  cavità    timpanica,  di  pertinenza dell'osso  petroso.  Il  timpano (complessivamente di  forma ovalare)    forma la  maggior  parte  della  faccia  laterale  della cavità  timpanica,  ed  è  a  sua  volta  suddiviso nella  pars  tensa  (ventrale,  ampia, semitrasparente e di aspetto raggiato) e nella pars  flaccida  (dorsale,  con  una  forte vascolarizzazione,  triangolare  e  flaccida). Un anello fibrocartilagineo ancora il timpano alla porzione ossea del condotto uditivo esterno. La  parete  mediale  è  detta  labirintica  e presenta  dorsalmente  la  finestra  ovale separata  dalla  finestra  rotonda  (situata caudo‐ventralmente)  dal  promontorio,  una prominenza  ossea  che  corrisponde  al  primo giro della coclea. La  volta  dell’orecchio  medio,  posta dorsalmente,  presenta  il  canale  del  nervo facciale  (ricoperto    dalla mucosa  della  bolla timpanica)  e  la  tuba  uditiva  o  di  Eustachio (lunga  in  media  6‐7  mm)  che  mette  in comunicazione la cavità timpanica con quella faringea. In  senso  dorso‐ventrale  è  possibile suddividere  la  cavità  timpanica  in  tre  parti, rappresentate dall'epitimpano (letteralmente sopra  il timpano: è  il recesso dorsale dose di trovano  la  testa  del  martello  e  la  parte iniziale  dell'incudine;  dal  mesotimpano  (la porzione  intermedia  dove  si  trovano  le finestre ovale e rotonda, la tuba di Eustachio e  gli  ossicini  dell'udito)  e  dall'ipotimpano, rappresentato dalla bolla timpanica. 

Nel coniglio  la bolla timpanica è voluminosa, di forma sferica e con una parete laterale più spessa  (come  nel  cane  e  nel  gatto)  per  la presenza,  tra  il meato  acustico  esterno  e  la parete della bolla, di una rima ossea interna e di una rima ruvida esterna, assente invece nei carnivori. Nel  coniglio manca  la  cresta ossea presente invece nel cane anche se è visibile  il margine tra  la  parete  della  bolla  e  l'osso  petroso;  la cavità timpanica inoltre non è suddivisa da un setto osseo come nel gatto. L'orecchio medio  del  coniglio  non  presenta particolari differenze anatomiche rispetto ad altri  mammiferi.  Il  martello,  l'incudine  e  la staffa  permettono  la  trasmissione  e l'amplificazione  del  suono  fino  alla  finestra ovale, dove inizia l'orecchio interno. Il  martello,  il  cui  manico  è  facilmente riconoscibile  sulla  superficie  esterna  del timpano,  determina  una  trazione  sulla membrana timpanica che si presenta concava sulla sua superficie laterale. Mentre  nei  carnivori  il  meato  acustico esterno  è  tendenzialmente  orizzontale,  nel coniglio  è  orientato  verticalmente,  con  una porzione    ossea  molto  ampia,  che  origina dalla porzione laterale della bolla e si porta in senso  caudodorsale  con  un  angolo  di  circa 45°  rendendo  esplorabile,  mediante otoscopia,  solo  la  parte  più  craniale  della bolla  timpanica.  La  suddivisione  del  canale auricolare in una porzione verticale ed in una orizzontale  come  nel  cane,    è  poco accentuata,  essendo  le  due  parti  separate solo da una leggera curva. Nei  conigli  di  razza  ariete,  le  caratteristiche orecchie  cadenti  determinano  una  flessione della  cartilagine della base dell'orecchio  con conseguente  restringimento  del  condotto uditivo  che  predispone  tali  soggetti  ad  otiti esterne,  oltre  che  a  rendere  difficoltoso  il passaggio di uno strumento ottico in corso di otoscopia.     

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    ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010  

OTITE MEDIA E INTERNA:  PRESENTAZIONE CLINICA E SINTOMI  Nei  conigli  da  compagnia  le  otiti  medie  e interne  batteriche  sono  delle  condizioni comuni e possono essere associate a diversi microrganismi  quali:  Staphylococcus  aureus, Pasteurella  multocida,  Pseudomonas aeruginosa,  Bordetella  bronchiseptica, Escherichia  coli  e  Proteus  mirabilis.  Per valutare  la  presenza  di  un'otite  esterna primaria  o  secondaria  e  per  valutare l'integrità della membrana timpanica occorre effettuare  un  attento  esame  auricolare. Un'otite media  primaria  può  essere  causata dalla  diffusione  per  via  ascendente  di un'infezione  dalle  vie  aeree  superiori attraverso  le  tube  di  Eustachio;  la concomitante  presenza  di  sinusiti  e/o  riniti può  essere  suggestiva  di  questa  via  di trasmissione. E'  frequente  l'insorgenza  acuta,  nei  conigli domestici,  di  head  tilt  con  perdita  di equilibrio, rotolamento (rolling) e, nei casi più gravi,  incapacità  di  alimentarsi.  Nei  casi  più lievi il coniglio può convivere bene con l'head tilt e continuare a mantenere l'equilibrio ed a mangiare.  Tale  sintomatologia  è  però comune  sia  a malattie  del  sistema  nervoso centrale  che  periferico  ed  è  perciò importante distinguere le due forme in modo da ottenere una corretta diagnosi. Il nistagmo può o meno essere associato  sia con  disordini  centrali  che  periferici.  Le patologie  che  colpiscono  il  sistema  nervoso centrale  possono  determinare  nistagmo orizzontale, verticale o  rotatorio, con  la  fase veloce che può essere in qualsiasi direzione e può  cambiare  con  il  variare  della  posizione della  testa.  Concomitanti  segni  neurologici come  tremori  della  testa,  deficit propriocettivi e  ipermetria  sono  solitamente associati  con patologie  centrali mentre  sono solitamente  assenti  nelle  patologie periferiche. I  sintomi  clinici  possono  gradualmente risolversi  nell'arco  di  alcune  settimane man mano che i conigli colpiti si adattano all'head 

tilt.  I  soggetti  colpiti  dovrebbero  essere ospitati in un ambiente sicuro durante questo periodo per evitare  lesioni auto‐indotte. Nei casi gravi associati a rotolamento può essere indicata l'eutanasia.   DIAGNOSI DIFFERENZIALI  In  presenza  di  head  tilt,  atassia,  nistagmo, movimenti di maneggio e rotolamento le due più  importanti  diagnosi  differenziali  nel  coniglio sono  l'encefalitozoonosi  e  l'otite media/interna  batterica;  quest'ultima  è meno  frequentemente  causa  di  questa sintomatologia.  E'  possibile  porre  diagnosi differenziale mediante otoscopia tradizionale (con  la  valutazione  del  condotto  uditivo esterno  e  di  eventuali  rotture  del  timpano), radiografia delle bolle  timpaniche, TC, RNM, citologia e batteriologia auricolare, sierologia (per  la ricerca di anticorpi contro E. cuniculi) e  visita  neurologica  (sindrome  vestibolare periferica  in  caso  di  otite  media/interna  e centrale in caso di encefalitozoonosi).  Cause  meno  frequenti  di  sintomatologia vestibolare possono essere: ‐  Toxoplasmosi  (non  comune,  sono  positivi circa  il 5,1% dei soggetti secondo F.Künzel et al.,‐2008‐):  la  sierologia  può  essere  di  aiuto per porre diagnosi differenziale; ‐ Virus quali rabbia (rara) e herpes simplex 1 (pochissime segnalazioni in letteratura); ‐  Ischemie  cerebrovascolari,  alterazioni degenerative  e  trauma:  l'anamnesi  e  la sierologia; ‐  Masse  occupanti  spazio  nell’encefalo (neoplasie, ascessi, emorragie legate a traumi recenti)  che  possono  essere  identificate mediante RNM, TC, ematologia e  localizzate mediante esame neurologico.      

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                                                                                                                  ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010 

 

SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

DIAGNOSI  La diagnosi di otite media può  essere posta sulla base del riscontro di un empiema di una o  entrambe  le  bolle  timpaniche  rilevabile mediante otoscopia  (in  caso di perforazione del  timpano),  mediante  una  radiografia diretta  del  cranio  (solo  in  caso  di  forme croniche  dove  si  osserva  un  aumento  della radiopacità  della  bolla  timpanica  con ispessimento e/o  lisi della parete della bolla) e con una diagnostica per immagini avanzata (TC  o  RNM).  In  anamnesi  vengono  riportati disoressia/anoressia  dovute  al  forte  dolore che solitamente accompagna queste forme e spesso  una  conseguente  stasi gastrointestinale. Alla visita clinica può essere notata  algia  alla  palpazione  delle  bolle timpaniche  e  una  rotazione  della  testa  che può essere dovuta ad una concomitante otite interna o  all'algia  associata  a  tale patologia. In  caso  di  rottura  del  timpano  è  possibile effettuare  un  tampone  auricolare  profondo per  un  esame  batteriologico  ed antibiogramma;  se  è  presente  una concomitante  patologia  delle  vie  aeree superiori  può  essere  utile  effettuare  anche un tampone nasale profondo. In  caso  di  otite  interna  i  conigli  presentano normalmente  una  sintomatologia riconducibile  ad  una  Sindrome  Vestibolare periferica con testa ruotata (head tilt), a volte tremori  della  testa,  nistagmo  (non  sempre presente)  che  può  essere  orizzontale  o rotatorio  e  con  la  fase  veloce  che  “fugge” dalla  lesione  e  non  cambia  con  il posizionamento  della  testa;  possono  essere presenti anche una paralisi del nervo facciale (con  ptosi  dell'orecchio,  blefarospasmo, paralisi  dei  muscoli  buccali,  spasmo  del muscolo platisma  ‐del  collo‐ omolaterali alla lesione)  e  una  Sindrome  di  Horner, conseguente  ad  un  danneggiamento dell'innervazione  periferica  simpatica (protrusione della 3a palpebra, lieve chiusura delle palpebre,  retrazione del globo oculare, miosi monolaterale).  Si  possono  riscontrare anche  rotolamento  (rolling),  movimenti  di 

maneggio,  perdita  dell'equilibrio  e  atassia locomotoria.  La  diagnosi  di  otite  interna viene  posta  sulla  base  della  presenza  della caratteristica  sintomatologia  (ovviamente dopo avere escluso le altre cause presenti nel diagnostico differenziale) e quasi  sempre  sul riscontro  di  un'associata  otite  media  (che spesso  è  precedente  o  concomitante  ad un'otite interna).   TERAPIE  La  terapia  medica  in  caso  di  otite media/interna  prevede  la  somministrazione di  un  antibiotico  per  via  sistemica  per  un periodo di almeno 4‐6 settimane, se possibile basandosi  sui  risultati  di  un  esame batteriologico  e  relativo  antibiogramma.  Gli antibiotici  efficaci  contro  Pasteurella comprendono  trimetoprim‐sulfa, enrofloxacina,  cloramfenicolo,  cefalessina, penicillina e  le tetracicline anche se possono essere  coinvolti  altri batteri.  In  caso di otite esterna  è  importante  effettuare delicatamente  dei  lavaggi  con  soluzione fisiologica  sterile,  eventualmente  con  il coniglio  in  sedazione  profonda  data  la  forte algia  presente  in  corso  di  tali  patologie.  E' possibile  applicare  all'interno  del  condotto delle  gocce  di  antibiotico  (ad  es. enrofloxacina),  tenendo  sempre  bene  a mente  i  potenziali  rischi  di  ototossicità  di alcuni  antibiotici  in  caso  di  rottura  del timpano.  In presenza di una Sindrome Vestibolare può essere  utile  l'impiego  di  farmaci  antiemetici per  il  trattamento  di  una  nausea  che,  pur mancando  nei  lagomorfi  il  sintomo  del vomito, non può essere esclusa. Ad esempio si può utilizzare della metoclopramide ad un dosaggio di 0,5 mg/kg per bocca o sottocute ogni 8 ore. L'uso di  farmaci antagonisti della dopamina,  che  agiscono  sulle  vie  vestibolari (ad  es.  derivati  fenotiazinici  e  antistaminici) potrebbe  essere  utile  in  caso  di  head  tilt. A questo  scopo  è  possibile  impiegare  la proclorperazina,  usata  in  medicina  umana 

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    ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010  

per  le malattie  dell'orecchio  interno  (es.  le labirintiti) farmaco di facile dosaggio dato che in  sospensione  orale.  Il  dosaggio  suggerito, estrapolato  da  quello  per  l'uomo,  è  di  0,25 mg/kg  per  bocca,  ogni  8‐12  ore.  Negli  Stati Uniti  è  riportato  aneddoticamente  l'uso  di meclizina  come  benefico  in  casi  di  head  tilt alla dose di 6,25‐12,5 mg/kg per coniglio ogni 8 ore. La terapia chirurgica dell'otite media prevede l'osteotomia  della  bolla  timpanica  che  può essere  ventrale  o  laterale,  eventualmente associata  all'ablazione  totale  del  condotto uditivo  esterno  (T.E.C.A.L.B.O.:  Total  Ear Canal Ablation and Lateral Bulla Osteotomy). Le  possibili  complicanze  post‐chirurgiche sono  cellulite,  formazione di ascessi, paralisi del nervo  facciale e Sindrome di Horner. Tali complicanze  possono  essere  ridotte mediante  il  posizionamento  di  sferule antibiotate   di polimetilmetacrilato o di gel a base di doxiciclina nella bolla  timpanica e  la somministrazione  di  antibiotici  sistemici  per un  lungo  periodo.  La  chirurgia  dovrebbe essere  riservata  ai  casi  più  gravi  che  non rispondono  al  trattamento  medico (cosiddette ESO: End Stage Otitis).    Bibliografia 

1. Flecknell  P.  “Manual  of  Rabbit Medicine  and  Surgery”, BSAVA, 7:57‐61, 2000. 

2. Quesenberry  K.E.,  Carpenter  J.W. “Ferret, Rabbits and Rodents”, 2a ed., Saunders, 2004. 

3. Harcourt‐Brown  F.  “Textbook  of Rabbit  Medicine”,  Butterworth Heinemann, 2002. 

         

 

                                         

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                                                                                                                  ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010 

 

SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

L’ESOFTALMO NEL CONIGLIO: APPROCCIO AL PROBLEMA  Dr Giuseppe Visigalli, DVM1  1  Clinica  Veterinaria  Liana  Blu, Medicina  e  Chirurgia degli Animali Esotici, Oftalmologia Clinica e Chirurgica v. Crispi 18 20039 Varedo‐MI ‐ Tel‐Fax: 0362 54 40 20 ‐ T. Mobile: 347 247 12 85 ‐ email: [email protected]  Si tratta indubbiamente di una presentazione clinica  piuttosto  frequente  nel  coniglio,  in particolare  nelle  razze  da  compagnia brachimorfe  e  brachicefale  nelle  quali,  a parità  di  fattori  predisponenti  e  di  cause scatenanti, la particolare conformazione delle ossa orbitali ne fa aumentare l’incidenza. Per esoftalmo  si  intende  esattamente  la malposizione  del  globo  oculare  al  di  fuori, solitamente parzialmente, dalla rima orbitale. Questa  condizione  può  essere monolaterale o  bilaterale  ed  in  questo  ultimo  caso  può sottendere  malattie    sistemiche  quali affezioni  toraciche  paraneoplastiche,  il timoma  ed  altre  neoplasie  toraciche.  In alcune  occasioni  un  esoftalmo  bilaterale temporaneo  può  essere  legato  ad atteggiamento di paura o stress o presente in alcuni  maschi  durante  la  stagione riproduttiva.  In  altri  casi,  in  alcune  razze nane,  l’esoftalmo  può  essere  considerato parafisiologico.  Non  infrequentemente  si osserva  poi  un  esoftalmo  monolaterale.  Il caso più  tipico ed eclatante è causato da un ascesso retro bulbare monolaterale di origine odontopatica.  Altri  casi  di  esoftalmo monolaterale  sono  causati  dalla  rottura  (a volte  iatrogena)  del  dotto  nasolacrimale  nel corso della  sua  incannulazione diagnostica o terapeutica  in  caso  di  ostruzione  del  dotto naso‐lacrimale.  In  altri  ancora  si  realizza  in forma  acuta  dopo  un  trauma  facciale,  o  in forma  congenita  (glaucoma  mono  o bilaterale)  o  ancora  per  rottura  emorragica del  plessirca  o  venoso  retro  bulbare,  per  la formazione  e  rottura  di  cisti  di  elminti  (in particolare di  cestodi)  , per  la  formazione di neoplasie od ascessi orbitali e  infine ad altre 

cause di  infiltrazione di  liquido e/o di sangue nello spazio periorbitale. Occorre  anche  distinguere  le  forme transitorie  e  intermittenti  da  quelle permanenti  o  persistenti.  Il  primo  tipo  si realizza  ad  esempio  in  corso  di  stress  o  di eccitazione  sessuale  mentre  le  forme  più persistenti  sono  quelle  dovute  al  blocco  o forte rallentamento del drenaggio venoso dal plesso  venoso  retro  bulbare  ed  orbitale  per causa  di  masse  occupanti  spazio  a  sede toracica mediastinica (es: timoma).    APPROCCIO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO  L’anamnesi  e  la  visita  clinica  devono  essere accurate, soprattutto circa il tempo trascorso dalla  prima  insorgenza  e  la  rapidità  di evoluzione.  L’esame  clinico  deve  sempre includere  quello  odontoiatrico  e  quello oftalmologico  e  neuroftalmologico  per escludere o meno il coinvolgimento del nervo trigemino  e  del  facciale  o  di  loro terminazioni.  La  cavità  orale  deve  sempre essere  esaminata  accuratamente,  previo lavaggio con acqua corrente, per accertare la presenza  di  par  odontopatie  e  di  punte dentarie  lesive  per  i  tessuti molli.  La  prima indagine  diagnostica  da  prendere  in considerazione  è  lo  studio  radiografico completo  della  testa,  effettuado  differenti proiezioni  quali  la  rostro‐aborale,  la  latero‐laterale,  la  dorsoventrale  e  le  due  oblique (destra e sinistra).   Accerrtamenti diagnostici per immagini ancora più approfonditi sono la TC  la  la  RM  ma  forti  limitazioni  di  tipo economico  e  la  necessità  di  adottare  l’ anestesia  generale  ne  limitano  ancora l’impiego  in  questa  specie.    L’endoscopia  è molto utile per un’ispezione minuziosa della cavità  orale  mentre  gli  accertamenti ematologici  (emocromocitometrico  ed ematobiochimico  in  particolare  oltre  al  CIA test  per  escludere  l’encefalitozoonosi)  sono un importante corollario diagnostico.   

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    ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010  

CONCLUSIONI  L’autore attraverso casi clinici esemplificativi illustra  le  problematiche  mediche dell’esoftalmo  nel  coniglio  da  compagnia.  Si tratta di una motivazione  frequente di visita in questa specie ed è condizione spessissimo legata  a  cattiva  gestione  nutrizionale  ed igienico‐sanitaria  (che  portano  ad odontopatie  mascellari)  e  soprattutto  ad errori nutrizionali associati a predisposizione individuale e a  cause  infettive, neoplastiche, neurologiche e  vascolari  locali e  splancniche intratoraciche.  Ne  esistono  forme  mono  e bilaterali,  primitive  e  secondarie, temporanee, persistenti e permanenti. Per le cause  infettive  la  terapia deve essere mirata medica  e  a  volte  chirurgica  e  deve possibilmente  essere  supportata  da  un esame batteriologico e da un antibiogramma. Se  occorre  si  effettua  altresì  un  pareggio completo  delle  tavole  dentarie  associato  o meno  all’estrazione  di  uno  o  più  denti molariformi mascellari  ,  se  coinvolti. Ancora accanto  alle  terapie  eziologiche  non  vanno trascurate le terapie collaterali, di supporto e di  sostegno,  volte  tutte  a  migliorare  il benessere  del  paziente:  stiamo  parlando dell’antibioticoterapia,  della  terapia analgesica ed antinfiammatoria (oppioidi e/o fans) , di eventuale epatoprotettori, vitamina C  e  vitamine  del  complesso  B  oltre  alla necessaria  fluidoterapia  in  caso  di disidratazione.  Infine  non  dimentichiamo  di proteggere  la  o  le  cornee  coinvolte  con adeguate lacrime artificiali (prevenzione della cheratite da esposizione) tra cui le più efficaci in  questa  specie  sembrano  essere  il polietilenglicole  0,4%,    l’acido  ialuronico,  il tsp e la loro associazione .         

Bibliografia  

1. Hartcour‐Brown Frances: Textbook of rabbit medicine  pp  68‐69  e  pp  292‐306 Butterworth Heinemann, 2002 

2. Keeble  J,Anna:  Rabbit  medicine  and surgery  pp  47  Manson  publishing 2006 

3. Meredith Anna, Flacknell Paul: Rabbit medicine  and  surgery  pp  117‐119 BSAVA 2006 

4. Visigalli  Giuseppe,  Cappelletti Alessandra,  Nuvoli  Sara:  A  Surgical Approach  to  Retrobulbar Abscessation  in  a  Pet  Rabbit;  case report Exotic DVM volume 10  issue 1 2008 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IMMUNOLOGIA “PRATICA” NEI RETTILI: UN APPROCCIO CLINICO  Marco Di Giuseppe, DVM1 , PhD student2  1  Ospedale  Veterinario  Città  di  Palermo, Medicina  e chirurgia  aviaria,  degli  animali  esotici,  selvatici  e  da zoo,  2  Dottorando  in  Ricerca  Università  degli  Studi  di Padova   IL SISTEMA IMMUNITARIO  Il  sistema  immunitario  dei  vertebrati  è  un complesso  di  organi  e  cellule  che interagiscono  fra  loro  per  difendere l’organismo  da  qualsiasi  forma  di  insulto chimico,  traumatico  o  infettivo  all’integrità dell’organismo stesso. In base alle modalità di riconoscimento degli antigeni  il  sistema  immunitario  viene tradizionalmente diviso in: 

- immunità  non  adattiva  che comprende  mediatori  chimici  e cellulari  responsabili  di  una  prima linea  di  difesa.  Consente  il riconoscimento  di  un  repertorio limitato di agenti patogeni in maniera passiva  ovvero  non mutando  in  loro risposta. 

- immunità  adattiva  che  comprende mediatori  chimici  e  cellulari responsabili  di  una  risposta  difensiva più potente e mirata ma più tardiva.   

L'immunità  adattiva  viene  divisa  a  sua  volta in:  

- immunità  adattiva  umorale  la  cui funzione  principale  è  quella  di produrre  immunoglobuline sintetizzate dai linfociti B 

- immunità  adattiva  cellulo‐mediata basata  sull'attività  citotossica  dei linfociti T. 

 Sono  indispensabili  entrambe  le  immunità adattive:  la  prima,  infatti,  costituisce  un meccanismo  di  difesa  nei  confronti  di 

microrganismi  extracellulari  e  delle  loro tossine,  dal  momento  che  gli  anticorpi possono  legarsi a  tali agenti ed eliminarli;  la seconda,  l’immunità  cellulo‐mediata,  è indispensabile  per  la  difesa  contro microrganismi  intracellulari,  come  virus  e batteri,  che  proliferano  all’interno  delle cellule  dell’ospite  e  quindi  risultano  essere inaccessibili  agli  anticorpi  ma  accessibili  ai linfociti  T  specifici  che  ne  determinano  la morte.  Vi  è  una  interdipendenza  stretta  tra l'immunità non adattiva e quella adattiva ed all'interno  della  prima  tra  la  umorale  e  la cellulomediata. I  linfociti  sono  le  cellule  responsabili  della risposta  immunitaria  specifica  e  vengono divisi in: 

• linfociti B che maturano nella borsa di Fabrizio  negli  uccelli  e  nel  midollo osseo    nei  mammiferi.  Nonostante queste cellule siano responsabili della produzione  di  immunoglobuline  è stato dimostrato che  i  linfociti B nella trachemis  scripta  hanno  capacità fagocitaria (Zimmerman et al., 2010).  

• linfociti  T  che  maturano  nel  timo  e sono divisi a loro volta in: • linfociti  T  citotossici  in  grado  di 

distruggere  cellule  specifiche  che presentano  determinati  antigeni sulla membrana  

• Linfociti  T  helper  necessari  per l'attivazione dei  linfociti B e per la produzione di immunoglobuline 

 Sia  i  linfociti B  che  i  linfociti T originano dal midollo  osseo  e  una  volta  maturi, raggiungono  tramite  il  circolo  ematico  il tessuto  linfoide,  che  nei  rettili  è rappresentato dalla polpa bianca della milza e da  alcuni aggregati  linfoidi,  situati  lungo  il sistema  respiratorio  e  gastro‐enterico, rispettivamente  Bronchus‐Associated Lymphoid Tissue e Gut‐Associated  Lymphoid Tissue. Fanno parte di quest'ultimi  le tonsille esofagee  dei  serpenti,  noto  sito  di  prelievo 

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11     ATTI 2° IN bioptico  pMalattia a Nei  rettilpopolaziondocumentain via definPer  quantstata  docudue  isotiprisposta  iparagonabresponsabLe  IgY posalla prole  tcit. in ZimmTuttavia  nl'esistenza nell'intesti(Deza  et  aisolate  su (Deza  ed 2010) e dein ZimmermLe  immuncatene  leamminoacinsieme unne  determvariabile chA differenzla  regioneflessibilità superfici possibile  cuna minorantigeni  nSembrereb

NCONTRO AN

per  la  diaCorpi Inclui  la  preseni di linfocitata ma nonnitiva (Origgo  concerneumentata  npi:  le  IgMimmunitariabili  alle ili di una rissono essertramite  il  tmerman, 20negli  ultimi

di  un no  dell'  Eal.,  2007) diversi  tesEspinel,  20ell'Anolis spman et al., 2noglobulineeggere  e cidi  che  cna frazione mina  l'isotihe interagisza delle  IgG  del  pontenecessari

di  diversi che  questae capacità nnei  rettili bbe  pertan

NNUALE SIVA

agnosi  istosi. enza  di  eti è stata inn è mai statgi, 2007). e  le  immunnei  rettili  l

M,  responsaa  precoceIgG  dei sposta tardie  trasferiteuorlo  (War010). i  anni  si  èanticorpo Eublepharise  delle  IgDssuti  della  s008  cit.  in pp.  (Wei et 2010).  e  sono  co

catene compongoncostante stpo  e  da sce con l'anG,  le  IgY none  che  confeia  per  adantigeni 

a  differenzanel riconoscrispetto  aito  che  le 

AE 2010 

ologica  de

entrambe direttamenta dimostra

noglobulinel'esistenza abili  di  u,  e  le  Imammife

va. e dalla madr et al., 199

è  dimostraIg‐A  sim

s  MaculariD  sono  stastessa  specZimmermaal., 2009 c

omposte  dpesanti 

no  nel  lotrutturale chuna  fraziontigene.  n possiedonerisce  loro dattarsi  aspecifici. 

a    determcimento de  mammifeIgY  siano 

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le nte ata 

  è di na gY eri, 

dre 95 

ata ile ius ate cie an, cit. 

da di 

oro he ne 

no la lle È ini gli eri. in 

grriNuandepecianIgLadeseInstandricatitpeQmNrileene,piriO(OpepNbet

Figura 1

rado di  ricodotto di antei mammifn'infezione,nticorpi doel  tipo  denetrazionerca  2  settnticorpi progG a distanza  produzioeclina  dopoettimana. n  seguito  atesso  patognticorpale uratura  nesposta aratterizzattolo  anticermanenza 

Questo  fenmemoria immei  rettili  gsposta  immenta,  la  detntro le 6/8 , in alcuni caicco  anticosposta  imm

Origgi  sino  aOriggi  et ermangonorodotte le Ionostante reve durant  al.,  2001

onoscere e tigeni rispeferi,  genera,  si  possopo  circa 1 di  antigene) ed  il piccimane  dopodotti  sonoza di circa 1one  anticoo  il  picco  e

d  una  secogeno  assistpiù  veloceel  tempo. immunitaria  da  una corpale  pmaggiore 

nomeno  pmunitaria. eneralmentmunitaria  stenzione  desettimane dasi, questo orpale;  gli munitaria soa  34  settimal.,  2001

o più a  lunggY (Grey, 19anche nei rte  la secon1;  Coico  et

legarsi  ad tto alle IgGalmente  in ono  rilevarsettimana ne  e  delco anticorpapo  l'infeziono  le  IgM,  se0 giorni dalorpale  gene  cessa  dop

onda  esposiamo  ad  une,  più  efficIn  altre 

a  seconlatenza  m

più  alto delle  IgG 

prende  il 

te  assistiamspecifica  umegli  anticordall'infezionperiodo coanticorpi  dono stati rismane  dopo 1);  inoltrego prima ch963).  rettili la latenda esposizit  al.,  2003

un  gruppo. seguito  adre  i  primi(a  secondala  via  diale avvienene.  I  primieguite dallell'infezione.neralmentepo  qualche

sizione  allona  rispostacace  e  piùparole,  la

ndaria  èminore,  un

ed  unain  circolo.nome  di

mo  ad  unamorale  piùrpi  avvienene primariancide con ildella  primascontrati dal'infezione

e  le  IgMhe vengano

enza sia piùione  (Work3;  Ujvari  e

d i a i e i e . e e 

o a ù a è n a . i 

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Madsen,  2006;  Snoeijs  et  al.,  2007),  nei mammiferi  sono  le  IgG  a  caratterizzare  la risposta secondaria  mentre  nei  rettili  non  è  stato  ancora determinato l'isotipo caratteristico.  Infine  l'aumento  del  titolo  anticorpale durante  la  risposta  secondaria  nei  rettili spesso non avviene (Muthukkaruppan, 1972). Tutti questi studi sono citati in Zimmerman et al., 2010.  

(Figura 1)  Tuttavia  riguardo  al  comportamento  della risposta  immunitaria  primaria  e  soprattutto secondaria  in  bibliografia  i  dati  non  sono concordi.  É  possibile  che  la  diversità  dei risultati  ottenuti  sia  dovuta  alle  diverse condizioni  sperimentali  oltre  che  alla specificità ectodermica dei rettili. Data  la complessità e diversità delle variabili in  gioco  è  difficile  pertanto  stabilire  un modello univoco.   FATTORI  CHE  INFLUENZANO  LA  RISPOSTA IMMUNITARIA  Quando valutiamo lo stato immunitario di un rettile è necessario valutare anche  l’idoneità dell' habitat dove è ospitato, cercando quindi di  centrare  la  nostra  attenzione  sul  sistema animale‐habitat  piuttosto  che  sul  singolo paziente. In  cattività,  soprattutto  in  condizioni  sub‐ottimali, è plausibile dedurre che ci troviamo di  fronte  ad  animali  più  o  meno immunocompromessi,  più  suscettibili  ad infezioni di varia natura. L’abilità  di  un  animale  a  resistere  ad  una malattia  dipende  da molteplici  fattori  quali: temperatura,  spettro  di  luce,  stress,  sesso, stagione,  età,  fotoperiodo,  umidità,  stato nutrizionale,  fase  riproduttiva, predisposizione  genetica,  tipo  e concentrazione  dell'antigene  e  via  di penetrazione di questo. 

Di seguito ne analizzeremo alcuni, precisando che  negli  studi  presi  in  considerazione  la risposta immunitaria è stata misurata in base alla  capacità  di  produrre  anticorpi  nei confronti  di  un  antigene  noto,  in  base  alla produzione  ed  alla  capacità  citotossica  di alcune  cellule  del  sistema  immunitario  ed altro.  La temperatura: I  rettili  essendo  animali  poichilotermi  o ectodermi  (utilizzano  direttamente  o indirettamente  fonti  di  calore  esterne  per mantenere  la  loro  temperatura  corporea) sono estremamente influenzati dall’ambiente che li circonda e con cui interagiscono. Si  è  dimostrato  infatti  che  nei  rettili  esiste una  “febbre  comportamentale”  che  in determinate  condizioni  (digestione, termoregolazione, stato di malattia…)  induce l’animale ad esporre certe parti del corpo ad una fonte di calore. Numerosi  studi  in  letteratura  riportano  una risposta  immunitaria efficiente  in rettili  il cui habitat  presenta  un  gradiente  termico ottimale  per  la  specie  (Prefered.  Optimal. Temperature.  Zone.)  che  permette  di termoregolarizzarsi  e  raggiungere  la temperatura  corporea  preferita  (Prefered Body Tempeature).  Abbassando la temperatura ambientale di un rettile  si  assiste  ad  una  risposta infiammatoria  meno  intensa  e  più  tardiva. Pertanto  è  utile  aumentare  la  temperatura ambientale durante lo stato di malattia di un rettile per favorire la risposta infiammatoria e i processi di guarigione. Bisogna fare tuttavia attenzione  a  non  superare  la  temperatura massima della P.O.T.Z. della specie. In  uno  studio  del  2004  un  gruppo  di Trachemys  scripta  elegans  stabulate  a  26°C sono  state  infettate    per  bocca  con Salmonella enterica, dimostrando  che quest' ultima non era in grado di invadere la mucosa intestinale.  Questa  temperatura  ambientale si aggira  sui  livelli massimi della P.O.T.Z. per la specie. Aumentando la temperatura sopra i 37°C si è rilevato che Salmonella enterica era 

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    ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010  

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in  grado  di  oltrepassare  la  mucosa  gastro‐enterica  e  provocare  infezione.  (Pasmans  e Haesebrouk  cit.  in  Origgi,  2007).  Questo mostra  come  un  batterio  estremamente comune  nell'apparato  gastro‐enterico  dei rettili come Salmonella sp. non sia in grado di penetrare  le  barriere  corporee  in  condizioni naturali,  quando  gli  animali  sono mantenuti alla loro temperatura ottimale. Spiega inoltre perché Salmonella sp. sia spesso un patogeno secondario. In  uno  studio  sugli  Agama  agama  è  stato dimostrato inoltre che la durata della “febbre comportamentale”  è  correlata  all'intensità dell'infezione  in  corso.  Infine  sottoponendo dei  Gerrosaurus major,  clinicamente malati, ad  una  terapia  antibiotica  di  14  giorni  si  è notato  che  i  sauri  dopo  la  terapia presentavano  una  diminuizione  della temperatura  corporea  media  rispetto  a quella  riscontrata  prima  del  trattamento (Redrobe).  Questo  comportamento  è un'ulteriore conferma di quanto detto prima e  può  essere  utilizzato  come  ausilio diagnostico di risposta positiva ad una terapia qualora vengano prese  le  temperature pre e post  trattamento  e  l'habitat  sia  costante.  Si deduce,  inoltre,  che  un  animale  guarito preferisca delle  zone del  terraio meno calde rispetto a quelle  scelte durante la malattia.  Lo spettro di luce: La specie umana è in grado di vedere solo tre colori  (rosso, verde e blu) dell'intero spettro di  luce.  Gli  altri  colori  sono  la  risultante dell'analisi,  operata  dal  sistema  nervoso, della  composizione  e  dell'intensità  della lunghezza  d'onda.  I  rettili  vedono  almeno quattro  colori dell'intero  spettro di  luce e  ci sono  alcune  fonti  che  riportano  che  alcuni viperidi  e  boidi  riescono  a  vedere  fino  a cinque diversi colori. Le  luci  artificiali,  essendo  progettate  dagli uomini,  rendono  difficile  ricreare  un  foto‐habitat  corretto  per  i  rettili  ed  inoltre, essendo  testate per  la  sensibilità dell'occhio umano, è possibile che disturbino quello dei rettili.  

Ognuna delle oltre ottomila specie di rettili si è  evoluta  in  un  particolare  habitat  con  uno specifico  fotoperiodo  ed  una  particolare illuminazione.  Il clima riportato nelle zone di distribuzione  di  una  specie  si  differenzia molto in realtà dal micro‐habitat che poi in la caratterizza.  Per  esempio,  un  rettile  che  si nasconde  nel  sottosuolo  verrà  esposto  ad una  quantità  e  qualità  di  radiazioni  diverse rispetto al suo simile che nello stesso areale abita le cime degli alberi più alti. Ricordiamoci  che  alcuni  sauri  presentano  il cosidetto  “occhio  parietale”  ovvero  delle cellule  fotosensibili sulla superfice del cranio associate alla ghiandola pineale. Esso, agendo come  misuratore  di  intensità  luminosa, permette  all'animale  di  relazionarsi  con l'ambiente  ed  esporsi  a  fonti  luminose piuttosto  che  ad  altre,  determinandone anche la durata d'esposizione. In  ultimo,  alcuni  viperidi  e  boidi  dalle abitudini  notturne  utilizzano  dei  sensori infrarossi come ulteriore sussidio alla visione, creando  così  un'immagine  di  tipo  termico simile  a  quella  che  otteniamo  guardando attraverso degli occhiali a rilevanza termica. Sorprendentemente mentre  la  retina umana contiene due diverse cellule nervose sensibili alla  luce:  i bastoncelli per  la visione notturna ed  i  coni  per  la  vsione  diurna,  molti  gechi notturni  possiedono  solo  dei  coni estremamente sensibili. In mancanza di  luce naturale non  filtrata,  la fonte di luce artificiale deve essere composta da  uno  spettro  il  più  possibile  completo, composto  da  UVB,  essenziale  per l’assimilazione  del  calcio,  e  UVA,  essenziale per il benessere dell’animale. Una  visione  normale  richiede  infatti  uno spettro di  luce  completo. Di  conseguenza  la mancanza di una  componente porta  ad una visione  non  corretta  da  parte  del  rettile  e all’incapacità  di  relazionarsi  correttamente con l’habitat. Inoltre  ricordiamoci  che  il  fotoperiodo  e l'intensità della  luce stimolano  la produzione di alcuni ormoni che a loro volta modulano la risposta immunitaria. 

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                                                                                                                  ATTI 2° INCONTRO ANNUALE SIVAE 2010 

 

SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

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Come  in  natura,  le  fonti  di  luce  dovrebbero essere  anche  fonti  di  calore.  Così  come  si dovrebbe  cercare  di  ottenere  un  gradiente termico  e  non  un  punto  caldo,  si  dovrebbe cercare di associare un foto‐habitat e non un riduttivo punto luce.  L'alimentazione: In cattività spesso è difficile  ricreare  la dieta ideale  per  gli  animali  ospitati.  Spesso  infatti assistiamo  a  diete  poco  varie  e  pertanto nutrizionalmente  sbilanciate  con conseguente  sviluppo  di  deficit  nutrizionali. Sarebbe opportuno cercare di offrire ai rettili degli alimenti  freschi e diversi,  idonei per  la specie in esame.  Alcuni  studi  infatti  hanno  mostrato  una differenza notevole  fra  la  flora  intestinale di animali in cattività rispetto ai loro consimili in natura.  Per  esempio,  la  presenza  di  alcuni parassiti  come  gli  ossiuridi  è  considerata  da alcuni autori, entro certi limiti, normale nelle specie erbivore allo stato naturale, mentre in cattività,  secondo  la  tesi  di  Klingerberg,  la loro  presenza  è  da  considerarsi  patologica, poiché  gli  spazi  limitati,  la  temperatura  e l'umidità,  la  ventilazione  non  ottimale  e  lo stress  comportano  spesso  una  loro moltiplicazione  con  conseguente “superinfestazione”.  In  natura,  inoltre,  i  rettili  hanno  abitudini nomadi  e  pertanto  difficilmente  entrano  in contatto  con  le  loro deiezioni; pertanto una certa concentrazione parassitaria  in natura si mantiene  tendenzialmente  costante mentre in  cattività  questo  equilibrio  spesso degenera. Sulla  base  di  queste  osservazioni  alcuni autori, quali Silvestre, preferiscono utilizzare il  levamisolo  piuttosto  che  il  fembendazolo nei  rettili  che  devono  essere  introdotti  in natura  poiché  il  primo  sembrerebbe  essere meno efficace e quindi permette ai rettili che devono  essere  liberati  di  conservare  una carica  parassitaria  minima  (comunicazione personale). Quest'ultima  infatti sembrerebbe essere vantaggiosa allo stato naturale poiché favorisce  la  disgregazione  dell'alimento, 

stimola  la  peristalsi  gastrointestinale  e immunostimola  costantemente  l'animale (Silvestre 2007 e Mcarthur 2004)  Lo stress: Nonostante  lo  stress  sia  una  componente significativa in molti casi di decessi improvvisi o  poco  chiari,  bisognerebbe  cercare  di  non attribuirvi ciecamente la morte di un rettile. Così  come  avviene  per  i mammiferi,  anche nei rettili il livello di catecolamine ed il tempo di  esposizione  riducono  la  risposta immunitaria  (Mondal  e  Rai,  2004  cit.  in Origgi,  2007).  Lo  stesso  vale  per  i glucocorticoidi  (Mondal  e  Rai,  2002b  cit.  in Origgi, 2007). In  seguito  ad  uno  stress  cronico  si  assiste spesso  ad  una  involuzione  reversibile  del timo.  Non  appena  viene  eliminata  la  fonte stressogena  si  assiste  nuovamente  a  una normalizzazione  del  parenchima  timico (Cooper at al., 1985 cit. in Origgi, 2007). In uno studio sugli effetti dell'urbanizzazione sulla  popolazione  dei  rettili  si  è  preso  in esame  il  livello di cortisolo ematico prodotto da  alcuni Urosuurus ornatus  in un  ambiente naturale,  semi‐naturale  ed  urbano.  In  tutti  i soggetti  il  cortisolo  ematico  è  aumentato dopo  l'esposizione  alla  fonte  stressogena; inoltre,  nei  soggetti  rurali  il  rapporto  fra  il cortisolo  ematico  pre  e  post  stress  è  maggiore  rispetto  ai  “cugini”  urbanizzati (French  et  al.,  2008).  In  questo  studio  il prelievo è stato eseguito  in meno di 30'' dal plesso  orbicolare  per  minimizzare  l'effetto stressogeno  associato  alla  procedura  ed  il conseguente aumento di cortisolo ematico. Ciò  mostra  come  esista  anche  nei  rettili  il fenomeno  di  acclimatazione  e modulazione della risposta immunitaria. Questo fenomeno probabilmente può essere traslato ai rettili di cattura e nati  in cattività, deducendone che i soggetti nati in cattività e ben acclimatati tollerano meglio lo stress e le manipolazioni  di  quelli  non  acclimatati  e  di cattura. Ciò dovrebbe spingere il mercato dei rettili  e  la  medicina  preventiva  verso  la 

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diffusione  di  soggetti  nati  in  cattività piuttosto che di cattura.  Il sesso: La produzione di ormoni sessuali nei rettili è fortemente  influenzata  dalle  variazioni  del fotoperiodo, della  temperatura, dell’umidità, delle stagioni... È  dimostrato  che  vi  sono  differenze  specie‐specifiche  fra  i sessi nella percentuale media di alcune cellule del sistema immunitario.  Inoltre  è  dimostrato  che  le  variazioni stagionali  degli  ormoni  sono  accompagnate da  variazioni  nella  risposta  immunitaria. Questo  è  stato  provato  sia  in  condizioni naturali,  sia  in  condizioni  sperimentali inoculando ormoni  sessuali  in diverse  specie di  rettili.  La  produzione  o  l'inoculazione  di ormoni  sessuali  è  accompagnata  da  una minore  risposta  immunitaria  (Mondal  e  Rai, 2002 cit. in Zimmerman, 2010).  Una  spiegazione  suggestiva  di  questo fenomeno  ipotizza  che l'immunocompromissione  durante  la stagione  riproduttiva  possa  essere  un adattamento evolutivo per i soggetti di sesso femminile  che  durante  questo  periodo possono  entrare  in  contatto  con  del materiale not‐self come gli spermatozoi. In  letteratura  c'è  uno  studio  molto interessante  che  sembra mostrare  che  nella Pordacis hispanica  le femmine preferiscono  i maschi  con  un  sistema  immunitario  più sviluppato;  l'efficienza  del  sistema immunitario è stata determinata attraverso il test  della  fitoemoagglutinina.  In  questo studio  si  dimostra  infatti  che  durante  la stagione  riproduttiva  le  femmine  adulte mostrano una preferenza per  il secreto delle ghiandole dei pori  femorali di  alcuni maschi adulti  in  cui  si  dimostra  un  sistema immunitario  migliore.  Dalle  analisi  del secreto  delle  ghiandole  dei  pori  femorali  di questi  soggetti  si  è  osservata  una  più  alta concentrazione  di  un  precursore  della Vitamina  D3.  Questo  steroide  in  condizioni normali  si  trova  nella  pelle  ed  in  seguito all'esposizione  solare  viene  trasformato  in 

Vitamina  D3;  essendo  questa  vitamina essenziale per  il metabolismo del  calcio  si è ipotizzato  che  solo  i maschi  che  presentano una  grande  riserva  di  questo  metabolita possono  espellerne  una  grossa  quantità  dai pori  femorali,  altrimenti  andrebbero  in  uno stato catabolico (Lopez e Martin, 2005). Quest'ultimo  studio dovrebbe  farci  riflettere sulle  possibilità  di  incrementare  la riproduzione  in  cattività  agendo  sul  sistema immunitario,  il  benessere  animale  e  la corretta gestione. In  cattività  si  riscontra  con  una  certa frequenza  un'incidenza  di  patologie respiratorie  durante  le  stagioni  degli accoppiamenti e dopo la deposizione. Questo fenomeno,  che  si  verifica  soprattutto  nelle grosse collezioni di Python regius, è probabile sia  dovuto  ad  una  immuno‐compromissione durante  fasi  dell'allevamento  che comportano  un  notevole  stress  e  nel  corso delle  quali  gli  animali  subiscono  delle variazioni  neuro‐endocrine  tali  da determinare  la  riacutizzazione  di  patologie sottostanti.  L'età: Come  avviene  nei  mammiferi,  con l’aumentare dell’età si assiste a dei fenomeni degenerativi  a  carico  di  tutte  le  cellule dell’organismo  che  determinano  una immunodepressione progressiva. Uno  studio effettuato  in natura  su dei Liasis fuscus  ha  mostrato  la  diminuzione  della capacità  di  produrre  anticorpi  con l’aumentare  dell’età,  della  lunghezza corporea  dei  serpenti  e  a  seguito  di  emo‐parassitosi.  Si  consideri  che  in  natura  le infestazioni  parassitarie  aumentano notevolmente  con  l’età  (Ujvari  e  Madsen, 2006 cit. in Mutschmann, 2008).  La stagione: Le  stagioni  sono  caratterizzate  da  una moltitudine  di  fattori  (temperatura, fotoperiodo,  umidità,  disponibilità  di  cibo...) che determinano cambiamenti importanti del sistema immunitario. 

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Questi fattori inoltre modulano la produzione di  ormoni  sessuali  che  a  loro  volta influenzano il sistema immunitario.  Possiamo  parlare  di  una  interazione  fra  il sistema  linfatico  ed  il  sistema  neuro‐endocrino. I  tessuti  linfoidi  dei  rettili  subiscono  delle variazioni  istologiche  stagionali  specie‐specifiche.  Queste  variazioni  comportano delle  involuzioni  seguite  da  delle  fasi  di ipertrofia‐iperplasia. Si è osservato che un'involuzione del tessuto linfoide  si  accompagna  ad  alti  livelli  di corticosteroidi  ed  ormoni  sessuali  che determinano  nell'insieme  una  risposta immunitaria ridotta. Generalizzando, le fasi di massima  espressione  avvengono  durante  la primavera  e  le  fasi  involutive  durante l'inverno. Il  timo  va  incontro  ad  un’  involuzione continua  durante  la  vita  di  un  animale.  Nei rettili essa è  influenzata dalle stagioni. Se ne deduce  che  non  esponendo  un  rettile  in cattività alle variazioni stagionali l'involuzione timica e di conseguenza  il deficit progressivo del  sistema  immunitario  avvengono  più velocemente  poiché  l'organo  non  è  esposto alle fasi rigenerative. Inoltre  sappiamo  che:  il  numero  degli eterofili,  corrispettivi  dei  neutrofili  nei mammiferi,  è  maggiore  in  estate  piuttosto che in inverno, gli eosinofili al contrario sono più  abbondanti  in  inverno  mentre  si riscontrano  in  minor  numero  d'estate,  i linfociti,  infine,  aumentano  in  estate  e  in corso  di  ectisi  e  diminuiscono  durante l'inverno.  I basofili ed  i monociti presentano una scarsa fluttuazione stagionale.   VALUTARE IL SISTEMA IMMUNITARIO  Per valutare lo stato immunitario di un rettile innanzitutto  bisogna,  come  già  detto, valutare la relazione animale‐habitat. Una  volta  verificata  l'idoneità  dell'habitat  si prende  in  considerazione  l'animale  e  si osserva  se  ci  sono  dei  deficit  nell'integrità 

delle  barriere  naturali  (cute  e  suoi  annessi,  mucosa  gastro‐intestinale,  uro‐genitale  e respiratoria).  Teniamo  presente  che  il fenomeno  della  muta  ha  una  funzione  di difesa nei confronti di molti patogeni e sono state  dimostrate  delle  anomalie  in  corso  di patologie.  Per  esempio  una  riduzione nell'intervallo fra una ecdisi e  la successiva è stato  associato  a  parassitosi  cutanea (Harkewicz, 2001 cit. in Origgi, 2007). Solo  dopo,  possibilmente  quando  l'animale ha  raggiunto  la  sua  P.B.T.,  si  procede  ad effettuare  un  prelievo  ematico.  Tramite questo  campione  è  possibile  effettuare  una conta  totale  dei  globuli  bianchi, preferibilmente  in  una  camera emocitometrica,  per  valutare  un'  eventuale leucocitosi  o  una  leucopenia,  quindi  uno striscio  su  vetrino,  per  effettuare  una  conta differenziale  e  valutare  la  morfologia cellulare. In generale si assiste a: 

- un'  eterofilia  in  corso  di un'infiammazione  acuta  o  in  seguito ad  uno  stress.  Gli  eterofili  sono  le prime  cellule  infiammatorie  che raggiungono il punto di inoculo 

- un'eteropenia durante il letargo - una  monocitosi,  generalmente 

caratteristica  nell’  infiammazione cronica 

- una  linfocitosi,  generalmente caratteristica  di  un'infezione  di  tipo batterico 

- una  linfopenia,  generalmente caratteristica  di  un'infezione  virale  o di un fattore stressogeno cronico 

- un  aumento  del  rapporto Eterofili/Linfociti,  normalmente associato  ad  un  aumento  cronico  di corticosteroidi  risultante  da  uno stress  che  riduce  il  numero  dei linfociti.  

Quest'ultime  variazioni  della  popolazione cellulare  ematica  sono  da  considerare  una generalizzazione  che  viene  riportata  in 

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bibliografia  e  non  può  certamente  essere presa come regola ma solo come linea guida.  Analizzare  con  un  refrattometro  il  siero ottenuto  dalla  centrifugazione  di  un microematocrito  ci  fornisce  in  maniera veloce, semplice ed economica il valore delle Proteine Totali. Sierando  il  resto  del  campione  possiamo richiedere  un'elettroforesi  per  valutare  il rapporto Albumine/Globuline  e  determinare quale frazione delle globuline sia aumentata. E'  estremamente  importante  che  l'animale abbia raggiunto  la sua temperatura corporea ottimale  per  degli  esami  anticorpali  il  più possibile obiettivi.  In  tutti  i  casi  è  bene  ripetere  un  test sierologico almeno due volte durante  l'anno, prima  di  emettere  una  diagnosi,  poiché  è possibile che un animale risulti negativo solo perché  ha  una  minore  risposta  anticorpale dovuta  alle  conseguenze  di  un  habitat  sub‐ottimale  o,  in  condizioni  naturali,  ad  un cambio stagionale. Nonostante  molte  indagini  diagnostiche finalizzate  in  origine  alla medicina  umana  e alla medicina veterinaria del cane e del gatto stiano  cominciando  ad  essere  utilizzate  in medicina  degli  animali  non  convenzionali, rivelandosi  apparentemente  utili,  è  sempre necessario contestualizzare i risultati ottenuti all'interno  della  particolare  fisiologia  dei nostri pazienti.  Una  relazione  fra  la produzione di melanina ed  il sistema  immunitario non è stata ancora oggetto  di  ricerca  nei  rettili.  Tuttavia  in medicina  umana  ed  in medicina  aviaria  si  è dimostrata  la  riduzione  o  l’incapacità  da parte  dei  neonati  di  ricevere  gli  anticorpi materni  e  produrre  lisosomi  in  seguito all’albinismo.  Bisogna  pertanto  tenerlo  in considerazione quando ci  troviamo di  fronte ai Morph.    INCREMENTARE  LA  RISPOSTA DEL  SISTEMA IMMUNITARIO  

Solo  dopo  aver  fatto  un’attenta  valutazione del  sistema  immunitario  dell’animale possiamo  cercare  di  incrementare  la  sua funzione. Prima  di  somministrare  qualsiasi  sostanza dobbiamo però assicurarci di avere ristabilito un habitat ottimale. Per  correttezza  bibliografica  riporto  alcune sostanze  che  sono  state  suggerite  da  alcuni autori  con  l'intento  di migliorare  la  risposta immunitaria: 

- Propoli ed echinacea (Chitty, 2004) - Vitamina  C  (Zhou  et  al.,  2002  cit.  in 

Calvert, 2004) - Acidi  grassi  polinsaturi  (Booster®) 

(Bankstahl in Exotic DVM 8.5)  - ZYLEXIS  (Paraimmunity  inducer 

costituito  da  poxvirus  attenuato)  la cui  funzione  si  basa  sull'osservazione che “in  seguito all'ectodermia ed alla debolezza  filogenetica  propria dell'immunità adattiva dei   rettili  le loro  difese  si  basano  maggiormente sull'  antica  immunità  non  adattiva  a differenza    di  quanto  avviene  nei vertebrati endotermi ”(Guillette et al., 1995; Warr et al., 1995; Zapata   e Anemya, 2000 cit. in Brames e Mayr) 

 Nello  studio  in  esame  effettuato  su  larga scala  di  provenienza  e  specie  diverse  (493 soggetti),  tutti  i  soggetti  sono  stati  trattati con  tale prodotto e gli autori affermano che hanno  osservato  una  mortalità  ridotta,  un miglioramento  delle  condizioni  generali  di salute  ed  una  cicatrizzazione  più  veloce rispetto  ai  gruppi di  controllo  trattati  con  la stessa  quantità  di  una  soluzione  placebo. Inoltre  affermano  e  documentano  di  non avere  osservato  alcun  effetto  collaterale, proponendo  l'utilizzo  del  prodotto  sia  a scopo preventivo che terapeutico.  Infine  nei  rettili  è  stata  documentata l’esistenza  di  un  fattore  interferone‐simile con azione antivirale (1973 Galabov e Sabov, 1975  Galabov  e  Velichkova,  1981  Galabov, 1982  Mathews  e  Vorndam  cit.  in  Origgi. 

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2007).  In  questi  studi  la  presenza  di  un fattore  interferone‐simile è  stata  individuata in  seguito  ad  infezioni  esogene  con  diversi ceppi  virali;  in presenza di questo  fattore  le cellule si sono mostrate resistenti. Come osservato per l’interferone di tipo I nei mammiferi  e  negli  uccelli,  anche  questo fattore  interferone‐simile nei rettili esplica  la sua azione bloccando sia la sintesi di proteine virali    (traduzione) che  la  replicazione virale.  Inoltre  incrementa  l'espressione  del complesso  maggiore  di  istocompatibilità MHC‐I sulla superficie cellulare, aumentando così  la  presentazione  dei  peptidi  virali  ai linfociti T con attività citotossica. Questi  dati  riservano  future  prospettive nell'uso  dell'interferone  nella  medicina  dei rettili per modulare la risposta immunitaria.  Ad  oggi  tuttavia  gli  unici  mezzi  certi  per incrementare  la  risposta  immunitaria  di  un rettile  immuno‐compromesso  sono  la correzione  dell'  habitat,  l’aumento  della temperatura  pur  mantenendo  un  range all'interno  della  P.O.T.Z.  e  soprattutto l'utilizzo  degli  esami  sopracitati,  in particolare, l'emocromocitometrico completo e  l'elettroforesi,  a  scopo  prognostico  e preventivo.    Bibliografia  1. Bankstahl, “Use of booster in reptiles and 

mammals”. Exotic DVM Magazine 8.5 2. Baines e Brames, “Preventive reptile 

medicine and reptile lighting”. ARAV 2010 Monaco  

3. Brames, “Aspect of light and reptile immunity“. Iguana, vol.14 n°1, 2007 

4. Brames e Baines, "Reptile lighting is a proces not a bulb." Exotic DVM Magazine 9.3 

5. Brames e Mayr, "Safety and effectiveness of paramunization in imported reptiles” 

6. Denardo, “Stress in captive reptiles” in Mader, Reptile Medicine and Surgery 2 ed. Saunders 2006  

7. Deza, Espinel e Beneitez, “A novel IgA‐like immunoglobulin in the reptile Eublepharis 

macularius”. Developmental & Comparative Immunology 2007 

8. Calvert ,“Nutrition” in Girling e Rati, Bsava Manual of Reptiles 2 ed., 2004 

9. Calvert, “Nutritional problems” in Girling e Rati, Bsava Manual of Reptiles 2 ed., 2004 

10. Campbell, “Clinical pathology of reptile” in Mader, Reptile Medicine and Surgery.2 ed. Saunders 2006 

11. Chitty, “Respiratory system,” in Girling e Rati, Bsava Manual of Reptiles 2 ed., 2004 

12. Donoghue, “Nutrition” in Mader, Reptile Medicine and Surgery 2 ed., Saunders 2006  

13. Frencha, Fokidisb e Mooreb, “Variation in stress and innate immunity in the tree lizard (Urosaurus ornatus) across an urban‐rural gradient” J. Comp Physiol B. 2008  

14. Gehrmann, “Artificial lighting” in Mader, Reptile Medicine and Surgery 2 ed., Saunders 2006 

15. Heard, Harr e Wellehan, “Diagnostic sampling and laboratory tests”  in Girling e Rati, Bsava Manual of Reptiles 2 ed., 2004 

16. Lopez e Martin, “Female iberian wall lizard prefer male scents that signal a better cellmediatedimmune response” Biol. Lett. 2005 

17. Mcarthur, Mclellan e Brown, “Gastrointestinal system” in Girling e Rati, Bsava Manual of Reptiles 2 ed., 2004 

18. Mutschmann, “Resistance and immunity” in Snake Disease Preventing and Recognize Disease. Edition Chimaira 2008 

19. Mitchell, “Clinical reptile immunology: antibodies to blood cells” NAVC Conference 2009 

20. O'Malley, “Clinical Anatomy and Physiology of Exotic Species”. Elsevier Saunders 2005 

21. Origgi, “Reptile immunology” in Jacobson, Infectious Disease and Pathology of Reptiles. CRC 2007 

22. Origgi e Paré, “Isolation of phatogens” in Jacobson, Infectious Disease and Pathology of Reptiles. CRC 2007 

23. Raskin, “Reptilian complete blood count” in Fudge, “Laboratory Medicine Avian and Exotic Pets”. Saunders 2000 

24. Redrobe “Reptile infectious disease” in www.redrobe.com 

25. Rosskopf, Jr “Disorders of reptilian leukocytes and erythrocytes” in Fudge, Laboratory Medicine Avian and Exotic Pets”. Saunders 

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2000 26. Silvestre “Parassiti dell'apparato digerente” 

in Malattie dei Rettili. Reptilia Ediciones 2007 27. Stacy e Pessier, “Host response to infectious 

agents and identification of pathogens in tissue section” in Jacobson, Infectious Disease and Pathology of reptiles. CRC 2007 

28. Strik, Alleman e Harr, “Circulating inflammatory cells” in Jacobson, Infectious Disease and Pathology of Reptiles. CRC 2007 

29. Zimmerman, Vogel e Bowden, “Understanding the vertebrate immune system: insights from the reptilian perspective”. The Journal of Experimental Biology 2010 

30. Klimberg, ”Parasites: why bother treating them?” in Understanding Reptile Parasites. The erpetocultural library 2007 

31. Klimberg, ”The effects of parasitism” in Understanding Reptile Parasites”. The Erpetocultural Library 2007 

                             

                       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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UN CASO DI ILEO IN UN IGUANA RINOCERONTE  Simone Agostini, DVM1  1 Ambulatorio Veterinario, San Giorgio in Bosco (PD) 

 L’iguana  rinoceronte  è  un  sauro appartenente  alla  famiglia  degli  Iguanidi originario  dell’isola  di  Haiti,  Puerto  Rico  e isole vicine  il  cui habitat è  rappresentato da paesaggi  secchi  e  sabbiosi  o  da  steppe  di cactus.  E’  una  specie  inclusa  in  appendice  I del C.I.T.E.S.  in quanto altamente minacciata soprattutto  a  causa  della  riduzione  del  suo 

habitat naturale.  Sauro  robusto,  facilmente  distinguibile  da tutte  le  altre  iguane  grazie  alle  tre caratteristiche  protuberanza  coniche  sul muso, maggiormente accentuate sul maschio rispetto  alla  femmina.  Altro  tratto morfologico peculiare e distintivo della specie è  la  presenza,  specialmente  nei  maschi anziani,   di un cuscinetto adiposo a  forma di elmo sulla regione occipitale. Anche in questa specie  è  presente  una  giogaia  ben  evidente ed  una  fila  di  squame  cornee,  più  piccole rispetto  alla  più  nota  Iguana  iguana,  che decorrono  dalla  nuca  fino  a metà  coda.  La coda,  molto  forte  e  robusta,  viene  usata all’occorrenza  come  mezzo  di  difesa  e  di offesa.  Il  termine Cyclura deriva dal  latino e significa  coda  circolare.  Gli  individui  adulti 

sono essenzialmente terrestri anche se è ben noto  che  gli  individui  di  tutte  le  età  sono all’occorrenza  in  grado  di  arrampicarsi.  I maschi raggiungono una dimensione che può arrivare  a  superare  il  mezzo  metro,  coda esclusa;  le  femmine  sono  leggermente  più piccole.  Il  peso  di  un  maschio  può raggiungere  i  10  kg  mentre  una  femmina difficilmente supera  i 5 kg. Per  le aspettative di  vita  possiamo  far  riferimento  ad  un esemplare vissuto in cattività per 20 anni ma prelevato  in  natura  e  quindi  con  una  età complessiva  non  nota.  Il  colore  varia  da  un grigio‐marrone  ad  un  verde‐oliva  fino addirittura  al nero, non hanno  certamente  i 

colori brillanti tipici di altre iguane. Come per le  altre  iguane,  anche  il  genere  Cyclura  è essenzialmente  erbivoro.  Il  mare  non  fa certamente  parte  del  loro  ciclo  vitale ma  le iguane rinoceronti sono all’occorrenza ottime nuotatrici  con  la  capacità  di  resistere  per discreti  periodi  di  tempo  in  acqua  e  si presume  che  questa  capacità  sia  alla  base della  loro  sopravvivenza  a  molti  uragani  e anche alla loro colonizzazione di isole vicine.    Una  stima  ottimistica  degli  esemplari  in natura  sembra  essere  di  circa  17.000 esemplari,  concentrati  sull’isola  nativa  di Hispaniola  dove  esistono  diverse  sub‐

Figura 2 ‐ Areale di distribuzione dell'iguana rinoceronte

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popolazioni,  sull’isola  di  Haiti  e  nella Repubblica di Santo Domingo. L’iguana  rinoceronte  è  un’animale  diurno, attivo  durante  il  giorno.  Come  molti  rettili regola  la  propria  temperatura  con  bagni  di sole  per  riscaldarsi  e  ricercando  zone d’ombra  per  abbassarla. Durante  la  notte  si ripara  in  tronchi d’albero o  in cavità naturali del  terreno  o  delle  rocce.  Questi  territori sono  difesi  strenuamente  dai  maschi  in quanto rappresentano un rifugio anche per le femmine.  L’accoppiamento  avviene  una  sola  volta l’anno.  La  stagione  riproduttiva  inizia solitamente  poco  prima  o  in  concomitanza con  la stagione delle piogge, all’incirca verso aprile  maggio.  Dopo  circa  40  giorni,  verso luglio agosto, le femmine depongono le uova (da 2 a 37  con una media di 17 uova)  in un nido  costituito  da  una  buca  nella  sabbia.  Le femmine sorvegliano  il nido per alcuni giorni dopo la deposizione, le uova schiudono dopo circa 85 giorni. I piccoli sono indipendenti fina dalla  nascita  e  non  ricevono  nessun  tipo  di cure parentali. Caso clinico. Iguana  rinoceronte  femmina di  circa  4  anni, mantenuta  in  cattività  in  un  terrario  di dimensioni  approssimative  di  3mq  con un’altra  femmina delle  stesse dimensioni ed un  maschio  adulto.  Il  fondo  del  terrario  è costituito  da  sabbia  marina  sterilizzata termicamente  con  arredi  forniti  da  rocce  e tronchi.  Temperatura  diurna  nel  punto  più caldo di circa 34° C che scendeva fino a circa 20°  C  in  quello  più  freddo.  Non  veniva eseguita una escursione termica giorno‐notte e  i  raggi  uva‐uvb  venivano  forniti esclusivamente  attraverso  3  lampade TerraSun® UV‐PLUS da 160 Watt posizionate in  prossimità  delle  lampade  ad  infrarossi utilizzate  come  fonte  termica.  Una  piastra riscaldante  era  posizionata  sul  fondo  del terrario  come  ausilio  al  riscaldamento.  Una vasca  di  dimensioni  adeguate  era  posta lontana  dalle  fonti  di  calore  e  regolarmente pulita mentre  il cibo veniva somministrato  in un unico punto una volta al giorno. La dieta 

consisteva  essenzialmente  in  patate  lesse, legumi  lessati misti,  verdura  in  foglia mista, frutta mista,  il tutto  integrato con carbonato di  calcio  in  polvere.  Non  venivano  eseguite altre  integrazioni  minerali  o  vitaminiche. L’esordio della sintomatologia fu, a detta del proprietario,  improvviso  in  quanto  da  un giorno  all’altro mi  riferì  che  la  femmina  era abbattuta,  inappetente  e  veniva  spesso attaccata  dall’altra  femmina  che  la  relegava nell’angolo più freddo del terrario. Alla visita clinica  il  soggetto  si  presentava  in  buono stato  di  nutrizione,  moderatamente disidratato  e  apatico.  La  semplice  visita clinica  non  permetteva  di  evidenziare  altro. Furono  proposti  degli  accertamenti laboratoristici  e  di  diagnostica  per  immagini che però non vennero al momento accettati. Dopo  pochi  giorni,  visto  l’aggravarsi  del quadro  vennero  eseguiti  esami ematobiochimici e radiografie addominali. Le  radiografie  mettevano  in  evidenza  una costipazione a livello del grosso intestino con contenuto  intestinale  radiopaco.  Gli  esami ematobiochimici  confermavano  il  quadro clinico  di  disidratazione  oltre  ad  un significativo aumento del GOT. Veniva  intrapresa  una  gestione  inizialmente medica  con  copertura  antibiotica (enrofloxacina  10  mg/kg  sid  po), reidratazione sottocutanea associata a clisteri e  bagni  in  acqua  tiepida  oltre  ad alimentazione  forzata  con  Oxbow®  Critical Care. Poiché il soggetto non rispondeva alle terapie e il quadro radiografico era inalterato, dopo 7 giorni di gestione medica  si decideva per un approccio  chirurgico.  L’iguana  veniva  sedato con  una  combinazione  di  ketamina  (12,5 mg/kg),  medetomidina  (0,2  mg/kg)  e butorfanolo (1 mg/kg) per via intramuscolare. Una  volta  sedato  veniva  indotto  con isofluorano in maschera al 4% a 2,5 l/min per poi  venire  intubato  e  mantenuto  con  una concentrazione  di  isofluorano  al  2%.  Veniva anche  inserito poco prima della chirurgia un catetere  intraosseo  per  la  fluido  terapia intraoperatoria.  

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Si  procedeva  alla  celiotomia  lungo  la  linea mediana,  identificato  il  tratto  di  intestino costipato  che  risultava essere  il  cieco,  inciso lungo  la parte antimesenterica e svuotato di tutto  il  contenuto  che  appariva  essere  un insieme di  ingesta e sabbia molto compatto. Il  cieco  veniva  lavato,  suturato  con monofilamento  assorbibile  4‐0  con  sutura continua  in monostrato  e  si  procedeva  alla sutura  della  parete  addominale  sempre  con filo  monofilamento  assorbibile  con  sutura continua e della cute con filo non assorbibile a punti staccati estroflettenti ad “U”. Dopo  2  giorni  l’iguana  riprendeva  ad alimentarsi  spontaneamente  ed  il  post operatorio procedeva normalmente per circa 50  giorni.  Dopo  tale  periodo  il  soggetto iniziava a presentare una anomala posizione degli arti anteriori.  In particolare presentava una ventroflessione dell’articolazione carpica con  appoggio  al  suolo  della  parte  dorsale delle zampe anteriori. Tale appoggio alterato si presentava prima monolateralmente ed  in modo  intermittente  per  poi  coinvolgere entrambi gli arti in modo permanete. Lo state generale  dell’animale  per  il  resto  era  nella norma  e  le  radiografie  agli  arti  non evidenziarono nessuna  anomalia.  Il  soggetto continuava ad alimentarsi  regolarmente e  le grandi funzioni organiche erano nella norma. Tale  vizio  posturale  non  si  è mai  risolto  e  il soggetto è poi deceduto a distanza di circa 6 mesi dall’intervento. L’autopsia eseguita non ha  evidenziato  lesioni  macroscopiche  di nessun  tipo  ed  i  proprietari  non  hanno acconsentito  ad  ulteriori  accertamenti  ed approfondimenti post‐mortem.             

                                             

 

 

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GESTIONE DEI LORI E LORICHETTI  Fabio Pelicella,  DVM  1 Medico  Veterinario  Libero  Professionista,  Colleferro (Roma)   GENERALITA’  I lori e lorichetti sono pappagalli provenienti dal sud est asiatico e differiscono dai comuni pappagalli che siamo abituati a vedere. Sono numericamente meno comuni in ambito domestico rispetto agli altri pappagalli, dal momento che il loro metabolismo è totalmente differente dai loro consimili: molte persone li acquistano come pet o ne tentano l’allevamento senza essere bene a conoscenza delle loro molte peculiarità. Da un punto di vista tassonomico sono inclusi nel genere “Psittaciformes” che racchiude la famiglia Cacatuidae e Psittacidae. Quest’ultima comprende le sottofamiglie Psittacinae e Loriinae, formata da 53 specie di lori e lorichetti divisi in 12 generi. La differenza fra lori e lorichetti non è sempre chiara e in qualche modo soggettiva, si tende ad usare il termine lorichetto per le specie a coda lunga ed appuntita e il termine lori per quelle a coda più corta e smussa.  Gran parte di queste specie sono commerciabili , altre sono superprotette e sono poco  allevate in cattività. La maggior parte delle specie ha colori sgargianti evidenziati dai raggi diretti del sole. Le dimensioni vanno dai  12 ai 42 centimetri ed il peso è compreso tra i pochi grammi del lorichetto di Arfak (Oreopsittacus arfaki) ai 500 grammi dei “Lorius”.Sono distribuiti nel sud est asiatico ed hanno colonizzato l’arcipelago indonesiano, la Micronesia fino alla Nuova Zelanda ed isole vicine. Sono stati studiati solo recentemente (anni ’70) ed alcune specie sono state scoperte da appena 40 anni perché diffuse su isolette inaccessibili per motivi geografici o politici.  

Sono in prevalenza inclusi nell’allegato ‘B’ della CITES ma molte specie rischiano l’estinzione e sono collocate nell’allegato ‘A’ per cui la loro detenzione e riproduzione in cattività è controllata  dal Corpo Forestale dello Stato. Molti di loro essendo specie endemiche di remote isole dell’Oceano Pacifico ed essendo  altamente specializzati in quel contesto ambientale, hanno subito fortemente l’antropizzazione con un rapido declino numerico nell’ultimo decennio. La deforestazione, il bracconaggio e l’introduzione accidentale di specie alloctone come i gatti ma soprattutto topi e ratti, hanno decimato le popolazioni di lori: la predazione di uova e “pulli” da parte dei ratti sembra essere il peggior problema. Sono in corso  dei programmi internazionali di recupero e di sensibilizzazione della popolazione locale che sembrano dare buoni risultati. Il commercio di tali uccelli è stato sconsiderato negli anni ’80 e ’90 e l’Europa ha avuto grande incidenza nel depauperamento ornitologico locale.    ALIMENTAZIONE  Inizialmente la non conoscenza delle abitudini alimentari ha condizionato la sopravvivenza dei soggetti appena importati ma le innumerevoli prove ed errori hanno migliorato le conoscenze alimentari fino alla realizzazione di una miscela di mantenimento che ora viene comunemente commercializzata sotto diversi marchi nei negozi specializzati. In natura mangiano frutti maturi , germogli, vegetali, nettare, fiori ed  insetti  e la dieta captiva deve esaudire tali esigenze. Diversi allevatori utilizzano diete casalinghe a base di farina di avena, polline di api, miele,  proteine animali, polivitaminici, minerali, finemente triturati insieme e somministrati in forma liquida. Fra le diete commerciali, quelle di origine tedesca ed olandese sono attualmente le migliori. Esistono anche estrusi policromi di piccola 

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sezione che vengono usati per lori del genere Trichoglossus e Lorius ma non sempre soddisfano le necessità alimentari degli stessi. Non infrequenti sono gli improvvisi decessi che gli allevatori accusano dopo la somministrazione prolungata di diete secche od a base di estrusi. All’esame istologico emergono gravi quadri degenerativi renali. Alla alimentazione di base deve essere aggiunta la frutta e la verdura come integrazione quotidiana. L’aumento di proteine animali (attraverso tarme della farina) associata a condizioni ottimali di luce e calore favorisce la libido e la riproduzione. La somministrazione di semi di girasole e di miscele per pappagalli consente la sopravvivenza delle specie più robuste come il genere Lorius, Trichoglossus ed Eos ma ne mina la funzionalità epatica,  favorendo forme croniche di epatosi ed epatiti alla fine letali. I generi Charmosyna, Oreopsittacus e Vini sono altamente specializzati e la struttura anatomica del becco è più minuta e presenta una minore capacità di compressione e triturazione del cibo: essi sono, pertanto, incapaci di aprire semi o mangiare frutti duri e devono essere alimentati con miscele in polvere con minima granulometria. In queste specie la miscela deve essere meno proteica e più ricca di glucosio. Gli zuccheri digeribili sono il fruttosio e glucosio ma sembra ormai assodato che il saccarosio sia controindicato perché substrato favorente la crescita di clostridi. Le proteine animali sono indispensabili per un corretto metabolismo ed una altrettanto giusta crescita. Non devono superare il 12 %. I grassi non devono superare il 3 % della sostanza secca. La vitamina A gioca un ruolo fondamentale negli uccelli perché  ha una azione antiossidante per le  membrane cellulari, favorisce l’embriogenesi e protegge le cellule epiteliali. Nei lori  se viene somministrata in eccesso e se si associa ad una carenza di vitamine E comporta alti tassi di infertilità, 

diminuzione delle schiuse e natimortalità dei pulli. I minerali più importanti sono il calcio ed il manganese. I lori , essendo animali molto attivi e fondamentalmente ipercinetici consumano grandi quantità di calcio. Ricordo che il calcio partecipa nei processi di coagulazione, nella contrazione muscolare, nella deposizione;  gioca un duplice ruolo: regola l’accrescimento scheletrico ed alcuni processi metabolici nell’organismo  attraverso l’efficiente meccanismo di regolazione dell’omeostasi dei fluidi extracellulari. Il calcio è regolato dal paratormone, dai metaboliti della vitamina D3 e dalla calcitonina ma sembra che estrogeni e prostaglandine giochino un ruolo predominante negli uccelli.    RIPRODUZIONE  Le temperature miti favoriscono i cicli riproduttivi e per talune specie il clima italiano ne consente il prolungamento durante tutto l’anno per cui possono essere definiti poliestrali.  I nidi sono semplici, con foro di ingresso abbastanza ampio ed un substrato interno di trucioli di legno. Le covate sono composte di due uova (eccezionalmente di tre o quattro uova del Trichoglossus euteles). La cova varia dai 23 ai 26 giorni.  I piccoli richiedono circa 40 giorni per poter uscire dal nido ma devono rimanere coi genitori almeno altre due settimane perché ancora incapaci di nutrirsi e di volare con precisione sui posatoi.  Un comportamento ancora non compreso appieno è la deplumazione attuata dai genitori nei confronti dei piccoli. Sembra una carenza minerale ed amminoacidica che ancora non trova soluzione. I follicoli plumiferi non vengono danneggiati nella fase iniziale dai genitori ma se tale spiumamento persiste e se diventa più aggressivo può provocare una displasia plumifera  o addirittura alopecia permanente. 

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La fase più critica per i piccoli è la schiusa ed i giorni successivi al  quinto, allorquando la mamma lascia il nido preoccupandosi solamente di nutrire i piccoli e limitando il riscaldamento alle sole ore notturne. Questo comportamento, naturale in molte specie provenienti da climi tropicali, può determinare la morte dei pulli ai nostri climi temperati: a ciò si può ovviare con uno “scaldanido”, ovvero un dispositivo elettrico reperibile nei negozi specializzati da applicare sul fondo del giaciglio.  L’allevamento artificiale è molto semplice in quanto i lori  hanno una innata predisposizione ad essere imbeccati . La maturità sessuale avviene dopo il primo anno di vita per le specie più piccole (genere Charmosyna, Oreopsittacus, Neopsittacus) fino ai quattro‐cinque anni delle specie maggiori (Lorius, Eos). La vita media si aggira sui 10‐25 anni (maggiore è la taglia maggiore è la longevità).   In sintesi il benessere in cattività di queste specie dipende da:  

‐ somministrazione quotidiana di alimento fresco in ciotole di acciaio (pena l’insorgenza di gravi batteriosi ed infezioni micotiche, candida ed aspergilli;)  

‐ sempre cibo a disposizione soprattutto nei mesi invernali dato l’elevato metabolismo;    

‐ voliere sospese per facilitare le operazioni di pulizia (a causa della loro dieta producono grandi quantità di feci semiliquide che sporcano moltissimo);  

‐ spazio vitale ed arricchimento ambientale (pena la noia e la plumofagia fino all’automutilazione ); 

‐ rispetto della territorialità (monogamia stretta).  

‐ controllo sanitario ed epidemiologico su altre specie eventualmente ospitate in vicinanza con i lori  (sono suscettibili ma resistenti alla PBFD; alta morbilità ed alta mortalità nei giovani allevati allo stecco; il Polyoma crea problemi; la Clamidia non sembra destare problemi nei lori di grossa taglia mentre induce mortalità anche se modesta nelle piccole taglie). 

                            

 

 

  

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GESTIONE DEI GECHI IN CATTIVITA’  Tommaso Giorgi, DVM 1  1 Clinica Veterinaria per Animali Esotici,CVS Roma   L’osservazione attenta di un geco, anche se di una  specie  sconosciuta o proveniente da un areale  sconosciuto,  ci  permette  di  capire quali posso essere le sue abitudini di vita e  di come  ne  vada  impostato  l’allevamento. Vediamo allora di conoscere più da vicino  le strutture  anatomiche  che  caratterizzano  i gechi.  Cute La funzione principale della cute di un geco è proteggerlo  dall'ambiente  esterno.  Oltre  a rappresentare  una  barriera  meccanica,  la cute  è  soprattutto  una  protezione  contro acqua  e  perdita  di  calore.    La  costituzione della pelle è uguale in tutti i rettili, e consiste di  tre  strati.  Lo  strato  più  esterno  è l'epidermide,  e  rappresenta  l'effettiva protezione  dall'ambiente.  È  formato  da strutture  cornee,  le  squame  che  possono essere sovrapposte tra loro (embricate)  e da scudi,  giustapposti  ,  che  in  base  alla  forma possono chiamarsi spine, tubercoli e placche. Come  risultato  della  costante  divisione cellulare  degli  strati  più  profondi,  nuove cellule  vengono  spinte  verso  l'esterno. Queste  cellule  contengono  cheratina  che causa  la  formazione dello strato corneo, che non  cresce  contemporaneamente  con l'animale,  ma  viene  rinnovato  con  la  muta periodica.  I  giovani  animali  mutano  più frequentemente  degli  adulti  perché generalmente il ritmo di crescita è maggiore. La prima muta avviene subito dopo la nascita. I  segnali che  la muta è  imminente  sono dati dal  fatto  che  la  cute  diventa  più  chiara  e  i colori  meno  vivaci.  Inizia  solitamente  dal muso, ma a differenza di quanto avviene nei serpenti, solo in pochi animali viene eliminata interamente, generalmente viene eliminata a pezzi,  utilizzando  bocca  e  zampe  per strapparla via. Inoltre, quasi in tutte le specie 

la  vecchia muta  viene mangiata.  Al  di  sotto dell'epidermide,  troviamo  il  derma, altamente  vascolarizzato,  contiene  tessuto connettivo, rigide placche ossificate chiamate osteodermi  e  cellule  pigmentate.  In particolare,  la  concentrazione  dei  pigmenti all'interno  di  queste  cellule  può  cambiare sulla  base  della  stimolazione  nervosa  e/o ormonale. Il terzo strato è  il più profondo ed è  chiamato  sottocute  e  connette  la  cute  ai muscoli  sottostanti.  La  cute  dei  gechi  è  del tutto  priva  di  ghiandole,  fanno  eccezione alcune  specie  del  genere  Diplodactylus  e Eurodactylus  per  la  presenza  di  alcune ghiandole  presenti  sulla  coda,  in  grado  di secernere    sostanze maleodoranti  in  caso di aggressione.   Colorazione Quasi tutti i gechi sono in grado di schiarire o scurire  la  loro  colorazione  di  base.  Questa capacità  è  principalmente  dovuta  al passaggio  della  melanina  all'interno  dei melanofori.  Se  la  melanina,  infatti,  è localizzata alla base dei melanofori gli animali sono più chiari, mentre quando la melanina si sposta  all'apice  della  cellula,  l'animale diventa  più  scuro.  Questa  capacità  di modificare la colorazione ha diverse funzioni. Consente  agli  animali  di  assorbire  più efficacemente  i  raggi  solari,  di  camuffarsi meglio  con  l'ambiente  circostante,  come mezzo  di  comunicazione  tra  i  conspecifici  e allo  stesso  tempo  rappresenta  anche un'indicazione del temperamento e della loro condizione di salute.   Il piede del geco La  più  ovvia  e  impressionante  caratteristica della maggior  parte  dei  gechi  non  è  solo  la l'abilità di arrampicare su parete verticali e o sui soffitti ma anche la velocità con la quale si spostano su queste superfici. Il loro segreto è dovuto  alla  particolare  struttura  che caratterizza  le  loro  dita.  Le  loro  dita  sono caratterizzate  dalla  presenza  di  “cuscinetti” che  sono  costituiti  da  una  serie  di  lamelle orizzontali.  Ciascuna  lamella  contiene 

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migliaia  di  piccole  strutture  simili  a  capelli chiamate  setae.  A  loro  volta,  ogni  seta  si divide in centinaia di microscopiche strutture chiamate spatulae. (0.2µm). Ciascuna spatula è  perpendicolare  all'asse  longitudinale  del dito  ed  è  in  grado  inserirsi nelle più piccole irregolarità  delle  superfici,  creando  delle deboli  forze  di  attrazione  (forze  di  van  der Walls).  Durante  il  movimento  del  geco dunque,  esistono  tre  frasi  al  livello microscopico.  La  prima  in  cui  l'animale applica una forza sulla superficie sottostante. In  questo modo  le  spatulae  aderiscono  alle superfici mediante le forze di van der Walls e assumono una conformazione ad S flettendo verso  la  radice  del  dito.  Poiché  le  lamelle sono  uniformemente  direzionate,  l'animale non  è  in  grado  di  resistere  a  forze  con differenti  direzioni.  In  questo  modo  un impercettibile  movimento  di  sollevamento del  dito  a  partire  dalla  parte  anteriore determina  l'interruzione  delle  forze molecolari  e  il  rilascio  delle  spatulae  che tornano  nella  posizione  di  riposo.  Questa capacità del geco è già presente nei neonati che però all'interno del guscio hanno  i piedi ricoperti  da  uno  spesso  strato  di  cute  che impedisce  l'adesione  delle  dita  alla  parete dell'uovo.  Solo  dopo  la  nascita  i  neonati mutano  acquisendo  a  pieno  la  capacità  di arrampicarsi su qualunque superficie. Inoltre, c'è  da  aggiungere,  che  questa  capacità  è maggiore  appena  dopo  la  muta  e  tende  a ridursi  con  il  tempo  mano  a  mano  che  si avvicina  la  successiva.  Questo  concetto  è importante  da  considerare  perché  i  gechi rimuovono attivamente  i  frammenti di muta dai piedi per mantenere efficiente  il delicato sistema del piede. Ogni causa che determina la  presenza  di  residui  di muta  sulle  dita  va attentamente  presa  in  considerazione  per una buona gestione del geco.  La coda dei gechi: forme varie e autotomia La  coda  dei  gechi  ha  un'ampia  varietà  di forme  e  di  funzioni.  Soffermandoci  sulla forma, nella maggior parte dei casi, la coda è semplicemente  allungata,  rotonda  e 

affusolati; in altri può essere molto corta e in altri ancora una  forma conica. Ci  sono gechi come  il  genere Nephrurus  che  ha  una  coda con  una  forma  conica  che  termina  con  un rigonfiamento bottoniforme, o  in  alcuni  casi come il genere Uroplatus la coda ricorda una foglia. A questa straordinaria varietà di forme è  spesso  associata  una  varietà  di  funzioni. Una  delle  principali  funzioni  è  la  semplice coordinazione  dei  movimenti;  quando l'animale cammina, si arrampica o durante un salto. Addirittura  in  alcune  specie  la  coda  è un  organo  di  ancoraggio  e  alla  punta  della coda  si  osservano  strutture  simili  a  quelle osservate nelle dita. Anche  se generalmente sono  strutture  poco  funzionali,  che  servono principalmente per tenere la coda orizzontale e  parallela  al  corpo  mentre  il  geco  sta scalando  una  parete  verticale.  I  movimenti della coda sono altrettanto  importanti come mezzi  di  comunicazione,  soprattutto  nei rituali  dell’accoppiamento.  Lo  coda ovviamente  assume  un  ruolo  fondamentale come  riserva  di  cibo  soprattutto  in  quelle specie  che  vivono  in  aeree  climatiche estreme. I gechi infatti in condizioni di freddo o  caldo  estremo  possono  sopperire  alla mancata  assunzione  di  cibo  grazie  al  grasso immagazzinato  nella  coda.  Non  è  una  caso che  molti  gechi  provenienti  dalle  aeree deserticole  hanno  spesso  una  coda  molto voluminosa.  Talvolta,  la  coda  diventa  un importante  sistema  di  mimetizzazione.  La coda  in  alcune  specie  come  l’Uroplatus fimbriatus  diventa  altamente  specializzata nel  camuffare  il  geco  con  l’ambiente circostante.  Infine,  in  tutte  le  specie ha una funzione  di  difesa.  Attraverso  l’autotomia permette al geco scappare e di sfuggire ad un predatore. Purtroppo non in tutte le specie la coda  ha  le  stesse  capacità  di  rigenerazione; nei Rachodactylus ad esempio purtroppo non c’è  ricrescita,  e  sia  in  natura  che  in  terrario spesso si osservano gechi privi di coda.   L’occhio  L’occhio  è  ovviamente  il  più  importante organo  sensoriale dei  gechi e permette  loro 

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di  orientarsi  nell’ambiente  e  soprattutto  di procurarsi  il  cibo.  La  struttura  che  subisce maggiori  variazioni  fra  le diverse  specie è  la pupilla.  Nelle  specie  notturne  è  ellittica  e verticale  mentre  le  pupille  rotonde  si riscontrano  nelle  specie  diurne.  Dunque,  la struttura dell’occhio  ci da un’idea dello  stile di  vita  di  un  geco.  Fanno  eccezione  alcune specie  che  solo  recentemente  dal  punto  di vista evoluzionistico  si  sono adattate ad una vita diurna, pertanto presentano ancora una pupilla ellittica pur avendo abitudini diurne, è il  caso  del  Ptyodactylus  hasselquistii.  La differenza  è  anche  strutturale  ed  è  dovuta alla  presenza  di  bastoncelli,  nelle  specie prettamente  notturne  e  la  presenza  di  coni nei gechi diurni. Un’ulteriore differenza  la  si nota  anche  nel  modo  di  predare,  infatti, mentre  i  gechi  diurni  sono  in  grado  di riconoscere e catturare una preda immobile, i notturni  riconoscono  il  movimento  della preda e aspettano il suo movimento prima di catturarla. Un’altra differenza che esiste fra  i gechi, è  la struttura delle palpebre. Mentre  i membri  appartenenti  alla  famiglia  dei Eublepharidae sono palpebrati come nel caso dei gechi  leopardini, tutti gli altri  le palpebre fuse a formare un’unica struttura trasparente chiamata  occhiale.  I  gechi,  infine,  hanno  un rudimentale  terzo  occhio  che  coordina l’attività con le condizioni di luce.  Vocalizzazione Una caratteristica unica nel mondo dei rettili è  la capacità dei gechi di vocalizzare. Questa caratteristica  non  è  ben  sviluppata  come negli  altri  vertebrati  o  come  negli  uccelli, tuttavia può essere comparata alla  loro. Non tutti  i gechi  sono  in grado di produrre  suoni come per esempio l’intera sottofamiglia degli Sphaerodactylinae.  Il  suono  è  prodotto  dai polmoni e dalla  laringe  che  in  alcune  specie creano  una  vera  e  propria  voce.  Nella maggior  parte  delle  specie  la  voce  è monosillabica  ma  ci  sono  specie  che emettono suoni con diverse sillabi. Una delle più note e famose vocalizzazioni è quella del geco  Tokay  in  grado  di  emettere  un  suono, 

“to‐kay”  appunto,  dal  quale  deriva  anche  il suo nome  comune.  Le vocalizzazioni variano molto,  sono  state  descritte  come   un cinguettio,  come  un  gracchiare,  come  un sibilo  o  come  un  abbaio.  Alcuni  dei  più sorprendenti  suoni  appartengono  al Cyrtodactylus  peguensis  che  ricorda vagamente un  canarino e alla vocalizzazione di  difesa  dell’Uroplatus  fimbriatus,  il  cui suono é  udibile anche attraverso  le pareti di una  stanza.   Un  modo  del  tutto  unico  nel modo  di  produrre  suoni  appartiene  al Teratoscincus  scincus  quando  viene molestato.   Infatti,  strofinando  le  proprie squame, le une contro le altre, crea un suono molto  simile  a quello dei  serpenti  a  sonagli. Le  funzioni  delle  vocalizzazioni  sono molteplici. In primo luogo, il principale mezzo di comunicazione fra conspecifici. Secondo,  i gechi notturni utilizzano  le vocalizzazioni per localizzare  membri  della  stessa  specie, soprattutto nel periodo degli accoppiamenti, mentre  i  diurni  hanno  solo  sistemi rudimentali  di  vocalizzazioni  come  i Lygodactylus  In terzo luogo, le vocalizzazioni rappresentano un sistema di difesa.    Ghiandole endolinfatiche  La  funzione  di  queste  ghiandole  è  stata  a lungo  discussa,  tuttavia  la  teoria  più accreditata è  che queste  fungano da  riserva di  calcio  per  la  formazione  delle  uova. Usando  Phelsuma  dubia,    Osadnik  riuscì  a determinare  che  la  quantità  di  calcio immagazzinata  era  significativamente diminuita  tra  l’undicesimo  e  il  sedicesimo giorno  di  gravidanza. Mentre  dopo  l’ultima deposizione,  e mentre  altre  uova  si  stavano formando,  le  sacche  delle  femmine  di Phelsuma dubia si riempirono nuovamente di calcio.  Questo meccanismo  previene  che  la femmina  soffra  carenze  di  calcio  durante  la gravidanza  e  garantisce  il  giusto  grado  di calcificazione  delle  uova.  Anche  nei  neonati queste  ghiandole  sono  ricche  di  calcio  e garantiscono  il  giusto  accrescimento  delle ossa. É importante tenere in considerazione il fatto che senza una giusta gestione dei gechi 

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e  con  un’alimentazione  sbilanciata, specialmente un’ eccessiva somministrazione di  calcio  e  vitamina  D3,  queste  ghiandole possono soffrire di un eccessivo accumulo di calcio,  che  indurisce  notevolmente  al  loro interno.   L’olfatto   Il  naso  oltre  ad  essere  impiegato  nella respirazone  è  un’importante  organo sensoriale  che  grazie  alla  presenza  di chemocettori all’interno delle narici consente al  geco  di  percepire  gli  odori.  A  questo sistema,  si  aggiunge  il  più  raffinato  e complesso  organo  di  Jacobson.  L’organo  di Jacboson  è  coadiuvato dalla  lingua,  la quale pur non essendo veloce e accurata come nei serpenti o nei varani, è   comunque  in grado di  portare  particelle  olfattive  all’organo  di Jacobson.  In  particolare,  la  lingua  viene continuamente  estroflessa  per  il riconoscimento  dell’altro  sesso  durante  i rituali di accoppiamento o per  localizzare un luogo adatto per la deposizione.   Termoregolazione I  gechi  come  tutti  i  rettili  sono  animali poichilotermi  e  il  mantenimento  della temperatura  corporea  dipende  dalle condizioni ambientali. Siccome solo  in poche aree del mondo le condizioni ambientali sono favorevoli alla sopravvivenza dei gechi, questi rettili  hanno  sviluppato  una  serie  di meccanismi  che consentono  loro di  regolare la  temperatura  corporea.  Uno  dei  primi sistemi che i gechi adottano per modificare la propria  temperatura  corporea  è  quello  di cambiare  colore,  diventando  più  o  meno scuri  a  seconda  di  quanto  calore  hanno bisogno  di  attrarre. Questo  comportamento lo si osserva sia nelle specie diurne che nelle specie  notturne.  Infatti  non  è  raro  vedere gechi  crogiolarsi  al  sole  durante  periodi freddi  ma  assolati    o  in  estate  nelle  zone temperate;  così  come  nelle  zone  tropicali capita di osservare gechi che nelle prime ore della  sera  prendono  gli  ultimi  raggi  solari prima  dell'inizio  della  notte.  Altre  specie 

notturne invece sfruttano il calore delle rocce che si è accumulato durante l'intera giornata. Quando  invece,  la  temperatura  esterna  è troppo alta,  i gechi solitamente preferiscono rintanarsi  nei  loro  nascondigli  all'interno  di rocce, del terreno o in luoghi dove comunque la  temperatura  è  più  fredda.  Questi comportamenti sono sicuramente più difficili da  osservare  in  terrario  perché  la temperatura  rimane  piuttosto  costante. Tuttavia  nel  terrario,  i  gechi  in  caso  di temperatura  troppo  alta  o  si  spostano  nella zona  più  fredda  o  respirano  a  bocca  aperta per  favorire  la  dispersione  di  calore.  Un ultimo  sistema  che  i  gechi  delle  zone temperate adottano nei periodi  invernali è  il letargo.  Si  osserva    una  riduzione  di qualunque attività come ricerca del cibo e dei comportamenti  riproduttivi. Condizioni  simili si notano anche nei gechi che vivono  in aree tropicali  in  particolari  periodi  dell'anno (stagione  secca)  Questi  aspetti  sono importanti da tenere in considerazione anche nella vita  in cattività,  soprattutto  se  si vuole tentare la riproduzione.   RIPRODUZIONE  Determinazione del Sesso Un  importante  prerequisito  per  la riproduzione è ovviamente  il  riconoscimento dei sessi. Esistono diversi aspetti da tenere in considerazione per la distinzione dei sessi fra i  gechi.  Il  primo  aspetto  che  differenzia  i maschi  dalle  femmine  è  la  presenza  di  due rigonfiamenti globosi alla base della coda che non sono altro che gli emipeni  . Gli emipeni, infatti,  che  sono  gli  organi  copulatori  dei maschi, in condizioni di riposo sono alloggiati all’interno  di  due  “tasche”  poste  alla  base della  coda.  Sfortunatamente  mentre  in alcune  specie  come  nel  geco  leopardiano  o nei  Rachodactylus  gli  emipeni  sono facilmente visibili dall’esterno,  in altre specie non  ci  permettono  la  distinzione  fra  il maschio  e  la  femmina,  come  nel  caso  dei gechi  Tokay.  Pertanto,  si  può  ricorrere 

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all’osservazione  dei  pori  pre‐cloacali  e  dei tubercoli  post‐anali.  I  pori  pre‐cloacali  sono situati  cranialmente  alla  cloaca  e generalmente  hanno  una  forma  a  V rovesciata.  Sono  molto  più  marcati  nei maschi,  i  quali  strofinano  i  pori  ricoperti  di cera  contro  il  suolo e oggetti per marcare  il territorio.  I  tubercoli  post‐anali,  allo  stesso modo  sono molto più  sviluppati nei maschi. Queste  strutture  sono  probabilmente utilizzate  per  l’accoppiamento,  i  maschi durante  la  copula  nello  strusciarsi  con  la femmina agganciano  lateralmente  i tubercoli alla cloaca della femmina, così che la trazione che si viene a creare favorisca l’estroflessione dell’emipene. Altre  forme di differenziazione si  basano  sull’osservazione  della  testa  e  dei colori.  La  testa  nei  maschi  è  generalmente più massiccia e robusta alla base, soprattutto se si comparano individui di taglia simile. Per ciò che riguarda  i colori,  il discorso si applica generalmente ai gechi diurni ed in particolare ai  gechi  che  appartengono  ai  generi  Gonatodes,  Lygodactylus  e  Quendenfeldtia. In  queste  specie  i maschi  hanno  colorazioni molto  più  brillanti  e  colorati  delle  femmine, in particolare nella regione della testa. Anche fra alcune specie di Phelsuma,  i maschi sono facilmente distinguibili  dalle  femmine  per  la vivacità dei loro colori. Un'altra tecnica per la determinazione  del  sesso  potrebbe  essere anche  un  delicato massaggio  degli  emipeni, fino a che non vengono estroflessi così come nei serpenti.   Ciclazione stagionale  Un  fattore  molto  importante  per  avere successo  nella  riproduzione  in  cattività  è  il rispetto  del  normale  ciclo  stagionale  che  i gechi  fanno  in  natura.  Il  più  importante parametro da rispettare è la variazione ciclica della  temperatura. Come per  tutti  i  rettili  la variazione  annuale  delle  temperature  crea una  modificazione  del  metabolismo  e un'attivazione  del  sistema  nervoso,  che  da origine  al  ciclo  riproduttivo.  Come  per  la temperatura  anche  il  ciclo  giorno‐notte  e  la lunghezza  del  giorno  sono  fattori 

determinanti.  Infatti  nel  periodo  pre‐riproduttivo sia  la temperatura che  la durata delle  ore  di  luce  andrebbero progressivamente  diminuite  fino  al raggiungimento  della  temperatura  di  brum azione,  tipica  per  una  data  specie. Generalmente si dovrà imporre una graduale diminuzione  delle  temperature  diurne  e notturne  e delle ore di  luce, passando dalle 12  ore  di  luce  estive  alle  8  invernali  da temperature estive  (variabili a seconda della specie) a  temperature  invernali che possono scendere  anche  intorno  agli  8‐10°C.  Questa progressione  generalmente  richiede  circa due  settimane  e  lo  stesso  vale  per  il progressivo  ritorno  alle  temperature  estive; mentre  la  brumazione  può  durare  da  un minimo di quattro settimane ad un massimo di  qualche  mese.    Questo  discorso  vale soprattutto  per  quelle  specie  che  vivono  in aeree  lontane  dall'equatore  e  dove  la temperatura  subisce  variazioni  stagionali.  Le specie  tropicali  sono  molto  sensibili  anche alla  variazione  dell'umidità  e  delle precipitazioni  stagionali.  A  queste  variazioni ambientali devono ovviamente corrispondere anche  variazioni  nella  quantità  di  cibo somministrata.  Nel  periodo  caldo  o  delle “piogge” il cibo deve essere somministrato in abbondanza  rispecchiando  così  le  condizioni naturali,  mentre  durante  il  periodo  di brumazione  o  “secco”  il  cibo  deve  essere nullo.  Addirittura  una  settimana  prima  che inizi  il  periodo  di  brum  azione, l’alimentazione deve essere sospesa in modo da  scongiurare  che  cibo  e  feci  rimaste nell’apparato gastro‐enterico possano andare incontro  a  fenomeni  di  putrefazione provocando la morte dell’animale.   Comportamento riproduttivo La  maturità  sessuale  sotto  condizioni favorevoli  varia  tra  le  specie dai  6 mesi  agli almeno 5 anni del Rachodactylus  leachianus. Questo  è  un  importante  aspetto  da considerare  quando  si  vuole  creare  una coppia.  Per  evitare  infatti  risultati  scarsi  o problemi  agli  animali  è  sempre  consigliabile 

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conoscere  le  caratteristiche  di  ciascuna specie.  Utilizzando  maschi  troppo  giovani infatti si possono avere problemi di infertilità o  prolasso  del  pene,  mentre  utilizzando femmine  troppo  giovani  si  possono  avere problemi di distocia, produzione di uova poco calcificate  e  una  riduzione  della  vita riproduttiva.  La  maggior  parte  delle osservazione  descritte  sui  comportamenti riproduttivi dei gechi è basata per lo più sullo studio dei gechi diurni. Tuttavia  la differenza principale  sta  nel  fatto  che  i  gechi  diurni attirano la femmina contando principalmente su  colori  sgargianti,  mentre  i  notturni sull'utilizzo del  richiamo o mediante  l'olfatto o  su  una  maggiore  mobilità  degli  animali durante  il  periodo  degli  accoppiamenti. Generalmente una volta stabilito un contatto visivo  il  comportamento  dei  gechi  notturni segue  il  modello  dei  diurni.  Il  maschio approccia la femmina con movimenti a scatto e oscillatori  laterali del corpo e della testa, e mostrandosi  o  più  grande,  appiattendo  le coste  (soprattutto  gechi  arboricoli)  o vibrando  la  coda,  facendola  tamburellare  al suolo  e  inarcando  la  schiena contemporaneamente.  Se  la  femmina non è pronta  all'accoppiamento  rifiuta  il  maschio muovendo la testa in maniera frenetica o con pseudo‐attacchi.  In  natura  questi atteggiamenti  della  femmina  scoraggiano  il maschio  dopo  pochi  tentavi  falliti.  Nel terrario  dove  lo  spazio  è  limitato  e  la femmina  non  può  sfuggire  alla  vista  del maschio,  i  continui  approcci  del  maschio possono portare ad un vero e proprio scontro fisico.  Lo  stesso  comportamento  può  essere anche  più  esasperato  quando  la  femmina  è gravida.  In  entrambi  i  casi  il  consiglio  è sempre quello di  tenere  separati  i maschi al fine  di  evitare  gravi  conseguenze  sia  per  il maschio che per  la  femmina. Quando  invece la  femmina  è  recettiva,  non  mostra  alcun segno  di  aggressività  o  di  difesa.  Il maschio comincia a  toccarla alla base della coda, poi la  morde  e  successivamente  avviene l'accoppiamento  vero  e  proprio,  che  può durare  fino  a  30 minuti.  C’è  da  aggiungere 

che  in  alcune  specie  come  Hemidactylus garnotii  e  Lepidodactylus  lugubris,  la popolazione  è  costituita  essenzialmente  da femmine e la loro riproduzione avviene senza accoppiamento, ma attraverso un  fenomeno conosciuto con il nome di partenogenesi.   Gravidanza e ritenzione spermatica La  durata media  della  gestazione,  nei  gechi ovipari,  dura  in media  dalle  due  alle  cinque settimane  e  la  femmina  depone  una  o  due uova  per  covata  ad  intervalli  regolari  (2‐4 settimane).    Generalmente  depongono  due uova  alla  volta,  ad  eccezione  dei Sphaerodactylinae  che  depongono  un  uovo alla  volta,  a  distanza  di  4  settimane  di distanza  fra  ciascuna  deposizione.    Data  la difficoltà  a  trovare  un  maschio  adatto  in natura,  le  femmine  hanno  sviluppato  la capacità  di  ritenere  lo  sperma  nell'ovidutto per un breve periodo di tempo. Lo sperma è conservato  in  una  struttura  chiamata receptaculum  seminis  una  ghiandola  lunga, tubulare  e  ramificata  che  giace  vicino  alla ghiandola  del  guscio  nell'ovidutto.  Grazie  a questo  sistema  le  femmine  sono  in grado di deporre  diversi  gruppi  di  uova  anche  dopo solo  un  accoppiamento.  Durante  la gravidanza  le  femmine  diventano generalmente  più  aggressive  sia  verso  il maschio che verso altre  femmine e sono più suscettibili  allo  stress,  per  tanto  in  questo periodo,  diventa  importante  disturbare  gli animali  il  meno  possibile.  É  di  vitale importanza dar  loro una dieta bilanciata con un  adeguato  supporto  di  sali  minerali,  in particolare  calcio.  É  consigliabile,  infatti, piazzare  nel  terrario  una  piccola  ciotola contenente calcio, tipo tappo di una bottiglia, al fine di fornire una fonte costante di calcio che  il geco può utilizzare quando ne senta  la necessita.  In  molte  specie,  come  nei  gechi leopardo, è possibile confermare  la presenza delle  uova  semplicemente  sollevando l’animale. Sono  facilmente  identificabili nella parte  posteriore  dell’addome  come  due macchie biancastre caudali al fegato.   

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 Ovodeposizione  All'interno  della  famiglia  dei  Gekkonidae  ci sono  due  differenti  sistemi  di  riproduzione: uno oviparo,  cioè  animali  che depongono  le uova; e uno ovoviviparo,  rappresentato  cioè da  animali  che  danno  alla  luce  giovani perfettamente  formati.  Il  primo  sistema  è molto  conosciuto  e  diffuso  fra  i  gechi.  Il secondo,  al  contrario,  è  relegato  ad  un ridotto numero di specie della Nuova Zelanda dei  generi  Heteropholis,  Hoplodactylus. Naultinus e al Rachodactylus  trachyrhynchus (Nuova  Caledonia).  Nel  periodo immediatamente prima della deposizione,  la femmina  smette  di  alimentarsi  e  cerca  un luogo  adatto  per  le  uova.  La  femmina generalmente  si muove per  il  terrario  senza tregua  fino a che non sceglie  il  luogo adatto per  la deposizione, dove  rimane diverse ore prima  di  cominciare  a  deporre.  I  gechi  che appartengono  alle  sottofamiglie  dei Diplodactylinae  a  Eublepharinae  depongono uova  con  un  guscio  pergamenaceo, mentre tutte  le altre depongono uova a guscio duro. Le  uova  a  guscio  pergamenaceo  devono essere  necessariamente  sotterrate  in  un substrato  umido  perché  si  disidratano facilmente,  mentre  le  uova  a  guscio  duro, risentono  della  disidratazione  in  maniera minore,  ma  devono  essere  protette  dalla vista  dei  predatori  per  il  colore  bianco  latte che le caratterizza. Non è un caso, infatti, che alcune  specie  prima  che  le  uova  siano completamente  indurite,  le  rotolino  sul terreno  in modo che  le particelle del terreno vengano  inglobate  nel  guscio  dando  a quest'ultimo una sorta di mimetizzazione. La deposizione  avviene  generalmente di  sera o di notte anche nei gechi diurni. Inoltre alcune specie rimangono a guardia delle uova finché queste  non  sono  completamente  indurite  o anche  successivamente.  Infine,  le  uova  a guscio  duro  si  differenziano  fra  quelle  non “collose”  e  quelle  “collose”.  Le  uova rimangono  attaccate  alle  roccie,  alle  pareti del terrario grazie ad uno strato di calcio che funge da collante. Per fare questo le femmine 

comprimono con  le zampe posteriori  le uova contro  gli  oggetti  fino  a  che  non  sono completamente  indurite.  In generale  le uova a  guscio  duro  possono  essere  deposte  nelle crepe  delle  rocce,  sotto  la  corteccia  degli alberi, nei buchi degli alberi, in parti nascoste delle piante e così via.  Uova Le  uova  hanno  forma  variabile,  da  sferica  a ovale, e dimensioni variabili, dai 3 mm ai 45 mm.  La  composizione  delle  uova  di  geco  è simile  a  quella  di  altri  rettili.  Un  uovo  è costituito  da  un  embrione  circondato  da  un sacco  amniotico,  un  sacco  vitellino  e l'allantoide  dove  sono  immagazzinati  i prodotti  del  metabolismo  e  infine  il  corion che  ricopre  l’interno  dell’uovo.  Durante  lo sviluppo  embrionale  l'allantoide  si  combina con  il corion  formando  la membrana corion‐allantoidea.  Questa  membrana  è responsabile dell'assorbimento di ossigeno e il  rilascio  di  anidride  carbonica  attraverso  il guscio.  In un'incubatrice  che  contiene molte uova, diventa quindi, fondamentale che ci sia una  buona  ventilazione  durante  tutto  il periodo  dell'incubazione. Mentre  le  uova  a guscio duro non possono espandersi durante l'incubazione,  le  uova  a  guscio  molle,  sia perché  assorbono  umidità  dall'ambiente circostante sia per  lo sviluppo dell'embrione, continuano  leggermente  a  crescere  fino  a poco  prima  della  schiusa.  Le  uova  a  guscio duro fertili generalmente hanno il guscio che tende a scurire con  il tempo, mentre  in caso di  infertilità  le  uova  hanno  un  aspetto giallastro. Per  le uova a guscio molle,  invece, l'infertilità  è  facilmente  riconoscibile  perché in pochi giorni le uova tendono a collassare e a  sviluppare  muffa.  Al  momento  della schiusa,  nelle  uova  a  guscio molle  si  assiste ad un collasso delle uova e  la  loro superficie diventa  umida.  Detto  processo  chiamato “sweating” precede  la schiusa vera e propria che avviene ad opera del neonato mediante l'uso  del  dente  dell'uovo,  con  il  quale  è  in grado di creare una breccia nel guscio. Nelle uova  a  guscio  duro  la  schiusa  non  è 

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preceduta da  alcun  segnale.  La  temperatura durante  l'incubazione,  influenza  fortemente la  determinazione  del  sesso.  Questo fenomeno già conosciuto  in altri rettili come coccodrilli,  tartarughe  e  alcune  specie  di agama è presente anche per  i gechi. É ormai dimostrato che temperature fra i 30°C e 32°C di  solito  determinano  maschi,  mentre temperature  che  variano  fra  i  28  e  i  26°C determinano  la  nascita  di  femmine.  Con temperature  intermedie  nasceranno  cuccioli di entrambi  i sessi  in percentuali più o meno sbilanciate  verso  un  sesso  in  base  al gradiente  termico.  Probabilmente  il  sesso  è determinato  principalmente  nel  primo  terzo del  periodo  di  incubazione,  come  osservato anche  in  altri  rettili.  Questi  dati  basati soprattutto su studi svolti sul geco leopardino posso subire delle variazione a seconda della specie.  In  generale  durante  l'incubazione conviene  incubare  le  uova  ad  una temperatura  che  varia  fra  i  25°C‐  29°C, avendo così maggiori probabilità di successo nella  schiusa.  Il  principale  requisito  per  la riproduzione è avere una coppia giovane, ben adattata al terrario  in cui vive e costituita da animali  nati  in  cattività.  Se  l'accoppiamento ha  avuto  successo  è  importante  alimentare bene la femmina che avrà un incremento del fabbisogno  energetico  e  mettere  a disposizione  più  luoghi  per  la  deposizione. Per esempio, un contenitore pieno di sabbia umida,  un  semplice  tubo  bucato,  piante come  le  bromelie,  in  caso  si  allevino phelsuma  ecc.  Inoltre  durante  la  gravidanza la  femmina  non  dovrebbe  subire  alcuna forma  di  stress  come  per  esempio  essere spostata  da  un  terrario  all'altro  o introducendo  nuovi  animali.  Per  le  uova adesive,  il discorso è più  complicato, perché sono spesso difficili da  trovare e soprattutto quasi mai posso essere  rimosse dal  terrario. Quasi  sempre,  infatti,  sono attaccate a parti strutturali  del  terrario  e  pertanto  è impossibile  incubarle  separatamente  e qualunque  tentativo  di  rimozione  ne provocherebbe  la  rottura.  In questi casi, per prevenire  che  le  uova  subiscano  danni  dai 

genitori o che  i neonati vengano mangiati,  le uova andrebbero coperte con un contenitore di  plastica  trasparente,  forato precedentemente  per  assicurare  una  buona ventilazione.  All'interno  di  questo contenitore  si  può  anche  aggiungere  della vermiculite  o  dello  sfagno  umido  facendo sempre  in modo  che  le uova non entrino  in diretto  contatto  con  il  substrato umido. Nel caso di uova a guscio pergamenaceo, tipiche delle  sottofamiglie  Eublepharinae  e Diplodactylinae,  la  vermiculite  o  la  perlite sono  i  substrati  ideali  per  l'incubazione.  Ad entrambi  andrebbe  aggiunta  l'acqua  in rapporto  6:4  (sei  parti  di  vermiculite  e  4  di acqua)  in base al peso. Dopo aver mescolato bene  l'acqua  e  il  substrato,  le  uova andrebbero  poste  senza  subire  rotazioni,  in piccole  depressione  create  nel  substrato.  É importante  controllare  sempre  che  il substrato  nel  corso  dell'incubazione  non  sia troppo  secco  o  umido  per  evitare un'eccessiva  disidratazione  o un'iperdratazione delle uova, condizioni fatali per  l'embrione.  Nel  caso  di  uova  a  guscio duro  delle  foreste  tropicali,  le  uova andrebbero  incubate  in  un  ambiente  umido però evitando che le uova entrino in contatto diretto  con  il  substrato.  Per  esempio  si  può utilizzare  un  tappo  di  bottiglia  a  tale  scopo, come  nei  phelsuma.  L'umidità  invece  dovrà sempre aggirarsi  intorno al 90‐100%.  In caso di  uova  a  guscio  duro  di  gechi  che  vivono nelle regioni aride, tipo gli stenodattili, l'unica differenza  sta  nell'umidità  ambientale  che dovrà  essere  ridotta  al  45‐60%.  I  tempi  di incubazione,  sono  molto  variabili, oscilleranno  generalmente  tra  le  sei  e  le dodici  settimane,  potendo  raggiungere  però anche  le ventiquattro per  i gechi del genere Gekko.  Subito  dopo  la  nascita,  i  neonati dovrebbero essere  trasferiti  in piccoli  terrari separati, preparati in anticipo. Generalmente, si  utilizzano  scatole  trasparenti  che facilmente si trovano nei negozi di bricolage, vengono creati dei buchi  ricoperti con  reti a maglie molto sottili (500 micrometri), disposti su due altezze diverse. Il fondo molto spesso 

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può  essere  carta  di  giornale  o  assorbente, qualche  nascondiglio  e  qualche  pianta  vera. In  pratica  una  struttura  che  in miniatura  è uguale  a  quella  dove  vivono  i  genitori  ma molto  semplice  da  pulire  e  da  gestire.  Se  si tratta  di  gechi  notturni,  l'unica  cosa  di  cui bisogna tenere cura è  la temperatura  ideale, mentre  in  caso  di  gechi  diurni  come  i phelsuma  è  molto  importante  fornire  luce gialla e raggi uvb durante  il giorno. La  luce è importante sia per lo sviluppo scheletrico dei baby  sia  per  lo  sviluppo  di  una  colorazione adeguata.  Infatti,  in  animali  cresciuti  in condizioni  di  scarsa  luce,  spesso  la colorazione non è cosi vivida come la si vede in  animali  che  vivono  in  natura. Giornalmente,  dipende  poi  dalle  specie,  la teca,  dove  i  cuccioli  vivono,  deve  essere nebulizzata  tutti  i  giorni.  Si  deve somministrare cibo sotto forma di drosofile o piccoli  grilli,  che  vanno  sempre  prima spolverati di calcio tutti i giorni.  Alimentazione Una  dieta  bilanciata  e  corretta  è fondamentale  per  avere  successo nell’allevamento dei gechi. La maggior parte dei gechi è  insettivora e  in cattività verranno alimentati  con  insetti  allevati  a  tale  scopo oppure  acquistati  nei  negozi  specializzati  o tramite  internet da  allevamenti  amatoriali  e industriali.  In  natura  i  gechi  mangiano un’ampia  varietà  di  insetti,  ragni  e  piccoli vertebrati.  Allo  stesso  modo  la  dieta  in cattività  dovrebbe  essere  molto  varia, offrendo un’alimentazione basata su almeno 4‐5  specie  differenti  di  insetto.  Gli  insetti dovrebbero  essere  sempre  ben  alimentati soprattutto  24  ore  prima  di  essere  dati  ai gechi,  perché  gli  artropodi  perdono rapidamente  valore  nutritivo  (gut  loading). Inoltre  è  molto  importante  anche  la dimensione  delle  prede  offerte  in  pasto.  In pratica,  la  larghezza dell’insetto deve essere al  massimo  come  la  metà  della  larghezza della  testa  del  geco,  mentre  la  lunghezza dell’insetto deve essere al massimo  come  la larghezza  della  testa  del  geco.  In  questo 

modo  si  offrono  insetti  più  nutrienti  e digeribili e allo stesso  tempo si stimolano gli animali a doversi procurare il cibo. Gi insetti a disposizione  sul mercato è  rappresentato da grilli  come:  Acheta  domestica,  Gryllus assimilis,  Gryllus  bimaculatus,  grylloides sigillatus);  cavallette  e  locuste  (Shistocerca sp. e Locusta sp.), camole del miele (Galleria mellonella),  camole  della  farina  (Tenebrio molitor)  e  caimani  (Zoophobas  morio)  e blatte  (soprattutto  Blatta  lateralis); occasionalmente  da  pinky. Un  altro  sistema che si può adottare per offrire cibo vario e di ottima  qualità,  è  quello  di  fare  ricorso  agli insetti  prelevati  in  natura.  Se  si  conosce infatti un'area priva di pesticidi, si potrebbero raccogliere insetti da offrire ai nostri animali.  Allo stesso tempo un ampio numero di specie si  alimenta  di  frutta  e  di  nettare.  Quelli arboricoli dei generi Gonatodes, Phelsuma e Rhoptropus,  alcuni  attivi  sia  giorno  che  di notte  (Sphareodactylus  spp.)  e  altri strettamente notturni ( Blaesodactylus spp. e Rachodactylus  spp.  sono  in  parte  specie frugivore. Per tutti, si possono utilizzare frutti freschi (banana, mela, pera, pesca, albicocca, melone,  prugna,  papaia,  mango,  fragola, ciliegia, uva, fico, kiwi ecc.) in pezzetti, frullati o  spremuti,  oppure  prodotti  industriali derivati  dalla  lavorazione  della  frutta,  come succhi, mousse,  omogeneizzati  per  bambini. Gli  omogeneizzati  alla  frutta  sono  molto pratici e molto graditi ai gechi. Generalmente si  suddivide  l’omogeneizzato  in    piccoli sottovasi o  tappi di bottiglia,  si aggiunge del miele  e  del  calcio  carbonato  e  poi  lo  si congela. Per integrare la dieta, si spolverano i grilli  con  il  calcio  carbonato  prima di  essere dati  in  pasto  e  si  può  lasciare  una  piccola ciotola piena di calcio sempre a disposizione. L'acqua  ovviamente  va  somministrata  sia nebulizzata  perché  i  gechi  amano  bere  le goccioline che si accumulano sulle foglie e sul loro corpo e una ciotola dalla quale possono bere comunque in caso di necessità.   Terrario  

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Come  per  altre  specie  di  rettili  anche  per  i gechi  è molto  importante  che  la  teca  nella quale  vivono  abbia  un'ottima  ventilazione. Una  teca  ben  ventilata  deve  avere  almeno due  prese  di  areazione  poste  ad  altezze diverse.  Ovviamente  le  dimensioni  delle prese  d'aria  variano  a  seconda  del  tipo  di animale che il terrario dovrà ospitare. In caso di  terrari  per  specie  che  provengono  dalle regioni  delle  foreste  tropicali,  si  opterà  per prese d'aria molto piccole che permettono di mantenere elevata  l'umidità nel terrario; per le  specie  deserticole  addirittura  il  pannello superiore e alcuni  laterali potrebbero essere eliminate,  per  scongiurare  la  formazione  di condensa  nel  terrario.  Per  le  specie  che richiedono  alta  umidità  ma  elevata ventilazione  si  può  considerare  l'utilizzo  di ventole  da  computer.  Per  costruire  o comprare un terrario adatto alla specie che si andrà  ad  ospitare  è  importante  seguire  i seguenti fattori: 

- le  dimensioni  degli  animali  in  età adultà 

- Il  temperamento  degli  animali. Animali  statici  richiedono  meno spazio di specie attive 

- il  numero  di  animali  alloggiati.  Per esempio  quattro  animali  della  stessa specie  richiedono  più  spazio  di  due coppie  appartenenti  a  due  specie diverse.  

- Il  grado  di  aggressività  che  ci  può essere  fra  conspecifici.  Se  introdotti più  animali  (3‐4)  all'interno  di  un terrario,  potrebbero  sia  instaurarsi comportamenti  aggressivi,  sia fenomeni  di  sottomissione  che darebbero  una  falsa  impressione  di tolleranza.   

Spesso  accade,  infatti,  che  gli  animali dominanti  minacciano  e  attaccano  i subordinati.  Di  conseguenza  non  essendoci possibilità di  fuga,  i  subordinati difficilmente manifestano  un  pattern  completo  del  loro comportamento  soprattutto  nell'ambito riproduttivo,  anzi  subiranno  costante  stress, 

fenomeni  di  disoressia  e  maggiore suscettibilità alle malattie. Dunque all'interno di un terrario, bisognerebbe garantire ad ogni soggetto un  luogo di basking, di  rifugio e di alimentazione. Naturalmente più un  terrario è grande, più possibilità di territori si possono offrire.  La  forma  del  terrario  varia  poi  a seconda  delle  caratteristiche  della  specie ospitata.  Per  grandi  linee  i  gechi  terricoli dovrebbero  essere  alloggiati  in  terrario  a sviluppo  orizzontale,  i  gechi  arboricoli  in terrari a sviluppo verticale e infine i rupicoli in terrari con caratteristiche  intermedie.  Inoltre l'interno del terrario, può essere organizzato in modo da  ricostruire  il biotopo oppure un terrario  “semisterile”.  Nel  primo  caso ovviamente si dovrà cercare di costruire uno spaccato del luogo di provenienza con piante vive,  rami  secchi,  radici,  bambù,  rocce  e substrato naturale come sabbia, pietre, foglie e  corteccia.  Nel  caso,  invece,  di  un  terrario semisterile  ed  essenziale,  adatto  per  grandi allevamenti e non per tutte le specie, il fondo sarà  semplicemente  un  foglio  di  giornale  o della  carta  assorbente,  uno  o  più  tane  ( spesso con della torba umida all'interno), una ciotola per  l'acqua  e una  ciotola per  il  cibo. Questo  sistema  è  spesso  utilizzato  per l'allevamento dei gechi leopardini, i quali non hanno  particolari  esigenze.  Tuttavia  ci  sono specie, come Uroplatus  spp., o molte  specie deserticole  australiane  e  africane  che difficilmente  si adatterebbero ad un  terrario assemblato  in questo modo.  In questi casi è sempre  meglio  ricorrere  ad  un  terrario naturalistico. Nel terrario ovviamente spesso bisogna  ricorrere a  sistemi di  riscaldamento, illuminazione  e  talvolta  di  umidificazione affinché  si  possa  garantire  agli  animali  una buona  qualità  di  vita.  Parlando  di riscaldamento  c'è  da  premettere  che esistono gechi eliotermi e gechi thigmotermi (animali che assorbono calore dalla  superfici riscaldate  precedentemente  dal  sole).  Per  i primi  la migliore  soluzione  è  rappresentata dalle lampade ad incadescenza che emettono luce  gialla.  Sono  animali  infatti  che preferiscono  che  il  calore  venga  dall'alto 

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come avviene in natura. Per i secondi, invece, la  soluzione  migliore  è  rappresentata  da tappetini  riscaldanti  o  cavetti  riscaldanti  in una  zona  del  terrario,  in modo  da  garantire sempre un certo gradiente di temperatura fra diverse  zone del  terrario.  Esistono poi  gechi per  i  quali  spesso  non  è  necessario aggiungere  una  fonte  di  calore  perché  alle nostre  latitudini sono perfettamente adattati a  vivere.  Spesso  vengono  allevati  a temperatura  “ambiente”  senza  l'aggiunta  di alcuna fonte di calore. Per quanto riguarda  il sistema  di  illuminazione  di  cui  abbiamo  già parlato  in  parte,  spesso  può  essere  utile aggiungere  sia  della  lampade  fluorescenti, soprattutto  se  si  ha  un  terrario  con  molte piante vive, sia aggiungere  lampade  in grado di emettere raggi ultravioletti. Queste ultime sono  considerate  necessarie  per  tutte  le specie  diurne  e  probabilmente  per  molte specie  notturne.  Ovviamente  la  scelta  di queste  lampade deve  ricadere  su quelle che hanno  un'emissione  bassa  di  raggi  uvb,  in particolare  fra  il  5%  (gechi  diurni)  e  il  2% (gechi  notturni).  Per  l'umidificazione generalmente  si  ricorre  alla  nebulizzazione più volte al giorno, all'uso di grandi ciotole di acqua,  al  sistema  “goccia  a  goccia”  già utilizzato per  i camaleonti, alle piante vive e in  alcuni  casi  si  può  ricorrere  a  sistemi  di nebulizzazione  elettrici  utilizzati  per l'allevamento delle Dendrobates.   Patologie più frequenti 

- Endoparassiti e ectoparassiti - Costipazione - Ritenzione di uova - M.O.M - Perdita della coda - Disecdisi - Stomatite - Vomito - Diarrea - Prolasso rettale o degli emipeni - Infezioni oculari 

   

  Bibliografia  

1. R.  D.  Bartlett,  Patricia  P.  Bartlett. Geckos    A  Complete  Pet  Owner’s Manual.  

2. Happauge,  NY  11788:  Barron’s Educational Series, 2006 

 3. Friedrich‐Wilhelm  Henkel,  Wolfgang 

Schmidt. Geckoes Biology, Husbandry, and  Reproduction.  Malabar,  Florida 32950:  Krieger  Publishing  Company 1996 

 4. Massimo  Millefanti.  Guida  ai  gechi. 

Milano: DVE ITALIA S.p.A 2003  

5. Mauro Grano,  Emanuele  Scanarini.  Il geco leopardino. Milano Via Morgagni 28: AcquaPortal Communication S.r.l. 

 6. Lina  S.  V.  Roth,  Linda  Lundstrom, 

Almut  Kelber,  Ronald  H.  H.  Kroger, Peter  Unsbo.  The  pupils  and  optical systems of gecko eyes.  

 7. Journal of Vision 2009 9(3): 27,1‐11 

 8. B.  O’Malley.  Clinical  Anatomy  and 

Physiology of Exotic Species: Structure and  function  of      mammals,  birds, reptiles  and  amphibians.  Elsevier limited, 2005 

  Sitografia          

- http://www.italiangekko.net - http://www.gekkota.com - http://www.geckosunlimited.com 

  

 

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IL PAZIENTE CHE COLLABORA: ADDESTRAMENTO DEGLI ANIMALI ESOTICI AI PRINCIPALI ESAMI CLINICI  Sara Mainardi, Naturalista1  1 ABC Training, Naturalista, Animal Trainer www.abctraining.it   MEDICINA  PREVENTIVA  E  MODALITÀ EDUCATA  Si  parla molto  ormai  del  benessere  animale con  un  approccio  multifattoriale, fisiologico/patologico  e cognitivo/emozionale.  La  salute  della mente sta  assumendo  un’importanza  eguale  alla salute  fisica  dell’animale  stesso.  Verso persone,  luoghi  e  oggetti  non  conosciuti  gli animali  tendono  ad  assumere  un atteggiamento cauto. Le reazioni più istintive a  difesa  dell’organismo  dalle  pressioni ambientali  conducono  in  genere all’attivazione  del  simpatico  che  prepara l’organismo a  comportamenti di aggressione o di  fuga.  L’apprendimento è  il meccanismo biologico  che  permette  la  sopravvivenza attraverso  processi  mentali  plasmati  dalla selezione  naturale  come  forma  di adattamento all’ambiente. Quando un  “pet” si  relazione  con  il  suo  compagno  umano  o con  il  suo  veterinario,  ogni  interazione diviene un’occasione per  apprendere, e non dovrebbero  essere  tralasciate  le  capacità cognitive  nella  ricerca  del  benessere.  Gli uccelli  sono  apparentemente  asintomatici, poiché  la  loro natura di predati  tende a non svelare i deficit che li renderebbero potenziali prede. Una storia clinica aggiornata permette al medico veterinario di  lavorare  in un’ottica di  medicina  preventiva,  ottimizzando  il mantenimento  della  salute  dell’animale stesso.  Approcciando  anche  il  lato cognitivo/emozionale  ci  si  deve  chiedere 

l’effetto  delle  visite  cliniche  sul  benessere mentale  dell’animale. Molti  esami  di  check‐up  risultano efficaci, attendibili e attenti alle esigente  fisiologiche  ed  etologiche,  se effettuati  in  maniera  collaborativa  con  gli animali  presi  in  esame.  Ciò  che  ci  si  può aspettare  da  campioni  biologici  prelevati  in modalità,  che  chiameremo,  “educata”  sono: bassi  livelli  di  cortisolo,  epinefrina  e norepinefrina  e  valori  reali  di  glicemia. L’auscultazione  e  valutazione  dei  rumori cardiaci  potrebbe  risultare molto  difficile  in modalità  di  “contenimento”.  L’animale  in probabile  stato  di  stress  ed  eccitazione produrrebbe una quantità di battiti al minuto notevole, coprendo eventuali rumori cardiaci anomali.  Anche  il  normale  flusso  d’aria  nei polmoni  risulta  come  un  suono molto  lieve, facilmente  sovrastato dal  rumore del battito cardiaco  accelerato,  che  in  genere  viene accompagnato  anche  da  polipnea  e  respiro affannoso. Lo  stress  è  una  reazione  tipica  di adattamento  del  corpo  ad  un  generico cambiamento  fisico  o  psichico. Contrariamente  a  quanto  si  pensa  di  solito, non  possiamo  evitarlo  o  eliminarlo completamente  ma  possiamo  se  insorge saperlo  riconoscere  ed  educare  l’animale  a gestirlo.  Lo  stress  è  influenzato dall’intervento  dei  pensieri,  che determinano,  in  soggetti  diversi,  reazioni diverse: quindi non è  l’evento, ma  i pensieri relativi  all’evento  che  causano  lo  stress. Esiste  una  corrispondenza  tra  sistema nervoso e ambiente, i processi che si attuano nel  sistema  rappresentativo  (il  cervello) producono  inferenze  valide  sugli  eventi  e sulle  relazioni  tra  gli  eventi  nel  sistema  che viene  rappresentato  (l’ambiente).  Quando una  situazione  viene  identificata  come  una minaccia,  la  risposta automatica è uno  stato di  tensione  che porta all’azione. Se  lo  stress persiste  e  l’azione  non  è  possibile,  allora l’attivazione  fisiologica  viene  avvertita  sotto forma  di  sintomi.  Uno  stato  di  stress  o  di malessere  con  algia  può  causare:  una modifica del battito cardiaco, della pressione 

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sanguigna  e della  frequenza  respiratoria, un aumento  della  coagulabilità  del  sangue, secrezione  di  adrenalina  e  noradrenalina, dolori  muscolari,  disturbi  gastro‐intestinali, abbassamento  delle  difese  immunitarie, aumento  della  virulenza  di  agenti  patogeni latenti,  fascicolazioni  diffuse  dei  muscoli cutanei, prurito (erroneamente associabile ad altre  patologie)  e  sintomi  cognitivi,  quali irritabilità  e  nervosismo  che  facilmente sfociano  in aggressioni,  in  comportamenti di evitamento  o  di  freezing.  Stress  cronico (dovuto a contenimento per controlli ripetuti o  per  lunghi  cicli  di  somministrazione  di farmaci)  mantiene  alti  i  livelli  di glucocorticoidi,  letali per alcuni tipi di cellule nervose, cardiache e ossee. Soggetti con uno stato  di  benessere  gravemente  alterato possono manifestare  anche  apatia,  stato  di scarsa  o  nulla  reattività  nei  confronti  degli stimoli  esterni;  il  loro  organismo  non  riesce più  a  far  fronte  ad  un  ambiente  avverso. Visite  cliniche  in  modalità  di  contenimento possono  aggravare  lo  stato  del  soggetto. Questi sintomi sono spie di un disagio in atto, non  possono  essere  trascurati,  vanno mantenuti sotto controllo. Sullo stress si può concretamente  agire  attraverso  tecniche  di educazione,  è  un  metodo  preventivo  che vuole  dare,  all’animale  stesso,  gli  strumenti necessari  per  gestire  eventi  ambientali differenti  dalla  routine  quotidiana.  Più  un animale  vive differenti esperienze positive e apprende  a  sciogliere  esercizi  di  problem‐solving  più  sarà  alto  il  suo  grado  di  fitness (grado  di  adattamento  di  un  individuo, parametro  dinamico)  e  notevole  sarà  anche la capacità di controllare lo stress elaborando i  pensieri  che  generano  dall’evento.  Per  la “legge  dell’effetto”,  le  conseguenze vantaggiose  dei  comportamenti  medici educati  in  passato,  creeranno  un  feedback indispensabile perché in futuro il soggetto sia in  grado  di  affrontare  situazioni  ambientali inconsuete. La modalità  educata  vuole  quindi  ridurre  le condizioni  ambientali  stressanti,  gli antecedenti  che  favoriscono  comportamenti 

effettuati  per  evitare  lo  stimolo discriminativo  e  il  contenimento, trasformando  le  situazioni  in  clinica  da sporadiche  e  spesso  stressanti  a  regolari  e cooperative  ma  vuole  anche,  con l’apprendimento operante, dare all’animale il potere  di  elaborare  e  governare  a  livello cognitivo la situazione ambientale. Vedere un ecografo,  un  asciugamano  per  essere contenuto,  un  apparecchio  per  aerosol  e valutarli  stimoli che producono conseguenze vantaggiose  creerà  situazioni  collaborative e innovative.  Parliamo  comunque  di  un contesto  di  non  emergenza,  di  fasi  di apprendimento  che  avvengono  quando l’animale è  in salute e di comportamenti che una  volta  appresi  saranno mantenuti  fino  a necessità  di  utilizzo.  La modalità  educata  è attuabile  dopo  una  fase  di  educazione comportamentale in cui l’animale apprende a seguire  un  target  per  essere  osservato durante  la  visita,  ad  avvicinarsi  a  strumenti diagnostici, ma  anche  ad  assimilare  farmaci per via orale o inalatoria.     FASE EDUCATIVA E COLLABORAZIONE  La  prima  fase  educativa  coincide  con  la desensibilizzazione  degli  oggetti  necessari alle  procedure  mediche  (target, fonendoscopio,  sonda  dell’ecografo, asciugamano)  o  alla  somministrazione  di medicinali  (siringhe,  maschera  per  aerosol, inalatori,  etc).  La  desensibilizzazione sistematica  è  la  procedura  in  cui  la  paura appresa  di  uno  stimolo  neutro  si  estingue attraverso un’esposizione  talmente  graduale che  la  risposta  innata  alla  paura  non  viene mai  innescata.  Gli  animali,  in  particolare  gli uccelli,  in quanto prede,  tendono a diffidare di  tutto  ciò  che  non  conoscono;  in  soggetti giovani, con la desensibilizzazione sistematica e  la  presentazione  associata  del  rinforzo positivo  si  può,  in maniera  graduale  e  non invasiva,  educare  gli  animali  ad  avvicinare nuovi  oggetti  senza  che  lo  stimolo  neutro divenga  mai  stimolo  discriminativo 

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innescante paura. In tal modo si può ottenere collaborazione durante procedure mediche e mantenere  un  alto  livello  di  benessere fisiologico/cognitivo  con  minimi  livelli  di stress.  A  questo  scopo,  nelle  fasi  di educazione,  insieme  alla  desensibilizzazione si  usa  l’apprendimento  operante.  La collaborazione  dell’animale  evolve  insieme alla fiducia, aumentano parallelamente, e alle ripetizioni di situazioni vantaggiose che fanno decidere di riproporre un comportamento  in futuro.  Dato  che  le  conseguenze  di  un comportamento  passato  determinano  la probabilità  che  lo  stesso  comportamento avvenga in futuro, il passo è breve nel capire come  ogni  momento  di  interazione  sia  un momento  di  apprendimento  determinante per  l’educazione, non  solo quindi  il  tempo a casa,  non  sono  il  tempo  passato  con l’educatore  o  dal  veterinario  ma  l’insieme completo. E’ sempre e comunque un lavoro d’equipe! Comportamenti educabili a finalità mediche: 

- Entrata  e  uscita  da  un  trasportino  / trasporto  in  macchina:  trasporto dell’animale nell’ambulatorio o clinica veterinaria senza produzione di stress 

- Desensibilizzazione veterinario - Desensibilizzazione  target  /  utilizzo 

target - Desensibilizzazione  di  un  substrato 

(ES:  tappetino  in  gomma), disinfettabile,  utilizzato  a  casa  come luogo di educazione e dal veterinario per  riproporre  i  comportamenti  in modalità  educata:  parte  del  setting per favorire i comportamenti richiesti 

- Desensibilizzazione  fonendoscopio, sonda dell’ecografo 

- Desensibilizzazione  asciugamano  e passaggio  sotto  questo  per  essere avvolto 

- Desensibilizzazione  siringa  / somministrazione  medicinali  tramite siringa per via orale 

- Desensibilizzazione maschera  aerosol / somministrazione medicinali per via inalatoria 

   

L’IMPORTANZA DELL’INFORMAZIONE  Come  far  capire  al  cliente  l’importanza  di portare  il  compagno  animale dal  veterinario per  controlli  di  routine  e  non  solo  se  è  in sofferenza  evidente,  quando  spesso  sono turbati o  spaventati  loro  stessi dalle  grida o dagli  attacchi  di  panico  che  vedono? Informando  che  gli  esami  di  routine, fondamentali tra  l’altro nel caso di patologie croniche, possono non essere causa di stress elevato se educati e rinforzati positivamente, facendo  collaborare  direttamente  l’animale con  il  compagno  umano  e  divenendo  una metodologia  anche  appagante  perché  il percorso  educativo,  oltre  a  offrire  vantaggi nella diagnosi e nelle cure mediche, migliora la  qualità  del  rapporto  uomo‐animale,  in primis  aiutando  ad  apprendere  la comunicazione  non  verbale  specie‐specifica. Quando l’uomo non forza la situazione e non esercita  controllo  sull’animale  si  possono trasformare  le  interazioni  in  cui  il  soggetto “deve  fare”  in opportunità  in  cui  il  soggetto “vuole  fare”  facendogli  scoprire  una  stato motivazionale  che  lo  invogli a  interagire con noi.  Considerando  le  caratteristiche  fisio‐etologiche  della  specie  e  le  capacità individuali  del  soggetto,  l’apprendimento operante può essere utilizzato proprio come forma  comunicativa  per  proporre un‘acquisizione  dati  che,  collegando funzionalmente  eventi  chiamati  antecedenti e  conseguenze  con  il  comportamento, permette  all’animale  di  valutare  se  ripetere successivamente  lo  stesso  comportamento richiesto, e dico valutare perché questo  tipo di  educazione  prevede  la  scelta  da  parte dell’animale  in  quanto  elaboratore  attivo  di informazioni. Ciò  che  l’educatore può  fare è modificare  e  operare  sull’ambiente attraverso  il  setting,  la  scelta  dei  rinforzi,  il proprio  linguaggio  corporale,  la  propria prossemica  e  le  vocalizzazioni,  non  operare sull’animale.  Cambiare  l’ambiente  e  gli 

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antecedenti  è  il  primo  passo  per  evitare situazioni  di  stress  agli  animali,  e  avere l’occasione  di  rinforzare  positivamente completa  l’opera  in  campo  gestionale  ma anche in campo medico. La modalità educata è  una  prassi  utilizzabile  in  ambulatori  e cliniche durante esami di controllo ma risulta molto  utile  anche  sulle  grandi  collezioni  e soprattutto  in  centri  di  recupero,  parchi faunistici e giardini zoologici, non solo per  le specie  aviare;  la  gestione  di  gravidanze,  di patologie  croniche  con  somministrazione  di medicinali  per  lunghi  periodi  di  tempo  e  i controlli  di  routine  indispensabili  a mantenere i protocolli di medicina preventiva risultano  con  questa  metodologia  più funzionali, non  inficianti a  livello di stress sul benessere  e  potenzialmente  ripetibili molte volte  all’anno,  inoltre  i  rischi  per apparecchiature  e  personale  si  riducono perché  l’aggressività  caratteristica  della modalità  di  contenimento  si  tramuta  in collaborazione  nella  modalità  educata. Secondo  il  Farm  Animal Welfare  Britannico del  1992,  gli  animali  dovrebbero  vivere  in libertà  dalla  fame  e  dalla  sete,  dovrebbero vivere  in  un  ambiente  appropriato,  senza paure  e  pericoli,  in  libertà  di  esprimere comportamenti naturali e dovrebbero essere liberi dal dolore e dalle malattie attraverso la prevenzione,  una  tempestiva  diagnosi  e  la messa in atto di un trattamento appropriato. La  modalità  educata  è  uno  strumento  al servizio di questo fine.   Bibliografia  

1. Friedman,  S.G.,  (2005).  He  Said, She  Said,  Science  says. Good Bird ™ Magazine. Vol 1‐1 

2. Friedman,  S.G.,  (2004).  Parrot  in Temporary  Shelters:  The groundwork  for  empowerment and trust. Avian Welfare Coalition Shelter Manual. 

3. Ramirez,  K.,  (1977).  Animal Training:  Successful  Animal 

Management  through  positive Reinforcement. 

4. Stafford,  Grey  G.  Husbandry Training. ABA ‐ S.I.G. magazine 

5. Martin, S., Friedman, S.G.,  (2004). Training  Animals:  The  Art  of Science 

6. Coco E., (2007). Etologia, Giunti   7. Conzo  G.,  (2001). Medicina  degli 

uccelli da gabbia. Edagricole 8. Sovrano V.A., Zucca P., Regolin L., 

(2009).  Il  comportamento  degli animali.  Evoluzione,  cognizione  e benessere. Carrocci editore 

9. Mainardi  S.,  (2009).  L’operant learning: una forma comunicativa. Italia Ornitologica. Anno XXXV ‐ n. 12 

10. Bergmann  H.H.,  Biologia  degli uccelli. Edagricole 

                            

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RISOLUZIONE CHIRURGICA IN UN CASO DI DISTOCIA IN UN FALCO DI HARRIS  Tommaso Collarile1,DVM  1 Clinica Veterinaria per Animali Esotici, CVS Roma 

[email protected]

 Segnalamento 

Falco di Harris (Parabuteo unicinctus) di circa 5aa di età. 

 

Anamnesi patologica remota 

La proprietaria riporta un episodio di distocia avvenuto pochi mesi prima.  Il collega che ha trattato  il  caso  la  prima  volta  ha  tentato  la risoluzione  per  mezzo  di  aspirazione  del contenuto  dell’uovo  e  rottura  di quest’ultimo.  Questa  procedura  è  stata messa  in  atto  per  contrastare  il  più rapidamente  possibile  la  compressione  sugli organi  circostanti.  È  stato  poi  stabilizzato  il paziente e dopo un tentativo di rimozione del guscio per via endoscopica è stato asportato chirurgicamente.  La  proprietaria  ha  riferito che eccetto la terapia antibiotica, non è stata consigliata  integrazione  alimentare  né cambiamenti della gestione. 

 

Anamnesi  

Il soggetto è stato portato in clinica perché da circa  24  h  presentava  anoressia  e abbattimento del sensorio. Il soggetto vive da solo,  in  voliera.  La  dieta  si  basa  da  sempre pressoché unicamente di pulcini di un giorno.  

 

Visita 

Il  paziente  presenta  ottundimento  del sensorio,  disidratazione,  stato  di  nutrizione scadente,  distensione  addominale  dura  alla palpazione, lieve dispnea. 

 

Diagnostica pre‐chirurgica 

Sono  state  eseguite  radiografie  in  due proiezioni,  è  stato  eseguito  un  prelievo  di sangue  per  esame  biochimico,  ematocrito  e conta stimata dei globuli bianchi 

 

Terapia e preparazione alla chirurgia 

Il soggetto è stato ricoverato in ambiente con temperatura  e  umidità  controllata.  È  stato sottoposto  a  terapia  antibiotica (marbofloxacin  10mg/Kg  im), antinfiammatoria  (meloxicam  0,2mg/kg  im), fluido‐terapia  (ringer  lattato  50ml/kg  s.c.)  e calcio  gluconato  (100mg/kg  im).  Per  circa  2 ore  il  soggetto  è  stato  lasciato  a  riposo  per recuperare lo stress delle manipolazioni e per consentire  l’assorbimento  dei  farmaci somministrati. È  stato poi   premedicato  con dexmedetomidina  (0,03mg/kg)  e  ketamina (3mg/kg).  È  stato  inserito  un  catetere endovenoso nella vena ulnare superficiale.  Il soggetto  è  stato  indotto  con  isofluorano  in maschera  4%  e  poi    intubato  e mantenuto con isofluorano all’1,5%. 

 

Chirurgia 

Durante  la relazione saranno descritte  le fasi principali  dell’intervento  chirurgico  con ausilio di fotografie.  

 

Terapia  post‐chirurgica  e  consigli  della gestione 

Oltre  alla  terapia  con  antibiotici  ed antinfiammatori  il  soggetto  è  stato  trattato con  leuprorelina  acetato  alla  dose  di  600 

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µg/kg   ed è  stato prescritto di  ripetere ogni 15 giorni per tre volte. 

È stato vivamente consigliato di migliorare  la dieta. 

 

Conclusione e punti chiave 

Il soggetto non è più stato più visitato ma  la proprietaria  ha  riferito  che  il  soggetto  ha deposto  due  uova  circa  8 mesi  dopo  senza complicazioni.  

 

• Scelta  dell’approccio  terapeutico  alla distocia  (medico  vs  chirurgico  vs endoscopico) 

• Rapidità di cicatrizzazione e  ripristino della  funzionalità della  salpinge dopo un intervento chirurgico 

• Importanza  dell’intervento  sulla gestione  (alimentazione)  come prevenzione delle recidive. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LE PRINCIPALI PATOLOGIE DEL RONDONE (Apus apus): ESPERIENZE DEL CRUMA DI LIVORNO  Renato  Ceccherelli1  DVM,  Riccardo  Gherardi1, Gianluca Bedini1  1 C.R.U.M.A. – L.I.P.U. via delle Sorgenti 430 – 57121 Livorno. [email protected]   SOMMARIO  L’analisi dei  ricoveri di Rondone  (Apus apus) presso  il  CRUMA  (distribuzione  temporale, cause di ricovero, esiti) oltre a fornire un dato interessante  a  livello  di  censimento  locale della  specie,  fornisce  lo  spunto  per  una  più approfondita analisi di patologia aviare. Innanzitutto, quando si parla di patologia del Rondone, è necessario fare una distinzione in base all’età. Infatti, le principali patologie dei 

pulli  sono  dovute  a  infezioni  da  lieviti, infezioni  da  batteri  Gram  negativi,  grave astenia;  mentre  invece  negli  adulti  le principali  cause  di  ricovero  sono  di  natura traumatica  (traumi  con  sublussazione  della spalla,  avulsione  traumatica  di  remiganti  e timoniere e traumi in genere). Nei confronti delle  infezioni che colpiscono  i pulli,  la  diagnosi  è  semplice:  un  tampone 

cloacale ed uno del gozzo e semina su idonei terreni.  La  terapia  è  mirata  e  di  solito efficace. Di contro nei casi di grave astenia la terapia, anche se tempestiva e d’urto, non dà risultati soddisfacenti. Per  quanto  riguarda  gli  adulti  con sublussazione,  che  è  la  prima  causa  di ricovero,  la  diagnosi  non  è  così  semplice. Radiologicamente  non  si  osservano alterazioni  e  alla  palpazione,  senza un’adeguata,  esperienza  non  si  percepisce granché.  Il  segno  più  eclatante  è  di  tipo clinico e consiste nell’incapacità da parte del soggetto  di  muovere  le  ali  in  maniera simmetrica. Sempre  per  quanto  attiene  all’aspetto sanitario,  non  dobbiamo  tralasciare  le zoonosi  che  possono  essere  trasmesse  da questi animali. Non esistono  casi  riportati di trasmissione,  ma  sono  stati  isolati  dai rondoni  numerosi  agenti  eziologici potenzialmente pericolosi anche per l’uomo.     

I  ricoveri  di  Rondone  al    CRUMA  nel  2009 sono stati 265 che rappresentano  il 8,6% del totale  dei  ricoveri,  di  questi  92  erano individui adulti e 173 pullus e giovani. Fra gli esiti spicca la liberazione con l’75% dei soggetti ricoverati reintrodotti in natura.    

Figura 3 ‐ Pulllus di rondone (Apus apus)

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INTRODUZIONE  L'analisi dei dati che possiamo  raccogliere  in un  Centro  di  Recupero,  seppur  limitati  e distorti,  ci  può  offrire  la  possibilità  di conoscere  più  a  fondo  lo  stato  e  le caratteristiche specifiche di una determinata specie. In questo lavoro, per esempio, è stato possibile  stabilire  le  principali  cause  di ricovero del  rondone sia  in età adulta, sia  in età  pre‐svezzamento  (pullus).  È  stato  altresì  possibile  identificare  in  maniera scientificamente  corretta  le  tecniche diagnostiche  più  idonee    per  la  valutazione sanitaria  di  tale  specie.  È  stata  infatti dimostrata  la  totale  inutilità  dell'esame radiografico per  la diagnosi di  sublussazione della  spalla  che è  la prima  causa di  ricovero nell'adulto.   Le  principali  implicazioni  di  questo  lavoro sono: 

1. una maggior  conoscenza della  specie osservata  in  un  contesto  particolare poco  studiato  e  analizzato  come quello dei Centri di recupero 

2. divulgazioni  di  utili  e  basilari informazioni  per  gli  addetti  ai  lavori presso  altre  strutture  ed  enti 

ambientalisti  che  svolgono  le  loro attività  a  stretto  contatto  con avifauna selvatica.         

                                                                      MATERIALI E METODI  Nel nostro studio la maggior parte del lavoro è  stato  caratterizzato  dall'analisi  dei  dati numerici relativi agli individui ricoverati.  Come  si  nota  dalla  figura  1,  il  maggior numero  di  ricoveri  si  ha  nel  periodo  estivo, momento  che  coincide  con  l'arrivo  dei  pulli (figura  3)  che  rappresentano  la  fetta  più grande dei  ricoveri  (figura  2).  In  figura  4 un ulteriore  esempio  di  causa  di  ricovero  e relativa terapia (figura 5).  La  parte  più  sperimentale  è  stata caratterizzata  dall'esecuzione  di  esami batteriologici  e  micologici  di  cloaca  ed ingluvie  in  numerosi  pullus  e  dall'esame radiografico  dell'articolazione  scapolo‐omerale di individi adulti. I risultati ottenuti ci hanno  portato  a  trarre  delle  significative conclusioni. 

   

Figura 4 ‐ Adulto di Rondone (Apus apus). Nella fotografia è visibile il risultato dell'intervento di ricostruzione dela superficie portante dell'ala destra per mezzo della tecnica detta imping che consiste nel rimpiazzare le penne mancanti o rovinate con penne buone prelevate 

dalle spoglie di altri individui. 

 

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  CONCLUSIONI  I  dati  salienti  emersi  da  questo  lavorono sono: 

- la  percentuale  di  esemplari appartenenti  alla  specie  rondone ricoverati nel 2009 è stata pari al 8,6% 

del totale dei ricoverati. - L'affluenza  maggiore  si  è  avuta  nel 

periodo  estivo  ed  esattamente  fra giugno e luglio 

- La  causa  maggiore  di  ricovero nell'adulto  è  stata  la  sublussazione della  spalla  che  viene  diagnosticata clinicamente  e  che  non  prevede terapie idonee.  

- L'altra  causa  di  ricovero  dell'adulto, l'avulsione  traumatica  delle  penne, prevede  un'azione  terapeutica efficace  caratterizzata  dalla sostituzione   di penne non  idonee  al volo con altre sane 

- Le principali patologie del pullus sono state  determinate  da  infezioni batteriche da batteri Gramm‐ e lieviti, che prevedono terapia efficace.   

In  conclusione  è  accettabile  affermare  che con  questo  studio  è  stato  possibile standardizzare  l'intera  gestione  della  specie 

rondone: sia per quanto riguarda gli individui pre‐svezzamento  (pulli),  sia  per  quanto riguarda gli individui adulti.       

                       

Figura 5 ‐ Adulto di Rondone (Apus apus) inabile al volo per ablazione traumatica di alcune penne remiganti dell'ala sinistra e 

di gran parte delle penne timoniere 

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SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

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 Time distribution of Common swift (Apus apus)

at CRUMA LIPU Rescue Centre during 2009

0

20

40

60

80

100

120

January February March April May June July August September October November December

mont hs

 Hospedalization causes for Common swift (Apus apus) at CRUMA LIPU

Rescue Centre in 2009

Other cause2

(1%)Unspecified cause

5(2%)

Predation5

(2%)

Debilitation6

(2%)

Impact53

(18%) Nestling227

(75%)

Figura 7 ‐ Cause di ricovero di Rondone (Apus apus) presso il CRUMA nel 2009 

 

Figura 6 ‐ Distribuzione temporale di rondone (Apus apus) presso il CRUMA 

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 I GALLIFORMI COME PET  Tamara Vela Gil1 DVM, MRCVS  1 www.avesexoticasvalencia.com   I galliformi sono stati tenuti tradizionalmente come pollame per la carne e le uova, oppure come  selvaggina.  Recentemente,  invece  li troviamo  anche  come  pet  e  ciò  ha comportato  un  aumento  delle  richieste  di visite  cliniche  su  queste  “nuove”  specie  di animali d’affezione.   GESTIONE DEI GALLIFORMI  1. STABULAZIONE ALL’ ESTERNO Nel caso  in cui questi animali siano  tenuti  in ambiente  esterno  hanno  necessità  di  una spazio  sufficiente  per  camminare  e “razzolare”  nel  terreno.  Il  pollaio,  ovvero l’ambiente  in  cui  questi  animali  trovano rifugio  alla  notte  deve  essere  razionalizzato ovvero  facile  da  pulire  e  ben  areato  per evitare il ristagno dell’ammoniaca. Al  fine  di  proteggere  questi  animali  da eventuali predatori tutte le pareti, il tetto e il pavimento del pollaio devono essere dotati di rete  a  maglia  sottile  o  apposite  reti  da pollaio.  Nelle  regioni  in  cui  gli  inverni  sono rigidi  dovrebbe  essere  attrezzato  il  pollaio con un sistema di riscaldamento al contrario, nelle regioni con climi caldi dovrebbe essere approntato un sistema di condizionamento.  2. STABULAZIONE ALL’ INTERNO I  galliformi  possono  essere  tenuti  anche dentro  casa  ma  è  fortemente  consigliabile che quotidianamente possano avere accesso ad  un’area  esterna  (anche  un  piccolo giardino)  perché  si  possano  muovere, razzolare e fare delle sabbiature.   Lo  spazio  a  loro dedicato,  anche  in  giardino può essere delimitato con una palizzata.  

I  substrati  ideali  per  queste  specie  sono  la carta di giornale,  i pellets di carta riciclata,  il fieno  o  la  paglia  che,  quotidianamente, devono essere puliti e/o sostituiti.   ALIMENTAZIONE DEI GALLIFORMI  L’alimentazione a base di semi non è affatto adeguata  per  i  galliformi  infatti,  la maggior parte  dei  galliformi  tenuti  come  pet  quali  il fagiano comune,  il  fagiano dorato,  il  fagiano di lady Amherst, il tacchino comune, i pavoni e le galline domestiche, sono animali onnivori perciò  è  consigliabile  alimentarli  con  diete commerciali formulate (estruso o pellets) con concentrazioni  variabili  di  proteine,  calcio  e valori  energetici  variabili  a  seconda dell’attitudine  dell’animale  (ovaiole,  da carne, selvaggina) o del particolare momento fisiologico. Durante la stagione riproduttiva o nei  pulcini,  la  miscela  commerciale  deve avere una concentrazione di proteina dal 20‐25%, ed il cibo deve essere somministrato ad libitum. Al di fuori della stagione riproduttiva e  negli  adulti  inattivi  è  sufficiente  con  un livello  di  proteina  dal  16‐20%,  da somministrarsi  varie  volte  nel  arco  della giornata in piccole quantità. Come  integrazione  alle miscele  commerciali dobbiamo  aggiungere  verdure  quali  insalata e  scarti  dell’alimentazione  umana  di  origine vegetale. Come arricchimento ambientale ed allo  stesso  tempo  integrazione  proteica, possiamo fornire periodicamente  lombrichi e tarme della farina. Alcune  specie  di  galliformi  si  nutrono  quasi esclusivamente  di  vegetali,  tra  queste  ci sono:  Il  fagiano  insanguinato,  il  fagiano koklass, e i  tetraonidi.  Tutti  i galliformi devono avere a disposizione del grit con particelle di calibri diversi. L’alimentazione  con  avanzi  di  casa,  deve essere  sconsigliata  ai  proprietari  che intendono  tenere  questi  animali  come  pet poiché  tendono  a  causare  obesità.  Le esigenze  nutrizionali  dei  pappagalli  ed  i galliformi  onnivori  tenuti  come  pet 

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probabilmente  sono  simili  anche  se  sono possibili  alcune  variazioni  in  relazione all’attitudine  dell’animale.  Per  tanto,  le galline  domestiche  alimentate esclusivamente  con  semi  o mais  soffriranno degli  stesse patologie carenziali o da eccessi alimentari  dei  tradizionali  pet  bird  come  gli psittaciformi. Questi squilibri possono quindi causare  patologie  cutanee,  epatiche, cardiache,  renali  (gota  articolare), neurologiche e riproduttive.   GESTIONE SANITARIA Come  qualunque  altro  animale  da compagnia,  anche  i  galliformi  dovrebbero essere sottoposti a visite di controllo almeno una  volta  all’anno. Dai  cinque  anni  in poi,  il controllo  dovrà  includere  almeno  un  esame ematologico completo, un esame radiologico ed  un  esame  ecocardiografico  poiché  i galliformi soffrono con una certa frequenza di malattie cardiovascolari in età adulta.  Per  quanto  riguarda  le  vaccinazioni,  se  le galline  vivono  in  piccoli  gruppi  queste  sono sconsigliabili sia per il costo delle vaccinazioni sia per la difficoltà di esecuzione. Pertanto,  la  Medicina  Preventiva  in  queste specie consiste  

- nell’eseguire un’adeguata quarantena dopo  l’acquisto da eseguirsi  in modo rigoroso  prima  del  contatto  con  il resto del gruppo  

- un  controllo  veterinario  completo annuale, che dovrà includere: 

• Segnalamento ed anamnesi dell’animale: Età, alimentazione, eventuali trattamenti antiparassitari eseguiti, ecc... 

• Visita clinica completa dell’animale: cavità orale, presenza di secrezioni respirazioni anormali, rumori respiratori, esame della cloaca, condizione corporea (il peso esatto dell’animale è importante), condizione del piumaggio, etc... 

• Esame parassitologico delle feci: a fresco e per flottazione. 

• Sverminazione e trattamenti antiparassitari esterni. 

• Dare consigli al proprietario sulla gestione alimentare ed ambientale dell’animale (se è il primo galliforme che hanno o se la specie è diversa dal precedente animale). 

• Dovremmo avvertire i proprietari sulle possibile zoonosi: 

o Tuberculosi (Mycobacterium avium) 

o Salmonellosi  (Salmonella pullorum)  e  colibacillosi (E.coli) 

o Chlamydiosi (Chlamydophila psittaci) 

o Erysipelothrix insidiosa   PATOLOGIE  INFETTIVE  ED  INFESTIVE  DEI GALLIFORMI  PARASSITI INTERNI  Coccidiosi:  

- Eimeria: Nei Galliformi Eimeria è la piú frequente. - Isospora. - Cryptosporidium  spp: Possono colpire alle  galline,  tacchini,  Pavoni  e  fagiani,  e sono  stati  trovati  al  tratto  respiratorio, digerente  ed  ai  reni.  Raramente  è considerato  un  patogeno  primario,  ma opportunista  perchè  colpisce  più gravemente  gli    animali  immuno compromessi.  Si  ritiene    che  non  sia  una zoonosi. 

 Protozoi 

- Histomonas: Molto  frequente. Nei  tacchini  e  pavoni  produce  la “Black  head  disease”.  S’infettano ingerendo  la  larva  del  nematode Heterakis  gallinarum.  Puó  causare tifliti, necrosi epatica e ascite. L’indice di mortalità nei tacchini piccoli è alto. 

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- Trichomonas spp: T.gallinarum e  T.gallinae  .  T.  Gallinarum  colpisce sopratutto le galline domestiche ed ai tacchini, e colpisce  il tratto digerente, nonostante  T.gallinarum  colpisce tutte  le  specie  di  Galliformi  e  si localizza  nella  cavità  orale,  faringe  e tratto  respiratorio  superiore.  Il parásito  causa  infiammazione  e necrosi della mucosa orale, esofagica o  respiratoria  tracheale  con sedimentazione  di  un  materiale caseoso  giallastro  caratteristico.  Il contatto con piccioni non controllati è un fattore di rischio. - Hexamita meleagridis: Colpisce sopratutto  i  tacchini  e  di  solito possono  essere  trovati  nel    tratto digerente superiore. Poco patogenici. 

 Nematodi: 

- Ascaridia spp. - Tenie: per ingestione di ospiti 

intermedi come lumache, vermi o artropodi. 

  PARASITI ESTERNI:  

 Nei galliformi possiamo ritrovare una grande quantità  di  parassiti  esterni,  tra  i  quali  gli artropodi  (Cimex  lecturarius),  i  pidocchi masticatori,  pulci  (Ceratophylus  gallinacea “European chick flea”), zecche (Ixodes ricinus) ed acari (Dermanyssus gallinae). Si può usare l’ivermectina come trattamento preventivo o curativo al dosaggio di 0,2 mg/kg SC.   VIRUS: 

 - Avianpoxvirus:  i  vettori  del  virus 

sono  le  zanzare.  In  zone  con un’alta  concentrazione  di  zanzare si consiglia di vaccinare i pulcini di 10‐14 giorni di età. 

- Herpesvirus: 

o (HPV‐alpha) Laringotracheite  infettiva: colpisce  galline,  fagiani....  e  altri galliformi.  E’  una  malattia respiratoria  a  decorso  acuto.  I sintomi sono soltanto respiratori: tosse,  dispnea,  espettorazione  di materiale  mucoso  e sanguinolento 

o Malattia  di  Mareck: Questo  herpesvirus  causa  una neurite  linfocitica  che  colpisce  i nervi  periferici.  L’animale  può mostrare  paresi  o  paralisi. Possono  trovarsi  tumori  associati al  virus  di  Mareck  in  qualsiasi tessuto,  ma  sono  piú  frequenti nella cute, occhi, muscolatura e le ossa. 

o Paramixovirus‐1  :Causa la  malattia  di  Newcastle.  Le  vie d’infezione  sono  quella  digestiva e  quella  respiratoria.  L’animale puó mostrare  sintomi  che  vanno dalla morte  improvvisa, passando per  la  diarrea  acuta,  a  sintomi nervosi  quali  opistotono, torcicollo,  tremori  e  paralisi. Secondo  il regolamento di polizia veterinaria  questa malattia  deve essere  denunciata obbligatoriamente. 

   MALATTIE BATTERICHE 

 I  galliformi  possono  essere  colpite  da  una varietà  di  malattie  batteriche  come  per esempio: 

- Chlamydophila  spp.:  la  diagnosi segue  un  iter  identico  delle  altre specie,  così  anche  il  suo trattamento. 

- Tubercolosi  aviare:  causata  da Mycobacterium  avium, Mycobacterium  intracellularis  ed altri.  Malattia  cronica 

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granulomatosa.  I  tubercoli  si localizzano  generalmente  nel tratto digerente, fegato e milza. La diagnosi  si  ottiene  attraverso l’esame  anatomopatologico postmortem  degli  organi  colpiti oppure  antemortem  mediante  la colorazione di  Zielh‐Neelsen delle feci. 

- Escherichia coli:  I sintomi possono essere  digerenti,  respiratori, articolari  a  seconda  della    sua patogenicità  e  dello  stato immunitario dell’animale. 

- Salmonella  insidiosa:  Puó  causare anche  problemi  intestinali, respiratori,  malessere  generale, etc...  

  CONCLUSIONI  Lo  stato  di  salute  dei  galliformi  quindi,  non dipenderà  soltanto  della  gestione  sanitaria, ma  da  una  combinazione  tra  la  genetica individuale,  la  gestione  ambientale  e  la corretta nutrizione. È per questo motivo che mantenere  agli  animali  nelle  condizioni adeguate  e  con  un’alimentazione  corretta  è della  massima  importanza  per  garantire  il benessere anche ai galliformi tenuti come pet nelle nostre case.             

                                            

    

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 SECONDO GIORNO 

 DOMENICA 10 OTTOBRE 2010 

                            

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  DIAGNOSI E TRATTAMENTO DI UNA INSOLITA FORMA NEUROLOGICA IN UN FURETTO  VALERIA DEL DUCA1, DVM  1Medico Veterinario  Roma, [email protected]   Anamnesi nel marzo del 2009 è  stato portato  in  visita un furetto albino di 7 anni di nome Birba che presentava  alopecia  bilaterale  estesa  alla zona  dei  fianchi,  della  coda  e  a  parte  del torace,  prurito  intenso,  infiammazioni cutanee,  iperplasia  vulvare,  anoressia, letargia, dimagramento marcato nelle ultime settimane attacchi periodici di nausea che si manifestavano  con  continui masticamenti  a vuoto  ed  ipersalivazione,  atassia,  debolezza del  posteriore  e  da  un  punto  di  vista prettamente  neurologico  manifestava nistagmo,  crisi  convulsive  e  attacchi  di aggressività  alternati  a  paura  rivolti  verso  il vuoto  che  dal  proprietario  venivano interpretate  come  vere  e  proprie "allucinazioni".   Procedure  diagnostiche  e  primo  approccio terapeutico Sono  stati  eseguiti  esami  del  sangue,  lastre ed  ecografia  addominale  per  confermare  il sospetto diagnostico di  insulinoma associato ad iperplasia delle ghiandole surrenali. Dall'ecografia  è  stato  possibile  mettere  in evidenza  la  presenza  di  due  noduli  a  livello della  porzione  pancreatica  di  sinistra  e un’iperplasia  di  entrambe  le  ghiandole surrenali. Le  analisi  del  sangue  hanno  confermato un’ipoglicemia  marcata  associata  ad  un insufficienza renale. Dopo  un  periodo  di  terapia  medica  con iperglicemizzanti quali Prednisolone alla dose di  0,5  mg/kg  ogni  12h  e  Diazzossido  nella 

dose  di  5  mg/kg  2  volte  al  giorno  è  stato consigliato  l'intervento  chirurgico  per asportare  i  noduli  pancreatici  ed eventualmente,  qualora  le  condizioni  del soggetto  l'avessero  ritenuto  possibile,  di intervenire anche su una delle due ghiandole surrenali. Durante l'intervento si è deciso di asportare i noduli pancreatici e la ghiandola surrenale di sinistra. Dopo un  iniziale miglioramento  il  furetto ha presentato  di  nuovo  i  sintomi  ascrivibili  ad iperadrenocorticismo  per  cui  si  è  deciso  di trattarlo  con  una  terapia  medica rappresentata  da  somministrazioni sottocutanee  mensili  di  Leuprorelina,  una sostanza che antagonizza il GNRH, bloccando la  produzione  di  LH  e  FSH  indotta  dalla persistente  stimolazione  dell’ipofisi conseguente  al  feedback  negativo,  nella posologia di 100 Ui/kg. Al  controllo  successivo,  nonostante  la terapia,  Birba  continuava  a  presentare  dei sintomi ascrivibili sia ad iperadrenocorticismo sia,  soprattutto,  ad  una  compressione intracranica, vale a dire convulsioni, cambi di comportamento  repentino,  nistagmo  e difficoltà  ad  iperestendere  la  testa  verso l’alto. Le  analisi  del  sangue  e  l'ecografia nuovamente  effettuate  non  hanno  rilevato anomalie  associabili  ai  sintomi  riferiti  ed osservabili. Si  è  quindi  deciso  di  proporre  un’ulteriore indagine  diagnostica,  rappresentata  dalla risonanza  magnetica  per  escludere  o confermare un problema all'encefalo.   La risonanza magnetica  La  risonanza magnetica produce  immagini di sezioni  del  corpo  animale  ed  umano visualizzate  su  monitor  e  prodotte  grazie all’aiuto di sofisticati computer. Il principio del suo funzionamento è piuttosto semplice:  l’organismo  è  costituito  per  due terzi di acqua, la cui quantità varia a seconda dei  tessuti  e  delle  loro  eventuali  condizioni 

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patologiche.  Un  potente  campo  magnetico esterno  costringe  le  molecole  d’acqua  del corpo  a  cambiare  stato  energetico, “orientandole”  secondo  le  linee  di  forza  del campo magnetico prodotto, come gli aghi di una bussola. Se i protoni di idrogeno presenti nei  tessuti vengono  colpiti da un’onda  radio di  frequenza  adatta  a  farli  vibrare,  essi entrano in risonanza. Nel tornare allo stato di equilibrio emettono a loro volta un segnale in forma  di  onde  elettromagnetiche  che rappresenta  la  base  della  generazione  delle immagini della risonanza magnetica. I passaggi di  livelli energetici per tornare allo stato  originario  vengono  definiti  “tempi  di rilassamento” T1 e T2. Al tempo T1 vengono messi in evidenza per lo più il tessuto adiposo e  le  strutture  parenchimatose  mentre  al tempo T2 si evidenziano i liquidi. Le  sequenze  Fluid‐Attenuated  Inversion Recovery (FLAIR) forniscono  immagini pesate in T2 con  soppressione del  segnale  liquorale che  appare  ipointenso,  sono  sequenze preferite  in umana per evidenziare  le  lesioni da sclerosi multipla. Il mezzo di contrasto generalmente serve per identificare,  a  seconda  della  quantità  che viene  captata,  una  infiammazione  o,  per alcuni tumori, il grado di differenziazione.   La risonanza magnetica di Birba Dall’esame  effettuato  è  stato  possibile evidenziare  un’area  di  segnale  anomala  a livello del recesso pineale del terzo ventricolo iperintenso  nelle  sequenze  pesate  in  T2  ed iso‐ipointenso nelle sequenze pesate  in T1 e Flair. Dopo  la  somministrazione  di  mezzo  di contrasto  paramagnetico  si  è  rilevato  una lieve captazione superiore alla norma a carico delle  meningi  adiacenti  alla  lesione precedentemente descritta. La  risonanza magnetica metteva  in evidenza un  area  edemigena  a  livello  della  ghiandola pineale  nel  cui  contesto  non  si  poteva escludere una massa di tipo neoplastico.  

 Cenni  di  anatomia  e  fisiologia  della ghiandola epifisaria L’epifisi  è  una  piccola  struttura  ghiandolare endocrina  a  forma  di  pera,  connessa all’estremità posteriore del terzo ventricolo e accolta  nel  solco  longitudinale  che  separa  i tubercoli  quadrigemellari  anteriori.  Si presenta  alla  descrizione  con  un  corpo  di forma ovoidale, un apice  libero ed una base vincolata alla volta del terzo ventricolo. Nella base  si  spinge  un  diverticolo  del  terzo ventricolo  che  forma  il  recesso  epifisario delimitato  da  due  peduncoli;  di  questi,  il primo raggiunge la commessura abenulare, il secondo quella posteriore. L’epifisi  origina,  durante  il  periodo embrionale,  come  estroflessione  della  volta del  terzo  ventricolo.  Le  sue  cellule  si differenziano  presto  in  elementi  di  aspetto epiteliale  che  appaiono  inframezzati  a mesenchima  da  cui  deriva  un  connettivo molto vascolarizzato.   Struttura dell’epifisi La  ghiandola  pineale  è  avvolta  dalla  pia madre  che  le  fornisce  una  sottile  capsula connettivale  da  cui  hanno  origine  alcune trabecole; queste  suddividono  il parenchima in  piccoli  lobuli.  Verso  la  base  lo  stroma  si riduce ed è sostituito da  formazioni gliali. Le cellule  principali,  o  pinealociti,  derivano  dal neuroectoderma  e  producono  l'ormone melatonina  che  regola  il  ritmo  circadiano sonno‐veglia,  reagendo  al  buio  o  alla  poca luce.  La melatonina è prodotto a partire dal neurotrasmettitore  serotonina  (5‐idrossi‐triptamina)  per  N‐acetilazione  e  ossi‐metilazione.  La  ghiandola  pineale  secerne questo  ormone  solo  di  notte:  poco  dopo  la comparsa  dell'oscurità  le  sue  concentrazioni nel  sangue  aumentano  rapidamente per poi ridursi  gradualmente  all’approssimarsi  del mattino.  L'esposizione  alla  luce  inibisce  la  sua produzione in misura dose‐dipendente. La  melatonina  sembra  antagonizzare  gli ormoni gonadotropi dell’ipofisi  sopprimendo 

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la  prolattina  e  il  progesterone  e  quindi modererebbe la loro azione sulle gonadi; per questa  sua  azione  l’epifisi  sembra rappresentare uno dei principali  responsabili delle variazioni ritmiche dell'attività sessuale, sia giornaliere sia stagionali.   Tumori dell’epifisi Accanto  ai  pinealomi,  pinealoblastomi  e pinealocitomi,  sviluppatisi  da  elementi cellulari  propri  dell’epifisi,  si  possono osservare  gliomi  (tumori  che istogeneticamente  prendono  origine  dalle cellule della macroglia) teratomi  (tumori che originano da cellule embrionali totipotenti) e germinomi simili ai germinomi delle gonadi o mediastinici. I  germinomi  possono  anche  svilupparsi  a livello dell’ipotalamo dove sono stati descritti con la definizione di “pinealociti ectopici”.   Diagnosi e terapia  Quindi come ci comportiamo con Birba? La  sintomatologia da  iperadrenocorticismo e la  sintomatologia  da  compressione endocranica  a  questo  punto  sarebbero  potute derivare dalla lesione endocranica. Che tipo di approccio possiamo utilizzare? In umana le neoplasie pineali sono molto rare e vengono  trattate  con una  terapia  radiante cercando  di  evitare  l’approccio  chirurgico data la difficoltà di accesso all’epifisi. In veterinaria che alternative abbiamo? Esistono  studi  fatti  da  Jorge  Mayer  e  da Eguchi  e  Kawamoto  et  alt.  sull’utilizzo  della cabergolina  per  il  trattamento  di  un macroadenoma ipofisario in dei ratti.   La Cabergolina La  cabergolina  è  un  derivato  ergolinico  che presenta  una  potente  e  protratta  attività antiprolattinica  dovuta  allo  stimolo  diretto dei  recettori  dopaminergici  (D2  )  presenti sulle cellule prolattino secernenti.  

 Diagnosi differenziali Infiammazione. Edema vasogenico. Neoplasie  originatesi  dal  tegmento mesencefalico. Neoplasie originatesi dal terzo ventricolo. Germinoma simile a quello delle gonadi. Teratoma. Pinealoma ectopico. Metastasi  di  tumori  primari  localizzati nell’adenoipofisi. Adenoma  ipofisario  secernente  (nei  cani spesso i tumori prolattino secrenenti possono essere  composti  da  poche  cellule  non evidenziabili alla risonanza magnetica). Neoplasie  del  collicolo  superiore,  dello splenio,  dell’acquedotto  cerebellare,  del cervelletto,  o  comunque  di  quelle  strutture adiacenti la ghiandola pineale.   Terapia La  terapia  è  stata  cominciata immediatamente con  la  somministrazione di cabergolina nella dose di 0,6 mg/Poq 72. Alla  visita  di  controllo,  effettuata  quattro settimane  dopo  l’inizio  della  terapia, abbiamo  potuto  constatare  una  netta remissione  della  sintomatologia  neurologica e dei  sintomi  legati all’iperadrenocorticismo. Potevamo  infatti  notare  l’assenza  totale  di crisi  convulsive  e  nistagmo,  la  ricrescita  dei peli sulla coda e sull’addome e la diminuzione di volume della vulva, nonostante la mancata somministrazione  della  dose  mensile  di Lupron. Ai  controlli  successivi  le  condizioni dell’apparato  tegumentario  e  riproduttivo sono  andate  nettamente  migliorando  fino alla totale ricrescita del pelo. Il  furetto  ha  avuto  un’ottima  qualità  di  vita per altri dieci mesi fino a quando, nell’ultima visita  svoltasi  nel  settembre  del  2010,  un ipoglicemia marcata e un’insufficienza renale ormai  irreversibile  hanno  costretto  i proprietari ad optare per l’eutanasia.  

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 Conclusioni  Non  è  stato  possibile  eseguire  l’esame autoptico,  ma  la  remissione  dei  sintomi  è stata eclatante. Probabilmente la cabergolina può  aver  agito  su  più  fronti:  riducendo l’eventuale  tumore  come  se  fosse  un prolattinoma  ipofisario  (diminuendo  quindi l’ingombro  fisico  all’interno  della  scatola cranica)  antagonizzando  gli  effetti dell’iperprolattinemia  come  dopamino agonista,  e  come  tale  agendo  a  livello centrale favorendo la liberazione della stessa dopamina.  Bibliografia:  

1. Eguchi K, Kawamoto K, Uozumi T, Ito A, Arita K, Kurisu K.: Effect of cabergoline, a dopamine agonist, on estrogen‐induced rat pituitary tumors: in vitro culture studies. 1995.  

2. Gavelli Lentini: Guida alla diagnostica per immagini con le tecniche computerizzate. Piccin, volume 1, 1999, pp 177‐180. 

 3. James G. Fox, dvm: Byology and 

diseases of the ferret. Lippincott Williams & Wilkins, second edition, 1998, pp 71‐102. 

 4. John H. Lewington: Ferret Husbandrry 

medicine and surgery. Saunders Elsevier, second edition, 2007, p 357. 

 5. Jorg Mayer, DVM, MSC, Julie 

Decubellis, DVM: Use of cabergoline in the treatment of a pituitary macroadenama in a rat. 2009. 

 6. G. V. Pelagalli‐V. Botte: Anatomia 

veterinaria sistematica e comparata. Edi Ermes, terza edizione, p 345. 

 

7. Prontuario terapeutico veterinario. EV, quinta edizione, 2009, p 91. 

                                              

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  NUOVE METODOLOGIE DIAGNOSTICHE NEL CAMPO DEI VOLATILI ORNAMENTALI  Dania Bilato1, DVM  1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD)   In  questi  ultimi  decenni  abbiamo  potuto assistere  ad  un  imponente  impulso propositivo  con  conseguente  sviluppo  della diagnostica  di  laboratorio  applicata  alla Medicina  Veterinaria.  Questo  impulso  è ascrivibile  principalmente  alla  maggiore  e consapevole  richiesta  da  parte  dei  colleghi Medici Veterinari, ma anche allo sviluppo ed acquisizione  di  nuove  tecnologie  e metodologie  in  campo  diagnostico. Attualmente  in  alcuni  settori della Medicina Veterinaria  è  già  presente  una  ampia  ed ottima  offerta  diagnostica,  purtroppo  per altri  settori,  tra  cui  il  comparto  dei  volatili ornamentali  tale  offerta    risulta  essere ancora  carente  per  alcuni  aspetti.  Se analizziamo  attentamente  tale  settore possiamo  notare  alcune  importanti differenze. Per esempio, i psittaciformi hanno rappresentato  e  tuttora  rappresentano  la categoria di volatili ornamentali per  la quale sono state pervenute e vengono formulate la maggior parte delle  richieste.  Infatti  ad oggi queste  sono  tra  le  specie  che  possono beneficiare  del  più  ampio  ventaglio  di possibilità diagnostiche di tipo laboratoristico per  le  loro  principali  malattie,  basta  solo ricordare  l’utilizzo  della  biologia molecolare per  la  diagnostica  di  importanti  patologie quali  Chlamydiosi,  Polyomavirosi,  PBFD (Psittacine  Beak  and  Feather  Disease)  e  la malattia di Pacheco. Tutt’altra cosa è  invece rilevabile  in  altri  comparti  specializzati  o  di nicchia della medicina aviare ornamentale tra cui  possiamo  ricordare,  il  comparto  dei passeriformi,  dei  turdidi  e  dei  falconiformi, 

dove  però  la  richiesta  diagnostica  e l’interesse  per  tali  specie  è  in  costante aumento.  Si  sta  comunque  cercando  di sopperire  a  tale  carenza  di  offerta laboratoristica  attraverso  l’applicazione  e  lo studio di nuove metodiche anche grazie alla collaborazione dei colleghi di campo.  In  particolare  l’attività  diagnostica laboratoristica  proposta  nel  settore  dei volatili  ornamentali  presso  l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, si avvale  di  diverse  metodiche  già  impiegate con  ottimi  risultati  in  altre  specie  aviarie  o animali di interesse zootecnico. Lo sviluppo o l’applicazione  di  una  nuova  metodica necessita  di  un  impegno  di  risorse  che  i settori  zootecnici  possono  naturalmente sostenere,  mentre  le  specie  non convenzionali  considerate  minori  hanno sicuramente  minori  possibilità.  Anche  se, come  dimostrato  dal  settore  degli psittaciformi,  le  possibilità  diagnostiche possono  essere  sviluppate  anche  per  uccelli di tipo ornamentale.  Tuttora  l’attività  diagnostica  nell’ambito  del settore  dei  volatili  ornamentali  necessita sicuramente    di  nuove  metodiche  e  nuove analisi  che  facilitino  il  Medico  Veterinario Aviare  nel  percorso  diagnostico, incrementando  in  tal  modo  il  livello  di efficacia  ed  efficienza  dello  stesso. Sicuramente  per  ottenere  tali  risultati occorre tenere in debito conto le difficoltà di campionamento  in  alcune  specie,  come  ad esempio,  il  prelievo  ematico  nelle  specie aviarie di piccola taglia. Per assurdo, potremo immaginare  la  possibilità  di  espansione  di metodiche  sierologiche  per  specie  quali  il colibrì,  dove  metodiche  su  campioni  di sangue forse non sono nemmeno proponibili. Per tale motivo sarebbe necessario ed utile lo sviluppo  di metodologie  che  permettano  di ottenere  la  diagnosi  attraverso  l’analisi  di campioni di differenti matrici e strettamente in  funzione  della  specie  aviare  implicata, come  tamponi  faringei,  cloacali  o  deiezioni, campionamento  dell’aria  stessa dell’allevamento,  sicuramente  di  più 

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semplice  raccolta.  Per  questa  ragione  una stretta  collaborazione  tra  clinici  e laboratoristi  dovrà  essere  sempre  più sviluppata. La diagnostica di  laboratorio è una disciplina molto  vasta  che  studia  l’applicazione  di differenti metodologie  cercando  di  valutare le performance di determinati test. Ogni test diagnostico presenta pregi e  limiti  in  termini di  applicabilità,  sensibilità,  specificità,  che dovranno  essere  opportunamente  presi  in considerazione  per  la  formulazione  della diagnosi.  Per  esempio,  le  modalità  di  prelievo  e trasporto  dei  campioni  costituiscono  un punto  critico  per  alcune metodiche,  poiché un  errato  campionamento  o  trasporto potrebbe  inficiare  la  corretta  applicazione della metodica compromettendo o alterando l’esito diagnostico con conseguenti risvolti di facile  immaginazione.  Per  tale motivo  per  il Clinico, risulta essere molto utile comunicare al  laboratorio  il  proprio  sospetto  ai  fini  di permettere  al  Veterinario  laboratorista  di consigliare  la  modalità  di  prelievo  e  di trasporto più adeguate, ed  inoltre  le  indagini e  le  metodiche  più  idonee  per  quel determinato  sospetto  diagnostico.  La conoscenza  dei  limiti  delle  prove,  delle possibilità  diagnostiche  e  delle  modalità  di conferimento  dei  campioni  deve  far  parte delle competenze del Medico Veterinario che si  occupa  di  specie  aviari  non  convenzionali poiché  lo pone  in condizioni di aumentare  le sue  capacità  e  possibilità  diagnostiche attraverso l’utilizzo appropriato e specifico di determinati test. La collaborazione tra Medici Veterinari  clinici  e  laboratoristi  può  inoltre permettere  lo  sviluppo  e  l’approfondimento di  nuove  tematiche  e  aree  di  ricerca, cercando  di  migliorare  i  test  diagnostici  a disposizione  per  determinate  e  particolari specie.  Per  tali  motivi  il  laboratorio  diagnostico specializzato  costituisce  per  il  Medico Veterinario che si occupa di clinica un valido ausilio  diagnostico  che  se  opportunamente utilizzato può anche, per  le specie aviari non 

convenzionali,  rappresentare  un  punto  di riferimento,  di  confronto  e  di  supporto  alla diagnosi.  Pertanto  il  collega  libero professionista  dovrebbe  sfruttare  le potenzialità  del  laboratorio  ed  interagire attivamente  con  esso,  manifestando l’interesse  verso  lo  studio  di  determinate patologie o manifestazioni  cliniche al  fine di sviluppare metodiche più adeguate. In conclusione  il  laboratorio diagnostico, è a nostro  parere  un  valido  strumento  a disposizione  del Medico  Veterinario  Clinico, ma  come  tutti  gli  strumenti  questo  dovrà essere  utilizzato  in  modo  consapevole  ed  appropriato. Recentemente l’approfondimento e lo studio di  specifiche  tematiche  sanitarie  suggerite direttamente  da  Voi  clinici,  ha  permesso  di sviluppare  e  migliorare  un  approccio diagnostico  di  tipo  laboratoristico  nei confronti  di  determinate  patologie  quali  ad esempio:  la Circovirosi dei passeriformi e dei columbiformi,  l’Atoxoplasmosi,  la  Clamidiosi e  la Proventricolite Dilatativa, oltre  che  altri studi  con  conseguente  aumento  delle conoscenze  in  ambito  batteriologico,  parassitologico e virologico. E’ necessario quindi un approccio diagnostico specialistico  per  l’approfondimento  delle competenze  sanitarie e  lo  sviluppo di nuove tecniche  di  laboratorio.  Metodiche  che permettano  un  aumento  complessivo  della sensibilità  nei  confronti  di  particolari patologie.  Rimane  quindi  a  Voi  colleghi  liberi professionisti  la  scelta  di  utilizzare  il laboratorio in modo a Voi più utile.             

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  APPROCCIO AL TOPO E AL RATTO COME ANIMALI DA COMPAGNIA  Cristiano Papeschi1, DVM  1 Università degli Studi della Tuscia, Viterbo 

 Ormai il mondo degli animali esotici è stato, e ne  siamo  lieti,  invaso  da  quasi  ogni  specie possibile  ed  immaginabile.  In  questo panorama si stanno  inserendo anche animali un  tempo  considerati  “infestanti”  ma  che, osservati sotto un’altra ottica, nulla hanno da invidiare  ai  più  inflazionati  criceti,  cincillà  o gerbilli.  Il  topo  ed  il  ratto  sono  appartenenti  al sottordine  Sciurognati,  fam.  Muridae, sottofamiglia Murinae, gen. Mus e Rattus, di cui  le  specie maggiormente  utilizzate  come pet  sono  il  Mus  musculus,  Rattus  rattus  e soprattutto Rattus norvegicus. Questi animali non sono solo ottimi soggetti da  compagnia  ma  spesso  vengono  allevati anche per l’alimentazione di rettili e rapaci.   IL TOPO  Particolarità anatomiche e fisiologiche  La  lunghezza del corpo, coda esclusa, è di 6‐12 cm, mentre quest’ultima può arrivare fino a  10  cm.  Il  colore  del  pelo  varia  dal  bianco (albino)  fino  al  grigio  scuro  o  brunastro  e  il peso corporeo dell’adulto è compreso tra i 20 e i 50 g. Le orecchie sono piccole e gli occhi di colore nero, ad eccezione dei topi albini in cui assumono un colore rosso dovuto all’assenza genetica di pigmentazione.  A seguito delle ridotte dimensioni corporee il topolino  possiede  un  metabolismo  molto elevato  con  frequenza  cardiaca  (325‐780/min)  e  respiratoria  (60‐220/min) anch'esse molto  elevate  e  una  temperatura corporea  compresa  tra  i  36,5  e  i  38°C.  La formula dentaria è:  I 1/1, M 3/3  (I =  incisivi, 

M = molari), con un totale di 16 denti. Ha un diastema lungo per la mancanza di premolari e canini.  Il  topo è un animale onnivoro e gli incisivi  sono  a  crescita  continua  che  viene naturalmente  contenuta  mediante  un consumo  costante  delle  superfici masticatorie.  Il  canale  inguinale  permane aperto  anche  nell’adulto,  per  cui  i  testicoli possono essere presenti nello scroto oppure ritenuti  in addome.  Il torace è provvisto di 3 paia di mammelle mentre  l’inguine di 2 paia. Lo  stomaco  risulta  diviso  in  due  parti funzionali: una secretoria ghiandolare ed una non ghiandolare. In  virtù  della  sua  attività  prevalentemente notturna,  il Mus musculus  non  ha  una  vista particolarmente  acuta  mentre  le  altre capacità  sensoriali  (udito,  gusto  ed  olfatto) sono  molto  più  sviluppate.  In  particolare l’udito  è  in  grado  di  percepire  un  ampio range  di  ultrasuoni  e  l’olfatto  di  captare anche a grande distanza  i  feromoni utilizzati comunemente per la comunicazione. Il  sessaggio  si  effettua  sul  rilievo  della presenza  dei  capezzoli  (ben  visibili  nella femmina)  e  sulla  distanza  ano‐genitale (distanza tra l’ano e gli organi genitali esterni) che nel maschio è circa 1,5‐2 volte rispetto a quella della femmina.    

                                              

Figura 8 ‐ Maschio 

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 La vita riproduttiva di una femmina dura fino a  7‐18 mesi  con  6‐10  figliate.  Il  topo  è  una specie  poliestrale  continua  (ha  più  calori  in successione) per  cui è  in grado di  riprodursi durante tutto l’anno. Il primo estro si ha a 28‐40 giorni ma è meglio aspettare almeno fino ai  50  giorni  di  età  per  il  primo accoppiamento.  Un  animale  troppo  giovane potrebbe essere ancora non adeguatamente sviluppato;  un  accoppiamento eccessivamente  precoce  ne comprometterebbe  la  vita  riproduttiva  oltre a determinare un sottosviluppo per l’animale stesso  e  rischio  di  morte  per  i  feti.  Al contrario un accoppiamento  tardivo  (oltre  le 10  settimane)  può  comportare  distocie (problemi  di  parto),  saldatura  della  sinfisi pubica,  infarcimento di grasso del canale del parto,  agalassia  (mancata  produzione  di latte) per mancato  sviluppo della mammella e cisti ovariche.  Dopo  l'accoppiamento  la  permanenza  del tappo  vaginale  (secrezione  delle  ghiandole sessuali accessorie del maschio) dura per 16‐24 ore per  cui  la  femmina può  fare un  solo accoppiamento  al  giorno.  L'eiaculazione  è sicura solo quando il maschio cade sul fianco. Il  ciclo dura 4‐5  giorni  con  l'estro di 12 ore. Eccetto l'estro post partum (14‐28 ore dopo il parto)  non  ci  sono  altri  calori  durante  la lattazione e se  l'estro post partum non viene sfruttato il ciclo riprenderà 2‐5 giorni dopo lo svezzamento.  

 Femmine  allevate  in  gruppo  ed  in  assenza del  maschio  tenderanno  a  non  andare  in calore  ma  a  seguito  dell’introduzione  del maschio  il  calore  dovrebbe  insorgere  dopo circa  72  ore  (effetto  Whitten).  Una pseudogravidanza  può  allungare  il  periodo tra  due  estri  successivi.  Intorno  ai  13  giorni dall’accoppiamento  si  inizia  a  riscontrare un apprezzabile  aumento  di  peso  e  i  feti diventano  palpabili.  Allattamento  e gravidanza  simultanea  allungano  la gravidanza  successiva di 3‐5 o più giorni per ritardo nell'impianto embrionale. La placenta è  di  tipo  emo‐coriale  quindi  permette  il passaggio  di  anticorpi  al  feto  prima  ancora dell’assunzione  del  colostro.  La  produzione ottimale di piccoli (10‐12) si ha tra la seconda e  l'ottava gravidanza.  I piccoli nascono dopo 19‐21 giorni e sono glabri e ciechi.  Il  peso  alla  nascita  è  di  0,75‐2,0  g.  Le  cure parentali  sono  frequenti  ed  attente  e  se  la temperatura  ambientale  è  troppo  bassa  la madre  ricopre  i  piccoli  col  proprio  corpo.  Il pelo  inizia  a  crescere  già  dal  giorno successivo  al  parto  e  dopo  il  10‐12°  giorno ricoprirà  tutto  il  corpo.  I  topolini  vengono svezzati  a  21  giorni  salvo  che  la  cucciolata non  sia  troppo  numerosa  o  i  piccoli  poco sviluppati;  in  tal  caso  la  durata dell’allattamento  potrà  protrarsi  fino  al  28° giorno di vita.  I  topolini, ai  fini  riproduttivi, possono essere allevati  in  colonia,  in  monogamia  o  in poligamia.  Nella  colonia  vengono  tenuti insieme un maschio e 2‐6 femmine e i piccoli tolti  dopo  lo  svezzamento.  La  monogamia consiste  nel  tenere  sempre  insieme  un maschio  e  una  femmina  e  i  piccoli  tolti  allo svezzamento.  La  poligamia  consiste  nel tenere  insieme un maschio con 2‐6 femmine e  togliere  le  femmine  prima  del  parto. Colonia  e  monogamia  riescono  a  sfruttare l'estro  post  parto  in  quanto  rilevato direttamente  dal  maschio.  Per  sfruttare  il primo  calore  anche  nel  metodo  di allevamento  di  tipo  poligamico  le  femmine dovrebbero essere  riportate dal maschio  tra le  entro  le  14‐28  ore  dopo  il  parto, 

Figura 9 ‐ Femmina 

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mantenute  sotto  osservazione  al  fine  di verificare  il  corretto  svolgimento dell’accoppiamento  con  accettazione  del maschio  da  parte  della  femmina,  e, successivamente, restituite ai piccoli.   Alimentazione  In genere l'alimentazione dei topi come pet è a base di pellettati appositamente  formulati, semi  (mais,  avena,  frumento, miglio,  orzo  e girasole  con  attenzione  a  quest’ultimo  in quanto  carente  in  calcio  e  ricco  in  grassi  e colesterolo), e alimenti fioccati. La  dieta  può  essere  variata  aggiungendo  un pochino di frutta, di verdura, di pane secco o qualche  biscotto.  Da  tener  presente  che, spesso, il topo è portato a diffidare o rifiutare i cibi nuovi.  Il consumo di cibo è  in  funzione del  contenuto energetico e  si aggira  intorno ai 3‐5 grammi al giorno.    FABBISOGNO 

 GRASSI  PROTEINE 

Mantenimento  

4‐5%  14% 

Accrescimento  7‐11%  17‐19%  

 

Figura 10 ‐ Fabbisogni energetici del Topo 

  Nel  topo  la  coprofagia  (l’assunzione  delle feci)  è  un’ulteriore  fonte  di  nutrimento.  Il fabbisogno  giornaliero  d’acqua  si  aggira intorno  ai  3‐6  ml  al  giorno,  a  cui  si  può aggiungere  cloro  o  aceto  per  evitare  le proliferazioni  batteriche.  Sia  acqua  che  cibo devono  essere  forniti  a  volontà.  L’acqua viene  comunemente  dispensata  attraverso bottiglie  in  plastica  con  beccuccio  in  acciaio mentre  il  cibo attraverso piccole mangiatoie (di  solito  in  plastica).  Sia  abbeveratoi  che mangiatoie devono essere mantenuti puliti e disinfettati costantemente.  

Manipolazione  Innanzitutto  è  bene  tener  presente  che  la cosa  migliore  da  fare  è  abituare  il  nostro topolino sin da piccolo ad essere manipolato. Un  animale  adulto  e  non  abituato  ha  la tendenza a diventare aggressivo e a mordere; questo  aspetto  non  deve  essere sottovalutato  anche  nell’animale  spaventato o disturbato da influenze esterne.  Tenendo  bene  a  mente  che  il  topo  è  una specie  territoriale  è  consigliabile,  prima  di effettuare  qualunque manipolazione,  tirarlo fuori  dalla  gabbia.  Un  animale particolarmente  tranquillo  e  fidato  può essere sollevato semplicemente mettendo  le mani  a  coppa.  Un  altro  sistema  più  sicuro consiste nell’afferrare,  con pollice ed  indice, delicatamente  il  topino vicino all’attaccatura della  coda  poichè  la  punta  spesso  non  è  in grado  di  sopportarne  il  peso  e  si  corre  il rischio di arrecare danni all’animale.  Nel  caso  di  manipolazioni  e  pratiche  che richiedono  l’immobilizzazione  dell’animale  si può procedere in questa maniera: afferrare il topolino per la base della coda ed avvicinarlo alle  maglie  della  gabbia  in  modo  da permettergli di aggrapparsi con gli anteriori e mantenendo  i  posteriori  sollevati;  dopo  di chè  prendere  la  plica  cutanea  dorsale  del collo  tra pollice ed  indice della mano destra (sinistra per  i mancini) e posizionare  la coda tra le restanti tre dita della stessa mano ed il palmo. Questa  tecnica, utile  soprattutto  con soggetti  molto  aggressivi  o  nel  caso  di pratiche  fastidiose  come  medicazioni  o ispezioni  sul  corpo dell’animale,  ci permette di  immobilizzare  il  topolino  lasciando  libera una mano.   Housing  La  misura  minima  consigliata  per  il pavimento della gabbia nel D. Lvo 27 gennaio 1992,  n°  116,  a  cui  si  fa  riferimento  per  il benessere  degli  animali  da  laboratorio,  è  di 200  cm2 per una  coppia di  adulti o per una 

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madre  con  la  nidiata  fino  allo  svezzamento. Nel caso  invece di animali allevati  in gruppo (più  di  due  soggetti)  si  consiglia  una superficie  minima  di  almeno  80  cm2/capo. Pertanto qualunque dimensione della gabbia superiore  a  queste  indicazioni  non  può  che migliorare  le  condizioni  di  vita  dei  topolini. L'altezza  minima  della  gabbia  deve  essere almeno di 12 cm per consentire all’animale di assumere  la  stazione  eretta.  In  commercio esistono  diverse  tipologie  di  gabbia  alcune delle  quali  sono  molto  simili,  per  forma  e dimensione,  a  quelle  utilizzate  per l’allevamento di piccoli volatili, quali canarini e  pappagallini,  che  permettono  inoltre all’animale di arrampicarsi. Vasche  in vetro o plastica  o  addirittura  dei  piccoli  acquari rappresentano  un  ottimo  ricovero  purché dotati di pareti  sufficientemente  alte  e  lisce oppure dispongano di un coperchio in maglia metallica  (preferibilmente  in  acciaio  e  con maglie  sufficientemente  strette).  In  questo tipo  di  alloggiamenti  è  importante  garantire una buona aerazione. Una  colonia non dovrebbe  essere  composta da  più  di  30  soggetti  altrimenti  si  possono verificare  problemi  di  ordine  gerarchico  con conseguente  aumento dello  stress.  Inoltre  il sovraffollamento  favorirebbe  la  comparsa di comportamenti  aggressivi.  I  topi  allevati singolarmente  sono  più  ostili  verso  i conspecifici rispetto a quelli abituati alla vita sociale.  Per  la  lettiera  si  possono  utilizzare segatura o meglio trucioli fini di legno purché microbiologicamente puro e atossico  (pino e cedro,  ad  esempio,  risultano  altamente nocivi).  Per  il  nido  si  possono  utilizzare  trucioli  di carta  o  cotone  idrofilo.  E’  consigliabile utilizzare  gabbie  con  il  pavimento  pieno  in materiale  plastico  piuttosto  che  quello  in grigliato  in  quanto  l’alta  conducibilità  del metallo determina dispersione termica e può provocare  problemi  nella  termoregolazione soprattutto  nei  piccoli.  E’  necessario,  per quanto  possibile,  fornire  un  microclima adeguato  ed  evitare  fluttuazioni  dei parametri ambientali: 

  ∙   temperatura di 20‐24°C  ∙   umidità relativa 50‐60%  ∙   ricambi d’aria circa 15/ora  ∙     fotoperiodo  (alternanza  luce/buio) 14 ore 

di luce e 10 ore di buio.   Il topo si termoregola dilatando le vene della coda e quelle delle orecchie e sudando dalle ghiandole  sudoripare  poste  tra  i  cuscinetti plantari.   E’  possibile,  anzi  consigliabile,  inserire  nella gabbia “giocattoli”   quali una  ruota girevole, un  piccolo  tubo  (di  diametro  adeguato, possibilmente maggiore di 5 cm), una casetta di  plastica  o  semplicemente  il  tubetto  in cartone dei rotoli di carta da cucina  in modo da  fornire  all’animale  dei  passatempi  ed evitare  così  la  comparsa  di  comportamenti “stereotipati” o di autolesionismo. Per il nido si  può  utilizzare  una  cassettina  posta internamente  alla  gabbia  ma  non  è indispensabile  in  quanto,  in  mancanza  di esso,  la  femmina  gravida  ricaverà  una confortevole “nursery” scavando una piccola buca  nel  materiale  della  lettiera.  E’ necessario pulire quotidianamente  la  gabbia rimuovendo  le deiezioni e  la  lettiera bagnata dalle urine e provvedere periodicamente alla disinfezione  delle  superfici  interne  con frequenza  variabile  a  seconda  delle dimensioni  della  gabbia  e  del  numero  dei soggetti  presenti.  In  media  si  consiglia  la disinfezione una volta alla settimana facendo attenzione al risciacquo accurato e completo prima della ricollocazione degli animali.             

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RATTO  Particolarità anatomiche e fisiologiche  Il  ratto  ha  caratteristiche  anatomiche molto simili  al  topo  dal  quale  differisce fondamentalmente  per  l’assenza  della cistifellea  e  per  le  dimensioni  corporee.  La lunghezza del corpo varia dai 15 ai 25 cm ed è  raddoppiata  se  si  considera anche  la  coda che misura da  10  a  25  cm.   A  seguito  delle ridotte dimensioni corporee  il ratto possiede un  metabolismo  piuttosto  elevato  con frequenza  cardiaca  (250‐450/min)  e respiratoria  (70‐115/min)  anch'esse  molto elevate  e  una  temperatura  corporea compresa tra i 37,5 e i 38,5°C. Testa:  i  denti  sono  in  numero  di  16  con incisivi  a  crescita  continua  e  la  formula dentaria è I 1/1; C 0/0; Pm 0/0; M 3/3: per la mancanza  di  canini  e  premolari  il  ratto possiede un diastema molto  lungo.   La sinfisi mandibolare  rimane parzialmente articolata.  Il  muso  è  allungato  e  le  orecchie  sono proporzionalmente  piccole;  all’interno dell’orbita oculare è presente  la ghiandola di Harder che produce un secreto di color rosso ricco di porfirine e lipidi che lubrifica gli occhi: in condizioni  fisiologiche normali  il secreto è raramente  rinvenibile  in  quanto  l’animale provvede  a  rimuoverne  l’eccesso.  Negli animali albini gli occhi si presentano rossi.  

 Figura 11 ‐ Teschio di Ratto 

 Torace:  presenza  di  grasso  bruno  tra  le scapole  più  abbondante  nei  giovani.  Le mammelle,  in  parte  toraciche  ed  in  parte addominali,  possiedono  un  tessuto  molto 

sviluppato  che  nella  porzione  toracica    si estende dorsalmente quasi fino alle scapole. Addome: lo stomaco si presenta diviso in due porzioni  ben  distinguibili  con  una  parte proventricolare  rivestita  da  mucosa cheratinizzata  ed  una  ghiandolare.  La cistifellea  è  assente  e  il  pancreas  è  di  tipo diffuso.  Le  ghiandole  surrenali  sono  distanti dai  vasi  renali  e  questo  ne  semplifica l’asportazione;  i  nefroni  sono  molto superficiali e quindi facilmente accessibili.  Bacino: il canale inguinale rimane aperto e la coda è lunga e tozza. La  dispersione  del  calore  si  ha mediante  le ghiandole sudoripare situate nella pianta del piede e per dilatazione delle vene della coda e  delle  orecchie  (come  nel  topo)  oppure  il ratto  si  ricopre  il  corpo  di  saliva  per aumentare  il  grado  di  evaporazione soprattutto  quando  la  temperatura  sale eccessivamente.   T° rettale  37,5‐38,5 °C Vita media  2,5‐3,5 anni Consumo cibo  10g/100gPV/die Consumo acqua  10‐12ml/100gPV/d Maturità maschio  65‐110giorni Maturità femmina  65‐110giorni Ciclo sessuale  4‐5giorni Gestazione  21‐23giorni Estro post‐parto  fertile N° piccoli  da 6 a 12 Età svezzamento   21giorni Peso adulto (m)  450‐520g Peso adulto (f)  250‐300g Peso alla nascita  5‐6g 

 

Figura 12 ‐ Parametri fisiologici del Ratto 

 La  determinazione  del  sesso  si  effettua  sul rilievo  della  distanza  ano‐genitale  che  è doppia  nel  maschio  rispetto  alla  femmina (circa 5 mm contro  i 2,5 mm) ed osservabile già  intorno  ai 7  giorni di  vita  (ma un occhio esperto  ci  riesce  anche  prima).    Inoltre  nel maschio adulto sono presenti i testicoli molto 

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sviluppati e ben visibili ma il canale inguinale rimane  aperto  quindi  spesso  è  possibile osservare lo scroto vuoto.    

  

Figura 13 ‐ Femmina 

   

  

Figura 14 ‐ Maschio 

  Durante la sua vita una ratta può partorire in media fino a 7‐10 o più volte con un numero di piccoli variabile da 6 a 14. Le performances riproduttive  (fertilità,  fecondità  e  prolificità) iniziano a decrescere dopo i 12 mesi di vita e la menopausa giunge dopo i 450‐500 giorni di vita.  La  discesa  dei  testicoli  nello  scroto  avviene tra  20  e  50  giorni  di  vita mentre  l’apertura dell’ostio  vaginale  dopo  i  35  giorni.  Sia  nel maschio che nella  femmina  la pubertà viene raggiunta  a  50‐60  giorni  di  vita ma  è  bene evitare  l’accoppiamento  fino  intorno  ai  65 giorni (250 gr. di peso).  Il ratto è un animale 

poliestrale continuo con un ciclo della durata di  4‐5  gg  e  un  calore  di  12  ore.  L’effetto Whitten  e  l’effetto  Bruce  sussistono  anche nel  ratto  anche  se  in  maniera  meno significativa  rispetto  al  topo.  Il  ciclo  può essere  influenzato  dal  fotoperiodo  che  si ritiene  ottimale  quando  l’illuminazione  è  di 12‐16  ore.  Un  fotoperiodo  troppo  lungo potrebbe  compromettere  la  fertilità  anche solo  dopo  3  giorni  di  esposizione.  La sincronizzazione  farmacologia degli estri può essere provocata mediante somministrazione di  progesterone o analoghi sintetici al fine di indurre l’anestro a seguito della lisi del corpo luteo  e  PMSG  per  indurre  l’ovulazione.  La ratta  ha  un  estro  post‐partum  fertile all’incirca 48 ore dopo  il parto e nel  caso di accoppiamento  in  questo  momento  si potrebbe avere una gravidanza prolungata di 3‐7  giorni  a  causa  del  ritardo  nell’impianto uterino dell’embrione. Dopo l’accoppiamento si formerà un tappo vaginale che occuperà lo spazio  compreso  tra  la  vulva  e  la  cervice prodotto  dalle  ghiandole  sessuali  del maschio.   Il ratto destinato alla riproduzione può essere allevato  in  monogamia  (1  maschio  ed  1 femmina)  o  in  poligamia  (1  maschio    e  2 femmine) oppure  infine  in harem (1 maschio e 6 femmine). La monogamia richiede l'impiego di molti più maschi e  il maschio viene  rimosso prima del parto. Nella poligamia  si usa 1 maschio ogni 2‐6  femmine  e  queste  ultime    vengono rimosse  prima  del  parto  (intorno  al  16° giorno  di  gestazione)  e  collocate  in  gabbie singole. Se le femmine vengono isolate prima del  parto  e  vi  rimangono  durante  tutta  la lattazione  producono  più  latte  e  curano meglio  la  prole.    Al  fine  di  utilizzare  l'estro post  parto  è  necessario  lasciare  la  femmina col maschio ma  si  rischiano danni  alla prole oppure  separare  la  femmina  dai  piccoli  in prossimità  del  calore,  farla  accoppiare  e ricollocarla nella gabbia con i propri rattini. La gestazione  dura  21‐23  giorni  e  lo  sviluppo mammario diventa evidente dopo  i primi 14 giorni.  Per  effettuare  la  diagnosi  di 

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gravidanza si possono palpare i feti oppure si può  pesare  la  madre  per  verificare l'incremento  di  peso.    Se  l'estro  post  parto non venisse utilizzato il ciclo riprenderebbe 2‐4  giorni  dopo  lo  svezzamento.  La pseudogravidanza  è  un'evenienza  poco frequente.    Gli  occhi  dei  piccoli  si  aprono dopo 1 settimana e lo svezzamento avviene a 21  giorni  (40‐50  g di peso).  Le  varie  fasi del ciclo  possono  essere  evidenziate  con  la colorazione di May Grunwald Giemsa:  - Proestro: molte cellule epiteliali nucleate e poche cheratinizzate  

-  Estro: molte cellule cheratinizzate  - Metaestro: poche cellule cheratinizzate ed aumento dei leucociti 

 - Diestro: tanti leucociti   Housing  Come per  il  topo,  le gabbie sono,  in genere, realizzate  in  materiale  plastico  ed  atossico con  fondo  pieno  e  coperchio  in  grigliato d’acciaio sagomato ed angoli arrotondati per evitare che gli animali possano rosicchiare  le superfici.  Le  gabbie  vengono  contenute all’interno di rack  in alluminio con ruote   per facilitare  le  operazioni  di  spostamento  e pulizia. La  misura  minima  consigliata  nel  D.  Lvo 116/92 per il pavimento della gabbia è di 350 cm2/capo  oppure  800  cm2    per  una madre con  la  nidiata  fino  allo  svezzamento.       Nel caso  invece di animali allevati  in gruppo  (più di  due  soggetti)  si  consiglia  una  superficie minima  di  almeno    250  cm2/capo.  L'altezza minima  della  gabbia  deve  essere  almeno  di 14  cm  anche  se  tale  dimensione  non  è sufficiente  per  permettere  al  ratto  di assumere  la  posizione  eretta  per  la  quale necessiterebbe di almeno 35‐40 cm.   Il  ratto può essere allevato  in  colonia anche se  a  volte  si  rende  necessario  isolare  e 

stabulare  individualmente  i  soggetti aggressivi.  Come  per  il  topo  è  bene  che  le colonie  non  siano  troppo  numerose  in quanto  il  sovraffollamento,  in  genere, favorisce  la  comparsa  di  comportamenti aggressivi.  I  maschi  di  ratto  sono  meno aggressivi  dei  topi  e  quindi  se  cresciuti insieme possono rimanere nella stessa gabbia anche  in  età  adulta.  La  concentrazione plasmatica  di  corticosteroidi  è maggiore  nei ratti  stabulati  in  colonia    rispetto  a  quelli allevati  singolarmente  ed  aumenta  al momento dell’inserimento di un  soggetto  in un  gruppo  (da  tenere  presente  durante  le sperimentazioni  in quanto può  far variare  le risposte).  Per  il fondo della gabbia si utilizza  in genere, il  pavimento  pieno  in  quanto  la  presenza della  lettiera  risulta  essere  più  confortevole rispetto al pavimento grigliato. Per la lettiera si  possono  utilizzare  segatura  o  meglio trucioli  fini  di  legno    purché microbiologicamente puro e atossico  (pino e cedro,  ad  esempio,  risultano  altamente nocivi).  Nel  caso  di  protocolli  sperimentali che  richiedano  il  prelievo  di  feci  ed  urine  si utilizzano,  in  genere,  gabbie  con  pavimento in  rete  metallica  dotate  di  vassoio  per  la raccolta delle deiezioni.   

  

Figura 15 ‐ Ratto allevato su lettiera in truciolo 

   

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Come  materiale  per  il  nido  si  possono utilizzare  ritagli  di  carta  o  cotone  idrofilo anche se per  lo più  la ratta tende a partorire all’interno  di  “buchette”  scavate  nella lettiera.  Molto  importante  il    microclima  che  deve essere adeguato alle esigenze dell’animale e fare  anche  molta  attenzione  agli  sbalzi termici  e  igrometrici  perché  i  ratti  sono sensibili alle malattie respiratorie  favorite da questi ultimi fattori. Attenzione  al  sovraffollamento  che  può provocare  aumento  della  temperatura  della gabbia.       Temperatura  20‐24 °C Umidità relativa  60 % Ventilazione  10‐15 ricambi/ora Luce/buio  12/14 ore  

Figura 16 ‐ Parametri ambientali ideali 

  Alimentazione  Il  ratto  è  onnivoro  ma  l’alimentazione  dei ratti  da  laboratorio  è  a  base  di  pellets appositamente  formulati  oppure,  in alternativa,  semi  (mais,  avena,  frumento, miglio,  orzo  e  girasole  con  attenzione  a quest’ultimo  in  quanto  carente  in  calcio  e ricco  in  grassi  e  colesterolo)  e  alimenti fioccati.  I  pellettati  utilizzati  nelle  diete commerciali  sono  ottenuti  a  partire  dalle seguenti materie prime: granturco, frumento, crusca, farina di pesce, farina di soia tostata, siero  di  latte  in  polvere,  farine  di  erbe disidratate  e  olio  di  soia.  L’alimentazione viene di solito fornita ad libitum comunque in linea generale il consumo medio  di alimento si aggira intorno ai 10‐15g ogni 100 g di peso vivo  che  tradotto  in  termini  pratici  significa circa  25‐30  g  di mangime  al  giorno.  I  valori nutrizionali  medi  dei  mangimi  per  ratti saranno i seguenti: 

     

Mantenimento  

Accrescimento e Riproduzione 

 Grassi  4‐5%  7‐11% Proteine 14%  17‐19% 

 

Figura 17 ‐ Valori nutrizionali Medi per mangimi pellettati 

L’acqua  viene  fornita  in  appositi  beveroli  a bottiglia  con  tappo  a  goccia  e  deve  essere sempre  pulita  e  fresca:  il  consumo  si  aggira sui 10‐12 ml ogni 100 g di peso vivo al giorno ma  anche questa  viene  fornita, di  solito, ad libitum.   Manipolazione  Gli  animali  si  abituano  bene  alle manipolazioni  purchè  avvengano  in maniera delicata  e  da  parte  di  persone  esperte.  Il ratto  può  essere  sollevato  afferrandolo  alla base  della  coda molto  vicino  all’attaccatura oppure  cingendogli  le  spalle  con  una mano con pollice ed indice intorno al collo  in modo da bloccare la testa. Nel caso di animali molto pesanti  o  gravidi  è  bene  sostenere  il posteriore  con  l’altra  mano.  Per immobilizzare  il  ratto    per  brevi  pratiche cliniche è  sufficiente  spingere con pollice ed indice di una mano sulle scapole dell’animale in modo da costringerlo ad incrociare i propri arti anteriori sotto al mento ed esercitare una leggera trazione della coda con  l’altra mano. Per  tranquillizzare  maggiormente  l’animale risulta utile un panno a copertura degli occhi. Quando  il  ratto  è  appoggiato  su  rete metallica  non  deve  essere  sollevato velocemente  o  violentemente  perché,  a causa  della  presa  energica  sulle  maglie, potrebbe  strapparsi  le  unghie  con  copiosa fuoriuscita di sangue. 

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SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

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 Figura 18 ‐ Manipolazione 

  

 Figura 19 ‐ Immobilizzazione 

                          

                                                

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PATOLOGIE GESTIONALI E RIPRODUTTIVE DEL CINCILLA’  Daniele Petrini1, DVM  1 Clinica Veterinaria OMNIAVET, Roma, [email protected]   CORRETTA GESTIONE DEL CINCILLA’  Il cincillà è un roditore istricomorfo originario della  cordigliera  andina,  adattatosi  ad  un ambiente molto  rustico  e  proibitivo;  vive  in Cile, Bolivia, Perù e Argentina ad altitudini di circa  3‐4000  metri.  I  cincillà  non  sono aggressivi  ma  docili  (specialmente  le  linee selezionate  come  pet),  molto  puliti  e praticamente  privi  di  odore;  sono  molto apprezzati  per  la  splendida  e  morbidissima pelliccia.  Sono  animali  gregari,  in  natura vivono  in  gruppi  formati  da  numerosi individui e trascorrono molto tempo nascosti in  rifugi nelle  rocce e nelle  tane;  sono attivi soprattutto  alla  sera  e  durante  la  notte, tuttavia  in  cattività  si abituano agli orari dei proprietari. Raramente mordono e oltre alla fuga, l’unico mezzo  di  difesa  è  perdere  il  pelo  quando vengono afferrati per la folta pelliccia. A differenza della maggior parte dei  roditori da  compagnia  i  cincillà  sono  animaletti longevi e,  se ben  tenuti, possono  superare  i 15 anni. Gli adulti pesano  intorno ai 500 gr, anche se  le femmine possono arrivare fino a circa 800 grammi. I soggetti selvatici sono  inclusi  in appendice I della CITES. In  cattività  sono  state  selezionate  molte varietà  di  colore  del mantello  oltre  al  grigio standard. Alcuni  esempi  sono  il black  velvet (testa  e  schiena  neri  con  pancia  bianca  e fianchi  grigi),  mosaico  (cincillà  bianco  con macchie  grigie),  beige,  pastelli,  cioccolato, ebony  (cincillà  di  varie  tonalità  del  nero), violet, zaffiri ecc.   

ALLOGGIO  I  cincillà  sono  animali molto  attivi  e  quindi richiedono  una  gabbia  spaziosa  che  deve svilupparsi  su  più  piani  in  quanto  ai  cincillà piace  saltare  ed  arrampicarsi.  Le  dimensioni minime devono  essere  circa  100  x 80  x  100 ma sarebbe preferibile che fossero 200 x 200 x  100  cm.  E’  consigliabile  tenere  più  di  un individuo  per  rispettare  il  loro  naturale comportamento  sociale:  la  gabbia  dovrà essere  in  proporzione  più  grande  in  base  al numero di animali. Si possono tenere insieme un  maschio  con  più  femmine  (fino  a  6), oppure un gruppo di femmine da sole se non si desiderano parti. L’ambiente  ideale  per  il  mantenimento  in cattività  del  cincillà  dovrebbe  avere  una temperatura di 20‐22° C e un’umidità relativa inferiore  al  50%.  Nella  gabbia  deve  essere sempre presente un nido all’interno del quale il cincillà possa rifugiarsi in caso di spavento o possa riposare durante  le ore diurne; spesso anche  il  parto  avviene nella  tana  la mattina presto. La  gabbia  deve  avere  un  substrato  sempre pulito,  morbido  ed  assorbente  per  evitare patologie  ai  piedi;  può  essere  costituito,  ad esempio, da pellet di  carta  riciclata,  carta di quotidiani, truciolo depolverato di  legno non resinoso  e  non  trattato,  pellet  di  legno proveniente  da  legno  non  resinoso.  Da evitare  la  lettiera  per  gatti  che  può  essere nociva  se  ingerita  e  provocare  lesioni  alle zampe. L’arricchimento  ambientale  è  molto importante  per  il  benessere  psicologico  di questo  roditore;  si  possono  mettere  a disposizione  tubi  di  plastica,  scatole  di cartone,  blocchetti  di  legno  atossico  da rosicchiare (vanno bene il legno di betulla, di albero da frutto tipo melo e pero; da evitare il  susino,  il  ciliegio  e  l’oleandro),  una  pietra pomice  per  roditori,  rotoli  di  scottex terminati  riempiti  di  cibo  e  chiusi  alle estremità,  giochi  in  legno  atossico  per pappagalli, ecc. 

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Una raccomandazione importante è quella di non riempire troppo la gabbia ma lasciare un discreto  spazio  libero  per  consentire  il movimento. Almeno 2‐3 ore al giorno il cincillà deve avere la  possibilità  di  uscire  dalla  gabbia  per  fare esercizio  fisico ed evitare problemi di  salute come ad esempio l’obesità. I  cincillà  sono  animali molto puliti  e  si deve dar  loro  la possibilità di fare quotidiani bagni di  sabbia.  In  commercio  si  trova  sabbia  da bagno specifica per cincillà; quella di mare o da edilizia sono  invece  inadatte e rovinano  il pelo.  La  sabbia  apposita  ha  la  proprietà  di assorbire  le  secrezioni untuose del mantello ed  evita  che  questo  si  infeltrisca;  è  quindi opportuno  mettere  a  disposizione  nella gabbia un recipiente sufficientemente grande da  contenere  comodamente  l’animale e  con bordi  alti  in  modo  che  la  sabbia  non  esca quando  il  cincillà  si  rotola.  La  sabbia  va mantenuta  pulita  dalle  feci  e  il  bagno  va lasciato  in  gabbia  circa  15‐20  minuti  al giorno, poi tolto per evitare che si contamini con cibo, feci ed urine. Nei cuccioli di cincillà, che si rotolano le prime volte ad occhi aperti, la  sabbia può essere causa di  congiuntiviti e lesioni alla cornea e quindi è consigliabile non metterla  (attendere  circa  20  giorni  di  età). Ogni  10  giorni  circa  la  sabbia  va  cambiata completamente  perché  perde  il  potere assorbente  nei  confronti  delle  secrezioni oleose.   ALIMENTAZIONE  In  natura  il  cincillà  vive  in  una  zona molto povera  e  arida  con  poca  vegetazione  che consiste soprattutto di erba. In cattività deve ricevere  un’alimentazione  ricca  di  fibra  e povera di  sostanze nutritive:  fieno di ottima qualità,  pellettato  formulato  per  cincillà  e una  quota  di  verdure  fresche.  Frutta  e leccornie (uvetta, pezzi di noce, di nocciola...) vanno fornite con parsimonia, al massimo un paio  di  volte  a  settimana.  Il  fieno  deve costituire  la  base  dell’alimentazione  del 

cincillà  e  non  deve  mai  mancare.  E’ fondamentale per  il mantenimento  in  salute del tratto digerente; provvede a mantenere  i denti  della  giusta  lunghezza  grazie  al contenuto  in  silicati  che  fungono  da  raspa sulle  corone  dei  denti  ad  accrescimento continuo.  Apporta  infine  fibra  lunga indispensabile  per  la  corretta  motilità dell’intestino. La  verdura  deve  essere  somministrata quotidianamente,  deve  essere accuratamente  lavata  e  non  fredda  di frigorifero. Si possono fornire verdure a foglia (come  ad  esempio  insalate  miste,  cicoria, bietole...),  finocchi, carote, sedano, peperoni ecc. Il pellet deve contenere circa 15‐35% di fibra, 16‐20% di proteine e  2‐5% di  grassi; per un animale  adulto  sono  sufficienti  circa  2 cucchiai da minestra al giorno. Da  evitare  cereali,  dolciumi,  bastoncini  di miele e semi, prodotti del panificio, alimenti a  base  di  latte,  granaglie  e  fioccati  che conducono  a  pesanti  patologie  carenziali,  a disturbi  gastroenterici  e  a  problemi  dentali gravi quali ad esempio le cuspidi dentarie. Infine  l’acqua  deve  essere  sempre  a disposizione,  fresca  e  pulita,  tramite  un beverino a goccia.   PATOLOGIE GESTIONALI  Le  patologie  gestionali  più  frequenti  che  si riscontrano  nei  cincillà  allevati  come  pet sono:  la  malattia  dentale,  la  stasi  gastro‐intestinale, il colpo di calore, le dermatofitosi e il fur chewing.  La malattia dentale  è  una  patologia  complessa  che  riconosce fattori  predisponenti:  alimentari  e  carenziali (ad  esempio  carenza  di  fibra  da masticare), malattie metaboliche,  genetici  (alcune  linee di  sangue),  traumi  e  neoplasie.  La  diagnosi prevede  un’accurata  anamnesi,  un  esame clinico  generale  del  paziente,  un  esame obiettivo particolare della  regione  facciale  e 

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della  cavità  orale  e  infine  l’utilizzo  di diagnostica per  immagini  (rx,  TC, RMN). Per la complessità di questa sindrome si rimanda agli  atti  della  relazione  SIVAE  marzo  2010 ‘Odontoiatria  dei  Roditori  Istricomorfi’  A. Melillo, D. Petrini.  Il colpo di calore  E’ spesso causa di morte nel cincillà durante la  stagione  estiva.  Infatti  essendo  privo  di ghiandole  sudoripare  non  può  disperdere  il calore  accumulato e quando  la  temperatura supera  i  28°C  in  concomitanza di un’elevata umidità  si  manifesta  tale  situazione patologica. Pertanto, in estate, la gabbia deve stare in un luogo molto fresco per mantenere una  temperatura  adeguata;  a  questo proposito  si  può  fare  uso  di  un condizionatore  d’aria,  di  ventilatori  o  si possono  inserire  alcune  bottiglie  d’acqua ghiacciate  nella  gabbia  sulle  quali  i  cincillà potranno trovare refrigerio. Clinicamente  il  cincillà  appare  abbattuto, giace  in  decubito  laterale  e  diventa  presto dispnoico.  Gli  animali  colpiti  devono  essere maneggiati  con  cautela per evitare ulteriore stress;  il  raffreddamento  deve  essere effettuato  gradualmente  ponendo  il  cincillà in  un  luogo  fresco  e  ben  ventilato.  E’ opportuno  somministrare  al  più  presto  una fluidoterapia massiva  per  via  endovenosa  o intraossea,  somministrare  eparina  per scongiurare  una  coagulazione  intravasale disseminata,  eventualmente  ricorrere  a  fans capaci  di  contrastare  un  possibile  shock endotossico  (ad  esempio  flunixin meglumina). La prognosi per il colpo di calore rimane da riservata ad infausta.   Dermatofitosi Gli  agenti  eziologici  che  più  spesso  sono causa  di  dermatofitosi  nel  cincillà  sono Tricophyton  mentagrophytes,  Microsporum canis  e  più  raramente  Microsporum gypseum.  Clinicamente  gli  animali manifestano  lesioni  alopeciche  ben circoscritte,  crostose,  talvolta  eritematose, localizzate  più  frequentemente  intorno  agli 

occhi,  sulle orecchie,  sul naso e  intorno  alla bocca, ma  possono  estendersi  agli  arti  o  su tutto  il  resto  del  corpo.  Batteri  di  irruzione secondaria  possono  impiantarsi  sulle  lesioni fungine.  La  diagnosi  si  basa  sulla  visione microscopica  del  pelo  e  sull’allestimento  di piastre  da  coltura  per  dermatofiti.  La rimozione del pelo intorno alla lesione riduce la  trasmissione della malattia e  il potenziale zoonotico.  Alcuni  animali  possono  essere portatori  asintomatici  ma  manifestare  la patologia  in  seguito  a  fattori  stressogeni come  il  sovraffollamento,  l’alimentazione inadeguata  o  l’elevata  temperatura  e umidità.  La  terapia  consiste  nel  trattare l’animale preferibilmente con farmaci per via sistemica  come  ad  esempio  itraconazolo, terbinafina,  griseofulvina;  è  possibile  inoltre effettuare  spugnature  locali  (utilizzando  ad esempio enilconazolo). Anche  la disinfezione ambientale  è  da  considerarsi  di  estrema importanza  nella  gestione  delle dermatofitosi.  Fur chewing I  cincillà  possono  sviluppare  la  tendenza all’eccessivo  grooming  o  mordere  il  pelo proprio  o  dei  compagni  di  gabbia.  Questi animali sono eccessivamente nervosi e molto suscettibili  allo  stress.  Le  aree  che  più frequentemente  sono  soggette  al  fur chewing  sono  i  fianchi  e  le  spalle.  Spesso  si rende visibile il sottopelo che appare opaco e secco.  L’eziologia  del  fur  chewing  non  è ancora ben compresa, sembra  infatti che più fattori  rientrino  nella  patogenesi  di  questa patologia:  ereditari,  ambientali,  dietetici, comportamentali, malattie  concomitanti.  La gestione  di  questo  disturbo  prevede  la rimozione  dei  fattori  predisponenti  e  si consiglia  di  togliere  dalla  riproduzione  i soggetti colpiti.   RIPRODUZIONE  Il  cincillà  alle  nostre  latitudini  presenta un’attività  riproduttiva  di  tipo  poliestrale 

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SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici)                                                                                    Palazzo Trecchi, Cremona 9‐10 Ottobre 2010 

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stagionale da novembre a maggio anche se in allevamento  si  osserva  un’attività  ciclica  di tipo  poliestrale  continuo  con  un  intervallo interestrale  variabile  in  base  alla  stagione (esperienze personali, Celiberti et. al 2010). Il ciclo estrale dura 28‐50 giorni con un estro di 24‐48 ore;  la manifestazione più  tipica della femmina  in estro è  l’apertura della fenditura vaginale  con  la  vulva  che  si  presenta leggermente  rigonfia  e  passa  da  un  colore rosato ad un rosso intenso. L’estro post‐partum, molto fertile, si presenta dopo circa 2 ore dal parto e può prolungarsi sino a 6 giorni (esperienze personali). Ad  accoppiamento  avvenuto  lo  sperma  in vagina va  incontro a  coagulazione  formando il  cosiddetto  “tappo”  che  impedisce  l’uscita del  liquido  seminale.  Qualche  ora  dopo l’accoppiamento  viene  espulso  con  le contrazioni della vagina e  si può  ritrovare  in gabbia,  ma  può  capitare  che  l’animale  lo ingerisca  e  quindi  non  venga  ritrovato.  La forma  ricorda quella di una  crisalide, misura circa  2,5  cm  di  lunghezza  e  6‐7  mm  di diametro; il colore è bianco appena espulso e con il passare delle ore diventa giallo. Il cincillà ha una gravidanza molto lunga (circa 111 giorni, da 109 a 112) e  i cuccioli, 1‐5 per parto,  sono  precoci  cioè  nascono  con  la pelliccia e gli occhi già aperti. Lo svezzamento dura  circa  8  settimane.  La  diagnosi  di gravidanza  può  essere  effettuata  palpando delicatamente  l’addome già a 25 giorni circa di  gestazione;  in  questa  fase  spesso  si riescono anche a  contare  le  vescicole e  fare una stima del numero dei nascituri. L’esame ecotomografico  è  il  più  accurato  per  la diagnosi  di  gravidanza  e  permette  anche  la valutazione  della  vitalità  dei  cuccioli.  Una settimana  circa  prima  del  parto  è  possibile effettuare  una  radiografia  per  verificare  il numero dei nascituri.   PATOLOGIE RIPRODUTTIVE  Le  patologie  riproduttive  che  più frequentemente  si  riscontrano  in  questi 

istricomorfi  sono  il  fur  ring,  l’ipocalcemia post‐partum,  e  la  costipazione  post‐partum; da  ricordare  infine  anomalie  genetiche causate  dall’accoppiamento  tra  alcuni fenotipi.  Fur ring Col  termine  fur  ring si  indica una condizione relativamente  comune  nei  cincillà  maschi caratterizzata dalla presenza di pelo  intorno alla base del pene che tende ad accumularsi e a  formare un  anello  sempre più  stretto; nei casi più gravi  si presenta parafimosi. Questa condizione non  solo provoca dolore ma può essere  causa  di  costrizione  uretrale  e ritenzione urinaria acuta. Segni clinici del  fur ring  possono  essere  rappresentati  da stranguria,  eccessiva  pulizia  dell’area prepuziale,  letargia,  diminuzione dell’appetito.  La  terapia  consiste nell’applicare  un  lubrificante  sterile  e srotolare l’anello di pelo sino all’estremità del pene per essere così rimosso. Fondamentale nei  casi  più  seri  la  somministrazione  di analgesici,  fluidoterapia  ed  eventualmente terapia antibiotica.  Costipazione  Durante la gestazione la cincillà presenta una costipazione  parafisiologica  dovuta  alle dimensioni dell’utero; questa condizione può esacerbarsi  durante  la  prima  settimana  del post‐partum  ed  essere  confermata  da  un esame  radiografico.  Di  solito  si  risolve spontaneamente  tuttavia  è  buona  norma consigliare  al  proprietario  di  tenere  sotto controllo  l’aspetto  delle  feci  dell’animale,  il suo peso, il suo appetito e vivacità.  L’ipocalcemia post‐partum  Può verificarsi 2‐3 settimane dopo  il parto; è una  condizione  severa  in  cui  la  cincillà giace in  decubito  laterale  caratterizzata  da abbattimento  e  timpanismo.  Colpisce  di solito animali debilitati o con un una nidiata numerosa;  è  necessaria  una  terapia  di supporto  e  la  somministrazione  di  calcio gluconato. 

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 Fattore letale Per quanto riguarda la gestione corretta degli accoppiamenti è  importante  ricordare  che è sconsigliato accoppiare alcuni fenotipi. Alcuni geni  non  consentono  la  sopravvivenza  del feto  in  condizione  di  omozigosi  (fattore letale).  I  due  geni  letali  coinvolti  nel  colore del  mantello  del  cincillà  il  bianco  e  il  TOV (Touch  of  Velvet:  testa  e  linea  dorsale  più scura,  ad  esempio  black  velvet).  Se  è presente una condizione di omozigosi per tali alleli  (bianco  +  bianco  o  TOV  +  TOV)  in  un accoppiamento, sussiste  il 25% di probabilità che  l’embrione  non  si  sviluppi  e  che  venga riassorbito  dalla  madre  (ma  talvolta  si  può avere  natimortalità  o  cuccioli  disvitali  che muoiono qualche ora dopo la nascita).  Le distocie  Non  sono  molto  frequenti  e  possono verificarsi  per  cause  materne  (ad  esempio inerzia  uterina,  alterazioni  del  canale  del parto,  torsione  uterina)  o  cause  fetali (malposizionamento,  dimensioni  troppo grandi,  anomalie  nella  morfologia,  morte). L’esame  radiografico  è  importante  per valutare  la  posizione  fetale  e  un  esame ecotomografico  consente  di  valutare  le condizioni fetali. Se la cincillà è in travaglio da più di 4 ore circa e la terapia di supporto non ha dato risultati è consigliabile effettuare un taglio cesareo;  la prognosi  in questi casi è di solito discreta.   CENNI SULLO SVEZZAMENTO DEI PICCOLI  Le  femmine  di  cincillà  hanno  tre  paia  di mammelle, 2 toraciche e 1 inguinale. Di solito quelle inguinali sono quelle che si sviluppano e  sono  le  più  ricche  di  latte  e  in  seguito  al parto possono svilupparsi anche un paio delle toraciche. Spesso con nidiate numerose  (3‐5 cuccioli)  insorgono problemi di  lattazione e  i piccoli  cincillà  possono  lottare  furiosamente per  accaparrarsi  la  mammella  più  ricca  di latte.  In  questa  fase  diventano  molto 

aggressivi  tra  loro  e  si  feriscono  talvolta  in misura grave specialmente alle orecchie e sul muso;  possono  creare  anche  lesioni  molto dolorose  alle  mammelle  della  mamma  che rifiuterà  l’allattamento.  Per  ovviare  a  questi problemi  alcuni  allevatori  e  alcuni  autori (Quesenberry  K.  E.,  Carpenter  J.  W.) consigliano di tagliare i denti incisivi superiori ed inferiori ai piccoli poche ore dopo il parto; i  denti  ricresceranno  completamente nell’arco  di  7‐10  giorni.  E’  importante monitorare  il  peso  quotidianamente  e annotarlo, di  solito nella prima  settimana di vita  i  piccoli  aumentano  di  1‐2  grammi  al giorno ad eccezione dei primi 1‐3 giorni in cui il peso può rimanere stabile o subire un lieve calo  fisiologico. Alla nascita  i cuccioli pesano circa  30‐60  grammi  e  all’età  di  7‐10  giorni sono in grado di mangiare piccole quantità di cibo solido. Se  insorgono  problemi  durante  la  fase  di lattazione  è  opportuno  intervenire  tramite allattamento  artificiale  avendo  comunque cura  di  lasciare  i  piccoli  con  la  mamma affinché  vengano  correttamente  riscaldati  e imparino  il  normale  etogramma  di  specie. Personalmente  negli  ultimi  anni  ho  avuto ottimi  risultati  effettuando  dei  ‘turni’  e lasciando  con  la mamma  1  o  2  cuccioli  per volta,  cercando  di  individuare  i  cuccioli  più aggressivi.  Il  tempo  da  trascorrere  con  la madre  varia  in base  all’età del  cucciolo e  in base al peso,  in  linea di massima per  i primi giorni  i  turni  saranno  brevi  di  circa  3‐4  ore avendo cura di tenere riscaldati i cuccioli che non  stanno  con  i  genitori;  con  l’aumentare dell’età si arriva a turni più  lunghi di 6‐8 ore. Per accelerare  il passaggio da una digestione enzimatica (con alimentazione  lattea) ad una fermentativa  (con  alimentazione  erbivora)  e stimolare  l’alimentazione  spontanea  si possono  somministrare  piccole  quantità  di Critical  Care  molto  diluite  mescolate preferibilmente  a  ciecotrofo  (o  pellet  fecali provenienti da adulti sani). Se  i  cuccioli  non  crescono  e  si  sospetta  un problema  di  agalassia  oppure  la  madre muore  si  può  tentare  di  far  adottare  il 

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cuccioli da un’altra cincillà entro pochi giorni dal parto; normalmente  sono buone balie  e accettano  piccoli  di  altre  femmine. Ovviamente  si  dovrà  monitorare attentamente il comportamento degli animali e  separare  prontamente  il  cucciolo  se  la nuova mamma mostra segni di aggressività. Per  l’allattamento  artificiale  si  ottengono buoni risultati somministrando  latte di capra riscaldato  a  bagno  maria.  La  normale composizione del  latte di cincillà è: proteine 7,2%, grassi 12,3%, lattosio 1,7%.    BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE  

1. BSAVA  Manual  of  Rodents  and Ferrets, E. Keeble A. Meredith, 2009 

2. Disease of small domestic rodents, V. C. G. Richardson, 2003 

3. Ferrets,  Rabbits  and  Rodents,  K.  E. Quesenberry J. W. Carpenter,  

4. Manual  of  Exotic  Pet  Practice, M.  A. Mitchell T. N. Tully, 2009 

5. Biology  and Medicine  of Rabbits  and Rodents,  Harkness  and  Wagner’s, 2010 

6. Monitoraggio  del  ciclo  riproduttivo nel  cincillà  (Chinchilla  lanigera) mediante  colpocitologia  e  dosaggio del  progesterone  fecale,  Celiberti  et al, Tesi di laurea, Atti SIRA, 2010